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La filiera olio-energia Aspetti salienti dello stato dell’arte e prospettive

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La filiera olio-energiaAspetti salienti dello stato dell’arte e prospettive

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Autori del testo

Andrea Bordoni

Assessorato all’Agricoltura – Regione Marche

Emilio Romagnoli

ASSAM

Ester Foppa Pedretti

Giuseppe Toscano

Giorgio Rossini

Daniele Duca

Eugenio Cozzolino

SAIFET - Università Politecnica delle Marche

Coordinamento Scientifico

Prof. Giovanni Riva

[email protected]

Per informazioni

Emilio Romagnoli

ASSAM - Agenzia Servizi Settore Agroalimentare delle Marche

Trasferimento dell’Innovazione, Comunicazione e Progetti Comunitari

via Alpi, 2 - 60100 ANCONA - Tel. 071 808216

e- mail: [email protected]

ISBN 978-88-8249-084-3

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Premessa................................................................................................ 71. BiomassePerlaProduzionedioliegrassiadutilizzoenergetico..8 Scheda 1- Composizione acidica ................................................................ 91.1 Produzioni vegetali dedicate .................................................................. 101.1.1 Alghe ........................................................................................................ 101.1.2 Coltivazioni erbacee ................................................................................. 111.1.3 Coltivazioni arboree ................................................................................. 151.2 Produzioni residuali ............................................................................... 181.2.2 Oli esausti ................................................................................................. 18 Scheda 2 - Consorzio obbligatorio ........................................................... 212. tecnichediProduzionedegliolivegetali........................................222.1 Trattamenti precedenti all’estrazione ................................................... 23 Scheda 3 - Trattamenti pre-estrazione ...................................................... 242.2 Estrazione ................................................................................................ 27 Scheda 4 - Processi di estrazione ............................................................. 292.3 Trattamenti successivi all’estrazione .................................................... 342.3.1 Depurazione .............................................................................................. 34 Scheda 5 - Depurazione ............................................................................ 352.3.2 Raffinazione .............................................................................................. 39 Scheda 6 - Raffinazione ............................................................................ 403. usoenergeticodeglioli....................................................................443.1 Caratteristiche e proprietà degli oli come combustibili ...................... 443.2 Utilizzo degli oli in caldaia ..................................................................... 463.3 Utilizzo degli oli in motori Diesel .......................................................... 47 Scheda 7 - Alcune problematiche dell’utilizzo degli oli vegetali nei motori diesel ..513.4 Produzione di biodiesel .......................................................................... 52 Scheda 8 - Processi di produzione del biodiesel ...................................... 554. asPettiamBientali...............................................................................584.1 Prodotti della combustione .................................................................... 58 Scheda 9 - Sottoprodotti della combustione ............................................. 594.2 Metodi di abbattimento delle emissioni ................................................ 62 Scheda 10 - Riduzione degli ossidi di azoto con processi catalitici ......... 634.3 Sostenibilità - Direttiva 2009/28/CE (Renewable Energy Directive) . 65 Scheda 11 - Che cosa si intende per sostenibilità .................................... 655. FilierediProduzione.......................................................................... 73 Scheda 12 - Iniziative comunitarie e nazionali per incentivare l’utilizzo energetico delle biomasse .......................................................... 745.1 Filiere lunghe .......................................................................................... 755.2 Filiere corte ............................................................................................. 765.3 Valorizzazione dei sottoprodotti di estrazione: farine e panelli ......... 786. situazioneattualeeProsPettivePerl’utilizzoenergetico

degliolinellemarche.......................................................................807. FattoridisuccessoelimitiallosviluPPo.........................................84 Allegato 1 - Rese medie di alcune colture oleaginose ..................................................................... 86 Allegato 2 - Regole tecniche per gli usi energetici di oli e biodiesel ....... 92 Bibliografia ............................................................................................... 97

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giaPremessa

Il volume fa parte di una collana divulgativa dedicata al tema dell’energia ottenuta da fonti rinnovabili di origine agricola e forestale e realizzata dall’Assessorato Agricoltura della Regione Marche in collaborazione con l’ASSAM ed il Dipartimento SAIFET dell’Università Politecnica dalle Marche.Qui si affronterà l’utilizzo energetico degli oli di natura biogenica che richiede processi di lavorazione e trasformazione differenti in funzione della provenienza (origine vegetale e/o animale, da produzioni dedicate oppure da materiali residuali) e dell’utilizzatore finale (in generale, motori o caldaie). Lo schema che segue evidenzia i principali processi tecnologici e gli aspetti coinvolti e rappresenta un indice grafico del volume.

Quadro riassuntivo delle possibili filiere di trasformazione energetica di oli e grassi ottenuti da produzioni dedicate o residuali. Nello schema vengono evidenziati anche i processi di tipo avanzato mirati alla produzione di biocombustibili di seconda generazione che tuttavia non vengono qui discussi.I differenti riquadri racchiudono le diverse fasi delle filiere, sviluppate nei capitoli del presente volume:• in quello verde si individuano gli aspetti relativi alla materia prima, discussi nel Capitolo 1;• quello giallo sintetizza le fasi di estrazione, trattate nel Capitolo 2;• a seguire i trattamenti di depurazione e raffinazione dell’olio (riquadro marrone), approfonditi nel

Capitolo 3;• gli utilizzi energetici (riquadro viola) sono rappresentati dall’uso degli oli in caldaie e motori diesel e

dalla trasformazione in biodiesel destinato prevalentemente all’autotrazione (Capitolo 4);• infine, nel riquadro celeste sono sintetizzati gli aspetti ambientali, cioè la problematica delle emissioni e

la valutazione della sostenibilità ambientale (Capitolo 5).

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o1. Biomasse Per La Produzione di oLi e grassi ad utiLizzo energetico

La biomassa di partenza utilizzata per ottenere biocombustibili (oli e grassi, vegetali o animali, o biodiesel) può essere ricavata da materiale residuale di altri processi produttivi (grassi animali derivanti dall’industria della macellazione o oli esausti sottoprodotto della ristorazione) oppure essere il prodotto principale, o uno dei prodotti principali, di coltivazioni erbacee o arboree.La fonte principale di oli e grassi naturali è comunque rappresentata dal mondo vegetale, dove la produzione di olio - commestibile e non commestibile - è ottenuta da oltre 350 specie (APPENDICE A). Ai fini della produzione di biocombustibili, di maggior peso a livello mondiale sono, tra le arboree, la palma da olio (Elaies guineensis) e, tra le erbacee, soia (Glicine max), colza (Brassica napus) e girasole (Eliantus annuus). A fianco di queste coltivazioni principali, le cui estensioni si valutano ormai in milioni di ettari, ci sono anche altre colture, per ora di relativa minore importanza, quali, ad esempio, la jatropha (Jatropha curcas) o la brassica carinata (Brassica carinata), che generalmente si adattano ad ambiti agronomici più difficili, quali possono essere le aree agricole marginali, oppure tecniche agronomiche a “ridotto input”. In genere, l’olio è contenuto nei semi o nei frutti ed è presente, nelle specie di maggiore interesse, in percentuale variabile tra il 18 e il 55%.

SCHEDA 1 - Composizione acidicaOli e grassi sono prevalentemente costituiti (per più del 90%) da “trigliceridi”, molecole complesse composte da una molecola di glicerolo e tre molecole di acidi grassi, generalmente differenti tra di loro; tali molecole costituiscono gli accumuli energetici di vegetali ed animali. Per quanto riguarda le matrici più comunemente utilizzate, si riporta in tabella scheda 1.1 il contenuto in acidi grassi espresso in percentuale di oli e grassi.

Tab. scheda 1.1 - Composizione acidica degli oli di alcune colture oleaginose di interesse

Olio/Grasso

Arachide Colza Colza1 Girasole Jatropha Mais Oliva Palma Soia Sego bovino2, 3 Strutto suino4

Com

posi

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aci

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rass

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14:0 - ≤ 1,0 - - - - - 0,8 - 1,3 - 2,5 - 4,5 1,3 - 1,8

15:0 - - - - - - - - - ≤ 1,0 -

16:0 8,0 - 13,5 1,5 - 6,4 2,5 - 6,0 5,0 - 8,0 13,0 - 20,0 10,0 - 15,0 7,0 - 17,0 43,0 - 48,0 0,9 - 13,0 25,0 - 29,0 20,0 - 27,0

16:1 ≤ 0,5 ≤ 3,0 ≤ 0,6 ≤ 0,5 ≤ 1,0 ≤ 0,5 0,3 - 3,0 - - 2,5 - 3,5 2,0 - 3,5

17:0 - - - - - - - - - ≤ 1,5 ≤ 0,5

17:1 - - - - - - - - - ≤ 1,0 -

18:0 2,0 - 5,0 0,5 - 3,1 0,9 - 2,1 2,5 - 70,0 6,0 - 8,0 1,5 - 3,0 1,5 - 4,0 4,5 - 5,5 3,0 - 5,0 20,0 - 28,0 13,0 - 19,0

18:1 35,0 - 70,0 8,0 - 45,0 50,0 - 66,0 13,0 - 40,0 20,0 - 48,0 23,0 - 41,0 63,0 - 83,0 35,0 - 40,0 17,0 - 30,0 30,0 - 35,0 37,0 - 45,0

18:2 15,0 - 48,0 11,0 - 29,0 18,0 - 30,0 40,0 - 74,0 30,0 - 48,0 39,0 - 63,0 ≤ 13,5 8,5 - 11,0 48,0 - 58,0 ≤ 3,02 (≤ 3,53) 7,0 - 10,0

18:3 - 5,0 - 16,0 6,0 - 14,0 - - 0,6 - 1,1 ≤ 0,9 - 5,0 - 10,0 ≤ 0,8 ≤ 1,0

20:0 1,0 - 2,5 ≤ 3,0 0,1 - 1,2 ≤ 0,5 - 0,2 - 0,7 ≤ 0,6 - ≤ 1,0 - ≤ 0,5

20:1 0,9 - 1,5 3,0 - 15,0 0,1 - 4,3 ≤ 0,5 - 0,2 - 0,5 - - ≤ 0,5 - ≤ 1,2

20:2 - ≤ 1,0 - - - - - - - - -

22:0 2,0 - 4,0 ≤ 2,0 ≤ 0,5 0,5 - 1,0 - - - - ≤ 0,5 - -

22:1 - 5,0 - 60,0 ≤ 0,5 - - - - - - - -

22:2 ≤ 2,0 - - - - - - - - ≤ 0,5

24:0 1,0 - 2,5 ≤ 2,0 - - - - - - - -

24:1 - ≤ 3,0 - - - - - - -

1 varietà a basso contenuto di acido erucico2 sego di qualità “Extra”3 sego di I, II e III qualità4 strutto di qualità “Extra” e di I e II qualitàLegenda: 14:0 acido miristico; 15:0 acido pentadecanoico; 16:0 acido palmitico; 16:1 acido palmitoleico; 17:0 acido margarico; 17:1 acido eptadecanoico;18:0 acido stearico; 18:1 acido oleico; 18:2 acido linoleico; 18:3 acido linolenico; 20:0 acido arachidico; 20:1 acido gadoleico; 20:2 acido eicosadienoico; 22:0 acido behenico; 22:1 acido erucico; 22:2 acido docosadienoico; 24:0 acido lignocerico; 24:1 acido nervonico.

Fig. scheda 1.1 - Raffigurazione 3D di un trigliceride. Gli elementi in grigio rappresentano gli atomi di carbonio, quelli in bianco sono gli atomi di idrogeno ed in rosso gli atomi di ossigeno

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o1.1 Produzioni vegetali dedicate

Gli oli vegetali possono essere ottenuti da una grande varietà di vegetali che spaziano da organismi semplici - quali le alghe monocellulari - sino a piante d’alto fusto. Di seguito, si propone una rassegna delle più importanti specie fornitrici di olio.

1.1.1 Alghe La coltivazione di alghe rappresenta una delle tecniche più innovative per la produzione di oli e sulla quale molti specialisti ripongono forti speranze. Le alghe sono organismi fotosintetizzanti che vivono nella maggior parte degli habitat della Terra e le cui principali fonti nutrizionali sono i nitrati e i fosfati derivanti, per esempio, dalla degradazione di biomasse (residui di piante e animali in decomposizione, ecc.). Possono avere forme e dimensioni molto diverse: estremamente piccole, persino monocellulari, o molto grandi multicellulari in grado di superare anche i 60 metri di lunghezza. Vivono comunemente in corpi idrici, tuttavia possono essere presenti anche in ambienti terrestri.Alcune alghe accumulano un’alta concentrazione di carboidrati sotto forma di amido che può essere idrolizzato e fermentato con relativa produzione di etanolo. Altre, invece, producono e accumulano un’alta concentrazione di olio (fino al 70%) che può essere estratto ed eventualmente processato per produrre biodiesel. Il residuo proteico può essere impiegato nell’alimentazione zootecnica o per altri scopi. Le alghe sono anche utilizzabili come substrato fermentiscibile in impianti anaerobici di produzione di biogas. La loro potenzialità in olio dipende dalla tecnica di coltivazione: si possono raggiungere produzioni teoriche di 50 - 100 t/ha, anche se sembrerebbe prudenziale, per via delle attuali difficoltà di raccolta ed estrazione dell’olio, considerare come fattibili produzioni dell’ordine delle 10 t/ha per anno, quindi comparabili alle specie terrestri più produttive. Talune tecniche di coltivazione sono idonee anche per ambienti aridi e desertici.

Tab. 1.1 - Aspetti positivi e negativi legati alla coltivazione delle alghe per uso energetico

Vantaggi Svantaggi

- Elevata crescita e produzione- Con talune soluzioni impiantistiche si

potrebbe assorbire la CO2 emessa da

camini industriali.- Possono crescere in acque reflue ricche di

azoto- Alto contenuto di nutrienti (nitrati e fosfati)- I biocarburanti da alghe entrano meno in

competizione con i prodotti alimentari.

- Non tutti i problemi tecnici di produzione sono stati risolti

- Soluzione ancora costosa- La coltivazione di alghe in stagni aperti

può essere invasa da altre specie.

Fig. 1.1 - Vasche per la coltivazione di alghe per utilizzi industriali

1.1.2 Coltivazioni erbacee Girasole (Helianthus annuus L.)

Pianta originaria dell’America Nord Occidentale, coltivata dagli indiani d’America a scopo alimentare, fu introdotta in Europa nel XVI secolo come pianta ornamentale; dalla prima metà dell’800, quando in Russia fu messo a punto un metodo per l’estrazione alimentare dell’olio, è utilizzata come pianta oleifera.Il girasole è una pianta erbacea annuale,

caratterizzata da un notevole sviluppo. Il fusto, che si presenta eretto, può raggiungere un’altezza compresa, per le varietà coltivate in Italia, tra 1,5 e 2,2 metri. Le foglie (presenti in numero variabile tra 12 e 40) sono alterne, grandi, semplici, lungamente picciolate, cordate od ovate, acute, dentate. Il girasole presenta un’infiorescenza terminale a capolino detta “calatide” che, nelle varietà coltivate, ha un diametro di 15 - 40 cm ed è formata da 700 - 3.000 fiori (nelle varietà da olio). Il frutto è un achenio (frutto secco indeiscente) di forma allungata, costituito da un pericarpo duro e fibroso aderente al seme, di colore variabile dal bianco al nero. Anche la dimensione può variare da meno di 40 mg fino a 200 mg (i semi più grandi vengono utilizzati per consumo alimentare diretto). Il seme vero e proprio, che rappresenta il 70 - 75% dell’achenio, è costituito da un

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otegumento seminale, dall’embrione e da due cotiledoni contenenti grassi e proteine (contiene fino al 55% di olio, mediamente circa il 48%).Il ciclo colturale del girasole dura in media 110 - 145 giorni, a seconda della cultivar. L’accrescimento di questa pianta è piuttosto veloce nel periodo di fioritura, durante cui viene prodotta circa l’80% della biomassa. In Italia, generalmente, la raccolta viene eseguita in settembre, quando tutte le piante si presentano completamente disseccate. Le rese variano in funzione del numero di piante per unità di superficie, del numero di fiori della calatide e del peso medio di un achenio. A livello nazionale le produzioni medie di seme sono di circa 2,5 t/ha, con quantitativi di olio corrispondenti a circa 1,2 t/ha; in condizioni molto favorevoli (ad esempio in coltura irrigua) si possono raggiungere 4,5 t/ha di seme e superare, quindi, 2 t/ha di olio. Considerando che mediamente l’olio di girasole grezzo ha un potere calorifico inferiore (PCI) di circa 37 MJ/kg, da un ettaro è possibile ricavare, in media, quasi 45.000 MJ di energia (Tab. 1.2).

Tab. 1.2 - Caratteristiche agro-energetiche del girasole

Resa in semi t/ha 2,0 - 4,5

Contenuto in olio % 45 - 55

Resa in olio t/ha 1,0 - 2,1

Potere calorifico inferiore olio GJ/t 36,0 - 39,9

Contenuto in energia dell’olio GJ/ha 38 - 76

Soia (Glycine max (L.) Merr.)La soia è originaria dell’estremo oriente. In Europa è giunta soltanto agli inizi del 1900, importata dall’Inghilterra come alimento per diabetici, in quanto priva di amidi. Oggi è una delle più importanti piante alimentari per la ricchezza dei suoi semi in proteine (38-41%) e olio (18-21%). La farina di soia è impiegata principalmente (al 90%) in zootecnia, come integratore proteico mentre l’olio di soia ha utilizzi sia alimentari che non. La coltivazione della soia è molto diffusa a livello mondiale soprattutto per la

farina che se ne ricava. L’olio, invece, pur rappresentando una tra le maggiori produzioni al mondo (per il 2008, 37,5 Mt, secondo solo all’olio di palma con 38,9 Mt), è da considerarsi, in realtà, più come un sottoprodotto che come prodotto principale.La soia è una pianta erbacea annuale a ciclo estivo, interamente pubescente, alta da 70 a più di 130 cm, con portamento eretto più o meno cespuglioso. Appartiene alla famiglia delle Leguminose, il frutto è

un baccello, piccolo, ricoperto di peli, che si può presentare diritto o incurvato. La colorazione può variare dal giallo, al grigio, al nero. Un baccello contiene da 1 a 5 semi (normalmente 2 o 3). Ogni infiorescenza produce da 1 a più di 20 baccelli, che raggiungono, in circa 40 giorni, il loro massimo peso. Il seme è di forma prevalentemente sferica o ellittica e dal colore variabile (dal giallo paglierino al nero). Le rese sono variabili; in Italia (Pianura Padana) si parla di 3-3,5 t/ha, ma si possono superare le 4 t/ha oppure scendere fino a 2 t/ha per le colture intercalari. La resa in olio (PCI ~ 37 MJ/kg) oscilla in media tra 0,4 e 0,8 t/ha e la resa energetica varia generalmente fra 15.000 e 30.000 MJ/ha.

Tab. 1.3 - Caratteristiche agro-energetiche della soia

Resa in semi t/ha 2,0 - 4,0

Contenuto in olio % 18 - 21

Resa in olio t/ha 0,4 - 0,8

Potere calorifico inferiore olio GJ/t 36,4 - 37,2

Contenuto in energia dell’olio GJ/ha 15 - 30

Colza (Brassica napus L.)Il colza è una pianta originaria del bacino del mediterraneo; il nome deriva dall’olandese “Koolzad”, che significa seme di cavolo. Diffusa fin dal medioevo nell’Europa centro-settentrionale, dai suoi semi veniva estratto l’olio da impiegare nell’illuminazione pubblica e privata. Attualmente i maggiori coltivatori di colza risultano essere India, Cina, Pakistan e Canada; per quanto riguarda l’Europa, i paesi più interessati sono quelli nord-orientali come Germania, Francia, Polonia, Gran Bretagna, Danimarca e Svezia. Il colza appartiene alla famiglia

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delle Crucifere e al genere Brassica. L’infiorescenza a grappolo è terminale, formata da 150-200 fiori ermafroditi, aventi la struttura tipica delle Crocifere; il

frutto è una siliqua (frutto secco deiscente) che un falso setto interno (replum) divide in 2 carpelli contenenti numerosi semi (fino a 20 ciascuno). A seconda della varietà, una siliqua può contenere da 15 a 40 semi.Le attuali produzioni medie, a livello nazionale, sono dell’ordine di 2,6 t/ha, con punte di oltre 3 t/ha; in centro-Europa (Francia-Germania) variano dalle 3 alle 4 t/ha. Il contenuto di olio può oscillare tra il 35 ed il 45%, con una resa ad ettaro compresa tra 0,75 e 1,5 t. Considerando un PCI mediamente pari a 37 MJ/kg, l’energia teorica ottenuta è generalmente compresa fra circa 30.000 e 50.000 MJ/ha (Tab. 1.4).

Tab. 1.4 - Caratteristiche agro-energetiche del colza

Resa in semi t/ha 2,0 - 4,0

Contenuto in olio % 35 - 45

Resa in olio t/ha 0,75 - 1,5

Potere calorifico inferiore olio GJ/t 36,7 - 37,8

Contenuto in energia dell’olio GJ/ha 28 - 55

Tab. 1.5 - Superficie (ettari), produzione raccolta (tonnellate) e rese (tonnellate/ettaro) di girasole, soia e colza nelle regioni italiane e nelle provincie marchigiane - Anno 2009 -

Regioni

Girasole Soia Colza

Superficie (ha)

Produzione Raccolta

(t)

Resa(t/ha)

Superficie (ha)

Produzione Raccolta

(t)

Resa(t/ha)

Superficie (ha)

Produzione Raccolta

(t)

Resa(t/ha)

Piemonte 7.006 19.460,7 2,78 6.421 14.942,5 2,33 1.260 2.056,1 1,63

Valle d’Aosta - - - - - - - - -

Lombardia 1.335 5.226,8 3,92 21.105 82.657,8 3,92 4.596 12.925,5 2,81

Trentino-Alto Adige - - - - - - - - -

Veneto 1.980 5.658,6 2,86 67.519 251.493,1 3,72 1.928 6.276,9 3,26

Friuli-Venezia Giulia 470 1.010,0 2,15 23.750 73.199,0 3,08 6.284 8.792,8 1,40

Liguria - - - - - - - - -

Emilia-Romagna 5.442 14.871,5 2,73 19.442 61.300,8 3,15 2.353 7.359,5 3,13

Toscana 24.396 41.606,3 1,71 187 401,4 2,15 982 1.347,4 1,37

Umbria 39.366 16.667,1 0,42 50 130,0 2,60 100 282,0 2,82

Pesaro e Urbino 1.809 3.256,2 1,80 - - - 68 94,1 1,38

Ancona 6.080 13.107,2 2,16 94 236,0 2,51 62 131,4 2,12

Macerata 11.078 24.371,6 2,20 332 825,0 2,48 41 94,3 2,30

Ascoli Piceno 6.200 14.880,0 2,40 - - - - - -

Marche 25.167 55.615,0 2,21 426 1.061,0 2,49 171 319,8 1,87

Lazio 5.291 9.163,1 1,73 190 428,7 2,26 4.202 3.279,5 0,78

Abruzzo 4.550 8.345,0 1,83 98 300,5 3,07 3 3,0 1,00

Molise 5.100 7.650,0 1,50 - - - - - -

Campania 340 798,0 2,35 - - - - - -

Puglia 1.625 4.001,5 2,46 15 27,6 1,84 100 250,0 2,50

Basilicata 56 95,7 1,71 - - - 327 329,1 1,01

Calabria 48 173,2 3,61 46 430,0 9,35 272 662,6 2,44

Sicilia 22 83,0 3,77 - - - 5 9,5 1,90

Sardegna 1.502 34,0 0,02 - - - 13 11,0 0,85

ITALIA 123.696 190.459,5 1,54 139.249 486.372,4 3,49 22.596 43.904,7 1,94

1.1.3 Coltivazioni arboreePalma (Elaeis guineensis Jacq.)La palma da olio è una delle piante più rilevanti da un punto di vista economico. Originaria dell’Africa, è diffusa e coltivata soprattutto nel Sud-est asiatico (dove le rese sono 7 - 8 volte superiori) e nelle zone tropicali del continente americano.La palma, alta fino a 30 metri, produce frutti simili ad una prugna rossastra e raggruppati in grossi grappoli compatti che pesano generalmente tra 10 e 40 kg.I frutti maturano ogni 7 - 10 giorni e la loro raccolta è continua. Ciascuno di essi è costituito da una polpa esterna carnosa (mesocarpo) e da una noce, al cui interno

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osi trova un gheriglio. Un grappolo possiede sino a 2000 frutti; la polpa contiene il 40-65% di olio, denso e di colore rosso-arancio per l’elevato contenuto in carotene.Dalla polpa si ottengono olio alimentare e olio combustibile. Dal nocciolo si ricavano il Palm Kernel Oil, usato in cosmetica, e il Palm Kernel Cake, utilizzato nei mangimi per animali.

Il guscio viene commercializzato come Palm Kernel Shell (PKS) e utilizzato come combustibile.I tre paesi in cui si concentra l’80% della superficie coltivata sono: Malesia, Indonesia e Nigeria. Ognuno di essi coltiva ampie superfici ma le rese che ottengono differiscono notevolmente: nel Sud-est asiatico, infatti, sono circa 7 volte superiori che in Nigeria.Nel Sud-est asiatico la superficie coltivata a palma da olio si è espansa rapidamente negli ultimi anni.Anche a livello mondiale si è verificato un importante sviluppo di questa coltura con una produzione di olio di palma passata da circa 28 milioni di tonnellate del 2003

a quasi 39 milioni di tonnellate nel 2008; l’84% del quantitativo mondiale viene prodotto in Indonesia e in Malesia. Nella produzione di oli vegetali la palma è al primo posto, seguita dall’olio di soia.

Tab. 1.6 - Caratteristiche agro-energetiche della palma da olio

Resa in frutti t/ha 2,0 - 24,7

Contenuto in olio nel frutto % 20 - 25

Resa in olio t/ha 1 - 7

Potere calorifico inferiore olio GJ/t 36,2 - 37,4

Contenuto in energia dell’olio GJ/ha 40 - 250

Tab. 1.7 - Principali paesi produttori di olio di palma. Per ciascuno si riportano: superfici investite, prodotti ottenuti e rese unitarie. - Dati FAO 2008

NazioniSuperficie Produzione in frutta Resa in frutta Produzione in olio Resa

in olio

(ha) (%) (t) (%) (t/ha) (t) (%) (%)

Indonesia 5.000.000 * 34,28 85.000.000 F 41,39 17,0 Fc 16.900.000 F 43,40 19,9

Malesia 3.900.000 * 26,74 83.000.000 F 40,42 21,3 Fc 15.823.200 F 40,64 19,1

Nigeria 3.200.000 F 21,94 8.500.000 F 4,14 2,7 Fc 1.300.000 F 3,34 15,3

Thailandia 450.000 * 3,09 7.872.630 3,83 17,5 Fc 965.000 F 2,48 12,3

Colombia 165.000 F 1,13 3.200.000 F 1,56 19,4 Fc 780.000 F 2,00 24,4

Papua Nuova Guinea 96.000 F 0,66 1.400.000 F 0,68 14,6 Fc 395.000 F 1,01 28,2

Ecuador 135.000 F 0,93 2.100.000 F 1,02 15,6 Fc 295.000 F 0,76 14,0

Costa d’Avorio 215.000 * 1,47 1.200.000 F 0,58 5,6 Fc 290.000 * 0,74 24,2

Honduras 81.000 * 0,56 1.112.118 F 0,54 13,7 Fc 250.000 * 0,64 22,5

Cina 48.000 F 0,33 665.000 F 0,32 13,9 Fc 225.000 F 0,58 33,8

Brasile 66.000 F 0,45 660.000 F 0,32 10,0 Fc 220.000 * 0,57 33,3

Costa Rica 52.000 0,36 863.200 0,42 16,6 Fc 194.220 0,50 22,5

Guatemala 50.000 * 0,34 1.233.300 F 0,60 24,7 Fc 185.000 * 0,48 15,0

Camerun 60.000 F 0,41 1.400.000 F 0,68 23,3 Fc 182.100 * 0,47 13,0

Repubblica Democraticadel Congo

175.000 F 1,20 1.134.580 0,55 6,5 Fc 182.000 F 0,47 16,0

Gana 300.000 F 2,06 1.900.000 F 0,93 6,3 Fc 109.000 F 0,28 5,7

Altro 592.811 A 4,06 4.120.697 A 2,01 7,0 641.405 A 1,65 15,6

Mondo 14.585.811 A 100,00 205.361.525 A 100,00 14,1 Fc 38.936.925 A 100,00 19,0

* = Dati non ufficiali | A = Può includere dati ufficiali, semi-ufficiali o stimati | F = stime FAO | Fc = Dati calcolati | M = Dati non disponibili

Jatropha (Jatropha curcas L.)La jatropha è una pianta tropicale che riesce a crescere in terreni semi-aridi e in presenza di scarse precipitazioni (600 mm/anno) ma con temperature superiori a 14°C.Le sue caratteristiche la rendono anche idonea nella lotta alla desertificazione e all’erosione. I frutti della jatropha non

sono commestibili tal quali, né per l’uomo né per gli animali (lo diventano con opportuni trattamenti): per questo nei villaggi la pianta è spesso coltivata intorno ai campi come siepi di difesa con lo scopo di proteggere le colture dagli animali. La resa in semi della jatropha è fortemente variabile, si va da meno di

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o100 kg/ha ad oltre 10 t/ha.I semi ottenuti dal frutto sgusciato contengono un olio (intorno al 30 - 35% in peso) idoneo per usi energetici

Tab. 1.8 - Caratteristiche agro-energetiche della jatropha

Resa in semi t/ha 0,1 – 12,0

Contenuto in olio nel seme % 28 – 38

Resa in olio t/ha 0,04 – 3,5

Potere calorifico inferiore olio GJ/t 36,4 – 39,9

Contenuto in energia dell’olio GJ/ha 1,5 – 130

1.2 Produzioni residuali

La possibilità di sfruttare prodotti residuali è legata al riutilizzo di oli e grassi a scopo alimentare e non alimentare. Gli aspetti maggiormente critici di questo tipo di materiali sono legati soprattutto alla gestione della loro raccolta.

1.2.2 Oli esaustiOgni anno, in Italia, vengono immessi al consumo (diret-tamente come olio alimentare o perché presente in altri alimenti) 1.400 mila tonnellate di olio vegetale per un consumo medio pro capite di circa 25 kg annui (fonte: Ministero della Sanità). Di questa quantità si stima che ogni anno vengono “restituite” all’ambiente oltre 280 mila tonnellate di olio vegetale esausto (20%, circa 5 kg a testa), in gran parte sotto forma di residuo di frittura.Gli oli vegetali esausti, a causa delle reazioni termiche ed ossi-dative a cui sono stati sottoposti, hanno subito alterazioni della

propria struttura con formazione di numerosi prodotti di ossidazione e di decomposizione, sia volatili che non volatili, responsabili di difetti nell’odore e nel sapore, dell’imbrunimento del colore e di altre caratteristiche indesiderate, direttamente in rapporto con lo stato di degradazione dell’olio stesso.Gli oli esausti, se non intercettati e opportunamente smaltiti o riciclati, possono costituire un problema ambientale (inquinamento organico) oltre che uno spreco di risorse.Di fatto per il loro riciclo è possibile, attraverso processi di rigenerazione, un riutilizzo industriale e, quindi, anche energetico (Fig. 1.2). Fig. 1.2 - Processo di rigenerazione di oli vegetali esausti

Grazie allo sviluppo tecnologico e all’evoluzione dell’industria del biodiesel anche l’olio vegetale esausto può essere utilizzato per la produzione del biocombustibile che, in questo caso, può vantare una elevata sostenibilità ambientale (Direttiva 2009/28/CE – Renewable Energy Directive “RED” – vedi § 4.3) ed essere considerata valida per l’accesso ai canali di finanziamento previsti a livello nazionale.In Italia si stima che la potenzialità sia pari a 250 mila tonnellate annue di combustibile (in fig. 1.3 è esemplificato il processo di trasformazione), circa l’1% degli attuali consumi di gasolio.

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oFig. 1.3 - Schema del processo per la produzione di biodiesel da olio alimentare esausto (DP, 2009)

Fig. 1.4 - Ristorazione collettiva e produzione di oli esausti. Sagra del pesce fritto in località marinara

SCHEDA 2 - Consorzio obbligatorioLa funzione di controllo e di monitoraggio della filiera oli e grassi esausti (Codice CER 200125) per la tutela dell’ambiente e della salute pubblica è a carico del Consorzio Obbligatorio Nazionale di raccolta e trattamento Oli e grassi vegetali e animali Esausti (CONOE), costituitosi ai sensi del D.lgs. 22/97 il 1° ottobre 1998.Il Consorzio è operativo dal 2001 su tutto il territorio italiano grazie all’apporto dei suoi fondatori: associazioni di raccoglitori (ANCO), di rigeneratori (Anirog e Aroe) e di produttori quali Confcommercio, Confartigianato, CNA, Federalberghi, Fipe e Una-Confindustria, cui si è aggiunta di recente anche Coldiretti. Direttamente o tramite le loro associazioni partecipano al Consorzio oltre 120.000 imprese.Il rifiuto raccolto e recuperato per usi industriali dai consorziati è l’olio di fritture prodotto dalla ristorazione, dall’industria e dalle famiglie. L’opera di recupero dell’olio esausto, oltre ad evitare i danni ambientali, consente notevoli vantaggi economici. Dall’olio, infatti, attraverso i processi di trattamento e riciclo, si ottengono prodotti ad elevato valore aggiunto, quali: - lubrificanti vegetali per macchine agricole;- biodiesel;- glicerina.Attualmente si stima che vengano recuperate in Italia 280.000 tonnellate di olio esausto ogni anno: se l’intera produzione fosse raccolta, potrebbe generare un valore recuperato stimabile di circa 84 milioni di euro. Tipologie di oli vegetali usati potenzialmente utili per la produzione di biodiesel:- Olio fritto;- Oli da tempra;- Oli da terre decoloranti;- Paste saponose;- Grassi animali da laminazione;- Grassi animali categoria 1 e 2.

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2. tecniche di Produzione degLi oLi vegetaLi

Le sostanze grasse sono presenti nelle cellule - sia vegetali che animali - e sono sempre accompagnate da una matrice proteica che le supporta. Mediante opportuni processi di estrazione si ottiene la separazione di queste componenti, tra loro non miscibili, con il maggior grado di purezza possibile, evitando l’insorgere di reazioni collaterali che potrebbero influire negativamente sulla qualità del prodotto finale.

Fig. 2.1 - Schema del processo di estrazione/raffinazione dell’olio

Le tecnologie di estrazione degli oli hanno livelli di complessità che dipendono dalla materia prima e, in termini generali, si distinguono tecniche di estrazione meccaniche (attraverso l’applicazione di una pressione) e/o tecniche chimiche (mediante l’utilizzo di un solvente, di solito l’esano). Nella pratica industriale i due sistemi sono quasi sempre combinati ma nelle realtà aziendali di piccole

dimensioni (aziende agricole, piccole cooperative o piccoli consorzi di produttori) spesso si ricorre alla sola estrazione meccanica, per motivi di economicità e di minore complessità del processo e degli impianti.Spesso, soprattutto nel caso di estrazione chimica, la biomassa, prima di subire il processo di estrazione vero e proprio, viene sottoposta a dei trattamenti preparatori che hanno lo scopo di migliorare la qualità e l’efficienza del processo.L’olio estratto viene a sua volta sottoposto a dei trattamenti – depurazione, ed eventualmente raffinazione – diversi in funzione del tipo di estrazione effettuata e del destino a cui l’olio andrà incontro (uso alimentare, utilizzo energetico).

2.1 Trattamenti precedenti all’estrazione

I semi, prima dell’estrazione, possono subire alcuni trattamenti utili a migliorare il processo di estrazione stesso, aumentandone la resa, migliorando la qualità del prodotto e salvaguardando gli impianti da un’eccessiva usura. Infatti, prima dell’estrazione, abitualmente nel caso di quella chimica, i semi vengono sottoposti a pulizia, decorticazione, macinazione, riscaldamento e condizionamento. Fig. 2.2 - Rappresentazione schematica degli eventuali trattamenti che possono subire i semi oleosi prima di essere sottoposti all’estrazione

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SCHEDA 3 - Trattamenti pre-estrazionePuliziaI semi, prima della lavorazione, devono essere separati dalle eventuali impurità (ferro, pietrisco, terra ecc.) provenienti dalle operazioni di raccolta in campo e di stoccaggio nei sili. L’operazione si rende necessaria per ottenere una buona qualità del prodotto e preservare l’integrità dell’impianto. I materiali metallici vengono facilmente eliminati con elettromagneti; per quelli non metallici, invece, si ricorre a vibrovagli.

DecorticazioneElimina lo strato protettivo ligno-cellulosico (pericarpo) che caratterizza alcuni semi (ad esempio, il girasole). Questo non contiene olio e anche il relativo contenuto proteico è generalmente modesto.La riduzione di volume che si ottiene con la decorticazione (Tab. scheda 3.1) consente, nel caso di estrazione per pressione, di aumentare la capacità delle presse, diminuendo i rischi di abrasione, mentre nell’estrazione con solvente si aumenta la capacità dell’impianto e nel contempo diminuisce il volume del solvente in gioco.I decorticatori sono essenzialmente di due tipi: a cilindro e a dischi. Il principio su cui operano è, tuttavia, analogo: viene operata una leggera pressione sul seme per l’apertura del pericarpo e relativa separazione dalla mandorla mediante corrente d’aria.La decorticazione non è mai totale; si tende, infatti, a raggiungere un compromesso fra eliminazione del pericarpo e perdita di sostanza grassa durante il processo.

Tab. scheda 3.1 - Esempi di riduzione di peso in funzione della decorticatura/sgusciatura

Semi decorticati Riduzione in peso (%)

Arachide 20 - 30

Cotone* 40 - 50

Girasole 40 - 50

Ricino 20 - 30

Soia 8 - 10

Cacao 10 - 14

Cartamo 40 - 50* vengono eliminate le fibre di cotone e la corteccia

È da sottolineare che, mentre l’eliminazione del tegumento ligno-cellulosico dei semi di soia e di colza sia una pratica ricorrente (in considerazione dell’importanza che la farina disoleata assume come integratore proteico per i mangimi destinati agli animali monogastrici), la sgusciatura del seme di girasole è poco praticata. Inoltre, essendo il tegumento dei semi generalmente ricco di fibra, favorisce lo sgrondo dell’olio durante la spremitura meccanica aumentandone, di conseguenza, l’efficienza.

Macinazione e laminazioneÈ dimostrata la possibilità di migliorare l’estrazione della sostanza grassa facendo precedere la frantumazione della materia prima. Nel caso dell’estrazione mediante solvente, la ragione di ciò è intuitiva in quanto, creandosi un più intimo contatto tra biomassa e solvente, si ha un incremento della velocità di estrazione. Nell’estrazione a pressione tale ragione non appare così evidente perché la maggior parte delle cellule rimane comunque intatta. La fine macinazione, però, facilitando gli scambi di calore ed il condizionamento, favorisce indirettamente anche l’estrazione dell’olio. In generale per l’estrazione meccanica si preferisce frantumare la materia prima in granuli di 0,10-0,25 mm di diametro mediante l’utilizzo di opportuni mulini(a martelli per materiali di grande pezzatura, a cilindri per semi di oleaginose (Fig. scheda 3.2 A) mentre per l’estrazione chimica si preferisce ricavare dai granuli delle lamine dello spessore di 0,20-0,25 mm mediante un successivo passaggio attraverso un secondo tipo di macchina, il laminatoio (Fig. scheda 3.2 B).La velocità di estrazione è, in sintesi, funzione della dimensione dei granuli e dello spessore delle lamine. Di conseguenza, è conveniente raggiungere un buon grado di sminuzzamento ma senza dimenticare, tuttavia, che macinazioni e/o

decorticazione

Fig. scheda 3.1 - Decorticatore a cilindri (Capella, 1997)

Fig. scheda 3.2 - A) Mulino a cilindri, B) Laminatoio (Capella, 1997)

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laminazioni troppo spinte portano alla formazione di polveri che ostacolano il drenaggio del solvente nella relativa fase di estrazione.

CondizionamentoIl condizionamento viene condotto in apparecchiature dette cooker che sono poste immediatamente prima delle presse, nelle quali si realizzano trasformazioni chimiche, chimico-fisiche e biologiche complesse e non ancora completamente note. Tra queste trasformazioni si possono enumerare le seguenti:1) coalescenza delle gocce microscopiche di grasso, disperse nella matrice

cellulare proteica, in gocce di maggior diametro in seguito alla parziale coagulazione delle proteine e alle variazioni di tensione superficiale;

2) permeabilizzazione all’olio della matrice proteica come conseguenza della coagulazione delle proteine;

3) distruzione di muffe e batteri;4) distruzione di enzimi generalmente presenti (lipossidasi, lipasi ecc.) o presenti

solo in alcuni semi (colza, cotone, lino, soia ecc.);5) distruzione di alcuni principi tossici (cotone);6) diminuzione della viscosità dell’olio in funzione dell’aumento della

temperatura;7) insolubilizzazione di lipidi polari

quali fosfatidi e lipoproteine. Questo tipo di reazione influenza particolarmente la qualità dell’olio, per le successive operazioni di raffinazione;

8) condizionamento della materia prima al grado di umidità desiderata per effettuare l’estrazione, in funzione anche del mezzo di estrazione usato e del tipo di materia prima.

Perché si possano verificare tali trasformazioni, si dovrà raggiungere una determinata temperatura, propria di ciascun seme, e mantenerla per un certo tempo. Mediamente si può indicare in 110-120 °C la temperatura di uscita da cooker e in 60-90 minuti il tempo di permanenza. In ogni caso, un condizionamento ottimale è indispensabile per ottenere un olio di qualità e per evitare perdite elevate nelle successive fasi di raffinazione.Generalmente i cooker vengono direttamente sovrapposti alle presse continue ma, nel caso si proceda con sola estrazione con solvente, il condizionatore viene posto tra i mulini a cilindri ed il laminatoio. Il più antico, ma tuttora il più efficiente, è il condizionatore verticale (Fig. scheda 3.3).

2.2 Estrazione

Una volta subiti i trattamenti necessari, i semi possono essere sottoposti al processo di estrazione meccanica e/o chimica dell’olio. Elemento vincolante agli effetti della scelta delle due tecniche è il tenore lipidico della biomassa: indicativamente, per valori superiori al 20%, si può procedere con l’estrazione meccanica; per valori inferiori si utilizza direttamente l’estrazione chimica. Le due tecniche, se utilizzate separatamente, hanno un’efficienza, espressa in termini di quantità di olio grezzo ottenuto, differente: mentre con l’estrazione meccanica si può estrarre fino all’85-90% della quantità iniziale presente nella biomassa, nel caso dell’estrazione chimica tale valore può anche essere prossimo al 99%. Nella pratica industriale, come già detto precedentemente, i due sistemi sono quasi sempre combinati. Fig. 2.3 – Schema del processo di estrazione industriale

L’olio grezzo che si ottiene dal processo di estrazione deve necessariamente essere sottoposto ad operazioni di depurazione e/o raffinazione, più o meno spinte in funzione del tipo di estrazione a cui è stato sottoposto e anche del tipo di utilizzo a cui è destinato (alimentare, energetico).Le due tipologie di estrazione, infatti, qualora non vengano combinate, originano prodotti di qualità diversa: nel caso dell’estrazione chimica, ad esempio, si ottiene un olio che deve inevitabilmente essere sottoposto ad un processo di raffinazione, per qualsiasi forma di utilizzazione. Invece, nel caso di estrazione meccanica, alcune tipologie di olio grezzo possono essere direttamente utilizzate, previa adeguata filtrazione, in idonei motori diesel per la produzione di energia elettrica o, se miscelate a gasolio, in motori di trattori agricoli. Per la trasformazione in biodiesel, invece, è solitamente necessario sottoporre gli oli a raffinazione per eliminare tutti quegli elementi che potrebbero alterare l’andamento della reazione (impurità, acqua, acidi grassi liberi).

Fig. scheda 3.3 - Condizionatore verticale (Capella, 1997)

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In funzione della diversa tecnica di estrazione adottata si ottengono anche differenti co-prodotti. Con l’estrazione meccanica avremo il panello grasso (o expeller) mentre con l’estrazione chimica, seguita da essiccazione, la farina. La composizione dei co-prodotti, farina e panello, differisce soprattutto per contenuto energetico, molto più elevato nel panello. Quest’ultimo, infatti, ha un contenuto di olio residuo relativamente alto (generalmente compreso fra l’8 ed il 15%) che nella pratica industriale viene di solito recuperato mediante estrazione con solvente. Nell’ambito di filiere agro-energetiche corte è di fondamentale importanza valorizzare al massimo questo co-prodotto dal punto di vista economico; a tale scopo, viene generalmente destinato ad un utilizzo zootecnico. Nonostante sia caduto in disuso come alimento per gli animali domestici, essenzialmente perché meno conservabile e di caratteristiche variabili, potrebbe costituire, al contrario, una valida alternativa agli alimenti proteici attualmente utilizzati, in particolare alla farina di soia (vedi § 5.3). Anche per le farine di estrazione la valorizzazione più diffusa è l’alimentazione zootecnica. Queste hanno un’ampia diffusione, un basso contenuti in grassi (1-2%) e caratteristiche nutrizionali interessanti. Necessitano, però, di opportuni trattamenti per eliminare il solvente di estrazione.

SCHEDA 4 - Processi di estrazioneEstrazione meccanicaL’estrazione meccanica degli oli vegetali può essere effettuata con due modalità: utilizzando presse discontinue o presse continue. Le prime hanno scarso utilizzo per la bassa capacità operativa e, in genere, vengono utilizzate per l’estrazione di oli pregiati. Le presse continue sono più comuni (Fig. scheda 4.1) e sono generalmente costituite da una gabbia sagomata al cui interno è inserita una vite senza fine. Tra vite e gabbia lo spazio diminuisce in modo da comprimere la materia prima contro le pareti della gabbia stessa facendo fuoriuscire l’olio (Fig. scheda 4.2). Per regolare il grado di spremitura a cui il seme è sottoposto, nella parte terminale della vite è applicato un cono d’acciaio che, può scorrere lungo l’asse della pressa e variare lo spessore dell’intercapedine tra gabbia e cono.

Fig. scheda 4.1 - Pressa continua di piccole dimensioni presente nel Laboratorio dell’Area di Ingegneria Agraria del Dip. SAIFET - UNIVPM

Fig. scheda 4.2 - Macchina spremitrice della ditta Bracco, modello Coter 2001/50 e schema della vite senza fine di una pressa continua con le relative zone di lavorazione.

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LiFig. scheda 4.3 - Immagine della vite senza fine di una pressa continua e ingrandimento

di alcuni particolari

Filettatura di regolazione

Coclea di trasporto

Tratto di estrazione

Fig. scheda 4.4 - Vista trasversale della camera di compressione con particolare attenzione alla disposizione delle doghe

I fattori che influenzano la spremitura sono: l’effetto drenaggio (relativo alla presenza di parti solide rigide nel materiale sottoposto ad estrazione); il grado di dispersione dei costituenti colloidali (dovuto ai trattamenti di preparazione del seme); il contenuto in acqua (legato all’umidità del seme); la granulometria e la forma della particelle; la durata e i cicli di compressione.

Fig. scheda 4.5 - Schema di un impianto per l’estrazione meccanica dell’olio

Al termine della spremitura si ottengono due prodotti: l’olio e il panello. Il primo viene sottoposto a processi di decantazione e filtrazione allo scopo di allontanare le particelle in sospensione. I panelli di semi possono essere inviati all’estrazione con solvente, oppure utilizzati tal quale. La percentuale di olio che residua nel panello, a parità di capacità di lavoro, è inversamente proporzionale al tempo di estrazione per unità di seme processata e quindi all’assorbimento energetico della pressa (Tab. scheda 4.1). Normalmente il contenuto di sostanza grassa è dell’8 -15%.

Tab. scheda 4.1 - Variazione del comportamento di una pressa in funzione di differenti regolazioni nella spremitura di seme di colza. Relazione tra tempo di estrazione, olio residuo e assorbimento energetico. Evidenziato il valore più frequente relativamente al residuo oleoso nel panello

Tempo di estrazione Assorbimento energetico Olio residuo nel panello

(min/tseme) (kWh/t) (%)

35 20 22

37 22 19

40 24 17

43 26 15

46 30 11

50 32 9

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75 40 4,3

86 42 3,6

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LiFig. scheda 4.6 – Schema del bilancio di massa dell’estrazione meccanica dell’olio di

girasole (valori medi in base ad un contenuto di olio nei semi del 42%)

Estrazione chimicaGli oli ed i grassi sono sostanze idrofobe, praticamente insolubili in acqua, e per essere estratte richiedono l’utilizzo di solventi lipofili. Il più utilizzato è l’esano; in rari casi vengono impiegati benzina solvente, trielina (tricloroetilene) o altri prodotti. Di interesse il procedimento con CO

2 in condizioni supercritiche (in queste

condizioni le proprietà del fluido sono in parte analoghe a quelle di un liquido - ad esempio la densità - ed in parte simili a quelle di un gas - ad esempio la viscosità).L’estrazione chimica può essere condotta con metodi diversi: per percolazione (si ottiene facendo cadere il solvente sulla massa per gravità - Fig. scheda 4.7); per immersione (si immerge la massa da disoleare nel solvente - Fig. scheda 4.8). Fig. scheda 4.7 - Estrattori a percolazione: 1) verticale, più antico e adatto per piccole potenzialità; 2) orizzontale “Lurgi”, il suo utilizzo è piuttosto diffuso (Capella, 1997)

Fig. scheda 4.8 - Estrattori ad immersione: 1) “Bernardini”; 2) “Anderson”. (Capella, 1997)

La frazione di olio fuoriuscita dalle cellule oleifere rotte durante i precedenti processi di macinazione e laminazione è estraibile mediante diluizione diretta con il solvente. La rimanente parte, più legata alla matrice vegetale, richiede un’estrazione per diffusione perché rimasta nelle cellule integre. In una prima fase, quindi, la quantità di olio estratta è direttamente proporzionale al tempo di processo mentre, successivamente, si ha un rallentamento progressivo, con andamento di tipo asintotico. La maggior parte di olio, comunque, viene estratto nei primi 30 minuti. Per esempio, nel girasole, con questo tempo di estrazione il residuo grasso si riduce a circa il 2,5%. Per ridurre il residuo a meno dell’1%, invece, occorre superare l’ora di tempo. In Tabella scheda 4.2 si riporta, come varia, partendo dal panello di girasole, il contenuto di olio residuo nelle farine e la quantità di solvente utilizzata in funzione del tempo di estrazione.

Tab. scheda 4.2 - Influenza del tempo e della quantità di solvente sull’efficienza del processo di estrazione (residuo in olio delle farine) a partire da panello (expeller) di girasole

Contenuto in olio dell’expeller di girasole Tempo di estrazione Quantità di solvente Residuo in olio delle

farine

(g) (minuti) (cm3) (g)

11,90 30 930 1,40

11,90 60 1860 0,74

11,90 120 3720 0,42

L’olio estratto con questa tecnica è disciolto nel solvente stesso e deve necessariamente essere sottoposto ad operazioni di separazione e di raffinazione prima di essere destinato ad un utilizzo energetico.

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2.3 Trattamenti successivi all’estrazione

Una volta estratto, l’olio grezzo dovrà essere necessariamente sottoposto a una serie di trattamenti, differenti in base all’utilizzo a cui è destinato. In generale, viene effettuata una prima fase di depurazione e, eventualmente, una successiva fase di raffinazione.

2.3.1 DepurazioneLa depurazione è costituita dalle seguenti operazioni: • sedimentazione; • filtrazione; • centrifugazione.Questi processi possono essere condotti separatamente o simultaneamente. Nel caso di depurazione particolarmente spinta si parla di pre-raffinazione.

Fig. 2.4 - Sistema di pre-filtrazione e sedimentazione dell’olio appena spremuto

SCHEDA 5 – DepurazioneSedimentazione Vengono eliminati i residui di acqua e le impurità più grossolane (frammenti di seme), sfruttando la diversa densità di tali contaminanti rispetto all’olio e la forza gravitazionale. Non sempre la tecnica di separazione per sedimentazione è attuabile perché le operazioni hanno dei limiti dettati dalla quantità di prodotto lavorato: fino ad 1 t/giorno di seme (200-500 litri di olio) l’operazione è possibile, mentre diventa impraticabile per sistemi a più elevata produttività, a causa dei volumi richiesti dai serbatoi di stoccaggio. Il tempo di separazione è di 2-4 giorni e la durata è condizionata dalla temperatura: in condizioni ottimali (perfetta staticità del fluido, temperatura di 20°C), con la sola sedimentazione è possibile isolare particelle con diametro di 8 micron. Per velocizzare il processo di separazione e ridurre lo spazio per lo stoccaggio, è consigliabile sostituire la sedimentazione con la centrifugazione. Inoltre, per una maggiore limpidezza dell’olio e per ridurre le perdite contenute nel sedimento, è generalmente opportuno eseguire una filtrazione. Fig. scheda 5.1 - Sedimentatore discontinuo (Lerici, Lerker, 1983)

La sedimentazione degli oli viene condotta utilizzando esclusivamente sedimentatori discontinui (Fig. scheda 5.1). Esistono anche sedimentatori continui (Fig. scheda 5.2) ma il loro utilizzo è sconsigliato per il trattamento degli oli perché, avendo una viscosità generalmente troppo alta che rende la sedimentazione delle impurità molto lenta, necessiterebbero di impianti di dimensioni eccessive. Questi impianti vengono quindi impiegati prevalentemente in altri settori.

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LiFig. scheda 5.2 - Sedimentatore continuo (Lerici, Lerker, 1983)

FiltrazioneLa filtrazione dell’olio grezzo è un’operazione fisico-meccanica con la quale si separano le particelle solide in esso disperse (quindi anche quelle non sedimentabili) per mezzo di un setto filtrante poroso attraverso cui l’olio grezzo fluisce sotto l’azione della pressione. Un sistema tradizionale è il “filtro-pressa” (Fig. scheda 5.3), costituito da un insieme di elementi pieni (piastre) ed elementi vuoti (telai) accostati alternativamente. Fra ciascuna piastra ed il telaio contiguo sono poste delle tele o dei cartoni filtranti che formano delle camere nelle quali viene alimentata la sospensione torbida da filtrare. Fig. scheda 5.3 - Filtro-pressa; a destra ingrandimento delle piastre con tele filtranti

Fig. scheda 5.4 - Rappresentazione schematica del funzionamento di un filtro-pressa a tele filtranti (A) e a cartoni filtranti (B)

Vantaggi Svantaggi

- elevata versatilità;- costo relativamente limitato per unità di

superficie filtrante;- assenza di parti in movimento;- grande semplicità di funzionamento;- limitata usura;- manutenzione semplificata.

- non è possibile automatizzare la fase di scarico dei solidi e di lavaggio e sostituzione dei supporti di filtrazione;

- l’elevato sviluppo del perimetro di tenuta, dato dalla somma dei perimetri dei singoli elementi filtranti, comporta, in caso di imperfetta tenuta, delle perdite.

CentrifugazioneLa separazione per sedimentazione naturale attraverso la forza di gravità di liquidi immiscibili, oppure di un liquido da un solido, risulta solitamente molto lenta, soprattutto quando la differenza tra i pesi specifici dei componenti è ridotta, come nel caso dell’olio e delle particelle formate da residui vegetali.Nelle centrifughe, invece, la spinta esercitata dalla forza centrifuga sulle particelle è molto elevata e porta quest’ultime sulle pareti in tempi molto ridotti. Nel caso di separazioni liquido-liquido (caso delle emulsioni olio-acqua) il componente più pesante tenderà ad occupare i volumi periferici della macchina mentre il liquido più leggero tenderà a raccogliersi nelle zone centrali (Fig. scheda 5.5).

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LiFig. scheda 5.5 - Rappresentazione schematica di una centrifuga ad asse verticale

(www.pieralisi.com)

2.3.2 RaffinazionePrima del loro impiego pratico, sia per scopi alimentari che industriali, molti oli e grassi animali e vegetali vengono sottoposti ad un processo di raffinazione che può essere definito come l’insieme delle operazioni che trasformano la sostanza grassa grezza in un prodotto privo di composti indesiderati.La raffinazione è generalmente costituita da cinque fasi tecnologiche: • degommazione,• deacidificazione (o neutralizzazione), • decolorazione, • deodorazione e • demargarinizzazione. A seconda dell’impiego cui è destinato il prodotto, alcune possono essere tralasciate (Fig. 2.5). Fig. 2.5 - Possibili fasi tecnologiche della raffinazione (Capella, 1997 – modificato)

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SCHEDA 6 - RaffinazioneDegommazione L’operazione consente di rimuovere i lipidi polari, e quindi idratabili, quali fosfolipidi, lipoproteine, resine e gomme. Il processo può essere condotto in generale con soluzioni acquose di acido solforico, fosforico, terre adsorbenti o soluzioni acquose di elettroliti. Se non si è interessati al recupero delle lecitine, l’olio viene generalmente riscaldato a 60-80°C con acidi minerali, generalmente acido fosforico (ma anche solforico e citrico), causando la separazione per idratazione e conseguente coagulazione dei fosfatidi (anche di quelli non idratabili con acqua, come i sali di calcio dell’acido fosfatidico) e delle lipoproteine. Questo tipo di degommazione viene applicato prima della deacidificazione, ma è importante principalmente per l’olio estratto chimicamente. Fig. scheda 6.1 - Schema del processo di degommazione (www.alfalaval.com)

Deacidificazione (o neutralizzazione)È il processo mediante il quale si riduce l’acidità libera di una sostanza grassa sino alla sua neutralizzazione (0,01 - 0,1% di acidi liberi espressi come acido oleico). Durante la raccolta e nelle successive fasi di lavorazione dei semi, alcuni enzimi (le lipasi) scindono il legame estere dei trigliceridi producendo acidi grassi liberi. La necessità del trattamento è legata all’impiego finale dell’olio. Si può affermare che la deacidificazione è lo stadio più importante della raffinazione delle sostanze grasse, sia per gli aspetti qualitativi sia per quelli quantitativi coinvolti.La deacidificazione può essere compiuta con mezzi diversi a seconda della materia prima e del rendimento economico. Il processo più semplice consiste nel trattare l’olio con una soluzione acquosa di idrossido di sodio (soda caustica, NaOH), come rappresentato nella seguente reazione:

RCOOH + NaOH ↔ RCOONa + H2O

L’acido grasso (RCOOH), liposolubile, diventa, per mezzo della salificazione, idrosolubile (RCOONa) ed in questo modo può essere allontanato insieme alla fase acquosa. Nei piccoli impianti la neutralizzazione avviene utilizzando sistemi discontinui

(di semplice concezione ed economici) mentre, negli impianti di grande dimensione, si preferiscono sistemi continui (caratterizzati da impianti più complessi e costosi) che hanno il vantaggio della maggiore rapidità e di minori perdite di olio neutro (Fig. scheda 6.2). Fig. scheda 6.2 - Schema di un processo di degommazione e neutralizzazione (www.alfalaval.com)

Decolorazione (o sbiancamento)Permette l’eliminazione della maggior parte dei pigmenti (clorofilla, xantofille, carotenoidi, porfirine) e anche delle altre sostanze di natura chimica varia (come ad esempio i prodotti di degradazione dei tocoferoli, le proteine ed i carboidrati, o le mucillaggini, che hanno subito un imbrunimento, ecc.) responsabili dell’eccessiva colorazione di un olio o di un grasso.Sebbene, in linea di principio, la decolorazione possa essere effettuata sia con metodi fisici che chimici, nella tecnologia degli oli e dei grassi si ricorre al metodo “fisico” che prevede l’utilizzo di “materiali adsorbenti”: “terre decoloranti” e “carboni attivi”.Le terre sono efficienti soprattutto nel sottrarre dall’olio sostanze polari, quali carotenoidi, acidi grassi ossidati, pigmenti porfirici, clorofilla e fosfatici. L’eliminazione di sostanze non polari avviene invece più facilmente impiegando carboni attivi preparati mediante riscaldamento, o trattamento chimico, di prodotti carboniosi.La decolorazione può essere condotta sia in modo discontinuo (Fig. scheda 6.4) sia in modo continuo, a seconda della quantità di olio che deve essere lavorata.

Fig. scheda 6.3 - Processo di decolorazione con recupero dell’olio dalle terre (Capella, 1997)

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LiFig. scheda 6.4 - Schema di impianto di decolorazione (Capella, 1997)

DeodorazioneCon la deodorazione vengono eliminati composti che derivano in gran parte dall’alterazione ossidativa dei grassi stessi (acidi grassi liberi presenti nei residui saponosi, composti volatili quali aldeidi e chetoni provenienti dall’ossidazione degli acidi grassi insaturi, caroteni residui) nocivi nell’utilizzo alimentare. Anche questo processo, quindi, non è certo necessario per un utilizzo energetico dell’olio. Il metodo consiste nel far passare vapore deareato surriscaldato a 200°C attraverso strati di olio in recipienti sotto vuoto spinto. Il processo di deodorazione può essere svolto sia in modo continuo (Fig. scheda 6.6 - A) sia discontinuo (Fig. scheda 6.6 - B); in quest’ultimo caso le apparecchiature utilizzate sono semplicissime, consistendo in un grosso reattore cilindrico munito internamente di un sistema di riscaldamento. Fig. scheda 6.5 - Processo di deodorazione (Capella, 1997)

Fig. scheda 6.6 - Impianto di deodorazione: A) continuo; B) discontinuo (Capella, 1997)

Demargarinizzazione Mediante l’operazione vengono allontanati i trigliceridi a maggior punto di fusione, che sono la causa dell’intorbidamento all’abbassarsi della temperatura, allo scopo di rendere il prodotto finale più stabile a basse temperature. Per gli oli vegetali abitualmente usati a fini energetici (come colza e girasole), non è necessario ricorrere a questo tipo di processo (che tra l’altro comporta notevoli perdite di olio), mentre, qualora si operi con oli particolarmente viscosi o addirittura semi-solidi a temperatura ambiente (come l’olio di palma o di cocco), può essere opportuno abbassare il punto di fusione a valori più accettabili.Tale risultato viene ottenuto facendo precipitare per cristallizzazione i componenti a punto di fusione più alto presenti nell’olio. Il processo è regolato principalmente dalla velocità di raffreddamento, dalla sua durata e dall’agitazione. Il rapido raffreddamento iniziale, unito ad un’adeguata agitazione, determina la formazione di piccoli cristalli. In seguito si procede in assenza di agitazione e con lento abbassamento di temperatura, al fine di favorire la crescita dei cristalli. Al termine del processo si opera una filtrazione dell’olio. Fig. scheda 6.7 - Processo di demargarinazione continuo (Capella, 1997)

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3. uso energetico degLi oLi

Oli vegetali e grassi animali sono interessanti combustibili alternativi alle fonti fossili, rispetto alle quali presentano due caratteristiche di notevole interesse: sono rinnovabili e caratterizzati da una elevata biodegradabilità.Dalla combustione di queste sostanze si ottiene energia, quantificabile come differenza tra l’energia liberata dalla formazione dei prodotti della reazione (CO

2

e H2O) e l’energia consumata per la rottura dei legami dei reagenti (trigliceridi e

O2). Il processo di trasformazione energetica può venire condotto in sistemi a

combustione interna (esempio: motori diesel) ed esterna (esempio: caldaie) con cui è possibile ottenere energia termica, meccanica e quindi anche energia elettrica.

3.1 Caratteristiche e proprietà degli oli come combustibili

Considerando le numerose specie vegetali (e anche animali) da cui possono essere ottenuti gli oli, si evidenzia come questi abbiano diversa composizione e, di conseguenza, caratteristiche funzionali differenti, di cui alcune possono condizionare le modalità di utilizzo energetico. Nella Tabella 3.1 si riportano le caratteristiche sulla cui base sono valutati i combustibili, mentre nella Tabella successiva (Tab. 3.2) sono riportati i dati di caratterizzazione di alcune tipologie di olio e di un gasolio conforme allo standard EN590 (autotrazione). Dal confronto dei valori dei parametri considerati, si evidenzia la variabilità, anche se esigua, esistente tra gli oli vegetali, ma, soprattutto, le differenze nei confronti del gasolio.

Tab. 3.1 - Caratteristiche di interesse dei combustibili

PROPRIETÀ

FISICHE CHIMICHE TERMICHE

Viscosità Acidità totale Temperatura di distillazione

Massa Volumica (o Densità) Numero di saponificazioneResiduo carbonioso

Conradson

Punto di infiammabilità Numero di iodio Numero di cetano

Punto di fusione Potere calorifico

Punto di intorbidamento Stabilità all’ossidazione

distillazione Punto di scorrimento

Contenuto in metalli

Punto di intasamento a freddo del filtro

Contenuto in fosforo

Punto di fumo Contenuto in cere

Intervallo di distillazione Essiccatività

Indice di rifrazione

Tab. 3.2 - Proprietà energetiche degli oli vegetali e del gasolio

Olio Vis

cosi

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(mm2/s) (40°C)

(kg/litro) (15°C) (°C) (°C) (°C) (%) (MJ/kg)

Arachide 39,0 0,90 271 -6 271 0,24 41,8 37,5

Colza 35,3 0,91 246 -30 246 0,27 37,6 37,1

Palma 42,0 0,92 267 23 267 - 38,0 36,6

Soia 31,5 0,92 254 -12 254 0,23 37,9 36,8

Mais 34,3 0,91 277 -40 277 0,24 37,6 36,8

Jatropha 36,0 0,94 210 4 295 1,00 38,0 36,7

Girasole 34,0 0,92 267 -15 274 0,23 37,0 37,3

Gasolio 2,9 0,85 68 -20 - 0,17 47,0 41,0

In particolare, la viscosità, nettamente più elevata nei primi, è un elemento di particolare rilievo nel definire il comportamento motoristico di un combustibile. Di fatto la viscosità influenza il comportamento dei sistemi di iniezione e, in ultima analisi, l’efficienza della trasformazione energetica e il suo mantenimento nel tempo. Più in particolare, un sistema di iniezione ben progettato e regolato per un dato combustibile produce, all’interno dei cilindri del motore, una buona mescolanza di gocce di combustibile di opportune dimensioni e aria nelle giuste proporzioni, tali da permettere una buona combustione e, parimenti, la minimizzazione degli inquinanti gassosi e dello sporcamento delle superfici metalliche e dell’olio lubrificante con particelle carboniose incombuste. E’ chiaro che venendo a mancare una delle condizioni alla base di una buona combustione, si innescano tutta una serie di fenomeni di accumulo di sostanze estranee che portano, in genere nel giro di poco tempo, a gravi danni del motore, oltre che provocare un certo impatto ambientale.Un altro parametro che influenza la qualità della combustione è la temperatura di distillazione che indica la facilità o meno del combustibile di vaporizzare all’interno della camera di combustione. Alti valori della temperatura di distillazione (bassa volatilizzazione) unitamente alla formazione di gocce di combustibile di dimensioni elevate sono alla base di fenomeni di combustione incompleta e di formazione di particelle carboniose, di condensati e di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) nei gas di scarico.Un’altra caratteristica di interesse pratico è il punto di solidificazione dell’olio che è in stretta relazione con le sue caratteristiche di fluidità e filtrabilità. Con l’avvicinarsi alla temperatura di solidificazione, di fatto, aumentano i rischi di bloccare il flusso di combustibile sulla linea di alimentazione al motore. Essendo

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caratterizzati gli oli vegetali da temperature di solidificazione piuttosto elevate sono quindi necessari sistemi di riscaldamento e/o l’uso di opportuni additivi. Il numero di cetano quantifica la facilità di un combustibile all’accensione; nel caso degli oli si evidenzia uno scostamento in difetto dai valori ritenuti ottimali, compresi nell’intervallo 40-50. Ciò generalmente indica una accensione irregolare (sotto l’effetto della pressione provocata dai pistoni del motore). Infine, il potere calorifico evidenzia la “densità energetica” di questi biocombustibili rispetto al gasolio. A causa del loro contenuto di ossigeno, gli oli vegetali presentano valori più bassi - mediamente inferiori del 15% se riferiti all’unità di massa e del 3-5% se riferiti all’unità di volume - rispetto al gasolio. Ciò sta ad indicare, a parità di lavoro sviluppato, consumi proporzionalmente superiori.Per avvicinare le caratteristiche degli oli vegetali ed animali a quelle del gasolio è tuttavia possibile utilizzarli in miscela con il gasolio o procedere ad un processo di transesterificazione. Nel primo caso, con percentuali ridotte degli oli (esempio: 10%), viscosità, numero di cetano e punto di congelamento vengono mantenuti in limiti accettabili. Nel secondo caso, a seguito di reazione chimica, le caratteristiche dell’olio vegetale si avvicinano in modo sorprendente a quelle del gasolio.

3.2 Utilizzo degli oli in caldaia

Gli oli possono essere utilizzati con bruciatori convenzionali in sostituzione del gasolio o di oli combustibili fossili per utilizzi industriali o per riscaldamento (Fig. 3.1). Ciò può essere di interesse per le seguenti motivazioni: - prezzo dell’olio spesso più

conveniente di quello del gasolio;- relativa facilità dell’applicazione,

soprattutto rispetto all’utilizzazione nei motori.

L’utilizzazione dell’olio vegetale/animale in caldaia può anche essere inserito in un’organizzazione di filiera agro-energetica molto semplice e che può chiudersi direttamente in ambito rurale, dove produttori di combustibile e utilizzatori possono essere molto vicini tra loro (o addirittura coincidere). Le modifiche necessarie per adattare i bruciatori per gasolio all’utilizzo di olio vegetale dovrebbero essere le seguenti: - adozione di una diversa geometria degli ugelli di atomizzazione per tenere

conto della maggiore viscosità dell’olio vegetale e della fiamma che risulta

più “lunga” a causa della differente curva di distillazione;- preriscaldamento del combustibile a temperature superiori ai 50°C (60-65°C),

mentre la pressione di atomizzazione dovrebbe essere di almeno 2 MPa.Nei riferimenti bibliografici sono riportati gli indirizzi di alcuni siti internet che riportano dei suggerimenti pratici.L’applicazione, sicuramente tra le più semplici, è anche poco rischiosa dal punto di vista commerciale e alcune case vendono prodotti specifici idonei all’utilizzo del prodotto in purezza.

3.3 Utilizzo degli oli in motori Diesel

L’utilizzo di oli vegetali come combustibili fu alla base dello sviluppo del motore diesel: nel 1900 all’Esposizione Universale di Parigi Rudolf Diesel presentò un piccolo motore capace di funzionare sia con olio fossile che con olio vegetale o animale. Pochi anni dopo il francese Gautier testò il comportamento di motori diesel marini (250/550 kW; 390/420 giri/min) alimentati con olio di arachide, di palma e di ricino. Le prove evidenziarono prestazioni termodinamiche superiori, anche se limitatamente, rispetto a quelle ottenute con alimentazione a olio minerale, accompagnate però da un aumento dei consumi (5%). Nella seconda guerra mondiale, olio di palma e di arachide furono utilizzati in Africa per alimentare motori di navi e di camion.Successivamente, con lo sviluppo tecnologico sia dei motori che dell’industria petrolifera che favorì nel tempo consumi energetici sempre più elevati a basso costo i combustibili vegetali furono abbandonati. Solo la crisi energetica degli anni settanta (avviata dalla guerra del Kippur) ha risvegliato l’interesse sull’argomento portando a nuove campagne di studi un po’ ovunque. Negli ultimi anni, poi, la questione ambientale legata al contenimento delle emissioni di CO

2

ha dato un ulteriore impulso sia alle attività scientifiche che industriali per la ricerca di combustibili alternativi. Tornando agli aspetti tecnici, l’architettura dei moderni motori diesel limita la possibilità di utilizzo di oli vegetali, grezzi o raffinati (Tab. 3.3), a meno di non procedere a delle sostanziali modifiche e seguire particolari accorgimenti. Alcune società (probabilmente ha un ruolo da pioniere nel settore la Elsbett Gmbh; un ulteriore esempio è la Global Oil Gmbh Company) hanno sviluppato dei sistemi (kit di conversione) per adattare numerosi motori di auto, camion e trattori all’utilizzo di olio vegetale raffinato. Informazioni dettagliate si possono trovare nei siti delle due società (www.elsbett.com; www.global-oil.eu).

Fig. 3.1 - Piccola caldaia con bruciatore opportunamente modificato per essere alimentato con olio vegetale

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LiTab. 3.3 - Problemi relativi all’impiego di oli vegetali, miscele olio-gasolio e biodiesel

in differenti tipi di motori a ciclo Diesel

Problemi

Olio vegetale grezzo

Olio vegetale additivato

Olio vegetale raffinato

Miscela olio-gasolio

Biodiesel

Iniezione Indiretta

Iniezione Diretta

Iniezione Indiretta

Iniezione Diretta

Iniezione Indiretta

Iniezione Diretta

Iniezione Indiretta

Iniezione Diretta

Iniezione Indiretta

Iniezione Diretta

Incompleta combustione ++ +++ ++ +++ + ++ + + - -

Formazione depositi ++ +++ + +++ ++ ++ + ++ - -

Occlusione filtro e condotti di alimentazione

+++ +++ +++ +++ + + ++ ++ +/- -

Irregolarità funzionamento pompa di iniezione

- +++ - +++ - ++ - ++ - -

Usura sistema di alimentazione

+ + + + + + + + +/- +/-

Contaminazione e diluizione olio lubrificante

++ ++ ++ ++ + ++ + ++ - +

Influenza: +++ elevata; ++ notevole; + scarsa; +/- ridotta; - nulla

Nelle figure che seguono (Fig. 3.2 e Fig 3.3) sono riportati degli esempi applicativi. Si deve comunque ricordare che in Italia, per motivi fiscali, non è consentito l’utilizzo di oli vegetali per autotrazione e le informazioni qui fornite hanno quindi esclusivamente valenza tecnica.

Fig. 3.2 - Gruppo elettrogeno alimentato ad olio vegetale

Fig. 3.3 - A sinistra motore di automobile e a destra un trattore modificati per essere alimentati ad olio vegetale raffinato

Nel caso della produzione di energia elettrica, invece, è formalmente possibile l’uso di oli vegetali che viene incentivata nel quadro dello sviluppo delle filiere agro-energetiche. Alcune case costruttrici, soprattutto del nord Europa, mettono a disposizione gruppi elettrogeni di quasi tutte le potenze. Esempi sono: Wartsila (www.wartsila.com) per grandi macchine (1-17 MW elettrici); Energiestro (www.energiestro.com) per quelle piccole (6-100 kW elettrici). Le taglie vantaggiosamente utilizzabili sono indicativamente attorno a 350 kW. Incrementando le potenze (da 350 kW ad oltre 1 MW), si passa da motori veloci – che solitamente operano a 1.500 giri/min – a motori medio-lenti, con velocità di 750 giri/min o ancora inferiori. In parallelo, variano anche i rendimenti elettrici (35-47%) che sono normalmente migliori nelle macchine più grandi (Tab. 3.4)

Tab. 3.4 - Rendimenti medi indicativi per gruppi elettrogeni di differente potenza

Potenza Rendimento Consumo di olio vegetale

MW elettrici % kg/kWh elettrico

0,20 - 0,35 35 - 38 0,25 - 0,28

1 - 2 45 - 47 0,20 - 0,22

>10 47 - 50 0,19 - 0,20

Per migliorare il rendimento energetico e parallelamente le prestazioni economiche, si tende sempre di più ad utilizzare sistemi in grado di sfruttare anche il “cascame” di calore prodotto dal motore e presente soprattutto nei gas di scarico e nell’acqua di raffreddamento. La produzione simultanea di energia elettrica e calore è definita “cogenerazione” (Fig. 3.4).Nel caso di produzione anche di freddo (ottenuto a partire dal calore e utilizzando frigoriferi ad assorbimento) si parla di “trigenerazione” (elettricità, energia termica ed energia frigorifera). Inoltre, per potenze elettriche maggiori di 5 MW, può risultare conveniente recuperare energia elettrica aggiuntiva dai gas di scarico impiegando delle macchine a ciclo Rankine a vapore acqueo o a fluidi organici (macchine ORC). In questo modo è possibile migliorare ulteriormente la resa energetica complessiva del gruppo elettrogeno.

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LiFig. 3.4 - Schema generale di un impianto di produzione di energia elettrica e calore

Una interessante realizzazione di cogenerazione a partire da olio vegetale ottenuto da girasole è stata effettuata da una società agro-energetica, la Komaros Agroenergie di Osimo, in provincia di Ancona (Fig. 3.5). La potenza elettrica installata è di 420 kW. Il calore prodotto in cogenerazione è utilizzato per coprire i fabbisogni termici di un impianto sportivo. Fig. 3.5 - Cogeneratore ad olio vegetale installato nei pressi di Ancona

SCHEDA 7 - Alcune problematiche dell’utilizzo degli oli vegetali nei motori diesel Il buon funzionamento della iniezione determina l’efficienza di combustione nei motori. Gli oli vegetali richiedono, rispetto al gasolio, temperature superiori per la loro vaporizzazione e la loro maggiore viscosità ostacola la corretta polverizzazione del combustibile che dovrebbe essere molto spinta. In pratica, con gli oli vegetali si ottengono tendenzialmente gocce più grosse di combustibile che presentano una certa difficoltà a vaporizzare e quindi ad incendiarsi.Se questi fattori non sono opportunamente controllati, la probabilità di formare dei depositi carboniosi è molto elevata e ciò va a discapito, in modo particolare, della pulizia degli iniettori, delle valvole, delle fasce elastiche del pistone e della funzionalità dell’olio lubrificante, oltre che a peggiorare la qualità delle emissioni. In queste condizioni, il motore presenta dei problemi (quasi sempre segnalati da una certa fumosità) che potrebbero diventare seri (grippaggi) solo dopo poche centinaia di ore di funzionamento. I moderni motori sono nella pratica tutti ad iniezione diretta e questa soluzione è preferita per la sua semplicità costruttiva e per il minore consumo di combustibile che la caratterizza (figura scheda 7.1). Nel caso dell’iniezione indiretta, oggi limitata ad applicazioni particolari, le varie problematiche sono meno evidenti per due motivi sostanziali: gli iniettori sono monogetto e autopulenti, mentre la precamera di combustione (le cui pareti sono incandescenti durante il funzionamento, figura scheda 7.2) permette di meglio vaporizzare il combustibile.

Gruppo elettrogeno

Cabina di trasformazione

Fig. scheda 7.1 - Motore ad iniezione diretta

Fig. scheda 7.2 - Motore ad iniezione indiretta

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3.4 Produzione di biodiesel

Il biodiesel è ottenuto per trans-esterificazione degli oli vegetali e animali. Si tratta di un processo chimico relativamente semplice che necessita di un alcol e di appositi catalizzatori e che ha la funzione di ridurre i trigliceridi (molecole pesanti che costituiscono oltre il 95% degli oli) in esteri (molecole indicativamente con massa pari a 1/3 di quella dei trigliceridi; Fig. 3.6). Il risultato più evidente è la drastica riduzione della viscosità che per gli esteri (biodiesel) è simile a quella del gasolio.

Tab. 3.5 - Caratteristiche di un gasolio e di un biodiesel

Caratteristiche Unità di misura Gasolio Biodiesel

Composizione – C10 – C21 HC C12 – C22 FAME

Potere calorifico inferiore

(MJ/ kg) 43,16 41,2

Viscosità cinematica (mm2/s) (40°C) 1,3 – 4,1 1,9 – 6,0

Densità ( kg/l) (15°C) 0,84 0,87

Temperatura di distillazione

(°C) 188 – 343 182 – 338

Punto di infiammabilità

(°C) 60 – 80 100 – 170

Punto di solidificazione

(°C) -35 – -15 -15 – 10

Numero di cetano – 40 – 55 48 – 65

Fig. 3.6 - Schema generale della reazione di transesterificazione utilizzando il metanolo come alcol

In Figura 3.7 le operazioni alla base del processo di trans-esterificazione e i vari prodotti in entrata e in uscita del processo.

Fig. 3.7 - Processo di produzione del biodiesel

Materie primePer la produzione di biodiesel vengono utilizzati principalmente gli oli di soia, colza, palma e girasole. L’alcol più comunemente usato è il metanolo, generalmente di origine fossile, sebbene possano essere utilizzati altri alcol, come l’etanolo, ottenuti da fonti rinnovabili. Il fattore principale per valutare la qualità dell’alcol da utilizzare è il contenuto d’acqua che interferisce con la transesterificazione determinando basse conversioni e alti quantitativi di sapone. Purtroppo tutti gli alcol utilizzati, alternativi al metanolo, sono fortemente igroscopici e tendono quindi ad assorbire acqua dall’aria. L’etanolo in particolare rende più difficoltoso il recupero dell’alcol in eccesso e il suo successivo riutilizzo. Questo è uno dei motivi principali, oltre a quello economico, che motivano la diffusa utilizzazione del metanolo.I catalizzatori possono essere alcali (idrossido di sodio ed idrossido di potassio), acidi (acido solforico, acidi sulfonici o acido cloridrico) o enzimi (lipasi). L’adozione delle differenti tipologie di catalisi è in relazione al tipo di matrice su cui devono operare e al tipo di prodotto che si deve ottenere. Ad esempio, a fronte di bassi costi, dalle reazioni con catalisi acida e basica si ottengono prodotti, metilesteri e glicerina, che richiedono una purificazione spinta. Questo ipoteca i possibili successivi riutilizzi della glicerina. Sussiste molto interesse, soprattutto

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in ambito scientifico, anche nell’impiego di catalizzatori enzimatici per la produzione di metilesteri, tuttavia, per il costo elevato, l’applicazione di tale tecnologia è generalmente limitata. A livello commerciale, più diffusa è la catalisi basica perché sviluppa reazioni più rapide ed ha una minore azione corrosiva nei confronti degli impianti.

Sistemi di produzioneLa scelta del sistema da adottare per la produzione di biodiesel dipende da più fattori: capacità produttiva di progetto; qualità e tipologia dei materiali da trattare; sistemi di recupero dell’alcol e del catalizzatore. In generale, negli impianti di piccola taglia è conveniente l’utilizzo di sistemi discontinui, mentre quelli continui sono utilizzati solo nei grandi impianti. Nella scheda 8 vengono descritte le diverse tipologie di processo.

Fig. 3.8 - Impianto per la produzione di biodiesel sito in provincia di Verona (www.marsegliagroup.com)

SCHEDA 8 - Processi di produzione del biodiesel Processo discontinuoLa tipologie di impianto più semplici sono basate su reattori discontinui (batch) in pressione oppure atmosferici. Sono sempre presenti sistemi per il recupero dell’alcol che viene utilizzato in eccesso (circa il doppio del necessario) per facilitare la reazione. Le temperature operative con uso di metanolo sono di circa 60-65°C. Il catalizzatore più utilizzato è l’idrossido di sodio, ma vengono utilizzati anche l’idrossido di potassio e il metossido di sodio.Tipicamente, l’olio viene caricato nel reattore, riscaldato alla temperatura scelta e vengono aggiunti alcol e catalizzatore. E’ necessaria una efficace agitazione all’inizio del processo per portare in intimo contatto olio, alcol e catalizzatore. Durante la reazione (che dura meno di un’ora) il sistema viene mantenuto in agitazione mentre al termine viene sospesa per lasciare separare la glicerina. Gli esteri ottenuti vengono lavati con acqua leggermente acida per neutralizzare il catalizzatore usato e per rimuovere il metanolo residuo e i sali formati durante il processo. Infine si opera l’asciugatura a cui segue lo stoccaggio finale. Il glicerolo, co-prodotto della reazione, può essere sottoposto a processi di raffinazione più o meno sofisticati in dipendenza del tipo di utilizzo previsto.

Processo continuoUna variazione del processo discontinuo consiste nell’utilizzare più reattori agitati collegati in serie (sistema semicontinuo). È essenziale consentire un flusso tra i reattori tale da permettere il mantenimento, in ciascuno di essi, di una composizione chimica essenzialmente costante. Esistono poi vari processi continui che utilizzano un intenso mescolamento, prodotto con pompe o mixer, per accelerare la reazione che viene condotta in reattori di forma tubolare a temperature e pressioni molto elevate consentendo di ottenere ottime conversioni in tempi brevi (anche 10 minuti).

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LiVarianti innovative

Produzione di biodiesel mediante tecnologia ad ultrasuoni: questa tecnologia consiste nell’uso di onde sonore di frequenza maggiore al campo udibile dall’orecchio umano (20 kHz). Il processo mediante ultrasuoni sfrutta queste onde per rendere particolarmente intense le interazioni tra olio, alcol e catalizzatore e determinare quindi un sostanziale aumento della velocità di reazione. La tecnologia potrebbe apportare quindi diversi vantaggi:- possibilità di modificare il processo discontinuo in continuo riducendo così

sia i costi operativi che quelli di impianto;- riduzione dei tempi di reazione e di quelli di separazione della glicerina dal

biodiesel;- riduzione fino al 50% della quantità di alcol richiesto per la transesterificazione;- incremento di purezza della glicerina ottenuta dovuto alla minor quantità di

reagenti e catalizzatore utilizzati nel processo.Un impianto sperimentale ad ultrasuoni è stato realizzato presso l’area di Agro-Ingegneria del Dipartimento SAIFET dell’Università Politecnica delle Marche (Fig. scheda 8.1 e 8.2). I risultati ottenuti sono molto interessanti.

Fig. scheda 8.1 - Schema dell’impianto sperimentale per la produzione in continuo/discontinuo di biodiesel con ultrasuoni (non sono rappresentati il sistema di riscaldamento e quello di condensazione)

Fig. scheda 8.2 – Impianto sperimentale per lo studio del processo di produzione di biodiesel mediante sonicazione

Sistemi non catalizzati: quando un fluido viene sottoposto a temperature e pressioni superiori al suo punto critico acquisisce particolari proprietà.Non si ha più una distinzione tra liquido e vapore, ma si ottiene una singola fase fluida. In queste condizioni i solventi che contengono un gruppo ossidrilico (OH), come l’acqua e gli alcol primari, mostrano le proprietà dei super-acidi. Un approccio non catalitico per la produzione di biodiesel è quello di utilizzare alti rapporti alcol:olio (anche 40:1) e spingere temperatura e pressione oltre i valori critici (T>350°C e P>80 atm). La reazione, in queste condizioni va a completamento in pochi minuti, ma per ora i costi legati all’utilizzo delle tecnologie necessarie non rendono questa metodologia competitiva rispetto alle altre.

Fig. scheda 8.3 - Reattore funzionante presso il laboratorio del dipartimento SAIFET in grado di portare liquidi sopra i punti critici

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4. asPetti amBientaLi

L’utilizzo di biocombustibili è indicato come una delle vie per ridurre l’impatto delle attività umane nell’alterazione degli equilibri ambientali. Tuttavia se ciò trova una corretta corrispondenza a livello di CO

2 prodotta (vedi primo volume:

“Biomasse ad uso energetico”, SCHEDA 5 - I serbatoi di carbonio, la CO2 e i gas serra, pp. 36-41), non è sempre così per quanto riguarda gli effetti della combustione, caratterizzata da emissioni come per i combustibili fossili. Pertanto, al fine di rendere effettiva la loro funzione positiva, è necessario prevedere un’attenta depurazione dei fumi.

4.1 Prodotti della combustione

Nella realtà, durante il processo di combustione, oltre alla produzione di energia, anidride carbonica ed acqua si generano anche sostanze indesiderate. Ciò si verifica perché:- gli oli non sono mai costituiti al 100% da gliceridi (composti da carbonio,

idrogeno e ossigeno) ma anche da vari componenti minori che presentano nella loro struttura elementi che, in funzione della temperatura e di altri fattori, possono determinare l’emissione di prodotti indesiderati (ossidi di azoto, ossidi di zolfo, ceneri);

- il comburente (ossigeno, O2) non entra mai puro nella camera di combustione;

ad entrare è in realtà aria atmosferica che, come è noto, è composta da circa il 78% di azoto (N

2), da quasi il 21% di ossigeno (O

2) e altri componenti in

quantità minori (0,9% di argon “Ar”; 0,03% di anidride carbonica “CO2”)1;

l’azoto atmosferico, alle alte temperature di combustione, tende a reagire con l’ossigeno causando la formazione di ossidi di azoto.

- nella camera di combustione la miscelazione tra combustibile e comburente non è perfetta e ciò determina una reazione parzialmente completa con emissione di “incombusti”, prodotti carboniosi non completamente ossidati (CO, aldeidi, alcani, alcheni, composti aromatici, IPA).

1 La composizione riportata è quella dell’aria secca al suolo. In realtà l’aria contiene anche umidità in percentuale variabile, compresa mediamente tra lo 0% a -40°C e il 5-7% a 40°C.

SCHEDA 9 - Sottoprodotti della combustioneBiossido di carbonio (meglio noto come anidride carbonica - CO2): è il prodotto principale della combustione dei composti organici (carbone, legno, olio, biocarburanti, petrolio e carburanti fossili) ed è alla base del fenomeno dell’“effetto serra”. È un gas incolore e inodore; non è tossico in sé, ma non è respirabile e quindi in ambiente saturo può provocare la morte per asfissia.

Monossido di carbonio (CO): è un composto che si genera nelle zone della camera di combustione dove la quantità di combustibile è troppo elevata in rapporto all’aria e quindi all’ossigeno. È un “incombusto” ed è indice della qualità di combustione. Il monossido di carbonio è inodore, incolore, insapore e anche tossico. Alte concentrazioni possono provocare nell’uomo lo stato di incoscienza e persino la morte per asfissia

Ossidi d’azoto (NOx): sono il risultato delle alte temperature raggiunte nella camera di combustione (sopra i 1200°C, la loro presenza è significativa) in presenza di eccesso di aria e quindi di ossigeno e azoto. In piccola parte possono essere dovuti all’azoto organico contenuto nel combustibile (trascurabile in oli e biodiesel). Interagendo con l’umidità atmosferica possono formare acido nitroso e acido nitrico ed essere quindi responsabili delle cosiddette “piogge acide”.Gli NO

x appaiono in condizioni opposte a quelle che causano la creazione di

particolato e CO e il loro controllo non è agevole.

Ossidi di zolfo (SOx): si formano in presenza di zolfo nel combustibile e sono generalmente costituiti al 98% da diossido di zolfo (o anidride solforosa – SO

2) mentre il resto è triossido di zolfo (SO

3). Come

gli NOx, anche gli SO

x sono precursori di composti

acidi (responsabili dell’acidificazione delle piogge). La principale fonte di inquinamento è costituita dalla combustione di combustibili fossili (carbone e derivati del petrolio), in cui lo zolfo è presente come impurezza, mentre i combustibili vegetali, che sono caratterizzati da un bassissimo contenuto di zolfo, sono sicuramente preferibili da questo punto di vista. Il biossido di zolfo è un forte irritante delle vie respiratorie; un’esposizione prolungata a concentrazioni anche minime può comportare faringiti, affaticamento e disturbi a carico dell’apparato sensorio.

Composti organici volatili (COV): fanno parte del più vasto raggruppamento

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degli idrocarburi dei quali costituiscono la frazione volatile. I composti organici volatili comprendono tutte le sostanze organiche d’origine naturale o antropica che si trovano nell’aria allo stato di vapore o di gas. Comprendono anche aldeidi (formaldeide e acetaldeidi), alcani, alcheni, composti aromatici (benzene 1-3 butadiene, toluene), molti dei quali sono conosciuti come cancerogeni. Concorrono alla produzione dello smog fotochimico. Dei composti organici volatili fa parte anche la frazione volatile degli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici). I composti organici volatili presenti nei gas esausti provengono principalmente dalla combustione incompleta di molecole di combustibile e olio lubrificante. Esiste, a proposito di tali composti, un grande interesse legato soprattutto alla responsabilità che questi hanno in merito ai cambiamenti climatici e alla loro pericolosità nei confronti dell’ambiente e della salute umana

Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA): fanno parte dei composti organici aromatici, quindi degli idrocarburi totali, e sono composti organici principalmente a 2-4 anelli aromatici. Sono precursori dei Nitro-IPA, altamente mutageni. Gli idrocarburi policiclici aromatici a 2 anelli si trovano sempre nella fase gassosa mentre quelli a tre o quattro anelli aromatici si possono trovare in parte allo stato gassoso, in parte adsorbiti sulla superficie del particolato.

Particolato (PM): Il PM dei gas di scarico contribuisce dal 50 al 90% al potenziale mutageno totale dei gas stessi. La fase solida è formata principalmente da aggregati, simili a spugne, di particelle sferiche a base di carbonio, ceneri (cioè materiale minerale incombustibile), eventuali sostanze organiche adsorbite e solfati inorganici. Tutti questi elementi possono essere combinati con altre sostanze condensate, e si misurano in PM10, PM2,5 e PM1.

Tab. scheda 9.1 - Emissioni di gas inquinanti nella produzione di energia elettrica con gruppi elettrogeni alimentati con diversi combustibili

Emissione Unità di misura Olio fossile Olio di palma raffinato Stearina

NOx

ppm, dry, al 15% di O2

860 1050 960

CO ppm, dry, al 15% di O2

40 30 40

THC (CH4) ppm, dry, al 15% di O2

80 30 20

SO2

ppm, dry, al 15% di O2

463 <2 <2

CO2

vol% 5,46 0,0* 0,0*

* Si considera pari a zero per il concetto della rinnovabilità

Tab. scheda 9.2 - Destino delle emissioni gassose in atmosfera

Composto chimico Prodotto della trasformazione in atmosfera

Ossidi di azoto Acido nitrico, ozono

Biossido di zolfo Acido solforico

Alcani Aldeidi, alchil-nitrati, ketoni

Alcheni Aldeidi, chetoni

Formaldeide Monossido di carbonio, radicali di idroperossi

Aldeidi Perossiacetil nitrato

Composti organici monociclidi Idrossilati e nitroidrossilati

IPA ≤ anelli Nitro-IPA 4 anelli

Nitro IPA 2 - 3 anelli Nitro-idrossilati derivati

Il grande interesse dell’opinione pubblica in materia di emissioni è legato soprattutto alla pericolosità di queste nei confronti e dell’ambiente e della salute umana. Ciò, di conseguenza, ha visto crescere anche l’interesse verso forme di energia più sostenibili.Gli oli vegetali, i grassi animali e il biodiesel, ad esempio, grazie alle loro caratteristiche chimico-fisiche, risultano complessivamente meno impattanti rispetto agli oli fossili, sia in termini di emissioni di anidride carbonica che di anidride solforosa ma, per contro, presentano nei fumi un livello superiore di ossidi di azoto e di COV. La legge prevede quindi, in particolare per impianti di dimensioni relativamente grandi, l’adozione di opportuni sistemi per l’abbattimento delle emissioni indesiderate.

Fig. scheda 9.1 - Monitoraggio delle emissioni di un gruppo elettrogeno alimentato ad olio vegetale condotto dall’area di Agro-Ingegneria del dipartimento SAIFET dell’Università Politecnica delle Marche

Composizione media del particolato:• Carbonio 88,3%• Ossigeno 4,9%• Idrogeno 2,6%• Zolfo 2,5%• Metalli 1,2%• Azoto 0,5%

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4.2 Metodi di abbattimento delle emissioni

I fumi prodotti dalla combustione di grassi vegetali e di biodiesel sono caratterizzati da elevati contenuti di NO

x e in certi casi di CO. Nel caso di motori di taglia ≤ 1

MWt (350 kWe) le emissioni di questi composti non sono ritenute significative dalla normativa vigente. Nel caso, invece, di taglie superiori ad 1 MWt, la legge (D.Lgs. 152/2003) impone dei limiti che non devono essere superati e rende, quindi, generalmente necessaria l’applicazione di sistemi di abbattimento delle emissioni. Per ridurre significativamente le emissioni di CO è sufficiente utilizzare un catalizzatore ossidativo. In genere i piccoli impianti di cogenerazione sono equipaggiati all’origine con catalizzatori di questo tipo (particolarmente efficienti nei motori a ciclo Diesel poiché la combustione avviene in eccesso di ossigeno). Per ridurre invece gli NO

x esistono diversi metodi di abbattimento: metodi primari,

in grado di prevenire la loro formazione nei cilindri, e metodi secondari, per rimuovere gli NO

x dai fumi. I metodi primari consistono sostanzialmente in

interventi mirati al miglioramento del processo di combustione; i metodi secondari sono vari ed impiegano per lo più soluzioni di tipo SCR - “Selective Catalytic Reduction” (Riduzione Catalitica Selettiva), sistema in grado di ridurre gli NO

x

dell’ 85-90%. Il processo prevede l’aggiunta nei gas di scarico, a monte di un convertitore catalitico, di un agente riducente (una soluzione di ammoniaca o di suoi precursori, come l’urea) a temperature variabili tra 180 e 450 °C (il campo di temperatura ottimale dipende dal catalizzatore utilizzato) - o di tipo SNCR - “Selective Not Catalytic Reduction” (Riduzione Selettiva Non Catalitica), sistema più semplice ma meno efficace che consiste nell’immissione diretta dell’ ammoniaca in camera di combustione.

SCHEDA 10 - Riduzione degli ossidi di azoto con processi cataliticiI processi più efficaci per la rimozione degli ossidi di azoto sono senz’altro quelli che si basano sulla riduzione catalitica selettiva. Allo stato attuale, l’unico processo che ha trovato larga diffusione è quello che prevede l’impiego di un catalizzatore a base di pentossido di vanadio e di ammoniaca. Questo processo rappresenta la soluzione ottimale ai problemi di emissioni contenenti NO

x, determinando inoltre il minore impatto

ambientale tra le tecnologie attualmente disponibili. La riduzione catalitica selettiva infatti, a differenza di altri processi, non dà luogo a nessun tipo di effluente liquido e non immette in atmosfera sostanze diverse da quelle normalmente presenti.Questo metodo, ancora poco diffuso in Italia, è ormai diventato uno standard in nord Europa e negli Stati Uniti per la depurazione delle emissioni da motori a ciclo Diesel. Il processo SCR è, allo stato attuale delle conoscenze, l’unico in grado di adeguare le emissioni dei motori Diesel alle sempre più restrittive normative in termini di emissioni di ossidi di azoto. In genere si interviene con dispositivi SCR a valle del trattamento effettuato con catalizzatori ossidativi o a doppio stadio (per la rimozione contemporanea di CO e particolato).In alcune applicazioni, è necessario un ulteriore stadio per l’eliminazione catalitica dell’ammoniaca in eccesso, eventualmente rilasciata dal catalizzatore SCR, anche se si tratta di una necessità poco frequente.

Il processo SCRIl processo di riduzione catalitica selettiva degli ossidi di azoto, meglio conosciuto come “Processo SCR”, consente di eliminare NO ed NO

2 dalle emissioni gassose

trasformandoli in composti inerti nei confronti dell’ambiente, quali azoto e vapore acqueo. Trattandosi di un processo che opera a temperature superiori ai 200°C è particolarmente indicato per l’eliminazione degli NO

x termici. Il processo SCR si

basa su una serie di reazioni chimiche che porta all’eliminazione degli ossidi di azoto per reazione con l’ammoniaca e l’ossigeno contenuto nella corrente da depurare e alla formazione di azoto (N

2). L’ammoniaca può essere dosata

direttamente o ricavata da una soluzione di urea. Le reazioni implicate sono tutte fortemente esotermiche.L’efficienza di rimozione dipende fortemente dal rapporto NH

3/NO in

Fig. scheda 10.1 - Reattore catalitico SCR installato a valle di 4 gruppi elettrogeneratori da 1,2 MW (in corrispondenza del camino è visibile la stazione di prelievo per le analisi in continuo delle emissioni)

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alimentazione; di norma viene utilizzato un valore prossimo a quello stechiometrico (pari a 1). Elevati valori del suddetto rapporto consentono di ottenere alte efficienze di rimozione, che però possono dare origine a emissioni indesiderate di ammoniaca non reagita nei fumi.

Fig. scheda 10.2 - Schema di un impianto con reattore catalitico SCR per la riduzione degli NOx1-ingresso fumi di scarico; 2-tramoggia urea tecnica granulare; 3-3b-agitatori soluzioni urea; 4-pompa regolata elettronicamente; 5-aria compressa; 6-ugello nebulizzatore; 7-reattore catalitico; 8-analizzatore in continuo; 9-ventilatore; 10-camino espulsione

4.3 Sostenibilità - Direttiva 2009/28/CE (Renewable Energy Directive)

Lo sviluppo del settore delle biomasse ad utilizzo energetico ha determinato negli ultimi anni l’insorgere di interrogativi a proposito degli effetti della produzione di biocarburanti (in particolare quelli di prima generazione, derivati cioè dalla materia prima ottenuta da coltivazioni convenzionali, come ad esempio: semi di oleaginose, granella di cereali, canna da zucchero) sul costo dei prodotti alimentari e sull’effettivo guadagno, in termini di sostenibilità, rispetto ai combustibili fossili. Queste problematiche sono emerse perché, a fronte di produzioni crescenti, larga parte delle materie prime sono importate, con minor coinvolgimento dell’agricoltura locale e con il rischio di creare impatti ambientali, economici e sociali negativi nei paesi terzi, generalmente Paesi in via di sviluppo, dove viene effettuata la loro coltivazione.

SCHEDA 11 - Che cosa si intende per sostenibilitàImportante è la definizione dei concetti di “Sostenibilità” e “Sviluppo Sostenibile”. Nel Rapporto “Our Common Future” (1987) della World Commission on Environment and Development (Commissione Bruntland), lo Sviluppo Sostenibile “garantisce i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”.Tale concetto può essere applicato a diversi ambiti, in particolare a quello energetico, ambientale, economico, sociale, e ben si lega alle produzioni agro-energetiche che, se opportunamente indirizzate, possono svolgere un ruolo fondamentale nel promuovere lo sviluppo sostenibile soprattutto delle realtà rurali e, allo stesso tempo, nel ridurre le emissioni inquinanti e la dipendenza energetica da paesi politicamente instabili, causa di insicurezza nelle forniture energetiche.

La crescita della produzione e dell’utilizzo di biomassa come fonte di energia rinnovabile ha creato un mercato internazionale di materie prime con questa destinazione. Ciò può offrire, da un lato, opportunità vantaggiose ai vari paesi coinvolti: per molti paesi importatori, infatti, l’approvvigionamento è un requisito indispensabile per raggiungere gli obiettivi autoimposti e per i paesi esportatori, specialmente quelli in via di sviluppo, i mercati in cui esportare sono necessari per avviare il processo di industrializzazione. Dall’altro lato, però, si deve sottolineare come la produzione possa comportare anche effetti collaterali negativi, sia sul piano ambientale che sociale.Alcuni esempi di questi fenomeni negativi sono:- deforestazione,- distruzione di riserve naturali, - perdita di biodiversità, - conflitti per l’uso del terreno, - spostamento di popolazioni,

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- condizioni di lavoro inaccettabili; - pressioni sul prezzo dei prodotti alimentari.Oltre a ciò l’impiego del biocarburante o del biocombustibile deve contribuire effettivamente a ridurre le emissioni di gas a effetto serra (GHG - GreenHouse Gas). Sarebbe infatti un controsenso se la produzione e l’utilizzo di fonti rinnovabili causasse più emissioni di GHG rispetto a quelle prodotte dal combustibile fossile sostituito. Premesso ciò, risulta ovvio che le Organizzazioni Non Governative (ONG) e i soggetti politici a vari gradi richiedano fortemente un sistema di applicazione generale e appropriato per valutare e certificare gli impatti di tali attività e quindi la loro sostenibilità.L’esigenza di promuovere lo sviluppo sostenibile delle fonti rinnovabili ha quindi portato, negli ultimi anni, ad una serie di iniziative a livello mondiale (protocolli di produzione, certificazioni), sia ad opera dei governi che ad opera di altri enti e associazioni con interessi diversi (ad es. agricoltura, trasporti, industria). Il lavoro in atto è quindi notevole, ma forse troppo disperso tra le diverse Organizzazioni, il che rende difficile un reale coordinamento tra le iniziative. La Direttiva RED (Renewable Energy Directive - 2009/28/CE) è lo strumento di cui si è dotata la Comunità Europea per definire la politica di promozione delle energie prodotte da fonti rinnovabili, in particolare dei biocarburanti. In pratica, viene imposta “dall’alto” una regolamentazione degli standard di sostenibilità della biomassa ad uso energetico e vengono quindi definiti gli strumenti concreti per valutarla.Nella Direttiva sono:- indicati gli obiettivi in termini di percentuale di sostituzione dei combustibili

fossili;- individuati i criteri di sostenibilità a cui le filiere di produzione devono

conformarsi, pena il mancato riconoscimento di rinnovabilità dell’energia. Obiettivo complessivo comunitario è il raggiungimento del 20% di energia da fonti rinnovabili rispetto al totale di energia consumata entro il 2020 e pone obiettivi individuali per ogni Stato membro (ad esempio, per l’Italia è stato fissato il 17%), in modo da tenere conto delle diverse situazioni di partenza e le possibilità degli Stati membri, compreso il livello attuale dell’energia da fonti rinnovabili e il mix energetico.I biocarburanti e le biomasse liquide ad uso energetico dovranno soddisfare dei criteri di sostenibilità per essere conteggiabili, al fine del raggiungimento degli obiettivi nazionali e per beneficiare di sostegni finanziari. In particolare è definita una soglia minima di risparmio delle emissioni di CO

2eq (vengono considerati i

principali gas serra: CO2, CH

4, N

2O) ottenuto impiegando il biocombustibile in

sostituzione dei combustibili fossili. Inoltre, per valutare l’entità di tale risparmio, si confrontano le emissioni prodotte nelle filiere di produzione del biocombustibile e del combustibile fossile sostituito. La Direttiva ha carattere di grande praticità e pone il lettore nella condizione di potere calcolare la sostenibilità di una determinata filiera. Infatti negli allegati

della RED sono riportati:- risparmi tipici (stima del valore reale) e standard (valore conservativo) relativi

alle filiere conosciute per la produzione dei biocarburanti (Tab. 4.2); - fattori di emissione disaggregati, relativi alle singole fasi che compongono il

ciclo di vita del biocombustibile (coltivazione, produzione, trasporto e distribuzione - Tab. 4.3, 4.4, 4.5) espressi in gCO

2eq/MJ ovvero in emissioni

di gas serra per unità di energia prodotta; - una formula per il calcolo delle emissioni della filiera, consistente nella

somma algebrica dei valori parziali corrispondenti alle varie fasi di processo e ad aspetti particolari.

In riferimento ai valori riportati nella RED, le filiere agro energetiche possono dare dei risparmi di emissione molto diversi a seconda della tipologia di materia prima utilizzata. Utilizzando gli allegati della Direttiva, è stato analizzato il caso di una filiera per la produzione di biodiesel (la sua schematizzazione è rappresentata in Fig. 4.1) localizzandola nella Regione Marche.

Fig. 4.1 - Esemplificazione di una filiera semplificata per la produzione di biodiesel, che prevede la messa a coltura di 1200 ha a girasole ed un’unita di trasformazione di 1000 t/anno di biodiesel prodotto

Le tre differenti fasi della filiera (coltivazione, estrazione, esterificazione) sono state analizzate separatamente, verificando le emissioni di CO

2 attribuibili ad ogni

unità di prodotto ottenuto. Nella Tab. 4.1 sono riportati i risultati complessivi delle emissioni relative:• alla filiera utilizzata dalla Direttiva per stabilire i valori “tipici” delle differenti

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fasi della filiera;• alla filiera semplificata marchigiana, utilizzando quale fase di campo un

itinerario colturale praticato in Regione.

Tab. 4.1 - Bilanci di emissione della filiera semplificata e di quella tipica RED

Fase

Emissioni gas serra filiera semplificata

Emissioni gas serra filiera tipica RED

gCO2eq/MJ Biodiesel gCO2eq/MJ Biodiesel

Coltivazione 19,02 17,95

Essiccazione 0,38 0,38

Trasporto 0,17 0,17

Estrazione 1,41 2,76

Raffinazione 0,06 0,70

Esterificazione 11,96 11,48

Trasporto 1,26 1,26

TOTALE 34,25 34,70

Dai risultati ottenuti emerge come la maggior variabilità sulle emissioni di gas serra sia dovuta alla fase di coltivazione e, in particolare, al consumo di gasolio e al bilanciamento tra input di fertilizzante azotato e resa. Relativamente alla fase di estrazione si può affermare come in assoluto non abbia un impatto significativo in termini di emissioni di gas serra. Questo risulta ancor più evidente nella filiera semplificata dove l’estrazione meccanica emette la metà di emissioni di gas serra rispetto alla corrispondente fase di estrazione con solvente della filiera RED.La fase di esterificazione, infine, pur avendo un impatto significativo, fino al 35% delle emissioni totali di gas serra della filiera, non è caratterizzata dalla variabilità della fase di coltivazione. Al contrario, sia la fase di esterificazione tipica della RED che quella considerata nel lavoro sperimentale (trasformazione semplificata) determinano emissioni di gas serra molto simili. Per quanto riguarda il risparmio di emissione di gas serra, seguendo il metodo di calcolo indicato nella Direttiva RED e utilizzando i valori dei bilanci di CO

2

esposti in tabella, si ottiene che per la filiera di riferimento può essere realizzato un risparmio in gas climalteranti rispetto al consumo di fonti fossili pari al 58% per la filiera tipica di riferimento e del 59% per la filiera semplificata regionale considerata. I valori trovati per la filiera del biodiesel a partire dal girasole si collocano ben oltre il risparmio del 35% in emissioni di CO

2, Considerando una

filiera di produzione di energia elettrica da olio di girasole i valori di risparmio ottenuti si ipotizzano sicuramente più elevati, perché non gravata delle emissioni relative, in particolare, alla fase di esterificazione.Per concludere l’approfondimento consente di affermare che le filiere olio-energia regionali, oltre ad essere tecnicamente fattibili, sono anche pienamente sostenibili dal punto di vista ambientale.

Tab. 4.2 - Emissioni tipiche e standard dei biocarburanti se prodotti senza emissioni nette di carbonio a seguito della modifica della destinazione dei terreni e corrispondenti riduzioni

Filiera di produzione dei biocarburanti e dei bioliquidi

Emissioni tipiche di gas serra

Emissioni standard di

gas serra

Riduzione tipica

emissioni

Riduzione standard emissioni

gCO2eq/MJ gCO2eq/MJ % %

etanolo da barbabietola da zucchero 33 40 61 52

etanolo da cereali (combustibile di processo non specificato)

57 70 32 16

etanolo da cereali (lignite come combustibile di processo in impianti di cogenerazione)

57 70 32 16

etanolo da cereali (metano come combustibile di processo in caldaie convenzionali)

46 55 45 34

etanolo da cereali (metano come combustibile di processo in impianti di cogenerazione)

39 44 53 47

etanolo da cereali (paglia come combustibile di processo in impianti di cogenerazione)

26 26 69 69

etanolo da granturco, prodotto nella Comunità (metano come combustibile di processo in impianti di cogenerazione)

37 43 56 49

etanolo da canna da zucchero 24 24 71 71

la frazione dell’ETBE prodotta da fonti rinnovabili

analoga a quella della filiera di produzione

dell’etanolo la stessa dell’etanolo

la frazione del TAEE prodotta da fonti rinnovabili

analoga a quella della filiera di produzione

dell’etanolo la stessa dell’etanolo

biodiesel da semi di colza 46 52 45 38

biodiesel da semi di girasole 35 41 58 51

biodiesel da soia 50 58 40 31

biodiesel da olio di palma (processo non specificato)

54 68 36 19

biodiesel da olio di palma (processo con cattura di metano all’oleificio)

32 37 62 56

biodiesel da rifiuti vegetali o animali* 10 14 88 83

olio vegetale idrotrattato da semi di colza 41 44 51 47

olio vegetale idrotrattato da semi di girasole 29 32 65 62

olio vegetale idrotrattato da olio di palma (processo non specificato)

50 62 40 26

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olio vegetale idrotrattato da olio di palma (processo con cattura di metano all’oleificio)

27 29 68 65

olio vegetale puro da semi di colza 35 36 58 57

biogas da rifiuti urbani organici come metano compresso

17 23 80 73

biogas da letame umido come metano compresso

13 16 84 81

biogas da letame asciutto come metano compresso

12 15 86 82

* escluso l’olio animale prodotto a partire da sottoprodotti di origine animale classificati come materiali di categoria 3 in conformità del regolamento (CE) 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 ottobre 2002, recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano.

Tab. 4.3 - Valori standard disaggregati per la coltivazione: «eec» come definito nella parte C dell’allegato V alla RED

Filiera di produzione dei biocarburanti e dei bioliquidi

Emissioni tipiche di gas serra

Emissioni standard di gas serra

gCO2eq/MJ gCO2eq/MJ

Etanolo da barbabietola da zucchero 12 12

Etanolo da cereali 23 23

Etanolo da granturco, prodotto nella Comunità 20 20

Etanolo da canna da zucchero 14 14

la frazione dell’ETBE prodotta da fonti rinnovabili analoga a quella della filiera di

produzione dell’etanolo

la frazione del TAEE prodotta da fonti rinnovabili analoga a quella della filiera di

produzione dell’etanolo

Biodiesel da semi di colza 29 29

Biodiesel da semi di girasole 18 18

Biodiesel da soia 19 19

Biodiesel da olio di palma 14 14

Biodiesel da rifiuti vegetali o animali (*) 0 0

olio vegetale idrotrattato da semi di colza 30 30

olio vegetale idrotrattato da semi di girasole 18 18

olio vegetale idrotrattato da olio di palma 15 15

olio vegetale puro da semi di colza 30 30

biogas da rifiuti urbani organici come metano compresso

0 0

biogas da letame umido come metano compresso 0 0

biogas da letame secco come metano compresso 0 0

Tab. 4.4 - Valori standard disaggregati per il trasporto e la distribuzione: «etd» come definito nella parte C dell’allegato V alla RED

Filiera di produzione dei biocarburanti e dei bioliquidi

Emissioni tipiche di gas

serra

Emissioni standard di

gas serra

gCO2eq/MJ gCO2eq/MJ

Etanolo da barbabietola da zucchero 2 2

Etanolo da cereali 2 2

Etanolo da granturco, prodotto nella Comunità 2 2

Etanolo da canna da zucchero 9 9

la frazione dell’ETBE prodotta da fonti rinnovabili analoga a quella della filiera di produzione dell’etanolo

la frazione del TAEE prodotta da fonti rinnovabili analoga a quella della filiera di produzione dell’etanolo

Biodiesel da semi di colza 1 1

Biodiesel da semi di girasole 1 1

Biodiesel da soia 13 13

Biodiesel da olio di palma 5 5

Biodiesel da rifiuti vegetali o animali 1 1

olio vegetale idrotrattato da semi di colza 1 1

olio vegetale idrotrattato da semi di girasole 1 1

olio vegetale idrotrattato da olio di palma 5 5

olio vegetale puro da semi di colza 1 1

biogas da rifiuti urbani organici come metano compresso 3 3

biogas da letame umido come metano compresso 5 5

biogas da letame secco come metano compresso 4 4

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eTab. 4.5 - Valori standard disaggregati per la lavorazione (inclusa l’elettricità eccedentaria): «ep - eee» come definito nella parte C dell’allegato V alla RED

Filiera di produzione dei biocarburanti e dei bioliquidi

Emissioni tipiche di gas

serra

Emissioni standard di

gas serra

gCO2eq/MJ gCO2eq/MJ

Etanolo da barbabietola da zucchero 19 26

Etanolo da cereali (combustibile di processo non specificato) 32 45

Etanolo da cereali (lignite come combustibile di processo in impianti di cogenerazione)

32 45

Etanolo da cereali (metano come combustibile di processo in caldaie convenzionali)

21 30

Etanolo da cereali (metano come combustibile di processo in impianti di cogenerazione)

14 19

Etanolo da cereali (paglia come combustibile di processo in impianti di cogenerazione)

1 1

Etanolo da granturco, prodotto nella Comunità (metano come combustibile di processo in impianti di cogenerazione)

15 21

Etanolo da canna da zucchero 1 1

la frazione dell’ETBE prodotta da fonti rinnovabili analoga a quella della filiera di produzione dell’etanolo

la frazione del TAEE prodotta da fonti rinnovabili analoga a quella della filiera di produzione dell’etanolo

Biodiesel da semi di colza 16 22

Biodiesel da semi di girasole 16 22

Biodiesel da soia 18 26

Biodiesel da olio di palma (processo non specificato) 35 49

Biodiesel da olio di palma (processo con cattura di metano all’oleificio)

13 18

Biodiesel da rifiuti vegetali o animali 9 13

olio vegetale idrotrattato da semi di colza 10 13

olio vegetale idrotrattato da semi di girasole 10 13

olio vegetale idrotrattato da olio di palma (processo non specificato)

30 42

olio vegetale idrotrattato da olio di palma (processo con cattura di metano all’oleificio)

7 9

olio vegetale puro da semi di colza 4 5

biogas da rifiuti urbani organici come metano compresso 14 20

biogas da letame umido come metano compresso 8 11

biogas da letame secco come metano compresso 8 11

5. fiLiere di Produzione

In Italia, la filiera olio-energia nazionale (intesa come serie di operazioni che vanno dal campo al prodotto energetico finale, completamente sviluppate sul territorio) non esiste ancora, se non a livello di isolate iniziative. Di fatto, l’energia elettrica da olio ed il biodiesel oggi prodotti derivano quasi totalmente da oli vegetali reperiti sui mercati internazionali (importazione di materia grezza o semilavorati da Paesi terzi e trasformazione finale in Italia). Peraltro, è volontà politica di favorire la diffusione delle rinnovabili oltre che incentivare un maggiore coinvolgimento nella produzione della agricoltura dei singoli Paesi della Comunità, dando vita a filiere agro-energetiche nazionali e, quindi, nel nostro caso, completamente italiane. L’organizzazione della produzione potrebbe essere strutturata sia in “filiere lunghe ad integrazione orizzontale” (il settore agricolo rivestirebbe il suo ruolo tradizionale di produttore di materie prime, cedute poi per la loro trasformazione all’industria) sia in “filiere corte ad integrazione verticale” (in questo ultimo caso il settore dovrebbe essere coinvolto globalmente nella produzione, assumendo funzioni ulteriori alla produzione di commodities, cioè intervenendo direttamente nella trasformazione energetica).L’Unione Europea e lo Stato Italiano hanno inserito lo sviluppo dell’energia da biomasse in un ben preciso quadro normativo (i principali disposti legislativi sono sintetizzati in SCHEDA 12). Inoltre, per favorire un ruolo di primo piano del settore agricolo nella produzione energetica, ci sono stati interventi più diretti, di seguito ricordati. Nella nuova PAC (Reg. n. 1782/2003), l’Unione ha previsto di spostare risorse destinate alla produzione agro-alimentare (pilastro I) al rafforzamento della componente ambientale (pilastro II), riconoscendo con questo al settore agricolo un ruolo rilevante nella riorganizzazione del settore energetico con il consolidamento dell’offerta di prodotti energetici derivanti da fonti rinnovabili (alle Regioni è stato dato mandato di interpretare localmente l’indirizzo comunitario utilizzando le misure sull’asse II del PSR per orientare ad incentivare la produzione di biomassa ad utilizzo energetico). In parallelo, in Italia si è proceduto ad adeguare il quadro normativo per favorire la nuova situazione produttiva. In particolare, è stato ottenuto: il riconoscimento della produzione di energia quale attività produttiva agricola e, di conseguenza, l’applicazione anche per i prodotti energetici del regime normativo del settore. Inoltre si è avuta la definizione di incentivi per la produzione di energia elettrica, proposti dalla Finanziaria 2007 e ripresi con la legge 1159 “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese”. Nelle due leggi sono stati definiti: le modalità e gli importi per la valorizzazione dell’energia elettrica prodotta distinguendo in funzione della potenza del’impianto (inferiore o superiore a 1 MW) e della provenienza della biomassa (di provenienza locale o non); la possibilità per impianti di aziende agricole o gestiti in connessione con aziende agricole di cumulare la tariffa agevolata con altri incentivi pubblici (comunitari, nazionali, regionali) ottenuti in conto capitale o conto interessi fino ad un massimo del 40% del costo dell’investimento.

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eSCHEDA 12 - Iniziative comunitarie e nazionali per incentivare l’utilizzo energetico delle biomasseIn ordine cronologico, si ricordano le misure adottate dall’Unione Europea per incentivare l’utilizzo delle biomasse: - Direttiva 85/536/EEC per la riduzione dell’utilizzo di olio fossile mediante

combustibili surrogati;- COM (1997) 599, Libro bianco sull’energia per il futuro;- COM (2001) 547, Comunicazione sui combustibili alternativi per il

trasporto;- Direttiva 2001/77/EC per la promozione di energia prodotta da risorse

energetiche rinnovabili;- Direttiva 2003/30/EC per la promozione dei biocombustibili;- Direttiva 2004/101/EC relativa ai sistemi di scambio delle emissioni a

effetto serra;- Direttiva 2004/8/EC sulla promozione della cogenerazione;- COM (2004) 366, Comunicazione sulla percentuale di penetrazione delle

energie rinnovabili nella Comunità Europea;- COM (2005) 628, Biomass Action Plan, descrive varie misure per

incoraggiare la produzione e l’uso delle biomasse a scopo energetico, completato dal Biofuels strategy (2006);

- COM (2006) 848, Renewable Energy Roadmap, con cui si sono definiti degli scenari di penetrazione delle biomasse nei Paesi della Comunità;

- COM (2008) 16 che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra;

- l’ultima Direttiva quadro sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili, di prossima pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Europea che sostituirà la 2001/77 adeguando tale materia ai nuovi obiettivi comunitari.

In recepimento delle principali direttive comunitarie, in Italia sono stati promulgati i seguenti decreti: - D.Lgs. n. 387/93, per incentivare la produzione di energia elettrica da

rinnovabili;- D.Lgs. n. 128/2005 e D.Lgs. n. 81/2006, per favorire la diffusione dei

biocarburanti;- D.Lgs. n. 256/2006 per definire le percentuali di miscela combustibile

fossile/ combustibile rinnovabile minime imposte alle raffinerie;- prossimamente, dovrà essere promulgato un nuovo decreto legislativo, in

recepimento dell’ultima direttiva comunitaria e in sostituzione della 387/93.

5.1 Filiere lunghe

Tuttavia, nonostante gli sforzi legislativi compiuti, le filiere agro-energetiche con base produttiva nazionale stentano a consolidarsi. Anche credendo nella validità di tali produzioni, devono essere rilevati alcuni aspetti che rendono problematica la loro completa affermazione.Nel caso in cui all’agricoltura venga richiesta la produzione di commodities (filiera lunga ad integrazione orizzontale, Fig. 5.1) un primo ostacolo è dato dalla situazione fondiaria nazionale - caratterizzata da piccole proprietà frammentate - che mal si presta alla organizzazione di bacini di produzione da cui trarre la massa critica, generalmente di valore limitato, necessaria ad alimentare gli impianti (la base territoriale minima necessaria per l’approvvigionamento di un impianto industriale a biodiesel di dimensioni economicamente sostenibili è di 100.000 ha, corrispondenti ad una produzione di biocombustibile di circa 75.000 t). Fig. 5.1 - Esempio di filiera lunga ad integrazione orizzontale. Al settore agricolo viene chiesto di produrre materia grezza trasformata in prodotto energetico dall’industria

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eDel resto, il decollo delle filiere necessita di disporre di definite quantità di biomassa di buona qualità, presupposto di base per produzioni di energia o di prodotti energetici da rinnovabili. Si rende quindi necessario un discorso programmatico e contrattuale, a volte di difficile recepimento dalle parti, posto a garanzia dei meccanismi di approvvigionamento di centrali di medio-grandi dimensioni. In pratica, alla base di queste produzioni deve essere strutturato un sistema di accordi interprofessionali tra gli operatori agricoli ed industriali (contratti di filiera) i cui punti nodali sono: definizione di norme riguardanti la remunerazione dei prodotti; modalità di consegna e tempi di pagamento; ripartizione del profitto e del rischio tra gli operatori, criteri di standardizzazione dei prodotti energetici, risoluzione delle controversie tra operatori attraverso un arbitrato equo e simmetrico.Tra le iniziative di maggiore visibilità in ambito nazionale si citano le proposte per le riconversioni dei distretti bieticoli-saccariferi in distretti agro-energetici, dove gli agricoltori avrebbero potuto contribuire, anche se in molti casi per quantità limitate, alla fornitura di biomassa.In definitiva, sino ad ora i numerosi tentativi fatti per coinvolgere l’agricoltura nella produzione di biomassa hanno dato risultati assai limitati e le filiere, dove già costituite almeno dal punto di vista degli accordi, sono ancora in fase di definizione per quanto riguarda la loro formazione a livello di territorio

5.2 Filiere corte

Sulla base di informazioni ottenute da attività già avviate e da sperimentazioni condotte su scala reale, la filiera agro-energetica di interesse e applicabile all’agricoltura italiana a partire da semi di oleaginose prevede la produzione di energia elettrica e termica in cogenerazione.Nonostante la possibilità teorica di applicare in modo generalizzato il modello di filiera indicato, i risultati ottenuti da verifiche tecnico-economiche delle attività produttive impongono di operare tenendo conto della redditività delle trasformazioni, da cui la definizione di dimensioni minime limite in termini di capacità di lavoro e di potenza degli impianti e, quindi, di quantità di biomassa da processare per produzioni economicamente sostenibili e, in ultima analisi, di superfici dedicate. Inoltre, le produzioni indicate danno luogo a sottoprodotti e/o coprodotti, per i quali la collocazione produttiva sono elementi di peso per il successo dell’attività e che richiedono, se a destinazione agricola, la disponibilità di “utenze” commisurate (in genere, allevamenti zootecnici).Per la filiera girasole-energia si può ritenere “dimensione minima” (il parametro di valutazione è economico) l’attività energetica basata su una potenza di 1.000 kW termici (350 kW elettrici), che necessita di un bacino di approvvigionamento di circa 900 ha effettivi (in una prospettiva di agricoltura sostenibile anche dal punto di vista ambientale, le superfici del bacino devono avere almeno estensione doppia rispetto a quelli utili alla produzione di biomassa) e con la possibilità di collocare in ambito zootecnico oltre 1.300 t di panello. Aumentando la taglia di impianto,

gli indici lasciano prevedere situazioni economicamente più vantaggiose e stabili.Considerando gli aspetti discussi, la produzione agro-energetica olio-energia realizzata nella singola azienda agricola è difficilmente praticabile, sostanzialmente per estensione non adeguata delle superfici; da ciò, la necessità di consorziare le produzioni e di costituire dei poli di prima trasformazione e produzione energetica (energifici).ll passaggio ad una gestione aggregata dell’attività consente di aumentare le quantità di biomassa processata, eliminando, almeno in parte, le limitazioni date dalle superfici coinvolte al fine di raggiungere migliori prestazioni economiche, favorite dai rendimenti di trasformazione più elevati, legati alla taglia della filiera.

Fig. 5.2 - Esempio di filiera corta ad integrazione verticale. Tutte le fasi, o la maggior parte di esse, restano di competenza del settore agricolo

Il vantaggio di questa organizzazione produttiva (Fig. 5.2) è dato dalla possibilità per l’imprenditore agricolo di incrementare il valore aggiunto della produzione, possibilmente spinta sino al prodotto finale. Infatti, si passa dalla vendita di seme oleaginoso della filiera lunga, alla produzione di olio sino alla consegna, in rete o

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ealle utenze, di energia elettrica.Con maggiore dettaglio, le principali operazioni svolte nell’ambito della filiera sono le seguenti:• produzione di seme: tale fase corrisponde all’attività agricola tradizionale e la

sua articolazione è in stretta dipendenza con le principali tipologie di lavorazione, determinate, a loro volta, dalle caratteristiche pedo-climatiche e dalle scelte effettuate dall’operatore in termini di utilizzo dei mezzi tecnici;

• estrazione dell’olio: costituisce un’attività aggiuntiva alla fase di coltivazione e si colloca come attività post-raccolta volta alla valorizzazione della produzione agricola;

• utilizzo dell’olio in generatori diesel: ovvero la conversione dell’olio in energia elettrica e sua immissione nella rete nazionale. Associata a tale fase, qualora fosse possibile individuare un’utenza, si ha anche l’utilizzazione del calore prodotto dal motore.

La possibilità tecnica di realizzazione della filiera è stata data dall’introduzione di impianti semplificati, utilizzabili anche in ambito agricolo. In particolare, la pressatura meccanica dei semi e l’utilizzo di olio grezzo in motori veloci adattati al biocombustibile.A questo proposito si ricorda il progetto PROBIO che ha impegnato le Regioni Marche, Veneto ed Emilia Romagna nello studio e sperimentazione della filiera prototipo su piccola scala. Attualmente il modello è stato applicato in alcune realtà italiane.

5.3 Valorizzazione dei sottoprodotti di estrazione: farine e panelli

L’utilizzo più diffuso dei sottoprodotti della fase di estrazione è nell’alimentazione zootecnica. Le farine di estrazione hanno un’ampia diffusione (consumo nazionale di circa 3 Mt/anno), un basso contenuto in grassi (2-4%) e caratteristiche nutrizionali interessanti. I panelli di estrazione hanno invece una diffusione molto più limitata, non solo per ragioni legate alla minore resa della filiera, ma anche per inconvenienti di carattere tecnologico e nutrizionale. I panelli sono infatti più sensibili ad irrancidimento (a causa dell’elevato tenore in grasso: 7-13%) e a fermentazione (a causa del maggiore tenore in acqua). Altro ostacolo per l’impiego zootecnico è la qualità meno costante nel tempo. Inoltre, l’elevato contenuto di olio vegetale extracellulare potrebbe avere dei riflessi sulla qualità del prodotto finale (carne, salumi e formaggi). Le farine, per il loro diffuso impiego, sono contemplate nei più importanti sistemi di valutazione degli alimenti, le cui tabelle riportano le caratteristiche chimiche e nutrizionali. Nel caso dei panelli invece non si hanno dati tabulati e non vi sono stime ufficiali del valore energetico e delle caratteristiche della proteina. Ciò ne limita, per ora, un uso razionale, anche se è presumibile che essi non possano sostituire nella zootecnia nazionale in misura molto elevata la farine di soia, perché rispetto a questa hanno valori energetici (a

parità di grasso) e tenori proteici più bassi. Tuttavia in misura e modo opportuno, tenendo conto anche delle caratteristiche degli animali e dei limiti imposti dai disciplinari di produzione, se ne potrebbe fare un uso tutt’altro che trascurabile nelle filiere zootecniche più importanti. Oltre all’impiego zootecnico, panelli e farine di alcune specie possono trovare impieghi agronomici (produzione di formulati per la difesa delle colture agrarie), energetici (produzione di biocombustibili solidi di elevate caratteristiche adatti soprattutto ai grandi impianti o di biocombustibili di seconda generazione), nell’industria (produzione di agropolimeri per composti termoplastici di sintesi). Si tratta di impieghi oggi valutati a livello sperimentale o a livello pre-industriale.

Fig. 5.3 - Allevamento semi-brado di bovini di razza Marchigiana

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e6. situazione attuaLe e ProsPettive Per L’utiLizzo energetico degLi oLi neLLe marche

La Regione Marche, come già accennato, ha operato per la promozione delle filiere olio-energia su piccola scala. Anche grazie a ciò, attualmente in Regione sono attive due filiere olio-energia, situate in contesti di lavoro differenti. La prima società opera primariamente nel settore della lavorazione delle carni e della produzione di alimenti per la zootecnia. Attualmente l’olio è reperito sul mercato nazionale, ma è in fase di allestimento l’impianto di spremitura. Il gruppo elettrogeno è posto in prossimità dei locali di lavorazione dei mangimi e produce elettricità, a servizio di varie utenze, in cogenerazione con calore, utilizzato nei processi dei pellettizzazione delle farine. La seconda è una società di servizi per l’agricoltura, tra i quali lo stoccaggio e la vendita di granaglie. La filiera olio-energia parte appunto dal conferimento di semi di girasole da parte dei soci. L’olio prodotto serve per il funzionamento di un generatore di corrente posto presso un importante centro sportivo. L’energia elettrica prodotta viene versata in rete mentre il calore cogenerato è utilizzato per scaldare l’acqua sanitaria del centro. Il panello viene venduto come alimento zootecnico per bovini. Volendo delineare uno sviluppo ulteriore della filiera, si sono formulate delle ipotesi relative alle tipologie di installazioni possibili sul territorio.Dalle informazioni ottenute nel corso delle sperimentazioni svolte e tenendo conto delle realizzazioni ottenute, si ritiene che nelle Marche la filiera olio-energia possa fondarsi prevalentemente sulla coltivazione di girasole e sullo sviluppo del colza, attualmente pressoché assente. Lo scenario che viene proposto di seguito riguarda la produzione e la trasformazione di un olio vegetale proveniente per il 95% da girasole e il resto da colza.Gli elementi che caratterizzano questa tipologia di filiera sono soprattutto due: il primo è la consistente dimensione del bacino di approvvigionamento necessario a soddisfare il fabbisogno di materia prima degli impianti di produzione energetica, anche piccoli; il secondo è la possibilità di un recupero della redditività attraverso la vendita del panello per l’alimentazione zootecnica.Si sono messe a confronto tre scale di impianto, fissate rispettivamente a 350, 700 e 1400 kWe. Dai risultati delle analisi di fattibilità si evidenzia una notevole differenza in termini di “efficienza economica” che risulta massima per l’impianto intermedio. La dimensione dell’investimento iniziale ha infatti un ruolo determinante nel calcolo del TIR e non risulta essere proporzionale alla potenza dell’impianto. Ciò è legato al fatto che le centrali a olio che possiedono potenze elevate, indicativamente superiori al MWe, sono notevolmente più complesse rispetto agli impianti di medio-bassa potenza e necessitano di una tecnologia più sofisticata e costosa. La maggior efficienza economica dei piccoli impianti (con potenza elettrica minore di 1 MW) è in stretta relazione con la tariffa elettrica riconosciuta.

Tab. 6.1 - Confronto tecnico-economico fra tre filiere olio-energia di differente scala dimensionale

Parametri tecnico-economiciPotenza impianto Unità di

misura350 kW 700 kW 1400 kW

Dati di base

Potenza elettrica 0,35 0,7 1,4 MW

Investimento iniziale1 400 1.000 1.750 migliaia di euro

Durata tecnica2 15 15 15 anni

Risultati

Bacino di approvvigionamento3 1.013 1.848 3.356 ettari

- colza 101 185 336 ettari

- girasole 911 1.663 3.020 ettari

Analisi degli investimenti (energia)

- Valore attuale netto (VAN) 1.931 4.925 4.316 migliaia di euro

- Tasso di rendimento interno (TIR) 36,5% 37,5% 11,3%

- Periodo di reintegrazione (POT) 2,7 2,6 7,1 anni

Analisi degli investimenti (olio vegetale)

- Valore attuale netto (VAN) 316 577 1.048 migliaia di euro

- Tasso di rendimento interno (TIR)4 43% 43% 43%

- Periodo di reintegrazione (POT) 2,3 2,3 2,3 anni

Distribuzione del valore aggiunto

- produzione energia 35% 43% 22%

- trasformazione biocombustibile 10% 9% 12%

- produzione agricola 55% 48% 67%

1 Gli investimenti iniziali sono stati quantificati sulla base di informazioni di mercato. Si intende il valore di tutto l’impianto di trasformazione.

2 La durata tecnica in questo caso è fatta coincidere con il periodo di durata degli incentivi 3 È stato dimensionato tenendo conto di: produzione media di girasole e di colza di 2,5 t/ha; resa alla

spremitura pari a 1/3 del peso del seme; resa elettrica pari al 35% nei motori inferiori a 1 MW e al 40% nei motori superiori a 1 MW.

4 L’impianto di spremitura viene considerato collegato al fabbisogno di olio vegetale del generatore elettrico attraverso un coefficiente di capacità oraria di lavorazione. Il suo TIR risulta quindi costante per le tre potenze considerate in quanto non sono state considerate economie di scala.

Per VAN si intende il Valore Accumulato Netto. Si tratta del flusso di cassa che viene accumulato di anno in anno; Il TIR è il Tasso Interno di Rendimento e rappresenta la fruttuosità dell’investimenti. Con POT si intende il periodo necessario per azzerare l’investimento affrontato.Il sistema di incentivi alla produzione di energia elettrica da biomassa, infatti, prevede tariffe, per l’elettricità prodotta ed immessa in rete, diverse a seconda della potenza di impianto, se inferiore o superiore a 1 MW

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eAllo stato attuale, tenuto conto delle leggi già approvate (Legge 23 luglio 2009, n. 99 - “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” - pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 176 del 31 luglio 2009 - Supplemento ordinario n. 136), la situazione può essere così riassunta:- per impianti alimentati da biogas e biomasse (inclusi anche gli impianti a oli

vegetali puri, a condizione che siano ottenuti da colture oleaginose coltivate nell’UE) con una potenza non superiore ad 1 MW è riconosciuta la tariffa omnicomprensiva (incentivo + energia elettrica prodotta) pari a 28 c€ per kWh immesso nella rete elettrica;

- per impianti alimentati da biomasse e biogas derivanti da prodotti agricoli, di allevamento e forestali, inclusi i sottoprodotti ottenuti nell’ambito di intese di filiere, contratti quadro oppure da filiere corte (cioè ottenuti entro un raggio di 70 km dall’impianto che li utilizza), con una potenza superiore ad 1 MW, è riconosciuto un coefficiente di moltiplicazione dei certificati verdi pari a 1,8.

Nella fase di trasformazione energetica dell’olio, oltre alla produzione di elettricità (con un rendimento medio di circa il 35-40%), si ha anche generazione di energia termica. Tale calore può essere recuperato e utilizzato in diversi modi (riscaldamento di edifici, produzione di acqua calda e/o di aria calda) con un rendimento massimo pari al 50% dell’energia contenuta nell’olio in ingresso al gruppo elettrogeno. In realtà, purtroppo, solo una piccola quota di tale energia viene utilizzata. Infatti, se da un lato viene continuamente generata per tutto il periodo di funzionamento del motore, dall’altro, spesso, il suo fabbisogno si concentra in alcune ore della giornata e, soprattutto, solo in alcuni periodi dell’anno. Il suo utilizzo è comunque molto interessante soprattutto se si considera il mancato consumo del combustibile fossile sostituto. La dimensione del bacino di approvvigionamento, che va circa 1.000 ettari per la piccola taglia ad oltre 3.000 per l’impianto da 1,4 MW, si evidenzia come l’aspetto di maggiore criticità nell’organizzazione della filiera.È interessante valutare come la trasformazione della biomassa (seme) in olio risenta molto, non solo del prezzo dell’olio, ma anche del prezzo del sottoprodotto (panello) che rappresenta, infatti, una quota consistente dei ricavi. Nel modello il suo prezzo di mercato è stato ipotizzato pari a 125 €/t. Tuttavia, è sufficiente una riduzione di prezzo di meno del 20% per annullare la convenienza della produzione.

Tab. 6.2 - Analisi di sensibilità della redditività della filiera nei confronti del prezzo di vendita dell’olio e del panello

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TIR

Prezzo vendita olio vegetale (€/t)

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Prezzo vendita panello (€/t)

Per quanto riguarda la sensibilità del TIR rispetto ai prezzi di vendita, nel caso dell’olio vegetale ad ogni euro di variazione del prezzo, il rendimento varia di circa lo 0,8% mentre per il panello la risposta è doppia (1,9%). L’analisi di sensitività condotta sul girasole e sul colza, rapportando il reddito lordo al prezzo di vendita dei semi, produce grafici pressoché identici in quanto il rapporto tra costi e ricavi di queste coltivazioni è analogo.

Tab. 6.3 - Analisi di sensibilità della redditività della filiera nei confronti del prezzo del seme di girasole e di colza

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Prezzo di vendita girasole (€/t)

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Prezzo di vendita colza (€/t)

Il prezzo soglia del seme, al di sotto del quale per l’imprenditore agricolo non c’è più convenienza a produrre, è pari a 172 €/t, significativamente inferiore alle attuali valutazioni di mercato. La redditività per il settore agricolo è comunque relativamente modesta e non superiore a 300 €/ha.

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o7. fattori di successo e Limiti aLLo sviLuPPo

Nella filiera olio energia possono essere messi in evidenza alcuni fattori, di ordine economico, energetico, ambientale e sociale (punti di forza) che possono determinarne il successo o, in caso contrario, difficoltà che si frappongono alla sua diffusione (punti di debolezza). Si elencano i principali benefici ottenibili e gli aspetti critici riscontrati.

Tab. 7.1 – Fattori di successo della filiera olio-energia

BENEFICI ECONOMICI BENEFICI AMBIENTALI

- nuova fonte di reddito agricolo legata alla possibilità del settore di produrre energia rinnovabile;

- maggior valore alle colture oleaginose;- concessione di finanziamenti pubblici in

conto capitale per far fronte agli investimenti;

- esenzione da accise per l’utilizzo dell’olio in motori statici;

- tariffe vantaggiose per l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili;

- possibilità di valorizzazione dei coprodotti come alimenti zootecnici (panelli e farine).

- rinnovabilità e biodegradabilità del combustibile;

- riduzione del consumo di risorse energetiche fossili; significativa riduzione dei gas serra;

- possibilità di riciclo di oli alimentari esausti;- complessiva sostenibilità ambientale

dell’intera filiera secondo i canoni stabiliti dalla RED;

- possibilità per l’agricoltore di diversificare l’ordinamento produttivo aumentando la biodiversità nell’agro-ecosistema;

- minor impatto ambientale localizzato (legato alle emissioni) legato allo sviluppo di una microgenerazione diffusa sul territorio.

BENEFICI ENERGETICI BENEFICI SOCIALI

- produzione di biocombustibile di alta qualità e di facile gestione dal punto di vista della sicurezza;

- flessibilità nell’utilizzo energetico degli oli (produzione di energia elettrica e/o termica, produzione di biodiesel per autotrasporto, utilizzo in caldaie o in motori diesel opportunamente adattati);

- contributo alla diversificazione del mix energetico.

- opportunità di sviluppo per le realtà rurali;- possibilità di coinvolgimento in tali filiere

di numerosi attori (agricoltori, trasformatori, tecnici, cooperative, istituzioni pubbliche e cittadini);

- miglioramento della sensibilità dei cittadini alle problematiche energetiche (aumento della cultura energetica).

A proposito dei limiti allo sviluppo di questa filiera agro-energetica vanno menzionati i seguenti punti di debolezza:- necessità di ampi bacini di approvvigionamento per soddisfare il fabbisogno

di materie prime degli impianti di produzione energetica, anche piccoli;- instabilità dei prezzi di mercato delle materie prime;- forte concorrenza da parte di oli provenienti da Paesi terzi nei confronti

dell’olio ottenuto da agricoltura locale;

- necessità di stabilire contratti di filiera per stabilizzare l’approvvigionamento delle materie prime (si pensi ai problemi legati a: stagionalità delle produzioni, rotazioni colturali, stoccaggio semi), definire un compenso equo per i produttori, valorizzare i coprodotti (es. utilizzo zootecnico) e mettere quindi d’accordo i vari stakeholders;

- diffusione della produzione di energia da biomassa agricola di provenienza locale strettamente legata all’accesso ai contributi pubblici per l’investimento e alla possibilità di valorizzare i sottoprodotti;

- nonostante sembri esistere la volontà politica di premiare la microgenerazione diffusa, non sussistono di fatto le condizioni di mercato per avviare seriamente tale percorso, soprattutto per quanto riguarda le taglie di motori più piccoli;

- necessità per il settore agricolo di sviluppare nuove imprenditorialità che si distaccano dagli ambiti tradizionali e che richiedono professionalità;

- scarsa accettazione dell’istallazione di impianti da parte della popolazione locale (“Not in my back garden!”).

In definitiva possiamo concludere affermando che, per ottimizzare gli investimenti, la base produttiva deve essere ampia rendendo necessaria l’aggregazione della produzione per avere la massa critica utile, con alcune delle fasi (trasformazione del seme, utilizzo dell’olio e del panello) messe in comune. Per arrivare a questo tipo di risultato, oltre ad individuare l’ampiezza della filiera ed i suoi attori, è necessario che alla base ci siano degli accordi precisi, anche relativi alla ridistribuzione degli utili, per favorire il mantenimento di tutta la produzione su base locale, permettendo, quindi, che prendano vita dei circuiti virtuosi economico-sociali di grande interesse per il territorio.Infine, proprio al territorio dovrebbe ritornare l’energia prodotta: tra produttori ed utilizzatori di energia verde dovrebbe essere costituito un consorzio che, oltre a possibili vantaggi tecnico-economici, avrebbe il merito di responsabilizzare i cittadini alle problematiche energetiche, aumentando cultura e consapevolezza nei confronti di questo indispensabile fattore.

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oAllegato 1 - Rese medie (% di olio in peso sul seme) di alcune colture oleaginose

Famiglia Genere e specie Nomi comuniIng-Ita Regione Quantità di olio

estraibie

Acnaceae Lophira alata - - Solv: 40%

Anacardiaceae Buchanania latifolia - India Semi interi, solv:45%;Mandorle,solv: 58-61%

Rhus spp. - Giappone, India Frutto interosolv: 20-29%; Parte carnosasolv: 41-43%;Interno del seme solv: 25-40%

Aristolochiaceae Aristolochia macrophylla(Syn. sipho)

Broad-leaved Birthwort - Dutchman’s Pipe

USA Solv: 3,9%

Asteraceae Carthamus tinctorius Safflower - False saffron - Cartamo

- -

Helianthus annuus Sunflower - Girasole Europa Solv:40%

Bombacaceae Ceiba pentandra Kapok tree - silk-cotton tree

Messico, Giava, Brasile, Africa tropicale, India

Solv: 19-30%

Burseraceae Canarium commune Java almond - mandorla di Giava

Giava Press: 56,12%;solv: 65,73%

Canarium poliphyllum

- Nuova Guinea Solv: 69,6%

Cariocaraceae Caryocar tomentosum

- Brasile, Perù Solv: 63%

Cucurbitaceae Hodgsonia Kadam - Sumatra Solv: 68,7%

Momordica cochichinensis

- - Solv: 47%;Press: 40%

Cruciferae o Brassicaceae

Crambe abyssinica Hochst

Crambe - 30%

Brassica napus var. oleifera

Rape seed - Colza - Canola

Europa, Canada, Asia

Solv:38%

Dipterocarpaceae Shorea spp. Engkebang nut - Illipe nuts

Borneo Press: 40%

Vateria indica Dammar India Semi essicatisolv: 50%

Euphorbiaceae Sapium sebiferum Tallow nut Cina, India, Ceylon

Solv: 60%

Ricinus communis Castorbeans - Ricino - -

Famiglia Genere e specie Nomi comuniIng-Ita Regione Quantità di olio

estraibie

Flacourtiacea Hydnocarpus alcalae - - Semi interisolv: 40%;Mandorle essicate solv: 65%

Hydnocarpus alpina - India, Ceylon Press: 50%;Solv: 62,5%

Hydnocarpus venenata

- India Solv: 63,7%

Oncoba echinata - Africa Solv: 48%

Hynocarpus anthelmintica

- - Semi interi,solv: 20,4%

Guttiferae Allanblackia floribunda

Tallow tree Congo, Angola Semi interisolv: 47%Semi sbucciatisolv: 65-72%

Allanblackia Sacleuxii

- Angola Solv: 70%

Allanblackia Stuhlmannii

- Africa Semi interisolv: 55%; Mandorla solv:67-68%

Garcinia Cambogia - India Solv: 31%

Garcinia indica Kokam butter tree India Semi secchisolv: 30%

Pentadesma butyracea

Tallow tree - Butter tree - Candle tree - Black mango

Liberia, Sierra Leone

Solv: 56-60%

Lauraceae Acrodiclidium Mahuba

- Brasile Solv: 65%

Cinnamomum camphora

- Asia orientale, Giappone

Solv: 42,4%

Cylicodaphne sebifera

- Giava, Indocina Parte carnosasolv: 36%;Buccia del seme solv: 5%;Mandorla solv: 59%

Laurus nobilis - Zona mediterranea

Drupa frescasolv: 16%;Tegumentosolv: 26%;Parte internasolv: 12%

Litsea spp. - Asia tropicale, Australia

Solv: 33-61%

Nectandra Wane - America Semi essiccatisolv: 55%

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Famiglia Genere e specie Nomi comuniIng-Ita Regione Quantità di olio

estraibie

Leguminosae Adenanthera pavonina

Barbados pride - Coral tree - Red sanderswood

Asia, Africa, America tropicale

Solv: 25-30%

Glicine Soja Soia - Soy bean - Soja bean

Estremo oriente, America, Brasile

18%

Limnanthaceae Limnanthes alba Benth.

Meadowfoam - White foam

Stati Uniti 20-30%

Magnogliaceae Michelia Champaca - India Semi essiccati solv: 32%

Meliaceae Carapa microcarpa - Costa d’Avorio Semi interisolv: 35%;Mandorle, solv: 50%

Carapa procera - Africa Semi interisolv: 23-36%;Mandorla solv: 63%

Trichilia emetica - Africa Solv: 58%

Trichilia subcordata - Africa Buccia solv: 37%;Mandorla solv: 56%

Miricaceae Myrica cerifera - - Estrazione acqua calda: 20-25%

Miristicaceae Gymnacranthera canarica

- India Semi interisolv: 49%;Semi sbucciatisolv: 65%

Myristica fragrans Nutmeg - Noci intere press: 24-30%;Mandorla solv: 70%

Myristica malabarica - India Seme solv: 40%;Arillo solv: 63%

Myristica Otoba - Columbia Solv: 62%

Myristica platysperma

- Brasile Semi interisolv: 33%;Mandorlasolv: 55-59%

Ochocoa gabonii - - Seme interosolv: 59%;Mandorla solv: 70%

Pychnanthus Kombo - Africa, Sierra Leone, Angola

Solv: 56%

Virola bicuhyba - Brasile Seme interosolv: 60%;Mandorla solv: 70%

Virola Guatemalensis

- Guatemala Seme intero solv: 52%;Mandorla solv: 61%

Famiglia Genere e specie Nomi comuniIng-Ita Regione Quantità di olio

estraibie

(segue Miristicaceae) Virola sebifera - America, Guiana

Virola Surinamensis - Isole di Capo Verde

Semi sgusciatisolv: 73%

Virola Venezuelensis - Venezuela Semi interisolv: 62%;Mandorla solv: 75%

Palmae Arecaceae

Acrocomia sclerocarpa

Gru gru nut - Parte carnosasolv: 10%;Seme sgusciatosolv: 60%

Areca Catechu Betel nut - Areca nut Asia orientale Solv: 53%

Astrocaryum Jauary - Brasile Pericarpo solv: 45%;Interno della noce solv: 21%

Astrocaryum murumuru

- - Solv: 35-45%

Astrocaryum vulgare - Brasile Parte carnosasolv: 36%;Polpa del semesolv: 35%

Attalea cohune Cohune nut Honduras Nocciolosolv: 65-72%;Parte carnosasolv: 9-20%

Attalea excelsa - - Mand. senza tegum. solv: 75%;Tegumento solv: 54%

Attalea maripa - Guinea Solv: 56%

Attalea spectabilis - Brasile Solv: 62-65%

Cocos nucifera Coconut - Coco palm - Copra - Noce di cocco

- Tessuto secco:solv: 65-72%;Press: 63-65%

Cocos Syagrus - Brasile Solv: 23-32%

Copernicia cerifera - Brasile Solv: 14%

Elaeis guineensis Jacq.

African oil palm - Oil palm nut - Palma africana

- Solv: 45-50%;Press: 40-46%

Elaeis melanococca J. Gaertn

African palm - Palma africana

Sud America Parte carnosasolv: 29%;Mandorlasolv: 40-45%

Euterpe oleracea - Brasile Polpa internapress: 22-54%

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Famiglia Genere e specie Nomi comuniIng-Ita Regione Quantità di olio

estraibie

(segue Palmae Arecaceae)

Hyphaene thebaica Doum nut - Vegetable ivory palm

Africa Solv: 8-14%

Mauritia vinifera - Brasile Mandorla, solv: 48,7%

Maximiliana regia Cucurite palm - Inaja palm

Brasile, Bolivia Polpa carnosasolv: 15%;Mandorlasolv: 50-60%

Orbignya oleifera Babassu Brasile Solv: 61-68%;Press: 64%

Poligaceae Polygala butyracea - Nigeria Solv: 32-42%

Salvadoraceae Salvadora Oleoides - India Solv: 42-45%;Press: 32-35%

Sapindaceae Blighia sapida akee Guinea, Africa occidentale e tropicale, India

-

Nephelium lappaceum

rambutan - Solv: 35%

Sapindus trifoliatus soap nuts India Solv: 44-47%

Sapindus trifoliatus soap nuts India Solv: 44-47%

Schleichera Trijuga lac tree;ceylon oak India Seme interosolv: 36%;Mandorlasolv: 68-70%

Sapontaceae Palquium spp. gutta percha Sumatra e Isole del Pacifico

Solv: 37-55%

Illipe latifolia - India Press: 4045%;Solv: 50-55%

Baillonella obovata - Africa equatoriale

Solv: 51%

Bassia butyracea - India Mandorla solv: 56%

Bassia Mottleyana - Solv: 50-57%

Butyrospermum Parkii

Shea nut - shea butter tree

Africa Solv: 33-54%

Madhuca longifolia - India, Celyon Mandorla solv: 51%

Mimusops Djave Djave nut - African pearwood

Africa occidentale e tropicale

Solv: 65-70%

Dumoria Heckeli - Solv: 50-55%

Famiglia Genere e specie Nomi comuniIng-Ita Regione Quantità di olio

estraibie

Simarubaceae Irvingia gabonensis Dika nut - Bread tree - Wild mango

Africa Semi interi solv: 39%;Semi sbucciatisolv: 55-69%

Irvingia Olivieri - Asia Solv: 58-60%

Picramia tatiri - Guatemala, America tropicale

-

Picramnia Carpinterae

- Guatemala, Costa Rica

Solv: 76%

Picramnia Lindeniana

- Messico Solv: 39%

Quassia gabonensis - Africa Solv: 45%

Simmondsiaceae o Buxaceae

Simmodsia chinensis Schneider

Jojoba - Goatnut - 50%

Sterculiaceae Theobroma bicolor - America Solv: 55-62%

Theobroma cacao cocoa;cacao - Solv: 53-57%

Theobroma grandiflorum

- Amazzonia Semi sbucciatisolv: 47%

Vochysiaceae Prisma Calcaratum - Sud Africa Solv: 53%

Solv: estrazione con solvente - Press: estrazione per pressione

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oAllegato 2 - Regole tecniche per gli usi energetici di oli e biodieselCos’è una normaSecondo la Direttiva Europea 98/34/CE del 22 giugno 1998:“norma” è la specifica tecnica approvata da un organismo riconosciuto a svolgere attività normativa per applicazione ripetuta o continua, la cui osservanza non sia obbligatoria e che appartenga ad una delle seguenti categorie:

- norma internazionale (ISO)- norma europea (EN)- norma nazionale (ad esempio UNI per l’Italia, DIN per la Germania)- normativa americana (ASTM)

Le norme, quindi, sono documenti che definiscono le caratteristiche (dimensionali, prestazionali, ambientali, di sicurezza, di organizzazione ecc.) di un prodotto, processo o servizio, secondo lo stato dell’arte e sono il risultato del lavoro di decine di migliaia di esperti in Italia e nel mondo.

OliAttualmente la normativa tecnica di riferimento per l’utilizzo energetico degli oli vegetali è la UNI TS 11163 2009 “Oli e grassi vegetali e loro sottoprodotti e derivati utilizzati per la produzione di energia. Specifiche e classificazione” (Tab. A).Questa, più nel dettaglio, fa riferimento a:• oli e grassi suddivisi in classi di qualità;• margarine;• glicerina;• pasta saponosa;• gomme oleose.Per ciascuna categoria stabilisce sia i valori entro cui i vari parametri caratterizzanti devono rientrare, sia i metodi da utilizzare per determinare tali parametri (vedi tabella seguente).

Tab. A - Parametri e metodi di analisi previsti dalla normativa UNI TS 11163 2009

ParametroOli e grassi

Classi A - B - C ove pertinenti

Margarine Glicerina Paste saponose Gomme oleose

Densità a 15°C ISO 6883 NPUNI EN ISO

3675NP NP

Densità a 60°CUNI EN ISO

3675NP

UNI EN ISO 3675

NP NP

Viscosità a 50°CUNI EN ISO

3104NP

UNI EN ISO 3104

NP NP

Viscosità a 80°CUNI EN ISO

3104NP

UNI EN ISO 3104

NP NP

Contenuto di acqua

UNI EN ISO 12937

UNI EN ISO 662UNI EN ISO

12937UNI EN ISO 662

UNI EN ISO 12937

Ceneri ISO 6884 ISO 6884UNI EN ISO

6245UNI EN ISO

6245UNI EN ISO

6245

Sedimenti totali ISO 10307-1 NP NP NP NP

Potere calorifico inferiore

ASTM D 240 ASTM D 240 ASTM D 240 ASTM D 240 ASTM D 240

Punto di infiammabilità

ISO 15267 ISO 15267 UNI EN 22719 UNI EN 22719 UNI EN 22719

Stabilità all’ossidazione a 110°C

ISO 6886 NP NP NP NP

Residuo carbonoso

UNI EN ISO 10370

NP NP NP NP

Punto di scorrimento

EN ISO 6321 EN ISO 6321 … NP NP

Acidità organica (TAN)

UNI EN ISO 660 NP NP NP NP

Acidità forte (SAN)

ASTM D 664 NP NP NP NP

ZolfoUNI EN ISO

20884UNI EN ISO

20884UNI EN ISO

20884UNI EN ISO

20884UNI EN ISO

20884

FosforoISO 10540-1ISO 10540-3

ISO 10540-1ISO 10540-3

ISO 10540-1 ISO 10540-1 ISO 10540-1

Sodio + PotassioEN 14108EN 14109

NP NP NP NP

Solventi organici clorurati

EN ISO 16035

Solventi idrocarburici (Esano)

EN ISO 9832 EN ISO 9832EN ISO 9832

Verificare applicabilità

EN ISO 9832Verificare

applicabilità

EN ISO 9832Verificare

applicabilità

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oBiodieselIl biodiesel viene indicato dalle norme internazionali CEN con la sigla FAME (Fatty Acid Methyl Ester). Le caratteristiche che il biodiesel deve possedere, per essere definito tale variano in funzione dell’utilizzo a cui il prodotto è destinato. Sostanzialmente vengono monitorati diversi parametri fisici e chimici e i limiti imposti sono diversi per un impiego come combustibile per riscaldamento o per un utilizzo per autotrazione.Riscaldamento: l’adozione del biodiesel per produrre energia termica non richiede la sostituzione dei bruciatori, né comporta costi di cambiamento per gli impianti funzionanti a gasolio. La fiamma più pulita evita la formazione di incrostazioni nella caldaia e l’assenza di zolfo riduce la corrosione degli scambiatori e ne permette l’uso nelle caldaie a condensazione. È possibile passare all’utilizzo di biodiesel anche con l’impianto in esercizio, in quanto con un minimo coordinamento si può svuotare il gasolio residuo, pulire se necessario la cisterna ed alimentare a biodiesel.Il biodiesel utilizzato per il riscaldamento deve rispettare i requisiti imposti dalla normativa EN 14213 (Tab. B). Oltre a fissare dei limiti, nella normativa è presente anche l’elenco dei metodi ufficiali per la determinazione delle diverse caratteristiche del combustibile.Autotrazione: nel settore dei trasporti il biodiesel può essere utilizzato come sostituto del gasolio per l’alimentazione dei motori diesel senza alcuna modifica al motore. Le più importanti case automobilistiche mondiali hanno dato la loro garanzia per l’utilizzo di questo tipo di carburante.Nel mercato italiano si sono sviluppati principalmente gli impieghi:- al 5% nelle raffinerie miscelato con il gasolio fossile come additivo per aumentarne la lubricity;- al 30% in miscela con gasolio fossile come carburante per le grandi flotte pubbliche e private (trasporto pubblico, società di nettezza urbana, etc.);- biodiesel puro per la nautica da diporto.Per quanto concerne il biodiesel destinato all’autotrazione, si fa riferimento alla normativa EN 14214 (Tab. C) che individua anch’essa i limiti e i metodi di analisi da adottare.

Tab. B - EN 14213: Biodiesel utilizzato per riscaldamento

Caratteristica Unità di misura Metodo di misura

Contenuto di esteri % (m/m) EN 14103

Densità a 15°C kg/m3 EN ISO 3675EN ISO 12185

Viscosità a 40°C mm2/s EN ISO 3104

Flash point °C prEN ISO 3679

Zolfo mg/kgprEN ISO 20846prEN ISO 20884

Residuo carbonioso % (m/m) EN ISO 10370

Ceneri solforate % (m/m) ISO 3987

Contenuto di acqua mg/kg EN ISO 12937

Contaminazione totale mg/kg EN 12662

Stabilità all’ossidazione, 110°C h EN 14112

Acidità mg KOH/g EN 14104

Numero di Iodio g I2/100 g EN 14111

Metilesteri polinsaturi >= 4 doppi legami % (m/m)

Monogliceridi % (m/m) EN 14105

Digliceridi % (m/m) EN 14105

Trigliceridi % (m/m) EN 14105

Glicerolo libero % (m/m)EN 14105EN 14106

CFPP °C EN 116

Pour Point °C ISO 3016

PCI calcolato MJ/kg DIN 51900 1-2-3

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La filiera olio energia.indd 94-95 16/07/10 16:10

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iaTab. C - EN 14214: Biodiesel destinato all’autotrazione

Caratteristica Unità di misura Metodo di misura

Contenuto di esteri % (m/m) EN 14103

Densità a 15°C kg/m3 EN ISO 3675EN ISO 12185

Viscosità a 40°C mm2/s EN ISO 3104

Flash point °C prEN ISO 3679

Zolfo mg/ kg prEN ISO 20846prEN ISO 20884

Residuo carbonioso % (m/m) EN ISO 10370

Numero di cetano EN ISO 5165

Ceneri solforate % (m/m) ISO 3987

Contenuto di acqua mg/ kg EN ISO 12937

Contaminazione totale mg/ kg EN 12662

Corrosione su rame EN ISO 2160

Stabilità all’ossidazione, 110°C h EN 14112

Acidità mg KOH/g EN 14104

Numero di Iodio g I2/100 g EN 14111

Metilestere dell’acido linolenico % (m/m) EN 14103

Metilesteri polinsaturi >= 4 doppi legami % (m/m)

Metanolo % (m/m) EN 14110

Monogliceridi % (m/m) EN 14105

Digliceridi % (m/m) EN 14105

Trigliceridi % (m/m) EN 14105

Glicerolo libero % (m/m) EN 14105EN 14106

Glicerolo totale % (m/m) EN 14105

Metalli gruppo I (Na+K) mg/ kg EN 14108EN 14109

Metalli gruppo II (Ca+Mg) mg/ kg EN 14538

Fosforo mg/ kg EN 14107

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