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1 ELEMENTI DI LINGUISTICA ITALIANA I. L’italiano contemporaneo e le sue varietà 1.1.1 Non esiste un solo italiano L’italiano, come tutte le lingue storico -naturali, si realizza in forme diverse a seconda delle varie modalità con cui ne possiamo fare uso, in relazione alla natura del messaggio, alle sue finalità, alle situazioni nelle quali si attua la comunicazione. Il codice sempre lo stesso - la lingua italiana - ma la sua concreta attuazione muta per molti aspetti in tutti i suoi livelli, nella pronuncia, nella scelta di parole, nelle forme grammaticali, nei costrutti e nello stile. La nostra lingua non è perciò solo quella ereditata da una secolare tradizione letteraria, codificata nelle grammatiche e insegnata nelle scuole, nota come italiano standard . Le varietà dell’italiano contemporaneo dipendo da 5 fondamentali parametri: diamesia, diastratia, diafasia, diacronia e diato pia. 1.1.2 La diamesia E’ il mutamento della lingua secondo il mezzo fisico. In una prima approssimazione individua le due fondamentali varietà dello scritto e del parlato ( il canale di trasmissione del primo è grafico, del secondo invece è fonico e uditivo ). Il punto di più alta divergenza, se guardiamo all’atto di produzione è che la scrittura consente progettazione e controll o mentre il parlato non permette di revisioni. L’oralità si avvale da parte sua dei mezzi prosodici ( intonazione, velocità, pause ) e dei tratti che si definiscono paralin guistici ( gestualità, distanza spaziale fra interlocutori ). Diversa inoltre è la posizione del destinatario: se nella scrittura, il testo può essere ripercorso e approfondito, il parlato invece è di natura sfuggevole o lineare, nel senso che il fruitore può percepire il messaggio solo nell’ordine nel quale esso viene realizzato. 1.1.3 La diastratia E’ la variazione determinata da fattori di tipo sociale, correlata allo status socio -economico di chi usa la lingua. Le variabili pertinenti non sono costituite esclusivamente da fattori tradizionali come il reddito economico, ma dall’incrocio di indicatori di vario tipo: l’istruzione scolastica, la consuetudine alla lettura, le altre occasioni di contatto attivo e passivo con la lingua scritta. Una varietà peculiare diastratica è la diffusione dell’italiano praticato dal crescente numero di immigrati. Si aggiungono inoltre le varietà legate al sesso e all’età. 1.1.4 La diafasia E’ la variazione legata alle situazioni comunicative, alle funzioni e alle finalità del messaggio, al contesto generale nel q uale si compie lo scambio linguistico, agli interlocutori che ne prendono parte. Lungo l’asse diafasico si distingueranno agli estremi la varietà più formali della lingua e quelle più informali ( registri l inguistici ). Si fanno rientrare nella diafasia anche le varietà della lingua che definiamo sottocodici, correlati non al contesto comunicativo, ma all’argomento del messaggio ( codice scientifico, moda, sport ecc..). La differenza tra registri e sottocodici è che uno stesso sottocodice può far uso di registri diversi. 1.1.5 La diacronia E’ il parametro di variazione legato alla dimensione cronologica. Tutte le lingue si evolvono nel tempo: l’italiano dei giorni no stri non solo è diverso da quello dei tempi di Dante, o del Manzoni, ma si stratifica, nella sua stessa configurazione sincronica, secondo gli usi delle diverse generazioni. Es. gli anziani conservano abitudini linguistiche che appaiono ormai in declino come la prostesi ( “Isvizzera”). Nel linguagg io giovanile si sono diffuse peculiari nuove abitudini a tutti i livelli del codice a cominciare dalla grafia ( x : per ). 1.1.6 La diatopia E’ la variazione determinata dalla dimensione spaziale. 1.2 Lingua, dialetti, italiani regionali 1.2.1 Lingua e dialetti a confronto Fra lingue e dialetti dal punto di vista scientifico non esiste alcuna differenza: i dialetti al pari della lingua possiedono un lessico e una grammatica codificabili in vocabolari e trattazioni scientifiche, si prestano ad essere usati con alte finalità letterarie e ad assecondare tutte le principali funzioni del linguaggio. Di solito un dialetto è usato in un’area più circoscritta la sua codificazione descrittiva è meno raffinata la sua terminol ogia esclude di norma il vocabolario scientifico e intellettuale e lo muta dalla lingua nazionale. Soprattutto i dialetti godono di prestigio inferiore rispetto a quello della lingua: è vissuto come un simbolo di arretratezza , un ostacolo all’emancipazione sociale e all’avanzamento economico, una realtà perciò da superare con la conquista dell’italiano. N.B. L’italiano si fonda sul fiorentino antico e scritto, stilizzato in forme d’arte dagli autori del trecento. 1.2.2 L’Italia dialettale

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ELEMENTI DI LINGUISTICA ITALIANA I. L’italiano contemporaneo e le sue varietà 1.1.1 Non esiste un solo italiano L’italiano, come tutte le lingue storico-naturali, si realizza in forme diverse a seconda delle varie modalità con cui ne possiamo fare uso, in relazione alla natura del messaggio, alle sue finalità, alle situazioni nelle quali si attua la comunicazione. Il codice sempre lo stesso - la lingua italiana - ma la sua concreta attuazione muta per molti aspetti in tutti i suoi livelli, nella pronuncia, nella scelta di parole, nelle forme grammaticali, nei costrutti e nello stile. La nostra lingua non è perciò solo quella ereditata da una secolare tradizione letteraria, codificata nelle grammatiche e insegnata nelle scuole, nota come italiano standard. Le varietà dell’italiano contemporaneo dipendo da 5 fondamentali parametri: diamesia, diastratia, diafasia, diacronia e diatopia. 1.1.2 La diamesia E’ il mutamento della lingua secondo il mezzo fisico. In una prima approssimazione individua le due fondamentali varietà dello scritto e del parlato ( il canale di trasmissione del primo è grafico, del secondo invece è fonico e uditivo ). Il punto di più alta divergenza, se guardiamo all’atto di produzione è che la scrittura consente progettazione e controllo mentre il parlato non permette di revisioni. L’oralità si avvale da parte sua dei mezzi prosodici ( intonazione, velocità, pause ) e dei tratti che si definiscono paralin guistici ( gestualità, distanza spaziale fra interlocutori ). Diversa inoltre è la posizione del destinatario: se nella scrittura, il testo può essere ripercorso e approfondito, il parlato invece è di natura sfuggevole o lineare, nel senso che il fruitore può percepire il messaggio solo nell’ordine nel quale esso viene realizzato. 1.1.3 La diastratia E’ la variazione determinata da fattori di tipo sociale, correlata allo status socio -economico di chi usa la lingua. Le variabili pertinenti non sono costituite esclusivamente da fattori tradizionali come il reddito economico, ma dall’incrocio di indicatori di vario tipo: l’istruzione scolastica, la consuetudine alla lettura, le altre occasioni di contatto attivo e passivo con la lingua scritta. Una varietà peculiare diastratica è la diffusione dell’italiano praticato dal crescente numero di immigrati. Si aggiungono inoltre le varietà legate al sesso e all’età. 1.1.4 La diafasia E’ la variazione legata alle situazioni comunicative, alle funzioni e alle finalità del messaggio, al contesto generale nel q uale si compie lo scambio linguistico, agli interlocutori che ne prendono parte. Lungo l’asse diafasico si distingueranno agli estremi la varietà più formali della lingua e quelle più informali ( registri l inguistici ). Si fanno rientrare nella diafasia anche le varietà della lingua che definiamo sottocodici, correlati non al contesto comunicativo, ma all’argomento del messaggio ( codice scientifico, moda, sport ecc..). La differenza tra registri e sottocodici è che uno stesso sottocodice può far uso di registri diversi. 1.1.5 La diacronia E’ il parametro di variazione legato alla dimensione cronologica. Tutte le lingue si evolvono nel tempo: l’italiano dei giorni nostri non solo è diverso da quello dei tempi di Dante, o del Manzoni, ma si stratifica, nella sua stessa configurazione sincronica, secondo gli usi delle diverse generazioni. Es. gli anziani conservano abitudini linguistiche che appaiono ormai in declino come la prostesi ( “Isvizzera”). Nel linguagg io giovanile si sono diffuse peculiari nuove abitudini a tutti i livelli del codice a cominciare dalla grafia ( x : per ). 1.1.6 La diatopia E’ la variazione determinata dalla dimensione spaziale. 1.2 Lingua, dialetti, italiani regionali 1.2.1 Lingua e dialetti a confronto Fra lingue e dialetti dal punto di vista scientifico non esiste alcuna differenza: i dialetti al pari della lingua possiedono un lessico e una grammatica codificabili in vocabolari e trattazioni scientifiche, si prestano ad essere usati con alte finalità letterarie e ad assecondare tutte le principali funzioni del linguaggio. Di solito un dialetto è usato in un’area più circoscritta;; la sua codificazione descrittiva è meno raffinata;; la sua terminologia esclude di norma il vocabolario scientifico e intellettuale e lo muta dalla lingua nazionale. Soprattutto i dialetti godono di prestigio inferiore rispetto a quello della lingua: è vissuto come un simbolo di arretratezza , un ostacolo all’emancipazione sociale e all’avanzamento economico, una realtà perciò da superare con la conquista dell’italiano. N.B. L’italiano si fonda sul fiorentino antico e scritto, stilizzato in forme d’arte dagli autori del trecento. 1.2.2 L’Italia dialettale

Margherita Accardo Palumbo
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L’Italia dialettale si ripartisce in tre grandi aree, delimitate da tre grandi aree, delimitate da due fasce di isoglosse note come le linee La Spezia - Rimini e Ancona - Roma. All’interno di queste grandi aree Si individuano altre suddivisioni: - nord: dialetti gallo-italici e veneti - sud: aree continentali dal estremo sud pugliese salentino e la calabria peninsulare Si collocano in aree marginali le parlate della Sardegna e del Friuli, che però sono veri e propri codici autonomi, nell’ambito delle lingue neolatine. 1.2.3 I dialetti italianizzati Sono il risultato dell’influsso dell’italiano sulle parlate locali, in una reazione di superst rato. D’altro lato tendono ad affermarsi parole pure locali per i tratti fonetici e morfologici, ma più vicine ai modelli offerti dalla lingua comune, a scapito di voci di più antica tradizione dialettale oggi in declino. 1.2.4 Le varietà regionali di italiano Con italiano regionale definiamo invece la varietà di italiano, che mostra a tutti i livelli del codice caratteristiche peculiari di un’area geografica. Non si deve pensare ai confini delle regioni amministrative, poiché essi non coincidono sempre con quelli linguistici. L’italiano regionale consiste in sostanza in una reazione di sostrato, cioè in quel meccanismo per il quale subisce la lingua dominante in precedenza nello stesso territorio ormai in declino. Oggi le varietà nazionali sono bene percepibili nell’intonazione, nella pronuncia e nel lessico ( es. bigiare ). Oggi rispetto al passato, la regionalità è più sfocata, grazie soprattutto all’accellerata circolazione delle produzioni ling uistiche, che ci pone in contatto quotidiano - tramite i mass media - con le varietà regionali e le rende più familiari alla no0stra sensibilità. 1.2.5 Le minoranze linguistiche ( alloglotte ) - parlate provenzali delle valli del Piemonte - dialetti franco-provenzali ( val d’Aosta, Piemonte ) - ladino ( valli presso il gruppo dolomitico del Sella ) - parlate bavaro-tirolesi della cospicua minoranza tedescofona dell’Alto - Adige - dialetti sloveni - croato ( Molise ) - parlate albanesi ( Calabria ) - dialetti di origine greca ( Salento, Calabria ) - catalano ( Alghero ) A queste lingue di minoranza si può guardare secondo molteplici prospettive. Dal punto di vista linguistico si distinguono le parlate neolatine ( provenzale, catalano, ladino ) da quelle di altri ceppi ( germanico, slavo, greco, albanese ). Da quello socio-linguistico si osserva che alcune varietà parlate hanno nei rispettivi stati dignità di lingue nazionali; altre hanno invece come punto di riferimento lingue a loro volta minoritarie ( il provenzale; il franco-provenzale ). Sotto il profilo storico si distinguono le minoranze autoctone, costituite cioè da popolazioni indigene ( valdostani, ladini ) da quelle che si son o insediate in seguito a movimenti migratori. A tutti questi alloglotti si deve ormai aggiungere, a partire dagli ultimi decenni del XX sec., la rilevante presenza di nuovi flussi migratori dai paesi del Terzo Mondo e dall’est Europa. I nuovi immigrati sono eterogenei per razza, per tradizioni etniche, religiose e anche per il grado di istruzione; nella magg ioranza dei casi giungono senza una minima competenza di italiano. La conquista dell’italiano è alla portata degli extracomunitari che parlano lingue neolatine che approdano in tempi relativamente brevi a una discreta padronanza della nostra lingua, pur con vistosi fenomeni di interferenza. Ciò crea interlingue instabili, specie nelle prime fasi dell’insediamento, limitate Alla competenza di un manipolo di elementi lessicali e di una grammatica del tutto rudimentale. 1.3 L’Italiano parlato 1.3.1 Caratteri generali dell’oralità La varietà del repertorio che mostra oggi la maggiore capacità espansiva è quella dell’oralità. Nel parlato dialogico locutore e ascoltatore sono compresenti, si scambiano i ruoli con alternanza non programmata e con la p ossibilità di intervenire in vari modi nel messaggio secondo i meccanismi della cosiddetta retroazione o feedback. Ai tratti inerenti al parlato (linearità, immediatezza, evanescenza del messaggio, uso di tratti prosodici e paralinguistici, compresenza degli interlocutori, interazione fra parlante e ascoltatore ), l’italiano contemporaneo risponde con una serie di strategie ben distinte: non una grammatica separata dalle lingua standard, ma un fascio di particolarità che acquista importanza nell’ambito della lingua odierna, in conseguenza alle rinnovate modalità degli scambi comunicativi. 1.3.2 Sintassi e testualità Nella sintassi, il parlato predilige un ordine diverso della parole, rispetto a quello non marcato che allinea soggetto, pred icato verbale e complemento oggetto. In particolare si accampa una serie di costrutti che obbedisco al fine di mettere a fuoco un elemento nella frase attraverso la sua collocazion e in prima sede ( TEMA: dato che si presuppone noto all’interlocutore contrapposto al REMA: elemento informativo nuovo ).

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Dislocazione a sinistra: è La tematizzazione più è ricorrente Es. “Il giornale lo compra Mario” L’elemento anticipato è integrato sintatticamente nella frase, ripreso da un elemento anaforico, per lo più un pronome person ale (“lo”) e non è separato da pause. - Topicalizzazione contrastiva: In assenza di ripresa anaforica, l’elemento a sinistra, sottolineato anche da un picco intonativo, ha invece funzione di rema, veicola cioè un’informazione nuova: Es. “Il giornale compra Mario” - Tema sospeso / nominativo assoluto: l’elemento dislocato a sinistra è del tutto esterno alla frase, dal punto di vista sintattico e intonativo: non è preceduto da preposizione ed è sempre separato da una pausa:[rif. Anacoluti] Es. “La mamma, le ho regalato uno scialle” Dislocazione a destra: meno frequente;; L’elemento a destra è già un dato del discorso, è anticipato da un pronome cataforico ( che rinvia a ciò che segue, a destra ) ed è preceduto nella pronuncia da una reve pausa: Es. “Lo compra Mario, il giornale”. Per la sintassi del verbo il parlato si caratterizza per la presenza di usi che contraddicono l’osservanza del dato temporale ( anteriorità/ contemporaneità/posteriorità ): 1. Estensione dell’imperfetto indicativo: si deve all’esigenza di rappresentare sfumature modali ( Modo: Atteggiamento del parlante nei confronti del contenuto dell’enunciato: es. certezza, probabilità, possibilità, comando, preghiera ecc..). Si segnala: - imperfetto fantastico: evoca un atteggiamento immaginario del passato con possibilità che non si è poi attuata: Es. “Avremmo potuto far senza timbrare il biglietto;; Bravo, poi magari saliva il controllore [che non è salito] e ci toccava pagare la multa” - imperfetto ipotetico: sostituisce il congiuntivo imperfetto nella protasi e il condizionale compos to nell’apodosi del periodo ipotetico: Es. “Se lo sapevo, non ci venivo” - imperfetto potenziale: esprime una forma di supposizione Es. “Non capisco cos’è successo, doveva essere qui alle 9” - imperfetto ludico: è quello dei giochi infantili Es. “Dai giochiamo: tu eri il capo degli indiani”. - imperfetto di modestia: vuole rendere meno categorico, il tenore di una richiesta attuale Es. “Volevo un chilo di mele” - imperfetto epistemico: richiama in previsione del futuro, presupposti o conoscenze o credenze precedenti Es. “Partivano stasera, ma gli si è rotta la macchina” 2. Sostituzione del futuro con il presente: ricorre per lo più in riferimento a eventi di un futuro prossimo e non lontano Es. “Parto domani mattina alle 8” L’estensione del presente sembra rispondere a un’esigenza di semplificazione del sistema, non a caso molte perifrasi con valore di futuro si stanno diffondendo: - andare/stare/venire + infinito: Es. “Sto a guardare quello che succede” - stare + gerundio: Es. “Sto andando al mercato” Queste sottolineano non tanto le coordinate temporali dell’azione, quanto quelle aspettuali, la loro imminenza. - futuro epistemico: esprime congetture in riferimento al presente, dunque con valore modale Es. “Quanti anni ha Mario?Ma, sarà sui 30” 3. L’indicativo sostituisce il congiuntivo nella lingua parlata e più in generale, nell’italiano contemporaneo: - completive soggettive Es. “Mi pare che il raffreddore è migliorato” - completive oggettive (specie con i verba putandi ) Es. “Penso che vengono domani” - interrogative indirette Es. “Non ho capito bene cosa voleva dire” - ipotetiche Es. “Se volevo, riuscivo a superarti” Per quanto riguarda l’uso dei pronomi: - uso accettato di lui/lei/ loro come pronomi tonici di terza persona con funzione di soggetto - uso di gli con valore dativo ( “a loro” ), anche per esprimere il dativo singolare femminile - te con funzione di soggetto - presenza di pronomi atoni nel parlato con funzione di coesione e rafforzativa a testi evanescenti - pronomi tonici con funzione deittica ( capacità di riportare dall’interno dell’enunciato al contesto esterno ). Dal punto di vista testuale la lingua della conversazione fa ricorso a una serie di elementi discorsivi, che nulla aggiungono al contenuto delle proposizioni ma che hanno un ruolo primario nel funzionamento dell’interazione verbale e nell’organizzazione del testo ( allo stesso tempo sono connettivi testuali ). Per esempio gli intercalari inconsapevoli ( cioè/insomma/ comunque ) hanno uffici essenziali per ripre ndere e correggere i nostri enunciati.

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Allo stesso tempo i segnali discorsivi permettono di mantenere vivo il contatto fra gli interlocutori , assecondano cioè la funzione fatica della lingua, quella che controlla il canale comunicativo. 1.3.3 Il lessico Il lessico dell’italiano parlato non è diverso per natura da quello dello scritto: sono però diversi i meccanismi di selezione, nel senso che il parlato predilige registri informali ed esclude quello dal sapore più letterario ( a meno che non sia utilizzato con ironia ). Sono poi diverse e proporzioni quantitative e le scelte semantiche: la lingua parlata , già incline alla ripetizione, fa uso di un uso più ristretto di voci, rispetto allo standard (es. roba, cosa, tipo/ verbi fraseologici: dare, andare, fare ). Inoltre il parlato spesso si connota per la coloritura dei toni, attraverso varie modulazioni (diminutivo per esigenze di affettività/ su perlativo enfatico/ accrescitivi/ raddoppiamenti/ blasfemia/ espressioni onomatopeiche ). Fra i procedimenti di formazione delle parole si annota uno spiccato gradimento della lingua orale per i suffissati in -ata (abbuffata/ barcata/ calmata ecc ). Ricorrono infine nell’oralità dei giovani troncamenti affettivi (es. prof./ filo/ disco ). 1.3.4 Alcuni tratti fonologici - metatesi (es. aeroplano) -tendenza alla ritrazione dell’accento sulla terzultima sillaba (es. èdile, persuàdere, mòllica, rùbrica, sàlubre ), fenomeno riconducibile nella sua origine a una volontà nobilitante. - fenomeni di allegro: esecuzioni di pronuncia trascurate o veloci per es. le apocopi postconsonantiche ( es. “ son venuta presto” ), le aferesi sillabiche (es. bastanza : abbastanza / spetta : aspetta ). 1.3.5 Il parlato delle radio e della televisione Una particolare forma di oralità è veicolata dalla radio e dalla televisione per il fatto che raggiunge un pubblico indifferenziato in relazione ai gradi della diastratia. Peculiarità: - direzione a senso unico: l’emittente non può adeguare il suo messaggio alle reazioni del destinatario, che a sua volta è assente dal luogo della produzione linguistica, ha ruolo passivo e non può intervenire - settore intermedio della diamesia ( nei programmi con spiccata modalità informativa tipo i notiziari ): corre dallo scritto -scritto al parlato-parlato, nel campo dei testi la cui produzione è scritta, ma che sono destinati a un’esecuzione orale. L’italiano trasmesso ( varietà diamesica della radio e della televisione ) si presenta con uno dei tratti fondamentali del pa rlato, ovvero la sua fuggevolezza, l’evanescenza nel tempo. D’altra parte esso è accostabile alla scrittura per altri tratti: in quanto passibile di registrazione , può essere usufruito più volte;; la sua comunicazione è a una sola direzione dall’emittente al destinatario;; l’emittente e il dest inatario non codividono la stessa situazione spaziale; la comunicazione è rivolta a una pluralità di persone molto alta; la comunicazione infine avviene per o più a partire dalla scrittura, cioè attraverso la lettura di testi preconfezionati. Questo linguaggio si pome spesso come espressione scritta nell’atto della produzione, ma orale per il punto di vista della ricezione: perciò si richiederanno chiarezza e capacità di concisione che devono assicurare la piena comprensibilità richiesta. Di fatto si è osservato che: - tende a una struttura del periodo semplice ( paratassi e stile nominale ) - il parlato fuori dalle funzioni informative dà esempi di un’oralità declinata verso i gradini inferiori della diafasia, fino alla blasfemia; - emergono i tratti regionali; 1.4 L’italiano popolare Si tratta dell’espressione linguistica propria degli incolti ( analfabeti 2,5% ) e dei semicolti (istruzione scolastica di base, ma senza aver mai acquisito piena competenza della lingua ). L’italiano popolare è orientato verso il parlato in diamesia e si realizza nei registri inferiori dell’asse diafasico, nelle occasioni di minor controllo formale. I fenomeni che ne definiscono la fisionomia investono tutti i settori della lingua e devono essere ricondotti all’influsso de lle parlate dialettali e alla spinta all’oralità. Essi inoltre coincidono spesso con le prime varietà di apprendimento dell’italiano nei bambini e neg li stranieri alle prime armi. Nella scrittura: - incertezze grafiche: punteggiatura a caso, insicurezza nelle maiuscole, uso errato di h, q, gl, segmentazioni erronee ( es. l’aradio, lo rigano ), incertezza nell’uso di scempie e doppie. Nella fonetica: -riflesso delle abitudini dialettali ( pronuncia molto marcata in diatopia ) (es. pissicologia, arimmetica ) Nella morfologia: -articolo: estensione delle forme un e il/i davanti a z e s preconsonantica ( es. i spagnoli/ un spazio ) - pronome: uso di ci con valore di dativo maschile e femminile ( es. ci ho dato un ceffone ); possessivo suo riferito alla terza persona plurale ( es. I rossi hanno speso tutti i suoi risparmi ). - verbo: diverse formazioni analogiche ( es. facete/ potiamo / dicete ); congiuntivi esemplati dalla prima coniugazione (es. va da/ vadino/ venghi/ venghino ).

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Nella sintassi: -incertezze nell’uso delle preposizioni (es. non sono bravo di cucinare );; ampiezza d’uso del che polivalente ( una bottiglia che c’erano dei vermi ); concordanze a senso ( es. tutto lo stadio lo applaudivano ); periodi ipotetici con doppio condizionale ( es. se sarei ricco mi comprerei una casa )e con doppio congiuntivo ( es. se fossi ricco mi comprassi la casa ). Nel lessico: -impiego voci generiche (es. roba/ cosa/ fare in fraseologici ); uso dei suffissi: il gradimento per -accio (es. malaccio), lo scambio dei suffissi ( es. sollecitudine per sollecitazione ), cancellazione dei suffissi ( es. la dichiara / la spiega ); malapropismi, ovvero storpiature erronee ( es. pendice per appendice/ palchè per parquet; uso di alcune voci che sono connotate da maggiore espressività ( es. lavoro/ macello/ mestiere ). 1.4.2 Per una valutazione dell’italiano popolare La nozione di italiano popolare fu introdotta nel 1970 da Tullio de Mauro e Manlio Cortelazzo, che ne hanno affermato la sost anziale dipendenza dai sostrati dialettali. Le loro due formulazioni in apparenza molto simili hanno in sé due diverse concezioni: 1- alcuni, a partire dalla convinzione che l’italiano comune non esiste, hanno colto nell’italiano popolare il patrimonio di cla ssi sociali portatrici di una competenza linguistica subalterna, ma spontanea e genuina, in grado di sopperire all’inesistenza di un italiano comune e da prefigurare addirittura le linee di tendenza della lingua del futuro. 2- altri, ritenendo l’italiano popolare come deviazione rispetto a uno standard ben riconosciuto, ne hanno accentuato la natura di varietà inferiore, del tutto marginale nelle dinamiche dell’italiano contemporaneo, che deve essere sradicata in direzione dello standard. Se proviamo ad ordinare il senso di questi dibattiti osserviamo che: - la presenza di tratti panitaliani è molto modesta, addirittura inconsistente nei settori della fonetica e del lessico; tutti gli studi recenti ridimensionano ormai la pretesa unitarietà dell’italiano popolare. - le sue radici affondano nei secoli passati, anche se osservabili solo sui reperti scritti, non del tutto rappresentativi, dal momento che l’italiano popolare si manifesta soprattutto nell’espressione orale. - nei pochi tratti unitari, si possono cogliere delle tendenze che non sono solo dei tempi nostri, ma che percorrono tutta la storia della lingua, pur emarginate dalla norma grammaticale ( es. che polivalente in Dante). Per concludere: l’estensione dell’italiano a gruppi sociali sempre più ampi, disabituati per secoli a usufruire della lingua è un processo solo positivo. E si deve riconoscere che in alcuni usi degli strati inferiori emergono tendenze vive da sempre nella lingua, tenut e a freno da una tradizione grammaticale spesso formalistica. Che da queste premesse si possa poi identificare nell’italiano popolare di oggi la forma più avanzata di lingua e addirittura l’italiano del domani è azzardato a causa dell’unità precaria dell’italiano popolare per via degli influssi regionali. D’altro canto è eccessivo l’allarmismo di chi giudica l’italiano popolare come un attentato all’integrità della lingua. 1.5 Il gergo 1.5.1 I gerghi storici E’ la lingua propria di alcuni gruppi di persone ai margini della società, che ne fanno uso all’interno della loro cerchia, con la finalità di promuovere il senso di appartenenza al gruppo e con il risultato di escludere dalla comprensione gli estranei. Il parametro fondamentale per individuarlo è quello diastratico (lingua parlata) da categorie di bbassa estrazione sociale e collocate alla periferia del consorzio civile. Assai risentite in queste categorie, sono la consapevolezza e la rivendicazione di appartenere a un’umanità diversa, alternat iva, che si contrappone alla società ufficiale per i costumi di vita e per la lingua. I tratti più rilevanti sono da ricercare nel lessico, che si forma su basi dialettali e secondo alcuni procedimenti caratteristici: suffisso -oso (es. fangose per scarpe/ calcosa per strada ); troncamento di parole comuni con varie forme di storpiature ( es. pula/ caramba/ mo rfa ); uso di parole che iniziano con n o s per esprimere negazione e affermazione ( es. nisba/ siena ); frequente ricorso a metafore 8 es. bruna per notte/ neve per cocaina ). 1.5.2 I gerghi transitori e altri usi della voce “ gergo” Si definiscono transitori i gerghi che hanno origine dalla convivenza temporanea in ambienti di segregazione più o meno coatta, come il carcere, il collegio o la caserma. Per il suo carattere transitorio il gergo penetra nel linguaggio dei giovani, della quale costituisce una componente sec ondaria (es. suffissati in -oso: palloso/ pizzoso/ incazzoso; cuccare / paglia / allargarsi ecc..). Negli usi correnti infine alla parola gergo si attribuiscono anche due significati estensivi: - terminologia specifica di una certa classe o professione - modo di parlare oscuro e allusivo. 1.6 L’italiano burocraticco 1.6.1 Lessico e sintassi della lingua degli uffici Carattere costante e tradizionale dell’espressione burocratica è quello di essere intimidatoria, tale da incutere nel destina tario uno stato di

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soggezione che lo induca a ubbidire e a seguire le regole che gli sono rivolte. Ciò contribuisce a spiegare l’inclinazione a tratti formali che tendono a distanziarsi da quelli più correnti, in uno sforzo di nobilitazione espressiva che risponde anche ai modelli del sottocodice della lingua giudica. -Lessico: sinonimi pretenziosi assunti al serbatoio del latino ( es. obliterare per cancellare/ esazione per pagamento ecc..); locuzioni sovrabbondanti ( es. dare comunicazione/ procedere all’arresto/ sottoporsi alla verifica ); nella formazione delle parole sono graditi i sostantivi deverbali di grado zero, cioè assunti da basi verbali senza alcun suffisso ( es. inoltro/ delega/ affido/ rigetto ), in modo analogo molti verbi si formano direttamente da nomi o aggettivi con la semplice aggiunta della desinenza all’infin ito o con il suffisso -izzare ( es. evidenziare/ disdettare/ indicizzare/ mobilizzare ); permangono forme antiquate ( es. addì/ li/ ella/signoria/onde/ ove/ altresì/ testè ). - sintassi: sequenza cognome-nome; pospozione del numerale ( es. di anni 35/ metri 200 ); esteso procedimento di nominalizzazione (es. ai fini del rilascio dell’autorizzazione per l’espatrio );; futuro deontico, che esprime dovere, obbligo ( es. la domanda dovrà essere presentata ecc.. ). 1.7 Le lingue speciali 1.7.1 Problemi di classificazione La pluralità di denominazioni ( linguaggi settoriali/ micro lingue / tecno lingue ecc…) è sintomo di controversie interpretat ive e implica un fascio di realizzazioni linguistiche eterogenee ( si accomunano infatti i linguaggi tecnico scientifici, le discipline umanistiche, i linguaggi dei mass media, della pubblicità ecc.. La prima importante distinzione ci è offerta dalla nozione di sottocodice, la cui peculiarità è proprio il ri ferimento a un determinato ambito specialistico, che può essere riferito sia alla materia trattata ( es. algebra/ biologia/ chimica ) sia alla specificità del canale di trasmissione ( es. linguaggio della tv, della radio, di Internet ). In linea di principio tutte le lingue speciali si possono realizzare in una vasta pluralità di registri, differenziandosi al loro interno secon do il parametro della diafasia ( circoscritta verso il basso, l’informalità, per le scienze più sistematiche e codificate e verso l’alto, la formalità, per quelle attività sociali che non cataloghiamo nell’ambito delle discipline scientifiche ). 1.7.2 Il lessico E’ caratterizzato dalla monosemia, ovvero la caratteristica di un segno di presentare un unico significato specifico. La corrispondenza fra parola e significato è di norma biunivoca, nel senso che non solo i significanti delle lingue speciali hanno un solo significato, ma anche i significati sono rappresentati da uno e da un solo significante. Ciò accade per la necessità di precisione denotativa, di una puntualizzazione semantica per la quale i referenti devono essere individuati in modo esatto. Di conseguenza il lessico delle lingue speciali sarà poi riluttante alla sinonimia, anche se alcune scienze umanistiche sono meno ritrose al fenomeno ( es. forestierismi-esotismi-stranieresti / tronco-ossitono )oppure si pensi alla lingua dei trasporti ( es. bus -torpedone-corriera-pulman ecc..). Dal punto di vista della sua costituzione il lessico si avvale delle stesse possibilità dell’italiano comune ma con alcune significative preferenze: ricorso a codici stranieri per la circolazione internazionale negli ambiti scientifici; altro codice è il latino che ha i suo i campi elettivi nel linguaggio giuridico e in quello medico. Inoltre incrementa il suo patrimonio linguistico tramite suffissati, prefissati e composti. Fra i percorsi derivativi più sfruttati si segnala l’adozione di suffissi dotati, nelle singole discipline, di significati specifici (es. -ite/ -oso/ -ico ). In via di potente espansione è l’affermazione delle sigle. 1.7.3 Tratti testuali e sintattici -Ripetizione di una parola a breve distanza -Ricorso a espressioni introduttive, premesse, presupposti che costituiscono l’antecedente logico dell’argomento, cui segue la deduzione delle conseguenze. -Processo che porta alla cancellazione del verbo, sostituito da locuzioni preposizionali e da sintagmi nominali ( es. processi infiammatori a carico del palato/ scoprì la presenza delle proteine in tutti gli esseri viventi ) -Verbo: presente il più consono alla descrizione, affiancato dal futuro;; fra i modi è dominante l’indicativo anche se il congiuntivo non è infrequente;; l’uso del condizionale è utilizzato per avanzare congetture che attendono conferma. -Uso delle persone: uso frequente della terza persona per spersonalizzare -Uso frequente di forme passive del verbo 1.8 L’italiano standard 1.8.1 La nozione di lingua standard Intendiamo un’espressione dotata di una sostanziale stabilità, garantita dalla codificazione grammaticale , depositata nei vocabolari, capace di piegarsi alla produzione di qualsiasi tipo testuale, anche di alta astrazione. In quanto lingua standard ha una funzione unificatrice e al tempo stesso separatrice, in grado di simboleggiare un’un identit à nazionale diversa dalle altre;; intendiamo infine un’espressione non marcata lungo gli assi di variazione, che costituisce il paradigma per l’apprendimento degli stranieri e degli italiani e la pietra di paragone per il giudizio sulle altre varietà. 1.8.2 La consistenza dell’italiano standard

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Occorre precisare che per la grandissima maggioranza degli italiani lo standard è un’entità del tutto virtuale. Se si guarda all’oralità si constata che esso è posseduto da un numero di parlanti assai ristretto, un’elite di professionisti specifici ( attori di cinema e teatro, doppiatori, annunciatori ) che abbiano seguito appositi corsi di dizione. Sul piano diamesico del parlato-parlato, lo standard non è solo limitatissimo, ma è anche marcato lungo l’asse diatopico. Altro è il discorso sul fronte dello scritto: la conquista dell’italiano standard scritto è conseguita infatti da settori assai più cons istenti della popolazione. Nella scrittura media anche la principale delle variazioni, quella diatopica , appare neutralizzata. Ciò identificato, lo standard si pone come riferimento per il modello scolastico ma con un’attenzione esclusiva alla scrittura. In conclusione, quel tanto di standard che possiamo riconoscere nelle esecuzioni linguistiche, risponde in modo esemplare agli svolgimenti storici della nostra lingua, che si è fatta unitaria per tempo, ma a partire dall’espressione letteraria e , in linea molto g enerale, solo negli strati alti della cultura e della società. 1.9 Linee di tendenza 1.9.1 I tratti in via di espansione L’italiano vive una situazione di dinamismo: alcuni dei tratti in espansione sono biasimati ddalla norma della tradizione o a ccettati solo a certe condizioni dai manuali: - pronomi: uso di lei,lui,loro in funzione di soggetto; gli come dativo plurale; lo come pronome neutro che riprende un predicato o una proposizione; ci con avere; cosa e che interrogativi; dimostrativi rafforzati con qui e lì. - micro sintassi: costrutti preposizionali con il partitivo ( es. esco con degli amici ); impiego come aggettiv i invariabili di voci appartenenti ad altre categorie grammaticali ( es. la milano bene/ una giornata no ); uso di come mai interrogativo. - sintassi: imperfetti modali; presente pro futuro; futuro epistemico e perifrasi sostitutive del futuro; verbi prono minali ( es. stasera mi vedo la partita ); uso del che polivalente. Altri costrutti sono in declino: i prostetica; forme eufoniche ad/ed; vi sostituito da ci con valore locativo; uso di codesto /costì/costà; quale come aggettivo interrogativo e esclamativo. Tutte queste evoluzioni definiscono un italiano medio, diverso dallo standard tradizionale, ormai ammissibile nel parlato e n egli scritti di media formalità e non interferito da varietà geografiche. II. Le strutture dell’italiano 2.1.1. Generalità, concetti e termini fondamentali -Fono: minima entità fonico-acustica della lingua ( prodotto da un’onda sonora regolare ) -Fonema: minima entità linguistica con valore distintivo, cioè non dotata di significato in sé, ma capace di distinguere due p arole dal punto di vista semantico, cioè del significato. -Fonologia/Fonematica: settore dello studio che tratta dei fonemi -Fonetica: settore che tratta dei suoni o foni Naturalmente i repertorio dei foni è più ampio di quello dei fonemi, in quanto ogni fonema è anche un fono, mentre non tutti i foni hanno dei fonemi corrispondenti ( [r] : può essere standard, oppure uvulare - r moscia: si tratta di due foni diversi ma dello stesso fonema ). Nell’uso scientifico, i foni e la rappresentazione fonetica di una parola vengono indicati tra le parentesi quadre [ ], mentre i fonemi e la rappresentazione fonologica sono rappresentati tra due sbarre oblique / /. 2.1.2 Il sistema fonologico dell’italiano Il sistema fonologico di una lingua è l’insieme dei fonemi che la compongono. Quello dell’italiano standard è composto da 30 fonemi: 7 vocali, 21 consonanti e 2 semiconsonanti. Generalmente ci si riferisce all’alfabeto dell’Associazione Fonetica Internazionale (AFI). - Vocali: fono pronunciato senza che l’aria, uscendo dal canale orale, incontri ostacoli e con la vibrazione delle corde vocali. Sono 7 in posizione tonica: a / H aperta / e chiusa / i / o aperta / o chiusa / u . [a] è la vocale di massima apertura, pronunciata con il canale orale completamente aperto, [o aperta],[o chiusa],[u] rappresentano i successivi gradi di chiusura nella serie delle vocali posteriori o velari, cioè pronunciate con la lingua sollevata verso il palato molle ( velo palatino ) e con il progressivo restringimento delle labbra; [H aperta ], [e chiusa], [i] rappresentano successivi gradi di chiusura delle vocali anteriori o p’alatali, cioè pronunciate con la lingua sollevata verso la parte anteriore della bocca e verso il palato anteriore. In posizione atona, cioè non accentata, le vocali sono 5 [a],[e],[i],[o],[u]. -Consonanti: fono prodotto dal passaggio non libero dell’aria attraverso il canale orale: l’aria incontra un ostacolo o nella chiusura tot ale temporanea del canale orale, o nel suo forte restringimento, in modo che si senta il rumore del passaggio forzato dell’aria. Per descrivere e classificare le consonanti è necessario considerare tre elementi: 1. Il modo di articolazione: distinguiamo: - occlusive: consonanti nella cui articolazione il canale orale è in una prima fase completamente chiuso, aprendosi successivamente per lasciar uscire l’aria - continue o costrittive: consonanti articolate attraverso il canale espiratorio parzialmente ostruito ( si dividono in laterali: l’aria esce lateralmente alla lingua protesa verso il palato / vibranti: articolate facendo vibrare la lingua sul palato / fricative-spiranti: l’aria passa attraverso uno stretto canale, in modo che si determini una specie di fruscio, di sibilo / nasali: pronunciate emettendo l’aria dalle fosse nasali ) - affricate o semiocclusive: consonanti la cui pronuncia inizia con un suono occlusivo, per poi lasciare posto a un suono continuo.

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2. Il luogo di articolazione: distinguiamo: - bilabiali: pronunciate unendo le due labbra e poi aprendole - labiodentali: sono interessati il labbro inferiore e i denti superiori - dentali: la lingua è a contatto con la parte interna dell’arcata dentale superiore - alveolari: punta della lingua contro gli alveoli degli incisivi superiori - velari: pronunciate con la chiusura del velo palatino - palatali: lingua tocca il palato 3. Grado di articolazione: le consonanti possono essere sorde, quando le corde vocali non vibrano, mentre sono sonore quando le corde sonore vibrano. Le consonanti inoltre, rispetto alla loro forza art icolatoria, possono essere brevi ( anche tenui o scempie ) e lunghe ( intense o doppie ), si tratta di un fenomeno fonetico indipendente dalla sua rappresentazione grafica ( es. in posizione intervocalica sono sempre lunghe [O],[gn],[t s],[dz],[sc] mentre è sempre breve [z] es.uso ). -Semiconsonanti: sono due [j](iod) anteriore o palatale e [w](uau) posteriore o velare. Si tratta di foni vicini alle due vocali corrispondent i [i] e [u]. Le semiconsonanti non possono mai essere accentate e si trovano nei dittonghi ascendenti (composti da semiconsonante e vocale es. “ieri” / “uomo” ), sono considerate semivocali nei dittonghi discendenti ( es. “laico”/”feudo” ). Si definisce iato, invece, un incontro di due vocali che non formano dittongo (es. in assenza di i e u “paese”, quando queste sono accentate “spia”/ “paura”, dopo il prefisso ri- “ riammettere” ). E’ significativo che proprio per i foni che non hanno una precisa corrispondenza nel sistema alfabetico si verifichino le mag giori incertezze di pronuncia e si riscontrino la più sensibili discrepanze tra la pronuncia standard e le diverse pronunce regionali: 1. e: - italiano standard ha suono aperto nel dittongo ie, nei gerundi -endo, nei partici in -ente, nelle forme di prime e terza persona del condizionale e del passato remoto -etti, nelle parole terminanti nei suffissi -ella/-ello, -enza, -eria(-erio, -estra/-estre/-estro. Ha suono chiuso invece negli infiniti in -ere, nelle forme del futuro semplice, dell’imperfetto indicativo e congiuntivo, nella terminazione avverbiale -mente, nei suffissi -eccio, -eggio, -ese,-ezza,-mento e nei diminutivi in -etta/-etto. -varietà settentrionale: e pronunciata chiusa in sillaba libera ( es. “béne”, “poéta”, “piéde” ) e aperta in sillaba chiusa (e s. “pazzèsco”, “biciclètta”, “stanchèzza” ) eccetto che davanti a nasale ( es. “vénti”). -varietà meridionale: ie si pronuncia chiuso, mentre aperto è -mente. 2. Fricativa alveolare sorda o sonora in posizione intervocalica - italiano standard: suono sordo nella maggior parte delle parole, si ha invece il suono sonoro nei passati remoti in -usi/-uso/-isi/-iso, nelle parole inizianti per es-, nei numerali in -esimo. -italiano settentrionale: s è sempre sonora se intervocalica -italiano meridionale: s è sempre sorda se intervocalica 3. Gorgia fiorentina non compresa in italiano standard: aspirazione delle occlusive sorde intervocaliche [k] ma anche [t]. 2.1.3 Fenomeni di fonetica sintattica - raddoppiamento fono sintattico: pronuncia rafforzata della consonante iniziale di parola, quando questa sia preceduta da determinate parole, terminanti in vocale, che hanno la proprietà di provocare il rafforzamento (es. a ccasa, che vvuoi ), ovvero tutti i monosillabi accentati, tutti i polisillabi tronchi, alcune parole piane come “dove”, “come”, “qualche”, “sopra”, “ogni”, i nomi delle lettere dell’alfabeto e delle note musicali. Questo fenomeno non esiste nelle varietà regionali settentrionali. Nella scrittura a volte viene riflesso quando le due parole sono scritte unite (es. “giammai”, “soprattutto”, “davvero” ). Le ragioni risalgono alla storia della lingua: caduta in alcune parole latine ( es. “ad”/ “et” ) della consonante finale, rimasta nella pronuncia come suoni assimilati alla consonante seguente. -elisione: caduta di vocali finale davanti a parola iniziante per vocale, rappresentata graficamente con l’apostrofo - troncamento/apocope: caduta della parte finale di una parola, sia davanti a vocale che davanti a consonante (purchè non s pre consonantica, z, gn, x, ps ) (es. “quel cane”). 2.1.4 La sillaba La sillaba è costituita da un fonema vocalico o da un insieme di fonemi, pronunciati con un’unica emissione di voce. Distingu iamo tra sillaba aperta, quando finisce in vocale, e sillaba chiusa se finisce in consonante. 2.1.5 L’accento L’accento in italiano è di tipo intensivo, cioè conferisce alla sillaba accentata una maggiore intensità o forza articolato ria. Le sillabe accentate si chiamano toniche, quelle non accentate atone. Le parole italiane sono generalmente accentate sulla penultima sillaba e si definiscono piane o parossitone;; se l’accento è sull’ultima sillaba la parola è tronca o ossitona;; se cade sulla terzultima è sdrucciola o proparossitona. Le parole prive di accento proprio sono chiamate clitiche: enclit iche se si appoggiano alla parola precedente, unendosi anche graficamente ad esse ( es. visitale / dirvi ); proclitiche se si appoggiano alla parola che segue ( es. mi vede / lo chiamo ). All’interno di una parola l’accento non è segnato graficamente, ma può esserlo per evitare ambiguità , quando la parola possiede un omografo (es. prìncipi / princìpi; àncora / ancòra ). Quanto all’uso dei diversi accenti grafici, l’accento acuto viene di preferenza messo sulle vocali chiuse ( es. né / perché ) , quello grave sulle

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vocali aperte (es. andò/ caffè ). Infine ricordiamo che per alcune parole può esserci una doppia accentazione: questo accade per un gruppo di parole di origine greco - latina che possono avere l’accento dal greco, generalmente proparossitono, oppure dal latino, parossitono ( es. èdile/ edìle; èdema/edéma, sclèrosi/scleròsi ). 2.1.6 L’intonazione L’intonazione riguarda le modalità di pronuncia di insiemi di parole, detti gruppi tonali (segmento di discorso orale tra due pause, caratterizzato da un particolare andamento melodico ). Gli elementi che caratterizzano un gruppo tonale sono: - tono: frequenza delle vibrazioni delle corde vocali - distribuzione - intensità degli accenti L’andamento intonativo di un enunciato viene chiamato tonia; sono state individuate 3 diverse tonie : conclusiva di andamento discendente, interrogativa di andamento ascendente, sospensiva. 2.2 Morfologia e Morfosintassi 2.2.1 Morfologia e Morfosintassi Morfologia: settore relativo alla forma delle parole; tra le diverse parti variabili del discorso è il verbo quella che presenta la maggiore variazione morfologica ( poiché mantiene la differenziazione latine di forme per le singole persone ). Morfosintassi: si occupa delle relazioni tra la forma e la funzione, tra la forma e il suo uso in unione con altre parole ( es. Lui: usato come complemento diretto e indiretto, ma anche come soggetto al posto di egli ). 2.2.2 Le parti del discorso Sono le categorie fondamentali del sistema morfologico: nome, articolo, aggettivo, pronome, verbo, avverbio, preposizio ne, congiunzione, interiezione. Questo schema di derivazione greco-latina è stato messo in discussione, in quanto l’individuazione di queste categorie si basa su criteri non omogenei. Sulla base di queste considerazioni possiamo individuare questi differenti criteri: - criterio logico-contenutistico o semantico - nozionale: si basa sul contenuto di ciò che le stesse categorie indicano ( es. per il nome: persone, animali, cose, concetti/ per il verbo: azioni, stati, modi d’essere ). - criterio funzionale: si basa sulla funzione esercitata dalla parola - criterio distribuzionale: si basa sulla posizione che la parola occupa rispetto ad altre parole nella frase ( es. preposizion e prima del nome / avverbio prima del verbo ). 2.2.3 L’art icolo -Determinativo: designa una classe, una categoria, oppure indica una persona o un oggetto noto già presente nel contesto precedente. -Indeterminativo: comprende forme solo singolari e indica un membro di una classe, un oggetto, una persona generica o non anco ra precisato. Per il plurale si usa alcuni/ alcune; dei/delle. L’italiano presenta scarse oscillazioni e incertezze: notiamo però che nelle regioni settentrionali l’articolo è usato davant i al nome proprio di persona. 2.2.4 Il nome Varia nel genere e nel numero, la cui distinzione è affidata all’articolo e alle preposizioni articolate. La classificazione dei nomi in base al loro significato prevede la distinzione tra nomi propri che designano un particolare individuo di una specie o di una categoria, comuni che designano ogni possibile individuo di una specie o categoria, collettivi che designano un gruppo di individui, concreti che designano oggetti percepibili dai sensi o aiutati da strumenti di percezione, astratti che designano concetti. Un’altra classificazione che è stata aggiunta recentemente è tra nomi numerabili ,che indicano oggetti o entità delimitabili, che possono esistere in una pluralità; non numerabili che indicano sostanze amorfe o materiali considerati genericamente ( es. acqua/ latte/sale; legno/ferro ); nomi di massa. Dal punto di vista morfologico ci limitiamo a notare due irregolarità: - nomi maschili terminanti in -co / -go: possono avere il plurale in -chi/-ghi o in -ci/-gi senza che si possa indicare una regola precisa ( es. porco/porci; amico/amici ma cuoco/cuochi; fungo/funghi ). - nomi femminili che escono in -cia/-gia: generalmente al plurale mantengono la i se la consonante palatale è preceduta da una vocale ( es. valigia/valigie ) la perdono se è preceduta da una consonante ( es. mancia/mance ) ma con un certo margine di irregolarità. 2.2.5 Aggettivo E’ la parte del discorso, variabile nel genere e nel numero, che serve a modificare il nome a cui si riferisce dal punto di v ista della qualità o della determinazione. - Aggettivo qualificativo: può avere 3 diverse funzioni:

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1. Funzione attributiva, se si collega ad un nome ( quel ragazzo allegro ) 2. Funzione predicativa, se si collega a un verbo ( quel ragazzo è allegro ) 3. Funzione avverbiale, se usato al posto di un avverbio (gli piace guidare veloce ) L’aggettivo qualificativo può esprimere il grado in cui la qualità è posseduta e quindi può avere i grado positivo, il grado comparativo, il grado superlativo. Generalmente è collocato dopo il nome, ma ci sono casi in cui come ornamento è posto prima. -Aggettivo determinativo: rientano in questa categoria i possessivi; i dimostrativi; gli indefiniti; gli esclamativi; i numera li ordinali. 2.2.6 Pronome Indica una parola che sta al posto del nome, che sostituisce anche un’un in frase oppure può avere la funzione di indicare qualcosa o deittica o quella di congiungere due proposizioni. - Pronomi personali - Pronomi dimostrativi - Pronomi interrogativi - Pronomi relativi: collegano le proposizioni tra loro ( forma invariabile “che” può avere funzione di soggetto, oggetto/ cui ) 2.2.7 Verbo Può indicare un’azione svolta dal soggetto, uno stato del soggetto, oppure una relazione tra il soggetto e il nome del predicato. Le categorie che ne determinano le forma sono: - modo: atteggiamento che il parlante assume verso la propria comunicazione e il tipo di comunicazione che instaura con il suo interlocutore: certezza/affermazione; dubbio; comando ecc - tempo: indica il rapporto cronologico tra l’azione espressa dal verbo e il momento in cui viene proferito l’enunciato o tra un’azione e un’altra. - persona: determina la flessione morfematica delle forme verbali - diatesi: esprime il rapporto logico del verbo con il soggetto e il verbo - aspetto: può essere definito la categoria grammaticale del verbo che esprime i diversi modi di osservare la dimensione temporale interna alla situazione descritta dal verbo stesso. Distinguiamo tra aspetto perfettivo ( eventi conclusi: pass. Remoto; pass. Prossimo ) e aspetto imperfettivo ( eventi visti nel loro svolgersi: imperfetto ). I due passati possono essere distinti in perfetto aoristico in cui l’azione non ha effetti sul presente (pass. Rem.) e perfetto compiuto in cui gli effetti perdurano sul presente (pass. pross.). Per l’imperfetto distinguiamo tra un aspetto progressivo ( es. mentre mangiavo, ha telefonato ) e un aspetto continuo ( es. da giovane andavo al cinema; stavo dormendo, quando è rientrato ). Sotto l’aspetto sintattico i verbi possono essere distinti in: Nelle forme finite: - predicativi: indicano un’azione svolta dal soggetto o uno stato di esso. - copulativi: se collegano il soggetto con un aggettivo o un nome con funzione simile al verbo essere copula ( es. sembrare, ap parire, diventare ecc..) Nelle forme non finite ( infinito, participio, gerundio ): - attributivi: analogamente all’aggettivo - avverbiali: modificando un verbo o una frase ( es. vive sognando ) - referenziale: come un nome ( es. dormire è necessario ) Inoltre possono essere, sempre dal punto di vista sintattico: - transitivi: hanno un complemento oggetto - intransitivi: non hanno un complemento oggetto - ausiliari: verbi che si uniscono ad altri per dare luogo alle forme composte ( avere con i verbi transitivi; essere con i ve rbi intransitivi ) - modali o servili: si usano in compos izione con l’infinito senza preposizione ( potere, volere, dovere ) Dal punto di vista morfologico distinguiamo: - verbi regolari: la cui flessione segue la regolarità delle forme per le tre coniugazioni - verbi irregolari: che presentano irregolarità di flessione, nel passato remoto e nel participio passato - verbi difettivi: hanno solo alcune forme ( es. ostare/ competere / esimere ) - verbi sovrabbondanti: appartengono a due coniugazioni. Per alcuni di questi verbi la due forme hanno una differenza di significato ( es. arrossare: rendere rosso / arrossire: diventare rosso ); per altri invece il significato è identico ( es. compiere/ compire ) - verbi impersonali: non hanno un soggetto determinato e si usano nella forma della terza persona singolare di modi finiti oppure nei modi indefiniti. Sono così i verbi che indicano una condizione meteorologica, ma anche sembrare ( es. mi sembra che tu sia.. Ma an che : mi sembri.. )/ accadere /occorrere. - verbi riflessivi: sono quelli in cui soggetto e oggetto coincidono ( es. il gatto si lava ) L’uso di tempi e modi: - presente: oltre ad essere usato per indicare un’azione contemporanea al momento dell’enunciazione, viene usato nella lingua scritta come presente storico. - passato prossimo: tende a diffondersi a spese del passato remoto su influenza settentrionale. - imperfetto: presenta soprattutto nel parlato molti usi che trascendono l’aspetto temporale, assumendo piuttosto funzioni moda li ( imperfetto ipotetico, imperfetto irreale, imperfetto ludico; imperfetto di cortesia; imperfetto di pianificazione ) Per quanto riguarda i modi: - indicativo: modo della realtà

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- congiuntivo: modo del dubbio - condizionale: modo dell’eventualità - imperativo: modo del comando 2.2.8 Part i invariabili - Congiunzioni: hanno la funzione di congiungere tra loro elementi della frase o proposizioni all’interno del periodo. Se congiungono proposizioni possono essere coordinative o subordinative. - Preposizioni: oltre ad essere preposte ai nomi possono come le congiunzioni, introdu rre subordinate però solo quelle implicite, cioè costruite con l’infinito. - Avverbio: può aggiungere significato o modificare il verbo, l’aggettivo o anche la frase intera. - Interiezione: ha principalmente una funzione espressiva ed è caratteristica soprattutto della lingua parlata, pur ricorrendo anche in quella scritta. 2.3 Sintassi della frase o del periodo 2.3.1 Concetti base e terminologia - Frase: unità di massima estensione della grammatica, composta di unità inferiori (parole e sintagmi), dotata di senso compiuto e costruita secondo regole sintattiche - Proposizione: definibile come unità base della sintassi, all’interno del periodo - Enunciato: unità di testo; è il segmento di testo distinto dal testo da pause-silenzio nel parlato e da segni di interpunzioni forti nello scritto. 2.3.2 La frase semplice: struttura e composizione -Soggetto: è il primo elemento che completa il significato del verbo e concorda con esso dal punto di vista grammaticale. Può essere espresso ma anche sottointeso. E’ opportuno distinguere tra soggetto grammaticale, che indica chi compie l’azione e concorda con il verbo e il soggetto logico che indica chi compie l’azione ma può non coincidere con il soggetto grammaticale. - Predicato. È ciò che si dice del soggetto, e indicato lo stato o l’azione attribuita ad esso. Può essere distinto in predicato verbale e in predicato nominale ( verbi copulativi, perché legano il soggetto a un nome o a un aggettivo ) - Complemento oggetto o diretto: è ciò su cui ricade l’azione del soggetto ed espressa dal predicato, ed è a questo legato direttamente, cioè senza preposizione. - Complementi indiretti: sono gli elementi che completano ulteriormente il significato del predicato verbale e sono introdotti dalle preposizioni ( di termine; di specificazione; di causa; di fine o scopo, di modo; di compagnia; di agente e causa efficiente ecc.. ) - Attributo: aggettivo che qualifica o determina un sostantivo con cui concorda dal punto di vista morfologico - Apposizione: sostantivo che si aggiunge ad un altro per caratterizzarlo e specificarlo meglio. 2.3.3 La frase semplice: tipologia A seconda del criterio di analisi si possono distinguere diversi tipi di frase: - frase verbale: se contiene un verbo in funzione di predicato - frase nominale priva di verbo in funzione di predicato - frase ellittica: verbo sottointeso in quanto presente in una frase precedente ( es. Tino preferisce i fichi, Barbara l’uva ) Dal punto di vista contenutistico e logico: - frasi enunciative o dichiarative: contengono un’enunciazione, una dichiarazione che può essere affermativa o negativa ( negativa totale o parziale ) - frasi volitive: esprimono un comando un’esortazione, un desiderio o una concessione - frasi interrogative: caratterizzate nel parlato da un’intonazione ascendente e nello scritto dalla presenza del punto interrogativo. - frasi esclamative: caratterizzate nel parlato da un’intonazione discendente, nello scritto dal punto esclamativo. 2.3.4 La frase complessa Il periodo o frase complessa o multipla, composto di frasi legate tra loro secondo differenti modalità, rappresenta una costruzione macrosintattica fondamentale per le esigenze comunicative cui la lingua deve far fronte. Le proposizioni di un periodo si distinguono prima di tutto, secondo il loro ruolo, in principali (o reggenti o sovraordinate ) dalle quali dipendono le secondarie (o dipendenti o subordinate ). Nella frase complessa le proposizione possono legarsi secondo due modalità principali: la coordinazione ( paratassi: si susse guono sullo stesso piano senza una gerarchia ) o la subordinazione ( ipotassi) 1. Paratassi: può essere di diversi tipi: - coordinazione asindetica: ottenuta con segni di interpunzione; viene chiamata anche giustapposizione. - coordinazione sindetica: con congiunzione ( polisindetica se collega più di due proposizioni). Può essere: copulativa quando indica un semplice affiancamento ( e/ né ); avversativa e sostitutiva se stabilisce una contrapposizione tra due azioni ( ma/ però/ invece ); disgiuntiva se pone un’alternativa tra le due azioni ( o/ oppure/ ovvero ); conclusiva se introduce una proposizione che completa o conclude quella precedente ( quindi/ dunque/ perciò ); esplicativa o dichiarativa se aggiunge una proposizione che chiarisce o conferma la precedente ( infatti / cioè ); correlativa se avvicina due proposizioni medianti congiunzioni correlative, cioè ripetute ( sia..sia/ né…né ). 2. Ipotassi: possono essere esplicite se il loro predicato è di modo finito o implicite in caso il predicato sia di modo non finito. La classificazione dei diversi tipi di subordinate può essere fatta seguendo diversi criteri, in parte, alternativi, in parte combinabili:

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1. Criterio di derivazione greco - latina: si basa sulla funzione logica svolta dalla proposizione. Si individuano perciò: - frasi soggettive: svolgono la funzione di soggetto - frasi oggettive: svolgono la funzione di complemento diretto - interrogative indirette - relative: possono essere avvicinate all’attributo e all’apposizione - avverbiali o frasi non-complementari: riconducibili ai complementi indiretti ( causali / finali / consecutive / concessive / ipotetiche / temporali / modali / comparative /limitative ecc.. ). 2. Criterio basato sul principio della valenza del verbo, che classifica le proposizioni in base al loro rapporto con il verbo: - argomentali: costituiscono l’espansione di uno degli argomenti del verbo della frase principale e comprendono le soggettive, le oggettive e le interrogative indirette: - avverbiali: completano quanto espresso nella principale con determinazioni di causa, fine ecc.. comprendono anche le relative. 3. Criterio di ordine formale, che considera la forma dell’elemento introduttore della proposizione subordinata o la forma de l suo predicato: - congiuntive: introdotte da una congiunzione subordinante - interrogative. Introdotte da pronomi e congiunzioni interrogativi - relative: introdotte dai pronomi relativi - participiali - gerundive - infin itive Seguendo il primo tipo di classificazione logico elenchiamo i diversi tipi di proposizione: - soggettive: funzione di soggetto della proposizione reggente; possono dipendere da verbi impersonali ( bisogna/ sembra / avviene ), da sintagmi composti dal verbo essere alla terza persona singolare uniti a un aggettivo ( è vero / è bene / è ora e cc..) o da verbi usati impersonalmente ( si vede / si dice / si spera ). Nella forma implicita sono costituite da un infinito da solo e preceduto dalla preposizione di; nella forma esplicita sono in trodotte da che con modo indicativo o congiuntivo a seconda del loro significato o dal tipo di sintagma introduttore, che può esprimere certezza o dubbio. - oggettive: dirette se corrispondono a un complemento oggetto e oblique se corrispondono a un elemento preposizionale. Dipendono da verbi di percezione, di affermazione, opinione, desiderio, speranza ecc.. Sono introdotte dalla congiunzione che o più raramente da come. Il modo può essere indicativo, congiuntivo, condizionale in relazione al significato del verbo reggente. L’oggettiva implicita, generalmente con lo stesso soggetto della reggente è all’infinito, preceduto o meno dalla preposizione di. - interrogative indirette: esprimono una domanda o un dubbio e possono essere distinte dal punto di vista semantico in totali, se la richiesta riguarda l’insieme della frase e la risposta sarà un sì o no, o parziali, se la richiesta riguarda un solo elemento della frase - relative: rappresentano la modalità di collegamento proposizionale più semplice. Sono introdotte da un pronome relativo o da un avverbio relativo (dove / come ), che richiama un elemento della reggente, denominato antecedente o testa. E’ importante distinguere tra relative determinative ( determinanti per il significato della reggente incompleto senza di esse ) e relative appositive o esplicative ( aggiunta di cui la reggente potrebbe fare a meno senza perdere il nucleo del suo significato ). La relativa può assumere una determinata funzione logica: causale, consecutiva, finale, temporale, ipotetica. - causali: esprimono la causa di cui la principale è l’effetto - finali: esprimono il fine, l’obbiettivo verso il quale tende l’azione espressa nella reggente. - consecutive: esprimono una conseguenza rispetto al contenuto della principale, la quale rappresenta una premessa. - concessive: indicano una condizione la cui conseguenza naturale sarebbe normalmente in contrasto con il contenuto espresso nella principale. - ipotetiche o condizionali: esprimono la condizione necessaria per l’avverarsi del contenuto della principale, insieme alla quale costituiscono il periodo ipotetico. La subordinata condizionale viene detta protasi, mentre la principale apodosi. Il periodo ipotetico introd otto da se può essere di tre tipi: 1° della realtà ( i fatti sono presentati come certi e si usa l’indicativo sia in protasi che apodosi ); 2° della possibilità ( i fatti sono presentati come possibili e si usa il congiuntivo );; 3° dell’irrealtà ( i fatti sono presentati come impossibili e si usa il congiuntivo ). - comparative: stabiliscono una comparazione con la principale, con la quale sono in correlazione; possono essere di uguaglianza, minoranza, maggioranza - temporali: indicano un evento che è in rapporto cronologico con quello della reggente e può essere di contemporaneità, anteriorità, posteriorità. 2.4 Interpunzione 2.4.1 Le funzioni della punteggiatura - funzione segmentatrice-sintattica: consiste nel segmentare il testo distanziando i diversi componenti di esso e nel segnalare le divisioni e i rapporti sintattici all’interno della frase complessa, cooperando in modo significativo al chiarimento del suo significato ( punto fermo, virgola a legare; punto e virgola ) - funzione enunciativa: legata a fattori espressivi come riflesso del parlato e a fattori pragmatico - testuali informativi. Rientra in questa funzione per esempio a separazione del tema di una frase, cioè dell’elemento informativo più debole perché noto, rispetto al rema. - funzione emotivo-intonativa: alcuni segni particolari danno alla frase una particolare linea intonativa. - funzione metalinguistica: consiste nell’uso di determinati segni interpuntori per inserire elementi di spiegazione relativi a parti dell’enunciato ( es. parentesi / lineette/ virgole che racchiudono incisi ) 2.4.2 La punteggiatura in diversi tipi di testi E’ importante notare come l’uso della punteggiatura varia a seconda del tipo di testo:

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- testi argomentativi: la punteggiatura deve rispondere esclusivamente alla funzione segmentatrice-sintattica e metalinguistica - testi letterari, creativi: è anche presente la funzione enunciativa, che acquista valenza per il carattere stilistico delle opere. 2.4.3 Uso e abuso dei principali segni di interpunzione Virgola: trova impiego obbligatorio e facoltativo nei seguenti casi: a) all’interno di una proposizione: -obbligatoria: a separare gli elementi di una lista priva di congiunzioni - facoltativa: a separare dagli altri elementi un complemento esteso b) all’interno di un periodo: - obbligatoria: tra due o più proposizioni collegate per asindeto - opportuna: tra una subordinata che precede una principale e la principale stessa - obbligatoria: a separare una subordinata posposta che abbia forte autonomia rispetto alla principale - opportuna: quando non necessaria, con incisi - opportuna tra due proposizioni coordinate interrotte da congiunzioni come ma / o c) non deve essere usata: - tra soggetto e predicato - tra predicato e complemento oggetto - prima di proposizioni oggettive - subito dopo il che introduttore di una proposizione Punto e virgola: rappresenta uno stacco maggiore della virgola, si usa: - per separare termini di un elenco se lunghi o complessi o se contengono al loro interno altra punteggiatura. - per separare proposizioni Due punti: - introdurre discorso diretto - introdurre elementi informativi ed esplicativi. Punto fermo: rappresenta l’interruzione massima all’interno del periodo. Può avere maggiore o minore valenza separatoria se la frase prosegue sullo stesso rigo o se segue un a capo. Puntini di sospensione: devono essere sempre 3: - indicano una sospensione di varia natura nel discorso - indicano un cambio di progettazione del discorso - indicano omissione di una parte del testo che si cita 2.5 L’ordine delle parole o topologia e la sintassi marcata 2.5.1. Generalità sull’ordine delle parole in italiano L’ordine basico, non marcato, è quello diretto SVO ( soggetto+verbo+oggetto diretto ) e SVOOI (soggetto+verbo+oggetto diretto+oggetto indiretto ). Diverso è l’ordine marcato, quando per ragioni di espressività o per particolari esigenze comunicative si modifica l’o rdine normale, per esempio enfatizzando un costituente. 2.5.2 Costruzioni dell’ordine marcato, sintassi marcata - Soggetto posposto: il soggetto è posposto al verbo in determinate situazioni, per espressività, marcatezza, enfatizzazione, c ontrasto ( es. E’ venuto Tino, non Babi ); nelle frasi interrogative, esclamative, esortative con verba dicendi ( es. Ha detto Tino di andare subito ); con determinati verbi di accadimento inaccusativi ( il cui soggetto ha caratteristiche proprie anche dell’oggetto ) (es . E’ arrivato il treno );; per enfatizzare il soggetto di contro all’ordine diretto. - Dislocazione a sinistra: si ha anticipazione, del complemento oggetto, tema già presente nella comunicazione, mentre l’informazione nuova la si pone a destra. L’elemento anticipato diverso dal soggetto prende il nome di tema e lo si pone a sinistra, seguito dal predicato -rema-nuovo a destra, con una congiunzione sintattica mediante una ripresa pronominale anaforica. La tematizzazione è più frequente con il compl.oggetto ma si ha anche con altri costituenti: compl. Indiretto ( es. a tuo padre gli ho già parlato ); complemento predicativo del soggetto ( es. stupido Tino ha sempre dimostrato di esserlo ); intera proposizione ( es. che sare i venuto, te lo avevo già detto ). -Tema libero o sospeso: è formato da un costituente con apparente funzione di soggetto, collocato a inizio frase, seguito da una costruzione non congruente e senza collegamento pronominale ( es. gli asparagi adesso non è stagione ). E’ un costrutto del parlato. Rientra nella categoria dell’anacoluto ì, delle costruzioni che presentano un’interruzione, un salto dal punto di vista della concordanza sintattica. -Dislocazione a destra: consiste nella collocazione di un costituente in posizione finale, a destra e nella sua anticipazione con un pronome cataforico ( es. l’ho già salutato Tino / li hai tu i biglietti vero? ). L’elemento già noto, il tema viene ripetuto, in una specie di aggiunta alla frase, che sarebbe già completa e comprensibile. -Frase scissa o pseudo scissa: è costituita da una prima unità frasale contenente il verbo essere e l’elemento focalizzato ( rema ), e una seconda

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proposizione pseudo relativa, in cui si richiama un’informazione in parte presupposta ( tema ) (es. è Tino che mi ha detto di te ). Ha la funzione di far identificare più facilmente l’elemento nuovo, e di enfatizzarlo, ma anche di spezzare il contenuto, e d i mantenere la continuità referenziale con il discorso precedente. 2.6 Lessico 2.6.1 Termini base, generalità Lessico: insieme delle parole di una lingua; rispetto alla grammatica che è un sistema chiuso, è considerabile come un sistema aperto, c ioè passibile di accogliere sempre nuovi elementi. Sul piano sincronico, il lessico è organizzato in classi di parole secondo la grammatica; non può essere studiato indipendentemente dalla sua struttura grammaticale e vi è uno stretto legame tra lessico e grammatica nella formazione delle parole. Sul piano diacronico, è possibile che avvenga una possibile variazione del rapporto fra i due settori nel tempo: la grammaticalizzazione consiste nel passaggio di elementi lessicali al sistema grammaticale; la lessicalizzazione è il passaggio consiste nel passaggio di un elemento grammaticale a elemento lessicale (es. cantante: participio presente che diventa sostantivo ) 2.6.2 Composizione del lessico italiano E’ composto fondamentalmente da voci provenienti dal latino, da neoformazioni e da prestiti. - Latino:è composto da un numero molto alto di parole che provengono dal latino volgare o dal parlato dell’epoca imperiale. Queste voci si sono modificate nel passaggio dal latino all’italiano subendo trasformazioni fonetiche e morfologiche, spesso anche semantiche ( es. speculum>specchio / domina>donna ). A queste parole, che possiamo chiamare popolari, fanno riscontro anche altre parole sempre provenienti dal latino, ma derivate per via dotta e che non hanno subito se non parzialmente modifiche fono-morfologiche che hanno investito le voci popolari (es. sapienza / repubblica/ insetto/pagina ecc..). Per alcune voci latine esistono in italiano gli esiti sia popolari, sia dotti ( es. Vitium>vezzo/vizio ; causa>cosa/causa; angustia> angoscia/angustia ). - Neologismi: sono parole nuove, create in momenti diversi della storia linguistica italiana in base a diversi tipi e modalità di formazione: I. neologismi combinatori: si formano per derivazione o per composizione: -derivazione: si formano da parole preesistenti nuove parole con elementi aggiunti: a) prefissi: non comporta cambiamento di categoria di parola; i prefissi nominali e aggettivali ( nomi e aggettivi derivati con prefissi ) si formano con prefissi provenienti da preposizioni o avverbi ( es. postoperatorio; disfunzione ), con prefissi intensivi ( es. strabello ), con prefissi negativi ( es. incapace; scontentezza ). Tra i prefissi verbali sono comuni gli intensivi ( es. stracuocere; strafare ), o altri con diversi significati, come de-/ dis-s- con valore negativo ( es. destrutturare; slegare ), contro-/contra- ( es. contrapporre ), inter-/intra- ( es. intrattenere ). Tra i prefissi più produttivi dell’italiano possiamo citare: anti- ( es. antagonismo; antifascista ), co- (es. cofinanziamento ), de- ( es. deburocratizzazione ), mega- ( es. meganegozio ), mini- (es. minibomba ), super- (es. superfondo ), iper- (es. ipermoderno ). b) suffissi: si distinguono in suffissati denominali, deaggettivali, deverbali. Tra i suffissi più produttivi dell’italiano si possono citare: -ismo/-ista (es. sondaggismo; leghista ), -izza-zione (es. mercatizzazione ), -ità che indica un processo di astrazione ( es. genitorialità ); tra i suffissi aggettivali: -ale ( es. cimiteriale ), -ano (es. mondano ), -ese anche sostantivato ( es. computerese ); tra quelli verbali -are ( es. drinkare ), -izzare (es. cantierizzare; dollarizzare ). c) prefissoidi - suffissoidi: sono prefissi e suffissi di carattere particolare, che entrano nella formazione di termini tecnico -scientifici, con un valore più denso dei normali prefissi e suffissi, e spesso con un più denso significato. Tra i prefissoidi: auto- (con significato “da sé” o riferito all’automobile es. automobile;; autostrada ), bio - ( relativo alla vita es. bioartificiale o relativo alla biologia es. biosonda ), tele- ( che indica “ a distanza” es. televisione;; telelavoro o alla televisione es. telegiornale). Tra i suffissoidi: -crazia (es. infantocrazia ), -logia/-logo ( es. trapiantologia; filmologo ), -mania (es. lottomania ), -metro (es. sanitometro ), -poli (es. megalopoli; tangentopoli; assento poli ). d) parasintetici: intervento contemporaneo di due affissi (es. de-contestual-izzare). e)alterati: sono derivati con particolari suffissi che aggiungono al significato di base modificazioni relative alla quantità, alla qualità e al giudizio del parlante: diminutivi, accrescitivi, peggiorativi ecc.. -composizione: è l’unione di una o più parole per formare una parola nuova, un procedimento antico e popolare, oggi in grande espansione per le esigenze del linguaggio tecnico-scientifico. La lingua italiana preferisce la successione secondo cui l’elemento da determinare precede quello che determina ( determinato + determinante ): tra i composti con base verbale citiamo asciugamani; antropofagia. Tra i compos ti con base nominale vi sono i composti nome + aggettivo come terraferma, o di nome + nome come cartamoneta; cassapanca. II. Neologismi semantici: si formano attraverso forme preesistenti che possono acquisire nuovi significati ( es. calcolatore ). III. Unità lessicali superiori o unità polirematiche: si tratta di un accostamento di due o più parole a formare un’unità semantica ( es. ferro da stiro;; permesso di soggiorno ).L’unione di queste parole è caratterizzata da rigidità e compattezza, infatti non si può inser ire un elemento al suo interno. Sono molto diffuse nell’ambito politico ( es. larghe intese, politicamente corretto; zona di non volo ). - Arcaismi: sono usati raramente nella lingua comune, dove possono avere un uso scherzoso, ma hanno soprattutto un uso letterario sia in prosa, sia soprattutto in poesia, come bagaglio del codice poetico o come elemento prezioso per il raggiungimento di effetti stilistici individuali. Sono forme vicine all’origine latina e possono essere: grafici (es. gennajo), fonetici (es. dimanda), morfologici (es. io aveva ), sintattici (es. vedevala ), lessicali ( es. poscia; egro ), semantici cioè voci che vengono usate in accezioni diverse da quelle che possiedono nella lingua comune ( es. lumi - occhi; cattivo - prigioniero; doglia - dolore ). -Prestiti: si dividono in prestiti di necessità ( cioè parole importate insieme a oggetti o usi di un popolo straniero prima sconosciuti es. caffè; computer ); prestiti di lusso ( cioè voci, in un certo modo superflue, motivate dal prestigio del modello straniero es. leade r; weekend ); prestiti integrati ( cioè adattati al sistema fonologico della lingua che acquisisce la voce es. bistecca - beef-steak ; sciampagna - champagne; disco rigido - hard disk ). Osservando questo fenomeno antico in prospettiva storica notiamo che la lingua italiana ha assunto nei primi secoli della sua storia molti gallicismi ( provenzale e francese ), germanismi ( goti, longobardi, franchi), arabismi, ispanismi (‘500). In epoca moderna forte è stata la presenza dell’influsso francese nel ‘700-’800 in vari campi. Moda, arredamento, cucina, vita sociale, politica. L’influsso inglese in questo

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periodo è giunto mediato dal francese ( es. club, sport;; coalizione;; tennis ). Gli anglicismi poi aumentano dal ‘900, pervenendo dal grande impulso del secondo dopoguerra. Un particolare tipo di prestito interno è rappresentato dai dialettalismi o regionalismi. -Onomatopea: si formano imitando suoni e rumori e con l’inserimento nella struttura fonomorfologica italiana (es. miagolare;; abbaiare;; tuffarsi; ronzio ). - Nome comune da nome proprio: come avviene nelle antonomasia (nome di un personaggio assunto a simbolo ) (es. cicerone; adone; cenerentola; bugnami; ampere; watt ecc..). III. Elementi di testualità 3.1 Testo e tipologie testuali 3.1.1 Che cos’è un testo Il testo è l’unità fondamentale dell’attività linguistica, dotata dei caratteri di unità e completezza per rispondere a una precisa volontà comunicativa. E’ frutto di un progetto con precisi obbiettivi, è un messaggio che assume un senso solo se collocato in una si tuazione comunicativa. La dimensione del testo è infatti sempre più interattiva: da un lato avremo un emittente, dall’altro uno o più destinatari, ciò fa sì che alla sua puntuale definizione e corretta interpretazione siano necessarie precise coordinate extra linguistiche: come v edremo più avanti, il testo non è tale se non inserito in un contesto pragmatico. 3.1.2 La tipologia tradizionale Per quanto riguarda i testi letterari esistono tentativi di classificazione che risalgono all’antichità. Gli studiosi di reto rica aveva individuato nel discorso prosastico diverse partizioni: descrizione, narrazione, esposizione,argomentazione. Tali partizioni tradizionali vengono poi riprese, con aggiunte o riduzioni, nelle recenti tipologie testuali. La più diffusa tra queste è quella proposta da E.Weirlich che distingue 5 tipi fondamentali di testo:narrativo, descrittivo, espositivo, regolativo, argomentativo. - testo narrativo: registra un’azione o, nel caso di soggetto inanimato, un processo nello svolgersi del tempo;; è legato alla matrice cognitiva che presiede le percezioni temporali. Gli ambiti del narrativo non includono solo la letteratura ma anche i testi pragmatici (articoli di giornale, biografie, reso conti di viaggi ). Gli eventi e le trasformazioni raccontati sono disposti in una sequenza che può coincidere con il progressivo svolgersi del tempo; in questo caso si avrà la coincidenza tra la fabula, cioè l’ordine naturale degli eventi, e l’intreccio, cioè la reale disposizione degli eventi nel racconto. Non sempre però si può avere questa coincidenza: il narratore può interrompere la successione lineare degli avvenimenti, anticipando o posticipando parti dell’azione (tramite analessi - flashback o prolessi ). - testo descrittivo: rappresenta persone, oggetti, ambienti in una dimensione spaziale ed è correlato alla matrice cognitiva che consente di cogliere le percezioni relative allo spazio. La descrizione può essere condotta secondo un criterio spaziale o un criterio lo gico ( es. dal particolare al generale o viceversa ). Se la descrizione letteraria ricerca il coinvolgimento emotivo, anche con l’esplicitazione della soggettività dell’autore, più neutre ed oggettive cercano di essere le descrizioni nei testi pragmatici, specialmente di tipo tecnico. - testo espositivo: è finalizzato all’organizzazione e alla trasmissione di concetti e conoscenze attraverso procedimenti di analisi e di sintesi. E’ collegato alla matrice cognitiva che permette la comprensione di concetti generali e particolari, e consente una corretta ana lisi dei primi e una corretta sintesi dei secondi ( es. lezioni, manuali scolastici, saggi di divulgazione, voci enciclopediche, poesia didattica ), - testo regolativo: ha lo scopo di indicare regole, dare istruzioni, in modo tale da indirizzare il comportamento del destinatario. E’ correlato alla matrice cognitiva che pianifica il comportamento del futuro (es. leggi, regolamenti, ricette di cucina, regole dei giochi, is truzioni per l’uso ).I testi devono essere intesi come provenienti da un’autorità, che può essere tale istituzionalmente o perché le si riconosce una particolare competenza in una determinata materia. -testo argomentativo: ha lo scopo di persuadere di qualcosa il destinatario; deve indurlo ad accettare o a valutare positivamente o negativamente determinate idee o convinzioni (es. saggi scientifici, recensioni critiche, discorsi politici, arringhe ). Si divide in: tema in cui si dichiara la propria tesi;; argomento favorevole;; antitesi;; argomenti a favore della tesi;; argomento a sfavore dell’antitesi;; conclusione. 3.1.3 Il vincolo interpretativo come parametro tipologico Una proposta tipologica diversa è stata avanza recentemente da Sabatini: egli propone un modello che si fonda sul principio d i rigidità/elasticità del vincolo interpretativo posto da chi produce il testo al destinatario. Il produttore di un testo, nel rivolgersi a un destinatario, è guidato da un parametro fondamentale costituito dalla volontà di regolarne in modo più o meno rigido l’attività interpretativa. Per mezzo di tale parametro, si individuano tre grandi classi: -testi molto vincolanti : la libertà di interpretazione è esplicitamente regolata se non ristretta al massimo (es. testi di legge ) -testi mediamente vincolanti: l’emittente tempera la necessità di un’interpretazione aderente alla propria, poiché intende far raggiungere per gradi al destinatario uno stadio di conoscenze o posizioni diverso da quello di partenza (es. saggi critici, testi giornalist ici ). -testi poco vincolanti: al destinatario, dai contorni difficilmente definibili, viene lasciata ampia libertà ( es. testi letterari ). All’interno di questi 3 macrotipi sono poi individuate delle classi intermedie a seconda delle funzioni particolari che l’emittente attribuisce al proprio atto comunicativo, a loro volta disposte lungo una scala di graduale vincolo.La classificazione tipologica di Sabatini, inoltre, non prescinde dalla superficie linguistica dei testi. Ogni classe è distinta dalla presenza/assenza o dalla neutralizzazione di p recisi tratti linguisti o testuali ( es. testi vincolanti: ordine di costruzione rigorosamente impostato ed evidenziato; fanno riferimento a precisi principi [postulati/assiomi] che vengono espressi nel testo o in qualche modo richiamati; fanno uso dei legamenti semantici solo del t ipo “ripetizioni” o di sostituenti assolutamente univoci; hanno una punteggiatura che rispetta sempre la costruzione sintattica ).

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3.2 I requisiti del testo 3.2.1 I principi costitutivi di un testo Chi produce un testo vuole comunicare qualcosa a qualcuno, ma per fare ciò deve rispettare i 7 principi costitutivi di un testo: 2 principi relativi alla veste linguistica ovvero la coesione e la coerenza e 5 principi pragmatici, relativi cioè al contesto extralinguistico: intenzionalità, accettabilità, informativi, situazionali, intertestualità. -Coesione: consiste ad un primo livello nel collegamento grammaticale di tutte le parti di un testo. Oltre ai rapporti grammaticali e all’ordine delle parole, vi sono elementi di varia natura linguistica, che contribuiscono a legare t ra loro le parti del testo; tali elementi vengono detti coesivi e possono essere distinti in due categorie: forme sostituenti e segnali discorsivi. a)forme sostituenti: partecipano al fenomeno della foraticità, rimandano cioè a espressioni linguistiche precedenti o seguenti ( anafora e catafora) che ne determinano il riferimento, così da indicare la continuità tematica del testo. Tra le forme sostituenti rico rdiamo i pronomi, i nomi, gli aggettivi, i verbi, le perifrasi, tutti quegli elementi che possono prendere il posto di altri già apparsi nel testo; un ruolo importante giocato dalla sostituzione è giocato dagli iperonimi e dai sinonimi, dai fenomeni di ricorrenza, dai nomi generali. b) segnali discorsivi: si tratta di elementi che appartengono a varie categorie grammaticali e che, perdendo il loro significato originario, hanno tra le funzioni primarie di indicare l’articolazione del testo, i rapporti tra le sue parti e ancora di collocare il testo in una dimensione interpersonale nel caso del parlato, in cui il loro uso è prevalente. Quando sono usati per legare tra loro le parti di un testo la loro funzione è di connettivi testuali e sono per lo più collocati all’inizio di un enunciato ( tra le altre: congiunzioni;; interiezioni;; sintagmi verbali es. “guarda, il tuo amico è simpatico”;; sintagmi preposizionali es.” in altre parole, io..”;; espressioni frasali es. “Giovanni è, come dico, stup ido”;; avverbi frasali “onestamente, speravo che..”). -Coerenza: consiste nel collegamento logico di tutti i suoi contenuti e nella sua continuità semantica. Possiamo dire che mentre la coesione riguarda l’unità di superficie del testo, la coerenza riguarda il livello profondo, l’unità concettuale. In un testo la coerenza opera a vari livelli: possiamo individuare una coerenza tematica, una logica e una semantica. Se noi consideriamo un enunciato nella prospettiva dell’informazione, notiamo che è scomponibile in parti con diverso statuto comunicativo: avremo un argomento di cui si sta parlando, il tema, e qualcosa che si dice intorno ad esso, il rema. Es. “Francesca coltiva tulipani”: Francesca è la parte nota dell’informazione, il tema appunto;; coltiva i tulipani è invece la parte nuova, ciò che viene detto riguardo a Francesca, il rema. L’organizzazione di un enunciato in tema e rema in relazione anche al testo in cui compare, che può essere analizzato come una sequenza di coppie tema-rema. A seconda di come si alternano possiamo distinguere 5 tipi di progressione tematica: - Progressione lineare: il rema di un enunciato diventa il tema dell’enunciato seguente (es. Francesca coltiva i tulipani. I tulipani sono piante) -Progressione a tema costante: in una sequenza di enunciati, il tema del primo rimane invariato nei successivi. - Progressione a temi derivati da un ipertema o da un iperrema: es. “la città sembrava una città fantasma. I quartieri erano deserti.Le finestre delle case senza luci”. L’ipertema città del primo enunciato viene progressivamente scomposto nelle sue parti costitutive nei temi degli enunciati successivi. -Progressione con sviluppo di un tema o di un rema dissociato: es. “Giovanna andrà al cinema con Tino e Mauro. Tin preferisce i film d’azione. Mauro preferisce le commedie” Il rema del primo enunciato viene scomposto nei due elementi che lo costituiscono i quali diventano a loro volta temi nei seguenti enunciati. -Progressione tematica a salti: Ogni enunciato presenta un tema diverso. Nella realtà dei testi i vari tipi di progressione tematica si presentano generalmente insieme. La progressione tematica partecipa alle strategie di coesione; ma allo stesso tempo riguarda il livello semantico comunicativo ed è perciò uno strumento fondamentale della coerenza testuale.Le azioni sono collegate tra loro da rapporti logici: la coerenza, a volte, pu ò intervenire a supplire una scarsa coesione. La coerenza semantica riguarda la compatibilità tra i significati delle parole, dei sintagmi o delle proposizioni. -Intenzionalità: riguarda l’atteggiamento del parlante o dello scrivente il quale, nel produrre un testo, vuole che questo risulti tanto coeso e coerente quanto è necessario perché sia adeguato alle proprie intenzioni comunicative. -Accettabilità: è la volontà o capacitò del destinatario di riconoscere l’atto linguistico del mittente come testo tanto coeso e coe rente quanto è necessario per intenderne il contenuto comunicativo. L’accettabilità quindi non dipende solo dal testo ma anche e strettamente dal contesto extralinguistico,sociale e culturale. -Informatività: è il grado di informazione veicolata dal testo; ciò che comunica un testo può giungere atteso o inatteso, già conosciuto o ignoto oppure, ancora incerto. L’informatività riguarda in primo luogo il contenuto del testo, ma ha a che fare con i singoli elemen ti linguistici che lo compongono (es. lapsus è riconoscibile senza l’aggettivo freudiano il cui grado di informatività risulta nullo) . -Situazionalità: è la dipendenza di un testo dalla situazione in cui è prodotto: mutando situazione un testo può anche aumentare o perdere ril ievo (es. “pericoloso sporgersi” è di immediata comprensione se posto su un finestrino di un treno ). -Intertestualità: è il rapporto tra un testo con uno o più testi conosciuti in precedenza (es. “da questo momento è possibile slacciarsi le cin ture di sicurezza” è interpretabile solo in relazione a un precedente “allacciarsi le cinture di sicurezza” ) 3.2.3 I principi regolativi Esprimono il controllo circa l’uso dei testi;; tali requisiti sono l’efficienza, l’efficacia e l’appropriatezza. - efficienza: è il grado di impegno che un testo richiede nell’essere prodotto e correttamente inteso: sarà quindi di maggiore efficienza un testo prodotto con minimo sforzo e interpretato con facilità. - efficacia: è la capacità di un testo di fissarsi nella memoria del destinatario e di creare le condizioni favorevoli al raggiungimento del fine per cui è stato prodotto. - appropriatezza: è l’accordo tra i contenuti e l’impostazione testuale. E’ inappropriato ad esempio abusare di termini specialistici rivolgendosi a un interlocutore ignaro di una data materia; come sarebbe inappropriato rivolgersi a un gruppo di fisici spiegando loro il significato di ogni

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tecnicismo della fisica. L’appropriatezza ha un ruolo di mediazione tra l’efficienza e l’efficacia. 3.3 La lingua e il contesto extralinguistico 3.3.1 Gli atti linguistici Il testo è anche oggetto di studio della linguistica pragmatica. La linguistica pragmatica studia l’uso del linguaggio interno di una data situazione comunicativa. Centrale in essa è la concezione che parlare sia agire e che quindi ciascuno di noi nel suo commercio linguistico con gli altri compia degli atti linguistici. Il punto di partenza della teoria degli atti linguistici va indicato nel filosofo inglese John L.Austin: egli partiva dalla c onsiderazione dell’esistenza di due tipi di enunciati: constativi cioè enunciati che descrivono un atto e sono sottoponibili ad una valutazione di verità o falsità; e enunciati performativi, il cui verbo è alla prima persona del presente attivo, per mezzo dei quali non solo non si dice qualcosa, ma si compie anche un’azione. I verbi di tali enunciati sono chiamati performativi poiché hanno la proprietà di compiere l’azione che indicano. Si è notato però che in realtà ogni enunciato può avere una componente performativa, sia pure di grado o intensità diversi. Ciò ha portato al riconoscimento della compresenza di ogni singolo atto linguistico di tre diversi tipi di atto: - atto locutorio: ossia il semplice atto di dire qualcosa. Ogni enunciato è un atto locutorio in quanto successione di fonemi che formano parole, a loro volta disposte secondo le norme sintattiche di una data lingua. - atto illocutorio: cioè l’azione compiuta nel dire qualcosa. Ogni atto illocutorio è dotato di una forza illocutoria, cioè la tensione che chi parla assegna all’enunciato, che si manifesta attraverso un serie di i9ndicatori tra i quali l’intonazione o la scelta dei modi verbali. 3.3.2 Le implicature conversazioniali Spesso quando si parla non è detto tutto esplicitamente. La comprensione delle parole sta nel modo in cui sono pronunciate. Si deve al filosofo inglese H. Paul Grice una teoria in cui si tenta di offrire una spiegazione complessiva dei casi in cui t ra lettera di un enunciato e il suo reale significato non vi sia rispondenza: Grice osserva che la nostra conversazione si svolge normalmente secondo un principio di cooperazione;; infatti ogni interlocutore, nello scambio linguistico, da un contributo adeguato al momento, allo scopo e all’o rientamento del discorso. Affinchè i risultati siano conformi al principio di cooperazione devono essere rispettate 4 massime: -quantità: quantità dell’informazione, prevede che si dia un contributo tanto informativo, quanto è richiesto. -qualità: prevede che si tenti di dare un contributo che sia vero, quindi non si d ica ciò che si crede essere falso. -relazione: richiede di essere pertinenti- -modo: richiede di evitare l’oscurità di espressione, l’ambiguità, la prolissità non necessaria. In realtà in normali scambi linguistici, le 4 massime vengono continuamente viola te. Attraverso la loro violazione, si attua un’un implicatura conversazionale, si attiva cioè nel destinatario un processo inferenziale che lo porta a comprendere l’implicito nell’enuncia to. 3.3.3 La deissi E’ il fenomeno per cui alcuni elementi linguistici hanno la proprietà di mettere in relazione l’enunciato con la situazione in cui questo è prodotto. Tali elementi sono detti deittici e la loro corretta interpretazione dipende dalla conoscenza dei partecipanti all’atto comun icativo e alla loro posizione spazio - temporale. Possiamo distinguere 3 tipi di deissi: - personale: ci si riferisce a coloro che partecipano alla comunicazione. Si tratta in primo luogo dei pronomi personali, tonici e atoni, di prima e seconda persona. Può essere espressa anche tramite la flessione verbale ( es. andiamo indica due o più persone ); infine lo stesso valore deittico è negli aggettivi e pronomi possessivi di prima e seconda persona singolare e plurale. Non sempre invece sono deittici i pronomi di terza persona, poiché possono occorrere anche in contesti nei quali la loro interpretazione non è vincolata alla conoscenza della dimensione spazio - temporale dell’atto comunicativo. - spaziale: si indica la collocazione nello spazio di chi partecipa all’interazione comunicativa. Sono deittici spaziali gli avverbi qui/ qua / lì/ là, i pronomi e gli aggettivi dimostrativi.Si dice che vi è collegamento positivo quando il deittico esprime vicinanza, negativo qu ando esprime lontananza. - temporale: si indica la collocazione nella dimensione del tempo dei partecipanti all’atto comunicativo. Sono deittici gli avverbi adesso/ ora/ allora; alcune espressioni che contengono un sintagma di tempo ( es. 4 giorni fa; 3 anni orsono ); i pronomi e aggettivi dimo strativi; i morfemi verbali del presente ( es. temo ); del passato (es. temei; temevo ); del futuro ( es. temerò ). L’interpretazione di questi deittici è determinata dal momento in cui avviene l’enunciazione, che costituisce quindi il centro deittico. Abbiamo collocato i dimostrativi sia nei deittici spaziali, sia in quelli temporali. L’opzione tra le due interpretazioni dipende da due motivi: - il tipo di sostantivo a cui si riferisce il dimostrativo ( es. “in quell’anno mi trovavo in Italia” ;; “queste ragioni sono poco convincenti“ sono entrambi deittici temporali: il primo ha significato temporale, il secondo, essendo un sostantivo astratto, non può avere una collocazione fisica). - nel caso in cui il sostantivo non appartenga alle due categorie citate, l’interpretazione del dimostrativo è condizionata dal contesto linguistico ed extralinguistico. 3.3.4 Costrutti marcati Aspetti pragmatici sono ravvisabili nella scelta dell’ordine delle parole all’interno di una frase. Con qualche semplificazione in Italia l’ordine basico è SVO ( sogg + verbo+ ogg ). Talora però l’ordine non è rispettato per esigenze comunicative e ad esso si preferisce un ordine marcato dei costituenti. Va detto preliminarmente che una frase può essere considerata marcata sotto 3 aspetti: - sotto il profilo fonologico: quando presenta picchi intonativi e non andamento continuo. - sotto il profilo sintattico: quando l’ordine basico dei costituenti non è rispettato.

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- sotto il profilo pragmatico: quando alcuni elementi vengono messi in rilievo per determinati fini. Questi tre tipi di marcatezza non si escludono vicendevolmente, spesso sono compresenti nella stessa frase. L’ordine delle parole può essere considerato anche dal punto di vista della sua struttura tema -rema: non sempre vi è coincidenza tra soggetto - tema e predicato - rema; molto spesso le ragioni pragmatiche prevalgono sulla sintassi, dando luogo, a costrutti marcati: - dislocazione a sinistra: un elemento diverso dal soggetto viene spostato a sinistra dell’enunciato, divenendone il tema - dato, ed è quindi ripreso da un clitico nella parte successiva (es. “ la mela la mangia Tino ). - tema sospeso: pragmaticamente analogo alla dislocazione a sinistra, ma non vi è accordo grammaticale tra l’elemento dislocato e il clitico di ripresa ( es. “ Tino, non gli parlo da secoli” ). - dislocazione a destra: consiste nell’isolare a destra dell’enunciato un costituente, che viene anticipato da un pronome clitico ( es. la mangia Tino, la mela ). Tra gli elementi dislocabili ci sono il compl. Oggetto, un compl. Indiretto, un’intera proposizione. Vi sono due diverse funzioni pragmatiche in questo costrutto:la prima consiste nella messa in secondo piano del tema noto ( l’elemento dislocato ). La seconda si ha invece quando la dislocazione è frutto di un ripensamento: l’elemento dislocato viene aggiunto a completamento di un enunciato, per necessità di chiarezza. - topicalizzazione contrastiva: un costituente con valore nuovo viene collocato a inizio frase ed è pronunciato con enfasi ( es. TINO è arrivato ); non prevede la ripresa con il pronome atono. - frase scissa: vi è un’enfatizzazione, sia sintattica, sia innovativa, di un elemento, spesso con valore contrastivo, al quale è affidata la parte nuova dell’informazione. Si realizza secondo la struttura. Verbo essere + elemento focalizzato + che con valore intermedio tra pronome e congiunzione + resto della frase ( es. “è con Tino che dovete parlare” ;; “era lui che doveva telefonarti” ). 3.3.5 Usi pragmatici del verbo Alcuni modi verbali, in particolare il congiuntivo e il cond izionale, vedono ridursi i loro ambiti d’uso, specialmente nel parlato, Ciò sta provocando una progressiva semplificazione verbale. Molto frequentemente vediamo alcuni tempi dell’indicativo assumere valori modali, cioè vengono usati per spiegare l’atteggiamento del parlante e non indicano una relazione temporale come al solito ( vedi futuro epistemico, imperfetto epistemico, imperfetto irreale, imperfetto fantastico, imperfetto ludico, imperfetto di cortesia ). 3.3.6 Suffissi e intensificazione Nella conversazione si assiste oggi ad un incremento d’uso dei suffissi alterativi. Questo porta ad un procedimento, che ha funzione pragmatica, di intensificazione e di rielaborazione di quanto è stato detto in precedenza. Si itera una parola intensificandola per mezzo di un suffisso, e contemporaneamente si rielabora quanto detto in vari modi: condividendolo, negandolo, ecc.. ( es. “ Tino non è bello, è bellissimo!” ). IV. Profilo di storia linguistica italiana 4.1 Premessa L’oggetto degli studi della storia della lingua italiana è la variazione diacronica della nostra lingua. Possiamo distinguere 3 fasi: - dalla frammentazione linguistica medievale al primato fiorentino letterario ( IX-X sec. Primi testi in volgare - fine ‘300 Dante/Petrarca/Boccaccio ). - unificazione, norma ed espansione dell’italiano ( fine ‘300- fine ‘700 ). - da lingua letteraria a lingua d’uso nazionale ( dal primo ‘800 in poi ). Questa periodizzazione mette in rilievo i caratteri della storia linguistica italiana, che si possono così sinte tizzare: l’italiano si è fo rmato sulla base di un volgare locale, il fiorentino, che ha acquisito grande prestigio letterario, grazie all’opera delle Tre Corone e s i è imposto su tradizioni linguistiche di altre aree, è stato codificato grammaticalmente nel ’500, diventando la lingua letteraria comune. Alcune circostanze storiche poi lo hanno portato a primeggiare definitivamente sugli altri dialetti. Quali sono gli elementi che confermano la concordanza fra italiano e fiorentino letterario trecentesco? - anafonesi ( e chiusa tonica ed o chiusa tonica passano, rispettivamente a i e u di fronte a n seguita da consonante velare ed e chiusa tonica passa a i di fronte a nasale palatale “gn” ed alla laterale palatale “gl” ( es. familia > famiglia vs familia > fameglia; fungum >fongo >fungo ). - dittongazione di è / ò toniche aperte in sillaba libera , cioè seguita da una sola consonante (es. piede ; buono vs pede; bono ). - passaggio di e protonica a i in parole come signore, migliore, nipote. - passaggio di -ar- protonico in -er- in parole come margherita, comperare e nel futuro dei verbi della I° coniugazione ( cantarò>canterò ). - passaggio di -rj- intervocalico a -j- in parole come gennaio, notaio. - estensione a tutte le coniugazioni del morfema -IAMO per la prima persona plurale del presente indicativo. -condizionale in -EI formato con il perfetto del verbo avere ( cantare + *hebui vs cantarìa ). La letterarietà rappresenta la marca più tipica dell’italiano.Vanno però sottolineati due aspetti specifici: il p rimo è la differenza di fondo che ha separato la storia della lingua poetica dalla storia della lingua della prosa. Inoltre fino almeno all’unificazione politica vi è stato un profondo divario tra lingua parlata e lingua scritta. Le conseguenze di questa s toria così particolare sono che la lingua italiana si è mantenuta nel tempo relativamente stabile, non ha avuto evoluzioni radicali come per le altre lingue europee. 4.2 Dalla frammentazione linguistica medievale al primato del fiorentino letterario 4.2.1 La frammentazione linguistica medievale e i primi documenti volgari Le prime attestazioni, per quanto riguarda testi scritti in volgare, sono da collocare tra il IX - X sec. Ma l’impiego del volgare per l’uso scritto

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non è che , l’ultimo atto di un processo di trasformazione lungo secoli, durante i quali non vi era ancora la consapevolezza di un sistema linguistico nuovo e autonomo rispetto al latino. Già in età imperiale si affermano, nel latino parlato della varie aree, significativi mutamenti, a noi noti attraverso fonti diverse ( iscrizioni, graffiti, testimonianze di scrittori o di grammatiche che correggono l’innovazione come errore ): ad esempio cadono le consonanti finali ( amat > ama; panem> pane ); si indebolisce il sistema flessivo sui casi e i costrutti con preposizione sostituiscono le forme declinate ( vini > de vino “ del vino” );; il dimostrativo ille in funzione anaforica assume funzioni di articolo;; si introducono forme perifrastiche con valo re futuro o condizionale ( amare habeo> amerò ;; amara habebam /* hebui > amerei );; l’ordine delle parole con la perdita dei casi non è più libero ma segue SVO. Tra il IV-V sec. L’accento qualitativo viene sostituito da quello intensivo: scompare perciò la distinzione delle vocali in base alla quantità ( vocali lunghe/ vocali brevi ) e si instaura la distinzione basata sulla qualità ( vocali brevi >vocali aperte/vocali lunghe>vocali chiuse ). Si passa così dal sistema vocalico latino a quello italico a 7 vocali toniche ( I lunga > /i/; I breve - E lunga > /e/; E breve > /H/ ; A lunga e breve > /a/; O breve > o aperta; O lunga - U breve > /o/; U lunga > /u/. Esistevano molte varietà di latino parlato, diversificate a livello diatopico, diafasico, diastratico, senza contare altri fa ttori importanti di differenziazione ( sostrato / superstrato ) e queste varietà sono il presupposto della grande frammentazione linguistica dell’area, cioè la formazione di volgari locali. Ad essa contribuirono in modo decisivo i Longobardi ( 568 ) che arrivarono fino al Sud coi ducati di Spoleto e Benevento, e divisero la penisola politicamente e geograficamente. Ma il vero e proprio distacco tra la lignua scritta della cultura e il volgare avviene in tempi e modi diversi, non prima del VII-VIII sec., e presuppone una situazione di diglossia latino-volgare, in cui il volgare è la lingua bassa, mentre il latino è la lingua alta. Prima che affiorasse la consapevolezza della separazione, e che si manifestasse l’esigenza di scrivere in volgare, troviamo s critture, specie notarili, in latino rustico, cioè in latino venato di volgarismi fonomorfologici, sintattici e lessicali. La scripta latina rustica rappresenta una sorta di ponte del latino scritto con le scritture volgari vere e proprie. L’avvio di scriptae volgari, probabilmente sotto la spinta della riforma carolingia del latino, è legato ad ambienti alfabetizzati e a figure importanti di mediatori linguistici e culturali: i notai che dovevano tradurre e riformulare da una lingua all’altra;; i mercanti che sapevano scrivere e far di conto e usavano il volgare per esigenze pratiche; i religiosi che dovevano farsi comprendere anche dagli illetterati. Le scriptae volgari presentano tendenze comuni: ibridis mo linguistico; varietà e instabilità dovute ai problemi di resa grafica di suoni volgari in alfabeto latino;; forte specificità dell’elemento locale ( si parla di plurilinguismo e policentrismo ). La distribuzione geografica dei testi indica l’area mediana ( da Montecassino all’Umbria ), in cui agì profondamente la cultu ra monastica benedettina, come area privilegiata per l’attestazione di scriptae già dal IX-X sec. In Toscana il primo documento volgare è un elenco di spese navali da Pisa del XII sec., mentre più tardo è il Libro dei Conti di un banchiere fiorentino ( XIII sec.). Allo stato attuale il più antico testo volgare è l’Iscrizione della catacomba di Commodilla a Roma ( prima metà IX sec. ): -Non dicere ille secrita a bboce-:“Non pronunciare le orazioni segrete a voce alta”;; notevoli sono la rappresentazione grafica del raddoppiamento fono sintattico e del betacismo e l’uso del dimostrativo ille come articolo. Anche la più tarda Iscrizione di San Clemente ( fine XI sec. ) risulta in ogni caso una delle più antiche: - “Falite dereto solo palo Carvonecelle” “Arbetel Gosmari tràite” “Fili de le pute tràite”- “Spingilo dietro col palo, Carboncello” “ Arbetello, Gosmari, tirate!” “Figli delle puttane tirate!”;; Il testo è rilevante per il ruolo di diverso prestigio assegnato al volgare e al latino ( le parole dette dal santo sono in latino ) e per la caratterizzazione parlata e bassa delle battute in volgare. Risulta di grande importanza il primo documento che attesta l’uso consapevole del volgare in un documento ufficiale, il Placito di Capua ( marzo 960 ), con altri documenti volgari della stessa area ( Sessa Aurunca e Teano 963 ). E’ un verbale scritto in latino su pergamena dal notaio: in esso il giudice accerta il diritto di possesso da alcune terre da parte del monastero di Montecassino, sulla base di 3 testimonian ze, che vengono trascritte in formule volgari per 3 volte all’interno del testo in latino notarile: - “ Sao ko kelle terre per kelli fini que ki kontene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti” “So che quelle terre, entro i confini di cui qui si dice, trenta anni le possedette il monastero di San Benedetto”;; il passaggio alla verbalizzazione scritta comporta una perdita di tratti dell’oralità spontanea; è la prima attestazione della dislocazione a sinistra; da notare gli elementi volgare nella grafia, nella fone tica ( ko > quod che perde la labiovelare iniziale). 4.2.2 Il volgare nei testi pratici e nei testi letterari in prosa L’affermazione del volgare si verifica più precocemente nei testi pratici in Toscana, da cui è pervenuta una ricca documentazione già duecentesca;; e a Venezia ( fine ‘200 ). L’esistenza di ceti medi alfabetizzati, di una borghesia comunale e mercantile è un fattore importante che sollecita l’impiego del volgare per usi notarili, amministrativi, epistolari, memorialistici, tecnici ecc. Esse appaiono dapprima vivacemente municipali nella coloritura linguistica, poi, nel corso del ‘300, maggiormente esposte a un processo di conguagliamento regio nale, ma più resistenti all’espansione del tosco- fiorentino rispetto alla coeva produzione letteraria. E’ significativo anche lo spazio che acquista il volgare nell’ambito della scuola e dell’università, tradizionalmente legate al latino, ma sensibili alle nuove esigenze della vita civile e politica: la necessità di impiegare un volgare sovra municipa le e di larga comprensibilità, arricchito degli artifici dello ornatus e della retorica latina, è ben presente nelle formule epistolari volgari. Fioriscono così manuali di Ars Dictandi, come la Rettorica di Brunetto Latini. Di grande interesse, sono anche i testi scolastici, glosse, esercizi grammaticali e di traduzione, anche se qui la presenza del volgare è di solito strumentale all’apprendimento del latino. E’ noto il ritardo con cui si avviavano in Italia esperienze volgari di prosa letteraria. Nella s econda metà del ‘200, Guittone sperimenta con le sue Lettere morali e religiose una prosa complessa, ricercata, lirica. Una prosa di narrativa media, a fini didattico-moraleggianti sul modello degli exempla latini, in izia in Toscana a fine ‘200, con raccon ti di brevi novelle come i Fiori e vita di filosofi e il Novellino di un anonimo fiorentino.

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Hanno grande fortuna le traduzioni dei romanzi arturiani, frequenti soprattutto in area veneta e toscana: si caratterizzano per formulari età e ripetitività di schemi sintattici e di lessico, forte presenza di francesismi. 4.2.3 La formazione della lingua poetica Già tra la fine del XII sec. E i primi del XIII si collocano i primi documenti poetici in volgare con qualche intento lettera rio, che rinviano a un’area culturale che va dalla Toscana, alle Marche, alla Campania: si tratta di Ritmi anonimi, ricollegabili alla letteratura giullaresca come il Ritmo Laurenziano ( toscano ), il Ritmo marchigiano di Sant’Alessio, il Ritmo Cassinese ( Montecassino ). Intorno al 1220 si situano gli inizi della poesia religiosa con il Cantico di frate sole di Francesco d’Assisi. Nel corso del ‘200 si sviluppa in Italia settentrionale un filone di poesia con finalità didattiche e moraleggianti. Vediamo ora come si è andata formando, già nel corso del XIII sec., una tradizione unitaria di lingua poetica: la più antica lirica in volgare attualmente nota è “Quando eu stava in le tu’ cathene”(tra 1180 e 1220): l’azione di un copista giustifica le mescolanza linguistica di elementi mediani e settentrionali. Si inserisce nella tradizione della scuola siciliana, raffinata scuola poetica sviluppatasi attorno alla corte di Federico II: la scuola siciliana impiega consapevolmente, a fini artistici, il volgare depurato dai tratti linguistici locali più vistosi e nobilitato attraverso il latino e il provenzale. Temi, immagini e repertorio stilistico sono tratti infatti dalla prestigiosa esperienza trobadorica, già diffusa in Italia e largamente imitata in lingua provenzale; nella lirica siciliana abbondano i provenzalismi (es. dottare > temere; miratore > specchio; suffissati in -anza, -enza, -aggio, -ore, ura, -mento ; uso di allotropi come piacenza-piacere-piacimento / pietà-pietanza-pietade; ricorso a dittologie sinonimiche come temuta-dottata / crudele e spietata ). L’alto livello della produzione di poeti come Giacomo da Lentini, Stefano Protonotaro, Guido delle Colonne, Re Enzo, fece si che la loro poesia fosse subito copiata e imitata soprattutto in Toscana;; com’era consuetudine, i copisti toscani, trascrivendo i testi siciliani, li adattarono al loro sistema linguistico, divergente dal siciliano, specie nel vocalismo ( /i/; /H/; /a/; /o aperta/; /u/). I copisti diedero ai testi una patina toscaneggiante, ma conservarono alcuni tratti caratteristici, come l’assenza del dittongo in è, ò aperte in sillaba libera ( tipo vène;; nòva ). Il risultato è una lingua composita, con un’evidente coloritura toscana, in cui l’assunzione di tipici sicilianismi ha un intento nobilitante, rispetto al toscano. Perduti o andati distrutti i manoscritti siciliani, la veste ibrida fu ritenuta quella originale, e come tale imitata nelle sue caratteristiche già dai poeti toscani della cosiddetta scuola di transizione. Attraverso l’analisi della rima riconosciamo il travestimento toscaneggiante: mentre per i siciliani la rima, su modello provenzale, doveva essere perfetta, troviamo nei canzonieri rime imperfette, che però tornano perfette se si restituisce loro il vocalismo siciliano (e s. ascoso : rinchiuso:amoroso > ascusu : rinclusu : amorusu ). Vi è inoltre un’altra importante testimonianza: il filologo del ‘500 Barbieri, trascrisse alcuni componimenti da un Libro Siciliano non pervenuto fino a noi: “Pir meu cori alligrari”di Stefano Protonotaro, “Allegru cori plenu” di Re Enzo e un frammento di “ S’io trovassi pietanza”. Questo ultimo testo è rilevante in quanto possediamo anche la redazione toscaneggiata. L’imitazione porta al costituirsi di una scuola di transizione, i siculo-toscani. Essi operano in centri diversi come Pisa, Lucca, Arezzo, Siena, Firenze, ma sono accumunati dall’imitazione della maniera siciliana sulla base dei codici toscaneggiati, oltre che da una tecnica scaltrita e dal gusto dell’ornato e dei colori retorici ( impiego esibito di sicilianismi;; latinis mi, gallicismi; istituzionalità della rima imperfetta). I poeti dello Stilnovo innovano profondamente le tematiche amorose, immettendovi venature intellettuali e psicologiche ( Cino da Pistoia/ Guinizelli / Cavalcanti/Lapo Gianni/ Dante ), assimilano e trasfigurano le forme linguistiche della lirica siculo-toscana, selezionando i dati della tradizione ed elaborando una lingua raffinata, antirealistica, illustre nella sua veste espressiva. L’esperienza stilnovistica di Dante, dalle Rime giovanili alle liriche della Vita Nuova, conferma questi caratteri: progressiva potatura dei suffissati gallicizzanti e in generale di siciliani e provenzalismi troppo vistosi; la nobilitazione avviene mediante la ridu zione dei tratti locali e di tutto ciò che è particolaristico. 4.2.4 Dante e la riflessione sul volgare E’ di Dante la prima riflessione storico-teorica sul volgare e sulla tradizione di poesia volgare dai siciliani ai siculo-toscani, allo Stilnovo: il De Vulgari Elquentia, composto nell’esilio tra il 1303 e il 1304, un trattato il latino rimasto interrotto e sconosciuto fino al ‘500. Oggetto principale del trattato è una ricerca non di lingua, ma di stile poetico, cioè del volgare come elaborazione artistic a e come strumento di comunicazione letteraria di alto livello. Dante individua 14 varietà principali di volgari parlati nella penisola, nessuno dei quali è identificato con il volgare illu stre. Si volge quindi più esplicitamente alla ricerca e alla definizione di una lingua altamente letteraria: giudica positivamente il siciliano alto. Tuttavia il volgare illustre ( cioè raffinato ), cardinale ( perché attorno ai suoi cardini si muovono le varietà volgari ), aulico e curiale non si identifica con quello di nessuna città italiana, ma in realtà appartiene a tutt’Italia. La riflessione si arricchisce nel Convivio, prosimetro di argomento morale e filosofico (1304-1307 ), scritto in volgare, in cui è affrontato piuttosto il problema del rapporto col latino, la lingua di maggior prestigio letterario: nel primo libro giustifica la scelta del volgare come commento alle sue poesie in quanto è più accessibile a un largo pubblico, dimostrando una scelta linguistica pienamente consa pevole e fiduciosa nelle possibilità letterarie del volgare nelle parole conclusive dell’opera. 4.2.5 Il volgare e le ‘tre corone’: Dante, Petrarca, Boccaccio e il primato fiorentino Dante aveva intuito che per la diffusione del volgare sarebbe stato necessario raggiungere una dignità pari a quella del latino, possibile solo con l’impiego in opere di indiscusso valore letterario e di larga diffusione anche tra i non letterati. E’ quanto accadde, grazie soprattutto ai 3 grandi scrittori che contribuirono ad innalzare il fiorentino letterariamente fuor i dalla Toscana e a decretarne il primato tra i volgari della penisola: Dante con la Commedia, Petrarca col Canzoniere, Boccaccio con il Decameron. - Commedia: non ci sono giunti gli autografi ( dal 1304 al 1321 ), ma abbiamo un numero enorme di copie manoscritte, che documentano la grande fortuna e popolarità dell’opera. Straordinaria è la ricchezza espressiva dell’opera, in cui il poeta inventa il nuovo metro della terzina e

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sperimenta la pluralità, la mescolanza di stili, non ammessa dall’alta lirica, ma giustificata dalle varietà di tematich e e situazioni. Ciò si traduce in un vivace plurilinguismo: verticale, perché Dante attinge a tutte le varietà grammaticali del fiorentino con una continua alternanza di registri e una fitta presenza di allotropi; orizzontale perché nel tessuto fiorentino entrano sicilianismi, latinismi,gallicismi. Anche il lessico presenta caratteristiche simili, scendendo fino ai livelli più popolari e realistici. - Canzoniere: l’esperienza di Petrarca fu decisiva per l’unificazione poetica (1336-38 / 1374 ). Attraverso il suo lavoro di continua rielaborazione e riscrittura, svolge un ruolo di strenua nobilitazione letteraria del fiorentino, da cui scarta ogni elemento basso e municipale; mette in atto al tempo stesso, un raffinato lavoro selettivo della tradizione precedente, dai siciliani allo Stilnovo, di filtraggio e consacrazione definitiva nella lingua poetica delle forme da lui usate. Il lessico è volutamente circoscritto, mentre abbondano perifrasi vaghe e nobilitanti ( colei che sola a me par donna ); dittologie sinonimiche ( aspro e feroce; consuma e strugge ); riduce drasticamente i gallicismi; vaglia i sicilianismi codificano tipi come core e foc o ma istituzionalizzando anche le forme alternative tosco-fiorentine; conserva una sola rima siciliana ( voi: altrui ), ma codifica la rima grafica e non fonica ( core:amore ). - Decameron: modello fondamentale per la prosa; era rivolto a un pubblico ampio e anche non letterato, prevalentemente femminile, e fu sub ito diffusa largamente attraverso gli ambienti mercantili. Alla varietà di situazioni narrative corrisponde una straordinaria capacità di variare gli stili e la lingua: una pluralità d i livelli espressi e di varietà linguistiche, dotte e popolari, idiomatiche, che si alternano e si intrecciano nell’opera, senza sminuirne la base linguistica e fiorentina, la letterarietà di fondo e il gusto per l’ornato retorico. Notiamo la tendenza da un lato verso usi fiorentini medi, dall’altro verso una coloritura formale ed espressionistica. Boccac cio usa infatti, con intenti talora realistici o di parodia, varietà basse di lingua e volgari diversi come il veneto, il genovese, il siciliano. Inoltre sperimenta una serie di strategie per riprodurre e caratterizzare i registri colloquiali e il parlato, come il che polivalente, l’us o ridondante dei pronomi , gli anacoluti, le concordanze a senso, segnali discorsivi, forme esclamative e di alterati. Ma Boccaccio spicca soprattutto per lo stile elevato che caratterizza larga parte dell’opera, come le cornici e le novelle tragiche della X giornata: la sintassi è complessa, latineggiante, con ampi periodi che si sviluppano mediante accumuli di subordinate, uso di inversion i. Il modello boccacciano diventa perciò una marca distintiva della prosa elevata. 4.3 Unificazione, norma ed espansione dell’italiano 4.3.1 Umanesimo latino e la crisi del volgare L’espansione del latino trecentesco subisce un rallentamento in età umanistica. Già con Petrarca e Boccaccio si avvia anche in Italia la riscoperta e l’ammirazione per i classici latini e greci, soprattutto della latinità, studiata con rigore filologico grammaticale applicato ai testi e alla lingua. Nei primi decenni, considerano il latino come la sola lingua elevata, adatta a scopi d’arte;; e manifestano un atteggiamento d ispregiativo e di rifiuto nei confronti del volgare, ritenuto lingua corrotta, da impiegarsi solo per usi pratici. Il trionfo del latino ebbe importanti conseguenze: restaurando il latino grammaticale ciceroniano, gli umanisti lo resero, di fatto, scarsamente utilizzabile per gli usi pratici, e favorivano così i più larghi impieghi del volgare in questi ambiti. Dal’altra parte il volgare, emarginato dalla letteratura, si espandeva in usi scritti epistolari, amministrativi e burocratici, dando luogo a scritture composite, in cu i convivevano, in modo variabile elementi ormai genericamente regionali, forme latineggianti e toscane ( lingue di koinè ). Questa crescita, in assenza di una norma uniforme e stata chiamata “crisi di crescenza del volgare”. Quando poi nel XV sec., il volgare verrà riabilitato, saranno gli stessi Umanisti a esigere una regolarizzazione dei testi volgari, recuperando la lingua letteraria dei grandi modelli fiorentini trecenteschi. 4.3.2 Tendenze innovative e sovra regionali e commistioni col latino L’Umanesimo e il prestigio del latino accelerarono, nonostante tutto, i processi evolutivi del volgare. Già fra ‘300-‘400 il fiorentino, impiegato in scritture pratiche, comincia ad accogliere fenomeni innovativi: si diffondono forme estranee come articoli el e per il i o l’imperfetto in o ( io amavo ). Fuori la Toscana, le scritture volgari quattrocentesche mostrano una grande variabilità nell’impasto linguistico, ma anche ca ratteri comuni: la perdita progressiva di elementi troppo caratterizzati in senso locale, la vesta latineggiante, la presenza di una patina toscaneggiante. La specificità geografica tende dunque a evolvere verso le forme di koinè regionali o superregionali, in cui il peso del toscano varia a seconda del genere e degli scriventi. Un esempio è offerto dall’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo ( 1482-84 ). E’ di grande rilievo che il volgare venga usato sempre più frequentemente nelle cancellerie delle corti, centri importanti non solo culturalmente, ma per gli sviluppi storico-linguistici. Le koinè cancelleresche, elaborate da funzionari colti, di formazione latina ma aperti alla cultura volgare diventano strumen to di scambi epistolari e tendono a un conguaglio sovra regionale, appoggiandosi al latino e in misura crescente al toscano. Vanno sottolineati inoltre l’ibridismo degli usi quattrocenteschi, il peso culturale preponderante del latino e il latineggiamento presente, in dosaggi diversi, nelle scritture volgari e nei volgarizzamenti del latino, fino a vere e proprie situazioni di mistilinguismo. Ibridismo e mescidazione di latino e volgare costituiscono le premesse di sperimentazioni letterarie, d i linguaggi costruiti artificialmente e fondati sulla commistione intenzionale dei 2 codici: - macedonico: prende il nome dalle Macaronee di Tifi Odasi; ha fini comici e parodistici, gioca sul contrasto alto/basso: metrica e tessuto linguistico sono latini, entro cui vengono calarti elementi lessicali volgari, parole e sintagmi bassi e plebei, a cui vengon o date desinenze latine ( es. cercabat; magnat ). - polifilesco: dall’ Hypnerotomachia Poliphili ( “ Guerra d’amore in sogno di Polifilo” );; non ha funzioni parodistiche, ma por ta alle estreme conseguenze certe tendenze della prosa umanistica. 4.3.3 L’Alberti e l’Umanesimo volgare Con Leon Battista Alberti si avvia il processo di rivalutazione letteraria del volgare, che va sotto il nome di Umanesimo volgare.

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Egli riprende le tesi di Biondo Flavio: il volgare , nato dalle barbarie, deve riscattarsi facendosi “ornato”e “copioso” come il latino, e apre la via alla considerazione del volgare come lingua che può essere regolata, grammaticalizzata e nobilitata se usata da autori dotti, come già il latino parlato nell’antichità. A lui si deve una grammatica della lingua toscana nel 1440: il proposito era di mostrare le possibilità del volgare.( NB è la prima grammatica di una lingua moderna ). All’Alberti si deve anche una gara di poesia volgare intitolata Certame Coronario (1441). Con Lorenzo de’Medici e il suo circolo letterario il riscatto del volgare si fonda sulla rivalutazione della tradizione linguistica e letteraria tosco fiorentina, e diviene sicuro strumento della politica medicea ( rif. ‘Comento’ di Lorenzo e ‘Epistola’ che precede la ‘Sillog e’Aragonese: vere e proprie esaltazioni del toscano ). I poeti laurenziani usano una lingua composita, aperta al fiorentino contemporaneo e alle sue innovazioni, ma anche alla tradizione lirica antica e al latineggiamento di stampo umanistico ( es. Morgante di Pulci che fece anche una raccolta di vocaboli per uso personale ). 4.3.4 Successi del toscano letterario fuori Toscana L’espansione del toscano letterario ha come centro di propulsione le corti. Questo successo è sancito definitivamente dall’in troduzione della stampa a partire dal 1470 a Milano, Mantova e Venezia vengo stampati i classici delle Tre Corone ( Canzoniere, Decameron, Commedia ). A Napoli, dove alla corte aragonese si sviluppa una poesia petrarchista accanto a esperimenti dialettali, è di grande significato l’Arcadia di Jacopo Sannazaro, che rappresenta il primo documento di correzione linguistica in direzione toscaneggiante da parte di un autore non toscano, verificabile attraverso il confronto tra le due redazioni dell’opera (1484-86 / 1500 ca. ) 4.3.5 Stampa, standarizzazione e norma La vicenda editoriale dell’Arcadia è di peso sulla tendenza sempre più decisiva che tra ‘400 e ‘500 imposta dalla stampa;; il s uo influsso si articola in 3 direzioni: - uniformazione dell’oscillazione della prassi grafica - diffusione della lingua letteraria e della norma grammaticale - definitiva sostituzione di un modello fondato sull’oralità con un altro fondato solo sulla scrittura Anche se la lingua delle stampe quattrocentesche è ibrida, tipografi e revisori editoriali cominciano a porsi il problema di una regolarizzazione grafica e linguistica dei testi e mostrano, lo sforzo di un adeguamento al toscano letterario. LA svolta avviene con il sodalizio tra lo stampatore Aldo Manuzio e Pietro Bembo che applicò la sua agguerrita esperienza di filologo umanista alla stampa dei classici volgari: il Canzoniere di Petrarca esce nel 1501 a Venezia e la Commedia dantesca nel 1502. Nel Petrarca aldino, le novità tipografiche ( il carattere corsivo ) e l’introduzione di criteri ortografici ( segni di interpunzione, apostrofo, accenti ) si accompagnano a una veste linguistica che è ormai quella su cui Bembo fonderà le indicazioni normative delle Prose della volgar lingua ( 1525 ). Il modello boccacciano per la lingua della prosa è già ben presente negli Asolani, dialogo filosofico che scrisse sul finire del ‘400 e stampò nel 1505: la revisione degli Asolani attesta la tendenza ad abbandonare forme venete e latineggianti ( come giazzo -ghiaccio; fameglia ) in favore degli usi letterari del ‘300. Uscì nel 1516 ad Ancona le regole grammaticali della volgar lingua di Giovan Francesco Fortunio, di fatto la prima grammatica volgare a stampa, ispirata ancora a criteri umanistici e di uso coevo: nonostante la permanenza di incertezze e oscillazioni ebbe un più largo successo al pubblico perché la strutturazione manualistica ( a differenza della forma dialogica dell’opera di Bembo ) ne facilitava la consultazione ai lettori meno colti. 4.3.4 Dalla questione della lingua alla definizione della norma letteraria: le Prose della volgar lingua Accenniamo alle principali posizioni teoriche che fanno da sfondo alle Prose. - Teorie ‘cortigiane’,‘comuni’, ‘italiane’: sotto questa etichetta si comprende una varietà di posizioni contrarie al primato esclusivo tosco -fiorentino e accumunate da un’idea di lingua colta ed eclettica, le cui premesse sono le esperienze delle koinè sovra regionali usate nelle corti quattrocentesche. Il principale teorico fu Colli detto il Calmeta che indicava come modello la lingua usata effettivamente nella corte d i Roma. Anche il Cortigiano di Baldassar Castiglione propone l’ideale di una lingua di uomo di corte, nobilmente eclettica e fondata sull’uso colto contemporaneo, lontana sia dalle affettazioni del fiorentino letterario arcaizzante, sia dal toscano parlato . Il più agguerrito esponente della teoria italiana è però Trissino: la sua attività si fonda sulla riscoperta del De Vulgari E loquentia di Dante. La nozione dantesca di volgare illustre viene fraintesa e interpretata come teroia di lingua mista e composita, ricavata dalle forme migliori di ‘tutte le lingue d’Italia’e viene assunta come fondamento della sua teoria linguistica: la lingua illustre comune era già stata usata dai grandi autori come Dante e Petrarca , e non coincideva con il fiorentino, che costituiva solo una parte della tradizione letteraria 8 come voleva dimostrare basandosi su un esame del lessico ). -Teorie ‘fiorentiniste’ e ‘toscaniste’: sotto questo nome si comprendono le posizioni teoriche dei sostenitori del fiorentino vivo e del toscano , che considerano la regolarità e la bellezza della lingua come dato intrinseco e naturale, e non come fatto dovuto all’elaborazione letteraria. Abbiamo tra loro Machiavelli con il Discorso intorno alla nostra lingua: viene svolta un’appassionata difesa de l fiorentino come lingua naturalmente bella e superiore agli altri volgari; ma soprattutto viene dimostrata, con un serrato scambio dialogico con Dant e, la sostanziale fiorentinità della Commedia e la continuità del fiorentino trecentesco con quello cinquecentesco ( basandosi su elementi fonomorfologici per caratterizzare un sistema linguistico e al contrario con minor valore sugli elementi lessicali ). - Fiorentino classicista e arcaizzante di Bembo: egli difende il prima del fiorentino degli autori trecenteschi: per la poesia Petrarca e per la prosa Boccaccio, mentre il giudizio su Dante è più limitativo per il forte pluristilis mo della Commedia. Secondo i presupposti classicisti, la lingua è un fatto scritto, letterario e retorico, distaccata dal presente e dall’uso e collocata in una dimensione atemporale per poter aspirare all’eternità e all’universalità. Partendo dalla premessa dell’indicazione dei due modelli letterari, Bembo compie un articolato esame stilistico e retorico de i modelli esemplari, per poi analizzarne le scelte grammaticali, che diventano così fondamento delle sue indicazioni normative ( es. forma -iamo della 1° pers. Plurale

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indicativo ; forma -a della 1° pers. sing. Imperfetto ‘io amava’;; pronomi lui/ lei solo per i casi obliqui ecc..). 4.3.7 Diffusione e accettazione della norma letteraria: da lingua toscana a lingua italiana Dopo 1525 si avvia una ricchissima produzione a stampa di carattere pratico e didattico, di ispirazione bembiana. L’impegnativo dialogo diventa manuale alfabetico , facilmente consultabile con il Vocabolario grammatica e ortografia de la lingua volgare con isposizione di molti luoghi di Dante, del Petrarca e del Boccaccio di Alberto Acarisio del 1543. Fuori d’Italia, poi il grande prestigio europeo dell’italiano let terario determina la precoce diffusione della norma bembiana ( Grammaire italienne composeè en francois ). Le conseguenze di questo imponente processo di normazione, furono di grande rilievo sugli usi letterari: nel giro di pochi d ecenni il fiorentino letterario trecentesco diventa la lingua studia e imitata da un numero sempre crescente di scriventi italiani: diviene la lingua italiana letteraria. Ad esempio vediamo la precoce revisione linguistica in direzione bembiana da parte di letterati non toscani d ell’orlando furioso e del Cortegiano. 4.3.8 Canali di diffusione dell’italiano e varietà dell’italiano: scritture regionali e scritture semicolte Al di fuori delle zone più alte dell’uso scritto il processo di adeguamento alla norma della lingua letteraria è molto più complesso e irregolare e offre un quadro estremamente variegato di oscillazione dell’uso. La diffusione del toscano sembra che abbia assunto l’aspetto di una penetrazione sviluppatasi in maniera lenta e graduale att raverso varie fasi di incontri a metà strada e di compromessi tra il sistema in espansione e i sistemi che lo fronteggiavano. L’italiano dei testi tecnici e pratici offre molti esempi di questi compromessi e una notevole varietà di esiti, dipendente anche dal tipo di cultura e di formazione di chi scrive. Negli usi privati di scrittura, nelle lettere, nei libri di memorie, affiorano spesso parole ed espressioni regionali italian izzati ( es. herbioni-piselli; persichi-pesche; pelizza-pelliccia ). I settori dominati dai regionalismi sono quelli delle nomenclature domestiche e tecniche, delle arti e dei mestieri. La perseveranza di tratti marcatamente locali e dialettali connota la scrittura di scriventi poco colti, ad esempio artigiani e bottegai che hanno imparato a scrivere in modo approssimativo nelle scuole parrocchiali. Le scritture semicolte sono molto diversificate tra loro per l’estrema variabilità nell’esecuzione scritta dell’italiano, ma hanno caratteristiche che le accomunano: - invadenza del parlato nello scritto, fatto che si traduce nell’interferenza del dialetto a tutti i livelli - scarsa competenza a livello di grafia e interpunzione e a livello lessicale-semantico - alternanza di registri diversi: Alto ( ecclesiastico e burocratico ) e basso del parlato dialettale - uso frequente di parole generiche ( fare; cosa ecc..) Il grado di standarizzazione perciò è legato al complesso problema dell’alfabetizzazione e ai modi di apprendimento dell’italiano scritto: in certe zone contò molto la politica religiosa ed educativa della Chiesa ( es. Lombardia con Federico Borromeo con le scuole parrocchiali ). La crescita dell’alfabetismo comporta anche la diffusione di una produzione editoriale di consumo: manuali, stampe popolari, pronostici e cantari; il filone più ricco è quello di opere religiose e devote che viene enormemente potenziato dopo il Concilio di Trento. Dunque da un lato si amplia il numero di lettori e scriventi, dall’altro anche la competenza passiva è potenziata, in primo l uogo dalla predicazione in italiano. 4.3.10 Bembo e la cultura fiorentina: Giambullari, Varchi e l’Accademia della Crusca Gli ambienti fiorentini non accolsero favorevolmente le Prose di Bembo, che esaltava il fiorentino letterario trecentesco, ma non accettava il fiorentino vivo contemporaneo e sminuiva la grandezza linguistica di Dante. Proprio alla rivalutazione del fiorentino e di Dante si mosse l’Accademia fiorentina, da cui a metà secolo uscì anche la prima grammatica elaborata in ambiente toscano diretta a non toscani: De la lingua che si parla et scrive in Firenze di Giambullari, pubblicato a Firenze. La mediazione delle posizioni fiorentiniste con quello di Bembo fu opera di Benedetto Varchi: distinguendo la lingua come fat to vivo e naturale, dallo stile come elaborazione letteraria, concilierà il principio della fiorentinità viva, sul piano della lingua, ponendo in primo piano la natura parlata della lingua ma rivendicando l’azione regolatrice degli scrittori. Per tentare di ridare a Firenze il ruolo di ‘legislatrice’ della lingua venne fondata l’Accademia della Crusca (1582), che grazie all’attività filo logica- letteraria di Leonardo Salviati, compì la grande impresa della compilazione del Vocabolario degli accademici della crusca (Venezia, 1612 ). Secondo Salviati, affermando la perfezione naturale della lingua fiorentina trecentesca, veniva allargato il canone ristrettissimo del Bembo ( Petrarca e Boccaccio ). Infatti tutte le scritture fiorentine del ‘300, compresi i testi pratici, senza intenti letterari, erano considerate importanti come documento linguistico, anche se Salviati indicava la norma del buon uso degli scrittori di maggior autorità letteraria, con preferenza però verso quelli che evitavano uno stile troppo elaborato. A questi criteri si conformava il Vocabolario che fu il primo grande dizionario delle lingue europee. 4.3.11 Reazioni alla Crusca: i ‘moderni’ contro gli ‘antichi’ Tra i grandi esclusi del Vocabolario ci fu Tasso ( reintegrato alla terza edizione del 1691 );; diventò l’emblema degli oppositori alla Crusca, che reclamavano la superiorità dei moderni sugli antichi, e quindi dell’uso linguistico moderno, contro l’arcaizzante trecentesco;; inoltre rimproveravano la ristrettezza geografica del canone cruscante, che fondava la norma lessicografica sull’uso fiorentino, escludendo voci già in uso nel resto d’Italia. Il Vocabolario diventa perciò nel ‘600 baluardo della tradizione, contro gli orientamenti moderni e barocchi, che determinano gli sviluppi del linguaggio poetico sulla strada già aperta dal Tasso. La compiuta sistemazione della poetica barocca fu più tarda ad opera di Tesauro nel trattato Il Cannocchiale aristotelico (1654), nel quale4 si codifica la libertà e l’originalità espressiva e la novità e l’evoluzione linguistica. Viene così legittimata la consapevole evasione dalla norma linguistica che era stata praticata dai poeti barocchi ( es. forestierismi ).

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La grande spinta antitradizionale riguardava lo stile e il lessico ( uso inedito di metafore, antitesi, enumerazioni ecc.. ), mentre le strutture metriche e l’impalcatura grammaticale restavano nel solco della tradizione precedente. Ne deriva una inesauribile ricerca di elementi lessicali nuovi e orientati verso l’attualità, come nell’Adone di Marino (1623) ( lessico scientifico es. telescopio, occhiale; botanica: ligustro, giacinto; lessico settoriale di equitazione, scherma e danza; esibizione di forestierismi: ispanismi, francesismi; dialettalismi napoletani, latinismi ). 4.3.12 Galileo e la prosa scientifica: Redi, Magalotti e la III edizione del Vocabolario ( 1691 ) La prosa scientifica rappresenta la continuità con la tradizione toscana. Le scelte di galileo hanno un’importanza rilevante: lo scienziato, dopo gli esordi in latino, la lingua internazionale della comunicazione scientifica, opta decisamente per l’italiano, spinto da una forte esigenza di comprensibilità e di divulgazione anche presso i non specialisti. La prosa galileiana si orienta così verso la chiarezza e la comprensibilità, ottenute con una terminologia aliena dall’eccess ivo tecnicismo. Usa procedimenti di riformulazione o glosse per spiegare i termini; cerca di evitare le denominazioni dotte, formate con eleme nti greci o latini, destinate ad avere fortuna come internazionalismi nella lingua scientifica. La sintassi si snoda senza artificio, con chiarezza ma con un notevole grado di complessità : Galileo domina la coerenza logica dell’argomentazione, mantenendo una forte coesione testuale e istitu zionalizza nella prosa scientifica una serie di costrutti nominali a scapito del verbo. La prosa scientifica dell’Accademia del Cimento, in particolare di Francesco Redi e Lorenzo Magalotti, punterà più vistosamente sulla colloquiali toscana, con gusto descrittivo che trapassa facilmente dal rigore della registrazione scientifica al compiaciment o letterario. Entrambi furono collaboratori della III edizione del Vocabolario della Crusca dove avviene una maggiore apertura alla cultura fiorentina e alla modernità: la lingua della scienza seicentesca e l’inserimento di autori non toscani come Sannazzaro, Castiglione e Tasso. Inoltre le voci antiche vengono segnalate con V.A., per indicare una valore solo documentario e non da imitare. 4.3.13 Rinnovamento ed espansione dell’italiano Un capitolo fondamentale della nostra storia linguistica riguarda il processo di espansione e trasformazione che investe l’italiano tra ‘600 e ‘700. Il processo di rinnovamento della lingua si verificava in direzione europea, nel senso che era in gran parte l’influsso del francese, la nuova lingua universale della cultura, a condizionare i mutamenti lessicali e sintattici. Inoltre il rinnovamento avveniva prevalentemente in direzione non letteraria, perché era legato al grande sviluppo della scienza e della tecnica, esaltate dall’enciclopedismo come indispensab ili al progresso e all’utile pubblico. L’italiano si allarga a nuovi usi non più letterari, ma giuridici, economici, tecnici e scientifici. Le conseguenze sono impo rtanti: le strutture tradizionali della prosa si semplificano, il patrimonio dell’italiano si arricchisce con la nascita di nuove discipline. La formazione delle nomenclature delle varie discipline con elementi greci e latini, favorisce la convergenza dell’italiano con le altre lingue europee, attraverso il comune repertorio delle lingue classiche per la formazione di europeismi lessicali. Inoltre, anche la lessicografia si rinnova: si pubblicano i primi dizionari specializzati, che registrano le terminologie delle varie aree disciplinari e si stampano numerose traduzioni di vocabolari specialistici stranieri, soprattutto francesi. Si fa strada l’idea del vocabolario universale che deve accogliere un patrimonio lessicale più ampio, documentare la varietà degli usi anche pratici, tecnici,scientifici, uscendo dalle ristrettezze del canone tradizionale ( Dizionario universale critico enciclopedico della lingua italiana, dell’abate Francesco D’Alberti di Villanuova, 1797-1805;; si rifà non solo a fonti scritte, ma all’uso vivo ). Ci sono inoltre nuovi canali di diffusione. - scuola: in vari stati ( Piemonte, Lombardo - Veneto, Parma, Modena, Napoli ) si sviluppano riforme scolastiche che scardinano la didattica tradizionale fondata sul latino e pongono l’esigenza dell’insegnamento dell’italiano nelle scuole primarie. - gazzette, giornali: divulgano la cultura italiana europea a un pubblico non specialista e contribuiscono allo svecchiamento delle strutture sintattiche e lessicali ( il programma del “Caffè” è di spargere utili cognizioni di carattere pratico e scientifico ). Cambiano le idee anche sulla lingua: si fanno strada atteggiamenti innovatori che contrastano l’idea di lingua come fatto prevalentemente artistico e letterario; i letterari del caffè rappresentano le posizioni più radicali, ispirate al razionalismo che esaltava gli aspetti logici e comunicativi del linguaggio a discapito degli aspetti retorico-letterari, chiedendo che la lingua fosse piegata alle nuove idee. I nuovi modelli letterari sono i pensatori inglesi e francesi, e autori contemporanei in cui si identificava l’ideale illuministico del filos ofo rispetto al letterato ( Rinunzia di Alessandro Verri al vocabolario della Crusca ). 4.3.14 Influsso francese e rinnovamento linguistico Si possono indicare tre frasi di penetrazione dei francesismi: - seconda metà del ‘600 - primi ‘700: affermazione di ciò che viene dalla Francia nelle usanze e nelle relazioni sociali e processo europeo di consacrazione come lingua universale. - epoca illuminista: rinnovamento ideologico e linguistico ( francesismo filosofico, politico economico ) - età rivoluzione e Napoleone: consolidazione del francese a lingua internazionale. La penetrazione del francese avveniva in settori attinenti alla vita pratica, come l’abbigliamento, la cucina, l’arredamento di case e giardini. Ma questo era dovuto anche alla generale scarsa competenza dell’italiano parlato e della scarsa flessibilità dell’italiano agli usi scritti. L’espansione del francese oltre che in Piemonte è particolarmente vistosa a Venezia, Milano, Parma, Roma e Toscana. Nel corso del ‘700 il francese è frequentemente usato nella comunicazione letteraria e scientifica, negli scritti privati e nel parlato familiare delle classi nobili e borghesi. Il francese a differenza dell’italiano riveste il ruolo di lingua viva, dell’oralità e della conversazione, come il dialetto;; e spesso la scrittura rivela, attraverso errori e grafie fonetiche, una competenza soprattutto orale. Il diffuso bilinguismo promuove interferenze lessicali vistose: i romanzi e le storie galanti tradotte dal francese sono un g enere fortunatissimo; le traduzioni immettono in circolazione traslati francesizzanti ( es. una creatura..che ti adora; una festa così brillante ) oppure calchi strutturali ( es. hanno motivo di spaventarsi; essere sul punto di comparire ). Anche la lingua dei giornali è veicolo di interferenze tra le due lingue ( es. articolo di lusso ; caratterizzare; mettere a giorno ecc.. ). Ma accanto a queste interferenze sostanziose novità di stampo europeo entreno nelle gazzette coi resoconti di nuove scoperte scientifiche ( es.

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ventilatore; scafandro ). In età rivoluzionaria di stampo francese il nuovo linguaggio politico ( es. cittadino; libertà; tirannia; massa; aggiornare; appoggiare, organizzare ecc..). Infine si diffonde l’avanzata di certi costrutti: frase scissa “ è lui che”/ “è ora che”;; ripresa di proposizione con cosa/fatto;; il tipo “lo è” anaforico rispetto alla frase che precede. Sull’organizzazione testuale e sintattica influisce soprattutto una costruzione meno complessa e ipotattica di quella tradizionale, di stampo boccacciano - bembiano;; il clima razionalistico promuove l’ordine SVO, secondo il modello francese sinonimo di naturalezza e chiarezza. 4.3.15 “Un distinto e speciale linguaggio”. Continuità e specificità della lingua poetica Il richiamo al buon gusto, dettato dall’Arcadia già a fine ‘600, significò soprattutto rigetto della poesia barocca e recupero del linguaggio poetico tradizionale, disciplinato però dalle esigenze di chiarezza e semplicità proprie del classicismo razionalista. La lingua della poesia anche quando accoglie tematiche nuove e proiettate verso l’attualità, continua a mantenere la sua specificità, anzi approfondisce la sua distan za dalla lingua in prosa, caratterizzandosi negli usi grammaticali, negli artifici retorici e nelle scelte lessicali come un distinto e speciale linguaggio. 4.4 Da lingua letteraria a lingua d’uso nazionale 4.4.1 Lingua comune, identità nazionale e dialetti nel primo ‘800 Nel corso del ‘700 gli Illuministi continuano a pensare a un ammodernamento della lingua della tradizione letteraria comune alle persone colte di tutt’Italia, anche nella versione più allargata di “universale lingua italiana”. L’esigenza dell’unità della lingua, che deve coincidere con lo strumento vivo della comunità dei parlanti di una nazione, si fa strada chiaramente solo con le idee romantiche ed è affrontata con risolutezza da Alessandro Manzoni, prima di diventare questione prioritaria e ineludibile con il costituirsi dello Stato Nazionale. Si trattava dunque di recuperare la dimensione unitaria e la funzione sociale della lingua. A inizio ‘800, infatti, il moto di reazione all’influenza francese, cresciuto con l’influenza napoleonica, determina un recup ero dei valori del patrimonio letterario linguistico italiano e un culto della lingua come vincolo della nazione. Condividono questi ideali le correnti del purismo e del classicismo che però si differenziano tra loro nei modelli e negli obbiettivi: - purismo: caposcuola Antonio Cesari;; aspira a una lingua naturale, semplice e popolare;; guarda al ‘300 come il ‘s ecol d’oro’, in cui tutti scrivevano bene, proponendo di ricorrere a queste scritture anche per trovare i termini nuovi. - classicismo: spesso ispirato alla teoria della lingua italiana comune dantesco- trissiniana , guarda ai valori artistici, letterari e nazionali della tradizione linguistica, soprattutto del ‘500 e nel suo indirizzo più aperto rivaluta la moderna cultura scientifica e filosof ica, da cui ritiene che si debbano trarre gli elementi indispensabili per un moderato rinnovamento linguistico. A fronte di queste posizioni, con i nuovi ideali del Romanticismo, affiora decisamente la richiesta di una lingua come strument o sociale, di comunicazione scritta e parlata, mentre si riflette sui dialetti, studiati e apprezzati come immagine più vera dei popoli e si rivaluta la letteratura dialettali. I dialetti erano visti negativamente dal movimento dei classicisti. E contro i dialetti particolari si poneva anche Manzoni, che pure condivideva con i romantici il concetto di dialetto come lingua viva e vera: proprio su questa base egli arriverà a proporre la lingua viva parlata a Firenze, il dialetto fiorentino colto, come strumento di unificazione linguistica nazionale. A questa soluzione, lo scrittore giunge attraverso una lunga riflessione, che accompagna l’elaborazione del suo romanzo storico, i Promessi Sposi. 4.4.2 Manzoni: dalla lingua per il romanzo alla lingua per la nazione Sono 3 le redazioni del romanzo: - Fermo e Lucia (1821-23), non pubblicato - I edizione Promessi Sposi (1815-27) - II edizione Promessi Sposi (1840-45) La stesura del suo romanzo storico, che poneva al centro della vicenda personaggi popolari, gli fa apparire inadeguata la lin gua della prosa primottocentesca, e in particolare la sua lingua che definisce un “composto indigesto”, di toscano letterario, lollardismi, francesismi e altro ancora. La lingua del Fermo è infatti contrassegnata da un notevole ibridismo e soprattutto dalla presenza di regionalismi lombardi. Dunque Manzoni avverte un problema personale di scrittura, si rende consapevole che in Italia non c’è uno strumento espressivo a tutti gli usi parlati e scritti, come invece lo era il francese. Accantonato l’abbozzo, Manzoni inizia la stesura della I edizione , cercando di ottenere maggiore uniformità linguistica fond ata sul toscano della tradizione letteraria, eliminando i lollardismi e mantenendo però le forme che trovava concordanti con il toscano ( fase toscano-milanese). Il viaggio a Firenze subito dopo la stampa e l’immersione nel fiorentino parlato vivo, lo convincono che solo l’uso vivo, la lingua di una società reale di parlanti può essere il punto di riferimento. Matura quindi la convinzione che solo il ricorso all’uso fiorentino vivo poteva essere la via per l’unificazione linguistica sulla base di una lingua intera e viva. Avvia perciò la correzione del romanzo in vista della II edizione: il risultato però non è perfettamente corrispondente alla teoria, perché la tendenza non è tanto quella di dare una veste fiorentina all’opera, quanto piuttosto di attribuirle una fisionomia linguistica più moderna e usuale, eliminando le forme troppo letterarie e sostituendole con gli usi correnti. Tendenze correttorie: - eliminazione di lollardismi come : un zucchero; inzigasse > aizzasse; tosa>ragazza - introduzione di fiorentinismi vivi: giuoco>gioco; muove>move; io aveva> io avevo ecc.. - abbassamento del tono letterario a forme più colloquiali: g iugnendo>giungendo; cangiando>cambiando; veggio>vedo; picciolo>pic colo ecc.. - eliminazione di doppioni verso maggiore uniformità: fra >tra Ma l’aspetto rilevante è la conquista di uno stile semplice, attraverso l’assorbimento nella struttura del romanzo dei modi d ell’oralità, che

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pervadono sia i dialoghi sia il narrato: le costruzioni marcate, gli anacoluti, i cambi di progetto ecc.. 4.4.3 Dopo l’unità: scuola, italofonia e dialettofonia Manzoni interverrà pubblicamente sulla questione della lingua nel 1868, inviando la Relazione sull’unità della lingua e i mezzi per diffonderla , seguita da un Appendice, a Emilio Broglio, ministro della pubblica istruzione del nuovo Regno d’Italia. Lo scrittore ribadisce l’adozione del fiorentino vivo come mezzo per sostituire alla selva dei dialetti una sola lingua comune; e soprattutto indicava le strategie per la diffusione del fiorentino. La prima proposta era la compilazione di un vocabolario della lingua italiana fondato sull’uso vivo di Firenze, a cui occorreva far seguire vocaboli dialettali, che traducessero in fiorentino i vocaboli delle varie parlate. Poi pose la scuola al centro del processo di unificazione e diffusione dell’italiano, e riguardava anche la formazione e fiorentizzazione degli insegnanti e l’avvio di un’editoria scolastica specializzata ( in questa proposta si inseriscono libri come Pinocchio di Collodi, Cuore di de Amicis; Ciondolino di Vamba ). Le riflessioni di Manzoni si inseriscono nel vivo dei problemi legati alla scuola e all’alfabetizzazione post Unità: grazie a llo sforzo per l’allargamento dell’istruzione elementare l’analfabetismo, che nel 1861 era del 75%, scende nel 1911 al 40%, mantenendo le punte più alte nel Nord Est. La sola frequenza elementare non poteva tuttavia garantire il p ieno possesso della lingua e diversa era la situazione della Toscana e di Roma, per la vicinanza del dialetto all’italiano letterario, rispetto alle altre aree. Ai primi del ‘900 l’italiano sta ormai guadagnando terreno anche come lingua d’uso familiare nelle classe borghesi. L’abbandono del dialetto è incoraggiato dalla scuola attraverso i programmi ministeriali, sia attraverso la prat ica della traduzione dal dialetto alla lingua, sia attraverso l’eliminazione delle interferenze dialettali dall’italiano degli allievi. Questa tendenza si rafforza nel periodo tra le due guerre: la politica linguistica del fascismo fu infatti all’insegna d ell’ostilità ai dialetti, combattuti come possibile veicolo di rivendicazioni autonomistiche, e di programmatica italianità linguistica. Questo orienta mento si tradusse nell’estirpazione della ‘malerba’ dialettale nella scuola, oltre che nella repressione delle minoranze etniche e nella lotta ai forestierismi in nome dell’autarchia linguistica. Solo alla fine degli anni ‘70, coi nuovi programmi, comincia a farsi strada l’attenzione ai dialetti come patrimonio linguist ico e culturale dell’allievo, nell’ambito di una nuova consapevolezza per la varietà del repertorio italiano, e si intensifica la riflessione sul rapporto tra l’italiano e i dialetti nel percorso didattico. La Relazione manzoniana suscitò molti consensi ma anche critiche: Graziadio Isaia Ascoli critica la pretesa di imporre la lingua di Firenze come una ‘manica da infilare’ a un paese come l’Italia in cui non c’erano le condizioni per realizzare un nuovo modello ‘dall’alto ’ normativo, né si potevano cancellare di colpo le varietà dialettali. Solo creando condizioni culturali più favorevoli, eliminando l’analfabetismo e facendo circolare più largamente la lingua letteraria, che rappresentava già la base comune della lingua, si sarebbe potuto diffondere l’uso de ll’italiano. 4.4.4 Una lingua per tutti: fattori di evoluzione dopo l’Unità e le linee di tendenza Già poco dopo l’unificazione, nel 1870, Carlo Tenca aveva fotografato l’evoluzione degli usi linguistici l’instaurarsi di nuo ve abitudini all’italofonia e le due facce del fenomeno, la rapida italianizzazione del dialetto e l’incipiente formazione di italiani regionali parlati;; e soprattutto le trasformazioni socioculturali ed economiche che modificavano il quadro sociolinguistico: oltre alla scuola hanno agito dunque una serie di fattori socio-economici: - migrazioni interne,connesse con l’urbanizzazione.Il fenomeno prevede l’abbandono del dialetto provenienza al di fuori degli usi familiari e l’integrazione linguistica sulla base del dialetto d’arrivo di maggior prestigio, sottoposto a un cres cente livellamento in direzione dell’italiano regionale. Dal secondo dopoguerra l’integrazione linguistica avviene in italiano: il salto linguistico si colloca di solito a livello dei figli degli immigrati, che hanno in genere competenza passiva del dialet to d’origine e parlano solo italiano. - ondate migratorie verso l’estero: tra ‘800 e ‘900 che spingono verso l’alfabetizzazione e l’apprendimento della lingua. - apparato amministrativo centralizzato: irradia un italiano giuridico e di alta formalità - servizio militare obbligatorio - stampa e trasmissioni di massa: ‘800-’900 stampa giornalistica;; 1926 radio;; 1954 televisione Dagli anni dell’unità a oggi si è verificata dunque una radicale evoluzione negli usi linguistici: da una situazione di monolinguismo dialettale, si è arrivata alla situazione attuale di prevalente monolinguismo con diglossia: la maggioranza degli italiani oggi è composta d a italofoni con la competenza di un dialetto, avvertito però come codice basso rispetto all’italiano, e usato in situazioni comunicative più limitate. La tendenza degli ultimi decenni è infatti quella di un’espansione costante dell’italiano ( o meglio delle sue varietà rif. Par 1.2.2); in sintesi queste sono le linee evolutive: - l’italiano avanza progressivamente sia negli usi familiari sia fuori casa, parallelamente al decremento del dialetto, che perde parlanti e contesti d’uso. - le aree di maggior resistenza nell’uso del dialetto continuano a essere il nord est, il sud e le isole;; una buona percentuale della popolazione continua a essere bilingue, e circa il 10 % si esprime solo in dialetto nelle varie situazioni comunicative - il bilinguismo italiano.dialetto produce spesso nei parlanti fenomeni di commutazione di codice, cioè di passaggio dall’uso d ell’italiano all’uso del dialetto e viceversa nello scambio conversazionale o nello stesso enunciato. - una percentuale sempre crescente è solo italofona, parla solo italiano (o tutt’al più ha competenza passiva del dialetto): qu esta tende ad aumentare maggiormente nei medi e grandi centri urbani e progredisce nelle nuove generazioni. Resta il fatto che in poco più di 100 anni dall’Unità, l’litania, dopo essere stato per secoli lingua prevalentemente scritta e letteraria, è diventata la lingua anche parlata almeno dal 90% della popolazione italiana e usata nelle diverse situazioni della vita quotidiana. Il risultato non è certamente la lingua omogenea e fiorentina che si aspettava Manzoni, ma la lingua variegata che tutti oggi usiamo: una lingua in movimento sottoposta a forti spinte innovative; conta molto il fatto che la letteratura abbia perso ormai da tempo il ruolo di modello linguistico, ma anche l’entrata in gioco di nuove forze e protagonisti: i giornali, i mezzi di comunicazione di massa, la pubblicità ecc.. 4.4.6 Un bilancio

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La nostra lingua appare dunque, oggi, in trasformazione più rapida rispetto al passato, dato che sta compiendo in pochi decenni un cammino che altre lingue europee nazionali hanno già percorso da alcuni secoli. Anche la questione linguistica ha assunto nuovi connotati, confrontandosi sempre più decisamente con gli usi comunicativi e sociali della lingua: il dibattito si è spostato piuttosto sul ruolo della scuola e dell’educazione linguistica, sull’analisi dello stato attuale dell’italiano e sulle sue tendenze evolutive, sulla posizione dell’italiano nel contesto europeo e internazionale. L’incalzare di alcuni fenomeni, come la pressione dell’orale sullo scritto e l’invadenza e il prestigio dell’anglo -americano, che è un aspetto vistoso e recente della storia linguistica novecentesca hanno imposto ai linguisti un’un attenta riflessione sull’italiano di oggi: esso va considerato come lingua in movimento che non sembra però aver reciso i legami con al sua secolare tradizione. Nell’ultimo decennio si è manifestata l’esigenza, a livello teorico e pratico, di un ritorno alla scrittura, nella consapevolezza di un problema anzitutto di chiarezza comunicativa , che interessa le istituzioni, il linguaggio burocratico e amministrativo. A livello di educazione linguistica, il problema coinvolge tutto il curricolo scolastico, e ha trovato negli ultimi anni terreno di studio e di sperimentazione della scrittura professionale agli studenti universitari. L’influsso straniero, non sembra giustificare eccessivi allarmismi. Il fenomeno è appariscente, ma riguarda in realtà più le varietà diafasiche ( es. lingue speciali ) che la lingua d’uso. Anche i media e i giornali tendono, del resto, a dare un’immagine enfatizzata, più che oggettiva della presenza effettiva delle voci di provenienza angloamericana. Più a singole parole o a singoli costrutti, occorrerà semmai fare attenzione alla sorte dell’italiano come lingua nazionale d i fronte all’uso dell’inglese, ormai già di fatto esclusivo di certi settori ( medico, scientifico), ma anche è vero che l’italiano è diventato negli ultimi anni una delle lingue più studiate e imparate all’esterno, anche per motivazioni diverse da quelle tradizionali ( legate alla letterat ura, all’arte, alla musica, al turismo ).