L’inquietante Libia, l’invasione dei cinquecentomila · sceicchi del petrolio che, facendo ......

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delle Libertà Libia, l’invasione dei cinquecentomila L’inquietante reciprocità dell’Iran “N on useremo la forza tranne che per l’autodifesa”. La di- chiarazione del ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif non si presta ad equivoci. Solo se at- taccato l’Iran userà la forza militare di cui dispone e di cui si sta dotando. L’affermazione tranquillizza le Can- cellerie europee, e soprattutto la mi- nistra degli Esteri della Ue Federica Mogherini, che hanno come obiettivo principale quello di riaprire e sfrut- tare al massimo i canali commerciali con Teheran e sono ben felici di pren- dere per buone tutte le rassicurazioni provenienti dal regime khomeinista. Il problema è che il governo del Paese disposto ad usare la forza solo per autodifesa abbia nel frattempo in- viato le proprie armate di pasdaran della rivoluzione in Siria a sorreggere il governo di Assad contro i sunniti (siano essi dell’Isis o meno), invii armi ed uomini nello Yemen per cacciarne il governo sorretto dall’Arabia Sau- dita, fornisca armi e finanziamenti agli uomini di Hezbollah che occu- pano mezzo Libano e sono più che at- tivi sul fronte siriano, compiano in continuazione test missilistici e por- tino avanti con determinazione quel programma nucleare al termine del quale c’è il traguardo della costru- zione della bomba atomica. Qualsiasi persona sana di testa avrebbe tutte le ragioni a nutrire qualche dubbio sulla credibilità delle rassicurazioni iraniane. Ma le Can- cellerie europee e la nostra Mogherini hanno la testa rivolta solo alle spe- ranze di affari e commerci... P O L I T I C A M E L L I N I A P A G I N A 2 Dopo le trivelle è l’ora del vero referendum: quello costituzionale E S T E R I T O A M E H A P A G I N A 5 I palestinesi cancellano la storia cristiana E S T E R I B U F F A A P A G I N A 5 Panama Papers, l’assordante silenzio sul figlio di Abu Mazen P R I M O P I A N O S O L A A P A G I N A 3 La politica estera del Governo fa acqua da tutte le parti C U L T U R A D A L E S S A N D R I A P A G I N A 7 Truman: un film di amicizia e fedeltà Politica, bugie e referendum L a tendenza di Renzi e Boschi ad infiocchettare la loro politica con leziose bugie dimostra che sono gio- vani ma già deteriorati. È un luogo comune che l’animale politico debba necessariamente edulcorare, camuf- fare, nascondere ciò che non può pro- prio magnificare e, per converso, che debba magnificare anche la più pic- cola realizzazione per accreditarsi come statista, sebbene delle minuzie. La tronfia albagia con cui ripetono fino alla nausea che il popolo li ha in- caricati di “fare le riforme” sembra in- dicare che si sentano investiti di una missione, mentre, invece, nessuno li ha chiamati a tanto. E comunque la bontà della missione che pretendono I o leggo sempre tutto d’un fiato il formidabile Mughini. Dire che il suo commento sul referendum - scritto per il non meno formidabile “Dagospia” - debba essere una ob- bligatoria meditazione per vincitori e vinti, è il minimo. Perché, come spesso capita in questa versione ulte- riormente ammaccata della Seconda Repubblica, quella cioè arrivata e terminata con Silvio Berlusconi, non c’è più chi ha vinto e chi ha perso, ma hanno vinto tutti. Ma la versione di Mughini è tanto più istruttiva quanto più induce ad una autocritica dell’autore proprio a proposito del referendum Segni, quando Bettino Craxi disse di an- Ma davvero hanno vinto tutti? di dover compiere è contraddetta da loro stessi. Esempi: dichiararono al cospetto del Parlamento (davanti al quale un premier ed un ministro non possono essere né reticenti né incoerenti) che la riforma costituzionale serviva... dare al mare e non alle urne - Renzi l’ha copiato, diciamolo - e accadde il contrario. La leggendaria preferenza unica divenne tutta un’altra cosa, ov- vero un “no” alla cappa della parti- tocrazia fatta indossare a Bettino da parte di un’impressionante grande maggioranza mediatica e politica. Il risultato tecnico restrinse peggiorati- vamente le libertà dell’elettore ma il lascito politico, oltre a quella cra- xiana, segnò l’inizio della fine della parabola della Prima Repubblica. Non dico che sul referendum delle trivelle si possano imbastire simili- tudini pedisseque, per quanto lo schieramento realizzatosi contro il non voto, copia elegante dell’andate al mare, sia stato di un’inopinata vastità, da Grillo a Salvini, dalla Meloni a Brunetta (ma non a Berlu- sconi), non dissimile da allora. A parte il fatto che quest’ultima prova referendaria era, sempre sulle orme di Mughini che rimpiange come noi l’epopea...

Transcript of L’inquietante Libia, l’invasione dei cinquecentomila · sceicchi del petrolio che, facendo ......

delle Libertà

Libia, l’invasione dei cinquecentomila

L’inquietantereciprocità dell’Iran

“Non useremo la forza tranneche per l’autodifesa”. La di-

chiarazione del ministro degli Esteriiraniano Mohammad Javad Zarifnon si presta ad equivoci. Solo se at-taccato l’Iran userà la forza militaredi cui dispone e di cui si sta dotando.L’affermazione tranquillizza le Can-cellerie europee, e soprattutto la mi-nistra degli Esteri della Ue FedericaMogherini, che hanno come obiettivoprincipale quello di riaprire e sfrut-tare al massimo i canali commercialicon Teheran e sono ben felici di pren-dere per buone tutte le rassicurazioniprovenienti dal regime khomeinista.

Il problema è che il governo delPaese disposto ad usare la forza soloper autodifesa abbia nel frattempo in-viato le proprie armate di pasdarandella rivoluzione in Siria a sorreggereil governo di Assad contro i sunniti(siano essi dell’Isis o meno), invii armied uomini nello Yemen per cacciarneil governo sorretto dall’Arabia Sau-dita, fornisca armi e finanziamentiagli uomini di Hezbollah che occu-pano mezzo Libano e sono più che at-tivi sul fronte siriano, compiano incontinuazione test missilistici e por-tino avanti con determinazione quelprogramma nucleare al termine delquale c’è il traguardo della costru-zione della bomba atomica.

Qualsiasi persona sana di testaavrebbe tutte le ragioni a nutrirequalche dubbio sulla credibilità dellerassicurazioni iraniane. Ma le Can-cellerie europee e la nostra Mogherinihanno la testa rivolta solo alle spe-ranze di affari e commerci...

POLITICA

MELLINI A PAGINA 2

Dopo le trivelle è l’ora del vero referendum:

quello costituzionale

ESTERI

TOAMEH A PAGINA 5

I palestinesi cancellano

la storia cristiana

ESTERI

BUFFA A PAGINA 5

Panama Papers,l’assordante silenzio

sul figlio di Abu Mazen

PRIMO PIANO

SOLA A PAGINA 3

La politica estera del Governo fa acqua

da tutte le parti

CULTURA

D’ALESSANDRI A PAGINA 7

Truman: un filmdi amicizia e fedeltà

Politica, bugie e referendum

La tendenza di Renzi e Boschi adinfiocchettare la loro politica con

leziose bugie dimostra che sono gio-vani ma già deteriorati. È un luogocomune che l’animale politico debbanecessariamente edulcorare, camuf-fare, nascondere ciò che non può pro-prio magnificare e, per converso, chedebba magnificare anche la più pic-cola realizzazione per accreditarsicome statista, sebbene delle minuzie.La tronfia albagia con cui ripetonofino alla nausea che il popolo li ha in-caricati di “fare le riforme” sembra in-dicare che si sentano investiti di unamissione, mentre, invece, nessuno liha chiamati a tanto. E comunque labontà della missione che pretendono

Io leggo sempre tutto d’un fiato ilformidabile Mughini. Dire che il

suo commento sul referendum -scritto per il non meno formidabile“Dagospia” - debba essere una ob-bligatoria meditazione per vincitorie vinti, è il minimo. Perché, comespesso capita in questa versione ulte-riormente ammaccata della SecondaRepubblica, quella cioè arrivata eterminata con Silvio Berlusconi, nonc’è più chi ha vinto e chi ha perso,ma hanno vinto tutti.

Ma la versione di Mughini è tantopiù istruttiva quanto più induce aduna autocritica dell’autore proprio aproposito del referendum Segni,quando Bettino Craxi disse di an-

Ma davvero hanno vinto tutti?

di dover compiere è contraddetta daloro stessi.

Esempi: dichiararono al cospettodel Parlamento (davanti al quale unpremier ed un ministro non possonoessere né reticenti né incoerenti) chela riforma costituzionale serviva...

dare al mare e non alle urne - Renzil’ha copiato, diciamolo - e accadde ilcontrario. La leggendaria preferenzaunica divenne tutta un’altra cosa, ov-vero un “no” alla cappa della parti-tocrazia fatta indossare a Bettino daparte di un’impressionante grandemaggioranza mediatica e politica. Il

risultato tecnico restrinse peggiorati-vamente le libertà dell’elettore ma illascito politico, oltre a quella cra-xiana, segnò l’inizio della fine dellaparabola della Prima Repubblica.Non dico che sul referendum delletrivelle si possano imbastire simili-tudini pedisseque, per quanto loschieramento realizzatosi contro ilnon voto, copia elegante dell’andateal mare, sia stato di un’inopinatavastità, da Grillo a Salvini, dallaMeloni a Brunetta (ma non a Berlu-sconi), non dissimile da allora. Aparte il fatto che quest’ultima provareferendaria era, sempre sulle ormedi Mughini che rimpiange come noil’epopea...

Èchiusa la pagina confusa e volutalegger male del referendum sulle

trivelle. L’ultimo di una serie di refe-rendum che non hanno raggiunto ilquorum. Di tutti quelli tenuti dal1974 ad oggi, quello decisamente piùbaggiano, relativo ad un provvedi-mento “anticongiunturale”, per farfronte alla grande manovra deglisceicchi del petrolio che, facendoprecipitare il prezzo dell’oro nero sulmercato mondiale, mira a far fuoril’industria estrattiva petrolifera ditutti gli altri Paesi. Una manovra chedegli esangui pozzi italiani, installatiquando il prezzo del barile era allestelle, sostanzialmente se ne fotte.Ma di che cosa realmente si trattassecon quel provvedimento di “prorogaad esaurimento” delle concessioni,quasi nessuno ne sapeva qualcosa. Enon certo di più ne sapevano i consi-glieri regionali (a proposito: di qualipartiti? Nessuno ne ha voluto par-lare) che a suo tempo hanno votato

la richiesta di referendum delle noveRegioni.

Una battaglia intorno al nulla!Perché il nulla era anche il tentativodi usare il voto contro Matteo Renzi,che aveva raccomandato a quelli checomunque non sarebbero andati avotare di astenersi dal voto, per evi-tare così di raggiungere un quorumche mai e poi mai sarebbe stato co-munque raggiunto. Come tutte lebaggianate, e quelle complicate inparticolare, questo referendum dannine ha fatti e ne fa. Come ne feceroquelli (di cui comunque porto an-ch’io qualche responsabilità) richie-sti “a grappolo”, secondo il criterio“chiedili e dimenticatene”, del fuPartito Radicale. E come, ed ancor dipiù, quelli indetti dopo il 1988. È conviva preoccupazione che ho inteso eho letto qualcuno affermare: “Io a

votare contro Renzi ci vado subito,non aspetto ottobre”. Mi dispiacedover dire a queste persone, a questiamici, che non hanno capito un tuboe che forse non capiscono proprio untubo.

Il referendum costituzionale èun’altra cosa. Anzitutto è “confer-mativo” e non “abrogativo”. Chi ècontro la devastazione etrusco-van-dalica della Costituzione in funzione

di un potere praticamente illimitatodel Partito della Nazione dovrà vo-tare “no”. Renzi dirà di votare “sì”,ma potrà giovarsi, di fatto, diun’eventuale scarsa affluenza alleurne, anche se non è necessario rag-giungere un quorum né del 50 percento né d’altra misura.

Detto questo, vorrei aggiungeresubito che, dopo le baggianate del-l’invito a votare sì o no sulle trivelleda parte del centrodestra (la sinistraera per il voto perché era “bello”!)sarebbe ora il caso che si cominci su-bito la raccolta delle firme di unquinto dei deputati e di un quinto deisenatori, necessario per il referendumconfermativo prima che cominci e sisviluppi, magari, qualche campagnaacquisti verdastra.

Ho letto il messaggio di un amicoche afferma che della riforma “i van-

taggi superano gli svantaggi”. Unmotore per metà fatto a pezzi a maz-zate e per metà migliorato è un mo-tore che non funziona ed è dabuttare. Una riforma costituzionale,se non è organica ed armonica, puòcontenere norme “bellissime” ma èuna riforma di cacca.

Il Senato della riforma Boschi-Renzi, ad esempio, è un “coso” ridi-colo di incerta natura e ruolo,incapace di funzionare (ve li imma-ginate i sindaci che, ogni tanto,vanno a fare i “senatori”?). Una seriedi altri istituti sono sconquassati dal-l’azzoppamento del Senato. Potreicontinuare. Lo faremo con insi-stenza. Ma ora è importante capire eproclamare che questo referendumnon è un’altra bufala. È quello in cuisi gioca la democrazia del nostroPaese. Non c’è tempo da perdere!

sulla spesa pubblica; e che avrebbero preteso ilreferendum perché il popolo deve pronunciarsisulle modifiche costituzionali. Orbene, il refe-rendum sulle revisioni costituzionali hanno di-ritto di chiederlo (articolo 138) un quinto deimembri di una Camera, cinquecentomila elet-tori, cinque Consigli regionali. Il Governo chec’entra? Niente. Ma i Dioscuri ministeriali, men-tendo, se ne vantano pubblicamente, come sefosse merito loro la chiamata del popolo a pro-nunciarsi sul loro “disegno deformatore”. Chelo volessero o no, il referendum si sarebbe te-nuto comunque perché gli avversari hanno i nu-meri per chiederlo e a tale scopo stannoraccogliendo le firme dentro e fuori del Parla-mento. È davvero amaro constatare che quandoRenzi e Boschi vanno in televisione e, con sera-fica sicumera, ribadiscono questa loro bugia,quasi nessuno degli intervistatori glielo fa no-tare senza inginocchiarsi.

E veniamo alla colossale bugia, anch’essapropalata nel silenzio quasi totale della stampa,della politica, e persino dei costituzionalisti. Ilsistema italiano della produzione legislativa è ilpiù efficiente al mondo per quantità, quasiquanto una fabbrica cinese di accendini, ma trai peggiori per qualità normativa. Che motivo c’èdi accelerare l’iter parlamentare se così com’èabbisogna invece di essere rallentato e frenato?Quando Renzi comparve all’orizzonte, dissi sù-bito che mi ricordava in qualche modo i “futu-risti”. Infatti mi dava l’impressione che per lui lavelocità fosse più importante della direzione delcambiamento. L’impressione iniziale è diventatacertezza. Concentrare di fatto la legiferazionenella sola Camera dei deputati sul presuppostoche così si fa prima a sfornare le leggi, è più diuna bugia che solo la malafede può far apparireuna realtà a chi ignora la “verità effettuale”.Inoltre il funzionamento del bicameralismo,sebbene non più paritario, non viene semplifi-cato ma piuttosto complicato dall’approssima-tiva delineazione delle nuove attribuzioni,aggravata dalla redazione degli articoli in ita-liano contorto che sarebbe bocciato alla scuolamedia. Anche qui, i Dioscuri hanno voluto nonsolo correre ma anche, correndo, imporre di-sposizioni sbagliate e pure sgrammaticate, di-fetti imperdonabili in una Costituzione.

Infine, il risparmio sulla spesa pubblica cheil nuovo Senato comporterebbe perché senza in-dennità parlamentare. Se questo era davvero lo

Politica

segue dalla prima

...con gente che in nome della pace e dell’auto-difesa ha bisogno di armamenti sofisticati e tec-nologie all’avanguardia per nuclearizzare ilPaese (ma l’Italia non ha ripudiato l’energia nu-cleare) e per costruire missili in grado non solodi portare la bomba atomica ma anche di lan-ciarla oltre i confini dell’area mediorientale edarrivare in tutti i Paesi del Vecchio e del NuovoContinente.

Cosa e quanto bisognerà aspettare prima chei filo-khomeinisti occidentali incomincino adaprire gli occhi di fronte al rischio che l’espan-sionismo iraniano entri in rotta di collisione di-retta con Arabia Saudita, Egitto ed Emirati ocon quella Israele che il regime khomeinista ri-badisce da sempre di voler cancellare dalla fac-cia della terra? C’è bisogno di una guerradichiarata destinata fatalmente ad incendiarel’intero bacino del Mediterraneo prima di capireche non bisogna accontentarsi delle dichiara-zioni di pace dietro cui si nasconde un’inquie-tante e smaccata doppiezza?

La speranza è che ad aprire gli occhi sia laquestione dei diritti umani, che gli occidentalipongono a Teheran come garanzia della lorobuona fede ma che il governo khomeinista in-tende ribaltare sull’Occidente pretendendo la re-ciprocità sul tema del rispetto dei fondamentalidiritti della persona. Javad Zarif si lamenta del-l’alienazione delle comunità islamiche europee,dei mancati divieti di satira nei confronti deisimboli religiosi musulmani e della cosiddettaislamofobia che si va diffondendo nei Paesi de-mocratici e liberali. Per il ministro degli Esteriiraniano, in sostanza, la reciprocità comportache l’accoglienza sia perfetta, che la satira siavietata e che gli europei si arrendano senza nep-pure pensare alla propria difesa.

Basta questo campanello d’allarme per nonripetere Monaco?

...a velocizzare l’iter legislativo, a semplificare ilfunzionamento delle Camere, a risparmiare

Politica, bugie e referendum

il popolo italiano (pugliese, veneto, campano,ecc.) non ci è stato a questo scambio.

Resta da aggiungere una nostra opinione aproposito dello sfogo renziano contro i talk-show, a suo dire colpevoli di aver condotto unacampagna per dir così poco corretta perché mi-rata non precisamente al senso tecnico del refe-rendum ma alla sua finalità politica allo scopo disloggiarlo da Palazzo Chigi in caso di vittoria deisì. Il fatto è che la presenza di Renzi in televisioneè al limite della bulimia, benché ne sia un abilis-simo utilizzatore. Eppure, proprio noi che nonabbiamo mai risparmiato critiche a tanti talk cheinondano le tivù, dobbiamo in un certo sensodare ragione a Chicco Mentana, che ha pizzicatoil Presidente del Consiglio su questo argomento.Non tanto o non soltanto perché esclusivamentenei talk-show sul referendum si sono potuti espri-mere consensi e, soprattutto, dissensi, quanto, so-prattutto, perché sono state proprio quelletrasmissioni a rendere evidente l’inutilità dellachiamata alle urne. Cui va aggiunta la montantedisaffezione dalle urne degli elettori, specialmentenei referendum. Sono loro i veri vincitori.

E ora: referendum costituzionale

scopo, perché non sopprimerlo del tutto, comeil Cnel? E perché concedere l’immunità a sena-tori che rappresentano non più la nazione, ma leentità territoriali?

...dei grandi referendum radicali, un chiamata alleurne sul nulla.

Il punto dunque riguarda l’esclamazione - vit-toria! vittoria! - espressa qualche minuto dopo irisultati (70 a 30) dal presidente Emiliano, ner-vosamente eccitato dal confronto a ruota con unpremier a sua volta nervosetto, anche se con lemani tese agli sconfitti. I quali continuano im-perterriti a proclamarsi vincitori. Tant’è. Sembre-rebbe tutto racchiuso in questa osservazione,invece occorre aggiungere qualche altra cosetta,qualche piccola riflessione. Se ammettiamo cheper il gruppone poliedrico degli oppositori si trat-tava di un referendum “politico” col quale, incaso di loro vittoria, dare la spallata a Renzi, dob-biamo anche accettare l’opposto di questa tesi, ecioè che gli sconfitti dovrebbero trarre una con-clusione politica. Perché un caso politico c’è, ec-come. Non dico un’auto-spallata per i variegatileader anti-trivelle, ma per i promotori del refe-rendum. Che erano e sono i Consigli regionali diquasi una decina di Regioni. Non oso aggiungereche i consiglieri regionali promotori della lorosconfitta ne debbano trarre conseguenze fatali,dimettendosi. Per carità. Ma almeno una dichia-razione che non si accodi al finto trionfalismo dicui sopra, una sommessa ammissione, se non sulloro comportamento, per lo meno su quello deiloro elettori che li hanno largamente disobbediti,non ci starebbe male. Sarebbe l’inversione di unatendenza, l’indicazione di una consapevolezzamatura, di una presa d’atto basata sulla lealtà,dote peraltro rara nella politica odierna. Non ri-conoscere che la propria regione non li ha seguitiin un’avventura divenuta, giorno dopo giorno,cosa altra rispetto all’originale significa, anche epurtroppo, non riconoscere che questa sconfittaè la sconfitta di un regionalismo finito male, econtro cui Renzi ha lanciato strali acuminati.Così facendo hanno lavorato per lui, ancora unavolta e scambiando lucciole per lanterne, solo che

Che Renzi canti vittoria è ovvio eancora di più lo è considerando

il carattere del Premier, che lo spin-gerebbe a intestarsi, se potesse, ancheil probabile ulteriore scudetto dellaJuventus. Ma visto che il diavolo stanei dettagli e per capirli ci vuole benaltro che il delirio di onniPotenza,nella realtà il Premier sta rotolandoverso la sua Waterloo.

La Procura di Potenza ha rifiutatodi fornire, anche parzialmente, gliatti dell’inchiesta a quella di Roma,l’intervento di Giorgio Napolitano a

favore di una rapida modifica sulleintercettazioni, il movimentismo delGovernatore Michele Emiliano (exmagistrato), ci dicono molto più diqualche cosa. Come se non bastasse,l’elezione di Piercamillo Davigo al-l’Associazione Nazionale Magistratie la inaspettata e frequente ricom-parsa in tivù di Antonio Di Pietro euna serie di spifferi gelidi che volanonei corridoi parlamentari, segnano

più l’inizio della fine che del trionfodel Presidente del Consiglio.

Dunque, al di là dei numeri (chepure dicono molto) sul referendum“No triv”, le quotazioni del Governosono tutt’altro che in ascesa. Se poi atutto ciò aggiungessimo la retromar-cia di Bankitalia sull’ottimismo delDef, l’irritazione che gira in Bce versol’Esecutivo e che Pier Carlo Padoanfa fatica a contenere e soprattutto il

sotterraneo malumore di alcuni ver-diniani, il quadro di Renzi è tutt’al-tro che luminoso. Per questo ilPremier farebbe bene a dedicarsi dav-vero ai problemi del Paese che, finoad ora, ha amplificato e non risolto, adiminuire i suoi viaggi nel mondo daturista per caso, a studiare piuttostouna sua “soft” exit strategy, anzichéaccentuare la sfida e lo scontro contutti. La dead line è fissata per otto-bre con il referendum costituzionale,ma per come stanno andando le cosenon è detto che non arrivi prima, in-dipendentemente dalle amministra-tive di giugno. Come dire, maggio è

il mese delle rose, ma per Renzi po-trebbero essere tutte spine. Staremo avedere, per il momento si confermache i proverbi sono veramente la sag-gezza dei popoli. Si sa, chi troppovuole nulla stringe.

Infine, non sorprende la sperti-cata difesa tout court che Velardi,ospite di Formigli a “Piazza Pulita”,ha fatto di Renzi, aggettivando i con-trari al Premier come “odiatori diprofessione”. In fondo tutti i reducidel comunismo, l’odio, specialmentequello sociale e politico, lo cono-scono bene, essendone stati gli in-ventori...

La vittoria di nessuno

L’inquietante reciprocità dell’Iran

Ma davvero hanno vinto tutti?

Primo Piano

Che la politica estera di un Paeseoccidentale non sia il luogo della

rettitudine è noto. Troppe variabili discenario impongono ai governi dellanazioni sviluppate di dosare pesi emisure in base agli interessi nazionalida tutelare. Ma il bilancino di Pa-lazzo Chigi deve essersi starato. Per-ché certe scelte di politica estera delGoverno Renzi proprio non si com-prendono.

Prendiamo il caso di Giulio Re-geni, il giovane ricercatore seque-strato e ucciso lo scorso gennaio alCairo, dove si trovava per ragioni distudio. Il corpo, che recava evidentisegni di tortura, è stato rinvenutoesanime lo scorso 3 febbraio dallapolizia cairota sul ciglio di unastrada. L’opinione pubblica italianaè rimasta molto scossa dall’orribilevicenda. Doverosamente il nostroGoverno ha chiesto alle autorità po-litiche egiziane di fare piena luce sul-l’accaduto. Tra i principali sospettatisono finiti gli apparati di sicurezza,noti per i loro violenti metodi d’in-dagine. Di fronte alle drammaticheevidenze delle atrocità inflitte al po-vero Regeni, le autorità del Cairo sisono incartate in un vortice di bugiee depistaggi. Il continuo stop-and-godi informazioni date e poi smentiteagli inquirenti italiani incaricati diseguire il caso, ha precipitato l’Italiae l’Egitto in una complicata crisi di-plomatica. Sotto l’aspetto etico il no-

stro Governo ha tutte le ragioni perindignarsi del comportamento reti-cente e ambiguo del partner nord-africano. Tuttavia, valendo inpolitica estera il principio di reali-smo, viene il dubbio che si stia esa-gerando nel mettere sotto pressioneun alleato in modo tanto plateale.

La scorsa settimana, a seguitodella mancata consegna dei tabulatitelefonici della vittima ai magistratiromani che seguono l’inchiesta, il mi-

nistro degli Esteri Paolo Gentiloni harichiamato il nostro ambasciatore alCairo per consultazioni. Ciò significaaver spinto la crisi fino alla sogliadella rottura delle relazioni diploma-tiche. Dal punto di vista morale,nulla quaestio! Il compito supremodi un governo è quello di tutelare lavita e la dignità dei suoi cittadini,ovunque si trovino nel mondo. Tut-tavia, bisogna considerare l’altra fac-cia della medaglia. Il governo di

al-Sisi, sul quale l’Italia ha puntato,non è così stabile come appare. Nonvi sono soltanto i Fratelli Musulmania contrastarlo. Altre correnti, ancheinterne al mondo dei militari dalquale lo stesso al-Sisi proviene, po-trebbero voler giocare un ruolo daprotagonista nel futuro di un Paeseprossimo alla bancarotta nei contipubblici. Quindi, non si può esclu-dere l’ipotesi che l’omicidio Regenisia stato un deliberato tentativo di

sabotaggio della stabilità delle rela-zioni tra la presidenza egiziana e ilsuo maggior sponsor occidentale,giacché è del tutto evidente che il raf-freddamento dei rapporti sia desti-nato ad avere conseguenze sullapartnership.

Ora, è lecito domandarsi: a chigiova questo cambio di scenario?Forse non è un caso se, ieri l’altro, imedia di tutto il mondo abbianomostrato la faccia sorridente delpresidente francese François Hol-lande in visita al Cairo, dove ha fir-mato contratti miliardari inforniture militari. Della serie:quando si parla di quattrini nonsiamo tutti Giulio Regeni come in-vece siamo stati tutti Charlie Hebdoe Bataclan. Questo bagno di reali-smo ci fa dubitare che sia stata unabuona idea tirare troppo la cordacon al-Sisi. Forse Renzi pensava didare al partner d’oltremare una fa-cile dimostrazione di prova musco-lare? Se è così ha sbagliato i tempi.D’altro canto, non è stato fatto al-trettanto con l’India che ha umiliatol’Italia con la storia dei marò, né èstato mosso un dito contro i pre-doni libici che hanno sequestrato eucciso Fausto Piano e SalvatoreFailla, i due incolpevoli lavoratoriitaliani dimenticati tra le sabbiedella Tripolitania. Con l’EgittoRenzi gioca a fare la faccia feroce.Passi pure l’improvviso sussulto dicoscienza, ma un po’ di coerenzano?

Le note stonate della politica estera di Renzi

“Vi annunzio una grande gioia;abbiamo il Papa; l’Eminen-

tissimo e Reverendissimo SignoreJoseph Cardinale di Santa RomanaChiesa Ratzinger, che si è dato ilnome di Benedetto XVI”. Con que-ste venne annunciato Papa Bene-detto XVI, eletto il 19 aprile del2005.

Nato il 16 aprile del 1927, figliodi un commissario di gendarmeriaproveniente da una famiglia di agri-coltori della bassa Baviera, e di unacuoca alberghiera, Joseph AloisiusRatzinger trascorse un’infanzia se-rena a Traunstein, una piccola cittàvicino alla frontiera con l’Austria, atrenta chilometri da Salisburgo. Haricevuto in questo contesto “mozar-tiano” la sua formazione religiosa,artistica e culturale. La sua voca-zione cristiana fu quella di tanti altriragazzini della sua epoca, votata aduna semplice ortodossia che si davaper scontata e che, oggi, passerebbeper integralismo. I suoi anni giova-nili passavano placidi senza scosse,fin quando il giovane Joseph assi-stette ad un evento inaspettatoquanto sconvolgente.

Un giorno, mentre si preparavaad andare a messa ed a servire comechierichetto, come moltissimi ra-gazzi di una volta facevano in “au-tomatismo”, vide il suo parrocobastonato dai soldati nazisti, appenaprima della celebrazione della SantaMessa. Quest’episodio, che farebbeallontanare molte giovani anime dalcammino religioso, avvicinò ancoradi più il ragazzo al cristianesimo,conscio delle persecuzioni che i te-stimoni della fede possono andareincontro per testimoniare il Vangelo.Invece, quel ragazzo alla domandadoverosa “perché dovrei stare an-cora nella Chiesa?” seppe risponderecon coraggio, gratuità e fiducia.

Il 29 giugno dell’anno 1951venne ordinato sacerdote. La sua in-

tensa vita di preghiera si distinse pa-rallelamente all’attività scientifica,che lo ha portato a svolgere impor-tanti incarichi in seno alla Confe-renza Episcopale Tedesca, nellaCommissione Teologica Internazio-nale. Una grande risonanza ha avutola sua lectio pronunciata all’Accade-mia cattolica bavarese sul tema:“Perché io sono ancora nellaChiesa?”. Faceva eco forse quel-l’episodio di tanti anni fa, quando ilsacerdote della sua cittadina vennepicchiato dalla ferocia dei nazional-socialisti. Quella domanda era ser-vita quindi alla maturazioneulteriore di quell’uomo che, in quelmomento, la rivolgeva con inaspet-

tata imprudenza ad un uditorio po-sato e tradizionalista. Ebbe a ri-spondere lui stesso: “Solo nellaChiesa è possibile essere cristiani enon accanto alla Chiesa”.

Il suo servizio come Prefetto dellaCongregazione per la Dottrina dellaFede è stato così ampio che non sa-rebbe efficace ricordarlo in un sem-plice articolo in ricordo della suaelezione papale. La sua opera comecollaboratore di san GiovanniPaolo II è stata alacre. Ventiquattroore prima della morte del Papa, ri-cevendo a Subiaco il “Premio SanBenedetto” (un presagio?) promossodalla Fondazione sublacense “Vita efamiglia”, il Cardinale Ratzinger

aveva ribadito con voce tenera ecalma, ma con parole possenti: “Ab-biamo bisogno di uomini come Be-nedetto da Norcia, che in un tempodi dissipazione e di decadenza, sisprofondò nella solitudine piùestrema, riuscendo, dopo tutte le pu-rificazioni che dovette subire, a risa-lire alla luce. Ritornò e fondòMontecassino, la città sul monteche, con tante rovine, mise insiemele forze dalle quali si formò unmondo nuovo. Così Benedetto,come Abramo, diventò padre dimolti popoli”.

Alla vigilia della sua elezione alSoglio Pontificio, nella mattina di lu-nedì 18 aprile, nella Basilica Vati-

cana, insieme con i 115 Cardinali,ed a pochissime ore dall’inizio delConclave che lo avrebbe eletto pro-clamò, nell’omelia a lui affidata: “Inquest’ora di grande responsabilitàascoltiamo con particolare atten-zione quanto il Signore ci dice”. Ri-ferendosi alle letture della Liturgia,ricordò che “la misericordia divinapone un limite al male. Gesù Cristoè la misericordia divina in persona:incontrare Cristo significa incon-trare la misericordia di Dio. Il man-dato di Cristo è divenuto mandatonostro attraverso l’unzione sacerdo-tale; siamo chiamati a promulgarel’anno di misericordia del Signore”.Quella Misericordia, che egli ha sot-tolineato come fondante, pocoprima di essere eletto Papa, venne ri-presa dal di lui successore, France-sco, quando lo sostituì allo stessosoglio che fu dell’apostolo Pietro.

Le moltitudini hanno osannato ilnuovo Papa Francesco per la sem-plicità, l’intelligenza e la sensibilità,per aver messo al centro del suoPontificato la “misericordia” e la“misericordina” in “pillole”, non sa-pendo che il disegno umano già trac-ciato partiva da lontano, da unprogetto teologico e umanista cheaveva ed ha, ancora oggi, un solonome: il nome di un ragazzo che ri-spose “sì” ad una chiamata, il nomedi un ragazzo che non si spaventòdavanti alle persecuzioni dei sacer-doti da parte della violenza della sol-dataglia, tanto da prendere su di séla croce del vero sacerdozio, il nomedi un ragazzo che, divenuto uomo epoi anziano ormai canuto, prese sudi sé le ingiurie più odiose legate aisuoi natali, alla sua voce, al suoaspetto, per passare oltre, serafica-mente, monacalmente, arando unsolco profondo che può essere soloquello di “un umile lavoratore dellavigna del Signore”. Soltanto unnome e uno solo: Joseph Ratzinger.Fu breve il suo Pontificato, sarà suauna lunga, imperitura gloria.

Undici anni fa l’elezione di Papa Benedetto XVI

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Economia

Cominciamo innanzitutto con l’af-fermare che i paradisi fiscali esi-

stono per sottrarsi dal rischio piùelevato esistente nella società: il rischiogoverno. Il rischio connesso principal-mente al potere delle classi politiche diestrarre coercitivamente la ricchezzache la società produce per consumarlae poi cercare di ricostituirla intensifi-candone l’estrazione fino all’abuso,minando la libertà personale e tra-sformando le nazioni in popolazionidi indiziati nelle cui tasche continuarea ficcare la mano avida. Secondo loro,lo Stato esiste per esclusivo beneficiodell’establishment che concepisce i cit-tadini come un gregge di montoni datassare e sui i quali vorrebbe esercitareuna specie di perpetuo diritto di pro-prietà. Tale è la concezione che hafatto decadere tutte le civiltà. Se i go-verni progrediti promuovessero il fun-zionamento dell’economia privatainvece di depredarla, acquisirebberoun vantaggio competitivo rispetto aquelli che, come antiche satrapie, im-pongono misure punitive e attirereb-bero capitali invece di farli fuggire;tutti pagherebbero molte meno tasseperché la base imponibile aumente-rebbe enormemente e non varrebbe lapena di evaderle. Ma la concorrenzafra governi in materia fiscale è impos-sibile perché la loro natura è la stessadi quella dei tumori: crescere in modoincontrollato a spese dell’organismoche devastano.

L’obiettivo dell’armonizzazioneglobale della legislazione fiscale cheoggi i governi perseguono mira pro-prio ad eliminare la concorrenza perabusare del potere di tassare e perespandersi sempre più. Ma più siespandono, più la ricchezza, dalla base

della piramide sociale sale per con-centrarsi sempre più al vertice mentreil carico fiscale ricade verso il basso. Èuna legge fisica.

La gente comune, impossibilitata a“internazionalizzare” il proprio ri-sparmio per proteggerlo, si è ovvia-mente sdegnata per l’episodio deiPanama Papers, i documenti riservatisottratti allo studio legale panamenseMossack Fonseca. Ma sbaglia a in-veire contro il proverbiale uno percento che ha la possibilità di minimiz-zare il carico fiscale. La gente deve ca-pire bene una cosa: concentrazionedella ricchezza, ineguaglianza, dimen-sione del governo, corruzione e tassepunitive, sono conseguenza dellostesso fenomeno: come il denaro vienecreato e distribuito. Basta riflettere suciò che accade di questi tempi. Graziealle politiche monetarie “discrezio-nali”, ovvero fraudolente, i governispendono denaro che non esiste e chei contribuenti e i loro discendenti do-vranno restituire con le tasse futuresenza averne tratto il minimo benefi-cio. E qui viene il bello. Il denaro con-tinuamente coniato e distribuito atassi nulli crea gigantesche bolle spe-culative che fanno salire vertiginosa-mente il valore delle attivitàfinanziarie dell’uno per cento dei pri-vilegiati, amplificando pure la loro ca-pacità di indebitamento grazie alla

quale investono sempre di più e di-ventano sempre più ricchi; mentre allamaggioranza che non ha accesso aquesta corrente di denaro viene purenegato, a causa della soppressionedegli interessi, il rendimento del ri-sparmio per provvedere alla sopravvi-venza futura. Quando poi le bolle sisgonfiano, a questa maggioranzal’onere di pagare i guasti conseguenti,tramite, ovviamente, maggiori tasse.Questa è la vera horror story che do-vrebbe scandalizzare.

L’intera faccenda dei Panama Pa-pers è stata presentata come fosse larivelazione di un crimine: il fattostesso di avere un conto offshore sa-rebbe ipso facto prova di colpevo-lezza. Si è sorvolato sulla distinzionetra ciò che è legale o meno. Ma comespiega invece il professore di econo-mia Gabriel Zucman dell’università diBerkeley, l’8 per cento del patrimoniofinanziario globale di famiglie (non diimprese) è protetto in società di co-modo collocate in paradisi fiscali, tracui gli Stati Uniti (Nevada, South Da-kota, Wyoming, Delaware) e sonoperfettamente legali. Ovviamente, il-legale è evadere le tasse e criminalisono quegli stessi politici che dopoavere legiferato misure fiscali punitivenei propri Paesi mettono in sicurezzail proprio denaro altrove. BarackObama di recente ha commentato:“Non c’è alcun dubbio che il pro-blema dell’evasione fiscale è un grandeproblema. Non dovremmo rendere le-gali le transazioni che permettano dievadere le tasse e questo è il principioin base al quale ognuno deve pagarela giusta parte di tasse”. La “giusta”parte è ovviamente quella decisa e im-posta dai governi il cui diritto allosperpero non è mai messo di discus-sione.

Demonizzare i conti offshore servea far digerire alla collettività l’inaspri-mento del piano di sorveglianza fiscaleglobale. “Visto quanto evadono i ric-chi? È dunque necessario, nell’inte-resse generale, controllare capitali eredditi di tutti...”. In realtà Stati Unitie Europa si stanno preparando all’ar-mageddon economico e finanziario edevono accelerare il controllo polizie-sco sui redditi della popolazione deicontribuenti. Ma ci si scordi che il tar-get del controllo siano i ricchi; è sem-pre la classe media, ignara di quelloche accade, che dovrà subirlo.

Il piano di sorveglianza globale èiniziato con la legge americana Facta(Foreign Account Tax ComplianceAct), entrata in vigore nel 2013 conl’obiettivo di contrastare l’evasione fi-scale a livello internazionale. Si basasull’adozione di un accordo intergo-vernativo sullo scambio automaticodelle informazioni da e verso gli Usa ele istituzioni finanziarie di quasi tutti iPaesi europei che hanno sottoscrittoun accordo bilaterale con l’Irs (Inter-nal Revenue Service), l’autorità fiscaleamericana. Brevemente, in base alFacta, chi è nato negli Stati Uniti manon residente e anche senza passa-porto americano, se apre un conto adesempio in una banca italiana, questaè obbligata a dichiararlo all’Irs. Se talelegge è stata concepita nel “Paese deiliberi”, figurarsi negli altri. Si osserviche nello stesso periodo dell’adozionedel Facta, in Europa venivano varatele misure predatorie del bail-in e deitassi negativi.

Il Facta è diventato il modello perla cooperazione intergovernativa perla caccia sistematica ai redditi. L’Ocse,quell’inutile carrozzone europeo conla missione istituzionale della coope-razione e dello sviluppo (!), dopo aver

recepito il Facta, ha subito approntatoe con zelo, un altro strumento, il Com-mon Reporting Standard per abolirecompletamente la privacy. Ogni indi-viduo che crea attività all’estero èormai un potenziale indagato.

Sponsor di rilievo di questa opera-zione poliziesca è il Fondo MonetarioInternazionale guidato da ChristineLagarde, uno dei personaggi più peri-colosi in circolazione il cui sogno è ilgoverno del mondo tramite l’arma fi-scale; e in questo suo progetto malatol’Fmi dovrebbe avere un ruolo di lea-dership. Nell’October Fiscal Moni-tor Report, l’Fmi afferma che i Paesialtamente indebitati dovranno “mo-bilizzare il loro reddito interno,”espressione in codice che sta per“tassare aggressivamente i cittadini”e raccomanda senza mezzi terminil’escalation di misure fiscali fino alladiretta confisca dei beni.

Insomma, ai vertici della politicaglobale si sta decidendo il piano or-welliano di eliminare la privacy, tas-sare e sanzionare passando dall’abusodi potere al potere legale dell’abuso. IPanama Papers prefigurano dunque ilprossimo, violento attacco alla libertàdei cittadini occidentali. Nessun go-verno può opporsi, tutti sono ricatta-bili e sanzionabili perché sull’orlodella bancarotta. È inevitabile che conil montare dell’autoritarismo la corru-zione politica aumenti e che la ric-chezza si concentri sempre di più inpoche mani. Impensabile di uscire daquesto incubo senza cambiare la fun-zione dei governi e il sistema di distri-buzione del denaro. Fino a quando lasocietà civile sarà impreparata a que-sto compito, il suo futuro resterà nellemani di folli che cercheranno di strap-pare dalla sua carcassa gli ultimi bran-delli di carne.

I Panama Papers e la prossima stangata fiscale mondiale

Anche Tareq Abbas, figlio di Mah-moud Abbas, al secolo Abu

Mazen, è tra i nomi dei vip che hannodepositato soldi a palate nell’offshorepanamense recentemente svelato dalfurto di dati sensibili poi veicolati neicosiddetti Panama Papers. Ma in Italiae in Europa, con le lodevoli eccezionidi “Focus on Israel”, “L’Intrapren-dente” e un blog del Fatto quotidianodella ricercatrice Claudia De Martinodi “Unimed”, nessun media ha sottoli-neato la cosa.

Si capisce: i soldi pubblici palesti-nesi, sei milioni di euro, che finiscononei conti gestiti dallo studio MossackFonseca bruciano per i Paesi che conti-nuano a finanziare i dirigenti, anzi i de-spoti, del popolo palestinese da decennicon così tanti soldi che i sei milioni dipalestinesi a quest’ora, invece di essere“poveri” e “oppressi” per definizione,

se solo avessero avuto capipiù onesti sarebbero tuttidei Paperoni.

In Israele la notizia l’hatirata fuori “Haaretz”, chedi solito è un giornale piùincline a prendersela conNetanyahu che con gliamici del terrorismo isla-mico in quella zona. Gli harisposto, come riporta Ric-cardo Ghezzi su “Focus onIsrael”, Kareem Shehadeh.Un avvocato palestineseche, parlando a nome deifratelli Abbas e di Apic, hadetto al giornale israelianoHaaretz che “Apic è unasocietà quotata in Borsa, lecui azioni sono negoziate quotidiana-mente. È soggetta al controllo dalla fa-mosa azienda di contabilità Deloitte e idettagli completi e trasparenti appa-iono nei rapporti annuali pubblicati sul

sito web. Le operazioni di Apic sonosotto la supervisione del ministero delCommercio dell’Autorità Palestinese”.

Una dichiarazione che non potràche peggiorare le cose, se verrà provato

che quei soldi sono finiti aPanama. Apic per la cro-naca è la società a capitalemisto pubblico e privatoche detiene i più importantiasset dello Stato in fieridella West Bank, tra cui laamatissima Sky Palestinache permette alla borghesiadei territori di rincoglionirsicon il calcio mondiale tuttii week-end, esattamentecome avviene con il restodel mondo occidentale. E ildeposito attribuito al figliodi Abu Mazen sarebbe ap-punto all’interno di unconto Apic che si trove-rebbe a Panama.

Troppo recente è il ricordo di Arafate quello del litigio tra la sua vedovaSuha e lo stesso Abu Mazen sui soldidello Stato che l’ex Mr Palestina siportò all’estero sui propri conti privati

perché questa storia dei depositi pana-mensi attribuiti al figlio dell’attualecapo dell’Anp potesse passare sotto si-lenzio.

Ma in Italia e in Europa è successo:se salta l’assioma ideologico, fonda-mentalmente basato sull’odio controIsraele, secondo cui i palestinesi vannofinanziati comunque anche se i loro di-rigenti sono, in ipotesi, dei ladroni ma-tricolati, salta un pezzo della recentestoria d’Europa in cui il terrorismopraticato dall’Olp prima e da Hamaspoi, era sempre e comunque giustifica-bile. Mentre le ovvie reazioni armatedello stato democratico di Gerusa-lemme sempre e in ogni caso “spro-porzionate”. E quindi i giornalinostrani (con le suddette lodevoli ec-cezioni) e le tivù generaliste o all-news,che quando c’è da fare un reportagesul “muro della vergogna” hanno sem-pre l’inviato pronto, stavolta hannomarcato visita.

Esteri

Panama Papers, l’assordante silenzio sul figlio di Abu Mazen

Icristiani palestinesi sono indignatiper la distruzione delle rovine di

un’antica chiesa bizantina che sono ve-nute alla luce di recente a Gaza City.Le loro proteste, però, non sono riu-scite ad attirare l’attenzione della Co-munità internazionale, soprattuttodegli organismi delle Nazioni Unitecome l’Unesco, la cui missione è quelladi tutelare il patrimonio culturale e na-turale mondiale. I resti della chiesa ri-salente a 1800 anni fa sono statirinvenuti in Palestine Square, nel quar-tiere di Al-Daraj, a Gaza City, doveHamas intende costruire un centrocommerciale. L’importante scopertaarcheologica pare non essere piaciutaagli operai del cantiere edile, chehanno rimosso i reperti, continuando alavorare come se nulla fosse.

Difficile da credere, ma per distrug-gere alcune vestigia della chiesa sonostati usati i bulldozer, ricevendo asprecritiche da parte dei cristiani palesti-nesi e qualcuno non ha esitato ad ac-cusare Hamas e l’Ap di emulare letattiche dell’Isis per demolire i luoghistorici. Per i cristiani palestinesi la di-struzione delle antiche rovine dellachiesa bizantina è un ulteriore tenta-tivo da parte dei leader musulmani pa-lestinesi di cancellare la storia cristianae i segni di ogni presenza cristiana neiterritori palestinesi. Le accuse rispec-chiano l’amarezza che provano i cri-stiani palestinesi nei confronti dei loroleader in Cisgiordania e nella Strisciadi Gaza, ma rivelano anche un cre-scente senso di emarginazione e perse-cuzione che molti cristiani avvertonovivendo sotto l’Autorità palestinese eHamas. I cristiani palestinesi espri-mono inoltre una certa delusione peril disinteresse mostrato da parte della

Comunità internazionale – anche dalVaticano e dalle comunità cristiane ditutto il mondo – per questo episodio,inteso come un attacco al loro patri-monio e ai luoghi di culto.

Hamas afferma di non avere le ri-sorse per preservare l’antico sito dellachiesa, perché per poterlo fare occor-rono milioni di dollari e centinaia diaddetti ai lavori e in questo momentoil movimento islamista sta affrontandoun crisi finanziaria a causa del“blocco” in corso nella Striscia diGaza. L’Autorità palestinese, da partesua, sostiene che le è impossibile impe-dire la distruzione delle antichità, vistoche la Striscia di Gaza non è sotto ilsuo controllo. Tuttavia, la leadershipdell’Ap in Cisgiordania non si è pro-nunciata pubblicamente contro la di-struzione del patrimonio archeologico.Stiamo parlando della stessa Autoritàpalestinese che promuove una “inti-fada” delle auto e dei coltelli per ucci-dere gli ebrei accusati di “profanare”la Moschea di al-Aqsa a causa delle vi-site organizzate sul Monte del Tempiosotto protezione della polizia. L’Auto-rità palestinese ritiene che le visite degliebrei sul Monte del Tempio sianomolto più pericolose della distruzionedi un importante sito archeologico cri-stiano nella Striscia di Gaza. Anzichédenunciare le azioni di Hamas, l’agen-zia di stampa ufficiale dell’Ap Wafa hapubblicato un report in cui alcuni ar-cheologi e storici palestinesi esprimonoindignazione per quanto accaduto.

Uno dei leader della comunità cri-stiana in Cisgiordania, padre IbrahimNairouz, ha scritto una lettera di pro-

testa al primo ministro dell’Ap, RamiHamdallah, lamentandosi della ge-stione arbitraria delle vestigia dellachiesa rinvenuta a Gaza. Il sacerdoteha scritto nella sua lettera: “Avresteagito nello stesso modo se le rovinefossero appartenute a una moschea o auna sinagoga?”. E così, in segno diprotesta, egli ha reso pubblica la suadecisione di boicottare la prossima vi-sita ufficiale del primo ministro a Be-tlemme e Hebron. Numerosi cristianipalestinesi – e anche qualche musul-mano – hanno espresso il loro soste-gno alle critiche di padre Nairouz.Sami Khalil, un cristiano della città ci-sgiordana di Nablus, ha scritto: “Pensoche il silenzio arrivi a rasentare la con-nivenza. Ma la domanda è: dove sonogli specialisti in grado di conservare ilnostro patrimonio cristiano? Dovesono i responsabili delle chiese di Ge-rusalemme e del mondo? Dove sono ivescovi? Dove sono il Vaticano el’Unesco? Dove sono i leader e gli uo-mini politici che parlano, parlano,parlano di unità nazionale e conserva-zione dei luoghi santi? Oppure questaè una cospirazione collettiva per porrefine alla nostra esistenza e alla nostrastoria in Medio Oriente?”. Un altrocristiano, Anton Kamil Nasser, hacommentato: “Poco importa che sitratti di una chiesa o di qualcos’altro,questa è una forma di terrorismo in-tellettuale e arretratezza”. AbdullahKamal, dell’Università al-Quds di Ge-rusalemme, ha detto: “Purtroppo, il si-lenzio riguardo la distruzione diquesto patrimonio archeologico e sitostorico del nostro Paese è equiparabile

a un crimine”. Una donna cristiana diGerusalemme Est ha rimarcato: “Do-vremmo vergognarci. Se questo fosseaccaduto sotto gli ebrei, il sito sarebbestato trasformato in un museo”.

Sì, è così: sotto l’Autorità palesti-nese e Hamas, per la minoranza cri-stiana non tutto va per il meglio. Nonè un segreto che sempre più cristianiin Cisgiordania e a Gaza si sentanopresi di mira sistematicamente dal-l’Ap e da Hamas a causa della loro re-ligione. La devastazione dell’anticachiesa bizantina di Gaza è solo unesempio della mancanza di rispettomostrata dall’Autorità palestinese eHamas verso gli abitanti cristiani.

Un altro episodio che ha fatto in-furiare i cristiani è stato l’arresto dellasettimana scorsa, da parte della poli-zia dell’Ap, di Raja Elias Freij, 60anni, un importante uomo d’affaricristiano di Betlemme. L’Autorità pa-

lestinese sostiene che Freij è stato ar-restato perché aveva minacciato uncommerciante di Betlemme – un’ac-cusa che lui, la sua famiglia e moltialtri cristiani negano con forza. Loscorso fine settimana, un gruppo dicristiani ha inscenato una protestanella piazza della Mangiatoia, a Be-tlemme, per chiedere il rilascio diFreij, accusando l’Ap di discrimina-zione religiosa.

Il dramma dei cristiani palestinesinon interessa la comunità internazio-nale. E questo perché Israele non puòessere accusato di demolire le anti-chità. Se l’attuale politica contro i cri-stiani persiste, verrà il giorno in cui aBetlemme non rimarrà un solo cri-stiano e i pellegrini in visita alla cittàdovranno farsi accompagnare dailoro preti per celebrarvi la messa.

(*) Gatestone Institute

I palestinesi cancellano la storia cristiana

La Storia lo ricorda sempre. Maifare guerre su due fronti. Si finisce

per essere schiacciati in mezzo. L’Ita-lia, cui la recente storia dell’impegnomilitare rammenta che le basta mezzofronte per perdere, ci è sempre stataattentissima. Con tutti i mezzi, ancheal prezzo del disonore, ha evitato con-flitti con tutti, serbi, croati, albanesi,jugoslavi, olandesi, francesi, tedeschi,africani e arabi d tutti i tipi, fino aipersiani ed agli indiani.

Da un po’ di tempo però è tornatasui colli spellacchiati di Roma la vo-glia di menar le mani, quel desiderioche fu giolittiano e garibaldino, duce-sco e dalemiano. Come ai tempidell’Anschluss, tanta è la voglia dischierare le truppe al Brennero, anord contro l’Austria, nemesi storicadell’Italia unita. Ed insieme a fatica si

trattengono i volenterosi che vorreb-bero l’intervento diretto urgente edimmediato contro l’Egitto, reo di pro-seguire la tradizione dello Stato as-sassino che tanta parte ha avuto nellastoria e propaganda recente e tanta neavrà nei futuri processi, romanzi efilm.

Impavidi, i bimbi di governo nonsi fermano nemmeno all’idea di com-battere con gli austriaci al nord e gliegiziani a sud. Anche se premonotruppe francesi sull’Aurelia e cre-scono le insistenze per fare dell’Italiala mosca cocchiera del secondo inter-vento in Libia. La voglia della guerraparallela, dimostrazione dell’indipen-denza italica tra i tanti interventi ne-

cessari come lavori ingrati da svolgereper i Paesi potenti, è tanta anche peruscire dalle secche drammatiche in cuiversa il governo bimbo.

Difficile scatenare nell’ormai af-flitta, rinunciataria massa un qualchespirito patriottico, negato e punitoper decenni. Fortunatamente il nostropopolo apatico, o meglio gli strilli deipochi che intendono esserne porta-voce, sono forzatamente risvegliatidalla carica di simboli e valori sempi-terni, quali Schengen ed i richiedentiasilo. È in nome di questi slogan chescaldano i cuori, nomen libertatisdella ricerca e del diritto dei popolicircolanti, che invece ai tempi del-l’Urss era meglio restassero chiusi die-

tro la cortina di ferro, che le nostreforze sono pronte all’intervento. Perdifendere i fantasmi di sindacati sottopressione sulle rive del Nilo e nel de-serto, gli stessi sindacati che in Italia sivorrebbero rottamati.

Il Governo rischia grosso sulle ele-zioni comunali. È ad un passo dalbaratro tra arresti, avvisi, padri fedi-fraghi, intercettazioni; tra la ScillaMps e la Cariddi Banca Etruria men-tre Circe invoglia a peccare ancoracon una nuova banchetta da Ol-trarno. Il risicato voto di maggio-ranza sulle riforme costituzionali nonha dato il necessario respiro ed ancheun Cuperlo ha potuto trovare il co-raggio, assai, per un unico concen-

trato ruggito che lo ha consumato afondo. Non resta che la guerra a di-strarre amici e nemici e far tornare lavoglia degli affari. Il corpo dell’Armil(armata italiana in Libia) verrà affi-data alla Valchiria Leopardata un po’per allontanarla dalle molestie capi-toline un po’ per andare incontro aimiti berberi. Il Commenda Verdini ca-pitanerà a spese sue le truppe dell’Ar-mia (armata italiana in Austria) checon la nota voglia e capacità psico-tronica dello sguardo abbatterà i muridivisori con la sola forza del pensiero.

Il pianto delle Mogherini, Carrà,Iervolino e Milo accompagnerà i treniverso le opposte destinazioni. Quantoè bello far la guerra da Trieste in su.Ma anche da Lampedusa in giù. A laguerra, compatrioti. Anzi alle guerre.Solo questo Governo, sembra abbiapensato la Serracchiani, è capace diraddoppiare tutto, anche le guerre.

Renzi alla guerra, anzi a due

Cultura

In sala da domani, “Truman – Unvero amico è per sempre, il nuovo

film di Cesc Gay, ha fatto incetta dipremi ai Goya 2016, gli Oscar del ci-nema iberico. Miglior film, migliorregia, miglior sceneggiatura origi-nale, migliore attore protagonista(Ricardo Darín nei panni di Tomás)e migliore attore non protagonista(Javier Cámara che interpreta Ju-lián).

Julián e Tomás si conoscono dauna vita. Non potrebbero essere piùdiversi: bohémien e sciupafemmine il

primo, mite e responsabile il se-condo. Julián è un argentino trasfe-ritosi da anni nella capitale spagnola.È un attore di teatro. Separato, padredi un figlio ormai ventenne che vivee studia ad Amsterdam, condivide lapropria esistenza con il suo insepa-rabile compagno di vita, il placidocagnone Truman. Al contrario,Tomás è madrileno di nascita ma ca-nadese di adozione, Paese in cui si ètrasferito a seguito di un dottorato,dove insegna all’università e hamesso su famiglia. I due non si ve-dono da anni, ma il loro è un legamesenza tempo, inossidabile anche di

fronte a tanta distanza.Quando Tomás viene infatti in-

formato dalla sorella di Julián dellesue peggiorate – e ormai terminalicondizioni di salute, dovute alle dif-fuse metastasi di un tumore ai pol-moni – decide di tornare nellavecchia Europa per far visita al-l’amico e trascorrere con lui qualchegiorno, immaginando che la sua pre-senza possa essergli di aiuto. Caricodi pathos – Julián si ritrova ad ac-compagnare l’amico in ospedale percomunicare all’oncologo lavolontà di interrompere leterapie, che sarebbero co-munque inefficaci, e finan-che a programmare idettagli del suo funerale edella sua sepoltura – vieneraccontato con garbata iro-nia, eccezionale humourcapace di far sorridere sep-pure tra qualche inevitabilelacrima.

Con la delicatezza chegli è propria, Tomás ac-compagna Julián ad orga-nizzare nei dettagli ilproprio breve futuro, cer-cando al tempo stesso diconvincerlo a non prenderedecisioni affrettate, ma fi-nendo infine per arrendersial lucido e determinato vo-

lere dell’amico. L’unica reale preoc-cupazione di Julián è con chi lasciarel’adorato Truman quando lui nonpotrà più occuparsene. Dal cantosuo, il bullmastiff, un cagnonegrande ma arrendevole, con i suoisguardi malinconici sembra com-prendere fino in fondo il momento didifficoltà del suo padrone e financhel’ipotesi di una adozione cui Julián sisente costretto a provvedere.

Un film certamente difficile per letematiche che propone allo spetta-

tore: la malattia incurabile, lo spet-tro della falciatrice che porterà viacon sé un uomo ancora giovane, ildolore dato da un congedo precoceed inevitabile. Tuttavia i giorni in cuiTomás si tratterrà a Madrid trascor-reranno all’insegna della leggerezzae del divertimento sotto lo sguardovigile di Truman, cui è dedicato l’ul-timo sguardo e l’ultimo saluto. Di-vertente e commovente, da suggeriresoprattutto a chi ama gli amici aquattro zampe!

Truman, amicizia e fedeltà tra dramma e ironia