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PANGEA – Cycling on life’s origins EnCICLOpedia: CANADA & USA Versione italiana

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PANGEA – Cycling on life’s origins

EnCICLOpedia:

CANADA & USA

Versione italiana

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Tutti i testi (a parte Prince George) a cura di Keara Jane Ryder

Testo su Prince George a cura di Alexandra Tomaselli

Traduzioni in italiano a cura di Mattia Zeba

Revisioni finali a cura di Alexandra Tomaselli

Foto di copertina: “Lamp post #5”, Banff (Canada) di Jason Cheever (iStock/jasoncheever)

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CANADA

INUVIK

Gli abitanti nativi del territorio artico nel nord-ovest canadese consideravano Inuvik una “terra di nessun uomo”. Tuttavia il suo nome, datogli nei tardi anni ’50 dal governo federale canadese, significa “luogo dell’uomo” nel linguaggio nativo Inuvialuktun – in contraddizione quindi con la versione indigena. Prima del contatto con gli Europei, avvenuto nel 1789, nelle immediate vicinanze vivevano due principali gruppi indigeni: i Gwich’in e gli Inuvialuit. Quest’ultimi erano di gran lunga più numerosi ed influenti. Infatti, gli Inuvialuit, il cui nome significa “persone vere”, erano un gruppo indigeno ricco e tecnologicamente avanzato se comparato con i loro vicini nell’artico. Il loro successo derivava sia dalla particolarità dei luoghi in cui cacciavano o pescavano, che dalle numerose tecniche usate, tra cui spiccavano i solidi ed affidabili kayak. I loro nemici, un gruppo indigeno chiamato Dene, furono allontanati alla fine del diciannovesimo secolo proprio dagli Inuvialuit, che condivisero quindi l’area solo con i Gwich’in e gli europei. Tuttavia, i due gruppi Inuit dovettero affrontare grosse difficoltà quando i cacciatori di balene europei trasmisero alla popolazione indigena malattie come il morbillo, che spazzò via quasi l’intero gruppo Inuvialuit negli anni tra il 1900 ed il 1902. Inoltre, se oggi gli anziani del luogo sono in grado di parlare in maniera fluente la lingua inglese, si deve principalmente al durissimo sistema scolastico del ventesimo secolo.

Secondo il governo federale, lo scopo della moderna città di Inuvik era quello di diventare un polo scolastico, sanitario ed amministrativo per i territori nordoccidentali e dell’Ovest artico. Ciò nonostante, la città divenne presto ben conosciuta per la produzione di petrolio e gas naturale, dando vita ad una straordinaria crescita economica ed urbanistica tra il 1970 e il 1985. Esauritasi la corsa al petrolio, la città ospitò una base di rifornimento per la rete di radar denominate North Warning System ed un avamposto operativo per gli F18.

Il sito su cui sorge Inuvik fu scelto inizialmente, intorno agli anni 50, dalle autorità federali per la sua capacità di resistere all’erosione del suolo ed alle alluvioni. Tuttavia, costruire e mantenere stabile una città su questa terra ghiacciata si rivelò una grossa sfida: quando le temperature crescono, questo tipo di ghiaccio, conosciuto come “ghiaccio blu”, può facilmente sciogliersi e scatenare conseguenze disastrose, come la distruzione di strade o il crollo di palazzi. Per questa ragione, scuole e comunità s’impegnano a porre l’attenzione sulla necessità di proteggere il permafrost sul quale si fonda, letteralmente, la città.

Cosa PANGEA consiglia di visitare a Inuvik

1) Our Lady of Victory Church- Questo edificio iconico fu costruito nel 1960 per assomigliare ad un igloo ed ha, per molti abitanti del Canada settentrionale, un grosso valore affettivo. La chiesa costudisce inoltre le opere della famosa artista Inuit Mona Trasher.

2) Western Arctic Regional Visitor Centre- Il centro è conosciuto per il suo staff, gentile e pronto a rispondere alle domande dei visitatori o a narrare la storia e la cultura dell’area. Inoltre, ospita piccole esposizioni su cultura e natura, oltre che dimostrazioni pratiche come l’intaglio del legno.

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3) Inuvialuit Cultural Resource Centre- Centro culturale, storico ed accademico per tutto ciò che riguarda Inuit e altri popoli indigeni dell’area.

4) Kitigaaryuit- Dopo che la popolazione dell’area fu decimata dalle epidemie tra la fine dell`800 e l’inizio del 900, questo è ad oggi il più grande insediamento Inuvialuit. Abitato da indigeni per più di 500 anni, è famoso per la sua industria principale: la caccia alle balene.

5) Reindeer Station- Costruito nel 1932, questo piccolo villaggio fu il punto di partenza dello Reindeer Project, primo esempio di allevamento di renne nel Canada settentrionale. Il programma fu pagato dal governo federale e doveva costituire una nuova fonte di cibo per gli Inuvik. Ora abbandonato, fino al 1969 fu una comunità auto-sufficiente.

6) Mackenzie River Delta- È conosciuto come il più grande e lungo sistema fluviale canadese, secondo solo al fiume Mississippi in tutto in Nord-America. Il primo europeo a navigare il fiume fu il famoso esploratore Sir Alexander Mackenzie. Gli Inuvik si insediarono convenientemente all’inizio del suo corso naturale.

7) Pingo National Landmark- Parco nazionale a nordovest di Inuvik, è casa di numerosi Pingo – colline uniche nel suo genere i cui nuclei contengono ghiaccio. Da secoli vengono usate dagli Inuvialuit come punti di riferimento per la navigazione.

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WHITEHORSE

Whitehorse prende il suo nome dalla schiuma bianca che si forma tra le rapide del fiume Yukon: infatti questa ricorda, nel suo fluttuare tra le onde, le folte criniere dei cavalli. Il suo passato è ricco di storie intriganti, tra animali dell’era glaciale, migrazioni umane preistoriche e famigerate corse all’oro. Prima dell’invasione da parte di cercatori d’oro di fortuna, popolazioni native, europei ed altri popoli non ebbero molti contatti: Whitehorse fu infatti usata solamente come sito di caccia e pesca dai popoli indigeni che abitavano la regione. Erano popolazioni nomadi che seguivano gli animali nelle loro migrazioni stagionali. I due gruppi nativi predominanti nell’area sono i Tutchoni del Sud e i Tagish: questi ultimi si definivano “popoli delle rapide” (“Kwänlin Dun”, in lingua nativa), termine con cui sono conosciuti tutt’oggi. A loro si aggiunsero il popolo costiero dei Tlingit, i quali si spinsero a sud proprio per commerciare con gli altri due gruppi. Ciò che risalta nella storia dei popoli indigeni dello Yukon è la loro diretta discendenza dai primi uomini che attraversarono lo stretto di Bering, per poi raggiungere il Nord-America attraverso l’Alaska circa 15.000 anni fa. Quello era un tempo in cui animali quali mammut dal pelo lungo, castori giganti e orsi erano la principale fonte di cibo, nonché peggiori nemici, dei popoli artici.

Fu solo alle soglie del diciannovesimo secolo che i primi coloni passarono attraverso l’odierna area di Whitehorse navigando sulle rapide fiume Yukon. In ogni caso l’area non venne abitata in maniera permanentemente né dai popoli indigeni né dai non-nativi, quantomeno fino alla corsa all’oro del Klondike nel 1896, che interessò i territori delle popolazioni Tr’ondek Hwech’in e dei Tutchoni del Nord. All’inizio della febbre dell’oro, gli esploratori erano soliti fermarsi presso la “città delle tende” nel loro viaggio verso Klondike, in modo da rinfrescarsi al saloon da poco costruitovi. Tuttavia, la città di Whitehorse non esistette ufficialmente fino al 1900, quando furono costruite le ferrovie “White Pass and Yukon Route”. In quel periodo iniziò anche l’afflusso di popoli indigeni a Whitehorse per trovarvi lavoro come guide o cacciatori di pellicce. Anche se portò benefici economici a tali popolazioni native, il processo di europeizzazione dell’area causò comunque dolore fisico ed emotivo ai bambini della comunità, costretti a frequentare le “scuole missionarie” della Columbia Britannica: una volta entrati, vi restavano, lontani dalle proprie famiglie, per periodi lunghi fino a 10 anni.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, soldati canadesi, americani ed inglesi furono spediti nella città per continuare la costruzione della “Alaska Highway”, un’impresa terminata in meno di nove mesi. La nuova via di comunicazione contribuì a rendere Whitehorse un importante centro di comunicazione e di trasporto nell’Artico. La città divenne capitale dello Yukon nel 1953 ed attualmente ospita due autogoverni indigeni: i Kwalin Dün e i Ta’an Kwäch’än, entrambi i quali hanno concluso le loro rivendicazioni territoriali nella regione.

Cosa PANGEA consiglia di visitare a Whitehorse

1) Miles Canyon- Questa meraviglia naturale ospita un lago considerato tra i più belli dello Yukon, oltre che importanti informazioni storiche incise su targhette lungo il suo percorso.

2) Yukon Wildlife Preserve- Abitata da 10 specie di mammiferi nordamericani in quasi 300 ettari di habitat naturale, questa riserva è adibita allo studio, ricerca e conservazione della fauna selvatica nello Yukon, oltre che alla sensibilizzazione sulla cultura nativa attraverso programmi educativi.

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3) Yukon Beringia Interpretive Centre- Questo museo e centro informativo è dedicato all’area conosciuta come Beringia, dalla quale si formò poi lo stretto di Bering. Grazie al suo clima secco e territorio non glaciale, diventò un’importante terra di passaggio usata dai primi umani per arrivare in Nord America. L’area fu abitata dagli Yukip, la cui cultura sopravvive sorprendentemente fino ad oggi. Il centro offre esposizioni permanenti, tour guidati, presentazioni interattive, opere artistiche ed eventi con cui scoprire le popolazioni, la fauna e la flora della Beringia.

4) MacBride Museum- Un grande museo sulla preistoria e storia dell’uomo, con un occhio di riguardo verso la storia delle popolazioni native, della natura e della geologia della regione. Ospita mostre permanenti e cicli di lezioni, oltre ad offrire esposizioni speciali preparate in collaborazione con gruppi locali.

5) Yukon Transportation Museum- I mezzi di trasporto sono stati particolarmente importanti per la nascita di Whitehorse e per le persone che vi hanno vissuto. Per questo motivo, il museo espone tutti quei sistemi di trasporto usati nello Yukon dai popoli indigeni, dagli europei e dai gruppi non-nativi attraverso esposizioni permanenti e temporanee, oltre che conservando treni, aerei e slitte d’epoca.

6) SS Keno- Nominato di recente sito storico nazionale del Canada, questo battello a ruota con ruota unica in poppa fu l’ultimo del suo genere a solcare il fiume Yukon. Tra le imprese storiche del battello si ricorda il rifornimento di materiali per la costruzione della famosa Alaska Highway. Attualmente è conservato presso la riva del fiume.

7) Yukon Artists @ Work- Questa galleria artistica autogestita fu creata per esporre artisti locali e sviluppare la loro arte, oltre che per dare loro una chance di sfondare all’interno del circuito nazionale. Inoltre, questo polo artistico organizza la propria raccolta fondi per aiutare gli artisti locali in periodi di crisi personale o economica.

8) Kwälin Dun Cultural Centre- Lo scopo di questo centro culturale è quello di “rivitalizzare, conservare ed esporre la lingua, i costumi e le tradizioni del popolo Kwälin Dun”. Ospita numerose esposizioni sulla vita culturale ed artistica, nonché sulla storia dei popoli indigeni nell’area di Whitehorse.

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PRINCE RUPERT & HAIDA GWAIJ

Prince Rupert ricevette il suo nome attraverso un referendum nel 1910, anno in cui l’insediamento fu trasformato in città ed in un momento in cui l’economia era al suo apice. Il nome fa riferimento a Rupert del Reno, governatore della famosa Hudsons Bay Company. Collocata sull’isola Kaien, Prince Rupert è ad oggi il principale centro commerciale della costa nordoccidentale della Columbia Britannica. Tuttavia, prima della rapida espansione industriale, era abitata dai Tsimshian, un popolo nativo del pacifico nordoccidentale, tra i quali si distinguevano gli Haida, conosciuti in tutto il mondo per l’abilità nell’intagliare il legno e per i loro totem. Varie scoperte archeologiche, tra le quali il ritrovamento di abitazioni che risalgono a più di 5.000 anni fa, hanno dimostrato che sono uno dei gruppi culturali più antichi delle Americhe. A differenza di molte culture europee ed in maniera simile a quella di altri popoli nativi, gli Haida erano una società tradizionalmente matriarcale e la loro filosofia di base includeva il credere che ogni persona appartenesse ad uno dei quattro totem tradizionali: rana o corvo, lupo, aquila ed orca o iperico.

In generale, le relazioni tra Haida ed europei all’inizio del diciannovesimo secolo erano più che positive e si basavano sul commercio di pesce, in particolare salmone, e di preziose pellicce di lontra. Tuttavia, questi contatti portarono con sé anche un’epidemia di varicella durante gli anni sessanta dell’800, la quale sterminò l’80% dei popoli indigeni. Fino alla metà del ventesimo secolo, la pesca e l’industria conserviera erano le principali fonti di reddito: molti da tutto il Canada (Europei, Asiatici e Popoli Indigeni) percorrevano lunghe distanze per trovarvi impiego. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la città fu usata come base per la costruzione di navi e l’invio di truppe americane nelle isole del pacifico e nei fronti dell’estremo oriente. Oggigiorno, Prince Rupert è un grosso porto commerciale che spedisce e riceve merci in particolar modo dai paesi asiatici. È inoltre conosciuta come la città più umida del Canada con 2.552mm di precipitazioni all’anno. Infine, l’odierno popolo Tsimshian ha un consiglio di autogoverno.

Lo Haida Gwaii National Park and Reserve, patria del la First Nation degli Haida Gwaii, è stata riconosciuta dal National Geographic come la destinazione più consigliata nel Nord America. Questo importante riconoscimento è stato conferito basandosi sull’integrità ecologica e culturale del parco, sui suoi siti archeologici e sui futuri progetti. Ad oggi, è gestito in tandem da Parks Canada e gli Haida e include riserve terrestri e marine, nonché patrimoni culturali del popolo Haida.

Gli Haida sono un popolo indigeno appartenente al gruppo linguistico Tsimshian che abita nelle isole dello Haida Gwaii: queste si collocano 100km al largo della costa nord della Columbia Britannica e includono 2000 isole su più di 9700 km2. Queste isole furono “scoperte” per la prima volta nel 1774 dagli spagnoli ma furono lasciate incustodite; nel 1787 gli inglesi le chiamarono “Isole della Regina Carlotta”, dal nome della regina regnante al tempo. Tuttavia, il nome fu cambiato ufficialmente nel 2009 come atto di riconciliazione storica. Prima dell’arrivo degli europei, la particolare ricchezza dei popoli Haida derivava da risorse terrestri e marine che poi venivano con successo commerciate con i vicini gruppi indigeni. L’invasione europea dell’isola porto nuove ricchezze agli Haida grazie al commercio di preziose pellicce di lontra. In ogni caso, quando questo settore entrò in crisi, le scuole missionarie vennero usate per europeizzare gli Haida. Alla fine, la varicella causò la quasi totale estinzione della comunità indigena. Parco e riserva nazionale costituiscono quindi un tentativo di preservare una delle più antiche culture indigene del Canada oltre che lo stile di vita Haida.

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Cosa PANGEA consiglia di visitare a Prince Rupert e Haida Gwaij

1) Khutzeymateen Grizzly Bear Sanctuary- Grazie ad un tour in barca attraverso il santuario, i visitatori potranno osservare gli orsi nel loro habitat naturale senza problemi per la loro sicurezza e senza disturbare la tranquillità di questi animali. Inoltre, c’è la possibilità di avvistare altre specie autoctone e di apprezzare uno scenario mozzafiato.

2) Whale Watching- La costa di Prince Rupert è un habitat naturale per numerose specie di balene: megattere, orche, balene grigie e balenottere minori popolano queste acque insieme ad altri animali quali focene, foche, otarie ed aironi azzurri.

3) Butze Rapids Interpretive Trail- Si tratta di un sentiero di montagna da cui ammirare il panorama più bello della regione. Inoltre, durante la passeggiata di 5,4km i visitatori potranno imbattersi in un fenomeno unico: durante i picchi di alta e bassa marea le rapide cambiano sorprendente direzione in modo repentino.

4) Museum of Northern B.C.- Questo museo rinomato in tutto il mondo espone una vasta collezione di arte, design e cultura nativa. A questa varietà di opere e informazioni storiche si aggiungono spiegazioni sull’antica storia geologica dell’area.

5) North Pacific Cannery Museum- Il museo si focalizza sulla storia industriale, economica e culturale del pesce in scatola, l’industria più importante di Prince Rupert, oltre che offrire tour guidati, esibizioni speciali e cucina locale.

6) Haida Gwaii Museum- Questo museo narra la storia antica e moderna delle popolazioni indigene. Inoltre, si situa nei pressi di un luogo di sepoltura Haida.

7) Haida Heritage Centre- Questo nuovissimo centro, situato nell’importante sito culturale Kay Llnagaay, ospita un museo, una performance house, un laboratorio di intaglio del legno, un capanno delle canoe, un centro educativo e due bistrò. Apprezzabile è inoltre la struttura architettonica che ricorda un villaggio tradizionale Haida con un totem autentico all’entrata.

8) All About U Arts- Di proprietà e creazione di un intagliatore Haida, la galleria espone sia arte indigena tradizionale che moderna.

9) Hiellen Reserve- Precedentemente sito di una antica comunità Haida e poi abbandonato, oggi è abitata dagli odierni discendenti Haida: oltre alle autentiche case comuni, la riserva include anche Tow Hill, una collina di 120m di altezza che offre un panorama spettacolare sull’area circostante.

10) North Beach- Una spiaggia vivace e pittoresca conosciuta per il surf e la raccolta di vongole.

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KITWANGA

La storia del villaggio di Kitwanga, conosciuto come “Gitwangak” o “Gitwangax” dalle First Nations Gitksan e Wetsuwet’en, affonda le sue radici nel vicino sito di interesse nazionale: il Gitwangak Battle Hill. L’area di Kitwanga si situa alla confluenza di due grossi fiumi: il Bulky River e lo Skeena River, entrambi antiche vie di commercio tra i nativi del posto. Infatti, fu proprio la sua posizione, oltre che la costruzione del forte di Gitwangak, che permise ai gruppi indigeni locali di controllare l’area circostante. Secondo la leggenda, il forte fu costruito alla fine del diciottesimo secolo da un famoso condottiero, Chief Nekt, in modo da avere potere completo sulle vicine vie di commercio fluviale. Il muro dell’edificio che circondava il villaggio non fu usato solo come difesa durante le battaglie, ma anche come base dove immagazzinare i bottini dei vari saccheggi, nonché gli schiavi provenienti da altre comunità indigene costiere. Il forte era estremamente protetto e resistette in tutte le sue battaglie fino all’avvento della polvere da sparo; nel 1835 fu infine abbandonato e bruciato. Questi avvenimenti, insieme alla morte di Nekt, simboleggiarono comunque l’inizio di un’era più pacifica tra i gruppi nativi dell’area. Il nuovo villaggio costruito dagli indigeni fu adornato di totem rappresentanti le numerose famiglie che avevano abitato il forte. I totem, insieme al villaggio ed al forte sono stati nominati sito storico di interesse nazionale. Attualmente, Kitwanga ospita la Gitwangark Indian Reserve numero 1.

Cosa PANGEA consiglia di visitare a Kitwanga

1) Gitwangak Battle Hill National Historic Site- Il sito storico del forte è aperto ai visitatori e offre viste mozzafiato a chi raggiunge la sua sommità (per informazioni storiche si veda sopra).

2) ‘Ksan Indian Village and Museum- Museo con un focus sulla storia e cultura del Gitxsan, offre una collezione di più di 600 reperti. Inoltre, vi si può ammirare un’accurata replica di un villaggio tradizionale con case, camera di affumicatura e depositi per il cibo. Il museo ospita anche una “Casa del Tesoro”, la quale contiene una biblioteca con archivi e una galleria di oggetti d’artigianato e dipinti di artisti locali.

3) Hands of History Tour- Un tour auto-guidato che corre per 113km da Hazelton a Kitwanga. Sul percorso si possono trovare targhette informative che contestualizzano storicamente ogni tappa.

4) Kitwanga Mountain Provincial Park- Dalla sua vetta si può ammirare la vista della catena montuosa delle Sette Sorelle. Nel parco vivono invece numerosi animali autoctoni tra cui orsi grizzly, alci ed uccelli migratori.

5) St. Paul’s Church- Non si tratta solo di una Chiesa unica nel suo genere, con la sua interessante torre campanaria in legno, ma anche del sito in cui si conservano i dieci bellissimi totem del villaggio Gitwangale, suggestivamente situati nei pressi del fiume Skeena.

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PRINCE GEORGE

Prince George è la più grande città della Columbia Britannica e, con una popolazione di 80-90.000 persone, è anche conosciuta come la “capitale del nord” di questa provincia canadese. Probabilmente, la città prende il suo nome da re Giorgio V o dal Principe Giorgio, duca di Kent.

Fu fondata nel 1807 da Simon Fraser col nome di Fort George e servì da accampamento per il commercio di pellicce per la North West Company. Fraser era un famoso commerciante di pellicce scozzese che guidò la North West Company nelle sue spedizioni ad ovest delle Montagne Rocciose. Tuttavia, quest’area era da secoli patria del popolo indigeno dei Lheidli T’enneh: questi possono essere definiti come un sottogruppo dei Dakelh; la loro lingua, il “Carrier”, appartiene al ceppo Athabaskan settentrionale. A seguito della costruzione di Prince George e di negoziazioni con i colonizzatori, i Lheidli T'enneh fondarono nel 1892 la loro propria riserva, la Fort George Indian Band Reserve. In lingua Carrier, Lheidli T'enneh significava in origine “popolo alla confluenza dei due fiumi”, dove con “due fiumi” ci di riferisce al fiume Nechako e al fiume Fraser.

All’inizio del ventesimo secolo, Prince George cominciò ad arricchirsi dopo che si decise di far passare la Grand Trunk Pacific Railway attraverso l’accampamento di pellicce; inoltre, i nuovi coloni iniziarono a praticare l’agricoltura. A seguito della prima guerra mondiale e della Grande Depressione degli anni ‘30, che colpì duramente anche qui, tra il 1942 e il 1943 Prince George divenne nuovamente nota come accampamento per 6.000 soldati coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale. Sebbene completamente rimosso dopo la fine della Guerra, si possono ancora apprezzare alcune rovine del sito originale tra la 1st Street, la Central Street e la 15th Avenue.

Dopo la seconda guerra mondiale, Prince George fiorì nuovamente grazie al commercio di legname. All’inizio degli anni ’50, le vie di comunicazione della Pacific Great Eastern road e della CN line si intersecarono presso la città. Grazie alla seguente costruzione delle autostrade 16 e 97, Prince George divenne finalmente fulcro della Columbia Britannica. Il commercio di legname dominò l’economia cittadina per l’intero ventesimo secolo. Oggigiorno, la sua ricchezza si basa inoltre sul settore dei servizi. Inoltre, le istituzioni educative contribuiscono significativamente alle entrate cittadine grazie alla fondazione della University of Northern British Columbia, del College of New Caledonia e del distretto scolastico 57.

A metà degli anni 2000, i Lheidli T’enneh –gli abitanti nativi di Prince George– iniziarono delle negoziazioni con la Columbia Britannica ed il Canada all’interno del Columbia Treaty Process per demarcare il loro territorio. Questo trattato, introdotto il 29 Ottobre 2006, fu prodotto in risposta al caso Delgamuukw (Delgamuukw v The Queen - 1997), nel quale la Corte Suprema del Canada si rifiutò apertamente di prendere una decisione in merito a rivendicazioni territoriali indigene: c’era perciò bisogno di produrre legislazione in materia. Tuttavia, il trattato tra Lheidli T’enneh, Columbia Britannica e Canada concerneva un’area che si sovrapponeva ad un altro trattato storico, ossia il Trattato N. 8. Per questo motivo, il 9 febbraio 2007, i popoli indigeni parte del Trattato N. 8 (West Moberly, Doig River, Halfway River, Prophet River e Saulteau) iniziarono un procedimento legale contro la ratifica del trattato dei Lheidli T’enneh. Gli Secwepemc si sono quindi uniti alla contesa legale in 12 marzo 2007. Alla fine, i membri del gruppo T’enneh decisero di annullare la ratifica del trattato. Così, il 30 marzo 2007, giorno del voto per la ratifica, il no vinse con 123 voti su 134.

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Cosa PANGEA consiglia di visitare a Prince George

1) Cottonwood Island Nature Park- I fiumi Nechako e Fraser si incontrano proprio in questo affascinante parco, che è quindi il luogo tradizionale da cui prendono il loro nome i Lheidli T’enne, “popolo alla confluenza dei due Fiumi”. Il parco prende invece il suo nome dai pioppi ultracentenari (molti hanno più di 300 anni) che si innalzano ai lati del fiume Nechako.

2) Prince George Railway & Forestry Museum- Il museo è situato vicino al Cottonwood Park

e ospita differenti tipi di locomotive, motori e veicoli d’epoca, oltre che vari edifici storici riposizionati in quest’area di più di tre ettari.

3) Fort George Canyon Provincial Park- Storico canyon sul fiume Fraser, il parco ospita un antico argano usato all’inizio del 900 da barche con ruote a pale e per il trasporto di merci, un sito di pesca indigeno ed un sentiero di montagna molto frequentato.

4) Lheidli T’enneh Memorial Park- Questo è uno dei parchi più conosciuti a Prince George: vi si trovano aree picnic, giardini floreali, campi da tennis, campi da baseball, un palco per concerti, un trenino, un campo per beach volley ed il museo dell’esplorazione, oltre che vari eventi, soprattutto d’estate. Il parco era precedentemente conosciuto come Fort George Park, ma il suo nome fu cambiato nel 2015 come riconoscimento per il popolo indigeno locale.

5) Goodsir Nature Park- Questo parco botanico ospita 200 specie differenti di alberi, arbusti e fiori di campo, oltre ad uno stagno per castori, vari sentieri ed un museo coperto sulla flora locale.

6) McMillan Creek Regional Park- Si tratta di una rete di tre brevi percorsi che conducono ad una collinetta di osservazione da cui ammirare Prince George ed il fiume Nechako. Il sentiero (non asfaltato) è abbastanza facile da percorrere ed è in leggera pendenza, conducendo dal parcheggio alla collinetta.

7) Huble Homestead Historic Site- Questo sito storico si trova a 40km a Nord di Prince George, 6 km fuori la strada principale 97 sulla Mitchell Road. Nel 2005, vi fu stabilita un’area di pesca indigena in collaborazione con i Lheidli T’enneh, in modo da conservare la storia di questi popoli. Come modello, fu preso un insediamento temporaneo per la pesca al salmone sul fiume Fraser. Il campo di pesca originale si trovava 2km più in sù, risalendo il fiume.

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BANFF (ALBERTA)

Il Banff National Park, nella regione dell’Alberta, Canada, non fu mai pensato come un polo industriale, scientifico o commerciale; il suo destino fu invece quello di essere un’attrazione nazionale e mondiale: è infatti sempre stato, e sempre sarà, il principale centro ricreativo e turistico del Canada. Tuttavia, la sua “scoperta” da parte degli europei verso la metà del diciottesimo secolo fu dovuta solamente alle sorgenti termali ai piedi della Sulphur Mountain: furono individuate subito dopo il completamento della ferrovia transcontinentale, la quale aveva reso Banff accessibile da tutto il nord America. Il parco fu fondato nel 1885 e divenne primo parco nazionale del Canada col nome di “Banff Hot Springs Reserve”, secondo il nome della città natale del direttore delle ferrovie pacifiche canadesi, la scozzese Banffshire. Il parco include 26 km2 di riserva federale intorno alle famose sorgenti termali. In ogni caso, la storia di Banff non è così suggestiva come quella del suo parco: durante entrambe le guerre mondiali fu il sito di un campo di prigionia, prima per immigrati austriaci, tedeschi e ungheresi, poi specialmente per mennoniti dal Saskatchewan.

Prima che i non-nativi invadessero le Montagne Rocciose canadesi, c’erano stati migliaia di anni di

storia indigena legata al territorio. Infatti, sono state scoperti resti di umani nella Boy Valley e nelle aree circostanti risalenti all’incirca al 11.000 a.C., i quali appartengono molto probabilmente agli antenati dei nativi Piedi Neri (Blackfoot) delle pianure, chiamati nella loro lingua madre “Niitsitapi”, ossia “persone vere”. La variante europea del loro nome deriva dai loro mocassini, resi neri dalla caccia al bisonte: infatti, questa First Nation era soliti dar fuoco alle pianure in modo da spaventare gli animali, spingendoli giù da un precipizio. I bisonti erano d’altronde centrali nella cultura e stile di vita dei Piedi Neri: si nutrivano di carne di bisonte ed usavano loro pelle per creare le tende portatili con le quali si muovevano seguendo gli spostamenti degli animali.

Purtroppo, l’antico stile di vita dei Piedi Neri fu costretto ad arrestarsi all’arrivo degli europei. Come accadde in altre parti del Nord America, i nuovi coloni portarono con loro armi, malattie e nuovi credi. I Piedi Neri furono costretti nelle riserve alla firma del Trattato N. 7, dopo anni di guerre con gli Europei. Grave fu inoltre che non fu loro permesso di accedere al Banff National Park per visitarlo, cacciarvici o condurre commerci. Oggi, questo popolo indigeno è stato capace di ristabilire la propria cultura attraverso l’educazione e conduce una vita dedita all’agricoltura, al turismo e all’industria estrattiva; è rappresentato da capi e consigli eletti, i quali negoziano tutt’ora rivendicazioni territoriali; inoltre organizza conferenze annuali e a negoziare rivendicazioni territoriali.

Banff non fu nominata città fino al 1990 ed è oggi un patrimonio mondiale dell’UNESCO. È una delle località per vacanze più popolari del Canada, e raggiunge la sorprendente cifra di 8 milioni di visitatori all’anno.

Cosa PANGEA consiglia di visitare a Banff

1) The Cave and Basin National Historic Site- Questo è il luogo di nascita del Sistema di Parchi Nazionale del Canada. Principali caratteristiche del sito sono una caverna sotterranea e le acque termali, delle quali si può godere sia all’interno che all’esterno.

2) Tunnel Mountain Trail- Un sentiero corto e di media difficoltà dal quale gustare una bellissima vista sulla città e le montagne. È perfetto per chi ha poco tempo ma vuole comunque apprezzare il parco dall’alto.

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3) Lake Louise- Quest’area poco fuori Banff offre alcuni dei paesaggi più mozzafiato del Canada, con montagne, laghi glaciali e una grande varietà di specie selvatiche.

4) Lake Minneanka- Conosciuto dai popoli indigeni come “Lago degli Spiriti Acquatici”, è un posto stupendo dove fare escursioni, immersioni, sciate ed uscite con le racchette da neve.

5) Bow Falls- In una valle erosa dai ghiacciai, queste cascate sono corte ed ampie ma molto possenti. Un ampio e suggestivo sentiero permette ai visitatori di raggiungerle in totale relax dalla cittadina.

6) Whyte Museum of the Canadian Rockies- Con diverse esposizioni permanenti sull’arte e il patrimonio culturale della regione, il museo si concentra particolarmente su storia e cultura dei popoli indigeni, ed in parte sui primi europei. La sua biblioteca e i suoi archivi contengono varie fotografie ed un caveau digitale.

7) Buffalo Nation Luxton Museum- Con un focus sulla storia indigena dell’area, il museo custodisce un’ampia collezione di manufatti.

8) The Banff Centre- Posizionato in maniera suggestiva sulla Tunnell Mountain, il centro offre una grande varietà di eventi con un focus speciale sull’interazione tra arte e comunità.

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STATI UNITI D’AMERICA (USA)

BILLINGS & BLACK HILLS (MONTANA)

Billings è una città situata sul letto di un fiume preistorico, Yellowstone, che scolpì l’omonima vallata milioni di anni fa. L’area fu dapprima scoperta nel 1806 da americani non-nativi guidati da William Clark, della famosa spedizione Lewis & Clark. In ogni caso, fu solo nel 1877 che si fondò la prima città nella valle, Coulson: all’inizio fu usata come centro merci, data la sua vicinanza al fiume, e quindi come polo ferroviario, cambiando denominazione nel 1882 in base al nome dell’allora presidente della Pacific Railway, Frederick H. Billings. In pratica, Billings divenne parte di quello che gli europei-americani credevano essere il selvaggio West: fu una città del vizio con più saloon che chiese, un posto dove chiunque aveva una pistola nella sua fondina e dove erano comuni sparatorie a cavallo tra coloni e nativi. Queste erano frutto dell’estrema resistenza posta dai Sioux, Cheyenne, e Crow contro quella che loro percepivano come una invasione da parte degli europei. D’altronde questi gruppi indigeni avevano vissuto e cacciato in queste terre per migliaia di anni prima dell’arrivo degli europei. Le tensioni tra nativi e coloni furono così forti che portarono alle famigerate “Guerre Sioux”. Oggigiorno, Billings è la più grande città del Montana ed è conosciuta come “città dell’energia” dopo la scoperta di giacimenti di petrolio, gas naturale e carbone nelle vicinanze.

Le Black Hills sono un sito sacro per i nativi americani del Montana, Sud Dakota e Wyoming, che vi abitano da almeno 7000 anni. Createsi 2 miliardi di anni fa, sono la catena montuosa più vecchia del Nord America. Da esse sgorgano sorgenti termali ricche di minerali, usate da sempre dai nativi per le loro qualità terapiche. Il loro nome deriva dal colore che sembrano avere se viste da lontano, anche se si tratta solo di un’illusione ottica data dalle fitte foreste. Fin dal 1776, i nativi Lakota detennero il potere sull’area, conquistata in battaglia contro i Cheyenne: in seguito, il governo Americano proibì insediamenti coloni su queste terre. Tuttavia, le relazioni tra indigeni ed europei deteriorarono quando quest’ultimi conquistarono la maggior parte dell’Ovest. Iniziarono quindi delle incursioni da parte dei nativi nelle nuove città dei colonizzatori, ma fino al 1874 l’esercito Americano temette di poter peggiorare la situazione entrando nelle Black Hills. Quello fu l’anno in cui fu scoperto l’oro nell’area, dando quindi il via ad una frenetica corsa all’oro. Dapprima, il governo tentò di proteggere le montagne dai minatori, ma quando si sparse la voce sulle immense possibilità di guadagno offerte dal luogo, in molti cominciarono ad invadere le terre indigene; già nel 1876 vivevano nella zona ben 10.000 coloni. Nel 1875 c’era stato in tentativo di togliere la terra ai nativi, ma questi ultimi resistettero dando il via alle menzionate, famigerate Guerre Sioux. I nativi americani furono guidati dal celeberrimo “Cavallo Pazzo”, un guerriero Lakota: nel giugno 1876, egli fu condottiero nella famosa battaglia di Bighorn, nella quale uccise l’altrettanto famoso generale americano George A. Custer e sconfisse l’esercito nazionale. Attualmente è in costruzione un’enorme scultura a lui dedicata su una delle colline delle Black Hills: per ora, è stato completato ed inaugurato solamente il viso (nel 1998); quando sarà finita diverrà la scultura più grande del mondo. Tuttavia, l’opera è controversa, in quanto la sua costruzione ha comportato la distruzione di una porzione di territorio nativo.

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Cosa PANGEA consiglia di visitare a Billings e nelle Black Hills

1) The Rimrocks- Trattasi delle pareti rocciose che circondano Billings: create dal fiume Yellowstone, offrono una vista fantastica sulla città: vi si può inoltre passeggiare, andare in bicicletta o fare scalate.

2) Pictograph Caves State Park- Il sentiero permette ai visitatori di esplorare più di 300 pitture rupestri dipinte da cacciatori preistorici più di 2.000 anni fa. Il centro visite offre inoltre informazioni a carattere storico ed archeologico.

3) Yellowstone River- Conosciuto per il suo valore storico per la città di Billings e per il bellissimo paesaggio che lo circonda, il fiume è balneabile durante le giornate più calde, quando vi ci si può tuffare, nuotare e pescare.

4) Yellowstone Wildlife Sanctuary- Riserva unica nel suo genera in Montana, ospita un’ampia varietà di animali autoctoni, tra cui puma e bisonti.

5) The Little Bighorn Battlefield- Sito della famosa battaglia in cui Cavallo Pazzo e le tribù Lakota, Cheyenne e Sioux sconfissero il generale Custer e la sua armata, l’area è inoltre piena di promontori, gole e fiumi.

6) Yellowstone County Museum- Originariamente casa di pionieri dal 1892 ed ora museo, questo luogo caratteristico situato sulla cima delle Rimrocks ospita più di 15.000 manufatti.

7) Tatanka: The Story of the Bison- Enorme e bellissima scultura raffigurante dei nativi mentre cacciano dei bisonti, si trova nei pressi di un centro educativo incentrato sulla storia e la cultura dei nativi dell’area e sulla loro relazione con questi animali.

8) Journey Museum- Il museo offre un percorso sulla storia e preistoria delle Grandi Pianure Occidentali con una doppia prospettiva: quella dei nativi e quella dei coloni.

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CHEYENNE (WYOMING)

La città di Cheyenne fu fondata nel 1867 a seguito dello sviluppo della ferrovia “Union Pacific”, come d’altronde era capitato ad altre città nello stesso periodo. Tuttavia, a differenza di queste, la città prese il nome dall’omonimo popolo indigeno, che apparteneva agli Algonquian, uno dei popoli più grandi del Nord America. Prima dell’invasione da parte degli europei, i Cheyenne vivevano una vita nomade dedita alla caccia al bisonte, caratterista comune ad altri nativi dell’area: ogni aspetto della loro esistenza dipendeva da questi animali, da cui ricavavano cibo, riparo e vestiti, i quali venivano commerciati con gli altri abitanti della zona. Gli uomini erano incaricati di cacciare mentre le donne scuoiavano gli animali e cuocevano la loro carne, oltre a raccogliere bacche e tuberi. Vivevano in una società matriarcale e si dovevano sposare fuori dal loro clan, creando così legami di amicizia e di parentela. Con l’arrivo di altre popolazioni non indigene, i Cheyenne iniziarono a lavorare come guide per i coloni e a scambiare pellicce di castoro e pelli di bisonte per cavalli e pistole, quest’ultime fondamentali per la loro difesa quando scoppiarono le Guerre Sioux. Presto un trattato di pace si rese necessario per fermare la violenza tra nativi ed europei, cresciuta rapidamente insieme al numero di insediamenti coloni in terra nativa. I Cheyenne promisero di mettere fine ai loro attacchi verso i villaggi dei pionieri in cambio di protezione da parte del governo Americano, di terra e di 50.000 dollari in merci. Tuttavia, il governo non attese la fine delle trattative e divise i Cheyenne, costringendoli in riserve, un destino che accomunò tutti i nativi della regione.

Dal punto di vista dei coloni europei, la città di Cheyenne era una delle tante nel Selvaggio West, vista come il centro mondiale per il gioco d’azzardo e descritta come “l’inferno su ruota”. Tuttavia, fu in seguito nominata la “città magica delle pianure” a causa della sua rapida crescita, durante la quale case e aziende spuntavano come funghi tra una notte e l’altra. Le pianure intorno alla città divennero una area ranch per l’allevamento di bovini, nella quale investivano parecchi europei facoltosi e potenti. Inoltre, la città di Cheyenne approfittò della corsa all’oro sulle Black Hills vendendo provviste, equipaggiamenti e fornendo servizi di trasporto per i minatori: non deve quindi sorprendere che nel 1882 la città divenne la capitale con il più alto tasso di ricchezza pro capite al mondo. Oggi è diventata un centro industriale e manifatturiero.

Cosa PANGEA consiglia di visitare a Cheyenne

1) Wyoming State Museum- Un istituto educativo, storico e culturale con un focus sulla storia e preistoria umana e animale, nonché sulla geologia. Ospita esibizioni permanenti, temporanee ed itineranti, ed organizza lezioni gratuite il giovedì sera.

2) Cheyenne Depot Museum- Il museo narra la storia della ferrovia fino alla costruzione della città; è situato all’interno di un antico edificio storico ristrutturato.

3) Jessie Mullin Picture Museum- Questo museo fu creato per caso quando i residenti iniziarono a conservare foto di famiglia; oggi ne custodisce più di 15.000, insieme a notizie storiche e articoli di giornale.

4) Devils Tower National Monument- Situato sulle Black Hills, è un sito sacro per i Nativi Americani; consiste in una roccia sporgente con varie spaccature verticali, perfette da scalare.

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5) Fossil Butte- Questo sito contiene fossili straordinariamente ben conservati trovati tra le radici dell’artemisie tridentate. Scoperti alla metà del diciannovesimo secolo dai minatori, includono pesci, piante, rettili, uccelli e mammiferi in una delle migliori testimonianze mondiali sulla vita acquatica del Cenozoico.

6) Bighorn Medicine Wheel- Sulla cima della Medicine Mountain si trovano delle pietre preistoriche allineate a formare un cerchio: è un rispettato sito spirituale per i nativi.

DENVER (COLORADO)

Nel 1888, alcuni prospettori trovarono dell’oro al di sotto delle Montagne Rocciose. Persone da tutto il paese iniziarono ad accamparsi nei pressi del fiume South Platte ed a scavare in cerca d’oro. Durante questo periodo, gli europei erano soliti rivendicare appezzamenti di terra e rivenderli a prezzo maggiorato ai minatori. Tuttavia, altri utilizzarono la terra per fondare città: tra questi il William H. Larimer, il quale chiamò il suo lotto di terra come il governatore territoriale del Kansas, James Denver. Tuttavia, ci furono scontri tra Denver e la sua città rivale sull’altra sponda del fiume quando entrambe crebbero in grandezza. Alla fine la disputa finì e le due città si misero d’accordo per fondersi in un’unica amministrazione. Quando arrivò la notizia di una nuova miniera d’oro a Central City, Denver si spopolò fino all’inverno, rifiorendo poi come un movimentato centro commerciale. La popolazione di Denver ebbe inoltre un ruolo significativo durante la Guerra Civile, quando un gruppo di volontari senza esperienza difese la città da un gruppo ribelle texano, salvando quindi lo Stato del Colorado dalle mani degli Unionisti. Nel corso della storia, Denver ebbe i suoi problemi, causati da incendi, inondazioni e guerre, tuttavia riuscì comunque a costruirsi le proprie ferrovie, che si unirono ad altre nell’area; inoltre, quando i minatori scoprirono riserve d’argento, la città ebbe un secondo boom economico. Oggi, è una città ricca di compagnie petrolifere e del gas.

In ogni caso, c’è anche un altro lato nella storia di Denver: quello dei popoli indigeni. L’area era abitata in prevalenza dal popolo Arapaho del Sud. Questi vivevano una vita nomade ma accampavano stabilmente durante l’inverno proprio nella zona di Denver. Inizialmente, i Nativi Americani accolsero senza problemi i coloni bianchi e convivevano fianco a fianco con loro: capanne e tende coesistevano quindi nello steso luogo. Tuttavia, le tensioni tra i due gruppi si intensificarono a causa di rivendicazioni territoriali, sfociando in brutali conflitti. Questi furono momentaneamente sedati solo nel 1861 con il Trattato di Fort Wise, con il quale vennero concessi diritti territoriali a Cheyenne e Arapaho; ma poco dopo, nel 1864, tra 165 e 200 indigeni morirono e più di 200 furono feriti nel massacro di Sandcreek. A quel punto, tutti i nativi furono costretti dentro a riserve. Solo negli anni ‘50 del Novecento furono nuovamente incoraggiati a lasciare le riserve ed unirsi alle comunità urbane: per questo motivo l’80% di tutti i nativi del Colorado vive a Denver. Oggi, la città è cuore di una delle più grandi ed intense proteste indigene del paese, ossia quella organizzata durante il Columbus Day.

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Cosa PANGEA consiglia di visitare a Denver

1) Denver Art Museum- Un’autoproclamatasi galleria d’arte “indiano-americana”, ospita più di 18.000 opere d’arte connesse con la cultura nativa, la quale si estende per oltre 2.000 anni di storia. La galleria si focalizza principalmente sugli artisti, le loro creazioni e le loro ispirazioni.

2) Manitou Cliff Dwellings Museum- Ai piedi del picco Pikes si possono trovare le rovine ben conservate di insediamenti pre-europei risalenti al 1200-1300. I visitatori potranno toccare i reperti e passeggiare per il sito.

3) Denver Museum of Natural Science- Una fantastica esposizione nativa che include manufatti provenienti da tutte le culture indigene del Nord America.

4) Mount Evans- Da qui si può godere di una vista spettacolare sulle pianure e montagne che circondano Denver, oltre che apprezzare la suggestiva flora e fauna locale.

5) Buffalo Bill Museum and Grave- Incentrato sul famoso Buffalo Bill, che dapprima servì tra le fila dell’esercito nazionale e poi divenne difensore dei popoli nativi, l’area ospita anche la sua tomba, posta sul monte Lookout, dal quale si può oltretutto godere di uno stupendo panorama.

6) Red Rocks Park- Il parco offre ai visitatori delle bellissime viste sulle Montagne Rocciose, sentieri montani e sulle sue famosissime falesie di arenaria color cannella. Qui inoltre si può apprezzare lo stacco stupendo tra pianura e montagna. Il centro visitatori ospita anche numerosi fossili ritrovati nelle vicinanze.

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YA-TA-HEY NAVAJO INDIAN RESERVATION (NEW MEXICO)

I Navajo sono il secondo popolo indigeno più numeroso di tutto il nord America. Tradizionalmente, vivevano una vita semi-nomade basata sulla caccia e sulla raccolta ma in parte anche sull’allevamento e sull’agricoltura. Il loro sistema familiare è matrilineo, come lo è il concetto di proprietà: erano le donne a possedere il bestiame e la terra. Nel diciannovesimo secolo, gli Stati Uniti si espansero verso il fiume Mississippi fino al margine meridionale del Nuovo Messico, causando un influsso di immigrati europei ed asiatici nelle terre native Navajo. Anche se i Navajo non erano considerati particolarmente bellicosi, ciò portò a diversi conflitti con i coloni. Nel 1846 fu siglato un accordo tra le due parti ma entrambe ne fecero carta straccia, continuando così con le violenze. Nuovi accordi si susseguirono senza però portare pace in queste terre: per questo motivo, nel 1862, i Navajo furono costretti in una riserva, dove subirono crudeltà ed abusi da parte del governo americano, tra cui l’obbligo per i bambini di questi Nativi Americani di iscriversi e frequentare collegi lontano dalle proprie comunità. Nel 1920 fu tuttavia scoperto del petrolio nella riserva, il che permise ai Navajo di creare una forma sistematica di governo, tuttora considerata dai non-nativi come la forma di governo più sofisticata tra i popoli indigeni. Quando gli USA entrarono nella Seconda Guerra Mondiale, i Navajo furono usati per trasmettere e tradurre messaggi in codice tra le truppe e i centri di comando sul fronte orientale: il loro linguaggio era infatti così unico da essere incomprensibile per chi non lo parlasse. L’odierna riserva di Navajoland si situa su un’ampia area tra Utah, Arizona e Nuovo Messico ed è tuttora amministrata in toto dalla popolazione Navajo. La riserva Yatahey si trova poco fuori Navajoland ed è considerata un “census designated place” dal governo americano: ciò significa che vi vive un gruppo di persone non sono soggette alle leggi statali.

Cosa PANGEA consiglia di visitare

1) Navajo Nation Museum- Il museo si pone obiettivo di conservare ed interpretare la diversità della cultura Navajo. Include esposizioni native, una biblioteca e un auditorium interno ed esterno per performance creative e dibattiti.

2) Church Rock- Una formazione rocciosa chiamata così dai Navajo, è anche una stupenda area dove passeggiare per i suoi sentieri.

3) Four Corners Tribal Park- L’unico punto negli Stati Uniti dove si intersecano quattro Stati diversi, include anche un centro espositivo dove artisti Navajo vendono e creano le loro opere.

4) Navajo Nation Zoo and Botanical Park- Quest’oasi è la casa di oltre cinquanta specie di animali autoctoni feriti o rimasti orfani. È l’unico zoo degli Stati Uniti gestito e di proprietà totale dei popoli indigeni; offre tour incentrati sulla biologia e sull’importanza che riveste la fauna e la flora locale per il popolo Navajo.

5) Canyon de Chelly Monument- Un canyon di pietra rossastra di importanza spirituale per i Navajo, patria della cultura nativa per molti secoli, include tre importanti siti per visitatori: le White House Ruins, la Spider Rock, ed il Canyon del Muerto.

6) Navajo Codetalker Museum- Dedicato alle imprese eroiche e leggendarie dei Navajo che servirono nell’esercito americano nelle battaglie con i giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale.

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LA PETRIFY FOREST (FORESTA PIETRIFICATA) E LA ROUTE 66 (ARIZONA)

Questo parco nazionale si trova nelle contee Navajo e Apache; occupata dall’uomo da più di 13.000 anni, il suo nome deriva dai grossi depositi di legno pietrificato, resti fossili di alberi e altri vegetali. I suoi primi abitanti furono dei gruppi nomadi, parte della “primissima era cestaia” (7000-1500 a.C.), che vi si insediarono alla fine dell’ultima era glaciale: la loro vita si basava sulla caccia, ma anche sulla coltivazione di riso e cereali. Alcuni abbandonarono lo stile di vita nomade, costruendo case permanenti dove stanziare per tutto l’anno. Fu nell’era del popolo Pueblo che vennero costruite le famose case di legno pietrificato, insieme ai depositi per immagazzinare il cibo. Questa fu anche l’era (fino a 2.000 anni fa) in cui vennero incisi i graffiti per i quali il parco è ora ben conosciuto. I secoli tra il sedicesimo e il diciottesimo furono segnati dall’invasione spagnola anche se nel parco ve ne restano ormai solo alcuni resti archeologici risalenti alla fine del diciannovesimo secolo. Proprio a metà dell’800, nel contesto della colonizzazione americana del mid-west, apparvero diversi ranch e proprietà coloniche. La Foresta Pietrificata divenne una popolare destinazione turistica per i coloro che viaggiavano sulla ferrovia Atlantica e Pacifica. Tuttavia, solo nel 1962 fu convertita in parco nazionale, a seguito delle preoccupazioni suscitate dal turismo indiscriminato e dall’interesse commerciale nel legno pietrificato: proprio il furto di questo materiale costituisce un problema tutt’ora irrisolto, dato che più di 900 kg di legno all’anno sono sottratti illegalmente al parco. La Foresta Pietrificata ospita più di 600 siti archeologici che includono anche ossa di dinosauro ed altri animali, per lo più risalenti alla fine del periodo Triassico. Infine, l’area protetta è attraversata da est a ovest dalla celeberrima e folkloristica Route 66.

Cosa PANGEA consiglia di visitare

1) Painted Desert Visitors Centre- Miglior posto da cui iniziare un’avventura nel parco, il centro offre diverse informazioni utili tra cui un video introduttivo di una ventina di minuti.

2) Rainbow Forest Museum- Il museo ospita un’ampia esposizione sui fossili dell’area e un tour interattivo sul periodo triassico.

3) Historic Route 66- Il parco nazionale della foresta pietrificata è l’unico parco attraversato dalla Route 66. Questa strada è stato un simbolo di libertà e di opportunità, nonché parte fondamentale della cultura americana. Permetteva ai viaggiatori di assaporare i diversi stili di vita americani viaggiando da un capo all’altro del paese. Ora vecchia e malmessa, con le cabine telefoniche abbandonate ai suoi lati è un posto inquietante, specialmente al calar del sole.

4) Puerco Pueblo- Una breve passeggiata conduce i visitatori alle numerose rovine degli storici edifici della cultura Pueblo, che si stima risalire almeno a 600 anni fa. Naturalmente, i graffiti restano tra la parte più eccitante della visita.

5) Agate House- Una tradizionale casa della cultura Pueblo, completamente ricostruita dal legno pietrificato. La struttura permette ai visitatori di farsi un’idea sulla forma avessero le rovine Pueblo centinaia di anni fa.

6) Painted Desert Inn- Emblematico edifico che sovrasta il Painted Desert, si stima risalire a quasi un secolo fa. Fu inizialmente costruito con il legno pietrificato ma una ristrutturazione negli anni ‘30 lo coprì dietro una facciata. Attualmente on funziona più come locanda, ma è un museo che include alcuni restauri di graffiti.

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YUMA

Fondata al lato dello storico “Yuma crossing” (incrocio Yuma), il punto più sicuro dove attraversare l’impetuoso fiume Colorado, l’area su cui sorge è stata abitata da popoli indigeni fin dal 16000-10000 a.C. Gli Spagnoli arrivarono nel 1540 e cercarono di creare un insediamento strategico sulle rive del fiume; tuttavia si imbatterono nei due popoli indigeni che già risiedevano nell’area: i Quechan e i Cocopah. I primi erano abili guerrieri e commercianti guidati dai “sognatori”, i quali tramandavano la storia e la cultura al popolo. I Cocopah invece, il cui nome significa “quelli che vivono sul fiume”, basavano la loro società sulla caccia e sulla raccolta di cibo, oltre ad essere conosciuti per l’abilità con l’arco. Gli spagnoli però chiamarono col nome di Yuma tutte i Nativi Americani dell’area a causa del fumo (“humo”) che occupava la valle e proveniva dai falò con cui cucinavano i nativi. I primi esploratori spagnoli attraversarono l’area pacificamente e non cercarono in alcun modo di sottrarre la terra agli indigeni. Tuttavia, nel 1680 i missionari spagnoli iniziarono a fondare scuole e a convertire al cristianesimo la popolazione nativa. Di conseguenza, i Quechan si ribellarono nel 1781 e riuscirono a sconfiggere gli invasori, costringendoli alla ritirata.

A metà dell’800, gli Stati Uniti presero il controllo dell’area e di tutto il Messico settentrionale; Yuma venne quindi ripopolata da non-nativi nel 1849, quando iniziò una corsa all’oro. La città fu prese dapprima il nome di Arizona City nel 1871, cambiandolo nell’odierno Yuma due anni più tardi. Era conosciuta come una delle città del selvaggio west a causa del viavai di commercianti lungo il fiume. Fu proprio il fiume ed in particolare la costruzione di una diga sul suo corso, che mantenne la città viva e fiorente durante la Grande Depressione degli anni ‘30 e durante la Seconda Guerra Mondiale, quando l’area divenne una base per l’aviazione. Oggi si sta cercando di sanare le finanze dei parchi statali, ma pesano le attuali ristrettezze economiche. Quechan e Cocopah sono entrambe diventate delle comunità con un autogoverno nelle rispettive riserve regionali.

Cosa PANGEA consiglia di visitare a Yuma

1) Cocopah Museum and Cultural Centre- Dedicato ai “popoli del fiume” dell’area intorno a Yuma, questo museo racconta il loro stile di vita, le loro tradizioni e, in generale, la loro cultura.

2) Yuma Territorial Prison State Historic Park- Costruita nel 1876, la prigione ebbe l’infame reputazione di essere particolarmente dura per i galeotti quivi rinchiusi, i quali furono addirittura obbligati a costruirla dalle fondamenta. Oggi offre reperti e mostre sulla “storia delle punizioni”.

3) Imperial National Wildlife Refuge- Quest’oasi offre un panorama mozzafiato popolato di specie protette e solcato da corsi d’acqua.

4) Castle Dome Mines Museum and Ghost Town- Edifici autentici e repliche convivono in questo viaggio a ritroso nel selvaggio West attraverso esposizioni e reperti d’epoca.

5) Yuma Art Centre- Situato nel centro storico cittadino, il centro artistico offre ai suoi visitatori una galleria d’opere d’arte create dalla comunità e dai popoli nativi.

6) Telegraph Pass- Promosso come uno dei sentieri più belli dell’area, da qui si può godere di una vista mozzafiato su Yuma, sul deserto e sulle montagne circostanti.

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SAN DIEGO (CALIFORNIA)

San Diego fu la prima parte della California in cui si insediarono gli europei. Scoperta nel 1542 dagli spagnoli, fu costruita nel 1769. Tuttavia, da circa 12.000 anni risiedeva nell’area un popolo nativo, i “Kumeyaay”, il cui nome significa “coloro che si affacciano sull’acqua dalla scogliera”, dato che vivevano proprio su scogliere nei pressi dell’oceano. I loro territori si estendevano dal Colorado al Pacifico e per altri 100 km a sud verso l’odierno confine con il Messico. Erano cacciatori e abili agricoltori che godevano di una certa ricchezza; ai tempi dei loro primi contatti con gli europei si dividevano in numerosi gruppi autonomi con più di trenta clan patrilinei. Anche se in un primo momento europei e Kumeyaay convivevano pacificamente, sorsero poi forti tensioni dovute all’insediamento stabile degli Spagnoli che portò a conversioni forzate, malattie e alla distruzione della flora e fauna autoctona tramite l’inserimento di nuove specie. Nel 1775, i nativi si ribellarono quindi agli invasori bruciando un intero campo missionario, costringendo gli spagnoli a lasciare l’area. In seguito, il Messico conquistò e sottrasse la terra ai Kumekaay, che divennero praticamente degli schiavi e furono costretti a coltivare la terra a beneficio dei coloni.

Tra la fine del diciottesimo e l’inizio del diciannovesimo secolo, il governo americano rivendicò queste terre ed incorporò San Diego agli Stati Uniti nel 1848. Questo significò condizioni di vita ancora peggiori per i nativi, che furono spogliati di ogni diritto con la legge per “il governo e la protezione degli indiani” del 1850. Tra i diritti soppressi ci fu quello di testimoniare contro i bianchi durante i processi ed essenzialmente la riduzione in schiavitù. Si dovrà attendere fino al 1891 per vedere stabilite delle riserve per i nativi, comunque piccolissime e senza fonti di acqua. Prima della Seconda Guerra Mondiale, San Diego fu centro per la pesca al tonno e sede di importanti industrie conserviere; tuttavia la sua crescita iniziò solo con l’istituzione di sedi militari all’inizio degli anni ‘30. L’industria militare fu quella che salvò la città e i suoi abitanti dalla Grande Depressione. Oggi San Diego fonda la sua ricchezza sul settore militare, della difesa, sul turismo, sul commercio internazionale e sull’industria manifatturiera i Kumeyaay gestiscono il loro governo tribale in autonomia.

Cosa PANGEA consiglia di visitare a San Diego

1) Confine con Tijuana: ogni giorno, diversi messicani “pendolano” fra uno Stato e l’altro oppure si trasferiscono negli Stati Uniti.

2) Balboa Park- Conosciuto per il suo mix di architetture spagnole, messicane e mediterranee, è l’epicentro culturale della città con numerosi musei, centri artistici e teatri.

3) Torrey Pines State Reserve- Un posto incantevole dove passeggiare e godere di viste mozzafiato sull’oceano Pacifico. Il suo nome proviene dai diversi pini di Torrey che crescono nell’area, una delle piante più rare d’America.

4) La Jolla Cove- Una stupenda baia dove i visitatori potranno nuotare, andare in kayak o fotografare i diversi leoni marini sdraiati sulla spiaggia.

5) San Diego Natural History Museum- Il museo non offre solo numerose ed ampie esposizioni sullo sviluppo della flora e della fauna locale, ma focalizza l’attenzione anche sulle culture più antiche, come quella Maya.