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Un nuovo patto sociale per lo sviluppo e la crescita della produttività: quali condizioni? Leonello Tronti (Università di Roma Tre) Centro Sudi Cisl di Firenze, 30 settembre 2010

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Un nuovo patto sociale per lo sviluppo e la crescita della produttività: quali condizioni?

Leonello Tronti (Università di Roma Tre)

Centro Sudi Cisl di Firenze, 30 settembre 2010

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Argomenti 1. Le condizioni macro

Il modello di politica dei redditi di Tarantelli La “legge di Bowley” Il modello contrattuale del luglio ’93 Analisi formale del modello Verifica: contrattazione, distribuzione del

reddito e crescita economica Il nuovo accordo quadro del 22 gennaio

2009 Riprogettazione della contrattazione

nazionale

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Argomenti 2. Le condizioni micro

Quando cresce la produttività nell’impresa? Teorie della crescita e organizzazione

innovativa dell’impresa Conoscenza, apprendimento, competenze Riorganizzazione dei luoghi di lavoro,

potenziamento del lavoro, benessere organizzativo

Riassumendo: il nuovo patto sociale, condizioni macro e condizioni micro

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Il livello macro.Il punto di partenza:

Il modello di politica dei redditi di Tarantelli

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Inflazione e retribuzioni di fatto. Anni 1970-2007 (Tassi annui di variazione percentuale)

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

1970 1973 1976 1979 1982 1985 1988 1991 1994 1997 2000 2003 2006

Prezzi al consumo (f.o.i.)

Retribuzione lorda per equivalente t.p.

Pri

mo

sh

ock

petr

olif

ero

Se

con

do

sho

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Lo

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tivo

Pro

toco

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i Lu

glio

Dis

de

tta d

ella

sca

la m

ob

ile

Fonte: Istat, Conti nazionali

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L’ipotesi di politica dei redditi di Tarantelli La stabilità dei prezzi come bene pubblico, La stabilità delle quote distributive (legge di

Bowley), Il recupero del potere d’acquisto, dal

passato al futuro: la “politica salariale d’anticipo”,

Il rientro dell’inflazione attraverso La programmazione concertata degli scatti di ‘scala mobile’ e la disciplina di prezzi, tariffe e prezzi amministrati (inflazione programmata).

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La distribuzione funzionale del reddito:

La “legge di Bowley”

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La legge di Bowley - 1 A seguito degli studi sui redditi in Gran Bretagna (Bowley e

Stamp, 1927), Arthur Bowley suggerì l’ipotesi della costanza nel tempo della quota del lavoro nel reddito, principio divenuto in seguito noto come “legge di Bowley”.

La distribuzione funzionale del reddito occupa un ruolo preminente nell’ambito della teoria economica con il contributo degli economisti post-keynesiani, che la considerano come dipendente dal tasso di crescita del prodotto.

Nel breve periodo, un incremento del tasso di crescita dell’economia non viene compensato dalla dinamica salariale e comporta quindi uno spostamento della distribuzione a favore dei redditi da capitale.

Gli economisti post-keynesiani forniscono così un’interpretazione delle variazioni di breve periodo della distribuzione funzionale dei redditi, che si accompagna però con la previsione di una costanza delle quote di reddito nel lungo periodo (legge di Bowley).

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La legge di Bowley - 2 Date le diverse propensioni al risparmio di lavoratori e

imprenditori, la manovra della distribuzione funzionale del reddito consente di portare i risparmi ad eguagliare gli investimenti necessari per conseguire: a) il pieno impiego o, b), il tasso di crescita del prodotto desiderato.

Di qui l’importanza fondamentale della politica dei redditi per la crescita e l’occupazione.

Per Kaldor (1957) la stabilità nel tempo della distribuzione funzionale del reddito deriva dalla costanza del saggio di profitto, e dalla coincidenza del tasso di crescita del rapporto capitale-lavoro con quello della produttività del lavoro (che, prescrittivamente, consente un sentiero di balanced growth).

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La legge di Bowley - 3 Al di là del suo valore euristico, la legge di Bowley può

essere assunta come “regola aurea della politica dei redditi”, perché: in parità di altre condizioni, assicura la massima crescita dei

salari (e della domanda interna) compatibile con l’assenza di pressioni sul saggio di profitto e, quindi, sui prezzi.

Come vedremo in seguito, questa condizione comporta come corollario che le retribuzioni reali crescano nell’esatta misura dei guadagni di produttività del lavoro.

Ciò non tanto per un’implicita (quanto infondata) identificazione dei lavoratori come unici autori della crescita della produttività,

ma per motivi di carattere macroeconomico, legati agli effetti delle diverse propensioni al consumo di lavoratori e datori di lavoro sui consumi e sulla crescita.

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Salario, produttività e legge di Bowley Sia w il salario di fatto, ND l’occupazione dipendente, Q il

reddito reale totale e p i prezzi; la quota del lavoro, o quota del lavoro dipendente nel reddito (SL), può essere definita nel modo seguente:

da cui, moltiplicando e dividendo per l’occupazione totale NT, e sostituendo la produttività del lavoro al reddito per occupato, abbiamo:

dove nD indica l’incidenza dell’occupazione dipendente sul

totale. Da questa equazione si ricava agevolmente la nota condizione di crescita salariale che assicura l’invarianza della quota del lavoro:

11 pQNwS DL ,

11 pnwS DL ,

DL npwS 0 .

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Condizioni della legge di Bowley

La legge di Bowley si verifica soltanto se: la crescita del salario reale

eguaglia la variazione della produttività del lavoro,

al netto della variazione dell’incidenza dell’occupazione dipendente sul totale.

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Il modello contrattuale del Protocollo di luglio 1993

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Dopo Tarantelli: la riforma della negoziazione delle retribuzioni La parziale riforma della scala mobile

(1986) La disdetta della scala mobile (1991), la sua abolizione (1992),

in cambio del riconoscimento della salvaguardia del potere d’acquisto delle retribuzioni come obiettivo della politica economica;

Un nuovo meccanismo di negoziazione dei salari, previsto dal Protocollo di Luglio 1993, che prevede anche (seconda parte)

l’ammodernamento del sistema produttivo e la riqualificazione del lavoro e delle tecnologie.

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Il Protocollo di luglio 1993 Il nuovo meccanismo di negoziazione dei salari

previsto dal Protocollo di Luglio 1993 prevede: Due livelli negoziali, specializzati e non sovrapposti:

1. Importi tabellari previsti dai CCNL e legati all’inflazione programmata;

2. Salario di risultato a livello aziendale o territoriale, legato a produttività, profittabilità e qualità a livello locale.

Una forma di politica salariale d’anticipo (tasso di inflazione programmata e recupero degli scostamenti);

altri contenuti di ammodernamento del lavoro e delle imprese (seconda parte).

Manca però l’esplicito obiettivo della stabilità delle quote distributive.

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Perché un modello contrattuale squilibrato? Nel 1993 l’Italia si trovava nella doppia

condizione: Di dover fronteggiare la più grave crisi

occupazionale del dopoguerra E di dover “accomodare” l’ultima grande

svalutazione della lira (settembre 1992) in vista dell’entrata nel “Club dell’euro” al primo turno.

In realtà l’accordo prevedeva la sua revisione dopo 5 anni. Questa venne tentata dalla Commissione Giugni (1997), le cui raccomandazioni rimasero però senza esito.

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Protocollo ’93, contrattazione decentrata e legge di Bowley

Nell’insieme dell’economia italiana, sulla base delle differenze di livello tra retribuzioni di fatto e retribuzioni contrattuali, si può ipotizzare che il fattore β* abbia un valore medio elevato, vicino a 6,5 – un valore che conferma la scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello.

21 )1( www con ]1,0[ , (3) dove è l’incidenza del primo livello sulla retribuzione totale.

Ipotizzando che questa componente retributiva si muova esattamente con l’inflazione ( p ), per effetto del tasso di inflazione programmato (tip) e dei periodici recuperi degli scarti tra tip e inflazione effettiva, possiamo derivare la crescita di 2w che soddisfa l’invarianza della distribuzione funzionale ( *

2w ):

pwSL 10 e

*1*

2 1

pww

w con 11

1*

. (4)

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Protocollo ’93 e legge di Bowley - 1

Il Protocollo ’93 prevede che le retribuzioni fissate dai contratti nazionali restino ancorate per sempre al loro potere d’acquisto del 1993. Dunque, per mantenere inalterata la

distribuzione funzionale del reddito, richiede che la contrattazione decentrata cresca in misura sufficiente a eguagliare la crescita reale dell’intera retribuzione di fatto (comprensiva di primo e secondo livello) a quella della produttività del lavoro.

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Protocollo ’93 e legge di Bowley - 2

Inoltre, poiché l’unica situazione in cui essa potrebbe ridursi è quando la retribuzione di secondo livello dovrebbe contrarsi a seguito di una caduta della produttività del lavoro,

l’incidenza della retribuzione decentrata sulla retribuzione di fatto dovrebbe tendenzialmente crescere nel tempo, sino a diventare la principale voce retributiva.

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Protocollo ’93 e legge di Bowley - 3 Pertanto, rispetto all’originario disegno di

politica dei redditi di Tarantelli, il Protocollo di luglio ’93 affida la possibilità di rispettare la legge di Bowley a due condizioni: che la la contrattazione decentrata (aziendale

o territoriale) sia diffusa a tutte le imprese, e quindi sia disponibile per tutti i dipendenti una voce retributiva flessibile, aggiuntiva rispetto alle voci stabilite dal contratto nazionale di categoria;

Che il salario di secondo livello cresca in misura tale da eguagliare la dinamica della retribuzione di fatto reale (comprensiva di primo e secondo livello retributivo) alla variazione della produttività del lavoro.

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Efficacia della contrattazione decentrata e legge di Bowley

Le due condizioni sono in generale poco probabili, in particolare nel sistema produttivo

italiano, caratterizzato da un gran numero di imprese piccole e piccolissime, dove la contrattazione collettiva incontra notevoli difficoltà a svilupparsi.

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Se il modello contrattuale non rispetta la legge di Bowley:

*

. (5)

Il rapporto γ raggiunge l’unità quando il secondo livello contrattuale risulta abbastanza efficace da soddisfare la condizione di invarianza enunciata dall’equazione (4).

Poiché il testo del Protocollo ‘93 pone la crescita della retribuzione reale in dipendenza dal conseguimento di obiettivi di crescita della produttività, possiamo identificare il legame che questa istituzione instaura tra la crescita della produttività e il movimento della distribuzione del reddito ai fattori sulla base del valore di γ: e 1 0 LS

0 e 1 0 LS (6)

0 e 1 0 LS .

{

{

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Effetto macroeconomico combinato atteso dei due livelli negoziali

Casi possibili Contrattazione nazionale

(primo livello)

Produttività del lavoro

Contrattazione decentrata

(secondo livello)

Quota del lavoro nel

reddito

Caso 1: Normale

Mantiene il potere d’acquisto delle retribuzioni di base

Cresce Non disponibile a tutti i dipendenti e/o non in grado di eguagliare la crescita delle retribuzioni reali con quella della produttività

Si riduce

Caso 2: Non molto probabile

Mantiene il potere d’acquisto delle retribuzioni di base

Cresce Disponibile a tutti i dipendenti e/o di importo tale da eguagliare la crescita delle retribuzioni reali con quella della produttività

Rimane stabile

Caso 3: Improbabile

Mantiene il potere d’acquisto delle retribuzioni di base

Si ferma o si riduce

Si ferma o distribuisce ai salari aumenti maggiori della crescita della produttività

Cresce

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Criticità del funzionamento del modello contrattuale del Protocollo ‘93

In condizioni di normale funzionamento dell’economia, la produttività del lavoro cresce;

E il modello tende ad aumentare la quota dei profitti automaticamente, senza contropartite in termini di investimenti, formazione, riorganizzazione ecc.

Paradossalmente, questa tendenza implicita si può arrestare o riequilibrare solo attraverso una contrazione della produttività del lavoro.

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Verifica del modello: contrattazione, distribuzione

funzionale del reddito e crescita economica

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Inflazione, retribuzioni, produttività e distribuzione funzionale del reddito. Totale economia (Tassi di variazione percentuale medi annui; per i coefficienti, valori assoluti)

Periodi 1993-1995 1996-2000 2001-2008 1993-2008Inflazione programmata (tip) 4.2 2.4 1.7 2.4Inflazione effettiva (foi) 4.5 2.3 2.4 2.7Retribuzioni di base nominali (1° livello) 2.6 2.9 2.9 2.8Retribuzioni di base reali -1.9 0.6 0.5 0.1Retribuzioni decentrate nominali (2° livello) 15.3 7.8 4.6 7.5

Retribuzioni decentrate reali 10.8 5.5 2.2 4.8Produttività del lavoro 2.9 1.0 0.1 0.9Retribuzioni totali nominali 3.7 3.5 3.1 3.3Retribuzioni totali reali (foi) -0.8 1.2 0.7 0.6Prezzi dell'output (deflatore Pil) 3.9 2.7 2.7 2.9Retribuzioni totali reali (defl. Pil) -0.2 0.8 0.4 0.4Differenza retribuzioni reali - produttività -3.1 -0.2 0.3 -0.5Incidenza del lavoro dipendente sull'occupazione totale

0.1 0.1 0.4 0.3

Quota delle retribuzioni nel reddito -2.9 -0.1 0.8 -0.2Occupazione -1.4 0.8 0.8 0.4Crescita del prodotto 1.5 1.8 0.9 1.3α 0.90 0.88 0.85 0.87β 3.76 5.10 19.87 5.04γ 0.38 0.60 2.94 0.65

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Conflitto distributivo e produttività

Il modello tende a spostare il conflitto distributivo dalla distribuzione del valore aggiunto alla crescita della produttività,

E, quindi, alla crescita dell’economia, sospingendo l’equilibrio del sistema

economico in un sentiero di stagnazione. Si tratta di un esito evidentemente

indesiderabile, avverso allo sviluppo e alla crescita economica.

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Legge di Bowley e cooperazione per la crescita

Il Protocollo ’93 ha creato un meccanismo che viola la legge di Bowley, alterando automaticamente la stabilità delle quote distributive, e istituisce un sistema di incentivi evidentemente sfavorevole alla crescita economica: Gli imprenditori trovano un equilibrio tra l’incentivo

ad occupare lavoro a basso costo (e bassa produttività) e quello ad accrescere la produttività per spostare automaticamente a loro favore la distribuzione del reddito;

I lavoratori sono esposti all’azzardo morale di poter riequilibrare la distribuzione del reddito solo frenando la produttività.

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Legge di Bowley e cooperazione per la crescita

In altre parole, il sistema istituzionale di regolazione delle retribuzioni abbatte l’incentivo per i partner sociali a cooperare per la crescita.

E, di conseguenza, il sistema economico viene sospinto dalle convenienze dei partner sociali a imboccare un sentiero di stagnazione economica.

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L’economia italiana: quota del lavoro e crescita

1971

1972

19731974

1975

1977

1979

1982

1983

1987

1988 1984

1989

1990

1991

1992

1996

19761978

1985

19801993

19941995

2006

1999

2000

2001

20022003

2004

1998

2005

1997

1981

1986

0

1

2

3

4

5

6

42.0 44.0 46.0 48.0 50.0 52.0 54.0 56.0

Quota del lavoro dipendente

Tas

so d

i cre

scit

a d

el p

il n

el t

rien

nio

su

cces

sivo vPIL t,t+2 = - 10,387 + 0,2599QL t

R 2 corr. = 0,4327

Relazione tra quota del lavoro dipendente nel reddito e crescita media del pil nel triennio t-t+2

Fonte: Istat, Conti nazionali

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Controprova.Distribuzione funzionale del reddito

e crescita economica:La prospettiva comparata

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La caduta della quota del lavoro in Italia e nei principali paesi avanzati (2005-1992)

-11,8

-10,8 -10,7-10,4

-9,8

-7,6

-5,8

-5,2

-4,2

-3,5-3,3 -3,3

-2,5

-2,0-1,8

-0,7

-13,00

-11,00

-9,00

-7,00

-5,00

-3,00

-1,00

1,00

Fonte: Oecd

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Nel mondo: aumento della quota dei profitti e crescita economica

3,31

1,431,34

0,97

0,86 0,85 0,82

0,71

0,500,39 0,36 0,35 0,33 0,29 0,26

0,15

0,00

0,50

1,00

1,50

2,00

2,50

3,00

3,50

Elasticità della crescita del Pil all'aumentodella quota dei profitti (1992-2005)

Fonte: Oecd, Eurostat.

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L’accordo quadro del 22 gennaio 2009

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Conferma del doppio livello contrattuale. Durata triennale dei contratti. Indice previsionale al posto dell’inflazione

programmata (Ipca depurata dal prezzo dell’energia importata).

Base di calcolo degli incrementi di primo livello.

Recupero degli scostamenti indice previsionale-inflazione effettiva entro il triennio.

Il nuovo modello contrattuale – Punti salienti 1

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6. Ruolo guida del contratto nazionale.

7. Contrattazione in deroga.

8. Richiesta di incentivazione fiscale-retributiva del contratto decentrato.

9. Elemento di garanzia retributiva.

Il nuovo modello contrattuale – Punti salienti 2

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Struttura del salario Il risultato economico complessivo per il

lavoratore deriva da:

1) gli aumenti previsti dal contratto nazionale, più

2) gli aumenti previsti dalla contrattazione decentrata,

3) oppure dall’“elemento di garanzia retributiva”.

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L’“elemento di garanzia retributiva” - 1

Nella misura e alle condizioni concordate dai contratti nazionali,

e con particolare riguardo per le situazioni di difficoltà economico-produttiva, l’egr andrà corrisposto ai dipendenti da aziende

in cui non si esercita il 2° livello contrattuale, e che non percepiscono altri trattamenti,

individuali o collettivi, oltre a quelli previsti dal contratto nazionale.

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L’“elemento di garanzia retributiva” – 2 (Linee guida Industria)

Il beneficio è determinato con riferimento alla situazione rilevata nell’ultimo quadriennio.

La verifica degli aventi diritto e l’erogazione stessa dell’ egr avranno luogo al termine della vigenza del contratto nazionale.

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Quanto grande dev’essere l’egr per salvaguardare la legge di Bowley?

Al fine di vedere come i salari nazionali possono e devono estendere il loro ruolo per affiancare i salari di secondo livello nel garantire la crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni, possiamo tornare al nostro modello del Protocollo ‘93 e partire da una definizione molto generale della crescita dei salari reali1:

))(1()( 21 pwpwpw . (7)

Poiché il salario reale di secondo livello varierà in un rapporto con la crescita della produttività ( pw2 ) il cui valore dipende dall’efficacia della contrattazione decentrata, la crescita della retribuzione totale in termini reali sarà:

)1()( 1 pwpw . (8)

Sostituendo la (8) nella (2) espressa in termini reali, e mantenendo costante la quota dei salari, abbiamo:

Dnpw )1()( 1 . (9)

Dunque possiamo risolvere la (9) per il tasso di crescita delle retribuzioni di primo livello che assicura l’invarianza delle quote distributive ( *

1w ):

Dnpw

1*1 , dove

)1(1

e 1 . (10)

1 Ho sviluppato i risultati che seguono in collaborazione con Giuseppe Ciccarone, anche lui impegnato nella ricerca del modo migliore di collegare i salari di base alla crescita della produttività (cfr. Ciccarone, 2009).

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Il coefficiente δ

L’equazione (10) mostra che, al fine di preservare la distribuzione del reddito ai fattori, le retribuzioni di primo livello devono crescere non solo con i prezzi, ma anche in rapporto con la produttività.

Dunque possiamo risolvere la (9) per il tasso di crescita delle retribuzioni di primo livello che assicura l’invarianza delle quote distributive ( *

1w ):

Dnpw

1*1 , dove

)1(1

e 1 . (10)

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Come varia δ Il coefficiente δ, che lega la crescita dei

salari nazionali a quella della produttività, può raggiungere l’unità soltanto se le retribuzioni di primo livello coincidono con le retribuzioni totali.

Esso inoltre varia: inversamente rispetto al valore del

moltiplicatore della produttività sul secondo livello (β),

e direttamente con la quota del primo livello sulla retribuzione complessiva (α).

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Il valore di δ In accordo con i dati presentati nella tavola 2 più

sopra, il valore medio del coefficiente δ nel periodo 1993-2008 è di 0,4. In altri termini, nelle condizioni strutturali

dell’economia italiana dell’ultimo quindicennio, il potere d’acquisto delle retribuzioni di base sarebbero dovuto crescere di un importo pari al 40 per cento della crescita della produttività, ovvero dello 0,4 per cento l’anno invece del dato storico dello 0,1.

Questo accorgimento avrebbe assicurato la stabilità delle quote distributive e, quindi, concorso ad evitare che l’economia imboccasse un sentiero di stagnazione attraverso un equo sistema di incentivi alla crescita per entrambi i partner sociali.

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Coefficiente δ e egr Nel quadro della logica dell’accordo del 22 gennaio, si

dovrebbe prevedere che il contratto nazionale definisca l’egr comparto per comparto, sulla base del valore del coefficiente δ,

distribuendone l’importo tra i lavoratori privi di contrattazione integrativa.

In questo modo la contrattazione nazionale potrebbe agire in termini: sia di supplenza della contrattazione di secondo livello (δ

è tanto maggiore quanto è minore 1-α), sia di stimolo rispetto alla forza della contrattazione

integrativa (δ è tanto minore quanto è maggiore β).

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Il livello micro:quando cresce

la produttività nell’impresa?

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Fattori esterni e fattori interni all’impresa - 1

Quando esperti, politici e rappresentanti delle parti sociali parlano di crisi di produttività, la intendono quasi sempre come un problema che nasce fuori dai cancelli delle fabbriche e dagli uffici, a causa di: deficienza di infrastrutture, carenza di qualità dell’istruzione, inefficienza della P.A., regole poco flessibili nel mercato del

lavoro.

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Fattori esterni e fattori interni all’impresa - 2

Questi fattori esterni sono indubbiamente importanti ai fini del livello della produttività di un sistema economico;

ma la letteratura scientifica internazionale (e, in misura crescente, anche nazionale) segnala che la crescita della produttività: si concentra nelle imprese innovative, e scaturisce da una

reingegnerizzazione degli ambienti di lavoro (BPR),

mentre l’influenza dei fattori esterni è scarsa.

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Cosa spiega la crescita della produttività? Ad esempio, un importante studio apparso sulla

prestigiosa rivista inglese Economic Journal documenta che: la crescita annua dell’1.6% nella produttività

totale dei fattori è riconducibile nella misura pari all’1.4% (equivalente all’89%): alla riorganizzazione degli ambienti di lavoro alle nuove tecnologie e alle nuove pratiche di lavoro adottate dalle imprese innovative.

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Crescita delle produttività totale dei fattori nelle imprese americane

Reingegnerizzazione e nuove pratiche; 1,4; 89%

Altri fattori; 0,2; 11%

Fonte: Black e Lynch, 2004.

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Teorie della crescitae organizzazione innovativa

dell’impresa

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Nuovi modelli di crescita e impresa innovativa

Dalla teoria originaria del capitale umano (Knight, Abramovitz) alla crescita endogena (Romer ecc.)

Le learning organisations (Lundvall) e la knowledge economy (UE, Lisbona 2000).

La teoria evolutiva dell’impresa (Marshall, Penrose, Nelson e Winter), e il benchmarking come

strumento di apprendimento organizzativo.

Reti sociali, capitale sociale e beni relazionali. Dalle qualifiche alle

competenze.

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I paradigmi organizzativi dell’organizzazione innovativa

Il paradigma fondamentale per l’organizzazione di dimensioni medio-grandi:

la produzione snella.

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La logica della produzione snella

Eliminazione delle scorte

Evidenziazione dei problemi organizzativi e tecnici nascosti

Necessità di lavoro di squadra cross-functional

Necessità di condivisione sistematica dell'informazione

(Perdita di importanza dei modelli organizzativi basati sulle professioni)

Necessità di una risposta diagnostica da parte di lavoratori e management locale

Aumento dell'impegno del lavoratore e sviluppo dei rapporti high trust

Sviluppo di metodi firm-specificdi utilizzazione degli skills

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Altri paradigmi organizzativi innovativi

La specializzazione flessibile. La qualità totale, o Total Quality

Management (TQM). L’impresa-rete:

i modelli centro-periferia, i distretti industriali, i consorzi di qualità.

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L’organizzazione innovativa

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Impresa innovativa, comunità che apprende, HPWO Comunità = luogo dell’organizzazione delle risorse

produttive (competenze): impresa o mercato? impresa o territorio?

Comunità = specificità e competitività dell’impresa. Comunità = impresa che apprende e condivide gli

apprendimenti. Comunità = high-performance work organisation

(HPWO). In Italia, l’esperienza storica esemplare dell’Olivetti di

Adriano Olivetti.

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Conoscenza, apprendimento,

competenze

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Competenza, volontà, miglioramento continuo

Competenza = capacità di svolgere compiti lavorativi in modo desiderabile, in accordo con il principio del miglioramento continuo. Principali elementi costitutivi della competenza:

a) conoscenza, b) abilità produttive (skills), c) esperienza, e d) abilità relazionali (networking abilities).

Ma la competenza emerge soltanto in presenza della volontà e del desiderio di usarla.

Per questo l’organizzaizone innovativa deve creare un ambiente di lavoro (condizioni e relazioni di lavoro, sistemi premiali ecc.) che incoraggi e sostenga la volontà dei lavoratori di usare le proprie competenze per il miglioramento continuo di processi e prodotti.

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Conoscenza, competenze umane e competenze organizzative

Ogni organizzazione ha bisogno di accedere alla conoscenza non meno che alle risorse finanziarie o alle altre risorse produttive.

Conoscenza concreta (saper fare) = competenze: a) umane, b) organizzative,

a) competenze umane = abilità sia individuali che collettive (capacità di risolvere i problemi collaborando con i colleghi o i clienti),

b) competenze organizzative = conoscenze incorporate in sistemi, attrezzature, software, network, procedure, cultura ecc., a disposizione dell’organizzazione.

La conoscenza concreta deriva dalla complementarità tra competenze umane, competenze organizzative e tecnologie.

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Complementarità tra tecnologia, organizzazione e rapporti di lavoro La letteratura internazionale documenta come il driver della

performance d’impresa sia costituito non tanto dalla tecnologia in sé (dal momento che essa è alla portata di ogni impresa in ogni paese) quanto dalla complementarità tra: le moderne tecnologie, le nuove configurazioni dei posti e dei luoghi di lavoro e le pratiche lavorative innovative.

La complementarità, definita da Milgrom e Roberts (1995) come quella condizione secondo cui l’aumento dell’impiego di un elemento aumenta il rendimento marginale di altri elementi, indica che la presenza di una nuova organizzazione del lavoro e di nuove pratiche di lavoro (che qualcuno sintetizza anche con i termini di capitale organizzativo o capitale intangibile) rende «moltiplicativa» la produttività degli investimenti in Ict. Per converso, i mancati investimenti in capitale organizzativo

costituiscono una barriera al rendimento di ulteriori investimenti in Ict.

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Produzione snella, nuove tecnologie e controllo dell’impresa Una delle grandi caratteristiche della configurazione

organizzativa della produzione snella è quella della riduzione dei livelli gerarchici, con un conseguente decentramento delle responsabilità e aumento della discrezionalità ai livelli medio-bassi della struttura occupazionale.

Tale caratteristica ben si integra con i moderni sistemi informatici di gestione integrata dell’impresa (i cosiddetti Erp), che sono in grado di offrire ai manager centrali l’esercizio delle funzioni di controllo e di coordinamento a costi più contenuti rispetto alla situazione caratterizzata da un’accentuata gerarchizzazione.

Quindi la complementarità tra Ict, disegni organizzativi decentralizzanti e pratiche innovative di gestione delle risorse umane è in grado di mantenere salda la governance dell’impresa, se con quest’ultimo termine si intende l’esercizio di autorità, direzione e controllo di ultima istanza.

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Retroazione delle innovazioni In termini operativi la complementarità prende

propriamente corpo nel medio periodo, quando i nessi di causalità si cumulano (positivamente) agli effetti di retroazione tra le variabili in gioco: le innovazioni organizzative, combinate con le nuove pratiche

di lavoro e con le tecnologie telematiche e dell’informazione stimolano la produttività e la performance, le quali a loro volta esercitano un effetto di retroazione positivo sull’adozione e sulla diffusione dei cambiamenti, dal momento che i costi dei cambiamenti tendono ad essere finanziati con fondi interni.

I cambiamenti tendono a loro volta a generare una maggior capacità cognitiva dell’impresa, in quanto i nuovi tratti organizzativi stimolano lo sviluppo delle competenze dei singoli lavoratori e del collettivo, consentendo all’impresa una maggior propensione all’innovazione di prodotti e processi, da cui deriva una maggior performance.

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Complementarità e innovazioni “a grappolo” Le verifiche empiriche della teoria della complementarità hanno

messo in evidenza alcune importanti qualificazioni.

Anzitutto, la spinta alla produttività risulta condizionata al fatto che tanto i nuovi disegni organizzativi (organizzazione orizzontale, processi e ruoli) quanto le cosiddette «nuove pratiche di lavoro ad alta performance» (lavoro in gruppo, suggerimenti dal basso, rotazione della manodopera, coinvolgimenti dei singoli lavoratori e dei loro rappresentanti sindacali, incentivi economici volti a stimolare l’apprendimento, formazione di tipo cognitivo), siano adottati «a grappolo»: più estesi sono i «grappoli» adottati, e più intensi essi sono al loro

interno (in termini di lavoratori coinvolti), maggiore è la performance aziendale.

Le singole adozioni (o i parziali ammodernamenti) non pagano, così come gli investimenti in nuove tecnologie inseriti in una vecchia organizzazione d’impresa.

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Capitale organizzativo e HPWO Inoltre, solo incrementi significativi di produttività sono in grado di

far incamminare l’impresa, e il sistema industriale nel suo complesso, lungo la strada del contenimento dei costi, dell’aumento della competitività e contemporaneamente di una crescita dei salari reali (da qui l’acronimo Hpwo: High Performance Work Organization,

sinonimo anche di «via alta» allo sviluppo), in quanto si tratta di incrementi che si dimostrano tendenzialmente

duraturi perché derivano da un patrimonio (il capitale organizzativo) difficilmente imitabile dai concorrenti, quantomeno nel breve-medio periodo.

Il grave problema di produttività che affligge il nostro apparato produttivo è il risultato non solo di infrastrutture esterne ai luoghi di lavoro inefficienti, ma anche, e soprattutto, di una «trappola» culturale, che vede nella tecnologia il principale o l’unico marchingegno della performance: Ma le macchine, per quanto sofisticate, non possono sostituire la

volontà, le conoscenze e le competenze di chi le utilizza.

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Il ciclo competenze umane nuove tecnologie competenze organizzative competenze umane

Competenze umane (individuali e collettive) + competenze organizzative = capitale intellettuale, il potenziale di competenze dell’organizzazione. Lo sviluppo delle competenze umane può essere

sostenuto dalle competenze organizzative - e viceversa.

Il lavoro intellettuale e le nuove tecnologie consentono l’accumulazione di competenze organizzative che, a sua volta, facilita il trasferimento di competenze ai nuovi dipendenti e l’innovazione di processo e di prodotto.

Con la costruzione di procedure e sistemi Ict user-friendly, che incorporano competenze organizzative, si agevolano l’apprendimento, il miglioramento continuo e lo sviluppo delle competenze umane.

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Lo sviluppo delle competenze

1. Per sviluppare le competenze di un’organizzazione è necessario che l’organizzazione crei:

un ambiente di lavoro favorevole all’apprendimento e al miglioramento continuo,

perché è questa la base sulla quale le competenze possono accumularsi, diffondersi e svilupparsi.

2. La parte principale del processo di sviluppo delle competenze avviene durante il lavoro quotidiano (everyday learning) e non nei corsi di formazione.

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L’iceberg dell’apprendimento

Fonte: Statistics Sweden, 2007

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Costruire un’organizzazione che apprende Per costruire un’organizzazione learning è

necessario:1. Organizzare i processi di lavoro avendo a mente

l’apprendimento tanto quanto la performance produttiva; 2. Individuare e rafforzare le conoscenze desiderate e quelle

necessarie per il continuo sviluppo delle competenze;3. Migliorare la capacità di tutti i dipendenti di assolvere ai

propri compiti e di risolvere i problemi di lavoro (to do the right things in the right way);

4. Creare significative opportunità di trasferire conoscenze nel corso del lavoro quotidiano;

5. Rendere ciascun dipendente cosciente dello sviluppo delle sue competenze nella sua situazione di lavoro quotidiano.

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Riorganizzazione dell’ambiente di lavoro,

potenziamento del lavoro:I principi

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Riorganizzazione dell’ambiente di lavoro e HPWO - 1

1. Organizzazione per processi e non più per funzioni (BPR, orientamento al cliente);

2. Ridurre i livelli gerarchici (impresa piatta, produzione snella);

3. Costruire ruoli di polivalenza e policompetenza attraverso la rotazione delle mansioni;

4. Sviluppare le carriere in diagonale (e non più in verticale);

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Riorganizzazione dell’ambiente di lavoro e HPWO - 2

5. Lavorare in team (con poteri effettivi alla squadra); 6. Creare gruppi di lavoro (squadre) interfunzionali,

capaci di assicurare il controllo e la responsabilizzazione su uno o più processi;

7. Assicurare la condivisione di informazioni, apprendimenti e conoscenze attraverso specifici strumenti organizzativi knowledge-friendly:

Ad es. rotazione delle mansioni, affiancamento, tutoring, mentoring, circoli di qualità, ecc.;

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Riorganizzazione dell’ambiente di lavoro e HPWO - 3

8. Raccogliere sistematicamente suggerimenti dal basso sul miglioramento di processi, prodotti e organizzazione;

9. Valutare frequentemente la performance dei dipendenti, con attribuzione di premi (o no);

10. Coinvolgere e consultare ricorrentemente i lavoratori, sulla qualità della propria collocazione, del proprio lavoro e del workplace, della dirigenza;

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Riorganizzazione dell’ambiente di lavoro e HPWO - 4

11. Creare un sistema di incentivi economici di breve periodo, mirati a premiare l’apprendimento, il miglioramento continuo e lo sviluppo delle competenze;

12. Buone relazioni industriali (non necessariamente non conflittuali), orientate ad evidenziare i vantaggi del miglioramento continuo (partnership) e allo sviluppo della HPWO e della soddisfazione dei lavoratori per il proprio lavoro.

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Risultati

Le organizzazioni innovative sono quelle: con la dinamica della produttività più

sostenuta, che pagano meglio i propri dipendenti, i cui dipendenti sono più soddisfatti del lavoro

che svolgono.

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Riassumendo:I lineamenti del nuovo patto sociale

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Un nuovo patto sociale La questione produttività è ormai tale da richiamare

la necessità di un impegno forte, diffuso, generale. Il problema è talmente grave che non se ne esce

soltanto con misure di politica economica, di incentivazione fiscale di comportamenti virtuosi.

È necessario un grande sforzo collettivo, chiamare energie collettive alla mobilitazione.

La chiamata, come è stato negli episodi salienti della storia del nostro sviluppo economico e sociale (la ricostruzione, il rientro dall’inflazione, l’entrata nel club dell’euro), può avvenire soltanto attraverso un nuovo patto sociale.

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Prima condizione, macro: assicurare la stabilità della quota del lavoro

Riformare il meccanismo negoziale in modo da arrestare e invertire la caduta della quota del lavoro.

Oltre ad essere un costo per l’impresa, infatti: il salario non è soltanto la principale componente

della domanda aggregata; è anche il principale incentivo all’aumento della

produttività dei lavoratori, e il principale pungolo alle imprese per

l’innovazione tecnologica e organizzativa (Marshall, Keynes, Tarantelli, Sylos Labini).

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A questo fine: ruolo di supplenza e di stimolo del contratto nazionale

Negoziare sul primo livello gli incrementi di produttività che non si riescono a distribuire attraverso il secondo; fino a quando e nella misura in cui il

secondo livello negoziale (impresa/ territorio) è diffuso in modo insufficiente.

Si tratta di un incentivo a imprese e rappresentanze sindacali locali a sviluppare il secondo livello negoziale.

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Seconda condizione, micro: Riorganizzare i luoghi e i rapporti di lavoro

Esplicitare il “nuovo scambio politico”, chiedendo alle imprese, in cambio della mutata distribuzione del reddito, di accelerare la crescita della produttività e dei salari: adottando nuove tecnologie, modelli innovativi e

learning di organizzazione dei luoghi di lavoro e di gestione delle risorse umane,

investendo in misura adeguata in ricerca e innovazione,

monitorando e disseminando a tutto il tessuto produttivo i modelli organizzativi, le pratiche di lavoro e gli accordi di eccellenza.

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Cosa proponeva il Manifesto per un nuovo patto sociale sulla produttività e la crescita

A livello nazionale i tre attori siglano un protocollo in cui: le parti sociali si impegnino a riorganizzare i luoghi e i rapporti

di lavoro secondo i principi dell’impresa innovativa; e il governo si impegna:

a sostenere finanziariamente le riorganizzazioni; e ad applicare gli stessi principi nel pubblico impiego.

A livello aziendale, di categoria o territoriale le imprese e le RSU sottoscrivono progetti di riorganizzazione

delle imprese secondo i principi del protocollo; le imprese possono accedere (a stato di avanzamento) alle

risorse pubbliche; i lavoratori migliorano la qualità, la soddisfazione, la produttività

e la remunerazione del loro lavoro.

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In conclusione Manca ancora un nuovo scambio politico equo

per ristabilire l’equilibrio tra mercato del lavoro e mercato del prodotto, tra salari e prezzi,

per stabilire precise contropartite allo spostamento della distribuzione dei redditi a favore dei redditi non da lavoro.

C’è un “nuovo” modello contrattuale ma è improbabile che elimini l’automatismo nella

remunerazione del capitale al crescere della produttività e ristabilisca la convenienza per i partner sociali a cooperare

per la crescita (legge di Bowley). Mancano precisi incentivi per diffondere la contrattazione

decentrata e riorganizzare i luoghi e i rapporti di lavoro. La preoccupazione primaria è la salvaguardia dei singoli posti

di lavoro, non l’ammodernamento del sistema produttivo.

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Patto per la qualita' del lavoro, la produttivita' e la crescita

Governo Parti sociali

Il Governo si impegna ad adottare gli stessi principi nella Pubblica Amministrazione

Il Governo indirizza alla riorganizzazione l'azione delle Agenzie e Amministrazioni esistenti operanti nell'area della formazione, dell'assistenza tecnica e della consulenza organizzativa alle imprese

I Partner Sociali indirizzano alla riorganizzazione la contrattazione decentrata e l'azione delle Agenzie e degli Enti bilaterali operanti nell'area della formazione, dell'assistenza tecnica e della consulenza organizzativa

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le Il Governo utilizza i fondi della della l. 247/07 e individua altre fonti di finanziamento tra quelle destinate alla formazione, assistenza tecnica e consulenza per cofinanziare la realizzazione degli accordi di riorganizzazione sottoscritti dai Partner Sociali a livello locale. I Partner Sociali contribuiscono al fondo.

I Partner Sociali siglano a livello locale accordi di riorganizzazione basati sui principi generali concordati trilateralmente a livello nazionale e possono accede ai servizi di formazione, assistenza e consulenza, come anche ai fondi appostati a questa finalità.

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Schema generale

Governo e Partner Sociali si accordano sul governo esplicito della distribuzione primaria del reddito (attraverso il governo dell'egr o altrimenti) e sui principi generali che debbono presiedere alla riorganizzazione dei luoghi di lavoro secondo il modello degli High Performance Workplace

Viene creata una specifica Agenzia trilaterale, con la partecipazione di Università ed Enti di ricerca, o investita un'Agenzia esistente, con il compito di diffondere le buone pratiche, organizzare, promuovere e certificare le attività di formazione, assistenza e consulenza, valutare gli accordi di riorganizzazione sottoscritti dai Partner Sociali a livello locale

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Riferimenti bibliografici minimi Tronti L., 2006, The July Protocol and Economic Growth: The Chance

Missed, in: Acocella N., Leoni R. (eds.), “Social Pacts, Employment and Growth. A Reappraisal of Ezio Tarantelli’s Thought”, Physika-Verlag, Heidelberg-New York.

-, 2007, Distribuzione del reddito, produttività del lavoro e crescita: il ruolo della contrattazione decentrata, “Rivista italiana di economia, demografia e statistica”, vol. LXI, nn. 3-4.

-, 2008, Produttività del lavoro e crescita: il ruolo della distribuzione del reddito e del sistema contrattuale, paper presentato alla 49a Riunione annuale della SIE, http://www.sie.univpm.it/incontri/rsa49/libere/lavori/tronti.pdf

-, 2009, La crisi di produttività dell’economia italiana: scambio politico ed estensione del mercato, “Economia & lavoro”, n. 2.

Sulla proposta di produttività programmata: Ciccarone G., 2009, Equità distributiva e produttività programmata,

“Economia & lavoro”, n. 2. Fadda S., 2009, La riforma della contrattazione: un rischio e una

proposta circa il secondo livello, “Nel merito”, 19 giugno, http://www.nelmerito.com:80/index.php?option=com_content&task=view&id=759&Itemid=135