EDITORIALE SOMMARIO - perUnaltracittà | La Città invisibile · caos mediorientale, video ......

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perUnaltracittà, laboratorio politicoLA CITTÀ INVISIBILE #38 del 23 marzo 2016

PRIMO PIANO

Paolo Berdini e l’urbanisticaneoliberista a Firenze, il 15 aprilealle Murate, di Redazione

Firenze da mangiare di AngeloMaria Cirasino, filosofo dellascienza, esperto di logica formale

Tav e aeroporto a Firenze, ilfallimento di un governo che nonsa innovare di Fabio Zita,architetto, fino al 2014 dirigente delSettore VIA della Regione Toscana

A che punto è la notte. La vicendaTav fiorentina di Tiziano Cardosi,Comitato No Tunnel Tav 

Dieci cose da saperesull'inceneritore di Montale diGianluca Garetti, medico Isde,attivo in perUnaltracittà

Parco fluviale Firenze sud, mancauna visione d'insieme di GiovannaSesti, Cantiere Beni Comuni Q3

L'Europa del NAWRU,disoccupazione e precarietà dimassa? di Aldo Ceccoli LiberaUniversità Ipazia

Spunti per una riflssione criticasul Jobs Act (parte quarta) diMaria Grazia Campari, avvocataesperta in diritto del lavoro

Il ruolo dell'Arabia Saudita nelcaos mediorientale, videointerventi di Redazione

Appello al voto per il 17 aprile, diRedazione

Per non dimenticare. A 25 annidal Moby Prince di Loris Rispoli,presidente del "Comitato 140"

Narcos, non la solita serie tv sulcrimine di Francesca Conti,perUnaltracittà

Cos'è il carcere di Maurizio DeZordo, attivo in perUnaltracittà enel Collettivo contro la repres-sione-Firenze

RUBRICHE

Pistoia, l'altra faccia della Pianaa cura di Antonio FiorentinoPistoia: La città del dialogoassente, lettera aperta ai relatori

Kill Billy a cura di GilbertoPierazzuoli La luce sia con voi.Non c'è pace per il commissarioPeppenella di Edoardo Todaro,libreria Majakowskij CPA-Fi sud 

Ricette e altre storie a cura diBarbara Zattoni e Gabriele PalloniTagliatelle di ortica di B.Z.

LA CITTÀ INVISIBILEVoci oltre il pensiero unico

Direttore editoriale Ornella De ZordoDirettore responsabile Francesca Conti

La Città invisibile è un periodico on line in cui si dà direttamente spazioalle voci di chi, ancora troppo poco visibile, sta dentro le lotte o esercitaun pensiero critico delle politiche liberiste; che sollecita contributi di chifa crescere analisi e esperienze di lotta; che fa emergere collegamentie relazioni tra i molti presìdi di resistenza sociale; che vuole contribuirealla diffusione di strumenti analitici e critici, presupposto indispensabileper animare reazioni culturali e conflittualità sociali.Perché il futuro è oltre il pensiero unico.Anche a Firenze e in Toscana.

Testata edita dall'associazione perUnaltracittà e registrata pressoil Tribunale di Firenze il 16 dicembre 2015 con il numero 6011.

ISSN: 2498-9517

EDITORIALE SOMMARIO

I motivi per votare SÌ al referendum del 17aprile sono molteplici. La vittoria del SÌsignifica abrogare la norma del famigeratoSblocca Italia che consente l'estrazione diidrocarburi entro le 12 miglia nel mare italiano"fino a vita utile del giacimento". Si devesapere che, a fronte del danno ambientale e deipotenziali pericoli connessi a questa attivitàestrattiva, il petrolio estratto in Italia entro le12 miglia rappresenta meno dell'un per centomentre l''incidenza del gas estratto rispetto aquello consumato è del tre per cento.

Più in generale, la vittoria del SÌ è un chiarosegnale per invertire la rotta in tema dienergia, e passare dalle energie fossili allerinnovabili, abbandonando l'uso del petrolio esganciandosi dal circuito perversodell'economia dei petrodollari e dellepetromonarchie che sta alla base delle guerreche insanguinano il Medio Oriente e il nordAfrica.

Quanto alla minacciata perdita di posti dilavoro, il discorso va esattamente rovesciatoperché gli esperti dicono che i posti creati dalsettore rinnovabile è almeno quattro voltesuperiore a quello dell’industria degliidrocarburi, che è a bassa intensità di lavoro.

Il silenzio colpevole in cui per settimane si èvoluto tenere il referendum è statoinevitabilmente interrotto dallo scandalo dellaMinistra Guidi: oggi i sondaggi dicono che il47% degli italiani andrà "sicuramente a votare".Mancherebbero 700mila voti al quorum, quindiè una partita che si può vincere.

Facciamo di questo referendum un'occasione dimobilitazione e di contestazione alle politichedi questo Governo, attente agli interessi digrandi lobby e non al benessere dellacollettività.

Per smentire nel merito e nel metodo ilgoverno Renzi che invita all'astensione,partecipiamo al voto del 17 aprile e votiamo undeciso SÌ.

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PRIMO PIANO

Paolo Berdini e l’urbanisticaneoliberista a Firenze,il 15 aprile alle Muratedi Redazione

In occasione della presentazione del libro"Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista:perUnaltracittà 2004-2014" (a cura di IlariaAgostini, Aión edizioni, 2016) Paolo Berdinidialoga con il Gruppo urbanistica PUC. «Un librocollettaneo che racconta come nelle città italianesi declina l’idea di città del neoliberismo (non acaso l’esempio è Firenze, cavia dello stregoneRenzi) e come un pugno di urbanisti può animareuna molteplice attività di resistenza» (EdoardoSalzano). Appuntamento venerdì 15 aprile 2016alle ore 17 alla libreria Nardini alle Murate, viadelle Vecchie Carceri, Firenze.

Firenze da mangiaredi Angelo Maria Cirasino

filosofo della scienza, esperto di logica formale

La libreria più importante della città (Marzocco)trasformata in un supermercato gastronomicoper la upper class, un’altra – almeno altrettantostorica (al Porcellino) – nel flagship store di uncioccolataio; delle superstiti, ben poche ormaisprovviste di un punto di ristoro, in ossequio allafilosofia RED (Read, Eat, Dream) imposta dalnuovo monopolista dell’editoria italiana (se losapesse il suo baffuto fondatore…); la terrazza diuna biblioteca pubblica (Oblate) convertita in unacaffetteria all’aperto con la più bella vistapossibile sul centro storico; un antico e sontuosocinema (Gambrinus) in cui si insedia un venditorestatunitense di cotolette; il luogo-simbolo dellacittà (Ponte Vecchio) concesso in affitto per lacena celebrativa di un fabbricante d’auto; l’intero

primo piano del Mercato Centrale che diventa unimmane ristorante ad alto prezzo e dubbiaqualità; un edificio del Michelucci (PalazzinaReale, nel cuore della Stazione di Santa MariaNovella) ristrutturato in un tapas bar ad aperturaprolungata; una delibera del Comune che, per“tutelare l’identità commerciale [sic] dell’areaUnesco”, condiziona l’apertura di nuove rivenditealimentari alla messa in vendita di almeno il 70%di “prodotti della tradizione” (mettendo così albando minimarket e kebabbari); infine, il piùantico mercato delle pulci della città (piazza deiCiompi) sbaraccato e deportato nel più classicodei non-luoghi (largo Annigoni) per far posto alla“Piazza del Cibo”, una kermesse permanente dellostreet food pensata – si vocifera – da un magnatelocale della ristorazione.Sembra che, tardivamente gelosa della “Milano dabere” degli anni ’80, questa città abbia decisoimprovvisamente di diventare una “Firenze damangiare”, vendendosi non più come culla delRinascimento, casa natale della lingua o patronadi arti e lettere, ma come semplice testimonialmondiale del made in Eataly – con buona pace diSoprintendenze e libri di storia.Tutto questo, si dice, risponde alla trasformazioneglobale della struttura dei bisogni innescata dallacrisi: con il calo generalizzato del potered’acquisto, spesa e consumo si allontanano dalvoluttuario orientandosi sempre più verso ilsoddisfacimento di esigenze elementari,ineliminabili, tra cui il mangiare occupanaturalmente il primo posto. C’è anche chi vede dibuon occhio questo sviluppo postmoderno dellaciviltà dei consumi, come se esso esprimesse lafine della cultura del superfluo e il gradualeriposizionarsi della convivenza attorno a valoripiù concreti e fondamentali; o magari il ritorno inauge di saperi e potenzialità locali soppressi dallaglobalizzazione e legati a una concezione piùterritoriale, tradizionale e convivialedell’esistenza.Questo appello al locale, però, non spiega nulladella località, della natura tipicamente fiorentinadi questo festino pantagruelico; che del resto èaccompagnato da scelte di governo del territorio– queste sì, locali – davvero molto chiare, cheripropongono l’immagine del mangiare, come

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pratica o come metafora, in tutti gli ambiti dellavita cittadina: le pedonalizzazioni strategicheproprio in prossimità degli esercizi alimentari“eccellenti”, con conseguente espulsione dalcentro del trasporto pubblico (i bussini elettricinon contano: avete mai provato ad aspettarneuno?); la svendita dell’azienda che lo gestiva adun privato che, operando in regime di monopolio,abbassa a suo piacimento gli standardsprestazionali con conseguente collasso dellamobilità urbana; l’interramento di 7,5 Km dipassante TAV che mette a rischio stabilitàcentinaia di edifici, pubblici e privati, e spostal’asse del trasporto su ferro dal corto al lungoraggio – accentrandolo peraltro su una nuovafaraonica stazione, sempre sotterranea e dunqueinvisibile ai residenti; la contemporaneatrasformazione della Stazione di Santa MariaNovella in uno smisurato shopping mall, conconseguente riduzione all’osso degli spazidestinati agli utenti; la cantierizzazionepluriennale di un terzo della città per larealizzazione di tre linee tranviarie pesanti, pocoeconomiche e a forte impatto; la costruzione,negli spazi destinati al Parco agricolo della Piana(alla faccia della filiera corta), di una nuova pistaaeroportuale per ospitare voli intercontinentaliche, per di più, passeranno a 150 metri in linead’aria dalla cupola del Duomo (alla facciadell’Unesco).Quella che qui si afferma, in sostanza, è un’ideadella città come snodo temporaneo di relazioniextraterritoriali, prevalentemente turistiche,centrate esclusivamente sulla vendita al dettaglio;una città votata non alla residenza ma alla visitaoccasionale, non alla produzione durevole(industriale, culturale o agro-alimentare che sia)ma al consumo immediato: insomma, una città damangiare – se possibile in fretta, senza troppepretese e, ça va sans dire, a pagamento.E sì perché, per entrare in questo nuovo paese dicuccagna, bisogna sempre e comunque pagare; inesso vige una rigida separazione – di casta, sidirebbe – tra venditori e consumatori di cibo,entrambi fortemente professionalizzati (grazieanche a una comunicazione che propagandaincessantemente tecnicismi improbabili come“impiattamento” o “pluristellato”), e non vi è

assolutamente consentito prepararsi da mangiareda sé: il suo momento topico non è il pasto, ma ilconto che lo segue (o più spesso – ahimé – loprecede); e il conto o lo presenti, o lo paghi.La nuova movida alimentare fiorentina non è,così, la riconquista dello spazio dello scambiosociale da parte della convivialità ma, alcontrario, un’espansione totalizzante dellamercificazione che arriva ad estendersi fin suimomenti più elementari della convivenza umana– fin sull’atto esistenziale fondamentale delnutrirsi; non è il cibo che si riprende la città delcommercio, ma il commercio che, attraverso ilcibo, colonizza la città: saturandone gli spazi(fisici e concettuali), monopolizzandoli,sottraendoli all’uso pubblico e marginalizzandoquelli residui.Si arriva così al paradosso per cui il proliferare deiluoghi del cibo riduce in realtà lo spazio dellaconvivialità, mentre il fiorire delle competenzesul cibo priva i suoi utenti della pur minimasovranità su di esso: abbiamo, cioè, una città cheti offre continuamente da mangiare ma che,oramai, è già stata mangiata tutta.L’emergente narrazione alimentare di Firenze hacosì due sensi, uno letterale (riferito al cibo) e unometaforico (riferito alla città); ma entrambi ciraccontano di un esproprio, di una perdita, di unaprivazione: entrambe sono storie di fame, non disazietà. E considerato che questa città, da fuori eda dentro, è giustamente percepita come lavetrina promozionale di un modello di governodel Paese, e delle persone che lo mettono inpratica, queste due storie locali alludono a unaterza più generale, in cui facce allegre seduteintorno a un tavolo procedono senza sosta allafestosa confisca del patrimonio comune per ilproprio e l’altrui consumo (sforacchiandolo qua elà, alterandone in permanenza le regole digoverno, affidandone i pezzi in gestione ad amicifidati).Ora, resta da capire solo una cosa: quantoimpiegheremo, per realizzare che il meravigliosobanchetto è stato allestito per altri, e non per noi?Che manca poco perché costoro facciano fuoritutto quel che ne rimane? Quanto impiegheremo,in altre parole, per alzarci da tavola?

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Tav e aeroporto a Firenze,il fallimento di un governoche non sa innovaredi Fabio Zita

architetto, ex dirigente del Settore VIA della Regione Toscana

Dalle ultime dichiarazioni sull'aeroporto diFirenze del Presidente Rossi, si direbbe che allesue già innumerevoli qualità abbia aggiunto dotidivinatorie, che gli permettono di anticipare(inopportunamente) a noi semplici cittadini qualisaranno le conclusioni di un procedimento ancoranon concluso, e di auto-proclamarsi Presidente diun Osservatorio ambientale ancora non esistente.Viene da riflettere su un dato i cui effetti stannoincidendo profondamente, nel bene come nelmale, sull'evoluzione della società toscana intesacome insieme di funzioni, attività e relazioni: è daquasi mezzo secolo (per l'esattezza 45 anni) che inToscana governa sempre lo stesso partito, pur convariazioni più nominalistiche che sostanziali. Sitratta di un periodo particolarmente lungo,riscontrabile in Italia credo soltantonell'esperienza delle Regioni Emilia-Romagna eUmbria.A livello mondiale, senza voler ovviamenteproporre ingiustificabili parallelismi, si rileva unatale longevità, per esempio, in Cina e a Cuba.Seppur non ve ne sia bisogno, non voglio mancaredi ricordare che questa condizione è il frutto diuna legittimazione avvenuta attraverso il votodemocraticamente espresso dai toscani. Questoperò non può impedirmi di esprimere un giudiziopersonale sugli effetti della permanenza sul palcodegli stessi orchestrali per un tempo cosìrilevante. Quarantacinque anni ininterrotti nellestanze del potere hanno logorato al suo interno ilsoggetto politico che di tale potere è titolare,come un ingranaggio che, riproducendo semprelo stesso movimento, si consuma inesorabilmente.La dimostrazione di questo logoramento è palesenel crollo dell'affluenza al voto delle recentiamministrative, drammaticamente significativodel disinnamoramento dei toscani verso questapolitica. Non vedo nella classe dirigente delpartito di governo:- capacità reattive e propositive in senso

innovativo, che dovrebbero essere la base pergarantire alla Toscana un futuro meno incerto;- disponibilità al confronto, alla discussione anchecon chi non è della stessa opinione, sui granditemi dello sviluppo;- capacità di riconoscere le ragioni dellacontroparte, se utili a migliorare la progettualitàdegli obiettivi posti.Vedo invece, nella stessa classe dirigente, unacostante forzatura dell'applicazione del 'pensierounico' su grandi temi cari a lobby potenti.Prendiamo ad esempio l'affaire aeroporto (pistadi 2.000 metri prima e poi di 2.400; presentazionedi un master plan quando la legge in modoinequivocabile impone un progetto definitivo, conla giustificazione che in Italia è così che si fa 'perprassi consolidata', a riprova che le regole inquesto paese non valgono per tutti allo stessomodo; incredibili carenze progettuali delladocumentazione presentata, che lascianotrasparire una sfrontata certezza che tanto tutto ègià deciso e che quindi è inutile spendere tempo esoldi): questa vicenda è la risposta nei fattiall'affermazione del Capo del Governo che intelevisione ha dichiarato 'Dire che noi siamoquelli delle lobby a me fa, tecnicamente parlando,schiattare dalle risate'.Noi non ridiamo e siamo anzi molto preoccupati.Vedo altresì la volontà di limitare l'applicazionedelle regole esistenti in tema di tutele ambientalie di partecipazione della società civile alle scelteche coinvolgono la nostra vita e quella dellefuture generazioni, regole che furono fortementepubblicizzate al tempo della loro approvazione.Vedo (ahinoi!) una routine di scelte politichesostanzialmente ripetitiva di generazione ingenerazione su tutte le altre questioni comunquedi interesse per i toscani; un'attività senzafantasia, senza adeguata progettualità, senza unavisione a più ampio raggio sulla gestione dellosviluppo, che invece opera sulla spinta di unmodello consolidato che è sostanzialmente - da 45anni - la ripetizione di se stesso.Vedo una classe politica che ha perso lo 'smalto'di un tempo, che vivacchia sulle glorie dimomenti di maggior fulgore e fermento, cheripropone costantemente gesti sempre uguali,rappresentativi di una cultura asfittica, figlia di

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una persistente omogeneità del colore politico,come una orchestra di vecchi e stanchi musicisti,priva di passione, ormai abituata a suonare senzapubblico.Non vedo l'inaugurazione di una nuova stagionecaratterizzata da livelli di rinnovamento dellaclasse politica: gli homines novi che fanno il loroprimo ingresso nella assemblea elettiva e nellagiunta di governo in sostituzione degli insiderdella politica (così come i riciclati) sonosemplicemente i boy scout della Leopolda. Laresponsabilità comunque di tutto ciò ritengo siaanche da attribuire alla totale mancanza, inquesta regione, per moltissimi anni, di unaopposizione che avesse realmente l'obiettivo digovernare secondo il principio dell'alternanza,unica garanzia per avere una classe politicaall'altezza dei tempi.Molti hanno pensato e pensano tuttora che questamancanza sia il risultato del 'patto scellerato'sottoscritto (ma non scritto) tra 'destra' e'sinistra' (se ancora hanno un senso questitermini), studiato ed applicato per permettere aciascuno ciò che effettivamente gli interessa: alladestra il potere finanziario ed economico; allasinistra il primato della politica con la Pmaiuscola in tutte le sue articolazioni ediramazioni. Insomma, la classica spartizionedella torta. Forse ora una opposizione 'di governo'si sta delineando e questo, oltre a portarebeneficio alla dialettica politica, e di riflesso aitoscani, fa anche pensare che nel futuro saràpossibile arricchire l'orchestra di nuovi musicisti,per sentire una musica diversa e, come in tutte ledemocrazie evolute, verificare se ci piace.

A che punto è la notte.La vicenda Tav fiorentinadi Tiziano Cardosi

Comitato No Tunnel Tav

A chi segue le vicende del progetto TAVfiorentino suona veramente deprimente vedere

che questa inutile grande opera non riesca amorire: errori progettuali, rischi per il patrimonioedilizio e artistico, produzione di terre che non sisa come smaltire, danni ambientali ignorati,tempi di percorrenza superiori delle linee attuali,totale inutilità, possibili alternative realizzabili inpoco tempo e con risorse ridottissime, un paio diinchieste della magistratura che hannoscoperchiato un sistema indefinibile, truffa perforniture di materiali inadatti, corruzione,infiltrazioni di mafie, una fresa montata e pagatache non poteva scavare, costi ormai fuoricontrollo (3, 4, 5... volte le previsioni?).L'elenco dei motivi per chi il minimo buon sensoinviterebbe a dire 'basta!' con il progetto piùassurdo che abbia conosciuto Firenze pare nonfinire mai; col tempo le anomalie sono cresciutefino a diventare un macigno che dovrebbeschiacciare ogni velleità di continuare; invecepare non essere così. I governi che si sonosucceduti, tutti proni agli interessi delle lobby deicostruttori, hanno modificato la legislazione sulleterre di scavo per permetterne uno smaltimentoaltrimenti costosissimo, illegalità conclamate(come la mancanza di V.I.A. per la stazione), gliorganismi dei ministeri dell'ambiente e delleinfrastrutture sono pressati (e pressano a lorovolta) perché ogni autorizzazione arrivi e nessunostacolo apparentemente insormontabile siintrometta.Così, dopo anni di cantieri rallentati nei lavori -ma non nello sviluppo dei costi e dei profitti per ilcostruttore - viene alla luce una perizia del CNRche ribadisce nella sostanza la difficoltà acaratterizzare le terre prodotte e diventa un nullaosta totale; arriva, una autorizzazionepaesaggistica dopo due anni in cui ha dormito neicassetti di un imbarazzato Ufficio Urbanistica delComune.Questi due fatti paiono aver folgorato la stampalocale - in particolare la 'gazzetta del cemento edel potere' chiamata Repubblica - che hafinalmente sciolto nei titoli un trionfale peanaall'imminente inizio dei lavori. 20 anni di storia diquesto progetto disgraziato non hanno insegnatonessuna prudenza, i giochi paiono fatti,finalmente il cammino del progresso puòricominciare in barba ai critici diventati ormai

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solo vecchi gufi.Non ci vuole molto a fare previsioni catastroficheper questo progetto, tali e tante le anomalie cheha. Non è necessario essere indovini perimmaginare cantieri che andranno avanti arilento con continui arresti e sospensioni, con unavorticare di costi vergognosi. Il tutto nel massimodisinteresse verso i cittadini, verso le risorsepubbliche (cioè dei cittadini), verso una città chepare ormai essersi rassegnata ad uno snervantestillicidio e i cui anticorpi sono sempre più deboli.Ovviamente chi si oppone a questa follia TAV nonandrà in vacanza, continuerà a dire con forza chela chiusura di questo progetto e di questi cantieriè l'unica cosa saggia che si possa fare. Ma lovediamo bene: saggezza, buon senso, intelligenzanon sono patrimonio di una politica che ha solol'obiettivo di salvaguardare gli interessi dellalobby del cemento.

Dieci cose da saperesull'inceneritore di Montaledi Gianluca Garetti

medico Isde, attivo in perUnaltracittà

La Toscana è anche terra di inceneritori, grazie aidecisori politici locali e nazionali. VI sono zone dieccellenza, dal punto di vista dellamoderna/sostenibile gestione dei rifiuti, come lamitica Capannori ed Empoli e ci sono zone in cuila raccolta differenziata è stentata, perché vi siprogetta di costruire nuovi inceneritori o perchévi sono già attivi. E' il caso della Piana FI-PO-PT,del costruendo inceneritore di Firenze e di quellodi Montale: un impianto 'dannoso per la salute deicittadini e non controllabile'http://www.perunaltracitta.org/2015/09/11/il-paradigma-dellincenerimento-linceneritore-di-montale/, così il Tribunale di Firenze certifical'inceneritore di Montale (sentenza del Tribunaledella Corte d'Appello di Firenze del 17.09.2015,inceneritore di Montalehttp://www.omceopistoia.it/.1-Nella Piana FI-PO-PT dove si vorrebbeimpiantare sciaguratamente l'inceneritore di

Firenze, sono attivi nello spazio di pochichilometri, già tre inceneritori: l'inceneritoreFaggi (Sesto fiorentino), quello di Baciacavallo(Prato) e l'inceneritore di Montale (Pistoia).L'inceneritore di Montale, è un impianto infunzione dalla fine degli anni 80, situato alconfine fra 4 comuni (Agliana, Prato, Montale eMontemurlo). CIS Spa è unŽazienda a capitaleinteramente pubblico, di proprietà dei Comuni diAgliana, Montale e Quarrata, che ha per oggetto lagestione dellŽimpianto di incenerimento, la cuiconduzione però è affidata attualmente allasocietà Ladurner Srl. E' inserito in un contestofortemente critico per la pressione ambientale dimolteplici sorgenti lineari e puntuali, cioè in unazona molto inquinata. Essendo l'inceneritoreun'industria insalubre di prima classe sarebbeindispensabile un corretto funzionamento, unacorretta gestione e un monitoraggio attendibiledelle ricadute sanitarie, con studi epidemiologiciveloci, come quelli che prendono in esame eventiacuti, come ricoveri per infarto, malattiepolmonari, asma, esiti delle gravidanze, forniti dimappe delle ricadute, senza però rinunciare astudi di coorte, ben fatti.http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=55642-La 'scarsa affidabilità dell'inceneritore' diMontale (sentenza del Tribunale di Milanohttp://www.omceopistoia.it/), deriva da unastoria fatta di ripetuti sforamenti di diossine,furani, PCB, ossidi di azoto, ammoniaca, diritardati fermi temporanei, di  ceneri disperse, diinopinate accensioni e spegnimenti, di criticitàgestionali, di sentenze di tribunali, di arbitratilegali fra l'attuale gestore ed il CIS, di'interpretazioni personalistiche di Arpat',http://www.lineefuture.it/inceneritore-arpat-una-diffida-imbarazzante/, di certificati dicollaudo, di sistema di monitoraggio in continuo,di BAT, di risarcimenti alle parti civili, di perizieinutilizzabili, di eccessi di tumori, di   lattematerno alla diossina, di polli alla diossina masenza divieto di commercializzazione, diomissioni e ritardi di comunicazioni deglisforamenti, di sedicenti carboni attivi, diproblemi di privacy sul registro tumori, di unacentralina impazzita.

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3-Due sono stati i malfunzionamenti principalidegli ultimi anni, rispettivamente nell'estate del  2007 e nell'estate del 2015. Ma la criticitàdell'impianto era già stata evidenziata. Nel 1998 vierano state emissioni  10 volte superiori ai limiti,ma grazie a deroghe l'impianto ha potutocontinuare a bruciare. Nel 2013 in settembresforamenti per ossidi di azoto. Ceneri  tossicheprovenienti dalle combustioni di rifiuti sono statesparse irregolarmente all'intornodell'inceneritore, ed attendono bonifica http://www.lineefuture.it/montale-ecco-la-video-testimonianza-delle-ceneri-su-cui-brucia-linceneritore/ 4- Nell'estate del 2007l'inceneritore di Montale, ha emesso in atmosferamicroinquinanti (diossine, furani, PCB) oltre ilimiti, per due mesi e mezzo. Si calcola che sianostati emessi in questo periodo circa 50 milioni dinanogrammi di diossine, cioè la dose massimatollerabile da circa 1 milione di individui adulti inun anno. Solo dopo più di due mesi dal primocontrollo, arriva la tardiva ordinanza di chiusuratemporanea dell'impianto. In seguito a questoincidente sia nelle matrici biologiche sia nel lattematerno di due mamme di Montale, sono statitrovati PCB-dioxin like con un profilo del tuttosovrapponibile a quello dei PCB emessidall'impianto. L'esposizione a diossine e PCB,sostanze che agiscono come cancerogeni edinterferenti endocrini, è sempre pericolosa per lasalute, anche a dosi piccole, lo è particolarmente  in gravidanza  e durante le prime fasi della vita.Per queste sostanze non esiste una soglia disicurezza! Da 'un tavolo istituzionale', si passa adun 'tavolo tecnico' che indica un monitoraggiocostituito da tre parti: indagine ambientale,indagine su matrici animali e vegetali ed indagineepidemiologica. Le prime 2 indagini vengonoconcluse nel 2011, l'indagine epidemiologica èancora in corso. Il tutto avrebbe dovuto esserecompletato nel 2011 (Un problema vero:l'inceneritore di Montale- dr. Roberto Biagini,Direttore U.O Igiene e Sanità pubblica ASL3  editosu la Voce Ordine Pt-2010).  5-Nell'estate del 2015, nonostante dal 2010l'impianto sia dotato diBAT  (Best  Available  Tecnologies), nel periodoluglio-settembre, si registrano ancora

superamenti di valori emissivi sia dimicroinquinanti(diossine e furani, per ben 45giorni) che di macroinquinanti (ossidi di azoto eammoniaca), che dimostrano gravi lacune sianella struttura impiantistica che nellaapplicazione del sistema di gestione. Arpat scriveche la linea 1 continua a mostrare preoccupanticondizioni di scarsa affidabilità, che le cause delsuperamento non sono chiarite; che ci sono statinumeri eccessivi di fermo- impianto (in ogni faseaccensione-spegnimento si genera in 48 ore, il60% del totale delle diossine emesse in un anno difunzionamento a regime normale e questeemissioni non vengono neppure conteggiate); chequindi l'impianto non risulta affidabile, anche perle omesse comunicazioni degli sforamenti (vediRelazione Tecnica ARPAT Pistoia, del 12 ottobre2015 )6-L'impianto che era autorizzato a trattare 150ton/giorno (in partenza erano 120) di rifiuti,urbani, ospedalieri e speciali, dal 14.05.2015tramite sentenza del TAR  della Toscana, ha avutola possibilità di incenerire fino a 220 tonnellate algiorno! Vista la sua grande affidabilità... L'Ordinedei Medici di Pistoia, manifesta la propriacontrarietà a questa concessione e non solo, inuna lettera indirizzata ai Sindaci di Montale,Agliana, Quarrata, al dr L. Biancalani Assessorealla salute del Comune di Prato, al dr. F. Sarubbi Presidente OMCEO Prato, ed al dr MorelloMarchese Commissario Area vasta ed a tutti gliOrdini dei Medici della Toscana: 'i medici, comeprofessionisti deputati a tutelare la salute dellepersone, non possono rinunciare a denunciarel'aumento delle malattie provocatodall'inquinamento dell'aria, del suolo edell'acqua, dal degrado ambientale e dallosfruttamento insensato delle risorse naturali' , incui si  stigmatizza' l'incenerimento non risolve ilproblema dei rifiuti, sia perché lo sposta inatmosfera e in discarica dove vengono conferiti iresidui tossici della combustione e delladepurazione dei fumi, sia perché confliggesoprattutto con la riduzione dei rifiuti ed il riciclodei materiali'  e si invoca il Principio diPrecauzione    'prudenza e assunzione diresponsabilità da parte dei decisori, adducendo la'fragilità' del territorio di Agliana e    Montale'.

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http://www.omceopistoia.it/  7-Nei territori di Agliana e Montale, nel periodoche va dal 1987 al 2008, si è trovato un eccesso dimortalità statisticamente significativo permalattie endocrine nelle donne di Agliana e sultotale dei decessi, la percentuale dovuta apatologie oncologiche, è più elevata rispetto aiconfronti. Quest'ultimo parametro sanitario èindicativo di inquinamento ambientale. Inoltre sisono riscontrati eccessi  di mortalitàstatisticamente significativi per singoli tumori,nei comuni aggregati e non, e nei 2 sessi.( USL 3'Approvazione del progetto di indagineepidemiologica sulle patologie ambiente-correlabili nell'area di ricaduta delle emissionidell'inceneritore di Montale, del 19 febbraio2013). La fragilità del territorio di Agliana eMontale emerge anche dai continui sforamenti diPM 10 e PM 2,5 della centralina di Montale,classificata rurale-fondo, che ha recentementeassunto rappresentatività territoriale ed è statainserita nell'area della Piana Prato-Pistoia.Secondo le stime di ASL-ARPAT il contributodell'inceneritore sarebbe poco rilevante.8- Scrive l'Ordine dei Medici di Pistoia: 'Perquanto riguarda l'Indagine Epidemiologica sullepatologie tumorali ambiente-correlabili nell'areadi ricaduta delle emissioni dell'inceneritore diMontale, ad oggi non siamo in possesso di datecerte per avere i risultati, che purtroppo nonpotranno essere significativi per gli esigui gruppia confronto; fra l'altro    riferiti a due solepatologie: linfoma non Hodgkin e Sarcomi deitessuti molli [i STM  sono molto rari, hannoun'incidenza di 1 caso/100.000 abitanti] .'Dunque, dalle emissioni di diossina del 2007,dopo otto anni, probabilmente saranno adisposizione i dati dell'Indagine solo nel 2016,insieme ai dati delle Malformazioni nei neonati'  http://www.omceopistoia.it/. Il protocolloiniziale di indagine era del tutto carente, solodescrittivo, prendeva in esame solo due tumori,non era in grado di studiare la valutazione diimpatto sanitario delle emissioni degli inquinantidell'inceneritore di Montale. Per cui dovrà esserepredisposto un nuovo protocollo diapprofondimento con modello diffusionale  delleemissioni e georenferenziazione dei pazienti.

Dovranno poi essere valutati l'impatto dellepregresse esposizioni, quello delle attualiesposizioni, recuperando le informazioni sugliesiti della gravidanza e le malformazionicongenite e l'incidenza di altre forme tumorali. E'il mantra 'more research is needed', che risuonain quasi tutti i lavori scientifici riguardanti gliinceneritori e che gioca a favore dei gestori degliimpianti e degli inceneritoristi. Dato chel'inquinamento è ormai ubiquitario e complesso,risulta molto difficile estrapolare le 'improntedigitali' degli inceneritori, per cui una ricerca tiral'altra, trascorre il tempo.9-La sentenza del Tribunale di Firenze:l'inceneritore di Montale è  dannoso per la salutedei cittadini e non controllabile. 'In questosilenzio assordante da parte delle Autoritàsanitarie e tecniche, che hanno il compito dirispondere alle domande di chiarezza etrasparenza richieste dai cittadini, ai quali ciuniamo, si fa sentire, molto significativa, lasentenza del Tribunale della Corte d'Appello diFirenze (17.09.2015), riguardante le emissioni didiossina (2007) da parte dell'inceneritore diMontale, per le quali si interessò prima iltribunale di Pistoia: la sentenza certifical'inceneritore di Montale dannoso per la salutedei cittadini e non controllabile e dispone 'ilpagamento dei risarcimenti in favore delle 43parti civili (mille euro per ciascuno) costituite nelprocesso contro Tibo e Cappocci ( due dirigentidel Cis) http://www.omceopistoia.it/. La sentenzadel Tribunale di Milano: scarsa affidabilitàdell'inceneritore! -'Frattanto con una sentenzadel Tribunale di Milano, sconosciuta fino a pochigiorni orsono, veniva respinta la denuncia di CIS,che reclamava la scadente qualità dei carboniattivi quale causa dei superamenti dei valorilimite per diossine e furani: da parte del Giudiceveniva ritenuta invece responsabile    la scarsaaffidabilità dell'inceneritore. Questo in accordocon la sentenza della Corte d'Appello di Firenze edella relazione di Arpat.'http://www.omceopistoia.it/.10-Il ruolo dei fattori ambientali è troppo spessosottostimato rispetto ai fattori legati allo 'stile divita', spesso enfatizzati  ed utili a far ricadere sulsingolo, responsabilità che viceversa spesso

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provengono da errate scelte di strategie politicheed economiche.

Parco fluviale Firenze sud,manca una visione d'insiemedi Giovanna Sesti

Cantiere Beni Comuni Q3

Estate 2015: viene colpita e devastata da unnubifragio un' area verde importante per la cittàdi Firenze qual'è il parco fluviale 'Anconella-Albereta e Bellariva' Il 13 febbraio alla PalazzinaReale, presso la sede dell'Ordine degli Architetti,viene presentato il 'Masterplan Parco fluvialeFirenze-sud'. Il progetto, a firma di 42professionisti, è stato consegnato al Comune diFirenze dagli Ordini degli Architetti e dei DottoriAgronomi e Forestali come contributoprogettuale per la ricostruzione delle due areeverdi. Il progetto finale sviluppa alcuni spuntipresenti in ognuno dei 6 iniziali masterplan,riuscendo a far dialogare i diversi progetti inun'unica proposta accogliendo anche leosservazioni e le richieste poste ai progettistidurante i Consigli di Quartiere e in particolareall'assemblea pubblica del Quartiere 3.Viene sviluppata l'idea del parco che entra incittà, ridisegnando l'intera via di Villamagna, perpoter moderare, in quel tratto di strada, lavelocità a protezione del  parco, econtemporaneamente evidenziare  i suoi quattroaccessi. Le funzioni all'interno si diversificanotenendo conto delle diverse fragilità dei singoliutenti e delle varie fasce di età: gli orti e gli spazididattici si raggruppano ma vengonoridimensionati. A questi viene destinata solol'area tra il campo da calcio e la duna versol'Arno, dando più spazio al semplice prato. Sisviluppano meglio  i percorsi pedonali e ciclabililungo le sponde dell'Arno. È stata accolta anchemolto bene l'osservazione di garantire non solol'accessibilità, ma cosa ancor più importante, lafruibilità da parte di tutti, anche da chi hadifficoltà motorie, in tutta l'area dei luoghi disosta e di relazione come gli stessi orti didattici e

sociali. Gli interventi architettonici di nuovarealizzazione si limitano ad una sola terrazzasull'Arno a Bellariva e, nel rispetto del vincoloidrogeologico, spariscono tutti gli interventi sullesponde e all'interno del fiume, compresi i dueponti a livello acqua che non tenevano conto diuna realtà molto forte, come il passaggio dellecanoe in quel tratto del fiume.Nel progetto finale rimane solo una passerellapedonale e ciclabile che collegherà i due quartieria sud di Firenze. La vegetazione di alberiautoctoni, tra cui anche il leccio che potrà crearedelle belle ombreggiature, si ridistribuisce nonsolo a filare ma anche a grappolo creando dellearee ombrose e aree a semplice prato. Gli alberi dafrutto e le rosacee da fiore sono previsti invicinanza degli orti e delle aree didattiche, e suentrambe le rive un corridoio di vegetazione disponda. L'amministrazione ha ora a disposizioneun progetto interessante e di qualità per lariqualificazione delle due aree verdi e ciauguriamo che si riesca a finanziare questoprogetto donato al Comune. Speriamo anche chesi possano fare tutti quegli interventi a monte diFirenze per la messa in sicurezza dell'Arnoregalando alla città il fiume come elemento vitalee di collegamento e non come un'interruzione deltessuto urbano. Contemporaneamentel'Amministrazione ha predisposto un primointervento di rimpianto di alberi, costituendo unComitato dedicato alla gestione e ricerca di fondie proponendo insieme a varie realtà presenti nelquartiere iniziative a sostegno della ricostruzionedel parco.Marzo 2016: sentori di un'altra estate, e iniziodella messa a dimora dei primi 150 alberiall'Anconella. All'Albereta ancora non sonoprevisti interventi sulle alberature, dato chel'Amministrazione ha giustamente privilegiatol'Anconella, più devastata dal nubifragio e luogodi maggiore aggregazione e flusso di persone.   Etuttavia, perché non si è previsto di piantarealcuni alberi anche nella zona dell'Albereta doveun po' d'ombra è necessaria per affrontare ilcaldo della prossima estate e favorire un rilanciodella piccola economia del bar e dei campetti'Albereta 2000'? Questa è una zona del parcotroppo spesso trascurata, mentre per posizione e

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per le diverse attività presenti  è quella diimmediata fruizione da parte della città a ovestdel parco e da parte di un'utenza diversa rispettoa quella dell'Anconella dedicata ai più piccoli.Albereta e Anconella, va ricordato, sono di fattoun unico parco. Una posizione, questa, giàespressa più volte, quando si è richiesto che nelPiano delle nuove alberature gli interventi sianodistribuiti a macchia su tutto il territorio. Nelpercorre il parco si notano subito quei PioppiBianchi (Populus Alba) detti anche Gattici, chehanno resistito agli eventi del 2015 e a quello disettembre 2014. Sono alti, molto alti.Alcuni di loro sono ancora senza gemme,presentano tagli di una potatura importante,sembrano per forma e colore degli scheletriciinanimati. Per fortuna questo tipo di pianta, ipioppi, è molto resistente   anche a tagli eseguitisu rami di sezione già ampia come quelle che sinotano. Questa presenza è la testimonianza dellapolitica adottata in questi anni che ha fattotroppa poca manutenzione al suo patrimonioarboreo, realizzando spesso potature pesanti oradicali e non ha previsto un programma di sostituzione alternata e continua delle piante. Per fortuna invece non sono stati ancora eseguititagli all'erba e questa primavera può regalarciuna ricca fioritura spontanea e una varietà di tonidi verde che appaga l'olfatto e la vista e le api e gliinsetti ringraziano. Gli interventi svolti in questimesi al parco fluviale sono stati tanti, ma lungo lerecinzioni in ferro che delimitano gli impianti diPubliacqua sono rimasti gli squarci creati dalnubifragio, squarci pericolosi. È così possibileaccedere all'area di Publiacqua con estremafacilità. Un pericolo evidente, sotto gli occhi ditutti, anche dei tanti ragazzi che affollano i prati.  Di fronte a questa situazione di evidente pericolo,l'Amministrazione deve imporre la sistemazioneimmediata della recinzione dell'areadell'impianto di  Publiacqua, prima di aprire ilparco pubblico alla popolazione. Purtroppo sonoancora presenti all'Anconella varie discariche acielo aperto sia all'interno di zona interdette allapopolazione e chiuse da     recinzione, sia anchenelle zone agibili, mentre fervono i lavori per ilprimo intervento programmatodall'Amministrazione Comunale per piantare i

nuovi alberi. E' stata prevista la sostituzione deivecchi Pini marittimi (Pinus pinaster) dei due vialiperimetrali agli impianti sportivi con un viale,lato via di Villamagna, di Platanus Hybrida(Platano)  e di Quercus ilex (Leccio) e uno, latoArno, di Tigli (Tilia europea) e Peri (PyrusCalleriana) alternati. Le piante sono abbastanzapiccole e questo ci aiuta a sperare che tuttepossano attecchire. Il parco di Rusciano,l'Albereta e l'Anconella, sono soggetti a vincolopaesaggistico in forza del decreto ministerialepubblicato sulla G.U. 218/1953, motivato dallo"spettacolo di rara bellezza" costituito da "uncomplesso di cose immobili che compongono uncaratteristico ambiente avente valore estetico etradizionale, costituendo inoltre una successionedi quadri naturali e di punti di vista accessibili alpubblico". Oggi per ragioni di sicurezza, vengonoescluse le specie più vulnerabili alle condizionimeteorologiche estreme. Ma la scelta dellerosacee arboree e in particolare il   PyrusCalleriana, albero non autoctono e a chiomastretta, non ci ha convinto.La motivazione espressa a difesa, oltre a quelladella sicurezza, è stata la scarsa manutenzionenecessaria, e l'alternanza cromatica nel corsodelle stagioni del Pyrus Calleriana. L'agronomo eforestale Dr. Paolo degli Antoni sottolinea inalcuni suoi articoli che è una scelta '...tipica[della] espressione della progettazione del verdedegli anni '70 e '80 dello scorso secolo, quando icataloghi dei vivaisti si proponevano non solocome listini di vendita, ma anche come manualiricchi di tabelle facilitanti l'individuazione dellesequenze stagionali delle fioriture e dellecolorazioni autunnali; .. piante, ridotte a meriarredi vegetali, era [infatti] richiesta una funzionedecorativa.' Ci chiediamo perché allora non farricadere la scelta sul Pyrus communis dallecaratteristiche di resistenza simili e chiomaslanciata e arrotondata che cresce spontaneonelle nostre regioni? Perché' l'Amministrazionenon si avvale della collaborazione del CNR oUniversità o Corpo Forestale ? Questo interventolimitato alla ricostruzione dei viali lungo gliimpianti sportivi non interagisce con le aree digioco, sosta e svago che   rimangono spoglie  dialberi. La risposta che  più volte mi è stata data

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era: tenendo presente il piccolissimo lasso ditempo che sarebbe stato a disposizione perpiantare gli alberi, si è voluto concentrarel'intervento sui viali, in quanto essendo la zonasotto tutela a vincolo paesaggistico, si potevasolamente sostituire gli alberi caduti esattamentenella loro vecchia collocazione. Credo invece chesi sia persa l'occasione di individuare, insieme agliarchitetti e agli agronomi che si sono datidisponibili, interventi parziali su una nuova ideaprogettuale dell'intera area verde.La stessa occasione è stata persa con il piccoloedificio accanto alla copia della cupola delBrunelleschi. L'edifico è stato restaurato al suoesterno, ovvero sono stati eseguiti i lavori diricostruzione della copertura lignea in buonaparte andata distrutta, mentre ancora niente èstato fatto all'interno. L'interno non è accessibile,e l'attività che viene svolta nell'edificio devesubire inevitabilmente un ritardo sull'apertura.Anche i servizi igienici sono chiusi, e questi ultimisono indispensabili in un parco pubblico moltofrequentato con una forte presenza di bambini.L'edificio risulta inadeguato per dimensione edestinazioni d'uso dei locali interni. Serviziigienici più adeguati per dimensione e numerosono una priorità più volte richiesta. Forse almomento del restauro dell'edificio si potevapensare invece a un intervento più complesso eorganico in funzione proprio di un nuovo volto eservizio da dare al parco. Forse poteva essere nonrestaurato ma ristrutturato o ridisegnato per ilnuovo parco. Manca sempre una visione diinsieme, un'idea progettuale, anche se realizzataa stralci, con più interventi secondo le risorseeconomie possibili dell'Amministrazione, maall'interno di una visione generale; quella di unparco fluviale, un parco a disposizione della cittàche interagisca con tutto il tessuto urbano.

L'Europa del NAWRU,disoccupazione e precarietàdi massa?di Aldo Ceccoli

Libera Università Ipazia

Intervento di apertura al convegno L'Europa delNAWRU, disoccupazione e precarietà dimassa? tenutosi a Firenze al "Giardino dei Ciliegi"il 9 aprile 2016.Per i promotori di questo incontro ladisoccupazione e la precarietà di massa sono uncolpo al cuore alle libertà dei popoli poichésegnano l'ingresso nel mondo della sottomissione.Abbiamo organizzato questo incontro perdiscutere del Nawru, ossia di quel modellomatematico che indica ai governi il tasso didisoccupazione strutturale necessario perimpedire un aumento dell'inflazione. Alcontempo vogliamo vedere se sia possibileriacquisire la priorità dell'occupazione e deidiritti del lavoro rispetto agli imperativi del'finanzcapitalismo'.Quando ci si confronta col tema del lavoro(disoccupazione, precarizzazione,smantellamento programmato dei diritti sociali,bassi salari e via dicendo), incontriamoinevitabilmente l'attuale Unione Europea chenasce nel contesto della controrivoluzione socialeiniziata negli anni Ottanta. È in questo quadro cheha origine il Nawru[1] come normativa europea,con lo scopo di controllare l'inflazione: ma è veroche il tasso inflazionistico aumenta quando ladisoccupazione scende? Perché l'ossessivapreoccupazione per l'inflazione? E perché oradovrebbe arrivare al 2%?Parto da due frasi ricorrenti: 'ci portano via illavoro' riferendosi agli immigrati e 'occorre poterlicenziare liberamente per creare nuovaoccupazione'. La prima, mentre induce a pensareche il lavoro ci sarebbe se non fosse sottratto daestranei, tende a occultare il valoreprogrammatico della seconda, ossia abbiamo illicenziamento terapeutico perché ridurrebbe lariluttanza ad assumere e favorirebbe il contratto atempo indeterminato.Alcuni cenni di storia sociale, pensiamo, possano

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far meglio comprendere i mutamenti regressivivoluti dal liberismo. La scelta dell'abbattimento diogni misura protettrice del lavoro inizia con ilsecondo choc petrolifero del 1979, quando icinque paesi più industrializzati si riuniscono aTokyo e decidono la rottura con le pratiched'ispirazione keynesiana e da quel momento ogniriferimento al raggiungimento e al mantenimentodel pieno impiego scompare dai discorsi deigoverni.Più in generale salta l'equilibrio tra le forze socialiche avevano dato origine al compromesso delloStato liberal-democratico, e questo si rivela cosìuna breve parentesi all'interno della storiasecolare della disuguaglianza, cheinesorabilmente riprende il proprio corso. Inseguito alla scelta del 1979, nei primi 5 mesi del1984 i paesi europei erano segnati da unadisoccupazione che interessava oltre 12 milioni dipersone (10,5%), mentre all'inizio della secondacrisi petrolifera la disoccupazione dell'areacomunitaria era attorno al 5%.E va anche ricordato che Europa e USA avevanoraggiunto un sostanziale pieno impiego con untasso di disoccupazione medio dell'1,5 % all'iniziodegli anni settanta, fino a risalire al 5% nel 1975.Come sappiamo dagli studi di storia sociale, dellavoro e del welfare anche la figura sociale deldisoccupato ha una storia. Il legame tradisoccupazione involontaria e sviluppocapitalistico emerge lentamente. I liberali italiani,durante la seconda metà dell'800 consideravanola disoccupazione un fenomeno naturale cui farfronte eventualmente con dosi variabili dibeneficienza.La scoperta del disoccupato nel doppio senso diindividuazione di un soggetto e di creazione dellecondizioni per dare risposte al problema, avvienealla svolta fra '800 e '900 e consiste nel dissociarefinalmente la disoccupazione come fenomeno dimassa, dalle colpe e responsabilità individuali,collegandola invece a fenomeni macroeconomici(Max Lazard, ad esempio). L'assenza di lavorodivenne tema politico e s'impose all'attenzionedel movimento dei lavoratori in forma crescentedurante l'età giolittiana. Nel 1912 a Bologna sisvolse un congresso nazionale contro ladisoccupazione, indetta della CGDL con

Federterra.Oggi come più di un secolo fa, riemerge lanecessità di definire lo stato di disoccupato, in uncontesto produttivo e normativo in cuil'instabilità lavorativa e il riaffermarsi delfenomeno delle lavoratrici e dei lavoratori poverisono ormai istituzionalizzati. Anche quella delcontratto a durata indeterminata è una lungastoria sociale. Essere lavoratore dipendente ha alungo rappresentato una delle condizioni piùprecarie del mondo del lavoro. Ad esempio ilPartito Radicale Francese, il principale partito digoverno della Terza Repubblica, nel suo congressoa Marsiglia del 1922 parlava del lavoro dipendentecome 'sopravvivenza della schiavitù'.Diversi studi mostrano la lunga marcia che haconsentito al lavoro dipendente di superare lacondizione di 'schiavitù' per diventare la matricedella società contemporanea. Il contratto a tempoindeterminato trova la forma più compiuta neicontratti nazionali di categoria che strutturanoanche la carriera dei dipendenti. In tal modo ilcontratto del lavoratore esce dal quadro di unasemplice relazione bilaterale tra padrone edipendente. L'edificio raggiunge il suocoronamento con il pieno impiego che è elevato aresponsabilità collettiva, sia dalle imprese siadalle politiche pubbliche keynesiane. Oggi, alcontrario, a livello sistemico, si agisce per porrefine al contratto collettivo di lavoro con il ritornoal contratto individuale (cfr. nuovo presidente diConfindustria). Questo modello sottomette ilsingolo dipendente alle sue sole capacità ditrattativa, ben lontano da ogni garanzia collettiva:siamo quindi tornati al punto di partenza del1922.Le misure sui lavori a tempo determinato hannol'obiettivo di inserire la precarietà al centro stessodel lavoro dipendente. L'ossessione dellaflessibilitàha creato in Europa un mostro: il 49%degli occupati ha un lavoro precario e sono oltre100 milioni. Nel 2011 un terzo di coloro che hannomeno di 29 anni ha un contratto a tempodeterminato. Certo con l'età la percentualediminuisce ma gli studi statistici mostrano cheogni generazione occupa meno posti stabili dellaprecedente. Enrico Pugliese nel suo saggio 'Lasociologia della disoccupazione' (ed. il Mulino,

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1993) sottolineava come le trasformazioni incorso mostravano che stava riducendosi l'entitànumerica dei stabilmente occupati, mentre siaveva un allargamento senza precedenti delleoccupazioni temporanee e/o precarie e diversigiovani non avevano un lavoro regolare e molti diloro non l'avranno mai.Quindi alla disoccupazione tradizionale siaffiancava un'area d'intreccio e sovrapposizionetra disoccupazione, sottooccupazione einoccupazione. Per questo, se storicamente si èavuto un passaggio dalla condizione di povero aquella di proletario, oggi la prospettiva cheabbiamo di fronte è quella di un processo inversoda proletari a nuovi poveri. Mentre EnricoPugliese descriveva questa deriva, il 20 febbraio1993 su La Repubblica compaiono i dati relativisulla disoccupazione in Europa al gennaio 1993[2]:in Italia sono 2.425.000 i disoccupati pari al 10,1%;il totale dei disoccupati nell'area Ocse sono32.000.000 pari all'8,0%.Ma di fronte a questo quadro il rapporto OCSE delmaggio 1994 afferma che per 'ottenere unaggiustamento dei salari, ci vorrà un livello piùalto di disoccupazione'. Occorre rompere conquelli che il rapporto chiama i corporativismi delpensiero (salari garantiti, diritto al lavoro,solidarietà sociale). Il rapporto attacca il salariominimo che ha l'effetto di limitare l'occupazione;i licenziamenti regolamentati che scoraggiano idatori di lavoro ad assumere nuovo personale; icontratti collettivi che impediscono l'elasticitànecessaria alla creazione di nuovi posti di lavoro.Inoltre i sussidi di disoccupazione devono essererivisti al ribasso affinché i lavoratori/triciaccettino posti a bassa remunerazione. Il rapportocon cinismo concludeva: 'I costi umani edeconomici che possono essere legati allo sforzoraccomandato, a questo stadio non sono statioggetto di studio approfondito', quindi l'Ocse nonsi sente obbligata a guardare le conseguenze delle'sforzo' raccomandato.Nel 1996 un particolare fatto mette ulteriormentein evidenza i valori in auge: ripetutamente,all'annuncio che il numero dei disoccupatidiminuiva, la borsa di New York rispondeva conun calo del valore delle azioni; al contrario,quando i disoccupati aumentavano, salivano le

quotazioni azionarie e in borsa letteralmente sibrindava. Da questi brevi accenni a dati pre-crisi,emerge con nettezza, come nella societàcapitalistica la disoccupazione non è uno stato dieccezione dovuta alla crisi odierna, ma la regolada decenni[3]. Pertanto se si resta ancorati allepolitiche liberiste, anche quando la crisi saràsuperata semmai lo sarà - disoccupazione ebassi salari resteranno e l'economiadell'intimidazione regnerà sovrana.Dobbiamo ammettere che non comprendiamobene se si riconosce la gravità delladisoccupazione e se la si voglia inserire al centrodel dibattito pubblico, oppure se tale fenomenosociale sia un problema eludibile. Si lascia talequestione a se stessa perché serve come ricattoper far accettare una crescita enorme deicontratti flessibili e dell'eliminazione dei diritticonsiderati un costo? Formuliamo questadomanda perché i recenti governi avallano ladecisione delle istituzioni internazionali cheattribuiscono al nostro paese un tasso necessariodi disoccupazione naturale dell'11%.[4]A pagare il prezzo maggiore della scelta delladisoccupazione di massa sono le donne e ilMeridione. Se il quadro è questo, perché il dolore,la sofferenza che in molti casi porta al suicidio difronte alla perdita del lavoro[5], trova così tanti'liberi servi' disposti a sostenere la bontà dellericette liberiste? Se si sceglie la disoccupazione dimassa, è mai possibile che le istituzioni abbianouna politica tendente a creare posti di lavoro?Come può l'attuale governo di centrodestraitaliano affidarsi alla mano invisibile del mercatoper creare posti di lavoro, dal momento che lamano invisibile ha da tempo scelto a livellosistemico la disoccupazione strutturale di massa?E come può l'UE invitare ad affrontare il problemadell'occupazione con il Nawru? Dieci anni fadicevamo che la globalizzazione liberistaconduceva da 30 anni una guerra al lavoro e allademocrazia[6]. Oggi dobbiamo aggiungerepurtroppo un altro decennio.E come in ogni guerra si ha la presenza delsaccheggio: in questo caso saccheggio delpatrimonio pubblico, insieme a servizi, diritti,istruzione, sanità, futuro. Nell'era in cui lapolitica ha accettato il neo-darwinismo

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competitivo globale (Toni Maraini), possiamotutte/i insieme, generazioni diverse, sulla stradatracciata dalla nostra Costituzione, rivendicare ildiritto al lavoro e chiedere una politica di piena edurevole occupazione come impegno quotidianocontro chi continua a brindare alladisoccupazione perché non fa crescere i salari?L'economia come scienza ha da sempre rivelatoche è utilizzata spessissimo solo come feded'appoggio, non per capire i fenomeni economicima per escludere quelle correnti di pensiero ostilial paradigma dominante.Allora perché non lanciare un concorsointernazionale con relativo premio a chi elaborauna formula matematica che indichi ai governi iltasso di occupazione obbligatoria, ossia l'antiNawru? Una provocazione? Fino ad un certopunto. Florence Noiville - che si definisce unaeconomista pentita - scriveva nel 2010 - chel'economia non deve avere più l'ultima parola', el'economista può mettere le tecniche al serviziodei problemi che opprimono la società nel suocomplesso: dagli eserciti di disoccupati allamoltitudine degli esclusi, dalla crisi ambientalealle guerre.

[1] Not accelleration wages rate of unemployment(Tasso di disoccupazione che non aumenta i salari.[2] Gran Bretagna i disoccupati sono 3.170.000 pari al10,8% (quanti erano durante la depressione del 1932), inGermania 2.478.000 il 7,5%, Francia 2.468.000 il 10%(superiore a quello degli anni Trenta), Spagna 2.768.000al 18%, Italia 2.425.000 al 10,1%.[3] Secondo alcuni studi demografici, nei paesi in via disviluppo, si passerà dagli attuali 1,76 mld a 3,1 mld dipopolazione attiva nel 2025. Se tale ipotesi è vera,sarebbe necessaria la creazione di 38-40 milioni di postidi lavoro ogni anno nei decenni futuri per garantireuna vita dignitosa alla maggioranza degli esseri umaniappena nati o in procinto di venire al mondo. Il regimeliberista è in grado di farlo?[4] 2 aprile 2014 - La disoccupazione ufficiale in Italiasale al 13%, la più alta dal 1977, mentre l'occupazione èagli stessi livelli del 2000. Se poi considerassimo coloroche non fanno domanda di lavoro, gli scoraggiati e lacassa integrazione, la disoccupazione reale salirebbe al24%.[5] Nel 2010 la 'strage di mercato' contò 362 suicidi tra i

disoccupati, 192 tra i lavoratori in proprio, 144 tra ipiccoli imprenditori[6] Il Welfare State nasce dal riconoscere insufficienti lecosiddette leggi del mercato ma non comporta di per sémutamenti sostanziali nel modo di produzione e neirapporti sociali: è un buon riformismo, ma è ancoratroppo per gli aedi del liberismo.

Spunti per una riflssione criticasul Jobs Act (parte quarta)di Maria Grazia Campari

avvocata esperta in diritto del lavoro

Il grande rimosso: l'occupazione femminile. Nonvi è dubbio che alla base della piramideantidemocratica si trovi la grande maggioranzadelle donne che sono le più colpite dal venir menodell'apparato normativo garantista in favore dellaflessibilità delle 'risorse umane', rese merce nelmercato del lavoro. La frammentazione dellavoro, spesso a chiamata, che rende quasiimpossibile una pianificazione degli impegnipersonali non si concilia con le attività di curafamigliare che per le donne italiane occupa fino a51 ore settimanali se sono sposate e con figli.Le rilevazioni statistiche dicono anche che ilcarico di lavoro famigliare, unito alla mancanza divalide strutture pubbliche di welfare, induce il44% delle donne a rinunce di vario genere eintensità in ambito lavorativo, mentre ciò accadesolo al 19% degli uomini. Un frutto avvelenatodella divisione sessuale del lavoro. Come si èdetto, tutto l'apparato legislativo degli anniDuemila ha imposto una flessibilità dellaprestazione lavorativa che determina la completacancellazione della possibilità di autogovernodella propria esistenza, poiché il tempo della vitaè conformato in via esclusiva sulle esigenze delleimprese. Questa è una spiegazione realistica delfenomeno, ma solo di superficiale evidenza. Nonva dimenticato che molti casi mostrano come findagli anni Ottanta del secolo scorso, per le donnesi verificasse una sorta di anticipazione diprecarietà giocata, però, nella grande fabbrica o

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nella grande distribuzione o nel terziarioavanzato, vigente il diritto del lavoro garantistadi allora.Ne riferisco analiticamente in due scritti deglianni 2009 e 2010: 'Donne ai confini dello statosociale' e 'Donne sull'orlo della crisi: casi di lavorofemminile fra produzione riproduzione' nel testocollettaneo L'Emancipazione Malata edito dallaLibera Università delle Donne di Milano. Si facevaallora presente che il futuro ha un cuore antico,cioè si affacciava la possibilità concreta di unregresso nella trama dei diritti e delle garanzieper tutti coloro (la maggioranza degli umani) chela lotteria della nascita ovvero le scelte personalicollocano assai distanti dalle leve del potere.Respingono, cioè, ai margini della società,opulenta o in crisi che sia. Molti dei casi di lottasindacale riferiti mostrano un intreccio fraconflitto di classe e conflitto di sesso perl'aggiudicazione di risorse via via sempre piùscarse.Si era reso evidente che, anche in situazioni (oggiimpensabili) di lavoro stabile tutelato da unapparato di leggi garantiste, nei casi dilicenziamenti collettivi e sospensioni in CassaIntegrazione Guadagni per ristrutturazioniaziendali, le donne apparivano penalizzate,dequalificate nelle mansioni, espulse in viaprioritaria, essendo carente già allora un sostegnoefficace alla lotta da parte dei sindacaticonfederali; il che ci ha fatto pensare che molteerano iscritte a quelle associazioni, macertamente non erano rappresentate. Piùprecisamente, persino nelle grandi imprese, giàprima della legislazione che ha favorito laprecarietà del lavoro, nella vigenza di leggigarantiste di attuazione costituzionale, la manod'opera femminile è stata penalizzata in terminidi permanenza al lavoro, qualificazione e livelliretributivi; questa svalorizzazione di sesso inalcuni casi era persino favorita da accordisindacali in deroga alla legge.Oggi poi, anche se i dati non sono facilmentescomputabili per sesso, alcuni studi dimostranoche dell'enorme disoccupazione e inoccupazionegiovanile, della gran massa di tipologiecontrattuali flessibili, la parte più rilevante èriservata a esseri umani di sesso femminile. In

particolare, Valeria Solesin (giovane ricercatricepresso la Sorbona assassinata il 13 novembre 2015da terroristi islamici) nel suo recente studio'Asimmetrie del mercato del lavoro e ruoli digenere', rileva come il lavoro femminile sianell'anno di grazia 2014 ancora strumentale allediverse fasi della vita, nel senso che lamaggioranza delle donne mette da parte lapropria attività professionale quando si trova adavere figli in età prescolare. Una scelta volta agarantire il benessere famigliare che significa'segregazione in ruoli di genere'.In Italia, infatti, secondo statistiche ufficiali, iltasso di occupazione femminile èpermanentemente inferiore di circa il 25%rispetto a quella maschile. Uno svantaggiorilevante che sembrerebbe destinato a produrretensione tra la responsabilità delle vite e lecostrizioni di un lavoro frammentato, più che maisubalterno (nella realtà, nonostante le definizionimistificatorie), fino al punto di sollecitare unnuovo conflitto per conquistarsi una vita degna.Un conflitto che mi auguro giocatocongiuntamente da due sessi non divisi,all'interno della classe, da collocazioni fra loroantagoniste nel conflitto di sesso, attivato perottenere il primato nella aggiudicazione dellemagre risorse esistenti. E' mia opinione, infatti,che il conflitto di classe sia stato depotenziato dalconflitto di sesso indotto da pratiche egoistiche distampo patriarcale entro la classe.Ne conseguono responsabilità politiche precise,ancora da analizzare compiutamente.

Il ruolo dell'Arabia Sauditanel caos mediorientale,video interventidi Redazione

Il laboratorio perUnaltracittà, ospite dellaLibreria Nardini alle Murate, ha organizzatol'incontro "Il ruolo dell'Arabia Saudita nel caosmediorientale - Dall'ISIS a Sultan Erdogan, da Al-Qaeda a Boko Haram, da Riyad al Teatro Bataclan Isette progetti imperiali sauditi che l'Occidente

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non vuol vedere" con Terence Ward, introducevaGianni Del Panta. Evento del martedì 22 marzo,ore 17.30 Libreria Nardini, via delle VecchieCarceri, Le Murate.Per 30 anni, i semi piantati in tutto il mondoislamico hanno ispirato una nuova generazione difondamentalismo. Con le invasionidell'Afghanistan e dell'Iraq, un nuovo fuoco hacominciato a bruciare. Eppure, giornalisti epolitici si rifiutano di parlare criticamente delleorigini, della fonte radicale dell'estremismo:l'Arabia Saudita. Il profondo e reciproco interessetra grandi multinazionali e sauditi hadeterminato il silenzio dei media e la complicitàdei leader politici occidentali. Per capire l'inter-linkage di eventi, èfondamentale esaminare la setta wahhabita e lafamiglia reale saudita. Tutto comincia lì. Uncentinaio di anni fa. Questa è l'introduzione diGianni Del Panta: https://youtu.be/Dbeb0K8Wt1IQui invece l'intervento di Terence Ward:https://youtu.be/gsMlHkHmLF8Terence Ward, specializzato in storia del MedioOriente e dei movimenti politici islamici nei paesiarabi e nel continente africano, in Searching forHassan (Anchor Books, New York, 2003) raccontail suo drammatico ritorno in Iran dopo 30 anni diassenza, trasportando il lettore nel cuore delpaese e del Medio Oriente. Due diverse edizionisono pubblicate poi in Iran (Ketabsara Tandis eJayhoon, 2004).Il libro è stato pubblicato in Italia e Francia (TEA eEditions Intervalles, 2006), Germania e Indonesia(Federking & Thaler e Rajut Publishing, 2007).

Appello al voto per il 17 apriledi Redazione

Una spiaggia in città per rispondere con ironiaall'arroganza del governo. 'Se il mare è statosvenduto ai petrolieri, non ci resta che portare laspiaggia in città', con questo motto oggi oltre 100volontari del Coordinamento Fiorentino Vota SIper fermare le trivelle hanno inscenato il 2 aprileun insolito flash mob in Piazza Pitti a Firenze.

Tutti in costume e con al seguito sdraio,ombrelloni e persino un canotto, i manifestantihanno riempito di colore una delle piazze piùbelle d'Italia tra gli occhi stupiti dei turisti. Dueragazze hanno pure inscenato una performanceartistica completamente ricoperte di petrolio.'Dopo il recente scandalo che ha portato alledimissioni la Ministra Guidi è caduto il velo diipocrisia che nascondeva i veri interessi di unGoverno interessato a favorire la lobby deipetrolieri a danno dei propri cittadini. Adesso è ilmomento di uscire allo scoperto e dichiarare chela salute e l'ambiente vengono dopo gli interessipersonalistici dei membri del Governo Renzi' hadichiarato Marco Catellacci, portavoce delCoordinamentohttps://www.youtube.com/watch?v=WL02e0ypu2QCon l'accordo firmato alla COP21 di Parigi daRenzi l'Italia si è impegnata a eliminarecompletamente i combustibili fossili dalla propriaeconomia, ma mentre Francia, Croazia e StatiUniti bloccano le trivellazioni, da noi si concede aipetrolieri di mantenere in vita piattaformevecchie e inquinanti, con un serio danno al nostroambiente e alla nostra salute.Il 17 aprile tutti gli italiani sono chiamati a votareper mandare un messaggio a chi ci governa: è oradi finirla di agevolare gli amici petrolieri eostacolare in tutti i modi le rinnovabili, nel futuroche vogliamo non c'è posto per il petrolio e il suogiro di loschi affari.

Per non dimenticare.A 25 anni dal Moby Princedi Loris Rispoli

presidente del "Comitato 140"

Tra pochi giorni sarà il 25° Anniversario, 25 annisono tanti per mantenere vivo nella memoriacollettiva un evento tragico come quello del mobyprince, la mente umana è spesso portata adimenticare ciò che fa male, a noi non è concesso,non vogliamo e non possiamo dimenticare quelle

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140 persone, i loro sorrisi, i loro volti, le loro voci.Il 10 aprile 1991 è una data che abbiamo scolpitadentro, è la ferità che continua incessa...nte asanguinare, e continuerà a farlo finchè nonavremo quelle risposte che ci sono state negate. Inquesti mesi abbiamo iniziato un viaggio nellamemoria aiutati dall'Associazione EffettoCollaterale, abbiamo distribuito centinaia dimagliette rosse  #iosono141  che è diventato ilsimbolo di chi non si arrende, di chi esige assiemea noi delle risposte. Nei giorni scorsi unquotidiano locale ha scritto Livorno in piedi percommentare l'iniziativa delle 140 sedie vuote inpiazza, ecco noi vorremmo che il 10 Aprile, leAssociazioni, le Organizzazioni Sindacali, glistudenti scendessero in piazza, che quellagiornata vedesse finalmente questa città unita nelchiedere Giustizia.Noi ci saremo come sempre, caparbi,incontenibili, instancabili, lo faremo per Loroperché continuano a vivere nella nostra memoria,ma lo faremo anche per dimostrare che nonesistono 'destini cinici e bari' che quellamaledetta notte quella strage poteva essereevitata, che Sara, Giuseppe, Francesco, Cristinapotevano essere ancora tra noi se qualcuno avessesvolto il proprio dovere, se ancora una volta nonsi fosse risparmiato sulla sicurezza.Noi vogliamo gridare che non esistonoprescrizioni per il dolore e che i reati di stragenon devono mai per legge andare in prescrizione.Noi vogliamo un paese che finalmente possaessere definito civile, ma questa è una battagliapersa se Livorno non sarà al nostro fianco, quandirinnovo l'appello alla mia città, partecipate,uscite di casa e venite per strada a dire dopo 25anni basta vogliamo solo sapere PERCHE'.

Narcos, non la solita serie tvsul criminedi Francesca Conti

perUnaltracittà

I narcotrafficanti sono stati raccontati al cinema ein tv molte volte, soprattutto a partire dalla finedegli anni 70 quando la cocaina invase,letteralmente, gli Stati Uniti.  Tutti ricordiamoScarface di De Palma e Traffic di Soderbergh,grandi film per grandi registi con stili moltodiversi che hanno contribuito a costruirel'immaginario sui narcos, ma con unacaratteristica inevitabilmente comune: il punto divista stelle e strisce. Uno degli ultimi prodotti sultema è Narcos, serie tv targata Netflix, prodotta ediretta, in parte, da José Padilha, registabrasiliano, nato come documentarista e poiaffermatosi con il cinema di finzione. Narcos cicatapulta nella Colombia degli anni 70/80seguendo le gesta di Pablo Escobar e delfamigerato Cartello di Medellin, che riuniva i piùpotenti e spietati narcotrafficanti colombiani:Escobar appunto, i fratelli Ochoa, Carlos Ledehr eJose Rodriguez Gacha. La prima stagione ripercorre la scalata al poteredi Escobar, la nascita del cartello, le violenzeinaudite commesse dai sicari di Escobar fino allacattura del capo dei capi e all'evasione dallaprigione di lusso La Catedral. Sono molti glielementi che rendono Narcos un prodottointeressante, uno di questi è senza dubbio ilcambio di prospettiva grazie a una produzionetutta latina e con la Colombia scelta come teatrounico degli avvenimenti. Per chi ha visto filmcome il già citato Scarface o Blow, biopic sultrafficante americano George Jung legato alcartello di Medellin, l'immagine della Colombiache esce da Narcos è qualcosa di inaspettato:niente giardini tropicali lussureggianti, nienteville in stile ispanico-moresco con i loro lussuosicortili e niente trafficanti abbronzati ed eleganti.La Colombia di Narcos è fatta di fangose cocineriein mezzo alle foreste andine, delle strade sporchedi Medellin e di trafficanti tanto ricchi quantoanonimi.I ritratti dei celebri criminali nella serie fanno

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tornare alla mente le parole di Mickey Monday,trafficante di Miami, che nel documentarioCocaine Cowboys di Billy Corben racconta il suostupore nel conoscere Pablo Escobar e i membridel Cartello di Medellin, 'Erano solo dei disperati,un gruppo di criminali di strada molto fortunati.'E il suo socio, Jon Roberts, aggiunge, prendendoun abbaglio, che i veri capi erano i fratelli Ochoa:questi infatti erano gli unici ad avvicinarsiall'immaginario occidentale del trafficantecolombiano con le loro camicie di seta e il ranchcon annesso maneggio pieno di cavallipurosangue.La fotografia di Lula Carvalho sottolineal'asprezza della terra colombiana, i cieli cupi delleperiferie e i colori acidi delle foreste senzaconcedere niente al Sud America dacartolina. Altro elemento interessante è l'utilizzodella doppia lingua: nella versione originale leparti parlate in spagnolo non sono doppiate ininglese ma semplicemente sottotitolate, un buoncompromesso per andare incontro al pubblico deilatinos sempre più numerosi negli Stati Uniti. Maa questo punto Narcos spiazza di nuovo perché lavoce narrante che ci guida lungo le stradecolombiane è quella di Steve Murphy(interpretato da Boyd Holbrook), agente dellaDEA, ed è una voce completamente yankee per iltimbro, per il punto di vista e per il tono dellanarrazione quasi da film western.Ma nella Colombia violenta e corrotta delnarcotraffico non c'è spazio per buoni e cattivi,ovvero ce n'è nelle intenzioni, ma poi la violenzainsensata e la morte ad ogni angolo di stradacorrompono gli animi e fanno sprofondare negliabissi anche i più ligi uomini di legge. Eccola quaun'altra profonda differenza con i film già citati, itrafficanti non sono raccontati con le loro stesseparole e non sono eroi tragici, ma uomininormali, violenti, ridicoli e schiavi delle propriedebolezze che finiranno per annientarli. Ed in unmomento storico in cui l'ammirazione per ipersonaggi della malavita spopola, questo non èun pregio da poco.Basti pensare al dilagare della narcocultura contutto l'immaginario di armi, tatuaggi e corridosche infiamma i giovani messicani sia in patria chenelle comunità latine negli Stati Uniti,

perfettamente testimoniata dal documentarioNarcocultura di Shaul Shwartz del 2013. Unimmaginario che troviamo anche in Italia nellesottoculture legate alla malavita organizzata: chiha visto le foto di Mario Spada a corredo delreportage di Fittipaldi sull'Espresso, dedicato aigiovanissimi camorristi a Napoli, con il lorocorredo di pistole, passamontagna, tatuaggi eabiti sportivi, farà fatica a distinguerli dai sicariosadolescenti cresciuti nelle periferie di Città delMessico, Lima, Bogotà. (Per chi volesseapprofondire su Vice  è assolutamente da vederela video inchiesta sull'eredità di Escobar e sullaviolenza dei ragazzi di strada di Lima assoldaticome killer dal narcotraffico.)La voce narrante è comunque ironica anche neiconfronti della politica, sia verso la debole ecorrotta politica colombiana che, e soprattutto,verso l'ossessione anticomunista di Reagan che glifa sottovalutare, in nome della lotta alle Farc eall'Eln, sopra a tutti, la forza devastante deinarcotrafficanti. Anzi a dirla tutta, i gruppi paramilitari di estremadestra finanziati all'inizio anche da RodriguezGacha e addestrati dall'israeliano Yair Klein,furono utili per gli Stati Uniti nel torturare,uccidere e incarcerare responsabili sindacali,leader di movimenti contadini e difensori deidiritti umani. La serie fa un uso importante diimmagini di repertorio, avvicinandosi ad uno stilequasi documentaristico, per offrire al pubblicouna ricostruzione storica accurata. Realtà efinzione si alternano, come spesso accade neilavori di Padilha, la cui doppia natura didocumentarista e regista di finzione va acostituire uno degli elementi stilistici centralidella serie.Colpisce anche che sia narrata la forte ingerenzadegli Stati Uniti in America Latina, ma,nonostante la produzione sia quasicompletamente sudamericana, non ne vienemessa in dubbio l'opportunità in nessunaoccasione. Guardando Narcos non ci si chiedeperché mai la polizia statunitense si muovesse inColombia come a casa propria, collaborando, mapiù spesso, dando ordini a quella colombiana.Oggi a quasi 25 anni da questi avvenimenti laColombia è l'alleato più fidato degli Stati Uniti in

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America Latina, tanto da ospitare ben 7 basimilitari americane, un risultato ben strano perquella che doveva essere una guerra alla drogacondotta prima da Bush sr, poi da Clinton e infineda Obama. Con il Plan Colombia avviato nel 2000dai presidenti Clinton e Uribe, arrivarono inColombia elicotteri militari e l'esercito fuaddestrato dagli americani per combattere controi narcotrafficanti.Ciò che effettivamente accadde furono lefumigazioni (con il glifosato della Monsanto) perbruciare le coltivazioni di coca, i cui danniambientali a fiumi e foreste sono tutt'oragravissimi; le violenze dei paramilitari, incollaborazione con l'esercito regolare, percostringere la gente ad abbandonare le proprieterre per consegnarle alle élite colombiane o allemultinazionale statunitensi e il fallimento delletrattative di pace tra governo e Farc che certo nonvolevano essere sterminate, una volta deposte learmi, come era accaduto a M19 e Union Patriotica.E mentre Farc e governo colombiano stanno dinuovo trattando una difficile pace a L'Havana,Obama e il presidente Santos annunciano unnuovo Plan Colombia: il Paz Colombia, un nomenuovo per la stessa ingerenza. Comunque,nonostante l'apporto americano, il narcotrafficoha continuato a prosperare indisturbato,cambiando le rotte, alternando i cartellidominanti e i loro capi, sempre più sanguinari e lostesso hanno fatto i paramilitari continuando asterminare contadini, sindacalisti e attivisti.Sarà interessante vedere cosa ci riserverà, aquesto proposito, la seconda stagione di Narcosche verrà messa in onda il prossimo agosto ecome gli autori ci racconteranno i 15 mesi chetrascorsero tra l'evasione da La Catedral fino allamorte di Escobar il 2 dicembre 1993 per manodella polizia colombiana e della DEA. In quei mesifurono molte le ingerenze e molti gli intrecci pocochiari tra paramilitari, esercito colombiano epolizia statunitense. Sarebbe un'occasione persase regista e autori sudamericani non cogliesserol'occasione per mostrare agli spettatori leresponsabilità, non solo della politica colombianache sono ben delineate, ma anche quelle degliStati Uniti, abdicando ad una lettura politica estorica degli eventi stereotipata.

Cos'è il carceredi Maurizio De Zordo

attivo in perUnaltracittà e nel Collettivo contro la repressione-

Firenze

L'11 marzo siamo stati al Cantiere Sociale CamiloCienfuegos di Campi Bisenzio a parlare di carcerecon Salvatore Ricciardi, presentando il suo libroCos'è il carcere, pubblicato da Derive Approdi.Perché parlare di carcere oggi? Perché il carcere èuno dei grandi temi rimossi non solo dallapolitica, ma anche dalla coscienza diffusa. Perchédi carcere si parla poco, e soprattutto male.L'ossessione securitaria, abilmente coltivataseminando paura e senso di insicurezza - mentre ireati sono in costante calo - per mascherare lecrescenti insicurezze reali dovute alla perdita dicoesione sociale, alle inesistenti prospettive difuturo per intere generazioni, alla erosione direddito, lavoro, diritti, alla sottrazione di spazi ebeni comuni, e diventata strumento di ricerca delconsenso da parte della maggior parte delle forzepolitiche, ha contribuito ampiamente allacreazione di un diffuso atteggiamento forcaioloriassumibile nella frase 'buttate via la chiave', onelle qualunquiste considerazioni sulle galerecome luoghi di villeggiatura, mentre sappiamodelle condizioni insopportabili delle carceri percui l'Italia è stata più volte sanzionata dalla UE edella violenza che vi si esercita sui detenuti.E anche negli ambiti di movimento se ne parlapoco, e si agisce ancora meno. Lontana ormai lastagione delle lotte dei detenuti organizzati, dellerivolte, che trovavano rispondenza anche nellemobilitazioni 'fuori', costruendo solidarietà; nellafase della 'normalizzazione" il carcere fatica aimporsi come fronte di lotta e di impegno politico.E' invece urgente riannodare i fili di una analisi edi una mobilitazione necessaria, a partire dallaconsapevolezza di quello che il carcererappresenta: il punto più avanzato di uncomplesso dispositivo repressivo tutto interno alsistema di potere della classe dominante, con laspecifica funzione di mantenere quel dominio,basato sull'ineguaglianza, sulle disparità, sullosfruttamento, sull'esclusione.Dispositivo repressivo che è in costanteridefinizione per adattarsi alle varie fasi di

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sviluppo o di crisi del sistema, fuori come dentroil carcere: fuori con un sempre maggiorecontrollo, contrazione degli spazi di agibilitàpolitica e di libertà personali e sociali, unacontinua erosione dei diritti; dentro con ilperfezionamento di meccanismi  di isolamento efrantumazione delle relazioni, per impedire ognipossibile socialità, e solidarietà, attraverso inparticolare la crescente differenziazione deiregimi, dai circuiti Alta Sorveglianza fino allatortura del 41 bis.Occasione per affrontare questi temi è stata lapresentazione del libro di Salvatore Ricciardi, e lapresenza disponibile e lucida dell'autore,militante delle Brigate Rosse arrestato nel 1980,che di carcere ne sa molto, perché molto ne hafatto. Un libro che Erri De Luca nella prefazionedefinisce 'il più completo manuale di istruzioniper futuri carcerabili, categoria che comprende lagrande maggioranza della popolazione, perciò èlettura da raccomandare'.Lettura da raccomandare soprattutto perchériesce a tenere insieme e legare diversi piani inuna analisi sempre lucida: il piano dellesensazioni personali, dall'ingresso in carcere aidiversi momenti della giornata, i pensierinell'isolamento, i sensi che si modificano (il 60%della popolazione carcerata manifesta entro iprimi mesi disturbi dell'udito per iperacutezza,mentre la vista peggiora per la mancanza dimessa a fuoco da lontano), le energie necessarieper non abbandonarsi, e il tempo, tempo negato,tempo che non c'è perché non c'è nessun fatto enessuna azione da scandire e misurare. Ma anchela consapevolezza della funzione del carcere edella sua irriformabilità: 'Il problema non ègiudiziario ma storico. Qual è la storia diquell'uomo che la legge e la brava gente definiscedelinquente? Quello che le persone rispettosedelle leggi giudicano colpevole e mostrificanoindicandolo al pubblico linciaggio? Qual è la suabiografia? Abolire il carcere vuol dire fare i conticon quelle biografie, e passare oltre. Oltre lastoria, oltre il presente. E' in questo modo che sioltrepassa e si abolisce il carcere. Perché ilcarcere, e tutto l'apparato giudiziario-poliziesco,sono istituzioni che servono a mantenereimmobili quelle biografie, a riprodurre così com'è

questa società con le sue classi, i suoi ruoli. Quellebiografie vanno fermate, immobilizzate, cioèarrestate. Arrestare la storia, impedire ilcambiamento, riprodurre l'esistente. E' questo ilcompito e l'infamia del carcere e dellarepressione'.E ancora l'importanza di riappropriarsi di unadimensione collettiva di resistenza come unicastrada per non restare schiacciati: 'quando ilcarcerato cessa di essere ripiegato su se stesso e,insieme ad altri, combatte la sofferenza che loisola, inizia un percorso collettivo di contrastodell'annientamento. E' la lotta collettiva delcarcerato che rompe la solitudine. (...) Qualchedetenuto di lungo corso ci spiegava la teoriagenerale del carcere: a prova di evasione e rivoltaè solo quel carcere dal quale i detenuti nonpensano più di evadere e di ribellarsi. Questateoria non vale solo per la galera. Vale ancor piùper i liberi: l'esaltazione parossistica deimeccanismi di controllo statali e padronali faparte dei tanti motivi addotti per giustificarel'intenzione di non lottare.'Fino alla liberazione che non è solo quella delcancello che si riapre dopo anni: 'Sentirsi liberi dipoter odiare il carcere e la struttura sociale che loproduce e lo riproduce è parte fondamentale dellalotta per la libertà. Della lotta per sottrarsi allospirito del tempo, oggi occupato da ossessioniforcaiole, dalla sudditanza a un ordine immobile,dalla dipendenza gerarchica. Sono ossessioni utilia far dimenticare i responsabili del malesseredilagante. L'odio verso il carcere ci aiuta aindividuare i veri nemici e lottarci contro. Labattaglia contro il carcere va intensificata con laconvinzione che stavolta non siano i detenuti asoccombere ma il carcere. Che finisca! Che vengaabolito! Chi siamo noi per osare dimenticare?'Affrontare il 'grande rimosso carcerario' ciconsente e ci obbliga ad  andare oltre quelle murae quelle sbarre,  parte estrema, materiale etangibile, di quel sistema atto a 'sorvegliare epunire' che per larga parte, ma con medesimi fini,si basa su disciplina, normalizzazione, controllo.'La prigione continua, per coloro che le vengonoaffidati, un lavoro cominciato altrove e che tuttala società persegue su ciascuno attraversoinnumerevoli meccanismi disciplinari', sistema

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che,  più che destinato a 'sopprimere le infrazioni(...) tende a organizzare la trasgressione delleleggi in una tattica generale di assoggettamento.E se si può parlare di una giustizia di classe, non èsolo perché la legge stessa e il modo di applicarlaservono gli interessi di una classe, ma perchétutta la gestione differenziale degli illegalismi,con l'intermediario della penalità, fa parte diquesti meccanismi di dominio' (M. Foucault,Sorvegliare e punire, Einaudi 1976).Parlare di carcere quindi è parlare di tutto ildispositivo repressivo, di controllo enormalizzazione, che riguarda non solo lapopolazione detenuta, ma si estende su tutto ilcorpo sociale, ed è tanto più urgente ora che ilneoliberismo pretende la ridefinizionedell'individuo secondo i canoni della concorrenzae dell'impresa attraverso la interiorizzazione deimeccanismi disciplinari: 'la razionalitàneoliberista produce il soggetto di cui ha bisognoservendosi dei mezzi per governarlo affinché sicomporti davvero come un'entità in competizioneche deve massimizzare i risultati'. Ognuno devediventare 'impresa di se stesso', in una aberrante'razionalizzazione del desiderio': ognuno, 'nuovasoggettività neoliberista' deve intimamentedesiderare di produrre sempre di più e sempremeglio 'sopprimendo ogni sentimento dialienazione come ogni distanza tra l'individuo el'impresa che lo assume'; un superamentodell'alienazione in direzione opposta di quanto ciimmaginavamo (P. Dardot e C Laval, La nuovaragione del mondo, Derive Approdi 2013).Lo stesso sistema che produce il carcere fatto dimura sbarre e serrature sta costringendo ognunodi noi in un suo intangibile ma reale carcerepersonale, autodeterminato secondo le esigenzedel sistema stesso. 'Non siamo usciti dalla 'gabbiad'acciaio' dell'economia capitalista di cui parlavaWeber. Per certi versi si dovrebbe dire piuttostoche a ciascuno viene imposto di costruire, perproprio conto, una piccola 'gabbia d'acciaio'individuale' (P. Dardot e C Laval). Ecco perché èimportante riportare il dibattito sul carcere, sullarepressione e sul controllo disciplinare al centrodell'azione politica.

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Pistoia, l'altra faccia della Pianaa cura di Antonio Fiorentino

architetto, attivo in PerUnaltracittà

Pistoia: La città del dialogoassente, lettera aperta airelatoridi A.F.

Lettera indirizzata ai relatori presenti allamanifestazione "Leggere la città" organizzata dalComune di Pistoia e quest'anno dedicata a "Lacittà del dialogo". Gentili relatori, i contributi checiascuno di voi porterà negli incontri del 7-10aprile saranno certamente stimolanti, al fine didefinire quali potranno essere o meno iriferimenti realmente utili per leggere e perpensare la Città e il suo futuro.Il dialogo si costruisce con la partecipazione dellapopolazione alle scelte che condizionano ilpresente e il futuro della città, le sue funzioni, ilsuo rapporto con le risorse, con i beni comuni,con la qualità della vita e con coloro i quali la cittàla vivono e la 'leggono' ogni giorno. Per farconoscere la nostra 'lettura' della città abbiamopresentato una proposta di delibera di iniziativapopolare per la creazione di consulte popolari chepotessero 'dialogare' con le scelte di governo dellacittà in maniera strutturata e diretta. Taleproposta è stata respinta da questaamministrazione, il Comune di Pistoia ha cosìrifiutato di accogliere i suoi cittadini in uncontesto formalizzato, dialogante e propositivo.Quello che certamente possiamo dire è chel'auspicata 'Città del Dialogo' non ha nulla a chevedere con le politiche del Comune di Pistoia chein questi anni di amministrazione non si è distintané per dialogo, né per capacità di ascolto dellacittà. La stessa preparazione di questo evento nonha visto la minima partecipazione della città nellesue diverse e variegate visioni dal basso. Inparticolare ci si chiede come sia conciliabile con

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visioni di politiche sui Beni Comuni il Piano dellealienazioni promosso dal Comune, che si disfa dipreziosi complessi storico architettonici, e lasvendita del patrimonio pubblico, in particolaredelle Ville Sbertoli e dell'ex Ospedale del Ceppo,in accordo con la Regione Toscana. Ci si chiedeanche come si possano favorire tutte le politicheliquidatorie conseguenti al duplice errore dellacostruzione del nuovo ospedale e dell'alterazionedell'Ospedale del Ceppo, con tutte le ricaduteurbanistiche compromissorie conseguenti. C'èanche da chiedersi di come si può parlare dinaturalità e ambiente in un'area inquinata dallepolveri sottili e dove molti cittadini sono costrettia ricorrere a cure mediche per intossicazione dapesticidi che contaminano case e giardini privati,perché in questa città si ignorano le norme cheimpongono distanze di sicurezza nell'uso diqueste pericolose sostanze a tutela della salutepubblica. Come si può sostenere e intestardirsisull'inceneritore di Montale, negando una politicadei rifiuti differenziati salubre e moderna. Oancora come si possa lasciare la montagnaabbandonata, e il fiume Ombrone ed i suoiaffluenti senza un progetto delle acque e delle suearee di pertinenza. La città che leggiamo raccontaanche di scarichi fognari nei nostri fiumi e neicampi, di una raccolta differenziata che nonraggiunge gli obiettivi di legge, del servizio idricoaffidato a logiche privatistiche (che fruttano alComune 3 milioni di euro annui) e che ci portal'acqua in condotte in amianto; racconta dei suoistandard urbanistici per parcheggi e giardinisottodimensionati rispetto ai requisiti di legge,parla di macerie delle antiche mura medievalicadute e mai restaurate, di piste ciclabiliinsufficienti e non collegate, dei nostri giardiniabbandonati, delle aree destinate a verde e mairealizzate, di orti urbani sognati e inesistenti,della totale assenza di spazi per i giovani. Icontributi degli illustri ospiti riusciranno arompere il muro di omertà su queste questioniessenziali per il futuro della Città, o tutto ilconvegno servirà a mistificare ulteriormente sia ildialogo che le scelte essenziali per il prossimofuturo della Città e di tutto il comprensoriopistoiese?Le Associazioni, i Comitati e i Gruppi GAS pistoiesi

Kill Billya cura di Gilberto Pierazzuoli

scrittore, attivo in perUnaltracittà

La luce sia con voi. Non c'è paceper il commissario Peppenelladi Edoardo Todaro, libreria Majakowskij CPA-Fi sud

Con La luce sia con voi ci troviamo di fronte alsecondo appuntamento con il commissarioPeppenella, il che significa avere a che fare con ilnuovissimo libro di Peppe Lanzetta, un autore chesta dimostrando notevoli capacità artistico-culturali. Infatti oltre a cimentarsi con lascrittura, non possiamo non citare, tra gli altri,Figli di un Bronx minore,  InferNapoli  e L'isoladelle femmine, 22 racconti sul femminicidio, nelpassato recente ha avuto a che fare con il teatroed il cinema, sia come attore che comedrammaturgo, oltre ad aver collaborato allacomposizione di testi musicali.Ma torniamo a quest'ultimo noir. Un noir che sipotrebbe definire drammaticamente comico e percerti versi surreale. Sì, è vero, come del resto sidesume dal titolo, il protagonista è il commissarioPeppenella, ma è Napoli il valore aggiunto delromanzo, una città che, vista attraverso gli occhidel commissario, o meglio attraverso gli occhidell'autore, diviene la vera protagonista, comespesso è accaduto nei libri precedenti di Lanzetta.Indagine investigativa e Napoli sono due aspettiche si intrecciano indissolubilmente, tanto che unelemento non potrebbe esistere senza l'altro. Inquesto caso il commissario Peppenella ha a chefare con personaggi i cui soprannomi derivanodirettamente dalle statuette dei presepi dei vicolipartenopei. Da Ponzio Pilato a Gesù Cristo, daMaria Maddalena a Giuda Iscariota. Personaggibiblici che in realtà non hanno alcunacaratteristica spirituale, anzi tutt'altro. Uncommissario che, grazie alla sua carriera nelle filedelle forze dell'ordine, arriva da Avellino perritrovarsi in una città dove rubare la corrente o ilgas è una pratica diffusa, con la gente chesemplicemente si 'attacca' ai contatori altrui. Uncommissario che soffre di una sindrome che soloNapoli può far avere, la sindrome 'vagale', resa

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esplicita dal Peppenella quando afferma 'E' la vitache mi stressa, non sono io che sono stressato...'.Leggere queste pagine non può non far venire inmente il poeta/cantore Remo Remotti e la suadichiarazione 'Mamma Roma addio'. Infatti citroviamo di fronte ad una orazione su Napoli ed i'suoi' furti; con le sue 'viscere maleodoranti diuna città allo stremo'; una città in cui gli abitantinella propria quotidianità, si pongono un soloobiettivo: svoltare la giornata; una città in cui è'modesta anche la pioggia'; dove ogni napoletanoè di fatto un portatore sano delle difficoltà econtraddizioni del capoluogo partenopeo che nonriesce e, forse, non vuole, adattarsi alle regole chela modernità impone; dove la strada è maestra divita.Anche i protagonisti di questa indagine derivanoda questo contesto: la vendita di neonati(attraverso testa o croce); i due subalterni, Caputoe Martusciello, che affiancano fedelmentePeppenella; trans e rioni degradati; i disoccupati eil conflitto sociale; cocaina e conventi di suoredove accade di tutto e di più, tranne che trovarela religiosità napoletana tanto decantata; dove isintomi di una ribellione sono sempre annunciatie mai concretizzati.Tutto questo con il sottofondo dello scontrocalcistico Juve - Napoli con la, velata mapercepibile, critica al calcio moderno. Una Napoliche nonostante tutto questo riesce ad esseresolare. Ci imbattiamo in un piccolo commissarioPepe Carvalho, del mai dimenticato MVMontalban, un commissario filosofo che descrivela vita e perché deve essere vissuta, checomprende come ciò con cui si trova ad avere ache fare è la conseguenza di un problema sociale enon certo riconducibile esclusivamente aquestione di ordine pubblico.Un tour che attraverso i rioni più difficili ci portanelle strade più 'in' come via Toledo, andata eritorno..... e come dicevamo all'inizio, ci troviamodi fronte ad un noir, di fatto, tragicomico e questoè ancor più vero se ci misuriamo con la realtà, conle notizie che ci arrivano proprio in questi giornida Napoli con la cosiddetta 'paranza deiragazzini', oppure dopo aver letto un libro,notevole nel raccontare uno spaccato che non sipuò nascondere sotto il tappeto, come 'Teste

Matte" di Salvatore Striano.Peppe Lanzetta, La luce sia con voi, EdizioniCentoAutori, Napoli 2016, pp 232, 13 euro

Ricette e altre storiea cura di Barbara Zattoni e Gabriele Palloni

chef

Tagliatelle di orticadi B.Z.

È una pianta infestante e provoca fastidiosissimipruriti ed eritemi ma si può prendere per il suoverso e sappiamo che Viene usata non solo incucina dai tempi di Greci e Romani; germogli efoglie ancora tenere si raccolgono in primavera,prima della fioritura e state sereni, la cotturadistrugge i peli urticanti.L’ortica contiene una quantità significante diminerali, come calcio, ferro e potassio, vitamine(vitamina A, vitamina C), proteine e amminoacidi,per cui ottima per diete vegetariane.Le foglie e i germogli si usano nei risotti, neiminestroni, nelle frittate e nelle frittelle; tortesalate e ripieni per ravioli. Il sapore è notevole ericambia la girata in campagna con guanti, forbicie sacchetti o panieri. Una volta a casa, toglietegermogli e foglie dallo stelo e lavateli in acquafredda. Lessate in acqua a bollore, scolate estrizzate.Per una generosa dose (6 persone)- 6 uova- 400 gr di farina bianca 0- 200 gr. Di farina grano duro- 200 gr di ortica lessata e tritata- 1 cucchiaio di olio extra vergine- Semola x la spianatoia.Si impastano tutti gli ingredienti insieme, sevolete frullare l’ortica con il cutter, usate 2 delle 6uova per aiutarvi, ma in questo modo l’orticadiventerà una pappa e la tagliatelle di ortica dicampo, ragout di verdure di consistenza dellapasta completamente diversa. Vi consiglio perciòil passa verdure con il disco con i buchi grossi o inalternativa un buon coltello. Ottenuta una palla

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elastica, la farete riposare in frigo per un’oretta,avvolta nella pellicola. Tiratela a mano o con lamacchina per la pasta, ricavandone strisce nontroppo sottili. Farle asciugare per 10 minuti e poitagliatele lasciandole ancora sulla spianatoialeggermente infarinata a “tirare”. A questo puntomettete sul fuoco la pentola per la pasta e...P.S. Ottime con il ragout di verdure, olio ederbette aromatiche. Importante è scegliere uncondimento che accompagni e non sovrasti ilsapore dell’ortica.