editoriale - Familiaris Consortio / AMI · caratterizzata da declino intellettivo e movi-menti...

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Foglio di formazione e informazione per i volontari dell’Associazione Maria Immacolata Anno VIII - n.24 GIUGNO 2008 Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005 In caso di mancato recapito restituire al mittente C.M.P. Roserio - Milano, detentore del conto editoriale “P rego il Signore di invecchiare con i sentimenti a posto”. Espressione popolare eloquente che indica il desiderio di proteggere la propria dignità a rischio di offuscamento o addirittura di perdita. Mi riferisco all’Alzheimer e alle demenze senili. Visto che questa è la condizione di alcuni uomini e donne che conosciamo, significa che può riguardare anche gli uomini e le donne di domani. Sul piano psicologico sono malattie inaccettabili, come altre malattie gravi. Possiamo al più tollerarle negli altri, riconoscerle in pazienti e ospiti dentro quell’apparato assistenziale e curati- vo che incontriamo nei reparti di Alzheimer e scrutarle di riflesso nei loro familiari con quello strano sentire, misto a incredulità. Notiamo pure il rarefarsi delle visite di conoscenti e amici forse per paura, per impotenza, per incapacità. e il velo di ver- gogna che, talvolta, avvolge i familiari. Chi non prova imbarazzo davanti a facce dai lineamenti tesi, dai corpi irrigiditi, dalle espressioni strane, dai gesti inconsulti, segni inequivocabili di devastazione della personalità che quel malato si è costruito in tanti anni e con tanta fatica? E come non condividere il senso di ingiustizia per quel- le persone che non hanno più riferimenti di tempo, di spazio e di relazione?! “Che vita è mai questa”, ci sentiamo dire da più parti. Vedo a questo punto delinearsi come prov- videnziale, anzi necessaria, la figura del samaritano che soccorre, condivide, offre aiuto. Intervento che si concretizza in pre- mure di ogni genere, che vanno dalle carez- ze, al contatto fisico, alla parola che cerca di raggiungere il malato e i suoi familiari, all’accompagnamento nel camminare, pas- seggiare, cantare, pregare, mangiare, dise- gnare, fare insomma qualsiasi cosa che lo coinvolga per farlo sentire essere umano ancora inserito nella società – comunità. Ciò che permette di avere queste attenzioni è quella pietas che riconosce in quel malato una persona, facilitata dalla fede in un Dio che è padre e in Gesù che ha sacrificato la sua vita per tutti, indistintamente. Anzi ai piccoli, ai deboli, ai fragili e a coloro che non contano, totalmente dipendenti dagli altri perchè in balia di una società frenetica, è riservato il Regno. Quel “Venite a me” di Gesù suona così dolce e protettivo! Anche noi in questi malati possiamo toccare il mistero dell’uomo come Gesù ce l’ha rive- lato nel suo Vangelo. Lui stesso, del quale la gente aveva detto “Nessuno ha mai parlato così bene… Parla come uno che ha autori- tà… Ha fatto bene ogni cosa”, è stato tratta- to da pazzo, da malfattore, da bestemmiato- re, tanto da apparire, secondo un’espressio- ne del profeta Isaia, “rigettato da Dio e dagli uomini”. La vita dunque va accettata anche là nel caos dei sentimenti, nello smar- rimento della dignità del proprio corpo, nella dispersione del proprio io. Solo la bontà, la cura saggia e intelligente, solo l’amore della comunità può salvare e resti- tuire dignità. L’uomo ha bisogno di essere accudito, quando è vecchio e solo o portato- re di malattie gravi, per non smarrire il sen- so del vivere. Per capire, difendere e pro- muovere l’entità della nostra dignità abbia- mo bisogno degli altri. È un principio edu- cativo che dà la giusta misura della propria stima. Non si può vivere al di fuori della comunità, né se ne può fare a meno (Il valo- re del volontariato consiste proprio nell’es- sere voce e presenza della comunità civile e religiosa). Queste riflessioni ci dicono quanto sia importante imparare, quando si è sani e adulti, ad avere uno sguardo che abbracci tutta la vita. Non basta pensare ai soldi, alla carriera, ai divertimenti, né possiamo per leggerezza, per paura, per egoismo o altra ragione trascurare considerazioni così essenziali. L’offerta di tanti servizi e risorse nel campo della salute non significa che non ci si debba preparare ad affrontare gli eventi della vita con la riflessione e una buona spi- ritualità. Né è saggio e conveniente eludere il o i problemi. don Carlo Stucchi In questo numero Le malattie mentali: le demenze e l’Alzheimer UNA DIGNITÀ A PROVA DI MALATTIA -Ascolt 24 13-05-2008 10:43 Pagina 1

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Foglio di formazione e informazione per i volontari dell’Associazione Maria Immacolata

Anno VIII - n.24 GIUGNO 2008

Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005In caso di mancato recapito restituire al mittente C.M.P. Roserio - Milano, detentore del conto

editoriale

“Prego il Signore di invecchiare con isentimenti a posto”. Espressione

popolare eloquente che indica il desiderio diproteggere la propria dignità a rischio dioffuscamento o addirittura di perdita. Miriferisco all’Alzheimer e alle demenze senili. Visto che questa è la condizione di alcuniuomini e donne che conosciamo, significache può riguardare anche gli uomini e ledonne di domani. Sul piano psicologicosono malattie inaccettabili, come altremalattie gravi. Possiamo al più tollerarlenegli altri, riconoscerle in pazienti e ospitidentro quell’apparato assistenziale e curati-vo che incontriamo nei reparti di Alzheimere scrutarle di riflesso nei loro familiari conquello strano sentire, misto a incredulità.Notiamo pure il rarefarsi delle visite diconoscenti e amici forse per paura, perimpotenza, per incapacità. e il velo di ver-

gogna che, talvolta, avvolge i familiari. Chinon prova imbarazzo davanti a facce dailineamenti tesi, dai corpi irrigiditi, dalleespressioni strane, dai gesti inconsulti,segni inequivocabili di devastazione dellapersonalità che quel malato si è costruito intanti anni e con tanta fatica? E come noncondividere il senso di ingiustizia per quel-le persone che non hanno più riferimenti ditempo, di spazio e di relazione?! “Che vita èmai questa”, ci sentiamo dire da più parti.

Vedo a questo punto delinearsi come prov-videnziale, anzi necessaria, la figura delsamaritano che soccorre, condivide, offreaiuto. Intervento che si concretizza in pre-mure di ogni genere, che vanno dalle carez-ze, al contatto fisico, alla parola che cerca diraggiungere il malato e i suoi familiari,all’accompagnamento nel camminare, pas-seggiare, cantare, pregare, mangiare, dise-gnare, fare insomma qualsiasi cosa che locoinvolga per farlo sentire essere umanoancora inserito nella società – comunità.Ciò che permette di avere queste attenzioniè quella pietas che riconosce in quel malatouna persona, facilitata dalla fede in un Dioche è padre e in Gesù che ha sacrificato lasua vita per tutti, indistintamente. Anzi ai

piccoli, ai deboli, ai fragili e a coloro che noncontano, totalmente dipendenti dagli altriperchè in balia di una società frenetica, èriservato il Regno. Quel “Venite a me” diGesù suona così dolce e protettivo!Anche noi in questi malati possiamo toccareil mistero dell’uomo come Gesù ce l’ha rive-lato nel suo Vangelo. Lui stesso, del quale lagente aveva detto “Nessuno ha mai parlatocosì bene… Parla come uno che ha autori-tà… Ha fatto bene ogni cosa”, è stato tratta-to da pazzo, da malfattore, da bestemmiato-re, tanto da apparire, secondo un’espressio-ne del profeta Isaia, “rigettato da Dio edagli uomini”. La vita dunque va accettataanche là nel caos dei sentimenti, nello smar-rimento della dignità del proprio corpo,nella dispersione del proprio io. Solo labontà, la cura saggia e intelligente, solol’amore della comunità può salvare e resti-tuire dignità. L’uomo ha bisogno di essereaccudito, quando è vecchio e solo o portato-re di malattie gravi, per non smarrire il sen-so del vivere. Per capire, difendere e pro-muovere l’entità della nostra dignità abbia-mo bisogno degli altri. È un principio edu-cativo che dà la giusta misura della propriastima. Non si può vivere al di fuori dellacomunità, né se ne può fare a meno (Il valo-re del volontariato consiste proprio nell’es-sere voce e presenza della comunità civile ereligiosa).

Queste riflessioni ci dicono quanto siaimportante imparare, quando si è sani eadulti, ad avere uno sguardo che abbraccitutta la vita. Non basta pensare ai soldi, allacarriera, ai divertimenti, né possiamo perleggerezza, per paura, per egoismo o altraragione trascurare considerazioni cosìessenziali. L’offerta di tanti servizi e risorsenel campo della salute non significa che nonci si debba preparare ad affrontare gli eventidella vita con la riflessione e una buona spi-ritualità. Né è saggio e conveniente eludereil o i problemi.

don Carlo Stucchi

In questo numero

Le malattie mentali:le demenze e l’Alzheimer

UNA DIGNITÀ A PROVA DI MALATTIA

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ASCOLTami n.24 - giugno 2008 - pag. 2

parliamo di...

“La demenza consiste nella compro-missione globale delle funzioni

cosiddette corticali (o nervose) superiori, ivicompresa la memoria, la capacità di far fron-te alle richieste del quotidiano e di svolgerele prestazioni percettive e motorie già acqui-site in precedenza, di mantenere un com-portamento sociale adeguato alle circostan-ze e di controllare le proprie reazioni emoti-ve: tutto ciò in assenza di compromissionedello stato di vigilanza. La condizione èspesso irreversibile e progressiva.” Così ilCommittee of Geriatrics del Royal Collegeof Physicians britannico nel 1982 definisce lademenzaLe cause sono numerose ed in alcuni acce-zioni possono essere curate o, per lo meno,le condizioni del paziente migliorate conuna qualità di vita accettabile. Ma è indi-spensabile che tutte le persone con deficitmnemonico o confusione siano sottopostead accurato accertamento diagnostico per-ché una diagnosi precoce seria ed accurata,in molti casi, è fondamentale per arrestare o

LE DEMENZE E L’ALZHEIMER IL MAL DI VIVERE

L’ANGOSCIA DEL RICORDARE

ritardare la progressione della malattia eprogrammare l’esistenza futura. Per quantola malattia di Alzheimer rappresenti la for-ma più comune di demenza, esistono altritipi di demenze delle quali citiamo breve-mente le più importanti.

La malattia di Binswanerg è un tipo didemenza a evoluzione lenta, che si verificacome conseguenza di una malattia dei pic-coli vasi sanguigni. I sintomi tendono aincludere un rallentamento delle attivitàmotorie, letargia ( crisi di sonno), difficoltàdi deambulazione, paralisi degli arti.

La malattia di Creutzfeldt-Jacob è un disor-dine cerebrale raro e fatale causato da unagente infettivo trasmissibile, probabilmen-te da un virus. I primi sintomi si manifesta-no con la perdita di memoria, alterazioni delcomportamento e mancanza di coordinazio-ne. La malattia progredisce rapidamentesino ad uno stadio di completa invaliditàdel paziente ed alla morte.

La Corea di Huntington è una malattiadegenerativa cerebrale ereditaria che vennedescritta per la prima volta da George Hun-tington nel 1872. Inizia nella mezza età ed ècaratterizzata da declino intellettivo e movi-menti irregolari ed involontari degli arti edei muscoli facciali, cambiamento di perso-nalità, disturbi di memoria e del linguaggio.Il riferimento alla "danza", da cui deriva ilnome, è dovuto ai movimenti involontariche, insieme ad alterazioni della personalitàed a una progressiva demenza, la caratteriz-zano clinicamente.

La malattia di Parkinson è un disordineprogressivo del sistema nervoso centrale. Imalati sono carenti di dopamina, il “carbu-rante biologico”, importante per il controllodell’attività muscolare da parte del sistemanervoso centrale. Nel corso della malattia,alcuni pazienti sviluppano demenza e tal-volta malattia di Alzheimer. Viceversa, alcu-ni pazienti Alzheimer sviluppano sintomidella malattia di Parkinson.

Il morbo di Alzheimer è una demenza pro-gressiva più frequente nel soggetto anzia-no che può manifestarsi anche prima deicinquant’anni. Prende il nome dal suo sco-pritore il dottor Alois Alzheimer, uno psi-chiatra tedesco che nel 1901 intervistò unasua paziente, la signora Auguste D, di 51anni. Le mostrò parecchi oggetti e successi-vamente le chiese che cosa le era stato indi-cato. La risposta fu :”non ricordo.” Inizial-mente il medico registrò il suo comporta-mento come “disordine da amnesia di scrit-tura”, ma la signora fu la prima paziente acui venne diagnosticata la malattia diAlzheimer, attualmente la più comune cau-sa di demenza. Il 70% delle persone affetteda demenza soffrono di morbo di Alzhei-mer. Si tratta di un processo degenerativocerebrale che provoca un declino progressi-vo e globale delle funzioni intellettive asso-ciato ad un deterioramento della personalitàe della vita di relazione. Il soggetto perdel’autonomia nell’esecuzione degli atti quoti-diani, diventa completamente dipendentedagli altri. Può durare tra gli 8 e i 15 anni. La

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malattia coglie in modo conclamato circa il5 % delle persone con 60 o più anni: in Italiasi stimano 500.000 ammalati (con una previ-sione di aumento pari al 40% entro il 2050.Inizia lentamente in modo quasi subdolo edinsignificante. Il primo sintomo ed il piùcomune può essere un leggero senso di per-dita di memoria (amnesia) con una serie didifficoltà nel ricordare eventi recenti oimpossibilità di trovare la corretta funzionedi un oggetto; o può essere il ripetere le stes-se domande durante una conversazione. Siassiste ad un progressivo calo nelle capacitàdi gestione dei propri atti quotidiani qualiad esempio pagare i conti o gestire le finan-ze o programmare; il soggetto può dimenti-care come svolgere semplici funzioni, comeil lavarsi i denti o pettinarsi. Il pensiero si fasempre meno chiaro. Si inizia ad avere pro-blemi nel vestirsi in modo adeguato, sidimentica il nome dei propri cari e moltospesso se ne confonde i ruoli, si ha difficoltànel curare l’igiene personale (aprassia), ariconoscere luoghi e ad orientarsi (agnosia).Col progredire della malattia,il paziente puòperdere la capacità di parlare in modo chia-ro (afasia), necessita di essere aiutato a man-giare e perde la capacità di camminare senzaessere sostenuto; compaiono allucinazioni edeliri. Attualmente non esiste alcun test cer-to per diagnosticare la malattia. Una dia-gnosi clinica accurata al 90% può essere for-mulata attraverso una storia clinica, rico-struita con l’aiuto di un parente o un amicostretto, insieme ad un esame fisico e mentaleapprofondito. Al momento non esiste unaterapia che ne permetta la cura. Sono stateproposte diverse strategie terapeutiche chepuntano a modulare con trattamenti farma-cologici i diversi meccanismi biologicicoinvolti e a dare al paziente una qualità divita accettabile.

Quali i meccanismi alterati? Si è potutoriscontrare a livello cerebrale un accumuloextracellulare di una proteina anomalachiamata Beta-amiloide che non presenta lecaratteristiche biologiche della forma natu-rale e tende a depositarsi in aggregati sullamembrana delle cellule nervose. Le placchedanno origine ad un processo infiammato-rio che induce una massiccia distruzione diintere aree cerebrali. Studi più recenti metto-no in evidenza che nei malati di Alzheimerinterviene un ulteriore meccanismo patolo-gico: all’interno delle cellule nervose, unaproteina chiamata Tau si accumula in aggre-gati neurofibrillari che contribuiscono a spe-gnere lentamente la trasmissione nervosa.In particolare le aree cerebrali più interessa-te sono quelle corticali, sottocorticali e, traqueste ultime, le aree dell’ippocampo, zoneresponsabili dell’apprendimento e dei pro-cessi di memorizzazione; la distruzione deineuroni di queste zone è quindi la causa del-la perdita di memoria dei malati e del pro-gressivo ed inesorabile decadimento psichi-

co. Da sempre inoltre è stato evidenziato unforte calo del neurotrasmettitore chiamatoacetilcolina che è responsabile della trasmis-sione nervosa a livello cerebrale. L’idea èstata quella di provare a ripristinarne i livel-li fisiologici di acetilcolina che però nonsono risultati efficaci data la instabilità delneurotrasmettitore. Attualmente sono adisposizione della terapia farmaci quali laFisostigmina, la Galantamina e la Neostig-mina, i capostipiti, ma l’interesse farmacolo-gico è attualmente maggiormente concen-trato su quelle sostanze che rallentano ladegradazione della acetilcolina quali Riva-stigmina e Galantamina. Un approccio alter-nativo alla terapia di supporto potrebbeessere l’uso di antinfiammatori. Come giàdetto, nell’Alzheimer è presente una compo-nente infiammatoria che distrugge i neuro-ni; l’uso di antinfiammatori potrebbe quindimigliorare la condizione dei pazienti. Si èanche notato che le donne in cura post-menopausa con farmaci estrogeni ammala-no meno di Alzheimer.

I ricordi e le emozioni del passatoSi sta sperimentando da poco negli USA unsistema che consente alla persona sofferentedi Alzheimer qualche maggiore capacità diorientamento, creando un filmato di 30-60minuti con immagini tratte dal vissuto delpaziente (foto tratte dagli album di famiglia,filmini girati negli anni precedenti, ecc.) nelquale viene raccontata la sua storia, dall’in-fanzia fino a poco prima della malattia. Nelfilmato si mostrano anche i luoghi noti, ifamiliari, i parenti, gli amici, i figli e i nipoti,in pratica tutte quelle persone che hannoavuto importanza nella vita, prima che il

paziente si ammalasse. Numerose ricerchehanno messo in evidenza anche l’azioneprotettiva della vitamina E che aiuta a pro-teggere le membrane delle cellule nervosedal processo infiammatorio. Ultimo approc-cio ipotizzato: l’uso di Pentossifillina e Dii-droergotossina. Sembra infatti che tali far-maci migliorino il flusso ematico cerebrale,permettendo così una migliore ossigenazio-ne cerebrale ed un conseguente migliora-mento delle aree colpite. Sempre per lo stes-so scopo è stato proposto l’uso del Gingkobiloba. Negli Stati Uniti è in sperimentazio-ne anche una terapia genica, che prova adutilizzare l’ormone della crescita. Le formedi trattamento non-farmacologico consisto-no prevalentemente in misure comporta-mentali, di supporto psicosociale e di train-ing cognitivo. Tali misure sono solitamenteintegrate in maniera complementare con iltrattamento farmacologico. Tutti questi ten-tativi terapeutici tendono solo a dare condi-zioni di vita più accettabili, dato che almomento non esistono farmaci in grado diguarire o di bloccare la malattia. Grandisperanze sono quindi riposte nella ricerca,nel tentativo di individuare i meccanismipatogenetici responsabili dell’invecchia-mento precoce cerebrale. caratteristico diquesta malattia. Tutto ciò può aprire nuoviorizzonti verso l’individuazione di una tera-pia specifica, adatta a contrastare la degene-razione di aree cerebrali così importanti peruna vita di relazione in tutte le sue manife-stazioni.

ERSILIA DOLFINIDocente Università degli Studi di Milano

Facoltà di Medicina e [email protected]

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il volontariato racconta

SENSO E LUCE SUL ROVESCIO DEL MONDO

Nel toccante diario di ChristianBobin la natura, ricca di tanto sem-

plici quanto strordinari spettacoli,accompagna e suggerisce i significati piùprofondi della vita. Ogni riga del raccon-to è percorsa da guizzi di luce, tenerezza,musica discreta, vera poesia. Davveromalattia e morte non sono più sinonimidi scacco, sventura, awelenamento di un'esistenza, ma un’occasione per riscopri-re il nostro cuore e il cuore di coloro cheamiamo.

L'albero è di fronte alla finestra dellasala. Lo interrogo tutte le mattine: "Checosa c'è di nuovo oggi?". La rispostaarriva senza esitazione, portata da cen-tinaia di foglie: "Tutto".Dapprima il tronco, poi i rami principa-li che cercano ciascuno nella propriadirezione, poi i rami secondari chenascono dai precedenti ma divergonosu di un punto, esprimono un'opinionediversa, infine le fronde più alte cheraschiano la pelle del cielo: quantità dibrancolamenti, tentativi, fallimenti,mille percorsi inventati per andare ver-so la luce.Mio padre è entrato tre mesi fa in una

casa da cui non uscirà. Ha il morbo diAlzheimer. Mio padre e quest'albero misuscitano gli stessi pensieri. Dall'uno,naufragato nel suo spirito, e dall'altro,sorpreso dall'autunno, attendo e ricevola stessa cosa.

Prima di entrare nella casa in cui si tro-va oggi, mio padre ha soggiornato peralcune settimane presso i morti, nel-l'ospedale psichiatrico di Sevrey, vicinoa Châlon sur Saône, nel reparto "Edel-weiss".

I morti non erano i malati bensì gliinfermieri che li abbandonavano pertutto il giorno senza alcuna cura diparole. I morti erano queste persone inbuona salute e in vitale giovinezza, cherispondevano alle mie domande appel-landosi alla mancanza di tempo e dipersonale (...). Per quanto smarrito fos-se allora, mio padre, indicando con ildito l'unico albero presente nella corteinterna del reparto - un intreccio dilegno e di dolore - aveva risposto loroin anticipo: "Basta guardare quest'albe-ro per capire che nulla può vivere qui".Non si riconosce più sulle fotografie.

Non riconosce nemmeno i suoi. Quan-do glieli si nominano, ha gli occhi lucci-canti di gioia, meravigliato di scopriredi avere dei figli, come se fossero appe-na nati. Quello che sapeva del mondo edi se stesso è cancellato dalla malattia,come da una spugna su una lavagna.La lavagna è grande, è impossibilepulirla in un sol colpo, ma molte frasisono già scomparse.

Queste persone dall'anima e dalla car-ne ferite hanno una grandezza che nonavranno mai quanti portano la propriavita in trionfo. È con gli occhi che nar-rano le cose, e ciò che vi leggo mi illu-mina più dei libri. Seduti per ore nelcorridoio della casa di lungodegenza,aspettano la morte e l'ora di pranzo. Lavita aleggia attorno a loro come unuccello su un albero abbattuto, cercan-do -senza trovarlo- ciò che costituiva ilsuo nido.

Entro nell'ascensore, premo il pulsantedel secondo piano e mi accingo a unnuovo incontro con il rovescio delmondo. Vengo ogni due giorni. Mia

Foto

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la voce dei familiari

LA LETTERA SCARLATTAMolti avranno letto questo libro di

Nathaniel Hawthorne che appar-tiene alla grande letteratura americana. Hester, la protagonista, è una donna gio-vane e bella nella Nuova Inghilterra del1600. Vive in una piccola comunità puri-tana in cui non si contempla il concettodi perdono, specie se una donna, chevive sola da anni (perché il suo vecchiomarito è partito senza dare più notizie),si macchia di un peccato imperdonabile:l’infedeltà. Hester infatti aspetta unbambino. Viene processata e imprigio-nata, interrogata crudelmente perchédica il nome del suo amante. Ma Hester,sopportando tutto, si rifiuta di fare quelnome e resta in carcere dove nasce Pearl.Alla fine della condanna torna fuori, mail tribunale le impone di portare sul pet-to, per tutta la vita, una evidente A scar-latta a segnalare al mondo che è unaadultera. Hester, raffinata ricamatrice, si ricama unavistosa, bellissima A che non può sfuggirea nessuno. É il marchio che la identificheràpersino verso la sua bambina.La mancanza di memoria è la letterascarlatta dei malati di Alzheimer. Non sipuò sfuggire alla condanna di vivere inuna progressiva inconsapevolezza di sestessi. Non si sa più chi ci appartiene ecosa ci appartiene.Non sono solo i tanti malati che restanoanonimi alla comunità a esserne colpiti,ma anche gente di spettacolo, scrittori,intellettuali. Nomi noti che scompaionodalle cronache, discretamente, protettidalla riservatezza della famiglia e degliamici. “La livella” direbbe Totò giusta-mente.Iris Murdoch è stato un caso. La grandescrittrice inglese, autrice di ventiseiromanzi di grande spessore e saggi difilosofia, oggetto di dottorati onorari rice-vuti dalle grandi Università, viene rac-contata dal marito John Bayley, professo-re universitario, nei loro quarant’anni dimatrimonio, nella implacabile trasforma-zione, fino al linguaggio ridotto a unaforma essenziale, infantile: continuare adavere una qualche forma di comunicazio-ne è l’obiettivo di un rapporto che haavuto l’amore come relazione.Bayley cita una frase illuminante delpoeta australiano A.D.Hope “allonta-narsi sempre più vicino” per far capire la

condizione che si vive accanto a unmalato di Alzheimer. E commenta: “Lalontananza è parte della vicinanza, forseun suo riconoscimento; di sicuro unagaranzia di comprensione totale. Non viè nulla di minaccioso e di opprimente inuna simile comprensione, nulla di quelloche intendono le persone quando dicono(o si presume che dicano) a confidenti econsiglieri che il partner non le capisce.”La sensazione della lontananza, pur in unrapporto di vicinanza fisica, la sensazio-ne della normalità, pur in un rapporto diassoluta anormalità, è ciò che si avvertein modo nettissimo. Ben inteso, in altrirapporti, non mediati dalla malattia, sipossono vivere le stesse percezioni. Maqui parliamo di un morbo che porta lon-tano e che fa perdere l’identità.Riprese da una macchina fotografica, leimmagini non cambiano: tutto sembrarimasto come prima. Ma tutto è cambia-to. Solo l’amore riesce a stabilire l’intesamuta, fatta di gesti, di sguardi, di profu-mi che fa diventare vicinanza la lonta-nanza che la malattia esige. Tante le ter-ribili malattie che impongono il distacco,ma l’Alzheimer investe la memoria e conla memoria si porta via tutto ciò che si ècostruito insieme. La lettera scarlatta, la lettera di fuoco chenon si cancella, implacabilmente, se laporta addosso anche chi ha vissuto, conamore e per amore, con un malato diAlzheimer. Una differenza salvifica, però: chi rima-ne si porta impressi tutti i ricordi chequell’amatissimo malato ha lasciato.

Maria Grazia Mezzadri

Iris Murdoch e John Bayley.

madre è con me. Porta un sacchetto diplastica nel quale ha infilato la meren-da di mio padre, il suo spuntino chenon dimentica mai, assieme al cucchiai-no che serve a imboccarlo, perchè è cosìdistratto (cioè così attento a quello chesuccede) da essere pronto a macchiarsi.Mia madre -in quei momenti- si inscri-ve nella discendenza di quelle donneche, fin dalla fondazione del mondo,forniscono alla vita il suo alimento diluminosità anche nelle tenebre.

Ieri mio padre aveva l'influenza.(..)Quel giorno ha parlato meno ancoradel solito. Contava e ricontava i bottonidel suo golfino. Un'attività che sembra-va non stancarlo mai. Non sa pratica-mente più leggere. Ha disertato la let-tura come molte altre cose.

Quel pomeriggio sapeva solo contare ibottoni del golfino, sentire il loro spes-sore tra le dita, lentamente. In quelgesto nient'altro che un tesoro dipazienza e di febbre. Alla stessa ora, nelmondo, milioni di uomini si stavanoconsumando in gesti di ogni tipo. Nes-suno, ne sono persuaso, compiva ungesto così radioso di calma come quel-lo: contare e ricontare i bottoni di ungolfino come si fanno scorrere tra ledita i grani del rosario, adagio e senzapensare a nulla.

Sul comodino di mio padre una svegliae una foto in cui sorride accanto a suamoglie. Ieri mi ha chiesto chi fosseroquei due sulla foto. Una domanda cheha rattristato e certo angosciato miamadre. Un po' più tardi, nella sala alpiano di sotto, mio padre ha rovesciatoil suo bicchiere di caffè caldo sulla tova-glia a quadri della tavola. Mia madre siè irritata per un attimo, mio padre hapercepito quel fastidio e ne è rimastodesolato. Ero seduto di fronte a loro, liguardavo, avevo di fronte a me i mieigenitori, due passeri smarriti che micadevano sul cuore, sopresi da uninverno brutale.

Il morbo di Alzheimer toglie ciò chel'educazione ha messo in una persona,e fa risalire in superficie il cuore.Alcuni fiori, vendemmiati dalla piog-gia notturna, sono caduti su un tavolodel giardino della casa di lungodegen-za. Mio padre li guarda. Ha negli occhiuna luce che nulla deve alla malattia:bisognerebbe essere un angelo perdecifrarla.

(Stralci tratti liberamente da "Presenze" diChristian Bobin, Perosini Editore)

M. Alborno e S. Esposito

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Mia madre si è spenta dopo otto annidi malattia di Alzheimer.

Otto anni duri e spietati durante i qualianch’io ho rasentato la paura, la deva-stante disperazione, l’impotenza, senzamai arrivare alla rassegnazione.Anni di fatica e di lotta dura, passati acalmare, a spiegare, a nutrire e curare, masoprattutto ad aiutare a ricordare.Non c’è medicina per questo implacabilemorbo che cammina a balzi, che procedeinesorabile, che illude con qualche sosta,qualche debole attimo di respiro, persubito precipitare nel baratro, sempre piùin basso.Ma io una sorta di “terapia” l’avevo tro-vata, e in tutti i modi cercavo di diffon-derla, di spiegarla e di farmene portavo-ce, soprattutto quando la mamma avevodovuto ricoverarla in una struttura ade-guata.Già al momento del ricovero avevo stesoun lungo memoriale che avevo consegna-to ai responsabili della struttura: spiega-vo chi era mia madre, quale era stato ilsuo passato, quali i suoi trascorsi fisici epsicologici, un’anamnesi lunga e circo-stanziata che dalle analisi cliniche arriva-va fino ai gusti personali sul cibo, sugliabiti, sulla musica preferiti.Cinque pagine che, in copia, avevo lascia-to accanto al suo letto, distribuito agliassistenti, al medico, alla psicologa.Era una specie di biografia composta conpassione e con amore, dove erano elenca-ti i nomi dei figli, dei nipotini, dei duemariti, in una sorta di chiaro alberogenealogico di facile e immediata lettura.Avevo poi raccolto a fatica e con cura tut-te le foto più significative della vita dimia madre, da quando era in fasce e viavia, attraverso l’adolescenza, il matrimo-nio, la maternità, il lavoro, la maturità,fino ai giorni della sua malattia. Ne avevofatto una sorta di collage e l’avevo messosotto vetro, sopra il suo comodino.Spesso staccavo il quadro dalla parete el’appoggiavo davanti a lei, sul tavolinoche chiudeva il suo seggiolone a rotelle, ecominciavo a raccontarle. “Eccoti qui, tiricordi? Avevi sedici anni e giocavi a ten-nis. E qui? In piazza del Duomo conpapà. E qui a Firenze, davanti alla tuacasa… E qui…” Lei guardava, a tratti

sembrava capire, a tratti si illuminava conun breve sorriso, più spesso rimanevaassente e immota. Ma io continuavoimplacabile.Ti ricordi, mamma? Ti ricordi?Era per me l’unico modo di tenerla attac-cata alla vita.In quella struttura avevo trovato MariaGrazia: eravamo in perfetta sintonia e la“terapia” dei ricordi, di cui eravamo cosìconvinte, ci aveva spinte a costruire unlibro. L’avevamo chiamato: La memoria delcuore-Storie Alzheimer: un mistero privato.Avevamo raccolto le biografie di novemalati ricoverati nella nostra strutturaspeciale e i commenti di assistenti, sanita-ri, infermieri, capisala, operatori: tutticoloro che gravitavano attorno ai nostricari e che, attraverso i nostri racconti,potevano parlare loro con un linguaggiofamiliare e diretto. Potevano ricordareloro il nome dei figli, delle mogli, poteva-no sapere come si era dipanata la lorovita, quali erano stati i loro ruoli, i lorodolori e le loro gioie.Vittorino Andreoli ci aveva tenuto a batte-simo e il primario dell’istituto aveva con-cluso il libro con una bella postfazione.A ripensarci adesso avevamo forse viola-to un po’ la privacy, ma quanto bene ave-va fatto la nostra iniziativa! E che bel suc-cesso!Ancora adesso che i nostri cari non cisono più, sono sempre più convinta chetenere viva la memoria sia davvero una

sorta di terapia. Che sia quasi un dovere.A suo tempo proponemmo a quella strut-tura di chiedere, per ogni ricovero, unabiografia del malato perché fosse letta datutto il personale che l’avrebbe accudito.Una biografia appassionata, fatta col cuo-re, per aiutare a ricordare, a continuare avivere.

Adriana Giussani K.

l’ascolto della sofferenza

PER AIUTARTI A RICORDARE

visti e letti per voi

Alle demenze e al morbo di Alzheimer SergioFinzi ha dedicato diverse lezioni durante icorsi di formazione per i volontari AMI. Ilsuo libro pubblicato nel 2005 e intitolato L’om-bra del grillo parlante: Analisi della paura di scom-parire (Bergamo, Moretti e Vitali Editori) con-sente di riprendere in un contesto più ampioalcuni dei temi a suo tempo svolti: logica eetica nella malattia di Alzheimer, elementiper una diagnosi differenziale, il pensierodella demenza, la distrazione come sintomo ecome cura.Nel libro Presenze (Zevio/Verona, PerosiniEditore, 2000) Christian Bobin prende spuntodalla vicenda personale - l’autore assiste ilpadre, malato di Alzheimer - per dare vita aun racconto poetico, in cui la malattia diventaoccasione di incontro sempre rinnovato con ilpadre, pur nella sua fragilità. Attraverso dilui l’autore riscopre gli stupori dell’infanzia,l’importanza di gesti semplici come quello ditendere le mani, guardare un volto, le risorseche la natura può offrire a chi il cuore ferito; eriflette sulla difficoltà, pur essendo un uomocredente, di accettare la sofferenza delle per-sone che amiamo.Nello scorso autunno la Federazione Alzhei-mer aveva preannunciato il film “Lontano dalei”, tratto da un racconto di Alice Munro einterpretato da Julie Christie e Gordon Pin-sent. Personalmente non sono riuscita avederlo, ma dalle recensioni che ho letto misembra che si tratti di un’opera interessante edi buon livello artistico. Sarò grata ai lettoridel nostro giornale che, più fortunati di me,hanno visto il film, se vorranno inviarmi unloro commento in proposito. In attesa cheesca il DVD.

Sara Esposito

-Ascolt 24 13-05-2008 10:43 Pagina 6

ASCOLTami n.24 - giugno 2008 - pag. 7

il punto di vista

IL PAZIENTE E LA FAMIGLIANELLA MALATTIA DI ALZHEIMER

La malattia di Alzheimer costituisceattualmente la più comune forma di

demenza (si calcola che il 50%-70% dellepersone affette da demenza soffrano diAlzheimer). L’allungamento della vita umana e il pro-gressivo invecchiamento della popolazio-ne rendono questa malattia ad altissimarilevanza sociale.I sintomi sono all’inizio lievi per poidiventare sempre più importanti con unalimitazione ed una dipendenza nelle atti-vità della vita quotidiana e di relazione..Il malato di Alzheimer, infatti, necessitasin dalle prime fasi della malattia di un’as-sistenza personalizzata e continuativa.La vita in comune con un Paziente affettoda demenza pone dei problemi di adatta-mento da parte dei Pazienti stessi e daparte dei Familiari.I cambiamenti cognitivi, emotivi e com-portamentali che si verificano nelle per-sone affette da demenza determinanofenomeni di rielaborazione e di ridefini-zione dei ruoli da parte del Paziente e daparte dei Familiari.La demenza deve essere consideratacome un processo continuo, nel quale lepersone vanno incontro a modificazionie cambiamenti nel corso del tempo. Le difficoltà nell’assistenza al pazienteaffetto da demenza sono diverse.Nella fase iniziale sono due le difficoltàche si presentano: deficit di comprensio-ne e di comunicazione da parte delPaziente e da parte dei Familiari.Ritengo importante una corretta e preco-ce diagnosi da parte dei Sanitari ed unacomprensione ed accettazione dellamalattia da parte dei Familiari, al fine diiniziare il lungo processo di elaborazionee di ridefinizione dei ruoli così importan-te per poter proseguire nell’assistenza enel garantire una buona qualità di vita alPaziente.Come già detto, i sintomi ed i segni dellamalattia di Alzheimer sono molteplici,con un cambiamento di intensità e di caratteristi-ca variabili durante la stessa giornata. Pertale ragione non è possibile consigliareuna strategia uniforme e standardizzata,ma analizzare le singole esperienze chesono così dissimili tra loro e con altre:

“non si può avere un comportamentouguale per tutti ”. I Familiari possono essere spaventati oconfusi dalle informazioni che ricevonosu questi cambiamenti e dalla tipologiadei disturbi cognitivi e del comportamen-to.I problemi da risolvere e gli stress da sop-portare aumentano in modo esponenzia-le con la progressione della malattia.I sentimenti che provano i Familiari sonomolteplici e variabili : il senso di impo-tenza, di allerta, di paura, di tensione, difrustrazione, di stanchezza, di colpa, dirabbia, di depressione, di umiliazione, divergogna, di recriminazione, di dispera-zione, di aggressione, di ansia, di evasio-ne, di allontanamento, di amore.Il protrarsi della malattia ed il presentarsidi sintomi e comportamenti sempre piùgravi possono determinare nei Familiarifenomeni di esaurimento e burn out (andare in pezzi psicologicamente) e undeterioramento del rapporto affettivo conil proprio congiunto.Spesso potrebbe sorgere il sospetto che iPazienti assumano volontariamenteatteggiamenti di opposizione o compor-tamenti strani ed ostili “per attirare l’at-tenzione “ con una ulteriore difficoltà diaccettazione della malattia e dell’assi-stenza.

La persona affetta da demenza vive inuna dimensione ed una realtà probabil-mente molto diversa dalla nostra, consensazioni, emozioni, percezioni diffe-renti.Il concetto di realtà e dell’essere è di perse stesso diverso.Ritengo che il mantenimento dei ruoli siauno dei problemi più importanti nellaassistenza al malato affetto da demenza.Il mantenimento di ruoli passa dallaacquisizione del ruolo di Genitore e diFigli al riconoscimento del ruolo ed almantenimento del ruolo.Il rischio è il processo di un gradualeabbandono del ruolo con il pericolo del“role reverse”, cioè della inversione deiruoli con perdita della identità soggetti-va, sociale, affettiva ed emotiva.

Nell’assistenza al Paziente malato didemenza la Famiglia non può essere “lasciata a se stessa“.La Famiglia ed ilPaziente devono essere supportati dauna rete sociale strutturata ed integrata alfine di assicurare una assistenza persona-lizzata socio – sanitaria di prevenzione,diagnosi, cura e aiuto al fine di garantireuna qualità di vita accettabile al Pazientee una garanzia di sostegno alla Famiglia.

Dr. Franco Scapellato

-Ascolt 24 13-05-2008 10:43 Pagina 7

ASCOLTami n.24 - giugno 2008 - pag. 8

Sono passati alcuni anni e qualchenumero… da quando il Giornale (vedi

n° 9) ha trattato per la prima volta il temadell’Alzheimer. Tema per altro già svilup-pato in una serie di lezioni da Sergio Finzi,confluite in un elegante quaderno “AMI”dal titolo “L’Alzheimer e la demenza”(2003 -2005) e in due pubblicazioni dellenostre collaboratrici : “La memoria delcuore” di Maria Grazia e Adriana e “Unostato di grazia” di Maria Grazia.I contenuti culturali trasmessi ci hannopermesso di familiarizzare in qualchemodo con questa malattia e di avvicinarcicon maggiore sensibilità e comprensionealle persone in essa coinvolte.Nonostante questo cammino abbiamo sen-tito il bisogno di riprendere l’argomento

memorandun

fototeca

LE NOSTRE SEDISEDE CENTRALE: Milano, Pio Albergo Trivulzio, via Trivulzio 15, tel. 02 4035756,tel. e fax 02 4071683, cell. 338 1314390, e-mail: [email protected] http://volontariatoami.altervista.orgVIMODRONE: Istituto Redaelli, via Leopardi, 3, tel. 02 25032361, cell. 347 8107498MILANO: Ospedale San Raffaele, Via Olgettina 60,tel. 02 26432460, fax 02 26432576,cell. 338 1704429CERNUSCO S/N: Casa Mons. Biraghi,Via Videmari 2, tel. 02 929036, fax 02 9249647

Direttore responsabile don Carlo StucchiDirettore di redazione Michela AlbornoGruppo redazionale Marina di Marco, Ersilia Dolfini, Sara Esposito, Adriana Giussani K., Maria Grazia MezzadriFoto Arch. AMI, pagg. 4, 8 e IV Tiberio MavriciEditing Adriana Giussani K.Impaginazione e Grafica Raul MartinelloStampa NAVA SpA, Via Breda 98, 20136 Milano

ESTATE

Siesta

durante la trattazione delle malattie men-tali perché scopriamo sempre di più ladistanza tra la conoscenza e la realtà.L’articolo di Maria Grazia mi ha fatto intui-re quanto sia stato difficile e dolorosogestire questa realtà e come soltanto l’amo-re, che era stato il “fondamento del suorapporto con il marito”, le ha permesso diavere ancora con lui una forma di comuni-cazione e sia riuscito a colmare quella terri-bile lontananza che l’Alzheimer – distrug-gendo nel malato tutti i ricordi e annien-tando la memoria – genera nella personaanche più vicina.Il tema della memoria e dei ricordi è ripre-so anche da Adriana in “Per aiutarti aricordare”. Per lei tenere viva la memoria èaddirittura una terapia: raccoglie le foto ele sottopone allo sguardo smarrito dellamamma per stimolarla a rientrare in quellavita che le dia qualche consapevolezza disé stessa.Queste letture mi fanno venire spontaneauna domanda da porre ai volontari che

svolgono il loro servizio in reparti diAlzheimer: quali strategie escogitate perfar sentire la vostra vicinanza a questiammalati ma anche quali parole o gesti disolidarietà sapete esprimere verso i fami-liari? Vediamo di non comportarci comequegli infermieri che Bobin, nell’articolocitato, definisce “morti” perchè abbando-nano i malati “per tutto il giorno senzaalcuna cura di parole”, paghi, quando c’è,del loro dovere professionale.Ho riletto nel n. 9 di “Ascoltami” i consigliche Sergio Finzi dà ai volontari: “…il mala-to di Alzheimer è un malato che agiscesempre con senso logico”! “… Il suo rap-porto con le cose non è un metterle fuoriposto ma è un turbare l’ordine a cui noi sia-mo abituati e a contrapporvi un ordinediverso e significativo”. Non dobbiamoconsiderare queste persone fuori dal mon-do. Cosa sappiamo della loro sensibilità ?Quanto di ciò che le circonda sono ancorain grado di percepire? “ Dice Bobin “Ama-no toccare le mani che qualcuno tende loro,tenerle a lungo nelle proprie e stringerle:un linguaggio esente da errori”. Osserva-zione che mi fa fatto molto riflettere.Dice bene Francesco, (assistente in unreparto di Alzheimer, di cui si parla nellarubrica “La buca delle lettere”) riferendosia questi malati: “E poi perché dire che noncapiscono? Ho la convinzione che, comun-que, continuino a capire. Non si spieghe-rebbe il fatto che a sorrisi rispondono consorrisi, che ad atteggiamenti di impazienzae nervosismo rispondono con altrettanticomportamenti”. Splende, infatti, a voltenei loro occhi una luce particolare che forsenon siamo in grado di interpretare, “ci vor-rebbe un angelo per decifrarla” (Bobin).Luce che esiste e che chiede di diventareun messaggio per noi.Allora facciamo come suggerisce Sergio “..invece di dire “tu non sai” incuriosiamociper quello che il malato sa.” Forse il nostrosapere non è l’unico valido e certo, ma esi-ste un sapere dell’altro che richiede unascolto umile.

Marina Di Marco

Nel prossimo numero

Le malattie mentali:le nevrosi e le psicosi

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