ELEZIONI IN ISRAELE: UN ROMPICAPO DA DECIFRARE 4-2019 01-20 x Internet.pdfuna scatola di tonno....

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HA KEILLAH (LA COMUNITÀ) - BIMESTRALE - ORGANO DEL GRUPPO DI STUDI EBRAICI DI TORINO Sped. in A.p: 70% - filiale di Torino - n. 2 - 2° semestre 2019 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare i diritti dovuti - C/o CMP ToRINo-NoRD www.hakeillah. com [email protected] OTTOBRE 2019 ANNO XLIV -220 TISHRÌ 5780 NELL’INTERNO: n ITALIA (ANNA SE- GRE) 2-3 n ISRAELE (REUVEN RAVENNA, EMILIO HIRSCH) 4-5 n ISRAELE-LIBRI (GIOR- GIO BERRUTO, PAOLA DE BENEDETTI, ANNA SEGRE) 6-7 nVOLONTÀ POPOLARE (ALESSAN- DRO TREVES) 7 n STO- RIE DI EBREI TORINESI (BRUNA LAUDI INTERVI- STA BIANCA GARDELLA TEDESCHI) 8-9 n OPI- NIONI (GILBERTO BO- SCO) 9 n STORIA (MA- NUEL DISEGNI) 10-11 n MEMORIA (EMILIO JO- NA) 12-13 n RICORDI: ISACCO LEVI DI MO- RETTA (MANFREDO MONTAGNANA, BEPPE SEGRE) 13 n LIBRI (GIO VANNA GRENGA, GIORGIO BERRUTO, FIORELLA FAUSONE, PAOLA DE BENEDETTI, ANNA SEGRE) 14-19 n UNA LETTERA DEL 1945 20 n Dal nostro angolo marginale di ciò che resta di un ebraismo italiano di sinistra, è dovero- so dire cosa pensiamo, mettendo un qualche ordine mentale nella congerie di letture e in- terpretazione degli ultimi sconcertanti fatti politici di questa Italietta misera, altezzosa e preoccupante, frutto di un anno e mezzo di governo gialloverde e conclusasi inaspettata- mente con un improvviso rovesciamento po- litico, che ha dato luogo ad un governo, in parte, di diverso colore. Ciò che è avvenuto è stato prodotto dal du- plice e convergente intervento di un comico e di un politico astuto, Beppe Grillo e Matteo Renzi, che hanno curiose affinità, evidenzia- te da Mario Tronti in una sua recente intervi- sta: la loro visione antipolitica, la volontà di distruzione dei partiti tradizionali, la loro concezione del parlamento da aprire come una scatola di tonno. Tronti pensa che l’ac- cordo con i Cinquestelle sia, per il PD, un suicidio assicurato, perché i Cinquestelle continueranno nella loro demagogia populi- sta mentre il PD gestirà i dicasteri più impo- polari, quelli del rigore dei conti economici. Nessun nemico a destra Nessun nemico a destra. Sembra essere questa la posizione di alcuni italiani ebrei, o ebrei italiani. E di molti italiani e basta o ebrei e basta, anche, in attesa di capire per bene che cosa questo “e basta” significhi. Quello che conta è che è un principio che porta ad accettare più o meno tutto, insulti antisemiti compresi, specie se rivolti a chi non condivide la suddetta massima, come il traditore Gad e quei comunisti inveterati di Ha Kehillah, qualcuno perfino con simpatie Pd, autentici bombaroli insomma. A destra non ci sono nemici, dicono, men- tre spostano il limite qualche centimetro più in là; un po’ più in là verso destra, s’in- tende. E dicono e spostano, e spostano e dicono. E centimetro dopo centimetro, paziente- mente, si spostano di metri e di chilometri, in barba all’animaccia nera degli ebrei ros- si. Finché un giorno di fine estate, in una bella piazza che chiede il voto votata al cuore immacolato di Maria, il voto sùbito in no- me della democrazia e per cacciare i vili poltronari, oppure sul prato della verde Pontida, ci si accorge di un saluto romano qui e una bandiera di CasaPound là, un ebrei non siete italiani qui e un Auschwitz la vostra casa là. E allora si pensa quisqui- lie, bazzecole, pinzillacchere si pensa. Per- ché a destra, sia ben chiaro, nessun nemico. ELEZIONI IN ISRAELE: UN ROMPICAPO DA DECIFRARE Shanna Orlik (segue a pag. 4) Certo, si tratta di un governo nato senza alcu- na seria discussione programmatica, frutto dell’accordo tra un partito dominato dalle correnti e una piattaforma informatica di grillozzi; un governo frutto della provviden- ziale decisione di un politico dell’improvvi- sazione, bullo e sprovveduto, di affossare il precedente, intriso di demagogia e di incom- petenza, in cui si era reso ben visibile e do- minante, favorendone fortunosamente un al- tro, altrettanto improvvisato, e per metà fatto degli stessi incompetenti e sprovveduti part- ner di quello di prima. Bene, ci siamo liberati momentaneamente di Salvini e della sua destra dura, xenofoba e razzista e oggi, con rapido voltafaccia, nazio- nalista e non più padana e antisudista, e ne siamo contenti; ma non è che il futuro si pre- senti roseo e accattivante. Anzitutto nessuno dei due leader, Di Maio e Zingaretti, era fa- vorevole a questo matrimonio giallorosso; li hanno spiazzati le decisioni di Grillo e di Renzi. Poi Renzi, da entrambi non amato, Ad oltre una settimana di distanza dalle ele- zioni, quando i risultati definitivi sono stati finalmente pubblicati, sembra che tutti gli israeliani concordino sulla difficoltà di ca- pire chi sia il vero vincitore di questa “se- conda chance” elettorale. A differenza della notte delle ultime elezioni, in cui i leader dei due grandi partiti Likud e Kahol Lavan (Blu-Bianco) si erano precipitati sul palco per annunciare le rispettive vittorie, sembra che la lezione sia stata appresa e che, questa volta, i politici abbiano deciso di lasciarci nella nebbia. In questa fase, è molto diffici- le sapere chi tra Benyamin Netanyahu (Likud) e Benny Gantz (Kahol Lavan) sarà scelto dal Presidente Reuven Rivlin per cer- care di formare una coalizione [l’incarico è poi stato affidato a Netanyahu, ndr]. Tutta- via, sembra ancora più complesso capire chi di loro riunirà abbastanza partiti per fornire al paese una maggioranza parlamentare sta- bile e duratura. In effetti, dalla sera del 17 settembre esperti e giornalisti non hanno smesso di proporre potenziali combinazioni che avrebbero per- messo di formare il prossimo governo israe- liano. Non mi avventurerò qui nell’esercizio ma- tematico che mirerebbe a offrirvi una for- mula vincente, preferisco tornare ai risultati delle elezioni e a ciò che ci dicono sull’at- tuale stato della società israeliana. Giorgio Berruto Cominciamo con il partito che è arrivato per primo alle elezioni di settembre, il partito Blu-Bianco guidato da Benny Gantz e Yair Lapid. Con 33 seggi, questo partito creato meno di un anno fa, sembra aver convinto un gran numero di israeliani. La domanda che ci si può porre è cosa li abbia convinti. Vi sono opinioni divergenti e le due ragioni principali sono, da un lato, una lista di cen- trodestra composta da ex ufficiali e sostenu- ta da figure emblematiche della destra stori- ca, come Dan Meridor. Dall’altro lato una ricorrente mobilitazione popolare “anti-Bibi”, guidata dal desiderio di cambiare la leader- ship politica, che ha incoraggiato gli elet tori di destra, di centro e di sinistra a non disper- dere un “voto utile”. Il partito Blu-Bianco è quindi emerso come un’alternativa politica che è stata in grado di riunire e persino con- vincere ancora più israeliani rispetto alle elezioni di aprile. Resta da comprendere, in un sistema parlamentare in cui una struttura proporzionale impone una strategia di bloc- chi, se il candidato Benny Gantz sarà in gra- do di convincere potenziali partner e forma- re una coalizione, qualora ricevesse l’inve- stitura a formare il governo. Di fronte a Kahol Lavan, il Likud, un partito politico di destra guidato dal primo ministro Benyamin Netanyahu, ha ottenuto un nume- Il serpente di rame (Numeri, 21.8), disegno di Stefano Levi Della Torre DAL GIALLOVERDE AL GIALLOROSA Emilio Jona (segue a pag. 2)

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HA KEILLAH (LA COMUNITÀ) - BIMESTRALE - ORGANO DEL GRUPPO DI STUDI EBRAICI DI TORINOSped. in A.p: 70% - filiale di Torino - n. 2 - 2° semestre 2019 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare i diritti dovuti - C/o CMP ToRINo-NoRD

www.hakeillah. [email protected]

OTTOBRE 2019 ANNO XLIV -220 TISHRÌ 5780

NELL’INTERNO:

n ITALIA (ANNA SE-GRE) 2-3 n ISRAELE(REUVEN RAVENNA,EMILIO HIRSCH) 4-5 nISRAELE-LIBRI (GIOR-GIO BERRUTO, PAOLADE BENEDETTI, ANNASEGRE) 6-7 nVOLONTÀPOPOLARE (ALESSAN-DRO TREVES) 7 n STO-RIE DI EBREI TORINESI(BRUNA LAUDI INTERVI-STA BIANCA GARDELLATEDESCHI) 8-9 n OPI-NIONI (GILBERTO BO-SCO) 9 n STORIA (MA-NUEL DISEGNI) 10-11nMEMORIA (EMILIO JO-NA) 12-13 n RICORDI:ISACCO LEVI DI MO-RETTA (MANFREDOMONTAGNANA, BEPPESEGRE) 13 n LIBRI(GIO VANNA GRENGA,GIORGIO BERRUTO,FIORELLA FAUSONE,PAOLA DE BENEDETTI,ANNA SEGRE) 14-19 nUNA LETTERA DEL 194520 n

Dal nostro angolo marginale di ciò che restadi un ebraismo italiano di sinistra, è dovero-so dire cosa pensiamo, mettendo un qualcheordine mentale nella congerie di letture e in-terpretazione degli ultimi sconcertanti fattipolitici di questa Italietta misera, altezzosa epreoccupante, frutto di un anno e mezzo digoverno gialloverde e conclusasi inaspettata-mente con un improvviso rovesciamento po-litico, che ha dato luogo ad un governo, inparte, di diverso colore.Ciò che è avvenuto è stato prodotto dal du-plice e convergente intervento di un comicoe di un politico astuto, Beppe Grillo e MatteoRenzi, che hanno curiose affinità, evidenzia-te da Mario Tronti in una sua recente intervi-sta: la loro visione antipolitica, la volontà didistruzione dei partiti tradizionali, la loroconcezione del parlamento da aprire comeuna scatola di tonno. Tronti pensa che l’ac-cordo con i Cinquestelle sia, per il PD, unsuicidio assicurato, perché i Cinquestellecontinueranno nella loro demagogia populi-sta mentre il PD gestirà i dicasteri più impo-polari, quelli del rigore dei conti economici.

Nessun nemico a destra

Nessun nemico a destra. Sembra esserequesta la posizione di alcuni italiani ebrei,o ebrei italiani. E di molti italiani e basta oebrei e basta, anche, in attesa di capire perbene che cosa questo “e basta” significhi.Quello che conta è che è un principio cheporta ad accettare più o meno tutto, insultiantisemiti compresi, specie se rivolti a chinon condivide la suddetta massima, come iltraditore Gad e quei comunisti inveterati diHa Kehillah, qualcuno perfino con simpatiePd, autentici bombaroli insomma. A destra non ci sono nemici, dicono, men-tre spostano il limite qualche centimetropiù in là; un po’ più in là verso destra, s’in-tende. E dicono e spostano, e spostano e dicono. E centimetro dopo centimetro, paziente-mente, si spostano di metri e di chilometri,in barba all’animaccia nera degli ebrei ros-si. Finché un giorno di fine estate, in una bellapiazza che chiede il voto votata al cuoreimmacolato di Maria, il voto sùbito in no-me della democrazia e per cacciare i vilipoltronari, oppure sul prato della verdePontida, ci si accorge di un saluto romanoqui e una bandiera di CasaPound là, unebrei non siete italiani qui e un Auschwitzla vostra casa là. E allora si pensa quisqui-lie, bazzecole, pinzillacchere si pensa. Per-ché a destra, sia ben chiaro, nessun nemico.

ELEZIONI IN ISRAELE: UN ROMPICAPO DA DECIFRARE

Shanna Orlik (segue a pag. 4)

Certo, si tratta di un governo nato senza alcu-na seria discussione programmatica, fruttodell’accordo tra un partito dominato dallecorrenti e una piattaforma informatica digrillozzi; un governo frutto della provviden-ziale decisione di un politico dell’improvvi-sazione, bullo e sprovveduto, di affossare ilprecedente, intriso di demagogia e di incom-petenza, in cui si era reso ben visibile e do-minante, favorendone fortunosamente un al-tro, altrettanto improvvisato, e per metà fattodegli stessi incompetenti e sprovveduti part-ner di quello di prima.Bene, ci siamo liberati momentaneamente diSalvini e della sua destra dura, xenofoba erazzista e oggi, con rapido voltafaccia, nazio-nalista e non più padana e antisudista, e nesiamo contenti; ma non è che il futuro si pre-senti roseo e accattivante. Anzitutto nessunodei due leader, Di Maio e Zingaretti, era fa-vorevole a questo matrimonio giallorosso; lihanno spiazzati le decisioni di Grillo e diRenzi. Poi Renzi, da entrambi non amato,

Ad oltre una settimana di distanza dalle ele-zioni, quando i risultati definitivi sono statifinalmente pubblicati, sembra che tutti gliisraeliani concordino sulla difficoltà di ca-pire chi sia il vero vincitore di questa “se-conda chance” elettorale. A differenza dellanotte delle ultime elezioni, in cui i leaderdei due grandi partiti Likud e Kahol Lavan(Blu-Bianco) si erano precipitati sul palcoper annunciare le rispettive vittorie, sembrache la lezione sia stata appresa e che, questavolta, i politici abbiano deciso di lasciarcinella nebbia. In questa fase, è molto diffici-le sapere chi tra Benyamin Netanyahu(Likud) e Benny Gantz (Kahol Lavan) saràscelto dal Presidente Reuven Rivlin per cer-care di formare una coalizione [l’incarico èpoi stato affidato a Netanyahu, ndr]. Tutta-via, sembra ancora più complesso capire chidi loro riunirà abbastanza partiti per fornireal paese una maggioranza parlamentare sta-bile e duratura.In effetti, dalla sera del 17 settembre espertie giornalisti non hanno smesso di proporrepotenziali combinazioni che avrebbero per-messo di formare il prossimo governo israe-liano.Non mi avventurerò qui nell’esercizio ma-tematico che mirerebbe a offrirvi una for-mula vincente, preferisco tornare ai risultatidelle elezioni e a ciò che ci dicono sull’at-tuale stato della società israeliana.Giorgio Berruto

Cominciamo con il partito che è arrivato perprimo alle elezioni di settembre, il partitoBlu-Bianco guidato da Benny Gantz e YairLapid. Con 33 seggi, questo partito creatomeno di un anno fa, sembra aver convintoun gran numero di israeliani. La domandache ci si può porre è cosa li abbia convinti.Vi sono opinioni divergenti e le due ragioniprincipali sono, da un lato, una lista di cen-trodestra composta da ex ufficiali e sostenu-ta da figure emblematiche della destra stori-ca, come Dan Meridor. Dall’altro lato unaricorrente mobilitazione popolare “anti-Bibi”,guidata dal desiderio di cambiare la leader-ship politica, che ha incoraggiato gli elet toridi destra, di centro e di sinistra a non disper-dere un “voto utile”. Il partito Blu-Bianco èquindi emerso come un’alternativa politicache è stata in grado di riunire e persino con-vincere ancora più israeliani rispetto alleelezioni di aprile. Resta da comprendere, inun sistema parlamentare in cui una strutturaproporzionale impone una strategia di bloc-chi, se il candidato Benny Gantz sarà in gra-do di convincere potenziali partner e forma-re una coalizione, qualora ricevesse l’inve-stitura a formare il governo.Di fronte a Kahol Lavan, il Likud, un partitopolitico di destra guidato dal primo ministroBenyamin Netanyahu, ha ottenuto un nume-

Il serpente di rame (Numeri, 21.8), disegno di Stefano Levi Della Torre

DAL GIALLOVERDEAL GIALLOROSA

Emilio Jona (segue a pag. 2)

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2con la sua ben nota spregiudicatezza e con ilsuo fare cinico e spettacolare, ha operato inmodo da diventare, giocando fuori e dentro ilPD, l’arbitro che deciderà la vita e la duratadi questo governo, nato in una settimana difrenetiche discussioni, su di un programmaraffazzonato, magari anche condivisibile, madi una genericità disarmante.Molte sono le domande che dobbiamo porci:dati i tempi e le urgenze si poteva fare altri-menti, si poteva elaborare qualcosa di piùforte, visibile e concreto, traendolo anche daqualcuna delle cinque parole che formano illogos delle 5 stelle? Era giusto alleare il PDa un movimento ostile alla democrazia rap-presentativa e dedito ad una parodia buffone-sca e bislacca di democrazia diretta, un mo-vimento che non ha fatto alcuna revisionecritica neppure sulle leggi infami sulla sicu-rezza, da lui approvate ancora pochi giorniprima dello scioglimento del contratto di go-verno con la Lega? Si poteva seguire la vo-lontà di Salvini e andare alle elezioni antici-pate, affrontando a viso aperto una destra il-liberale ed estrema, alleata con quanto dipeggio esiste in Europa, in una lotta cheavrebbe potuto essere mortale? Si potevacorrere il rischio di ritrovarci in questo no-vembre in uno stato di democrazia illiberalealla orban, con uno sguardo di riguardo permovimenti paranazisti, come Casa Pound eForza Nuova? Io penso tranquillamente eamaramente di no, che non potevamo correrequesto rischio e insieme che questo rischio ètuttora esistente, perché se questo governonon avrà un po’ di senno, di competenza enon farà quelle riforme, non assumerà quelleiniziative essenziali, su fisco, lavoro, innova-zione, piccole e grandi opere pubbliche checome insegna il vecchio Keynes, sono il vo-lano per uscire dalle crisi di sistema, se que-sto governo fallisse, noi avremmo solo ritar-dato e aggravato il rischio che Salvini, Melo-ni e compagnia prendano il potere e magari ipieni poteri.La consapevolezza dei rischi è grande. Nes-suno dei componenti della compagine giallo-rossa ha fatto quella indispensabile analisi,critica e autocritica sul proprio passato, al-meno per quanto riguarda la durissima con-trapposizione, la totale conflittualità che, fi-no all’altro ieri, ha contrassegnato i loro rap-porti. Per cui l’alleanza appare segnata dallafretta e dalla semplice contrapposizione aSalvini. Non una parola, né dal vecchio/nuo-vo presidente del consiglio, né dall’incompe-tente e presuntuoso ministro degli esteri, èstata spesa non dico per dissociarsi, ma perfare una qualche ammenda sugli atti del pre-cedente governo, che anzi sono stati espres-samente confermati e apprezzati. Tutto quin-di può andare a catafascio tra la pochezza el’ignoranza, la scarsa democraticità dei Cin-

questelle, l’egocentrismo e la spregiudicatez-za di Renzi, le tante anime contrastanti delPD con i loro capi corrente e la cronica con-flittualità interna.ora ciò che resta è la speranza che l’abissoche sta davanti a noi, faccia sì che i nostri mi-nistri prendano coscienza che se questo go-verno non opera bene, con qualche tangibilesuccesso e in modo concorde, con una visio-ne unitaria dei problemi e delle soluzioni, ilrischio che corriamo sono le elezioni antici-pate, con la pressoché certa vittoria di unademocrazia alla Salvini, fondata sull’odio esulla paura, e la fine di quella forma di demo-crazia rappresentativa, certo del tutto imper-fetta (forse un meno peggio più che un bene),ma sicuramente ancora la migliore in unmondo devastato dal razzismo, dall’intolle-ranza, da pericolosissime guerre solo in ap-parenza locali, dalla mancanza di democra-zia, di libertà e di un benessere equamentedistribuito.Ed ora passiamo alla sinistra, che esiste, conbuona pace dei Cinquestelle, e di cui questarivista è parte. Essa dovrebbe ricordare, co-

me scriveva l’autore da cui siamo partiti, che“la storia del ’900 consegna una lezione ma-gistrale: una sinistra senza popolo lascia ilpopolo alla destra”, e che ci sarebbe moltopopolo da riconquistare, quello perduto epassato ai Cinquestelle e alla Lega, e quellodel 50/% degli italiani che non votano e chenon sono necessariamente dei qualunquisti,ma forse semplicemente dei disillusi.ora il rischio che sotto questo profilo si puòintravedere in questi giorni riguarda la cal-da, sacrificale partecipazione dei leader delPD al nuovo governo, a fronte del musolungo e silenzioso del Di Maio e alla bal-danza oppositiva degli ultras alla Di Batti-sta. Il rischio che l’abbraccio col M5S possaessere, anziché salutifero, letale esiste e ilPD, che è quanto resta di visibile e consi-stente della democrazia rappresentativa inItalia, dovrebbe tenerlo bene a mente, tro-vando ragioni e anticorpi per evitarlo: Perintanto ci piacerebbe un abbraccio più criti-co e lieve.

Emilio Jona

italia

Vignetta di Davì

(segue da pag. 1) Dal gialloverde...

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sono convinta. Forse, anche senza fantasti-care di successi strabilianti, si può ragione-volmente sperare in qualche piccolo risulta-to concreto che potrebbe dare qualche fruttonelle prossime elezioni politiche.Prima di tutto c’è l’Europa, ambito nel qualeil nuovo governo ha già ottenuto indiscutibi-li successi, dalla nomina di Gentiloni ad unruolo importante nella Commissione all’ac-cordo di Malta sulla redistribuzione automa-tica dei migranti. Qualcuno potrebbe affer-mare che sono successi simbolici, soprattut-to il secondo. Forse, ma tutto il dibattito po-litico degli ultimi anni è basato essenzial-mente su immagini, narrazioni, slogan, gestieclatanti, in un gioco perverso in cui vincechi riesce a dettare il vocabolario comune;dunque, se anche l’accordo fosse poco piùche uno slogan avrebbe già comunque unasua utilità nella misura in cui si oppone adaltri slogan (l’Europa che ci sfrutta, ci lasciada soli, ecc.) contribuendo a disinnescarli. Ècomunque evidente che molti paesi europei,e in particolare Francia e Germania, hannopreso sul serio il pericolo di un’Italia in ma-no ai sovranisti e sono pronti a fare mosseconcrete perché ciò non avvenga; inoltre sipuò sperare che un confronto con le istitu-zioni europee fatto di dialogo e collabora-zione anziché di insulti e rivendicazioni disovranità possa produrre qualche risultatopositivo. In secondo luogo questo è un governo in cuitutti – per lo meno a parole – dichiarano divoler mettere in primo piano le politiche so-ciali: taglio del cuneo fiscale, misure di so-stegno ai redditi più bassi, maggiori risorseper istruzione, sanità, ecc. Questi, se non al-tro, sono gli obiettivi dichiarati. Riuscire afar entrare qualche soldo in più nelle taschedi chi fatica ad arrivare alla fine del mesenon sarà certo un’impresa facile, ma almeno

nel governo non siede più chi invoca a granvoce politiche di segno opposto come la flattax. Anche in questo caso, se anche fosserosolo slogan, se non altro avrebbero il meritodi disinnescare altri slogan che urlano il con-trario.Ma se anche l’azione di questo governo nonproducesse risultati in termini di consensoelettorale, credo che comunque ciò che è ac-caduto da agosto ad oggi abbia avuto già diper sé un valore positivo e che abbia rappre-sentato un momento significativo nella storiadel nostro paese.Prima di tutto, è stata riaffermata la centralitàdel parlamento. E questo non è certo un risul-tato da poco se a questa consapevolezza ègiunta una forza politica nata con una voca-zione antiparlamentare in nome di una fanto-matica democrazia diretta. È stato ricordato atutti che la democrazia non è fatta solo diprese di posizione da cui non si transige maanche di confronto, mediazione talvolta an-che faticosa, ricerca del compromesso; che ildialogo con chi ha opinioni diverse non solonon ha in sé nulla di scandaloso ma, anzi, inalcuni casi può essere doveroso. Dopo que-st’estate gli italiani hanno capito che in Italiaun politico non può svegliarsi una mattina einvocare i pieni poteri solo perché i sondaggiin quel momento gli sono favorevoli. In secondo luogo, come si è detto in prece-denza, è stato rotto il monopolio della destrasul vocabolario politico: si può di nuovoparlare di integrazione, di ius culturae, diambiente e sviluppo sostenibile, di laicitàdelle istituzioni e di tante altre cose; si puòtornare a dire cose di sinistra senza essereguardati come dei marziani. Anche in questocaso si tratta solo di slogan? Può essere, maanche così non mancano di produrre effetti:si è visto, per esempio, che il vocabolariodel popolo PD e quello del popolo Cinque-stelle sono meno distanti tra loro di quantolo fossero quello dei Cinquestelle e quellodella Lega, e questa impressione (vera o fal-sa che sia) di vicinanza potrebbe comunquerivelarsi utile ai fini delle future alleanzeelettorali. Anche la presenza di Liberi eUguali nel governo può avere se non altro

un valore simbolico perdare l’impressione di unrosa meno pallido.In conclusione, abbiamo evitato per ilmomento di avere Salvinipremier: è già qualcosa;abbiamo estromesso ladestra dal governo: è giàqualcosa;abbiamo messo un frenoalle legittimazione di per-sonaggi e gruppi neofa-scisti: è già qualcosa;abbiamo dimostrato lacentralità del Parlamento:è già qualcosa;siamo ancora in Europa, eneppure troppo malvisti:è già qualcosa;possiamo sperare per iprossimi mesi in politicheeconomiche non troppodevastanti e controprodu-centi: è già qualcosa;gli slogan della destra nonsono più gli unici che sisentono: è già qualcosa;si può parlare di nuovo diintegrazione, di ambiente,di laicità: è già qualcosa;Ci basta per essere ottimi-sti? Forse no. Ma l’otti-mismo può anche essereuna scelta; tanto più puòessere, come in questo ca-so, una scelta dettata dalpessimismo.

Anna Segre

Spesso quando discuto sull’attuale governosono accusata di essere troppo ottimista. Amia volta accuso i miei interlocutori di ec-cessivo ottimismo per aver sottovalutato i ri-schi che abbiamo corso quest’estate.L’alternativa (non possibile: certa) al Conte-bis sarebbe stata un governo di estrema de-stra a guida Salvini, con la possibilità dieleggere tra due anni il Presidente della Re-pubblica e quasi certamente con una mag-gioranza tale da poter modificare la Costitu-zione a proprio piacimento. E, in prospetti-va, il rischio concreto di un’uscita dell’Italiadall’Unione Europea, che a sua volta potreb-be essere l’inizio della disgregazione del-l’Europa stessa. Senza contare i pericoli ag-giuntivi che si prospettavano per noi ebreicon un governo in mano a forze politiche al-le cui manifestazioni i saluti fascisti sonouna cosa normale, così come è normale al-lontanare un giornalista sgradito gridando“Ebreo, vattene!”.Però – mi obiettano a questo punto – se que-sto governo fallirà il pericolo sarà doppioperché il consenso elettorale della destrasarà ancora più alto. Cioè, in sostanza: perevitare di avere Salvini premier domani conun’ampia maggioranza sarebbe stato megliofarlo premier oggi con una maggioranza ri-sicata e lasciare che si bruciasse da solo. Èuna logica che non mi convince: non ha fun-zionato con Mussolini, non ha funzionatocon Berlusconi (è vero che il suo primo go-verno era caduto dopo pochi mesi, ma poi havinto le elezioni altre due volte), non capi-sco proprio perché dovrebbe funzionare conSalvini. Ma sarà poi vero che un’eventuale caduta diquesto governo porterebbe sicuramente aduna vittoria della destra più schiacciante diquella che si sarebbe prospettata se fossimoandati subito al voto? Personalmente non ne

Vignetta di Davì

L’OTTIMISMODEL PESSIMISMO

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porta aperta a Benny Gantz.A sinistra, il grande vincitore è senza dub-bio la lista dei partiti Arabi Uniti, che ora siposiziona come il terzo partito più grandedel parlamento israeliano. Una vittoria chepuò essere interpretata in molti modi: in pri-mo luogo, in un sistema democratico, non cisi può che rallegrare della grande partecipa-zione di una parte della società, specialmen-te quando si tratta di una minoranza. I diri-genti della lista Reshima Meshutefet (ListaUnita) hanno affermato che ciò che avrebbespinto i loro elettori ad andare alle urne èquello che descrivono come un “incitamen-to all’odio e al razzismo anti-arabo” propa-gandato direttamente da Benyamin Ne-tanyahu nelle settimane precedenti le ele-zioni. Se i media e la destra parlano senzaesitazione di un “blocco di sinistra” comepotenziale alleanza di Benny Gantz con ilPartito Laburista, l’Unione Democratica ela lista Araba Unita, la realtà politica è al-quanto diversa. Nonostante la storica deci-sione della lista Araba Unita (escluso il par-tito Balad) di raccomandare formalmenteBenny Gantz durante l’incontro post-eletto-rale con il presidente Rivlin, sembra chiaroche oggi nessuno dei leader dei principalipartiti sarebbe pronto ad invitarli a parteci-pare alla coalizione.La sinistra ebraica e sionista sembra conti-nuare la sua caduta libera: il Partito Laburi-sta, che si è unito al partito centrista Gesherper raggiungere gli elettori del centro-sini-stra, preoccupati per le questioni economi-che e sociali, ha ottenuto solo sei seggi. An-che L’Unione Democratica, composta dalpartito Meretz, affiancato da Stav Shaffir(laburista) e dall’ex primo ministro EhudBarak, non è riuscito a convincere. Sebbenel’annuncio di questa Unione inizialmenteapparisse molto promettente (circa 12 segginei primi sondaggi), la svolta strategica nel-le ultime settimane della campagna non hariscosso il successo sperato: in effetti, l’U-nione Democratica ha fatto una campagna

ro inferiore di seggi (32), perdendo così lostatus di vincitore. Questo stallo appare an-cor più sorprendente se si considera che idue principali rivali di Likud alle elezioni diaprile, Moshè Kahlon (partito Kulanu) eMoshe Feiglin (partito Zeut), hanno questavolta sostenuto Benyamin Netanyahu manon sono riusciti a rimpolpare i ranghi delLikud. Questa sconfitta riguarda in generalenon solo il Likud, ma tutta la destra. In ef-fetti, il partito Yamina, che costituisce l’u-nione dei partiti di estrema destra La CasaEbraica (che era diventata in aprile la “nuo-va destra”) di Naftali Benett e AyeletShaked e L’Unione Nazionale-Tkuma diBetzalel Smotrich, ha ottenuto solo 7 seggi,salvando così alcuni dei suoi deputati chenon avevano superato la soglia minima alleelezioni di aprile. Se i media già stavanoproiettando Ayelet Shaked come prossimoprimo ministro di Israele per questa coali-zione che rappresenta l’estrema destra, fa-vorevole all’annessione della Cisgiordania,il ritorno alla realtà è stato amaro. Inoltre,all’estrema destra di sempre, il partito kaha-nista Otzma Yehudit (Forza Ebraica) non hasaputo neppure lui come convincere e rac-cogliere abbastanza voti per superare la so-glia di sbarramento. Se ci sono vincitori nel blocco di destra,questi sono certamente i due partiti ultraor-todossi ashkenazita e sefardita, che, ancorauna volta hanno dimostrato di saper mobili-tare i loro elettori, tanto da riuscire a guada-gnarsi rispettivamente 8 e 9 seggi. Sebbeneavessero ufficialmente firmato un patto dilealtà con Benyamin Netanyahu, permango-no dubbi sulla loro fedeltà: il partito sefar-dita ultraortodosso Shass, per esempio, inpassato ha già dimostrato un certo grado ditrasformismo, passando a coalizioni di cen-tro o di sinistra per meglio servire il suoelettorato di riferimento, dai banchi del go-verno e non dell’opposizione... una chiara

sui difetti dei suoi avversari, enfatizzando ipericoli del controllo religioso, ma non èriuscita ad offrire una visione concreta posi-tiva e non è stata in grado di allargare la sfe-ra di consenso oltre alla base elettorale tra-dizionalmente radunata attorno al Meretz.Se il momento delle conclusioni non è an-cora giunto, chi sembra oggi tenere le filadella politica israeliana è Avigdor Lieber-man e gli 8 seggi del suo partito Israel Bey-tenu (Israele, la nostra casa). Nel corso del-la sua consultazione con il Presidente Rivlindel 22 settembre non ha scelto di raccoman-dare né Netanyahu né Gantz, mantenendosile mani libere per i futuri negoziati. AvigdorLieberman, ex stretto collaboratore di Ne-tanyahu e promettente membro del Likud,ha rappresentato l’elemento di destabilizza-zione dell’ultimo governo e la ragione delfallimento di Netanyahu in Aprile, portandoa nuove elezioni. Ha aumentato il suo nu-mero di elettori al di là della sua base elet-torale di immigrati di destra di lingua russa,posizionandosi come baluardo della laicitàcontro l’influenza degli ultraortodossi sulloStato di Israele.Nelle settimane a venire Israele dovrà usci-re dall’attuale confusione politica e fornirefinalmente le risposte alle domande che tuttisi pongono: quali gruppi di cittadini sarannorappresentati nel futuro governo (ebrei, ara-bi, religiosi e laici, haredim, destra, sinistra...)? Un governo di unità nazionale formatoda Likud, Kahol Lavan e Israel Beytenu saràla soluzione del rompicapo matematico cheimpedisce ora di immaginare una coalizionestabile? Gli israeliani dovranno tornare alleurne per la terza volta nonostante il costo didiversi miliardi di shkalim? E in ultimo,queste elezioni finalmente segneranno lastorica conclusione dell’era Netanyahu?Non ci rimane che aspettare.

Shanna Orlik24 settembre

Traduzione di Emilio e Beatrice Hirsch

(segue da pag. 1) Un rompicapo...

Vignetta di Davì

Shanna Orlik, 28 anni, bogeret, cioèmembro adulto, del movimento Ha-shomer Hatzair in Francia, ha fattol’Alyà con la sua kvutzà (gruppo) nel2013 ed ora vive con i suoi compagnia Tel Aviv. Laureata in Scienze Politi-che e Legge (a Parigi) e Conflict Re-solution and Mediation (a Tel Aviv).Negli ultimi anni ha lavorato comeproject manager e coordinatrice deldipartimento di Hagshamà (autorea-lizzazione) per il Movimento Mondia-le dell’Hashomer e per la World Zio-nist Organization.

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IncertezzaScrivo queste note nel giorno dell’insedia-mento della nuova Keneset eletta qualchesettimana fa, a pochi mesi dalle precedentielezioni. Le trattative per la coalizione di go-verno, o meglio gli incontri tra i rappresen-tanti dei due campi, Likud e Biancoazzurri(Kahol-Lavan), non hanno finora prodottoalcun risultato. Tutti i contendenti auspicanoun governo di unità nazionale, senza, finora,venire a compromessi di fondo. E ieri si è te-nuta la prima udienza riguardante i tre dos-sier che vertono su operazioni di governo delpremier Bibi, che porteranno, se porteranno,ad un verdetto di condanna o di assoluzionecome se i grandi problemi del Paese fosserostati messi da parte, in un clima di carpediem, come durante la recente campagnaelettorale.

GlobalizzazioneStiamo vivendo una fase storica di globaliz-zazione. Stiamo attraversando giorni che ac-comunano i problemi dei Paesi, grandi e pic-coli, pur con le rispettive naturali specificità.Arduo compito per gli storici futuri. Le ideo-logie di ieri, che hanno caratterizzato il seco-lo scorso, sono, o sembrano, tramontate. Ileader attuali personalizzano la scena mon-diale con comportamenti bizzarri ai vertici.Restringendo l'analisi al campicello Israele emondo ebraico, i giudizi ancor più del passa-to si pongono su posizioni estreme, quasi an-nullando le sfumature. Il campo “liberal”(uso il termine anglosassone) identifica loStato Ebraico come entità “sovranista”, na-zionalista e fondamentalista, colonialista. Equasi ignora il risorgente antisemitismo a piùdi settant’anni dalla fine del conflitto mon-diale e della Shoah e l’Islam xenofobo. Israe-le si è trovato, per realpolitik, a fianco diPaesi postcomunisti dell'Europa orientale,sorvolando spesso su rigurgiti dei vecchi an-tisemitismi del passato. “Bisogna affrontareil presente!” Come allevare le nuove genera-zioni nella diaspora e in Israele? Chi vivràvedrà!

Un popolo come gli altriSto meditando sulla polemica, l’ennesima,riguardo al libro di Sergio Luzzatto. È un te-ma che mi assilla, da tempo, quasi quotidia-namente, leggendo la Bibbia e studiando ilTalmud. Particolarismo e /o universalismo?La Shoah è stata un unicum o un altro geno-cidio come quello di molti gruppi e popoli? Ilritorno alla Terra dei Padri un evento senzaprecedenti o un capitolo del colonialismodelle potenze nel secolo ventesimo? Unaconfessione: una Tefillà che recito ogni gior-no, che sintetizza la mia sensibilità ebraica:"Riparare il mondo sotto lo scettro dell’on-nipotente … Quel Giorno D-o sarà ricono-sciuto Unico e il Suo Nome Unico…”.

Reuven Ravenna4 Tishrì, 3 ottobre

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no disponibili in italiano ma in lingua origi-nale con sottotitoli italiani a volte chiaramen-te scarni ed imprecisi. Ciononostante, la diffi-coltà linguistica non distoglie dall’evolversidelle vicende amorose osteggiate da consue-tudini sociali incomprensibili del bell’AkivaShtisel o dalle velleità recitative di LuzerTwersky, reale giovane attore newyorkese al-le prese con l’abbandono di una famiglia che,per rimanere più fedele di lui all’ultraortodos-sia, rifiuta di incontrarlo da anni. Gli argo-menti, tutt’altro che banali, toccano confor-mismo e ostracismo, brama di scoperta edemancipazione ma anche di continuazionedel legame con la Legge dei Padri e le suesfaccettate declinazioni interpretative, nonsolo formale e ritualistico, come spesso ci ap-pare, ma più profondamente filosofico ed esi-stenziale. Tutti i personaggi, di fantasia o rea-li che siano, in un modo o nell’altro, sono allastessa ricerca di quello che cerca l’ebreo laicoed il religioso illuminato a cui questo giornaletendenzialmente si rivolge.Di proposito non voglio né fornire un riassuntodelle storie né un reale giudizio su quello cheviene rappresentato. Lascio al lettore il di -vertimento ma anche la sofferenza di buttarsinelle trame e soprattutto nelle difficoltà che ipersonaggi reali e immaginari ci presentano, diimmergersi nelle loro domande, nelle loro in-sicurezze e frustrazioni. Sono le nostre.

Emilio Hirsch

Da pochi mesi la rete internet e Netflix han-no aperto uno squarcio di luce nel mondo perme alquanto tenebroso dei moderni chassi-dim e in quello degli ultraortodossi messiani-ci del genere Chabad Lubavitch. Mondi nonsolo insulari ma antimodernisti e antiscienti-fici da cui generalmente ho cercato di mante-nere il debito distacco mi hanno improvvisa-mente aperto le loro porte senza bisogno dimettermi il caffettano ed il cappello di pelomagari nel l’afa estiva di Gerusalemme oBrooklyn. Due film in particolare mi hannopermesso di assaporare aspetti curiosi, inti-mi, ironici, spesso simpatici e talvolta racca-priccianti della vita di tutti i giorni di chi silascia cullare dal chassidismo o cerca di ab-bandonarne l’ab braccio tentacolare. Parlodella serie TV Shtisel che in 24 puntate cilancia nel mondo dell’ultraortodossia israe-liana in una soap opera accattivante e ottima-mente orchestrata da una regia sapiente masoprattutto da un copione leggero ed allostesso tempo intenso, nonché da straordinariattori israeliani capaci di creare personaggidegni di un romanzo di Singer nei nostrigiorni. Mi riferisco, tuttavia, anche al lungo-metraggio a carattere apparentemente docu-mentaristico “one of Us”, dove tre personag-gi reali sono seguiti nel loro tentativo di ab-bandonare l’ultraortodossia di una comunitàdi Brooklyn e ritornare nel mondo “main-stream” della vita moderna.Sono due opere completamente diverse e traloro in contrasto diretto. Tuttavia la forzaturache ho dovuto fare a me stesso per incomin-ciare a seguirle è stata la stessa. Sono il miostesso popolo ma sono davvero la mia stessacultura? Domande del genere mi hanno spes-so tenuto lontano dall’avere troppo a che farecon “loro”. Devo ammettere che se non neavessi intensamente sentito parlare da chi infamiglia era già stato catturato dalle trasmis-sioni non le avrei mai notate né tantomeno neavrei scritto. All’inizio le storie sono risultate,come temevo, aliene e distanti ma poi con ilproseguire delle puntate di Sthisel e delle sto-rie di one of Us i personaggi prima rasentantiil patetico e lo sgradevole si sono stemperatiin fratelli virtuali di cui patire e compatire an-gosce e sollievi, crucci e speranze, in un cal-mo turbinio di vita dove improvvisamente AmIsrael ci pare meno diviso ed inconciliabile.In entrambe le trasmissioni siamo proiettati inun miscuglio di lingue dove l’Yiddish è anco-ra idioma vivissimo e il suo passaggio all’e -braico ed all’inglese in tonalità tedescheg-gianti risulta sorprendente e affascinante. Sì,come avrete intuito, la serie ed il film non so-

BLOCKNOTES HASSIDIM SOAP OPERA

IL MISTERO DEL KIBBUTZL’autore, professore associato di econo-mia alla Stanford University, ricercatoreassociato al National Bureau of Econo-mic Research, si interroga sulla possibi-lità di sopravvivenza dei kibbutzim, i cuiprincipi fondativi di economia egualita-ria sono andati via via affievolendosi almutare del contesto politico e socio-eco-nomico del Paese.Prende quindi in esame le modificazioni,in molti casi anche radicali, delle regole divita comunitaria e lavorativa introdottenel tempo nei kibbutzim; modificazioniintese a conservare motivi di attrazione ea evitarne o ridurne l’abbandono.La vita nei kibbutzim è descritta dall’au-tore attraverso la storia della propria fa-miglia, a partire da quella dei suoi nonnimaterni che, lasciata la Polonia per la Pa-lestina mandataria, parteciparono allafondazione del Kibbutz Negba. Pur rico-

noscendo che la narrazione di esperienzepersonali sia inconsueta in uno scritto ba-sato su analisi socio-economiche e su datiobiettivi, l’autore sostiene tuttavia che lostesso sarebbe incompleto senza l’intro-duzione di un esempio – tra i tanti possi-bili – delle vicende umane di persone par-tecipi a quell’esperimento unico che èstato il movimento kibbutzistico.Libro magistralmente strutturato e diesemplare chiarezza, da apprezzare an-che da lettori non ferrati in scienze eco-nomiche.

Simonetta Luzzati

Ran Abramitzky, The mistery of theKibbutz. Egalitarian principles in a cap-italist world, ed. Princeton UniversityPress, 2018, pp. 343, € 29,50

Grazie!La redazione di Ha Keillah ringrazia calorosamente

i lettori che ci hanno sostenuto

con le loro generose offerte

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6 In principio, confusione e pauraSiamo nel 1914 a Gerusalemme. La città,lontana provincia dell’Impero ottomano, èin maggioranza abitata da ebrei, in gran partedi origine russa, che sono tuttavia una mino-ranza nell’intera regione che si stende tra ilMediterraneo e il Mar Morto, tra il desertodel Negev e le colline della Galilea. La storiadel sionismo moderno è cominciata da alcunidecenni, quelli eroici delle prime aliyot, masono l’attentato di Sarajevo, la guerra portatadall’Austria contro la Serbia e il tragico do-mino che in breve tempo estende il conflittosu gran parte del suolo europeo a segnare unnuovo principio, come recita il titolo del li-bro di Aharon Reuveni, fatto di confusione epaura. Anche per i sionisti il 1914 è un annozero che minaccia di cancellare le molte con-quiste ottenute e mette in discussione la stes-sa presenza ebraica in Palestina. Il romanzo,pubblicato da Einaudi nella traduzione di Lu-ca Colombo, che ha curato anche un utile ap-parato di note, è la prima porzione di una tri-logia e consente finalmente anche al lettoreitaliano di conoscere uno scrittore significa-tivo, se non proprio per la nascita, almenoper il primo sviluppo della letteratura ebrai-ca. Il legame tra l’ebraico come lingua mo-derna, lo sviluppo della letteratura e del ro-manzo e il sionismo politico è tanto più stret-to in questo libro, la cui edizione originale ri-sale al 1919, in cui si intreccia con la materiadella narrazione e con l’ambiente raffiguratoin presa diretta. Reuveni ritrae il circolo della redazione diun giornale sionista da cui emerge la storiadi un singolo, il contabile Tziprovitch, riu-scendo ad alternare e far dialogare efficace-mente coralità e individualità. Tziprovitch èl’esatto opposto dell’ebreo sionista musco-loso e abbronzato che campeggia sulle lo-candine del Keren Kayemeth LeIsrael, ilfondo nazionale ebraico fondato nel 1901con lo scopo di acquistare e dissodare la ter-ra nella Palestina ottomana. Insicuro, co-stantemente in disparte, di salute cagionevo-

le impersona al massimo grado l’incertezzadei tempi e, al contempo, rappresenta unadelle tante figure di inetto della letteraturadel Novecento. La relazione con l’infermie-ra Menia è aspra, i caratteri non possono es-sere più diversi: “Com’era stridente il con-fronto tra l’aspetto misero e triste del voltodel contabile emaciato dalla lunga malattia equesta donna che gli camminava accanto,giovane, fresca e bella”. Tziprovitch ricordaper alcuni aspetti i personaggi descritti daAmos oz nel suo capolavoro Una storia diamore e di tenebra, quegli indimenticabiliintellettuali magri con i rammendi sui vestitie un libro sempre in mano che nella Gerusa-lemme degli anni trenta e quaranta discuto-no di identità ebraica e sionismo sulla scortadei romanzi di Tolstoj e Dostoevskij. Ma ozguarda a queste figure attraverso le lenti delracconto di vita dello scrittore che ricorda ilbambino di tanti anni prima; la prospettivadi Reuveni è invece secca, realistica e a tratticrudele, ad essa è del tutto estranea la com-ponente di sogno e di memoria che informatutta la narrazione di oz.All’ingresso in guerra dell’Impero ottomanocontro i Paesi dell’Intesa per gli ebrei di ori-gine russa si aprono giorni di incertezza e ti-more che esigono scelte radicali. La Turchiacombatte infatti contro la Russia, alleata diFrancia e Inghilterra. Per la Sublime Porta,dunque, i nativi russi sono potenziali nemici.Il progetto sionista e le esistenze individualisono a rischio. Che fare? Appoggiare la Tur-chia, come propone Ghivoni, che ricorda davicino la figura storica di Ben Gurion? op-pure la Russia dello zar, terra natale ma an-che paese dei pogrom? o ancora l’Inghilter-ra? ottomanizzarsi come impone Istanbul oresistere? o infine partire? Dai dibattiti acce-si, feroci talvolta, degli intellettuali ebrei diGerusalemme si sviluppa un romanzo vivo,un modello per l’effervescente letteraturaisraeliana contemporanea.

Giorgio Berruto

Il mare di GerusalemmeLuca Colom -bo inviando-cene una co-pia come “o -maggio deltraduttore” ciha fatto co-noscere que-sta raccoltadi brevi no-velle di di-ciotto scrit-tori israelia-ni, pubblica-ta in Italianel gennaio2017.Sono scritti molto diversi tra loro per stile,per contenuto, per la capacità e il modo dicoinvolgere il lettore, uniti sia dalla brevitàdella narrazione sia dall’essere tutti collocatiin ambiente israeliano. Ci sono racconti toc-canti, quale quello che dà il titolo alla raccol-ta (un marito accompagna la moglie, malatadi Alzhaimer, a cercare – e a credere di avertrovato – il mare a Gerusalemme), o il figlioche accompagna il padre, malato terminale, aParigi per ascoltare per la prima e l’ultimavolta Bruce Springsteen, o la storia dellamucca Virginia che riconcilia la madre con ilfiglio emigrato negli USA. Ci sono raccontistranianti, surreali quale quello di Etgar Ke-ret, o divertenti come il racconto in cinquemomenti a ritroso nel tempo di incontri conun amico d’infanzia “criminale disorganiz-zato”. C’è un racconto in stile popolare yid-dish, uno sul l’immigrazione dall’Etiopia nelracconto di una bambina e molto altro anco-ra, da leggere con interesse e piacere.Chiudono la pubblicazione un saggio di Yi-gal Schwartz sul “racconto breve”, e una bre-ve nota biografica sugli autori.La raccolta è stata compilata in ricordo di ofraEligon, giornalista e scrittrice di racconti; l’ul-tima novella, quella in stile yiddish, è sua.

Paola De Benedetti

isra

ele-

libri

Chaim Soutine,Veduta di Cagnes

Aharon Reuveni, In principio, confu-sione e paura, traduzione di Luca Co-lombo, Einaudi, pp. 196 € 18,50

Il mare di Gerusalemme – 18 scrittoriisraeliani raccontano, traduzione di Lu -ca Colombo, Stampa alternativa BandaAperta srl, 2017, pp. 290, € 18

Chaim SoutineLe opere qui pubblicate sono diChaim Soutine (1893-1943), pit-tore francese nato in Bielorussiadalla famiglia ebraica Solomo-novi� Sutin. Carattere molto intro-verso, ha lasciato solo pochelettere e nessun diario. Vita e ca-rattere enigmatici, rivelati dallesue pitture più che dai suoi scrit-ti. Arrivato a Parigi nel 1913,abitò a Montparnasse, dove co-nobbe Modigliani, che fu per luigrande amico e mentore. Rem-brandt, Chardin e Courbet ispi-rarono la pittura di Soutine nelprimo periodo parigino. Suc-cessivamente egli sviluppò unostile pittorico originale con for-me, colori e tecniche che costi-tuirono una specie di ponte tral’arte tradizionale e l’espressio-nismo astratto.

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7te più pacato. Ma pur nella differenza tra glistili e l’ambientazione i due romanzi hannoun elemento essenziale in comune: in entram-bi i protagonisti – personaggi con i quali illettore si identifica facilmente anche perchéla vicenda è narrata in buona parte dal loropunto di vista – fanno una cosa terribile, ma illoro comportamento appare così logico e na-turale da insinuare in noi l’inquietante sospet-to che al loro posto ci saremmo comportatinello stesso modo. Se in Svegliare i leoni ilprotagonista investiva un uomo e fuggiva, inBugiarda una ragazzina che è stata pesante-mente offesa da un cantante in declino lasciacredere a tutti che l’uomo abbia tentato di stu-prarla. E in entrambi i romanzi piano piano cirendiamo conto che intorno ai protagonisti,dilaniati dai sensi di colpa ma incapaci di sot-trarsi alla situazione che hanno creato, quasinessuno è realmente innocente. In Bugiarda ci ritroviamo circondati da per-sonaggi che mentono, in misura maggiore ominore, e spesso mentono anche a se stessi; escopriamo anche che la menzogna fiorisceovunque senza risparmiare nulla, neppure imomenti fondanti della storia dello Stato diIsraele come la Guerra d’Indipendenza; an-che una tragedia indelebile come la Shoahrievocata dai giovani studenti israeliani in vi-sita ai lager o un lutto condiviso da tutta lanazione come l’assassinio di Rabin possonodiventare pretesti per finzioni e travestimen-ti, o trasformarsi per qualcuno in occasionipropizie. D’altra parte accanto ai miti fon-danti del l’identità israeliana ci sono anche lecose non dette, in particolare le difficili con-dizioni di vita dei mizrachim (gli ebrei pro-venienti dal Medio oriente e dal Nordafrica)nei primi anni dopo la nascita di Israele; e lebugie si generano anche a causa di questestorie non raccontate, di queste sofferenzenon adeguatamente riconosciute. Del resto lamenzogna è una forma di arte, un far esisteremondi diversi e possibili, e dunque in unacerta misura può anche coincidere con la let-teratura stessa.Al Salone del Libro di Torino è stato chiesto

all’autrice se la vicenda sia legata particolar-mente alla realtà israeliana. La Gundar-Go-shen ha affermato che si tratta di una storiache potrebbe svolgersi ovunque, pur ricono-scendo che lo Stato di Israele (come del restoemerge anche nel romanzo) si fonda su mitie narrazioni non sempre del tutto veritieri;ma questo – ha subito aggiunto – è vero pertutti gli stati, non solo per Israele. Alla do-manda su quali scrittorivede come propri modellila Gundar-Goshen ha di-chiarato senza esitazioniDavid Grossman, non soloper la sua scrittura ma an-che per il suo impegno po-litico. Un impegno che neilibri della Gundar-Goshennon è evidente, ma in ef-fetti non manca: qua e làtra le righe di vicende nor-mali che si svolgono in unPaese normale (ma si po-trebbe dire lo stesso pergran parte degli autoriisraeliani, tra cui lo stessoGrossman), l’autrice mettediscretamente il dito suqualche piaga, dalla condi-zione dei beduini del Ne-gev in Svegliare i leoni aquella dei mizrachim inBugiarda. Fortunatamente,comunque, la presentazio-ne del libro al Salone nonsi è trasformata in un di-battito ideologico tra ammiratori e detrattoridi Israele; e anche questo, che nelle mie pre-visioni era tutt’altro che scontato, ha contri-buito a rendere l’ora di incontro con l’autricedavvero molto gradevole.

Anna Segre

BugiardaDopo tante corse da un padiglione all’altrodurante l’ultimo Salone del Libro e tanteestenuanti code per ascoltare questo o quel-l’autore famoso, è stata per me quasi una lie-ta sorpresa scoprire che per ora gli estimatoridella scrittrice israeliana Ayelet Gundar-Go-shen in Italia sono ancora un numero tale daconsentire un piacevole incontro con l’autri-ce in una sala non troppo grande e non trop-po piena. Temo, però che questa fama discre-ta non durerà a lungo e che presto anche perquesta scrittrice arriveranno le sale affollatee le lunghe code. Mi sembra impossibile cheuna scrittura che su di me esercita un effettocosì dirompente possa passare inosservatatroppo a lungo. Da insegnante di lettere abi-tuata ad analizzare, scomporre, spiegare itrucchi, difficilmente quando leggo un ro-manzo riesco ad essere spiazzata, inerme difronte a una storia che si impadronisce di me,mi trascina verso direzioni che non so preve-dere, abbatte le mie certezze e mi pone inter-rogativi inquietanti. Nel caso dei due roman-zi che ho letto di quest’autrice, invece, que-sto mi capitava continuamente.Ayelet Gundar-Goshen, inoltre, ha un mododi scrivere che mi affascina anche per l’atten-zione ai dettagli della vita quotidiana, alle im-percettibili sfumature nei comportamenti enei rapporti tra le persone, alle piccole incom-prensioni e trappole che si celano anche al -l’interno dei legami più solidi; e c’è una gran-de attenzione ai personaggi secondari, ciascu-no con i propri segreti e le proprie motivazio-ni recondite, che creano un mondo ricco disfumature e non facile da decifrare perchénessun personaggio è una macchietta e nessu-no si comporta in modo scontato. Caratteristi-che che avevo rilevato già nel romanzo prece-dente di quest’autrice, Svegliare i leoni. Inquel caso, però, si trattava di una vicenda de-cisamente sopra le righe, con morti, violenze,droga, e molto altro, a mio parere non semprenecessario; Bugiarda ha un ritmo decisamen-

200 triremi, che ha convinto a più riprese gliSpartani e gli altri alleati a fare fronte comu-ne, che ha saputo utilizzare stratagemmi e di-sinformazione degni del Mossad per attirarein trappola la flotta persiana; se sono vere ledicerie riportate dagli storici posteriori, fuanche un politico arrogante e vanaglorioso,dedito al proprio tornaconto e cinico anchecon gli alleati della Lega di Delo, comequando avrebbe tramato per distruggere leloro navi, e garantire così l’egemonia atenie-se e sua personale. La sua immagine pressogli ex-concittadini venne definitivamente in-taccata quando, per sfuggire ai processi, si ri-fugiò dagli stessi persiani, dal nuovo re Arta-serse, mettendosi al suo servizio come gover-natore della città di Magnesia. Quella però è storia successiva, che esula daiconfini dell’Agorà e della Boulè. Non influiscepiù di tanto sulla nostra ammirazione per imeccanismi di democrazia diretta, cui tendia-mo ad associare quei luoghi. Dopotutto, è da lìche sale l’emozione, nel visitare il Museodell’Antica Agorà. Quello che accadeva fraquelle pietre rimane il nostro metro per valuta-re criticamente, 2500 anni dopo, fenomeni co-me la piattaforma Rousseau, o le campagne diinformazione e disinformazione sui social, o laformazione del consenso con i media prezzo-lati, ad esempio con i giornali gratuiti tipoIsrael Hayom. E rispetto alla rabbia spesso dif-fusa su questi canali, l’ostracismo, focalizzatoverso un unico potente e dalle conseguenzecontrollate (l’ostracizzato veniva allontanatoma non, tecnicamente, punito, né gli erano

confiscati i beni), appare quasi l’epitome dellasaggezza e del buon governo democratici.Nell’Atene di Pericle si stima vivessero300.000 abitanti. Di questi, però, almeno lametà erano schiavi o meteci, cioè residentisenza cittadinanza. Circa la metà donne, la-sciando una percentuale di cittadini,cheavrebbero potuto teoricamente esprimere ipropri diritti politici ben inferiore alla per-centuale che ne gode fra quanti abitano oratra il Giordano e il mare. Sottraendo anche igiovani prima del servizio militare, gli ate-niesi a pieno titolo si crede non siano maistati più di 50.000. Pericle però introdusseuna riforma, uno ius soli alla rovescia, cheprivava della cittadinanza chi non fosse natoda genitori entrambi ateniesi. Si pensa chequesto abbia ridotto i potenziali partecipantiall’assemblea popolare, l’Ecclesia, a circa30.000. Considerando però che l’Ecclesia siriuniva sul colle della Pnice, che anche dopoil suo raddoppiamento non aveva più di13.500 posti, si può stimare in un diecimila ilnumero di chi andava ad un’assemblea moltoaffollata, il 3% della popolazione. Delle ora-zioni tenute in queste assemblee ci sono ri-masti esempi luminosi, fulgide testimonian-ze dell’abilità oratoria di pochissimi; ma nonci è rimasta granché traccia della moltitudinedi deliberazioni mediocri, o meschine, e tan-to meno dell’elaborazione di idee da partedella gran massa dei partecipanti, che forsene ha espresse solo in occasione degli ostra-cismi. E forse, anche allora, usando un coc-cetto precompilato. Lasciamo gli ostraka nel-la teca.

Alessandro TrevesTrieste e Tel Aviv

C’è una teca, al Museo dell’Antica Agorà diAtene, con forse un centinaio di ostraka,ognuno con su scritto il nome di un politicoche – chi l’ha scritto – voleva bandire dallacittà. Tanti nomi diversi, e nella grafìa parti-colare di ciascun coccetto vien fatto di prova-re a intuire i motivi, forse personali, forse me-schini, dell’animosità verso quello specificoindividuo. Altrettanti cocci si vedono nella te-ca accanto, ma questa volta recano tutti lostesso nome: Temistocle, figlio di Neocle.Tanta unanimità fa impressione. Diretta con-tro l’eroe che, impariamo a scuola, aveva sal-vato la Grecia tutta, anzi, l’Ellade, dall’inva-sione di Serse. Certo, i cocci sembrano bentorniti e simili fra loro, e la spiegazione nellateca ci dice che sono stati trovati tutti insiemein un pozzo – come preparati dalla macchinapropagandistica di qualche avversario politi-co, magari del suo rivale Aristide. Pare cherecenti esami calligrafici abbiano conclusoche sono proprio scritti dalla stessa mano. Etuttavia, se anche quegli ostraka furono “pre-compilati”, come molte delle opinioni postatesui moderni social network, ottennero pursempre la maggioranza relativa in una vota-zione di almeno 6000 cittadini, uno vale uno,e Temistocle venne effettivamente ostracizza-to e costretto all’esilio, neanche dieci anni do-po la vittoria di Salamina. Viene da chiedersise ergersi a supremi difensori a fronte dellaminaccia persiana – ora si dice iraniana – nonporti un po’ jella.Ma Temistocle non pare sia solo colui che haperorato con gli Ateniesi la costruzione di

Ayelet Gundar-Goshen, Bugiarda, tra-duzione di Raffaella Scardi, Giuntina2019, pp. 260, € 17

A VOLONTÀ DI POPOLO

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riflessione, accendono la curiosità e induco-no al l’ascolto e alla ricerca di approfondi-mento.A proposito di pari opportunità, cosa pen-si delle quote rosa?Penso che siano un passaggio fondamentaleper raggiungere una vera parità.In Italia siamo ancora molto lon-tani rispetto ad altri paesi e c’è unenorme lavoro da fare. Non è tan-to questione di legislazione ma diatteggiamenti: in Francia moltedonne lavorano e hanno anche trefigli. Questo avviene perché loStato fornisce una serie di servizi,ma c’è anche una mentalità checonsente loro di fare carriera. Re-centemente oltralpe è stata pro-mulgata una legge che tutela il di-ritto ad essere disconnessi dallemail dopo l’orario di lavoro: inrealtà questa decisione ha avutol’approvazione anche di gran par-te del mondo maschile. È molto importante l’appartenen-za all’Unione Europea, perché lapresenza di paesi più avanzati nelcampo dei diritti delle donne po-trà essere da traino per il nostro. Parlami di ebraismo e pari op-portunitàLa domanda andrebbe rivolta airabbini! Nell’ebraismo non si può parlare dipari opportunità perché sappiamo che i ruolisono nettamente distinti, però non si parlanemmeno di subordinazione. Gran parte delfemminismo americano ha origini ebraiche enasce dal fatto che donne ebree impegnatepoliticamente si sono trovate di fronte a unacontraddizione: fuori casa partecipavano amanifestazioni e incontri politici in cui si ri-vendicavano diritti di parità e uguaglianzama in casa avevano ruoli definiti in ambitodomestico. Per queste donne la sfida è stataquella di portare avanti la lotta politica senzarinnegare la propria appartenenza. Un esem-pio è dato da Blu Greenberg, “figura ponte”tra “femminismo” e ortodossia ebraica. BluGreenberg è stata cofondatore e primo presi-

dente del JoFA (Jewish orthodox FeministAlliance): la missione di JoFA è quella di so-stenere la “partecipazione significativa” del-le donne, nella massima misura possibilenell’ambito dell’halakhà, nella vita familia-re, nelle  sinagoghe, nelle case di apprendi-mento e all’interno della comunità ebraica ingenerale.Da quando sei Presidente dell’ArchivioTerracini ci sono state diverse iniziativeche hanno riscosso un indubbio successo:partecipazione al Festival Archivissima,visita all’Archivio da parte dei ragazzi delGET (Giovani Ebrei Torinesi) che hannoanche potuto osservare come si lavora suidocumenti conservati, e altri incontri distudio e conoscenza, presentazione di libried ora la pubblicazione della collana deiQuaderni dell’Archivio.Spiegami quale ruolo attribuisci all’Archi-vio nella struttura comunitaria. All’interno della Comunità l’archivio ha unruolo fondamentale, perché conserva la sto-

ria e quindi l’identità del gruppo. Per questomotivo è molto importante renderlo vivo,coinvolgendo i giovani e tutti coloro chesentono di avere radici ebraiche. Quando siparla di accoglienza non si può prescinderedal fatto che la Comunità di Torino è orto-dossa e ha quindi regole ben precise: chi,per esempio, decide di fare il ghiur (conver-sione) perché magari ha scoperto di avereuna nonna ebrea, deve sottoporsi giusta-mente a uno studio molto serio e approfon-dito e impegnarsi a seguire tutte le mitzvotprescritte dall’halakhà (regole e precetti).Non è detto che tutti si sentano di affrontareun percorso del genere ma, attraverso l’ar-

Come è stato per te inserirsi a Torino?Sono arrivata subito dopo il matrimonio conArturo Tedeschi e mi sono inserita moltobene: ho trovato una Comunità accoglientein cui mi sono sentita a mio agio, sicura-mente facilitata dal fatto che mio maritofosse torinese e che qui avesse famiglia eamici. La conversazione conferma alcune mie im-pressioni nate da una conoscenza solo super-ficiale: una donna molto intelligente, sicuradi sé, schietta nell’esprimere pareri sugli ar-gomenti di cui è competente e restia a pro-nunciare giudizi su ciò che conosce poco.Ma si rivela anche sensibile e ricca affettiva-mente. Mi commuove la semplicità con cui sidichiara consapevole della sua “fortuna”:l’infanzia protetta e amata, un matrimoniofelice, due figli splendidi e una vita ricca disoddisfazioni. Mi incanto a sentirla raccon-tare della nonna Bianca, che fu presidentedel l’ADEI a Genova per molti anni e delnonno Vittorio Tedeschi che, oltre ad esserestato il suo maestro in campo giuridico, fusempre molto attivo nell’ambiente ebraico eper tanti anni presidente del Consiglio dellaComunità di Genova, come già il bisnonnoEttore. Bianca è quindi cresciuta con la con-sapevolezza dell’importanza dell’impegnocomunitario e lo dimostra come presidentedell’Archivio Alessandro e Benvenuto Terra-cini, incarico che svolge con grande passio-ne dal maggio 2018. Quando parla della nonna Bianca si com-muove. Dopo una lunga conversazione suitemi dell’ebraismo, della giurisprudenza,delle pari opportunità ha come un ripensa-mento, quasi volesse comunicarmi qualcosadi più intimo su se stessa e mi confida le pas-sioni che fanno parte della sfera privata: lacucina, la preparazione delle marmellate e illavoro a maglia. È stata la nonna Bianca aguidarla all’uso sapiente di pentole e ferrida calza, una nonna che ricorda giovane emolto presente nella sua crescita.Bianca ha seguito le orme del nonno mater-no Vittorio, già professore di Diritto compa-rato all’Università di Genova e si è laurea-ta a pieni voti e con dignità di stampa ingiurisprudenza. Attualmente è professore diDiritto comparato all’Università del Pie-monte Orientale. Appena sposata ha passatoun anno negli Stati Uniti per un master e ri-corda con grande piacere quel periodo, incui il giovane marito veniva a trovarla prati-camente una volta al mese: fu l’occasioneper visitare insieme il paese e conoscerlo inmodo approfondito. Oltre ai corsi legati alla disciplina di cui èdocente tiene anche delle lezioni sulle PariOpportunità, che le danno molta soddisfa-zione perché sono argomenti di cui sente in-timamente l’importanza. Gli studenti mo-strano notevole interesse per entrambe le te-matiche di cui si occupa.Da quello che racconta sull’approccio didat-tico delle sue lezioni mi rendo conto di quan-to l’educazione ebraica, le modalità di inse-gnamento-apprendimento, abbiano costitui-to per lei un imprintig fondamentale: per af-frontare un argomento propone agli studentidelle domande stimolo, che favoriscono la

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siGIUSTIZIA, ARCHIVIOE MARMELLATEIntervista a Bianca Gardella Tedeschi

(segue a pag. 9)

Tra genovesi trapiantate a Torino si stabilisce immediatamente un feeling. Bianca mi accoglienella bella casa sulla collina con un grande sorriso e la prima frase che mi rivolge è “Non homai rilasciato un’intervista ma sono felice che sia un’occasione per la tua visita”. Penso cheanche per me sia una bellissima opportunità per osservarla nel suo ambiente e rimango subitocolpita dalla semplice bellezza del giardino e della simpatica veranda dove ci sediamo a par-lare e che mi evoca reminiscenze artistiche e letterarie. Non si potrebbe partire sotto auspicimigliori.

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Gli appassionati lettori di Ha Keillah avran-no visto che da qualche tempo compaionosu queste pagine, forse con più frequenzadel solito, articoli che affrontano tematichereligiose; in particolare viene dibattuto il te-ma se sia giusto chiedere a chi vuole con-vertirsi di “accettare e rispettare tutte lemitzvot” (da qui in poi mi riferirò a questadomanda con le parole “la nota questione”).E a leggere le nostre pagine potrebbe sem-brare che su questo punto esista un vasto di-battito, e che tutti o quasi gli iscritti alGruppo di studi e alla Comunità torinesesia no contrari alla domanda e se ne preoc-cupino molto. Dalla seggiola su cui sono se-duto devo dire che non mi pare che questosia un tema molto sentito; non solo, mi stu-pisce che in tale dibattito siano praticamen-te assenti quelli che ne sanno di più in pro-posito: i convertiti. Insomma, se si vuol di-scutere di un problema di bridge, forse èmeglio dar la parola a chi si è seduto davve-ro al tavolo di gioco. Ecco perché prendo laparola. (Ho diviso, per fare chiarezza nellamia testa, il mio articolo in paragrafi; e, lastbut not least, vorrei precisare che non vo-glio convincere nessuno: esprimo una opi-nione, che ha diritto di essere conosciutaquanto altre opinioni, diverse o contrarie).Continuità – Ebbene sì, sono un convertito,e sono tra coloro, pochi o tanti (nel GSE, aTorino e altrove) che credono che sia giustomantenere la domanda e chiedere ai conver-tendi di rispondere SÌ. Questa formula hafunzionato in passato e funziona piuttostobene oggi. oggi funziona: dai tribunali rab-binici italiani continua a uscire, ogni anno,un piccolo gruppo di gherim, piccolo ma co-stante; un rivolo di acqua fresca che non si èmai interrotto; certo, non un torrente in pie-na, ma l’ebraismo ha rinunciato al proseliti-smo da quasi 2.000 anni! E sappiamo chequesta domanda ha funzionato benissimo inpassato, garantendo uno dei valori più im-portanti del l’ebraismo, la continuità di unaprassi e il passaggio di valori tra una genera-zione e l’altra. Quando nell’ottocento il ter-ribile scontro con la modernità spinse moltigruppi di ebrei ad allontanarsi dal mondoebraico tradizionale, rinunciando a moltecose ed anche ad una puntuale osservanza dimolte mitzvot, essi credevano, in perfettabuona fede, di mantenere le nuove comunitàunite una volta e per sempre. Se si deve cre-dere alle statistiche che circolano nei paesidi lingua inglese, le comunità che hannoscelto di essere poco o molto lassiste sulproblema delle mitzvot stanno perdendoiscritti ancora più velocemente delle comu-nità rimaste ortodosse; anche dalle nuovecomunità i giovani scompaiono, si sposanocon tutti i riti possibili ma raramente in sina-goga, i nuovi iscritti dopo poco tempo non livedi più: quelle comunitàsopravvivono solo grazieai grandi numeri di ebreipresenti in USA o in altripaesi anglosassoni. In-somma, pare che la conti-nuità non si garantisca fa-cendo degli sconti sullemitzvot, quindi rinunciarealla domanda sulla notaquestione non serve a que-sto scopo, o comunquenon servirebbe in un paesecome l’Italia.Regola del congiuntivo –In un salotto, sarebbe ilprimo degli argomenticontro la nota domanda.“Ma se la quasi totalità de-gli ebrei non rispetta lemitzvot, perché i gherimdovrebbero osservarle?” È

un poco come dire: “Dato che la quasi tota-lità degli italiani non usa correttamente ilcongiuntivo, perché non smettiamo del tuttodi insegnarlo?”. Certo, se vuoi diventare mi-nistro in Italia puoi anche sbagliare il con-giuntivo ogni volta che parli. Ma se vuoi su-perare decentemente un esame di italiano, sevuoi diventare un professore di italiano, ilcongiuntivo devi saperlo e magari anche ap-plicarlo, un poco come le regole sul latte esulla carne… Programma libero – I pochi che sono so-pravvissuti al mio articolo e ancora stannoleggendo se lo immaginano uno studente chead un esame di matematica dica ai professori“Interrogatemi su tutto, ma lasciamo perderequella storia dei numeri irrazionali: io sonouna persona razionale”. (Ahahahah. Faccinefaccine faccine.) Dopo qualche sorriso unprofessore lo accompagnerebbe gentilmentealla porta. Perché per un esame con i rabbinidovrebbe essere diverso? L’ebraismo è menoimportante della matematica? Matrimoni – Ma immaginiamo per un mo-mento che i rabbini italiani decidano im-provvisamente di abolire la nota domanda.Evvai, tutto risolto? Temo di no. Un giova-ne gher accettato con questi “sconti” va astudiare a Parigi o a Gerusalemme, si inna-mora perdutamente; e scopre che nessunasinagoga del paese in cui sta studiando ac-cetta di sposarlo (perché il suo ghiur non èriconosciuto), e che la famiglia dell’amata,se moderatamente osservante, consideratutto il problema come un “matrimonio mi-sto”. Insomma, le difficoltà non sono staterisolte, sono state soltanto spostate avanti diqualche anno, in un contesto un poco piùdifficile. Regole del gioco – ogni gioco è bello per-ché ha delle regole; a rubamazzetto con unsei non posso rubare un mazzetto con il set-te. Se voglio giocare in una squadra di cal-cio, non posso impadronirmi della palla conle mani e andare, sempre con le mani, a de-positarla in rete. Non è un gol. È riuscito so-lo a Maradona; ma ho il sospetto che Mara-dona non sarebbe un buon acquisto per unacomunità ebraica… (Ahahahah. Faccinefaccine faccine).

Gilberto Bosco

opin

ioni

9chivio e la scoperta dei suoi documenti ofrequentando le lezioni di ebraismo o le va-rie attività culturali, è possibile per tutti,ebrei e non, avvicinarsi alla comunità e par-tecipare alla sua vita. Inoltre l’archivio hauna sua vita propria, non è detto che solo gli“esperti” lo possano far vivere e crescere:mi piacerebbe che la lettura e schedatura didocumenti originali fosse fatta anche dagiovani visitatori e studiosi, naturalmentesotto la supervisione di esperti.A proposito di ortodossia, nell’arco dellamia vita ho visto un irrigidimento in que-sto senso. Quando ero bambina si prepa-rava a casa il cibo per le festività e lo siportava in Comunità per condividerlo,non ricordo che ci fossero particolari pro-blemi ad entrare nelle chiese per scopi cul-turali o per partecipare ad eventi di variogenere, adesso invece le regole sono moltostringenti. È il risultato della globalizzazione! In realtàle regole ci sono sempre state ma ogni comu-nità le interpretava in modo “soggettivo”:adesso la comunicazione è immediata e tuttisanno quello che accade ovunque. Questocomporta l’adesione rigorosa al modello cuisi fa riferimento, nel caso specifico le comu-nità ortodosse. Contemporaneamente, speciein America, fioriscono invece comunità chesi rifanno a modelli diversi.Parliamo di Comunità. Vedi aspetti dellavita comunitaria che potrebbero esseremigliorati?Premetto che la Comunità di Torino è parti-colarmente vivace e risponde a esigenze edinteressi diversi. L’unico problema, per mee penso per molti altri, sono i ritardi e lamancanza di certezze sugli orari: preferireieventi di durata limitata in cui ci fosse spa-zio per le persone per confrontarsi, magaridavanti a uno spuntino. Il tessuto comunita-rio si costruisce attraverso la relazione: avolte si va a una conferenza o a una presen-tazione, si comincia in ritardo, ci sono trop-pi oratori, si conclude in ritardo e la gentescappa via senza nemmeno potersi salutare.Invece se di un evento si conoscono in mo-do preciso ora di inizio e di fine ci si senteautorizzati ad allontanarsi alla fine e, se sivuole, ci si ferma a scambiare due parolemangiando e bevendo qualcosa. Si potreb-bero anche organizzare brevi eventi nel -l’intervallo del pranzo, per chi lavora e ha iminuti contati. Anche quando si vuole inse-rire il contributo di persone che abitano fuo-ri Torino non sempre è necessario pagareviaggi e trasferte: è sufficiente un collega-mento su Skype per avere spunti su cui poiintavolare una discussione.Hai mai pensato di impegnarti in politica?Una sola volta mi sono candidata per il Con-siglio comunale, in una lista civica guidatada Alberto Musy1, perché era un grande ami-co, che giudicavo onesto e competente. Dopola sua morte non ho più voluto occuparmi dipolitica perché mi sono accorta che non face-va per me. È un mondo superficiale, dove cisono poche competenze: molto spesso ci sistupisce di come sono scritte alcune leggi,ma questo è il risultato di una classe politicache non sempre conosce a fondo gli argo-menti che affronta.L’intervista si conclude con una rapida visi-ta allo studio di Bianca, tra alcuni mobili delnonno, fotografie e ricordi: anche per me èstato un tuffo nel passato, spiluccando uvanella veranda illuminata dal sole, incantatadallo sguardo intenso della mia interlocutri-ce, i cui occhi guardano il mondo e le perso-ne in profondità.

Intervista di Bruna Laudi

1 Avvocato torinese ucciso barbaramente nel 2012.

Chaim Soutine,Case

col tetto a punta

(segue da pag. 8)

Ci risulta che sia proibito ricordare a unapersona il suo ghiur. A maggior ragione, ri-teniamo, non sarebbe lecito pubblicare in-terviste in cui si rivolgono alle persone do-mande esplicite sulla loro conversione.Questo è il motivo per cui su Ha Keillahnon si trovano interviste a ebrei definitiesplicitamente come convertiti.

HK

MARADONA E LE MITZVOT

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stor

iaebreo triestino Umberto Saba ha citato questaassociazione denigratoria, modificandola,però, di segno. Per il tramite poetico dell’espe-rienza del dolore – quella dell’io lirico e quelladi tutti i “semiti” – egli ha elevato il belato diuna capra sola legata alla dignità di un lamentouniversale, della sofferenza cosmica.

Ho parlato a una capraEra sola sul prato, era legata.Sazia d’erba, bagnataalla pioggia, belava.

Quell’uguale belato era fraternoal mio dolore. Ed io risposi, primaper celia, poi perché il dolore è eterno,ha una voce e non varia.Questa voce sentivagemere in una capra solitaria.

In una capra dal viso semitasentiva querelarsi ogni altro male,ogni altra vita.

Interclassista e anacronisticaLe due spiegazioni dell’origine del grido“Hep Hep!” – quella erudita (Hierosolymaest perdita) e quella rurale (l’esortazione deipastori frànconi) – non costituiscono un’al-ternativa esclusiva. Piuttosto sembra che visia spazio per entrambe le interpretazioni,che esse possano esser fatte valere congiun-tamente, e che questo legittimo spazio inter-pretativo riproduca, sul piano etimologico,un’im magine fedele della costellazione so-ciale e ideologica che fa da sfondo ai tumultiantisemiti del 1819: interclassista e anacroni-stica. Essi furono il prodotto dell’incontroesplosivo di diversi reagenti storici.Da una parte, l’affermazione dell’economiaborghese a scapito dei rapporti caratteristicidella società agraria e feudale. Dopo la finedel Blocco Continentale (il divieto per tuttele navi battenti bandiera inglese di attraccareai porti sotto controllo francese, imposto daNapoleone, in vigore dal 1806 al 1814), unenorme flusso di merci a buon mercato, so-prattutto tessili, proveniente dall’Inghilterraindustrialmente più avanzata, si riversò sulmercato europeo. Questo avvenimento, conla concomitanza della carestia del 1816-17,provocò in Europa centrale una crisi di di-mensioni inedite nell’agricoltura, nell’arti-gianato locale e nel commercio minuto,soffocò l’industria nascente, distrusse me-stieri, gilde e corporazioni tradizionali e creòvastissima disoccupazione. La moltitudine dicontadini, artigiani e piccoli commercianti

volgersi in tale modo alle loro bestie quandovolevano esortarle ad alzarsi e a camminare.Tale uso è testimoniato fra l’altro dal diziona-rio tedesco dei fratelli Grimm, il quale ricon-duce l’interiezione “Hep” al verbo heben (le-vare, sollevare). In particolare, secondo i fra-telli Grimm, l’esortazione “Hep Hep!” era inuso fra i guardiani di capre della Franconia (laregione di Würzburg). In una nota alla voceHep i due filologi aggiungono: “Da questoHep deriva il noto appellativo dispregiativoper gli ebrei, che si allaccia alla diceria che at-tribuisce agli ebrei barbe caprine. Sostantivato,un Hephep: un ebreo”. Nel contesto di questarivolta contro l’emancipazione ebraica intro-dotta in Germania da Napoleone e, di là da es-sa, contro la logica moderna dei diritti umani,l’antico luogo comune che indica nella barbadegli uomini ebrei un attributo caprino (e, per-tanto, mefistofelico) si prestava ad animalizza-re e demonizzare gli ebrei, faceva cioè buongioco alla loro deumanizzazione quale nega-zione dei loro pretesi diritti umani. È riportatoche, in quei giorni di agosto, gli aggressori sidivertissero a tirare gli uomini adulti fra le lorovittime per la barba. L’associazione denigrato-ria di ebrei e ovini è d’altronde diffusa in moltiambiti della cultura e del folklore europei, qua-si un archetipo del l’antisemitismo. Il poeta

HEP HEP 1819L’antisemitismo agli albori della società borghese

Due secoli or sono, verso la fine dell’estate del1819, avvenne uno dei maggiori pogrom chel’Europa ricordi. Iniziava allora, in Germania,l’epoca cosiddetta moderna. Dalle Alpi allaPomerania, dal Reno alla Sassonia, per oltredue mesi gli ebrei tedeschi furono bersagliodella violenza di una folla imbestialita e fana-tica. Vennero minacciati, percossi, dileggiatipubblicamente, ammazzati; videro bruciate edistrutte le loro abitazioni e sinagoghe, i loronegozi e le loro merci. Credettero di stare vi-vendo un incubo, o di essersi risvegliati, al-l’improvviso, nel bel mezzo del medioevo. Itumulti di quei giorni passarono alla storia conil nome Hep Hep, che non vuol dire niente.“Hep Hep Jud’verreck!”, “Hep Hep, crepagiudeo!” aveva preso a urlare la calca controgli ebrei di Würzburg, l’epicentro del pogrom.La semplice formula attecchì, il grido riecheg-giò dapprima in tutta la Baviera, poi fino aiconfini più remoti della Germania. “Hep Hep”venne adottato dalla folla antisemita, per farsianimo, nelle sue ingloriose scorribande.

Perché Hep-Hep?Sul significato di questo schiamazzo minac-cioso, e sulla sua origine, la storiografia dibat-te. Un’ipotesi, formulata già da alcuni osserva-tori contemporanei, è che “Hep” richiami unmotto delle crociate dei secoli XI e XII. Si nar-ra che il gruppo di cavalieri cristiani guidati daPeter Gansfleisch e Conrad von Meiningen re-casse con sé gonfaloni con le lettere H-E-P, leiniziali di: Hierosolyma est perdita. Tale ipote-si etimologica parve, ad alcuni, confermare asua volta il sospetto che i pogrom avesseroun’origine non genuinamente popolare. Infatti,solo degli eruditi, solo dei conoscitori dellastoria del cristianesimo medievale potevanoaver concepito questo slogan. È noto che i teu-tomani, i nazionalisti dell’epoca impegnati a“riscoprire” le radici teutoniche del popolo te-desco, si richiamassero alle crociate come a unmito di grandi gesta fondative dell’Europa cri-stiana. In una sconsolata lettera in cui riportavai fatti di quei giorni alla sorella Rahel Varnha-gen, lo scrittore Ludwig Robert (nato Liep-mann Levin) puntava il dito contro “la plebeerudita”: “C’è qualcosa che non mi torna:com’è arrivato il popolo alla parola Hep? Cer-tamente non poteva conoscerne l’origine. Paredunque che sia stata una certa plebe erudita adare inizio alla cosa”.Un’altra spiegazione fa derivare il grido carat-teristico dei pogrom del ’19 da un contesto lin-guistico meno “colto”. A quanto pare era abi-tudine dei pastori della Germania centrale ri-

Johann Voltz, Frankfurt am Main,

autunno 1819,Pogrom Hep Hep

Chaim Soutine,Convento

dei Cappuccini a Céret

(segue a pag. 11)

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liberali, costoro recuperarono, attualizzaronoe manipolarono i motivi tipici dell’antigiu-daismo cristiano dei secoli passati, fornendoalla collera delle masse disorientate e disere-date precisi riferimenti ideologici.

Il mito

dell’antisemitismo eternoLa continuità fra l’antisemitismo moderno ei pregiudizi antigiudaici tipici del cristianesi-mo medievale è illusoria. L’idea dell’antise-mitismo eterno – l’idea, cioè, che l’astio e lepersecuzioni nei confronti degli ebrei sianoun fenomeno che rimane sempre identico ase stesso, di là dall’avvicendarsi dei secoli –è una menzogna escogitata dagli antisemitistessi, raccolta però e rilanciata dal naziona-lismo ebraico.Uno dei maggiori problemi dello studio dellepersecuzioni contro gli ebrei è posto dal fattoche la loro storia è molto stranamente mille-naria. Questo fatto così singolare suscita ine-vitabilmente la percezione che l’antisemiti-smo abbia in sé qualcosa di misterioso eoscuro, antichissimo, quasi primordiale. Es-so appare quale una sorta di mitologica Idra,un mostro immortale capace di manifestarsicon infinite facce diverse e un’unica anima,un fenomeno incommensurabile che sfuggealle nostre capacità d’indagine storica. Taleparvenza dell’antisemitismo induce il ricer-catore alla tentazione di arrestarsi di fronteal l’opacità impenetrabile del mistero, oppuredi accontentarsi di spiegazioni mistiche, irra-zionali e astoriche, che ne fanno una sorta didestino universale e ineluttabile, una costan-te antropologica, un male eterno, l’unica mo-dalità possibile di rapporto fra gli ebrei e igentili.V’è antisemitismo di ogni sorta, vi sono per-fino forme di antisemitismo in assenza diebrei. Quel che certamente non è possibileimmaginarsi, invece, è l’antisemitismo in as-senza di antisemiti. Gli antisemiti sono esseriin carne e ossa, niente affatto mitologici. Adifferenza dell’Idra hanno soltanto una testa,dei piedi ben piantati nel suolo storico e, so-prattutto, possono morire. L’opinione dog-matica che vi sia un’essenza eterna dell’anti-semitismo, qualcosa come una sua intima na-tura indipendente dal contesto esterno, è mi-stificatoria. Essa svolge – più o meno consa-pevolmente – la funzione di sottrarre il feno-meno antisemita all’ambito della conoscibi-lità. Rende impossibile ogni distinzione sto-rica. L’antisemitismo diventa così un misteroimpenetrabile, una sorgente ultrastorica disciagure storiche. La tesi dell’antisemitismoeterno rappresenta una capitolazione politicae intellettuale della ragione conoscente di

fronte alle forze irrazionali di cui l’antisemi-tismo stesso si alimenta. Essa costituisce unostacolo all’acquisizione di un concetto de-terminato dell’antisemitismo e dunque allalotta contro di esso. La conoscenza storica hail compito di risolvere l’apparente eternitàdell’antisemitismo nei diversi periodi, nelleepoche, nei contesti sociali in cui compare;di risolvere il mistero dell’antisemitismo conl’analisi delle forme storicamente determina-te del suo periodico manifestarsi. La diffe-renza specifica fra diverse forme di antisemi-tismo non va cercata neanche nelle sue diver-se legittimazioni ideologiche. A meno di nonvoler credere che davvero gli ebrei siano reidi teicidio, complottino per dominare il mon-do con gli strumenti dell’astuzia e della fi-nanza e minaccino la purezza della razzaariana, non si potrà sperare di trovare nellediverse formulazioni delle accuse antisemitela base per un discernimento delle diverseforme dell’antisemitismo – né, dunque, didissolvere la sua parvenza di “eternità”. Labase per il discernimento storico va cercatapiuttosto nei diversi contesti sociali in cuiqueste diverse accuse hanno origine. L’astioe le persecuzioni nei confronti degli ebreirappresentano un momento di un processosociale generale, e possono esserne separatisolo per mezzo di un’astrazione indebita emistificatoria (in quanto infittisce il mistero,invece di diradarne le nubi). Una conoscenzaconcreta del fenomeno antisemita e delle suediverse forme storicamente determinate deveinvece basarsi sull’analisi delle forme – poli-tiche, economiche e cognitive – corrispon-denti ai rapporti sociali propri del contestonel quale, di volta in volta, si genera antise-mitismo.I tumulti Hep Hep avvennero in concomitanzacon la transizione della Germania dalla societàfeudale a quella borghese. La possibilità di for-marsi un concetto determinato di antisemiti-smo dipende dal discernimento storico dellaspecificità dell’antisemitismo dell’epoca mo-derna, vale a dire dalla formazione di un con-cetto determinato di società borghese e delleforme di pensiero che la caratterizzano.

Manuel Disegni

Per una descrizione dettagliata dei tumultivedi moked.it/blog/2019/08/07/hep-hep-grido-antisemita/

della Germania meridionale, danneggiata edisorientata dalla transizione economica inatto, priva dei mezzi per comprendere la pro-pria situazione storica e le ragioni del propriodeclino sociale, tendeva ad additare gli ebreicome i principali responsabili. Questi eranoinfatti un fenomeno più vicino, più “concre-to” e immediatamente identificabile rispettoalle tendenze generali della transizione eco-nomica in atto in quegli anni. Da poco eman-cipati e divenuti liberi di uscire dai ghetti edesercitare le proprie attività economiche ecommerciali, questi nuovi concorrenti appa-rivano come i veri profittatori delle conquistenapoleoniche e venivano accusati di accumu-lare grandi fortune in maniera sleale e a sca-pito della popolazione cristiana, lucrando pergiunta sui suoi debiti. Da questo punto di vi-sta, i tumulti Hep Hep appaiono come una ri-volta sociale a difesa della piccola proprietàcommerciale e del lavoro contadino e artigia-no contro la diffusione del libero mercato,una rivolta “dislocata”, indirizzata verso unobiettivo surrogato.D’altra parte, l’astio religioso e i pregiudiziteologici tipici della giudeofobia medievale.L’impressione che i pogrom del 1819 susci-tarono sui contemporanei fu quella di un ri-gurgito dell’oscurantismo dei secoli bui, unenorme anacronismo, il colpo di coda di unmostro brutale che la coscienza illuministavoleva già morto, relegato dal progresso ne-gli archivi della storia. Il calendario parevaessere tornato indietro di due secoli in pochesettimane. Si riproposero i classici motivi ca-ratteristici dell’antigiudaismo cristiano deisecoli bui, di nuovo raccolti intorno all’asseaccusatorio centrale: teicidio, versamento delsangue di Cristo.È chiaro però che il riaffiorare di antiche su-perstizioni sul conto degli ebrei non fu il ri-sultato di un moto spontaneo dell’animo reli-gioso delle masse popolari, ma quello del la-voro intellettuale dei nazionalisti intenti acontrapporre allo spirito cosmopolita e pro-gressista dell’epoca un’identità popolare,völkisch, da fondarsi sul legame tradizionalecon le radici cristiane e germaniche della co-munità. Da questo punto di vista, furono nontanto i contadini indebitati e i garzoni disoc-cupati, quanto piuttosto professori universi-tari, ministri di culto, pubblicisti e altri “in-ventori della tradizione”, insomma circoli dipersone in un certo senso acculturate, i veriprotagonisti dell’agitazione antisemita. Ispirati dagli ideali romantici della teutoma-nia e dell’idealizzazione del medioevo, maancor di più intimoriti dall’accesso e dal suc-cesso degli ebrei nelle arti e nelle professioni

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Chaim Soutine,Autoritratto

Chaim Soutine,Paesaggio di Cagnescon albero

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12 COSA FAI IN GIRO?sforzo imposto dall’esterno e soggettivamen-te incomprensibile», e incomprensibile restaper Cases la tesi di Benjamin, Bloch e Ger-shom Scholem dell’incompatibilità di borghe-sia e spirito ebraico, perché «tramontata la co-munità ebraica come fatto culturale, salvo chenell’ebraismo orientale, essere ebrei signifi-ca[va] semplicemente un modo di essere bor-ghesi… E la comunità scomparsa era ridottaal culto della feroce ascesi inframondana…sicché assolto il rito e pagato il debito si pote-va tornare alla religione famigliare, l’unica incui si era rifugiato il Dio degli ebrei». Cosìl’ebraismo del giovane Cases si dipana tra letre/quattro presenze all’anno al tempio «nel-l’insincero tentativo di ricostruire la comunitàche non esisteva più», con l’officiante che in-framezza la sua cantilena nel gergo sacro conle offerte in beneficenza di chi va a sefer, aognuna delle quali, dice Cases, «mio padre emio nonno rizzavano le orecchie facendo ilconto della media, e calcolando quanto avreb-bero dovuto dare, se fosse toccato loro il pa-ventato onore, per non sfigurare di fronte aglialtri». L’ebraismo di Cases era per sua am-missione debole e il sionismo assente, Ma leleggi razziali e l’apertura di una scuola ebrai-ca a Milano ebbero qualche giovamento per lasua identità ebraica, «tra compagni – egli rac-conta – la solidarietà di fronte al destino checi aveva colpito creava un’atmosfera comuni-taria. Al solito l’antisemitismo dava un sensoal mysterium judaicum: le sinagoghe si riem-pivano e le mense si vuotavano di salami eprosciutti».

Cosa fai in giro?Cases racconta che suo padre, con i tedeschiormai padroni della città, continuava a circo-lare in centro, così un collega avvocato incon-trandolo lo aveva redarguito: «Cases ’ste fet ingir?» e alla risposta di suo padre, carica di«realismo milanese ottenebrato dal formali-smo giuridico (forse di origine ebraica, anchese non se ne rendeva conto)», «Fin che gh’èminga de legg…», l’amico, di lui ben più sag-gio, gli aveva obbiettato: «Legg o mingalegg… quej a voialter ve ciapen e ve portanvia l’istess». Certo l’«equo coerente inquieto,cauto Cases», come lo definiva Fortini, parladel suo ebraismo in modo realistico e disin-cantano e si situa (come ebbe a scrivere Cesa-re Pianciola), tra un illuminismo lombardo eun’ironia e autoironia ebraica, ma sino a chepunto – mi chiedo – questo suo atteggiamentoe giudizio sull’ebraicità è generalizzabile o in-vece va letto, in tutta prevalenza, come rispet-tabilissima storia personale del suo io narran-te? Non c’era antisemitismo nel 1978 a Mila-no o era solo sotto traccia come mostra il pre-

sente? E la storia di quella diaspora ebraica al-tro non era che una storia e un aspetto partico-lare di quello della borghesia? E le innumere-voli modalità con cui l’ebraismo si è declinatonel mondo è riducibile a un lacerto di vicendefamigliari di un popolo schiacciato dalle con-traddizioni «tra l’angustia e l’immobilità diuna separatezza spacciata per felicità e l’irrag-giungibilità dei veri desideri umani?». Hoqualche dubbio. Siamo in tanti ad essere ebreimarginali o residuali, pur avendo tutti un pa-trimonio genetico alquanto tormentato, e checomunque ancora in qualche modo ci tormen-ta. Mi viene da pensare come limite più estre-mo, a quello negazionista di un maestro di Ca-ses come György Lukács, che affermava inuna sua testimonianza autobiografica che lasua origine ebraica non aveva avuto influssodi sorta nella sua formazione spirituale, chelui era stato il rampollo aristocratico di unaricca famiglia che viveva a Lip’tva’sos, ilquartiere signorile di Budapest, e come talenon aveva avuto alcuna difficoltà ad essere ac-colto e accettato nel ginnasio luterano dellacittà, mentre la religione lo aveva interessatosolo in quanto aveva costituito una parte delprotocollo domestico ed era entrata nelle con-clusioni dei matrimoni e nello svolgimento dialcune cerimonie. Per altro lo stesso SigmundFreud, insieme ad un severo pensiero criticoanche sulla religione dei suoi padri, mai avevanegato o trascurato le sue origini, ma anzi siera sempre considerato come un erede dellospirito dei profeti d’Israele; e lo stesso Umber-to Saba, che aveva definito la sua appartenen-za al popolo ebraico «poco più che una nota dicolore», aveva dato nei suoi deliziosi raccon-tini sul ghetto di Trieste e sui suoi abitanti, trai quali lo zio Samuele Davide Luzzatto, ilgrande chakhàm Shadal, una rappresentazionedelicata, ebraicamente dotta e partecipe. Miviene da pensare poi all’ebraicità piemontese,così diversa da quella milanese di Cases, e incui pienamente mi ritrovo, così come la de-scrive Primo Levi in Argon nel Sistema perio-dico, con i suoi antenati, in realtà da noi noncosì lontani, «portati al discorso arguto, alladiscussione elegante, sofisticata e gratuita, al-la dignitosa astensione, alla volontaria relega-zione al margine del magma della vita», chenon è affatto solo piemontese ma propria dimolto ebraismo diasporico. Penso, per non an-dare lontano, a una figura torinese di oggi co-me Franco Segre che pur appartenendo a quel-lo stesso mondo di nostri antenati, vive nellacalda vita dalla parte degli umiliati e offesi, epratica un ebraismo in cui rispetta le mitzvot einsieme ne diffonde la realtà, l’uso e la cultu-ra. Anche un pittore e pensatore ebreo comeStefano Levi della Torre, con la sua libera,acuta e personale lettura del testo sacro lo sarendere attuale nel nostro presente. A me pare

Le Edizioni dell’asino ripubblicano questocelebre saggio/racconto di Cesare Cases, cheera apparso, la prima volta, nel 1978 su di unnumero della rivista «Il Ponte» dedicato alleleggi razziali del 1938, era stato ripreso sul«manifesto» nel 1982, ristampato da Loe-scher nella nota antologia scolastica Il mate-riale e l’immaginario e quindi incluso nel2001 nei Meridiani mondadoriani tra i Rac-conti italiani del Novecento, su suggerimentodi Luca Baranelli, che scrive oggi la pregevo-le nota introduttiva a questa sua opportuna ri-stampa. Cosa fai in giro? parla di antisemiti-smo, ma soprattutto di cosa significhi per Ca-ses essere ebreo, e ha ragione Baranelli diconsiderare questo testo come «un vertice as-soluto del [suo] saggismo narrativo», in «unequilibrio perfetto, come scrisse SebastianoTimpanaro, fra ironia e malinconia, affetto esarcasmo, memoria privata e riflessione pub-blica», e di affermare che «quello stile e quellessico ora semplici ora colti, quel periodarein apparenza colloquiale, ma sapientementeradicato nella migliore tradizione della nostraprosa letteraria, trasmettevano una grande fe-licità narrativa, densa di riflessioni ideologi-che, storiche, politiche e morali».ora, pur condividendo questi giudizi, che so-no peraltro consolidati (si veda per ultimo larecensione di T. Munari sul «Sole 24 ore» del30 giugno 2019), penso, quale modesto ebreo,come lui “laico e libertario”, che ha avutoesperienze del tutto simili a quelle di Cases,quanto a condizione sociale, frequentazionedelle sinagoghe e fatti di antisemitismo, che levalutazioni, i giudizi più generali che Casestrae dalle sue esperienze, meritino qualche do-manda e qualche osservazione critica. Qui,ovviamente, non sono in gioco le splendidepagine narrative sulle figure del l’avo IsraeleCarmi, rabbino di Reggio Emilia, del padre odi Arnaldo Ceccherini e del professore di gin-nastica Mancuso, ma due sue, motivate, con-siderazioni sull’antisemitismo e sulla naturadell’ebraismo milanese, e in sostanza italiano,che tradurrei e riassumerei così.

1978L’anno è il 1978 e Cases si stupisce dell’indi-gnazione di un amico torinese che sostieneche a Milano vi sia antisemitismo, mentrecontesta l’opinione della sua bambina che luisia un ebreo esposto alla vecchia tentazionedell’antisemitismo perché non apprezza le an-gurie israeliane. Cases nega che ai suoi tempi(era nato nel 1920) vi fosse antisemitismo alivello popolare o nella media e piccola bor-ghesia milanese: «essere ebrei – egli dice – si-gnificava soltanto costituire a pieno dirittouna porzione della borghesia che aveva origi-

ni e in parte costumi diversidalle altre». Neppure le leg-gi razziali, secondo lui, riu-scirono a realizzare un veroantisemitismo e a Milanonon ci fu «la lacerazione co-nosciuta dalle città di pro-vincia… la persecuzionenon ti condannava, ma nem-meno ti privilegiava… erararo trovare sia delatori siagente che ti buttasse le brac-cia al collo… tuttavia, almomento buono, anche lafredda omertà borghese ri-velava le sue virtù». ora,scrive Cases, mentre in co-munità compatte e legate al-la tradizione «l’appartenen-za naturale e irriflessa pote-va essere, in prima istanzaun fatto ovvio. In una situa-zione di emancipazione e diatomismo sociale il raro ri-corso alla tradizione era uno

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Nel febbraio di nove anni addietro Beppe Se-gre aveva scritto per Ha Keillah una bella in-tervista a Isacco Levi, presentando un ritrattocompleto di questo comandante partigianoebreo di una formazione garibaldina cuneese.Lo scorso 9 settembre Isacco Levi è scompar-so, lasciandoci una grande e onerosa eredità:conservare la memoria dell’antifascismo edella Resistenza non come un evento ormailontano ma come un mattone importante sucui costruire il mondo in cui vivranno le gene-razioni future. È l’insegnamento che Isacco hacercato di esprimere nel libro Gli ebrei di viaSpielberg e che ha soprattutto cercato di tra-smettere ai giovani con decine di presenzeogni anno nelle scuole, non solo piemontesi.Non v’è dubbio che la vita di Isacco Levi siastata profondamente segnata non solo dai di-ciotto mesi di guerra partigiana ma, forse an-cor più, dallo sterminio della sua famiglia adAuschwitz. Se è vero che molti furono i gio-vani ebrei che parteciparono attivamente allaResistenza combattendo nelle formazionipartigiane, la scomparsa di tutti i parenti diIsacco nell’inferno della Shoah rappresentaun evento di una tragicità quasi unica. Unevento che ha pesato sul cuore di Isacco pertutta la vita e che ha fatto parte dei suoi rac-conti agli studenti, provocandone spesso lacommozione, come successe in una scuola diBagheria.Isacco ebbe diversi riconoscimenti importantima quelli che più lo toccarono furono gli in-contri con i due Presidenti della Repubblica:Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano.In un momento in cui razzismo e antisemiti-smo sembrano ritrovare spazio nella societàitaliana e c’è chi vuol far rivivere i fantasmidel ventennio fascista, è necessario raccoglie-re l’eredità di uomini come Isacco Levi, oc-corre continuare a spiegare ai giovani le ragio-ni della dittatura mussoliniana e gli erroricompiuti nel passato perché non sia più neces-sario ripetere le loro dure esperienze.

Manfredo Montagnana

era un fiume in piena, che suscitava l’emo-zione dei ragazzi. Ma contemporaneamenteera “delicato come un nonno, emozionato co-me un bambino” come lo descrisse un gior-nale proprio di Bagheria.In occasione della visita a Cuneo, Boves eBorgo San Dalmazzo del Presidente Ciampinel sessantesimo anniversario dell’8 settem-bre, Isacco era in prima fila, esibendo il car-tello “Comunità Ebraica di Saluzzo”, conl’orgoglio di essere ebreo ed il dolore perchéla Comunità di Saluzzo non c’è più. Il cartel-lo del partigiano ebreo suscitò l’interesse delPresidente partigiano, che chiese di conosce-re quel combattente, e successivamente in-vitò Isacco ad una udienza al Quirinale.Partecipò a incontri con il Sindaco di Tori-no, Sergio Chiamparino, con il Presidentedel Senato, Pietro Grasso, di nuovo fu invi-tato ad un’udienza con un Presidente dellaRepubblica, Giorgio Napolitano, la prefa-zione del suo libro fu scritta dal ProcuratoreGenerale di Torino Gian Carlo Caselli; congiusto orgoglio Isacco esprimeva la soddi-sfazione di portare alle più alte autorità del-lo Stato i sentimenti delle vittime del razzi-smo nazifascista e degli uomini e donnedella Resistenza.Ma quando, in un incontro a Saluzzo, ci rac-contò di essere stato invitato ad una udienzaprivata dal nuovo Pontefice, Papa Francesco,ci lasciò veramente sorpresi e quasi incredu-li.Con una certa ingenuità mi permisi di chie-dergli come si parla ad un Papa, e cosa diceun Papa.Isacco mi rispose con un largo sorriso: “Miha detto che il mio libro gli è piaciuto, che ilmio libro l’ha commosso”.

Beppe Segre

che tutto ciò racconti di un ebraismo ancor vi-vo e poliedrico quale si presenta nella pur di-sgregata vicenda dell’e breo contemporaneodiasporico, non riducibile alla sua possibileborghesità. A differenza, verrebbe da aggiun-gere, da quello israeliano devastato dalla suaderiva religiosa, tanto da fa dire a Yehoshuache Mosè sul monte Sinai ha sbagliato a lega-re la religione all’identità.

Le orecchie di porcoAncora qualche marginale domanda: perchéCases deve tanto rassicurare la sua bambinache non è un antisemita? Sembra quasi rivol-ta più a sé stesso, seminatore di dubbi e di so-luzioni da discutere, e con ciò tipico rappre-sentante di un’antica ermeneutica ebraica.Penso anche che la sua sottovalutazionedell’antisemitismo vada storicizzata. Casesl’ha vissuto sulla sua pelle solo per due anni,poi nel 1940 è fortunatamente emigrato inSvizzera; noi lo abbiamo invece sofferto set-te anni, con limitazioni della vita di relazionesempre più forti, fino a che un quarto degliebrei italiani è finito nei forni crematori. Epoi anche i fatti di antisemitismo pesano inmodo diverso da persona a persona. Adesempio Cases ricorda bonariamente le orec-chie di porco fatte a suo padre dai compagnidi scuola, io invece ne ho fatto un’esperienzatraumatica che ha avuto un peso, in seguitonella mia condotta e nei miei pensieri. Miopadre era un bravo avvocato, a lui ricorrevabuona parte degli industriali biellesi ed io eroamico dei figli della più ricca borghesia biel-lese. Nell’autunno del 1938, avevo 11 anni,cessai senza capirne bene le ragioni, di fre-quentare il ginnasio della città, ma un miocompagno mi invitò ugualmente ad una festain una grande e bella villa sulle colline traBiella e Cossato; la sua istitutrice era unagiovane tedesca, solida ed aggraziata, unalunga treccia bionda attorno al capo, ceruleiocchi d’acciaio. Avrei capito solo in seguitoche in lei s’incarnava lo stereotipo nazi dellasana fattrice della futura stirpe del terzo Rei-ch, mentre quel giorno realizzava, con lacomplicità d’ignari scolari, un piccolo saggiodi persecuzione antisemita. Infatti cominciòben presto, sicuramente da lei orchestrato, unmio isolamento canzonatorio, un’e sclusione,una separatezza derisoria nei giochi a na-scondino, a guardie e ladri o nelle contese delpallone. Poiché mi credevo libero dalle sot-tomissioni avite, mi ribellai, mi picchiai du-ramente con uno dei miei compagni, credocon il più innocente, di cui nel dopoguerradivenni amico, e me ne andai. Ricordo per-fettamente di quel giorno la stazioncina diAvandino sulla tramvia Biella-Cossato-Vallemosso, i suoi binari lungo il basso mu-retto di cinta del parco della villa Buratti. Erosalito sul tram, che aveva ripreso la sua cor-sa, ma guardando dal finestrino vidi trascor-rere capitanati dalla fräulein, in fila lungo ilmuretto tutti i miei vecchi compagni di scuo-la che mi facevano con l’orlo della camicia odel pullover l’orecchio del maiale. Ma questi miei pochi pensieri a margine diCosa fai in giro?, non possono non rappor-tarsi alle ultime righe di questo saggio/rac-conto. Esse illuminano di una luce e di unasaggezza, con buona pace del suo autore, ir-rimediabilmente ebraica tutte le sue cautele ele sue riserve espresse nelle pagine che pre-cedono. Egli si rivolge, come all’inizio delsuo racconto, alla sua bambina e conclude:«Vieni qui, bimba mia, affinché possa ripa-rarti sotto il fragile schermo della benedizio-ne, anche se non ho il talèt e tu sei solo mez-za ebrea, per di più femmina. Però non haiancora avuto la prima mestruazione e sei pu-ra al cospetto del Signore nostro Iddio, che citrasse dalla terra d’Egitto e ci donò il fruttodella pianta d’anguria».

Emilio Jona

(segue da pag. 12)

Il dovere di testimoniareIsacco amava ricordare che, nei giorni tragiciin cui uno dopo l’altro tutti i suoi familiarivenivano catturati dai nazifascisti, la nonna,Anna Segre, quando venne a sapere da LidiaRolfi, staffetta partigiana rinchiusa nella stes-sa cella, che Isacco era libero in Val Varaita,esclamò: “Par bonheur, per fortuna, Isacco èlibero e potrà raccontare”. Di raccontare Isacco sentì sempre il dovere, eraccontò per 60 anni, fino a quando non fufermato dalla malattia: con incontri con le au-torità, con la scrittura di un libro, I Levi di viaSpielberg, dedicato al ricordo straziante dei13 familiari deportati ed assassinati, con lapartecipazione alle Giornate della Memoriaed a tante commemorazioni, e soprattutto conmille incontri con le scuole; venne chiamatoperfino da Bagheria, in Sicilia.Sentiva l’obbligo di raccontare, per testimo-niare l’orrore della distruzione completa dellapropria famiglia e insieme per presentare l’e-roismo di chi seppe prendere le armi percombattere la dittatura e salvare la libertà el’onore. Gridava la sua indignazione controogni forma di antisemitismo e di razzismo,chiedeva con veemenza ai ragazzi di impe-gnarsi per la difesa della libertà e della demo-crazia.Era appassionato, commosso, trascinante, ir-refrenabile: quando prendeva la parola nonvalevano più i tempi concordati tra i relatori:

Isacco Levi(primo a sinistra,in primo piano)

alla celebrazionedel XXV Aprile,insieme con i

compagni partigianidella 181a

Brigata Garibaldi“Mario Morbiducci”

Inizio anni ’50

rico

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ISACCO LEVI DI MORETTA

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libri

L’Autore è docente di Pensiero ebraico nelleUniversità di Trento e di Urbino e di Filosofiaebraica nel Diploma triennale in Studi Ebraicidell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane(Roma). Sul tema della Shoah sì è già misura-to con la tesi di dottorato Theological implica-tion of the Shoah. Caesura and continuum anHermeneutic Paradigms of a Jewish Theodicy(2002). Il suo ultimo libro, Le terze tavole,sottotitolo fondamentale La Shoah alla lucedel Sinai, è un libro importante; i quattro capi-toli che lo com pongono formano un chiasmoe così va affrontata la lettura impegnativa,densa di rimandi a testi nelle note a piè di pa-gina, mentre solo una ventina sono i titoli inbibliografia. Si tratta di titoli recenti e quasitutti pubblicati nell’ultimo decennio; il percor-so in cui l’A. ci conduce infatti, in uno scena-rio culturale e dottrinale che pochi saprebberooggi tracciare, è anche una riflessione sullepolitiche della memoria della Shoah, dall’in-troduzione del Giorno della Memoria. Mentrenella prefazione si espongono i riferimenti co-stanti dell’attuale didattica della Shoah, conautori, temi, letteratura, l’A. organizza le sue

riflessioni per superare questo para-digma e i suoi riti. Le strategie dellamemoria, messe in atto negli ultimidecenni in Europa, “non stanno fun-zionando come metodi di prevenzio-ne contro il re-diffondersi delle ideerazziste, antisemite, xenofobiche, e ingenerale contro le folate di nostalgiaper le retoriche strutturalmente mani-chee e ipersemplificatrici dellarealtà” (p. 32).A partire da un primo capitolo senzatitolo (il lettore è sfidato a colmarequel vuoto) gli altri capitoli hannoper titolo Sistole, Diastole e il sinai-tico “Faremo e Ascolteremo”. Seuno studioso e commentatore di testibiblici sceglie quelle parole per tito-lo sarà opportuno comprendere. Ilcuore si muove continuamente se-condo un percorso definito: quandouna cavità cardiaca si riempie, quella

sottostante si rilassa e viceversa. L’alternan-za tra diastole e sistole, che si accavallanonel tempo, iniziando quando una ha già avu-to parziale svolgimento l’altra, è il ciclo car-diaco. Se fossero due eventi separati il cuorenon riuscirebbe a garantire ai tessuti le giustequantità di sangue di cui hanno bisogno. Ecome un ciclo l’A. analizza il riflesso dellaShoah nella filosofia, nella teologia, nellastoria, nel midrash contemporaneo, nellehaggadot che ricordano i martiri, su comeAuschwitz abbia cambiato l’idea della mor-te, della sacralità della specie umana. Un ci-clo/conflitto di interpretazioni fino alla ri-chiesta di nuove Tavole nel quadro della me-desima universale Alleanza. L’A. affronta la questione della unicità o me-no della Shoah aderendo (in riferimento agliscritti di Emil L. Fackenheim) alla non menoimpegnativa definizione di evento “senzaprecedenti” che si riferisce ai medesimi fattima evita il concetto di unicità storica che im-plica il rischio di estrapolare l’evento dallastoria stessa e, come sta accadendo, di misti-ficarlo. Un evento senza precedenti, piuttostoche unico, sta invece nella storia. Non possiamo elevare a “stella fissa” una nonsperanza universale, e (citando Wyschogrod)si riporta come blasfemo che si sostituisca Dio,quale fondamento della fede ebraica, con unevento negativo. Se per assurdo la Shoah nonfosse accaduta non potremmo trovare un argo-mento altrettanto forte per giustificare la so-pravvivenza del popolo ebraico? Al centro vaposta la sua fede in Dio, la Torah del Sinai;l’A. affronta le “teologie dell’olocausto” peraffermare che la voce di Auschwitz non puòandare contro la voce del Sinai.

Altri termini forti e simbolicamente disponi-bili per definire la Shoah sono proposti nel -l’opera di Arthur A. Cohen (mysterium tre-mendum) che riporta la Shoah alla sfera delreligioso. La rivelazione del Sinai deve esse-re letta in modo diverso dopo il tremendum(di cui si deve tremare) che non ha parlatosolo agli ebrei; il resto dell’umanità non èesentata infatti dall’indagare il suo significa-to. Il Sinai rivela la presenza di Dio, la Shoahè l’assenza di Dio; un nuovo rapporto tra Dioe il creato deve chiedere riparazione dopoche la Shoah ha mostrato a quali mali estremipuò arrivare il mondo quando Dio lo abban-dona a se stesso.Le strategie della memoria pubblica, sullaShoah hanno investito sulla dimensione co-noscitiva degli eventi (si veda il ruolo dei te-stimoni, l’istituzionalizzazione estrema del27 gennaio, la presentazione antagonisticadelle vittime) e poco su una dimensione tesaalla retta interpretazione come lezione eticavalida qui e ora, per noi.Ma a chi appartiene allora la memoria di Au-schwitz; ai sopravvissuti ebrei o alle vittimenon ebree? ai resistenti comunisti, alle mino-ranze religiose (così la politica memorialesovietica) o ai polacchi vittime della storia?La risposta è: fare prima di capire e indipen-dentemente dal capire. Ricostruire la vita èstata la risposta più ebraicamente significati-va, la stessa risposta data ai piedi del Sinaiquando fu rinnovata l’alleanza dei patriarchiai figli di Israele. Non leggere il Sinai nel co-no d’ombra della Shoah ma la Shoah alla lu-ce del Sinai. Il ritorno a Sion è poi l’atto diautoredenzione più alto del popolo di Israeledopo la distruzione del Tempio da parte deiromani anche se al cuore del giudaismo ba-stano il Sinai e l’impegno a continuare l’Al-leanza. E però Israele non è la redenzionedall’olocausto; i sei milioni non sono mortiperché Israele esistesse (Claude Lanzmann).In questo “circolo vitale” è segnata l’esisten-za storica degli ebrei nel Novecento. L’A. fonda una didattica e un percorso memo-riale rinnovati quando afferma che da Au-schwitz “si impara non in quanto luogo dell’o-dio antisemita e razziale ma in quanto luogotestimoniale nel quale alcuni, in condizioneavverse e a rischio della vita hanno resistitomoralmente e spiritualmente alle sirene diquell’odio e hanno messo la voce della lorocoscienza sopra e contro le leggi dello statototalitario” (p. 131). La tradizione talmudicachiama giusti gli ebrei o cristiani o i cultoridella ragione che non hanno ceduto alla defor-mazione morale ispirata dall’odio. Il percorsomemoriale di Israele, con il riconoscimentodato da Yad wa-Shem ai Giusti tra le Nazioni,esplicita che la Shoah è stata una prova mora-

LE TERZE TAVOLE

le per l’umanità. La sapienza del l’umanesimoe gli insegnamenti della Torah, il senso istinti-vo della giustizia e della solidarietà, in alcuniprevalsero sui timori e le prevaricazioni legal-mente giustificati. E forse è vero che “ogni ge-nerazione ha la sua Auschwitz” (rav EliezerBerkovits), che sia gulag o scuola di rieduca-zione cambogiana, persecuzione di minoranzaetnica in Bosnia, Cina o Africa. L’imperativoper i “Giusti dell’Umanità” dopo la Shoah èstato di sottrarsi alle logiche razziste di cuil’antisemitismo resta il più tragico paradigma.“Far rivivere le sofferenze di chi ha vissuto lapersecuzione nazista serve a prevenire altre esimili tragedie?” si chiede l’A. che riporta ilpensiero di chi, anche in ambito ebraico, vedeil rischio di banalizzare, rendere retorico, in-sincero. E se la memoria può essere fallace,come da sempre ha argomentato Primo Levi,la proposta di più sobrietà e discrezione nellestrategie del ricordo viene affidata alla rico-struzione storica.L’immagine di Mosè che riscrive le tavole cheaveva appena distrutto, irato dal culto del vi-tello d’oro, è il monito a scegliere la vita e ri-fiutare la morte. L’insegnamento più forte nonè di scegliere il Bene in nome del quale tantierrori sono stati commessi ma di scegliere laVita che è valore in sé. Le terze tavole illumi-nano un rinnovato senso di responsabilità ver-so il mondo e con l’Autore invocano un dirittoe una giustizia non ancora operanti.

Giovanna Grenga

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Massimo Giuliani, Le Terze tavole. LaShoah alla luce del Sinai. Prefazione diMaria Cristina Bartolomei, Conifere,Edizioni Dehoniane 2019, Collana: P7,pp. 176, € 16,50

Minima moraliaE qual è il senso di questa organizzazione, signori miei? Il senso è questo, di arrestare per-sone innocenti, e di istruire a loro carico un procedimento assurdo, e per lo più, come nelmio caso, privo di conclusione. Data questa totale assurdità, come si potrebbe evitare la piùabietta corruzione di tutta la gerarchia? Non la si può evitare, non riuscirebbe a sottrarvisineppure il più alto dei giudici. Ecco perché le guardie cercano di portar via agli arrestati lacamicia dal corpo, ecco perché gli ispettori commettono violazioni di domicilio, e gli inno-centi, invece che interrogati, vengono pubblicamente umiliati. Le guardie mi hanno parlatosolo di depositi in cui si conservano gli oggetti di proprietà degli arrestati: mi piacerebbe ve-derli questi magazzini, dove il frutto delle fatiche degli arrestati rimane a fare la muffa,quando pure non venga rubato dai magazzinieri stessi.

Franz Kafka, Il processo, traduzione di Primo Levi, Einaudi, 1983, pag. 52

Il processo fu scritto dal 1914 al 1917 e pubblicato postumo nel 1925. Kafka morì nel 1924.Non molti anni dopo le sue sorelle – Gabriele (“Ellie”), Valerie (“Valli”) e Ottilie (“Ottla”) –saranno tutte e tre vittime della Shoah: le prime due furono deportate dai nazisti nel ghettodi Łódź e poi uccise nel vicino campo di sterminio di Chełmno nel 1942, mentre la terza, in-ternata dapprima nel ghetto di Terezín, morì ad Auschwitz nel 1943.

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pratico-operativo e speculativo, un unico si-stema di dottrine, a cui tutte le tradizioni eso-teriche rinviano. Riunisce così numerosefonti ebraiche, dai testi della Merkavah aquelli del chassidismo tedesco medievale,dallo Zohar alla qabbalah profetica a forteimpianto operativo di Abraham Abulafia. Aquesti riferimenti Pico mescola fonti neopla-toniche, gnostiche e appartenenti a altre tra-dizioni filosofiche e religiose del mondo an-tico, già a loro volta confluite ampiamentenella qabbalah ebraica. Questo insieme vienerielaborato sincretisticamente e ripensato inchiave cristiana. Molte delle traduzioni cherendono accessibili manoscritti prima scono-sciuti sono peraltro già interpretazioni, so-prattutto quando sono condotte – caso fre-quente – da ebrei convertiti al cristianesimo.È il caso di Flavio Mitridate, al quale Picostesso commissiona traduzioni in latino diopere cabbalistiche ebraiche, e che orientauna lettura in chiave cristiana dei testi.La cabala, come la magia, è per Pico perfet-tamente compatibile con la fede cattolica eanzi utile a confermarla. Si tratta infatti di unsapere di origine divina, trasmesso per boccadi Dio a Mosè sul monte Sinai, un sapereorale che svela il senso nascosto della leggescritta celato sotto il significato letterale. Èuna sorta di “Torah orale”, a lungo trasmessaa voce, indispensabile per capire a fondo laTorah scritta e in questo modo decifrare gliarcani dell’Unico Vero – rimodulazione pi-chiana dell’En Sof dello Zohar – che nel mo-mento stesso della rivelazione si cela. La ca-bala, in quanto vera legis interpretatio, hadunque marcato valore ermeneutico; è scien-tia revelata, ma anche scoperta e acquisitadall’uomo a posteriori, risalendo come lamagia dagli effetti alle cause. Ci sono passi di Pico in cui cabala e magia siconfondono. Secondo il più importante stu-dioso vivente di qabbalah e mistica ebraica,Moshe Idel, i due concetti si sovrappongonotanto da diventare sinonimi. Qual è allora lospazio per la magia naturalis nel cosmo neo-platonizzante configurato dalla cabala? Se-condo Flavia Buzzetta c’è in Pico non un pri-mato della magia o della cabala, ma la com-presenza di due vie convergenti che condu-cono al creato e, attraverso questo, all’unicoDio creatore. Quello che è costante nella trat-tazione non sistematica di Pico è la caratte-rizzazione del tessuto della realtà come unagerarchia di piani in cui l’inferiore dipendecausalmente dal superiore, un cosmo in cuila magia sia strumento per “maritare” la terraal cielo, ciò che è inferiore a ciò che è supe-riore appunto, mediando tra i differenti livelligerarchici. La cabala, a tratti pensata come laparte superiore della magia naturalis, è il sa-pere dei saperi, il sapere cioè in grado di con-catenare tutte le altre scienze e ricondurle inunità, quella medesima unità del sapere uni-versale su cui si fonda la pax philosophicache Pico vagheggia.La cabala cristiana è dunque scienza della pa-rola, dei segreti e delle manifestazioni di Dio,della totalità del creato capace di cogliere laconcatenazione occulta di tutti gli elementi diquesto. Uno dei campi in cui la cabala si eser-cita è la revolutio alphabetaria, arte dellacombinazione delle lettere dell’alfabetoebraico, alle quali una longeva e multiformetradizione attribuiva valore cosmopoietico eper formativo, la capacità cioè di precedere estrutturare la realtà. Conseguenza inevitabilee dalle importanti implicazioni di questa idea,secondo cui il mondo è un libro scritto con

caratteri ebraici, è l’impulso allo studio e allaconoscenza della lingua ebraica, che porterànel mondo cristiano allo sviluppo dell’ebrai-stica. L’altro grande settore in cui la cabalatrova applicazione è definito da Pico triplexMerchiava (una distorsione di Merkavah, ilcarro divino dei mistici ebrei altomedievali),che segna la ripartizione del cosmo in tre or-dini gerarchici interconnessi: i mondi angeli-co, celeste e terrestre.Pico della Mirandola è autore di una letturacristologica delle dieci Sefirot, intese sullascorta dello Zohar come paradigma antropo-morfico. Le Sefirot che nella tradizione qab-balistica ebraica plasmavano l’Adam Qad-mon, il primo uomo, rispecchiano per Pico lanatura del Cristo. È questa la parte forse piùinteressante della dottrina del filosofo emi-liano, e non a caso è anche quella che le au-torità ecclesiastiche coeve guardarono conmaggiore sospetto. Più in generale, le Sefirotsono archetipi numerici e alfabetici che pre-siedono alla creazione e alla strutturazionedel cosmo. Pico non manca di fornire una in-terpretazione in chiave trinitaria delle Sefirotsuperiori occulte Keter (corona, quindi po-tenza creatrice), Hokhmah (sapienza) e Bi-nah (intelligenza). “Fecemi la divina potesta-te / la somma sapienza e il primo amore”: èla scritta che campeg-gia all’ingresso dell’in-ferno nella prima can-tica della Divina com-media, e che indica lepersone della trinitàcristiana, rispettiva-mente Dio padre, il Fi-glio e lo Spirito santo.La sovrapposizione al-le persone trinitariedelle prime tre Sefirot èsuggestiva e tipica dellavoro di riflessione,da parte di Pico, a par-tire dalla qabbalahebraica ma in una cor-nice saldamente cri-stiana.La trattazione della ca-bala da parte di Picodella Mirandola com-porta una chiara ten-denza all’essoterismo, ad aprire cioè una co-noscenza prima riservata a pochi sapientiisolati, o al massimo a piccoli gruppi, a cir-coli via via più ampi. Come ha notato Idel,questo processo, che si sviluppa a partire dalCinquecento, influenza anche la vicenda del-la qabbalah ebraica. I testi di quest’ultima,inclusi quelli più diffusi come lo Zohar, go-devano infatti nel Medioevo di una circola-zione molto ridotta negli stessi ambientiebraici. La grande diffusione, complice l’in-troduzione della stampa con caratteri mobilima anche la mutata atmosfera in seno all’e-braismo mediterraneo, comincia alla fine delsecolo XVI con i testi di Safed di Luria, Cor-dovero e Vital. Una diffusione che nell’arcodi pochi decenni diventa capillare, influenzain profondità i riferimenti ideali dell’ebrai-smo del tempo ed è decisiva, secondo la let-tura di Gershom Scholem, per le esplosionisabbatiana prima e chassidica poi. Nel mon-do ebraico dei primi ghetti moderni e del lun-go trauma dell’espulsione dalla Spagna, delmarranesimo e del consolidamento delle co-munità nel l’Europa orientale, l’assimilazioneda parte delle masse di dottrine qabbalistichecontribuirà a rendere fertile il terreno per glisconvolgimenti interni e le lacerazioni cheverranno.

Giorgio Berruto

La riflessione di Giovanni Pico della Miran-dola, che si sviluppa nel secondo Quattro-cento in Italia centrale, costituisce nella sto-ria della cultura europea uno dei ponti traMedioevo ed età moderna, proprio in anni incui comincia a diffondersi la consapevolezzadi vivere una rinascita della filosofia e dellelettere, il Rinascimento appunto. Sulla tratta-zione da parte di Pico di magia e cabala siconcentra il dettagliato studio di Flavia Buz-zetta Magia naturalis e scientia cabalae inGiovanni Pico della Mirandola, pubblicatoda olschki nella collana di studi pichiani. Al-la studiosa preme chiarire la visione tuttosommato organica e unitaria di magia e caba-la negli scritti del mirandolano, nonostante sitratti di nuclei concettuali affrontati non conuna trattazione sistematica, ma attraverso nu-merosi riferimenti e allusioni in opere diver-se per stile, finalità e destinazione.Della tradizione medievale Pico riprende ladistinzione tra magia naturalis e demoniaca.La seconda ricorre a poteri malvagi ed è dun-que esecrabile; la prima è invece non solo le-cita, ma utile e opportuna, poiché agisce sul-le strutture profonde e sulle forze occultedella natura alla ricerca di benefici. Questa èla concezione che soggiace all’idea originaledi Pico della magia come scientia, una scien-za da coltivare per capire, assecondare e per-fezionare la natura; per questo la magia ècompimento della naturalis philosophia,cioè apex et fastigium totius philosophiae.Pico dispone peraltro di materiali inaccessi-bili ai dotti dell’Europa cristiana solo pochidecenni prima. Nel tardo Medioevo infatti, inparticolare in seguito all’esodo di numerosiintellettuali greci dopo la caduta di Costanti-nopoli in mano turca (1453), giungono nuo-ve fonti attraverso traduzioni dal greco, l’e-braico e l’a rabo, determinanti anche per l’e-voluzione del concetto di magia. Celebri, peresempio, le versioni in latino, da parte diMarsilio Ficino, del Corpus hermeticum e diautori neoplatonici come Plotino, Giamblicoe Proclo. Un simile flusso imponente di tra-duzioni accentua la tendenza umanistica alsincretismo, ad attingere cioè a svariate tra-dizioni in un quadro grosso modo unitario: èesattamente quello che fa in questi anni Picodella Mirandola.Un’idea di cosmo di stampo sostanzialmenteneoplatonico innervata da tradizioni eteroge-nee è fatta propria da Pico, che pensa alla na-tura come a una totalità organica in cui ognielemento è legato e intrecciato a tutti gli altrie all’insieme attraverso una fitta rete di cor-rispondenze. Questa natura pensata in base alprincipio della simpatia universale esalta lafigura del mago, che di essa è ministrum, fe-dele servitore, sacerdote che amministra ilsuo tempio. In alcuni passi Pico indica nelmago l’amministratore dell’insieme del crea-to, in altri si spinge a definirlo artifex, prose-cutore cioè della creazione divina. Ricono-scere la gloria di Dio attraverso la scopertadei secreta naturae è in ogni caso il fine dellamagia e il compito del mago. Ma se la magiaè una scienza inventata dall’uomo per risalireinduttivamente dagli effetti alle cause, è l’uo-mo stesso a godere di una posizione privile-giata perché nelle condizioni di realizzare lepotenzialità proprie della sua dignitas.Negli stessi testi in cui affronta la magia na-turalis, Pico rimodula in chiave cristiana ilconcetto ebraico di qabbalah, configurandoun paesaggio sapienziale destinato a goderedi immensa fortuna nel Rinascimento. Il mi-randolano vede nella cabala, sapere insieme

QABBALAH EBRAICA,CABALA CRISTIANALa magia della realtà secondo Pico della Mirandola

Flavia Buzzetta, Magia naturalis escientia cabalae in Giovanni Pico dellaMirandola, Olschki, Firenze 2019, pp.344, € 35

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libri

mantovana, sorretti dalla possibilità del mu-tato scenario, attratti dalle maggiori opportu-nità che intravedono, oltrepassano i varchidella ristrettezza geografica in cui sono cre-sciuti per insediarsi in altre zone di Mantovao per allontanarsi soprattutto verso Milano.La ventata di novità inciderà, alcuni anni dopol’abbattimento delle porte del ghetto, anchesulla famiglia Castelletti. Salomon, trisavolo diAvataneo, è un ebreo emancipato e ben inseri-to nella vita e nella cultura della comunitàebraica di Mantova. Egli, di sicuro, intuisceche si stanno vivendo tempi nuovi che vorreb-be per sé, forse, ma soprattutto per i propri figliper il cui futuro “affaticherà le sue ossa” lavo-rando alacremente come ciabattino, vedovocon tre figli! Nel 1858 nasce Moisè Gustavo,bisnonno di Avataneo, e nel 1859 Leone Laz-zaro. Questo è il vero cambiamento di stutusper la famiglia perché saranno i primi Castel-letti a studiare. Leon Vita, “zio Cino”, per i fa-miliari diventerà ingegnere, mentre il “nonnoMoise” diventerà agente di commercio.Moise, avviato alla professione del commer-cio, sposa nel 1884 Fanny Cases figlia del -l’imprenditore Alessandro Cases, importanteimprenditore nel campo dei tessuti della cuiimpresa diventa contitolare. In questo modoi Castelletti acquisiscono visibilità e si impa-renteranno con alcune delle famiglie ebrai-che di maggiore spicco nel mantovano.Il secondo momento storico che ha inciso an-che sulla famiglia Castelletti è il ventennio fa-scista e la guerra. Il nonno dell’autore, AldoCastelletti (figlio di “nonno Moise” e nipotedel calzolaio Salomon dalle ossa affaticate),nato nel 1891, continua la professione di com-merciante (egli è ragioniere) e nel ’26 diventapresidente della Corporazione Sindacale Tessi-le Fascista. Di tempo ne passa poco e nell’apri-le del ’29 gli viene “stranamente” revocata lapresidenza mente si avvicina, tragicamente, lapubblicazione del “Manifesto della razza” alquale segue, rapidamente, una forte campagnastampa antisemita con successivi interventi.

Ciò succede anche a Mantova ed a Bolzanoove la famiglia ha interessi commerciali. AMantova la reazione degli ebrei fu, da princi-pio, l’appoggio all’autorità dello stato auspi-cando una pacifica convivenza. Nonno Aldo sivede costretto a inoltrare una domanda di di-scriminazione (per evitare ritorsioni forti daparte del regime – per approfondimenti si vedaa pag. 187) grazie ai meriti militari acquisitidurante la prima guerra mondiale. La domandaviene respinta e viene motivata attribuendo adAldo “cattiva condotta morale”. L’evento tra-gico per la famiglia avviene il 21 settembre1943 quando la famiglia viene arrestata e di-sgregata. Aldo fu trasferito nel campo di Au-schwitz (ma il luogo della sua morte non si sa-prà mai), Luciana e Carla (mamma e nonna diAvataneo), dopo varie vicissitudini, riusciran-no a sfuggire alla persecuzione nazifascista eripararono in Svizzera dove rimarranno fino aguerra conclusa ed oltre.Le due Castelletti più vicine all’autore nonerano solite fare accenni né alla loro storia dirifugiate né al loro passato familiare a ripro-va di ciò un diario, tenuto dalla zia Carla (inetà giovanile), fu distrutto da lei stessa.Per questo motivo all’autore resta l’impossi-bilità di impossessarsi, anche mediante quel-le pagine, del passato, se vogliamo anche delsuo passato e di quello della sorella che hacoadiuvato le ricerche di famiglia.La ricostruzione delle vicissitudini familiarinon viene sviluppata mediante una trama ro-manzata con l’aggiunta di elementi di fanta-sia, né attraverso un rigido susseguirsi difreddi eventi storici bensì tramite accurate ri-cerche di archivio che vengono esposte conlinearità e rigore e ci rimandano a personaggivivi e “sofferenti”.

Fiorella Fausone

Le ossa affaticate diSalomon CastellettiMantova con la storia della sua comunitàebraica viene “scavata” e messa a nudo daBruno Avataneo nella ricerca sugli antenatidi famiglia.Partendo dai primi documenti ritrovati negliarchivi, datati a partire dal 1685, con colui che,della famiglia, viene considerato il capostipite– Samuel – Bruno Avataneo srotola la sua ge-nealogia familiare con obiettività e realismo.Dalla lettura, chiara e senza orpelli, emergonopersonaggi mantovani che hanno svolto, nelghetto finché è esistito, professioni umili, con-ducendo, spesso, una vita di privazioni ancheeconomiche. I Castelletti furono, infatti, picco-li commercianti, artigiani, osti, portatori di vi-no, donne di casa, cucitrici, cameriere la cui vi-ta fu tutt’altro che agiata e, talvolta, così preca-ria, dal punto di vista economico, da costringe-re, nel 1793, un antenato – Avi’ad Salomon –ad inoltrare una supplica alla comunità per ot-tenere un sussidio finanziario.Incastonati tra la narrazione delle vite deiCastelletti vengono evidenziati due eventistorici che influenzano fortemente la vite de-gli italiani, degli ebrei in Italia e degli ebreimantovani nello specifico.Il primo evento è dato dalle conseguenze de-terminate dalla rivoluzione francese e dallacalata napoleonica in Italia. Per gli ebrei, abi-tuati a vivere chiusi entro le mura del ghetto,nasce la speranza dell’emancipazione che,infatti, avverrà nel gennaio del 1798 conl’abbattimento dei portoni del ghetto stesso.Avataneo fa emergere nitidamente che que-sta libertà di movimento potrebbe risultareuna prospettiva allettante, immediata ma il-lusoria. Fuori dal ghetto, se l’uscita viene fat-ta senza attenta riflessione, si possono trova-re gli stessi problemi da cui ci si vuole allon-tanare. Alcuni componenti della comunità

guitando gli ebrei. Non pochi dei circa 2000ebrei che dopo l’8 settembre 1943 partecipa-no in prima persona alla Resistenza nell’Ita-lia settentrionale sono ex militari. Il ritardocon cui viene abrogata la legislazione antise-mita dopo la caduta del fascismo il 25 luglioè un chiaro, ulteriore elemento che motiva larottura della fiducia degli ebrei nei confrontidella monarchia ed è segno delle difficoltà avoltare pagina dopo venti lunghi anni di regi-me liberticida. Nella coscienza degli ebrei lafrattura del 1938 e delle sue conseguenze de-creta un rovesciamento nella percezione disé: non più italiani ebrei, bensì ebrei italiani,con conseguenze oggi tutt’altro che esaurite.Dopo gli anni della persecuzione e dellaShoah la presenza ebraica nei corpi militariitaliani declina rapidamente. Tra i motivi nonsolo il trauma delle leggi razziste e il regres-so del nazionalismo e del militarismo nel-l’Europa del dopoguerra, ma anche la nascitadello stato di Israele, che dal 1948 catalizzal’interesse degli ebrei italiani desiderosi dicombattere.

Giorgio Berruto

Il rovescio delle medaglie: i militari ebreiitaliani dal Risorgimento alla ShoahIl re di Sardegna Carlo Alberto ha varcato daalcuni giorni il Ticino dichiarando guerra al -l’Austria quando, il 29 marzo 1948, estendeagli ebrei piemontesi i diritti civili garantitipoche settimane prima alla minoranza valde-se. Una coincidenza che sembra un segno deldestino. Fin dal primo momento, infatti, èevidente la concomitanza tra la costruzionemanu militari dello stato unitario e l’emanci-pazione giuridica degli ebrei, una sovrappo-sizione che ha indubbiamente influenzato siala partecipazione cospicua di volontari ebreialle guerre risorgimentali sia lo sviluppo ra-pido di una coscienza di appartenenza a quel-la patria che aveva aperto le porte dei ghetti.Numerosi sono gli ebrei italiani combattentinelle guerre di indipendenza, i mazziniani e igaribaldini, coloro che imbracciano le armiin difesa della repubblica a Venezia e a Romanel 1848 e aderiscono alla spedizione deiMille dodici anni più tardi. Al contempo, ildiritto e il dovere di indossare la divisa in di-fesa del proprio paese – prima il Piemontesabaudo, poi lo stato unitario – è accoltospesso dagli ebrei con autentico entusiasmo.L’importante convegno Il rovescio delle me-daglie. I militari ebrei italiani 1848-1948,organizzato dall’Associazione Nazionale Re-duci dalla Prigionia, dall’Internamento, dalla

Guerra di Liberazione insieme con la Comu-nità Ebraica di Roma, ha recentemente mes-so a tema la partecipazione degli ebrei nelleforze armate del nostro paese, con un focusparticolare sulla Grande guerra e sul tradi-mento subìto nel 1938 con la legislazionerazzista, prodromo alla deportazione di qual-che anno successiva. Dei circa 5500 ebreiitaliani che prendono parte alla Prima guerramondiale – la metà come ufficiali, a motivodell’alto grado di istruzione rispetto alla me-dia del paese – 450 non tornano dal fronte.Giovanni Cecini, curatore del volume che haraccolto gli atti del convegno, nello studioEbrei non più italiani e fascisti. Decorati, di-scriminati, perseguitati si è soffermato suventicinque profili di alto livello di militariebrei italiani negli anni dello stato liberale edel fascismo, tra cui i generali Umberto eEmanuele Pugliese, Guido e Giorgio Liuzzi,Ivo Levi, Guido Jung. Gli anni immediatamente successivi allaGran de guerra vedono la partecipazione didecine di ebrei all’“impresa di Fiume”, men-tre sono circa 230 gli ebrei tra i fascisti attivial tempo della Marcia su Roma e non manca-no alcuni casi disquadristi. Alme-no 150, inoltre,gli ebrei che com -battono durantela guerra d’E tio -pia, due anni pri-ma che le leggirazziste calino co -me una ghigliot-tina a dividere indue tronchi il cor -po del paese, ri-servando ai non e -brei il carattere diitaliani e perse-

Soldati ebreinella Grande Guerra

Bruno Avataneo, Le ossa affaticate diSalomon Castelletti, Silvio ZamoraniEditore 2019, pp. 226, € 28

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17ta di coesione, di rituali, di dialetti.Claudia circoscrive la sua ricerca entro le da-te dei documenti dell’archivio, narrando unastoria sociale, di ebrei italiani appartenenti auna borghesia finanziaria e commerciale conun forte impegno imprenditoriale che ha la-sciato tracce a livello sia locale sia nazionale.Il titolo scelto da Claudia per il volume da leicurato, Non fuorvierà, riporta il motto sceltoda Michele Corinaldi (trisnonno di Isa), cuinel 1864 Vittorio Emanuele II aveva conces-so il titolo di Conte.Il bel saggio di Claudia sulla sua famigliamaterna è completato dalle schede biografi-che dei singoli protagonisti, redatte da Chia-ra Pilocane divise in tre sezioni relative agliantenati di parte paterna, a quelli di parte ma-terna e ai genitori di Isa Corinaldi (aiutano adorientarci fra tanti nomi anche gli alberi ge-nealogici allegati). Chiara Pilocane chiari-sce, prima di affrontare le schede biografi-che, lo scopo e i limiti del lavoro di archivia-zione dei documenti di Isa Corinaldi: racco-gliere e articolare correttamente le sole infor-mazioni che possono essere desunte dall’ar-chivio conservato dai discendenti, precisan-do che “l’archivio è da intendersi come og-getto e come fonte esclusiva” del lavoro eche per “fedeltà all’archivio” i confini crono-logici sono il 1800 e il 1984, data della morte

di Elda Wollemborg, madre di Isa Corinaldi;ma per redigere le schede la ricerca è stataampliata, attingendo ad altre fonti in archivipubblici e privati presso le Comunità e lecittà di provenienza, ed estesa, per gli ante-nati, fino agli ultimi due decenni del XVIIIsecolo. Gadi Luzzatto Voghera (“Il contesto storico esociale”) illustra, anche con riferimento adalcune famiglie ebraiche, la storia della Co-munità di Padova, città la cui università erafrequentata da molti ebrei, e in cui fu fondatoil primo Collegio Rabbinico italiano, poi tra-sferito a Roma.Conclude il volume un breve saggio di UgoVolli sugli ebrei italiani.L’estensione geografica della provenienzadei protagonisti al Piemonte, alla Toscana,ma sempre con la forza attrattiva di Padova,e la ricchezza delle informazioni rendono lalettura interessante, e, con il palese coinvol-gimento emotivo di Claudia, anche piacevo-le.

p.d.

Non fuorvieràCon affetto filiale e con un encomiabile, im-pegnativo lavoro Claudia De Benedetti ha ri-dato vita all’archivio familiare che sua ma-dre, Isa Corinaldi De Benedetti, ha conserva-to e custodito fino alla sua scomparsa. Attra-verso fotografie, appunti, documenti privati,atti di acquisto e di trasferimento di proprietàimmobiliari, schede testamentarie, ketubot,contratti e partecipazioni di nozze – che tro-viamo in parte riprodotti nel volume – vienericostruita una storia familiare lungo sei ge-nerazioni, una storia che coinvolge principal-mente le famiglie Treves de Bonfili, Wollem-borg, Corinaldi, Pavia, e non può quindi pre-scindere dalle Comunità che Claudia dichia-ra di sentire sue: Torino, Casale Monferrato,Padova, e anche Venezia.La narrazione di Claudia, che aggiunge aidati di archivio notizie personali sulla vitaprivata e pubblica degli ascendenti, non silimita alle persone e alle famiglie coinvolte,ma è anche un excursus sulle radici di unebraismo originariamente frammentario,con storie differenti di accoglienza, di re-strizioni, di emancipazioni, ebraismo chepuò essere definire “italiano” soltanto conl’unità d’Italia. Italiano, a costo della perdi-

e, per quanto sia calcolatrice e manipolatrice,non è chiaro quanto sia realmente responsa-bile della catena di eventi che si innesca apartire dalla sua decisione di trasferirsi nellacittà dove vive l’ex fidanzato e che porta idue rabbini (l’ex fidanzato e il marito) unocontro l’altro. A un certo punto sembra che lacontesa vada avanti da sé, innestata nelleaspre lotte tra sionisti e antisionisti e alimen-tata dai rispettivi seguaci indipendentementedalla volontà dei maestri. Anche in questa si-tuazione conflittuale tra due rabbini che nonhanno animosità personali ma sono incastratiin un meccanismo creato non da loro e da cuinon riescono a uscire, la Lituania degli anni’20 o ’30 del ’900 e la Torino dell’inizio delsecolo successivo appaiono meno distanti diquanto possa sembrare.Naturalmente, poi, c’è tutto il resto: un mon-do scandito dal ritmo delle stagioni e dellefestività, che suscita nostalgia non perchéfosse idilliaco ma perché sappiamo che èscomparso nel modo più tragico; le sfumatu-re del carattere della protagonista e il suorapporto con il marito e i figli; le complessedinamiche di una comunità ebraica con i suoisottili e complessi giochi di potere; e mi fer-mo prima di cadere nella tentazione di rico-minciare con la ricerca delle somiglianze.

Anna Segre

La moglie del rabbinoChaim Grade (1910-1982), considerato tra ipiù importanti scrittori yiddish ma poco co-nosciuto in Italia, in questo romanzo brevedel 1974 tradotto per la prima volta in italia-no racconta una vicenda ambientata (come sipuò dedurre da pochi dettagli) nella Lituanianegli anni tra le due guerre. Un mondo quasiesclusivamente ebraico, di artigiani, com-mercianti e studiosi, lacerato da aspre lottetra sionisti e antisionisti, in cui la modernitàsi fa strada a piccoli passi.In questo mondo vive la protagonista, Perele,“personaggio estremo ma allo stesso tempoplausibile, odioso ma che non si può evitaredi ammirare”, come scrive la traduttrice An-na Linda Callow nella postfazione. “Figlia diun famoso rabbino, Perele ha introiettato ivalori della società di talmudisti in cui vive,ma pur dotata di un’intelligenza acuta nonpuò incarnarli personalmente esclusa com’èdagli studi riservati ai maschi, per cui devetrovare uno sposo degno del suo rango e vi-

vere quei valori attraverso i successi del ma-rito e dei figli”.Non si può certo biasimare la traduttrice, chenon aveva altra scelta, ma “moglie del rabbi-no” non rende la vasta gamma di significaticonnessi con il termine rebbetsin del titolooriginale. Nell’ebraismo ortodosso, dove (al-meno per ora e con qualche eccezione) i rab-bini sono solo uomini, le figure femminili alloro fianco hanno un ruolo essenziale: donneche dialogano con le donne e che in qualchemodo hanno la possibilità di farsi portatricidelle loro istanze; ancora oggi nelle nostreComunità, in un contesto in cui l’emancipa-zione femminile dovrebbe essere una cosascontata (ma in realtà lo è solo in parte), lemogli dei rabbini sono figure significative,con un ruolo magari non ufficiale ma spessoindispensabile. Anche a Torino abbiamo avu-to e abbiamo modo di apprezzarle: da ornel-la e Anna, insegnanti alla scuola ebraica, aRenana, Alessandra, Elisabetta, animatricidel bet midrash delle donne (nato a Torinoanche per l’impulso di Shulamit, “rebbetsin”di Firenze).Perele, però, purtroppo non somiglia a nessu-na di loro: non è empatica con le altre donne,le frequenta solo nella misura in cui le sem-bra necessario per l’etichetta, e in fin deiconti non pare neppure essere davvero inte-ressata allo studio della Torà e del Talmud, senon come strumento di prestigio per il maritoe i figli. È per puro orgoglio che si rammari-ca del fatto che il fidanzato che molti anniprima l’aveva lasciata sia considerato unostudioso molto più importante di suo marito.Ma Perele non è neppure una Lady Macbeth,

Non fuorvierà – una storia di famiglia acura di Claudia De Benedetti, Ed. Sa-lomone Belforte, 2019, pp. 293, € 60

Chaim Grade, La moglie del rabbino,traduzione dallo yiddish e postfazionedi Anna Linda Callow, Giuntina 2019,€ 18

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libri

RassegnaAgata Bazzi – La luce è là – Ed. Mondadori,2019 (pp. 345, € 19) Nella sontuosa villa Ah-rens (oggi sede della Direzione InvestigativaAntimafia) attestante il successo economico eil prestigio sociale raggiunti, Albert con Johan-na ed i loro otto figli gestiscono un piccolo im-pero commerciale che arriva a spaziare dal tes-sile ai vini pregiati come il Corvo di Salaparutae il Marsala. La narrazione procede spigliatacon l’andamento proprio del romanzo e rievo-ca sia gli eventi privati, nel contesto dell’altaborghesia palermitana a cavallo tra otto e No-vecento, sia interessanti notizie sullo sviluppourbanistico, economico, sociale e sulle apertu-re alla modernità di quel mondo. Una famigliadi ebrei tedeschi assimilati posta di fronte alproblema identitario dalle leggi del 1938, no-nostante le numerose conversioni. Romanzopoderoso che (nella ricostruzione effettuatadalla discendente Agata Bazzi) si avvale di duepiani narrativi: quello del diario di Albert Ah-rens e quello della voce della figlia Marta, chene completa i fatti fin quasi ai giorni nostri. (s)Giacomo Nunez – Nostalgia di un livornesea Tunisi. Vivere e parlare “bagito” nella Co-munità portoghese di Tunisi. – Ed. SalomoneBelforte & C., 2013 (pp. 195, € 14) Come sievince dalla titolazione, questo agile volumet-to illustra lo straordinario rapporto degli ebreilivornesi con la madrepatria labronica di cuihanno conservato e tramandato cultura, tradi-zioni e la tipica parlata. Dopo un rapido excur-sus storico, si offrono alcuni dati a caratterescientifico sulla dimensione genetica del popo-lo ebraico da affiancare alla assodata connota-zione religiosa. Recenti scoperte ottenute me-diante analisi con il DNA dimostrano alcuneverità inconfutabili in merito alle diverse ani-me dell’ebraismo spesso in rancoroso contra-sto tra di loro. Il presente volume completa econclude quanto esposto nel precedente, Dellenavi e degli uomini, sulle attività commercialidegli ebrei tornati in seno all’ebraismo dopo il1593. (s)Sergio Minerbi – Quest’anno a Gerusalem-me – Ed. Salomone Belforte & C., 2019 (pp.161, € 20) La foto di copertina porta la datadel 29 Novembre 1947, il giorno del votodell’Assemblea Generale delle Nazioni Unitesulla spartizione dell’allora Palestina e la con-seguente nascita dello Stato d’Israele, data dacui scaturisce il titolo del volume. Suddivisa inbrevi e concisi capitoli vi troviamo raccontatala vita di Sergio Itzack Minerbi che, in primapersona, rievoca i più significativi episodi diun’esistenza condotta nell’amore per Israele.Immigrato dall’Italia, vi fece l’esperienza delkibbuz per poi entrare nella carriera diplomati-ca. Il suo impegno costante per l’affermazionedel diritto del popolo ebraico ad abitare la Ter-ra e a risiedere nella capitale non conosce sostee si svolge tuttora opponendosi tra l’altro allavisione antiebraica della Chiesa cattolica risa-lente al tempo dei Vangeli. (s)Daniele Garrone (a cura di) – Ebraismo.Guida per i non ebrei – Ed. Claudiana, 2019(pp. 240, € 24) Il pastore Daniele Garrone,professore ordinario di Antico Testamentopresso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma,presenta la traduzione italiana di un’opera frut-to della “costante interazione con qualificatiesponenti dell’ebraismo con l’obiettivo diinformare e formare… i membri delle chieseevangeliche” auspicando che “tutto questopossa diventare patrimonio del cristiano qua-lunque”. Uno strumento di agile consultazionee di facile comprensione in virtù della suddivi-sione della materia in chiare schede esplicati-ve, corredata da una bibliografia mirata all’ap-profondimento e a sgombrare il campo da pre-giudizi, falsità e malevole accuse. (s)Sandro Gerbi – Ebrei riluttanti – Ed. Ulri-co Hoepli, 2019 (pp. 158, € 16,90) Con una“circoncisione fuori tempo massimo” prendeavvio la storia di una famiglia di ebrei “rilut-tanti… al corrente della nostra religione, ma

di cui ci curavamo poco”. “È la drammaticadispersione di una famiglia raccontata conspigliata leggerezza” (Bernardo Valli su L’E-spresso). A seguito delle leggi razziste del1938 lo scenario si sposta necessariamentedall’Europa all’America meridionale dove inPerù nascerà l’autore che, in queste pagine,non può evitare il “riemergere della fede avi-ta… nel lessico familiare… e negli scritti”. Aconferma che la riluttanza del titolo va presacon beneficio d’inventario… nonostantel’assimilazione intervenuta negli anni. (s)Dario e Aida Foà – Quando due parallele siincontrano. Due ragazzi ebrei dalle leggirazziali ad oggi – Ed. Salomone Belforte &C, 2017 (pp. 155, € 20) Pubblicato nellacollana dei Racconti di vita vissuta, questovolumetto scritto a quattro mani, rigorosa-mente in parallelo, in un linguaggio direttoed immediato, può considerarsi un inno al-l’amore e alla vita. Dario e Aida, attivissimiin ambito ebraico quanto in campo professio-nale sia a Napoli che successivamente a Pa-dova, rievocano per i numerosi e amatissiminipoti, le vicende tormentate degli anni cru-ciali per l’Europa, ma anche il fervore dellaripresa e la solidità degli affetti familiari.L’in tegrazione iconografica riveste valoreanche per i documenti relativi agli anni dellepersecuzioni e dell’esilio in Svizzera, ma poisi apre alla gioia e alla felicità con matrimonie nascite della discendenza. (s)Ariel Paggi – Il muro degli ebrei. Roccate-derighi e la provincia di Grosseto (1943 –1945) – Ed. Salomone Belforte & C, 2018(pp. 349, € 22) Soltanto dopo la guerra ilmuro che nasconde l’edificio del seminariodiocesano estivo ebbe quel nome poiché là vifu internato un centinaio di ebrei sia italianiche stranieri. Fu appunto il vescovo di quelladiocesi a concedere l’uso dell’edificio allaRepubblica Sociale Italiana, rendendosi cor-responsabile con il prefetto di Grosseto della

detenzione e del trasporto ai campi di stermi-nio. Ma nessuno parlò e nessuno fu chiamatoa risponderne. Con questa ricerca l’autore in-tende dare “un contributo all’abbattimentodel muro del silenzio… e raccontare lo spiritoche animò coloro che salvarono tante perso-ne”. Si ricostruiscono le vicende di singoli edi intere famiglie (una delle quali è quelladell’autore), si prosegue con l’elenco delleproprietà confiscate e si conclude con notiziesui benemeriti “salvatori”. A corredo del pre-zioso lavoro il lettore troverà la trascrizionedell’intervista rilasciata da Ariel Paggi a Li-liana Picciotto presso il CDEC e numerose ta-belle demografiche sulla presenza di ebrei nelGrossetano e sul destino a cui essi andaronoincontro. (s)Marcella Filippa – Rita Levi Montalcini –Ed. Maria Pacini Fazzi, 2018 (pp. 80, € 8)Nella collana “Italiane” diretta da Nadia Ver-dile in cui appaiono i ritratti di donne simbolodella lotta per l’emancipazione femminile,portata avanti nei campi più diversi con sceltedi vita e opere, entra a pieno titolo Rita LeviMontalcini. A mano a mano che il raccontoprocede Marcella Filippa ci svela anche i latipiù intimi di questa grande donna e scienziata,i rapporti con i famigliari e la rete di contattisviluppati in ambito sia professionale che fi-lantropico: “una lunga vita spesa per la cono-scenza… nella sua unicità di donna… affer-mando il valore dell’imperfezione, offrendosperanza e futuro a tante altre donne”. (s)Pamela S. Nadell – America’s JewishWomen – A History from Colonial Times toToday – Ed. Norton & Company, 2019 (pp.321, € 43,50) Lungi dall’essere un’antologia,lo studio storico (per il momento in linguaoriginale) si presenta sotto forma di raccontoin cui si intersecano osservazioni su genere,identità, religione , immigrazione e assimila-zione delle donne ebree americane. Le storieindividuali, accomunate dalla comune appar-

Cerimonie di estremo saluto

PRIMO STABILIMENTO DI TORINOCASA FONDATA NEL 1848

ORGANIZZAZIONE FIDUCIARIA DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI TORINO

Via Barbaroux, 46 - 10122 TORINO - Tel. (011) 54.60.18 - 54.21.58

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19raccontare la storia di un uomo dotato di gran-de personalità, di grande carattere, di spiccato“sense of humour” ma anche di successo pro-fessionale quale Mario Foah , e Vittorio Levi,amico e “quasi parente”, lo ha fatto con affettoed empatia. (s)Giorgio Sacerdoti – Piero Sacerdoti – (1905-1966) Ed. Ulrico Hoepli, 2019 (pp. 384, €24,90) A più di cinquant’anni dalla morte pre-matura a Piero Sacerdoti viene reso omaggiodal figlio primogenito con una biografia accu-rata cronologicamente e indissolubilmente le-gata allo sviluppo delle Assicurazioni in Italiae nel mondo. Manager umanista avente a cuo-re la funzione sociale delle assicurazioni eaperto ad una visione internazionale, docentealla Sorbona nel 1938, costretto alla fuga daParigi e rifugiato in Svizzera, nel dopoguerrasarà richiamato a Milano quale direttore gene-rale della Ras. In tale ruolo promosse, tra l’al-tro, la costruzione della nuova sede della com-pagnia e negli anni Sessanta nella sua attivitàprofessionale ebbe tre obiettivi lungimiranti:l’informatizzazione, la copertura dei nuovi ri-schi connessi con l’uso pacifico dell’energianucleare e l’espansione internazionale. Emi-nente figura di imprenditore e luminoso esem-pio di vita la cui conoscenza non può non su-scitare sincera ammirazione e un senso di or-goglio per l’identità di appartenenza. (s)

A cura diSilvana Momigliano Mustari (s)

tenenza all’ebraismo variamente sentita e vis-suta, riguardano personalità di spicco nelcampo delle lotte per i diritti civili, per l’e -mancipazione della donna e per un ebraismoriformato. Ai lettori saranno sicuramente notii nomi di Betty Friedan (icona del femmini-smo) e di Ruth Bader Ginzburg (giudice su-premo della Corte Federale) ma innumerevolisono le donne distintesi nei campi più dispa-rati, assurgendo a ruoli apicali e determinan-do l’evoluzione della società americana edoccidentale: la Storia plasmata dalle donnenel paese delle libertà e delle opportunità (per quanto ancora alquanto maschilista). (s)Alfredo De Girolamo – Da Mogador a Fi-renze. I Caffaz, viaggio di una famigliaebrea – Ed. Poligrafici, 2019 (pp. 79, senzaindicazione del prezzo) Seguendo gli spo-stamenti della famiglia Caffaz, non semprenecessariamente imposti ma spesso dettati dacondizioni oggettive di necessità, De Girola-mo coglie l’occasione per delineare il profilodelle comunità ebraiche di arrivo e le pecu-liarità sociali, politiche, economiche e stori-che del contesto territoriale. Dall’influenzaarabo-islamica assorbita in Marocco all’at-

teggiamento aperto ed accogliente del Gran-ducato di Toscana, passando dalla “piccolaGerusalemme” di Pitigliano. Quella della fa-miglia Caffaz è una storia paradigmatica perl’affinità con tante altre consimili nell’af-frontare le avversità e nel cercare un luogoaccogliente per ebrei diasporici, eppure uni-ca per la sua peculiare specificità.Qualcuno ce l’aveva fatta, un drappello… resi-stette agli orrori della Seconda Guerra Mon-diale arrivando a vivere pienamente la propriaesistenza dentro la stagione di pace europea. (s)Vittorio Levi – Mario Foah. Eroe dei duemondi – Ed. Salomone Belforte & C, 2019(pp. 86, € 16) Aneddoti, conversazioni , ricor-di… riferiti con affetto e stima per costruire unracconto che l’autore esita a definire biografiain quanto teme “possa essere riduttivo”. A Na-poli, maggiore di cinque fratelli che accudivain assenza del padre, trasferitosi ad Asmara acausa delle leggi razziste del 1938, Mario ma-turò la decisione di emigrare negli Usa dove,animato da spirito imprenditoriale, salirà rapi-damente i gradini sociali. Alle note biografichefanno da complemento episodi e storie di fa-miglia in un continuo andirivieni tra Italia eStati Uniti. ovviamente la grafia del cognome,a beneficio della pronunciabilità in lingua in-glese, rimanda ai Foa e Foà molto diffusi a Na-poli. Gli omonimi, variamente imparentati e icui nomi spesso si ripetono negli alberi genea-logici, possono talvolta creare difficoltà adorientarsi anche al lettore più attento. Bello

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Paesaggiocon personaggio.

Qui sottoPaesaggio

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Pubblicato il numero 13 della rivista Segulat Israel

Il numero 13 della rivista biennale Segulat Israel, finita distampare a Roma nel mese di giugno, comprende dieci ar-ticoli. Vi sono articoli di argomenti di attualità, come quellodelle accuse vere e calunniose di molestie sessuali e dell’a-sincronia tra la lettura delle parashòt in Eretz Israel e nellaDiaspora nel l’estate del 2019. Ve ne sono altri che trattanoargomenti sui minhaghìm italiani e sulle mitzvòt relative all’e-conomia. Altri articoli trattano di mitzvòt ricorrenti comequelle sul tallìt e sull’accensione dei lumi di Chanukkà. Trebrevi articoli trattano il significato di mitzvòt come quelledella vacca rossa e delle quattro specie di Sukkòt e l’argo-mento della benedizione dei kohanim.Tra gli autori vi sono rav Riccardo Di Segni, rabbino capodi Roma; rav Ariel di Porto, rabbino capo di Torino; rav Al-berto Somekh rabbino di Torino; Michael Wagner di Geru-salemme e Donato Grosser di New York. Emanuele Cohen-ca ha curato la presentazione. Gli articoli sono stati rivisti ecorretti da rav Joseph Pacifici, il decano del rabbinato ita-

liano, che abita a Kiriat Sefer. La rivista Segulat Israel è stata fondata nel 1993 allo scopo di dare continuità all’opera dieducazione ebraica promossa cent’anni fa da Alfonso Pacifici. È la sola rivista che offra ar-ticoli in lingua italiana su argomenti di Torà con particolare accento sulla tradizione intel-lettuale ebraica degli ebrei italiani. Per informazioni si prega di contattare EmanueleCohenca di Milano all’indirizzo email [email protected]

(Comunicato Stampa)

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Adis Abeba, maggio 1945… Stamani si è sparsa la notizia dell’armistizioin Europa. Come Dio vuole è finita! Una talenotizia dovrebbe aver riempito tutti i cuori digioia, ed invece malgrado tutto non si riesce adessere allegri. Eppure ciò significa la fine di ol-tre cinque anni di stragi e di distruzioni; la pos-sibilità, quando che sia, di rivedere i nostri ca-ri, di tornare in patria, di ricominciare a vivereper un avvenire e non alla giornata, come fac-ciamo tutti quaggiù. Questo significa la notiziadell’armistizio, eppure… quando penso al 4novembre 1918 ed a quello che ne seguì dopo,mi domando come si può essere lieti oggi.Troppe incognite gravano ancora su tutto ilmondo e su ciascuno di noi in particolareperché si possa avere l’animo lieto. Vi sonoquelle più immediate e particolari, quando ecome si potrà ritornare presso i nostri cari; lealtre pure personali, a più lontana scadenza,come si potrà ricominciare una vita così tra-gicamente sospesa per oltre cinque anni, co-me si potrà guadagnare onestamente un paneper noi e per i nostri figli nell’inevitabiletrambusto sociale ed economico che farà se-guito alla guerra; altre di carattere meno per-sonale ma limitate, quale sarà l’avvenire del-la nostra patria, così duramente provata, einoltre priva di concordia interna, elementoindispensabile per una ripresa del suo cam-mino; infine altre di carattere generale, qualesarà l’avvenire dell’umanità.Per chi non sappia o non voglia bendarsi gliocchi e le orecchie, tutti questi problemi sipresentano nella loro tragica importanza per-sonale e generale, ché nessun uomo, o benpochi, può estraniarsi dalle preoccupazionidella sorte di tutti gli altri uomini della col-lettività cui appartiene.Lasciamo da parte per ora i problemi di piùbreve scadenza e di più personale interesse epensiamo a quale potrà essere l’avvenire del-l’Italia. Se si dovesse giudicare da quello chesi vede e si sente, ci sarebbe ben poco da spe-rare! In quale stato materiale si trovi ora l’I-talia, pur non sapendolo, noi che siamo qui,per personale conoscenza, tuttavia è facileimmaginarlo: distruzioni di ogni genere han-no colpito oltre la metà del suolo d’Italia. Dal lato morale non si sente parlare che dimovimenti, dimostrazioni, forse sommosse ascopo politico o economico. Fra quei pochiitaliani che ci sono qui, non si sentono chefrasi di odio, rivolta, disprezzo. Eppure tuttiquelli, anzi soprattutto quelli da cui si sento-no le frasi più aspre e più cariche di odio, amodo loro amano l’Italia, ed è questo loro

amore, esasperato dalle vicende di questi an-ni, che li fa parlare e pensare così.E d’altra parte chi può dire in piena coscien-za e buona fede che il suo modo di amare l’I-talia sia quello vero? Se almeno ciascuno de-gli italiani si ponesse questo problema da-vanti alla mente, non ne verrebbe certo laconcordia, ma almeno la reciproca compren-sione e tolleranza; ne verrebbe la possibilitàdelle civili competizioni politiche, fatte diidee e di persuasione e non di violenza, neverrebbe la possibilità, dopo qualche tempodi inevitabili incertezze, di un assetto stabilein cui la nostra Italia potesse trovare l’appog-gio per riprendere la sua via.Sarà possibile questo fatto? Ne parlavo sta-mattina con l’ing … di cui ti ho scritto l’altravolta ed egli mi rispondeva che appena “que-sti scalmanati” saranno riportati in Italia eabbiano sentito cosa è successo lassù in que-sti anni cambieranno opinione. È da sperareche sia così, e che si possa negli anni che an-cora ci rimangono da vivere preparare ai no-stri figli una vita meno agitata della nostra.E infine quale sarà l’avvenire dell’umanità?Troverà essa uno stabile assetto di civile con-vivenza tra i vari popoli o si andrà ancora in-contro a un periodo di equilibrio instabile, dipace formale con la guerra negli animi comenei vent’anni dal ’19 al ’39? Comprenderan-no i popoli, o, meglio ancora, i loro dirigenti,che tutti hanno il diritto di vivere decorosa-mente? Possibile che non si possa amare lapropria patria, qualunque essa sia, senzaodiare o almeno disprezzare le altre patrie?.Si potrà continuare a vivere in un ambientedi rancore reciproco?Sono tutti questi interrogativi che si affaccia-no alla mente di quanti non sono ciechi e sor-di. E a questi interrogativi non si potrà, se-condo me, mai rispondere fino a quando gliuomini non si sentiranno fratelli tra loro. E atale scopo bisognerebbe ridestare tra gli uo-mini il concetto, ora molto sbiadito, di Dio,Padre comune di tutti. Millenovecentoqua-rantacinque anni or sono è stato detto “Paceagli uomini di buona volontà sulla terra”. Ionon so che cosa si intendesse per pace e peruomini di buona volontà, ma so che è venutal’Inquisizione, le stragi degli eretici e il fra-zionamento dell’Italia, a parte un numeronon ben accertato di guerre.Poco prima un romano aveva detto “nessunuomo può essermi estraneo” ed era pagano,ma intanto Roma estendeva con le armi lasua potenza e, poco dopo, distruggeva Geru-salemme e il tempio. Da allora sono stati fattimolti progressi materiali, si va in aereo anzi-ché a piedi, si sente (quando se ne ha voglia)la radio, si ammazzano scientificamente i ne-mici (e non solo quelli) con i vari V1, V2,etc, anziché con le frecce e con i coltelli.Questo è il progresso di quasi duemila anni,la cui storia è fatta di una serie continua diguerre che, anzi, se si voglia esaminare da vi-cino il progresso tecnico, si vedrà che le in-venzioni che sono più rapidamente progredi-te sono proprio quelle che hanno applicazio-ni di guerra!...Nobel inventava la dinamite e fondava il pre-mio per la pace. Un mio soldato nel ’18 midiceva scherzando “pochi anni or sono si pa-gava per andare a vedere gli aeroplani; ora sipagherebbe molto di più per non vederli”.Verrebbe quasi da pensare che la guerra siauno stato inevitabile dell’umanità, se si do-vesse giudicare da quanto si sa e si è visto.Ma ripugna il pensarlo; non si riesce a conce-pire che si debba odiare un uomo solo perchéè nato qualche chilometro lontano da noi.Come uno può essere, ad esempio, buon ita-

CHE ITALIA RITROVEREMO?Questa lettera è stata scritta da Aldo De Benedetti (1897-1951), ufficiale ebreo espulso dall’e-sercito italiano nel 1938 in seguito alle leggi razziali che aveva trascorso gli anni della guerrain Africa, a sua moglie Ester che si trovava ad Asmara con i loro quattro figli.

liano pur essendo più affezionato a BorgoSan Salvario che a Borgo San Secondo (scu-sa!) così, penso che si possa arrivare a sentir-si fratelli di qualunque altro uomo, qualun-que ne sia il colore e la patria, pur amando dipiù quelli del nostro colore e della nostra pa-tria. Si deve poter arrivare alla comprensionereciproca, al riconoscimento dei legittimi in-teressi di tutti, all’annullamento degli egoi-smi personali speciali e nazionali, in una pa-rola alla fratellanza.Non sarà certo facile arrivarvi, ma bisogna di-rigersi verso quella meta e, secondo me, ilmezzo migliore, anzi l’unico possibile, è il ri-chiamare all’umanità il concetto di Dio, Padrecomune di tutti i popoli e di tutti gli uomini.La via da percorrere sarà molto lunga e certonon sarà possibile che sia opera di una sola odi poche generazioni; ma questo non devescoraggiare gli uomini che abbiano veramen-te “buona volontà”. ognuno di essi (vorreipoter dire “ognuno di noi”) deve mettere lasua opera, per quanto umile e piccola possaessere, per il raggiungimento di questo sco-po. Come ogni granello di sabbia, ogni pezzodi pietra, ogni grano di cemento, va a costrui-re i grandi monumenti della nostra epoca, co-sì ogni minimo atto, ogni opera apparente-mente insignificante, avvicinerà l’avvento diun’epoca di vera pace.Da ragazzo ricordo di aver letto, non so dove,che “la Patria ha più bisogno di uomini buoniche di uomini grandi” ed ugualmente, aggiun-go io, l’umanità. Invece da trent’anni a questaparte abbiamo cercato tutti di compiere azioni“brillanti”, di “lasciare la nostra impronta”, di-menticandoci che ciò che cresce rapidamenterapidamente si distrugge, e che le opere vera-mente durature hanno richiesto anni e secoliper essere costruite. Bisogna ritornare al sanoconcetto dell’oscuro dovere di ogni giorno,della bontà spicciola, del lavorare per il futuroe non per il presente; bisogna saper rinunciarea vedere il risultato dell’opera nostra, e ciò no-nostante continuare con tutte le nostre forze,pensando che anche se non ne godremo noi,ne godranno i nostri figli ed i figli di essi.Si potrebbe osservare che ciò è superiore alleforze umane, che il lavorare oscuramente,senza la prospettiva di una ricompensa o dialmeno un riconoscimento in vita è troppopretendere dalla natura umana.Ma nella nostra Legge sta anche scritto “Sia-te santi, come santo è il Signore Iddio vo-stro” e la santità non consiste nell’osservanzapiù o meno rigorosa di riti, nel pronunciaredeterminate parole a determinate ore. Perusare le parole più conseguenti al significatodi esse non parliamo di Santità, si parli solodi Bontà che, in fondo, è appunto la Santitàspicciola, non appariscente, soprattutto nonsanzionata da decreti…

Chaim Soutine, Il villaggio Chaim Soutine, Paesaggio