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Per una crescita occupazionale sostenibile
Leonello Tronti(Università di Roma Tre)
Seminario Astril “Costo del lavoro, produttività e competitività delle imprese” – 23 aprile 2012
22
Argomenti Occupazione, salari e produttività: i dati
I due spread fondamentali del salario Basse retribuzioni e alto costo del lavoro
Distribuzione del reddito e crescita Il modello di crescita della produttività
di Sylos Labini L’aggiustamento incompleto Una crescita occupazionale sostenibile
La caduta dell’occupazione ha consentito una ripresa insufficiente della produttività
3
92,0
93,0
94,0
95,0
96,0
97,0
98,0
99,0
100,0
101,0
102,0
I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV
2008 2009 2010 2011
Occupati (FL)
Pil
Produttività del lavoro(Pil/Ula t.p.)
Fonte: Istat, Conti nazionali e Forze di lavoro
Dopo una breve sosta tornano a crescere i disoccupati
4
1.400
1.500
1.600
1.700
1.800
1.900
2.000
2.100
2.200
2.300
22.700
22.800
22.900
23.000
23.100
23.200
23.300
23.400
23.500
23.600
I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV
2006 2007 2008 2009 2010 2011
Un
em
plo
ym
en
t (0
00)
Em
plo
ym
en
t (0
00)
Occupati
Disoccupati
Fonte: Istat, Forze di lavoro
Cresce sensibilmente il peso degli inoccupati sugli occupati
5
0,66
0,68
0,70
0,72
0,74
0,76
0,78
80
85
90
95
100
105
110
115
120
125
130
I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV
2006 2007 2008 2009 2010 2011
Inoccupati/occupato
Disoccupati
Inattivi in età di lavoro
Inoccupati
Fonte: Istat, Forze di lavoro
Cresce lo spread tra contratti nazionali e inflazione
6
-3,0
-2,0
-1,0
0,0
1,0
2,0
3,0
-0,5
0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
2,5
3,0
3,5
4,0
4,5
I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV
2007 2008 2009 2010 2011
Spread 1
Retribuzioni contrattuali
Ipca
Fonte: Istat, Retribuzioni contrattuali, Prezzi al consumo
E ancor più lo spread tra retribuzioni di fatto e produttività
7
-6,0
-5,0
-4,0
-3,0
-2,0
-1,0
0,0
1,0
2,0
3,0
4,0
-6,0
-5,0
-4,0
-3,0
-2,0
-1,0
0,0
1,0
2,0
3,0
4,0
I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV
2007 2008 2009 2010 2011
Spread 2
Retribuzioni lorde (di fatto)
Produttività del lavoro
Fonte: Istat, Conti nazionali
Basse retribuzioni ma costo del lavoro relativamente elevato
8
0,0
20,0
40,0
60,0
80,0
100,0
120,0
140,0
160,0
Ireland Netherlands United Kingdom
Germany France Italy European Union 27
Spain Portugal Poland
W
LC
LC/W
Fonte: Istat-Eurostat, LCS 2009
Si rianimano un poco i profitti
9Fonte: Istat, Conti nazionali
2,28
2,31
2,34
2,37
2,40
2,43
2,46
2,49
40,0
40,5
41,0
41,5
42,0
42,5
43,0
43,5
I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II
2006 2007 2008 2009 2010 2011
Mark
up
(%
)
Qu
ota
dei
sala
ri (
%)
Quota salari(scala sin.)
Markup(scala des.)
10
Ma resta bassa la propensione all’investimento
50,0
60,0
70,0
80,0
90,0
100,0
110,0
120,0
1971 1975 1979 1983 1987 1991 1995 1999 2003
74,00
76,00
78,00
80,00
82,00
84,00
86,00
Investimenti f.l./profitti lordi
Quota del lavoro (scala di destra)
LSIfl ln4527,4124,15ln
7205,02 R
Fonte: Istat, Conti nazionali
11
Confermando la relazione positiva tra quota del lavoro e crescita
1971
1972
19731974
1975
1977
1979
1982
1983
1987
1988 1984
1989
1990
1991
1992
1996
19761978
1985
19801993
19941995
2006
1999
2000
2001
20022003
2004
1998
2005
1997
1981
1986
0
1
2
3
4
5
6
42.0 44.0 46.0 48.0 50.0 52.0 54.0 56.0
Quota del lavoro dipendente
Tas
so d
i cre
scit
a d
el p
il n
el t
rien
nio
su
cces
sivo vPIL t,t+2 = - 10,387 + 0,2599QL t
R 2 corr. = 0,4327
Relazione tra quota del lavoro dipendente nel reddito e crescita media del pil nel triennio t-t+2
Fonte: Istat, Conti nazionali
12
In accordo con il modello di crescita della produttività di Sylos Labini (1984-2004)
1313
L’aggiustamento incompleto all’euro, alle nuove tecnologie e alla globalizzazione
La dinamica salariale di lungo termine estremamente moderata (la più debole tra i grandi paesi europei, ad eccezione della Spagna),
E quella invece sostenuta dei prezzi interni e internazionali, superiore alla media dei paesi euro,
Hanno comportato: Crescenti rendite da mark-up e perdita di
competitività dell’economia, E, conseguentemente, una performance molto
deludente di consumi, esportazioni, investimenti e, quindi, della stessa crescita.
1414
Resilienza della cattiva performance L’aggiustamento incompleto aveva però assicurato
all’economia alcuni risultati importanti per il consenso politico e sociale: L’assorbimento senza shock inflazionistici importati
(almeno sino al changeover del 2001) dell’ultima, grande svalutazione della lira (1992-93: -30% nei confronti del marco),
L’ingresso dell’Italia nel Club dell’euro fin dal suo inizio, Una crescita rilevante e di lungo termine dell’occupazione
(soprattutto a basso costo e flessibile), con un aumento significativo del tasso di occupazione,
Uno spostamento altrettanto significativo della distribuzione funzionale del reddito verso il capitale, con una proliferazione e un alto tasso di sopravvivenza di imprese marginali nell’industria e nei servizi (soprattutto servizi alle imprese).
1515
Un paese anestetizzato
I successi della “cattiva economia” e della crescita occupazionale non sostenibile hanno ritardato e occultato l’urgenza, per la classe politica, i partner sociali e la stessa popolazione, di porre mano al completamento dell’aggiustamento strutturale.
1616
Per una crescita occupazionale sostenibile La crisi finanziaria ha rotto l’incantesimo, e l’Unione
Europea converge con i mercati, le agenzie internazionali e gli esperti nella pressante richiesta all’Italia di tornare a crescere al più presto.
A livello macro, la ripresa della crescita richiede: Il rafforzamento dei consumi interni attraverso un
patto sociale e un modello contrattuale più generosi con il lavoro;
Una nuova politica di sviluppo che miri a rafforzare fortemente la concorrenza interna e a riorientare il modello di crescita italiano verso un paradigma sostenibile, maggiormente wage-led;
Politiche fiscali, occupazionali e di bilancio coerenti con i due obiettivi precedenti.
1717
A livello micro: L’aggiustamento incompleto e le sue
implicazioni di bassi salari e concorrenza bloccata hanno rallentato e ostacolato la modernizzazione delle imprese italiane.
Il completamento dell’aggiustamento strutturale richiede quello che, con un termine tecnico diffuso (ma anche un po’ oscuro), si chiama una profonda “riorganizzazione dei luoghi di lavoro”.
1818
La riorganizzazione dei luoghi di lavoro Non intendo qui soffermarmi troppo sui dettagli della
riorganizzazione, per i quali rimando anzitutto a Roberts (2004) e, in Italia, ai numerosi contributi di Riccardo Leoni.
Tuttavia voglio sottolineare un aspetto fondamentale che accomuna i diversi filoni di letteratura che affrontano l’uno o l’altro significato della riorganizzazione (ad es. l’“impresa evolutiva”, Nelson e Winter, 1982; la “produzione snella”, Womack, Jones e Roos, 1991; le “learning organisations”, Senge 1990, Garratt, 1994; il “business process reengineering”, Hammer e Champy, 1993; le “high-performance work organisations”, Leoni, 2008; ecc.): Si tratta del ruolo centrale attribuito alla conoscenza
e alla gestione della stessa all’interno del processo produttivo.
1919
Conoscenza e comunità Ora, un elemento caratteristico dell’economia della
conoscenza è che l’acquisizione, la condivisione e anche l’utilizzazione di questo bene comportano generalmente costi di transazione elevati, a meno che il bene conoscenza sia considerato e gestito
come un bene comune (commons) (Ostrom, 2006);
Così che, è possibile ridurre i costi dell’acquisizione, condivisione e piena utilizzazione della conoscenza, Se i lavoratori si identificano come appartenenti ad una
comunità (più precisamente a una “knowledge community”),
E riconoscono la conoscenza come un bene comune.
2020
Comunità di conoscenza e partecipazione cognitiva Il ruolo centrale svolto dalla gestione della conoscenza
nei nuovi modelli di organizzazione e sviluppo delle imprese (e nelle comunità di conoscenza che li caratterizzano) comporta, a sua volta, che i lavoratori assumano una nuova attitudine cruciale,
una competenza che io definisco con il termine di “partecipazione cognitiva”: Ovvero la volontà di acquisire, condividere e
utilizzare la conoscenza (propria e dell’organizzazione) per migliorare i prodotti e i processi produttivi.
È questo essenzialmente il tipo di flessibilità di cui l’impresa italiana ha bisogno per tornare a crescere. E lo vediamo meglio in quello che segue.
21
Stabilità occupazionale per la crescita Molti sono ormai gli studi che dimostrano un
legame forte e robusto, a livello di impresa, tra lavoro flessibile e bassa produttività (Sciulli, 2006; Colombo, Delmastro e Rabbiosi, 2007; Lucidi e Kleinknecht, 2009; Damiani e Pompei, 2009; Ricci, 2011).
Ma non si tratta solo di un effetto meccanico: Si tratta di una scelta strategica sbagliata, Che scambia un vantaggio di costo immediato contro
un guadagno più elevato nel futuro E un vantaggio microeconomico contro un danno
macroeconomico.