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20131 Milano - Via Stradivari, 7 Poste Italiane Spa Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia 657 Novembre 2015 I tre segreti della Signorina Prim di Natalia Sanmartin Fenollera, con un’intervista di Alessandro Rivali Perché il latino di Silvia Stucchi Le nuove norme sulla nullità matrimoniale di Arturo Cattaneo Felici: fortunati o virtuosi? di Michelangelo Peláez Pier Paolo Pasolini quarant’anni dopo di Franco Palmieri Sempre in ritardo, l’utopico Ingrao di Nicola Guiso La dimensione apostolica della famiglia di Matteo Fabbri Tommaso d’Aquino mistico poeta di Hugo de Azevedo

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20131 Milano - Via Stradivari, 7

Poste Italiane Spa Spedizione in a.p.

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004

n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia

657Novembre

2015

I tre segretidella Signorina Primdi Natalia Sanmartin

Fenollera, con un’intervista

di Alessandro Rivali

Perché il latinodi Silvia Stucchi

Le nuove norme sullanullità matrimonialedi Arturo Cattaneo

Felici: fortunatio virtuosi?di Michelangelo Peláez

Pier Paolo Pasoliniquarant’anni dopodi Franco Palmieri

Sempre in ritardo,l’utopico Ingraodi Nicola Guiso

La dimensione apostolicadella famigliadi Matteo Fabbri

Tommaso d’Aquinomistico poetadi Hugo de Azevedo

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DEL TUO DOMANI,

PARLIAMONE OGGI.

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nche questa volta, accanto al Sinodo reale,

cioè alla riunione dei vescovi che nello

scorso ottobre ha messo a tema le sfide che

la famiglia deve affrontare oggi e domani, c’è stato il

Sinodo mediatico, cioè quello svolto sui giornali e nei

dibattiti radiotelevisivi per descrivere la Chiesa come

un’arena di scontri fra gladiatori e, in definitiva, per

cercare di condizionare dall’esterno il lavoro dei pa-

dri sinodali. Quello che conta è il testo della Relazio-

ne finale, che è un’ampia panoramica sulla situazione

attuale della famiglia in un mondo post-secolarizzato,

ed è un testo aperto, suscettibile di interpretazioni di-

verse (ma non divergenti) come si conviene a un do-

cumento consultivo, a disposizione del Sommo Ponte-

fice che ne farà l’uso che riterrà opportuno.

La duplice citazione dell’enciclica Humanae vitae del

beato Paolo VI, e la triplice citazione dell’esortazione

apostolica Familiaris consortio di san Giovanni Paolo

II, nella loro importanza magisteriale, rassicura even-

tuali dubbiosi che la Chiesa non è nata nell’ottobre

scorso, e la sua continuità ne garantisce il futuro.

I due problemi che il Sinodo mediatico aveva enfatiz-

zato, cioè quello del matrimonio tra persone dello

stesso sesso e quello della Comunione ai divorziati ri-

sposati, sono stati ricondotti alla loro marginalità: il

matrimonio omosessuale non è neppure stato preso in

considerazione, e nella Relazione finale la parola

«Comunione» addirittura non compare.

Vedremo che cosa Papa Francesco vorrà fare dei sug-

gerimenti sinodali. Ma fin da ora qualche indicazione

viene dal discorso pontificio del 10 novembre alla

Chiesa italiana riunita nel convegno di Firenze sul te-

ma In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Esortando a

contemplare il volto di Cristo, il Papa ha invitato a fa-

re propri tre sentimenti di Cristo stesso: umiltà, disin-

teresse, beatitudine: «Una Chiesa che presenta questi

tre tratti, è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del

Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidia-

na della gente». E ha ribadito quanto ha scritto nella

Evangelii gaudium (n. 49): «Preferisco una Chiesa

accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le

strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusu-

ra e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurez-

ze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il

centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di osses-

sioni e procedimenti».

Papa Francesco ha indicato anche due possibili ten-

tazioni. La prima è quella pelagiana: «Essa spinge la

Tre sentimenti, due tentazioniChiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo

fa con l’apparenza di un bene. Il pelagianesimo ci

porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizza-

zioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte.

Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di control-

lo, di durezza, di normatività. La norma dà al pela-

giano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un

orientamento preciso. In questo trova la sua forza,

non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti

ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare so-

luzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella

restaurazione di condotte e forme superate che nep-

pure culturalmente hanno capacità di essere signifi-

cative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso

incapace di generare domande, dubbi, interrogativi,

ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non ri-

gido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne te-

nera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo». E

ancora: «La riforma della Chiesa poi – e la Chiesa

è semper reformanda – è aliena dal pelagianesimo.

Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cam-

biare le strutture. Significa invece innestarsi e radi-

carsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Al-

lora tutto sarà possibile con genio e creatività».

La seconda tentazione è quella dello gnosticismo:

«Essa porta a confidare nel ragionamento logico e

chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del

fratello. Il fascino dello gnosticismo è quello di “una

fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa uni-

camente una determinata esperienza o una serie di ra-

gionamenti e conoscenze che si ritiene possano con-

fortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva

rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ra-

gione o dei suoi sentimenti” (Evangelii gaudium, 94).

Lo gnosticismo non può trascendere. La differenza fra

la trascendenza cristiana e qualunque forma di spiri-

tualismo gnostico sta nel mistero dell’incarnazione.

Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla

realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella

pura idea e degenerare in intimismi che non danno

frutto, che rendono sterile il suo dinamismo».

In questa linea, il Papa ha dato un’indicazione prati-

ca alla Chiesa italiana, pastori e popolo: approfondi-

re la Evangelii gaudium, «sicuro della vostra capaci-

tà di mettervi in movimento creativo per concretizzare

questo studio». Non si può certo dire che si tratti di in-

dicazioni generiche.

C.C.

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Editoriale

A

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N° 657

Tre sentimenti, due tentazioni

Le nuove norme sulla nullità matrimoniale

Inquietovivere

Felici: fortunati o virtuosi?

I tre segreti della Signorina Prim

«Dio non ti forza, ma non ti lascia mai». Colloquio con N. Sanmartin Fenollera

Una nuova puntata dell’avventura Ares!

Spiritualità. Tommaso d’Aquino, mistico poeta

Famiglia. La dimensione apostolica

Piazza San Pietro. La Santa Sede & gli Stati Uniti

Amicizie intellettuali. Montini & Maritain

Anniversari. Pasolini, quarant’anni dopo

Formazione. Perché il latino

Piazza quadrata. Il gran protagonismo dei «numeri»

Miracoli. L’uva & i fichi di Medjugorje

Albo d’oro. La Sindone, reliquia della misericordia

Chiesa. Per una pastorale dell’intelligenza

Convegni. Africa: inculturazione & nuove sfide

In memoriam. Sempre in ritardo, l’utopico Ingrao

Finanza. Prospettive economiche in cifre

Osservatorio d’Europa. Taccuino non solo europeo

Costume. Il complotto visto dai cineasti

Arti visive. Mostre d’autunno

Mass media. Radio Maria, cattedrale dell’etere

Jukebox. Il genio sghembo di Sufjan Stevens

Tacuin sportivo. Maradona-Sarri, le parole & i fatti

Cruciverba d’autore

Teatro. Quando la musica dà spettacolo

Riviste & riviste. Un nuovo gnosticismo

Ares news. Mons. Luigi Negri & la storia della Chiesa

Libri & libri

Doppia Classifica. Libri venduti & libri consigliati

Fax & disfax. Ardeatine & caciotte

Libri ricevuti

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Editoriale

Arturo Cattaneo

Guido Clericetti

Michelangelo Peláez

Natalia Sanmartin Fenollera

Alessandro Rivali

*

Hugo de Azevedo

Matteo Fabbri

Aldo Maria Valli

Franco Buzzi

Franco Palmieri

Silvia Stucchi

Dino Basili

Riccardo Caniato

Andrea Mariotto

Giampaolo Cottini

Augusto Zuliani

Nicola Guiso

Stefano Masa

Giovanni Livi

Claudio Pollastri

Michele Dolz

Stefano Chiappalone

Paolo Ronchetti

Francesco Napoli

Florio Fabbri

Vincenzo Sardelli

Carlo Alessandro Landini

Matteo Andolfo

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Mauro Manfredini

F.P.

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MOVEMBRE 2015ANNO 59°

Mensile di studi e attualità20131 Milano - Via A. Stradivari, 7

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CAPOREDATTORERiccardo Caniato

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zione, scrivendo all’Ares – Via Stradivari 7, 20131 Milano.

in questo numero:

Con due motupropri datati 15 agosto 2015, Papa

Francesco ha profondamente innovato le procedure di nul-

lità matrimoniale. Il canonista Arturo Cattaneo spiega i

punti focali dei due documenti che intendono salvaguar-

dare l’indissolubilità del matrimonio cristiano, pur nella

varietà delle circostanze culturali e sociali (p. 764). l

«Ma la felicità è solo una questione di fortuna?». A questa

domanda risponde Michelangelo Peláez che conclude sul

primato delle virtù morali rispetto all’aleatorietà delle vi-

cissitudini quotidiane (p. 770).

«Scrivo pochissimo», confessa Natalia Sanmar-

tin Fenollera (foto), autrice del best seller Il risveglio del-

la signorina Prim, nell’intervista di Alessandro Rivali. «E

ritorno continuamente sulla pagina che ho scritto, la leggo

e la rileggo, anche a voce alta, e non vado avanti finché

non sono completamente soddisfatta. Ho uno stile molto

semplice, ma voglio che ogni parola sia posizionata al po-

sto giusto». La scrittrice espone compiutamente le ragioni

della sua letteratura nell’intervento a p. 776.

Il teologo portoghese Hugo de Azevedo dedica

all’inno Adoro te devote, di san Tommaso d’Aquino, un

commento che è un’introduzione alla preghiera (p. 784).

l Don Matteo Fabbri, vicario dell’Opus Dei per l’Italia,

riflette sulla dimensione apostolica della famiglia (p. 786).

Giampaolo Cottini, a p. 804, recensisce il nuovo libro di

don Julián Carrón, successore di mons. Giussani alla gui-

da di Comunione e Liberazione, che mette a tema la ne-

cessità di una pastorale dell’intelligenza.

Riccardo Caniato racconta l’esperienza di Arthur

P. Boyle (foto), un americano al quale erano stati diagnosti-

cati sei mesi di vita per una grave metastasi ai polmoni, mi-

racolosamente guarito dopo un pellegrinaggio a Medjugo -

rje (p. 800). l L’avventura di Radio Maria, il circuito di 75

emittenti nei cinque continenti, promosso da padre Livio

Fanzaga, è ricapitolata da Stefano Chiappalone a p. 820.

Augusto Zuliani riferisce ampiamente sul conve-

gno recentemente indetto dalla Fondazione Paolo VI pres-

so Villa Cagnola di Gazzada (Varese) sul tema Le Missio-

ni in Africa, che ha approfondito il tema (e i rischi) del-

l’inculturazione (p. 806). l Il 27 settembre scorso è mor-

to, centenario, Pietro Ingrao (foto), esponente dell’ala du-

ra del Partito comunista italiano. Nicola Guiso ne traccia

un profilo onesto, senza l’oleografia di «grande figura del-

la democrazia» che la presidente della Camera, Laura Bol-

drini, ha cercato di appiccicargli (p. 811).

Sempre ricche e variegate le rubriche di inter-

vento, di costume e di spettacolo, la rassegna bibliografi-

ca (p. 832) e la Doppia classifica (p. 836).

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conseguenza, scrive il Papa nel prologo, la spinta ri-formatrice è animata «dall’enorme numero di fede-li che, pur desiderando provvedere alla propria co-scienza, troppo spesso sono distolti dalle strutturegiuridiche della Chiesa a causa della distanza fisicao morale; la carità dunque e la misericordia esigonoche la stessa Chiesa come madre si renda vicina aifigli che si considerano separati».Un dettaglio, piccolo ma significativo, è la fraseconclusiva del motuproprio: «Affido con fiducia al-l’intercessione della gloriosa e benedetta sempreVergine Maria, Madre di misericordia, e dei santiApostoli Pietro e Paolo l’operosa esecuzione delnuovo processo matrimoniale». Ciò ha trovato unasignificativa sottolineatura nella scelta «mariana»delle date: i due motupropri hanno la data del 15agosto (Assunzione della Madonna), sono stati pub-blicati l’8 settembre (Nascita di Maria) ed entreran-no in vigore l’8 dicembre (Immacolata).

l vivo desiderio di Papa Francesco di assi-curare che anche nella sua funzione giudi-

ziale la Chiesa agisca con misericordia ha trovatoun’importante concretizzazione nei due motupro-pri – rispettivamente per la Chiesa latina e perquella orientale – con cui egli ha riformato so-stanzialmente i processi per le cause di nullitàmatrimoniali. La misericordia che ha animato questa opera di ri-forma si manifesta fin dal titolo dei due testi: MitisIudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus. Findall’inizio del suo pontificato il Papa si sta impe-gnando affinché la Chiesa appaia sempre più qualemadre sollecita, desiderosa di andare incontro ai pro-pri figli, i fedeli, specialmente a quelli che si trovanomaggiormente in difficoltà, e non sono pochi.In diverse occasioni il Papa ha infatti espresso il suoconvincimento che almeno la metà dei matrimonicelebrati in chiesa in tutto il mondo siano nulli1. Di

Con due motupropri datati 15 agosto 2015, Papa Francesco ha profonda-

mente innovato le procedure di nullità matrimoniale. Il prof. Arturo Catta-

neo, della Facoltà teologica di Lugano, spiega le novità del motuproprio

per la Chiesa latina (quello per la Chiesa orientale è analogo), aiutando il

lettore a districarsi nella selva di commenti giornalistici, spesso fuorvian-

ti, che hanno accompagnato la diffusione dei due testi che entreranno in

vigore l’8 dicembre prossimo. La Chiesa deve agire con misericordia an-

che nel giudicare, e le nuove procedure intendono salvaguardare l’indis-

solubilità del matrimonio cristiano, pur nella varietà delle attuali circo-

stanze culturali e sociali.

Le nuove norme

sulla nullitàmatrimoniale

ArturoCattaneo

Misericordia& verità

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Non si tratta certamente di una riforma che il Papavuole imporre unilateralmente alla Chiesa. Con es-sa egli accoglie infatti una delle proposte avanzatea chiara maggioranza dal Sinodo straordinario sullafamiglia, svoltosi nell’ottobre del 2014: «Un gran-de numero dei Padri ha sottolineato la necessità direndere più accessibili e agili, possibilmente del tut-to gratuite, le procedure per il riconoscimento deicasi di nullità. Tra le proposte sono stati indicati: ilsuperamento della necessità della doppia sentenzaconforme; la possibilità di determinare una via am-ministrativa sotto la responsabilità del vescovo dio-cesano; un processo sommario da avviare nei casidi nullità notoria. Alcuni Padri tuttavia si diconocontrari a queste proposte perché non garantirebbe-ro un giudizio affidabile. Va ribadito che in tuttiquesti casi si tratta dell’accertamento della veritàsulla validità del vincolo. Secondo altre proposte,andrebbe poi considerata la possibilità di dare rile-vanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine allavalidità del sacramento del matrimonio, tenendofermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi so-no sacramento»2. Tali considerazioni sono state so-stanzialmente riprese dall’Instrumentum laboris delSinodo ordinario dell’ottobre 20153.D’altra parte va anche ricordato che il processo ca-nonico per le cause di dichiarazione di nullità ma-trimoniale era rimasto sostanzialmente uguale perben tre secoli, dai tempi cioè della riforma di Bene-detto XIV nel 1741, che aveva introdotto l’obbligodella sentenza doppia conforme, ora superata.La riforma di Papa Francesco è stata preceduta dallavoro di una speciale Commissione costituita nel-l’agosto del 2014 e che ha presentato al Papa un do-cumento approvato all’unanimità4.

Va anzitutto notato che il sottotitolo dei due motu-propri recita: «Sulla riforma del processo canonicoper le cause di dichiarazione di nullità del matrimo-nio». Contrariamente a quanto spesso si dice, laChiesa non «annulla» nessun matrimonio, ma – do-po aver accertato l’esistenza di cause per cui un ma-trimonio era nullo – la Chiesa, per il bene dei fedelie per rispetto della verità, emette una sentenza di nul-lità, ossia dichiara che quel matrimonio non è maiesistito: sarebbe infatti gravemente ingiusto obbliga-re due coniugi a rispettare un vincolo inesistente.

Ora, una riforma che rende le procedure più sem-plici e veloci può evidentemente rendere anche piùfacili eventuali abusi, facilitando cioè la dichiara-zione di nullità di matrimoni in realtà validi e indu-cendo a pensare che la Chiesa abbia introdotto il«divorzio cattolico». Nella conferenza stampa svoltasi nel viaggio di ritor-no da Filadelfia (28 settembre 2015), il Papa ha ri-sposto a tale obiezione dicendo: «Nella riforma deiprocessi di nullità matrimoniale ho chiuso la porta al-la via amministrativa attraverso la quale poteva en-trare il divorzio. Chi pensa al divorzio cattolico, sba-glia, perché quest’ultimo documento ha chiuso laporta al divorzio, che sarebbe potuto venire per viaamministrativa. Ci sarà invece sempre la via giudi-ziaria. Il divorzio cattolico non esiste, la nullità vie-ne riconosciuta se il matrimonio non c’è stato. Ma sec’è stato, è indissolubile. Questo è chiaro».Nel testo del motuproprio affiora ripetutamentequesta consapevolezza del Papa. Già nel prologoegli ricorda di aver incaricato un Gruppo di espertidi elaborare «un progetto di riforma, fermo restan-do comunque il principio dell’indissolubilità delvincolo matrimoniale». Altra manifestazione diquesto impegno del Papa è la decisione di conser-vare la via giudiziale, rinunciando alla propostaavanzata da alcuni di prevedere anche una via am-ministrativa. In tal modo egli rimane nella linea se-guita dai suoi predecessori e lo spiega ricordando la«necessità di tutelare in massimo grado la verità delsacro vincolo». Tutela che è assicurata, appunto,dalle garanzie offerte dall’ordine giudiziale. Inoltrela riforma non modifica né sminuisce il ruolo deldifensore del vincolo, che lavora in favore dell’in-dissolubilità del matrimonio e potrà sempre presen-tare appello contro una sentenza di nullità, anche seemessa dalla Rota Romana. A proposito della nuova possibilità che le cause ma-trimoniali siano affidate a un unico giudice (fino aoggi si richiedeva un collegio di almeno tre giudici),il Papa si appella «alla responsabilità del vescovo,che nell’esercizio pastorale della propria potestà giu-diziale dovrà assicurare che non si indulga a qualun-que lassismo». Quanto al nuovo «processo breve»puntualizza: «Non mi è tuttavia sfuggito quanto ungiudizio abbreviato possa mettere a rischio il princi-pio dell’indissolubilità del matrimonio; appunto perquesto ho voluto che in tale processo sia costituitogiudice lo stesso vescovo, che in forza del suo uffi-cio pastorale è con Pietro il maggiore garante dell’u-nità cattolica nella fede e nella disciplina».Fra le novità che riflettono l’impegno del Papa, af-finché non venga scalfita l’indissolubilità matrimo-niale, si può annoverare anche il nuovo can. 1675secondo il quale «il giudice, prima di accettare lacausa, deve avere la certezza che il matrimonio siairreparabilmente fallito, in modo che sia impossibi-le ristabilire la convivenza coniugale». Si vuole co-

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Un frutto del Sinodostraordinario

A salvaguardiadell’indissolubilità

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sì evidentemente evitare che venga accolta la ri-chiesta di coppie che, incoraggiate della maggiorfacilità di ottenere la nullità matrimoniale, la chie-dano appena sorgono delle difficoltà.Un’altra precisazione del Papa, questa volta conte-nuta nelle «Regole procedurali per la trattazionedelle cause di nullità matrimoniale» che accompa-gnano il motuproprio, riguarda la certezza moraleche il giudice deve avere per dettare una sentenza dinullità. A tale scopo – precisa il testo – «non è suf-ficiente una prevalente importanza delle prove e de-gli indizi, ma occorre che resti del tutto esclusoqualsiasi dubbio prudente positivo di errore, in di-ritto e in fatto, ancorché non sia esclusa la merapossibilità del contrario». È anche degno di nota il fatto che il Papa ricordi ilsuo compito «di tutelare l’unità nella fede e nella di-sciplina riguardo al matrimonio». Negli ultimi tempisi sono infatti sentite voci da parte di qualche episco-pato (il più importante è sicuramente quello dellaGermania) che esprimevano la pretesa di seguire unproprio cammino riguardo a tale disciplina.

1. Si elimina la necessità della doppia sentenza. Fi-no all’8 dicembre 2015 (data in cui entra in vigore lanuova normativa), affinché la sentenza di nullità diun matrimonio fosse esecutiva e quindi le persone in-teressate potessero essere ammesse a nuove nozzecanoniche, era necessario che la sentenza favorevoleemessa in «primo grado» venisse confermata dal tri-bunale «di secondo grado»5. Da ora in poi sarà suffi-ciente la sentenza «in primo grado», rimanendo co-munque la possibilità che una delle due parti, il pro-motore di giustizia o il difensore del vincolo, faccia-no ricorso alla seconda istanza6.

2. La possibilità del processo ordinario con ungiudice unico. Finora il tribunale competente per lecause matrimoniali doveva essere composto da tregiudici (dei quali uno poteva essere laico). Ora ilcan. 1673 § 4 prevede la possibilità che il vescovo,se non fosse possibile costituire il tribunale colle-giale in diocesi, costituisca un tribunale compostoda un unico giudice chierico che, ove sia possibile,si associ due assessori. Come già accennato sopra,il Papa fa qui appello alla responsabilità del vesco-vo, perché «non si indulga in qualunque lassismo».

3. Il «processo breve». Nei casi in cui «l’accusatanullità del matrimonio è sostenuta da argomentiparticolarmente evidenti» viene concessa al vesco-vo la possibilità di svolgere personalmente la fun-zione di giudice, potendo giungere così in modo più

breve alla sentenza. Per poter seguire questa strada,il can. 1683 richiede anzitutto che «la domanda siaproposta da entrambi i coniugi o da uno di essi, colconsenso dell’altro» e inoltre che «ricorrano circo-stanze di fatti e di persone, sostenute da testimo-nianze o documenti, che non richiedano una inchie-sta o una istruzione più accurata, e rendano manife-sta la nullità».Al riguardo è stato osservato da uno dei più grandiesperti in diritto matrimoniale canonico che «primail vescovo delegava completamente il suo potere– comunque sempre presente – al vicario giudizia-le. Ora si è voluto mostrare che la Chiesa non con-sidera i processi di nullità come pratiche burocrati-che, ma che c’è sempre sullo sfondo una sollecitu-dine pastorale»7.In effetti, il Vaticano II ha riconosciuto la pienezzadella potestà del vescovo diocesano; la sua potestàcomprende infatti i tre uffici o compiti: insegnare,santificare e governare. Il governo si esercita a suavolta con la funzione legislativa, amministrativa egiudiziale. Il prologo fa giustamente notare che conl’introduzione del «processo breve» viene affidatoal vescovo quel compito di giudice che gli spettapersonalmente. Viene così «finalmente tradotto inpratica l’insegnamento del Concilio Vaticano II inun àmbito di grande importanza, rendendo evidenteche il vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è co-stituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra ifedeli a lui affidati».Già nel 1985, l’allora cardinal Ratzinger metteva inguardia dal pericolo che il grande sviluppo delleConferenze episcopali (con strutture burocratichespesso pesanti) oscurasse la potestà e la responsabi-lità del singolo vescovo, rischiando «di far caderenell’anonimato ciò che deve invece restare moltopersonale»8.Nelle «Regole procedurali per la trattazione dellecause di nullità matrimoniale» annesse al motupro-prio si trova all’articolo 14 § 1 un’esemplificazionedelle circostanze che possono consentire questo«processo breve»: «Quella mancanza di fede chepuò generare la simulazione del consenso o l’erroreche determina la volontà, la brevità della conviven-za coniugale, l’aborto procurato per impedire laprocreazione, l’ostinata permanenza in una relazio-ne extraconiugale al tempo delle nozze o in un tem-po immediatamente successivo, l’occultamento do-loso della sterilità o di una grave malattia contagio-sa o di figli nati da una precedente relazione o diuna carcerazione, la causa del matrimonio del tuttoestranea alla vita coniugale o consistente nella gra-vidanza imprevista della donna, la violenza fisicainferta per estorcere il consenso, la mancanza di usodi ragione comprovata da documenti medici, ecc.».L’elenco non è esaustivo e le circostanze elencate so-no molto eterogenee. Al riguardo va fatto notare chenon si tratta di casi che consentono di ottenere il rico-

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Le principali novitàdella riforma

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noscimento di nullità, ma solo di alcune delle circo-stanze che consentono di avviare il «processo breve». Farà probabilmente discutere un esempio che vieneposto fra le varie circostanze che possono consentireil «processo breve»: «Quella mancanza di fede chepuò generare la simulazione del consenso». La man-canza di fede non è infatti mai stata considerata qua-le possibile causa di nullità. Qui va tuttavia notatoche non si parla semplicemente della «mancanza difede», ma di «quella mancanza di fede che può ge-nerare la simulazione del consenso». È infatti proba-bile che qualcuno senza fede voglia per esempio cheil proprio matrimonio sia dissolubile. Se l’esclusionedell’indissolubilità sarà provata, il consenso manife-stato all’altare sarà nullo per simulazione.Una totale mancanza di fede del nubendo può cer-tamente far sorgere seri dubbi, soprattutto nelle cir-costanze odierne, sulla presenza delle condizioninecessarie per garantire una comprensione suffi-ciente delle proprietà essenziali del matrimonio. Lamancanza di fede può quindi portare a delle nullitàmatrimoniali, per il cui accertamento non occorretuttavia introdurre un nuovo capo di nullità, datoche quest’ultima viene riconosciuta come conse-guenza della mancanza di uno degli elementi o pro-prietà essenziali del matrimonio9.

1. Il valore di prova piena riconosciuto alle di-chiarazioni delle parti. Il can. 1678 § 1 sostituisce

il corrispondente can. 1536 § 2 del vigente Codice didiritto canonico. Mentre in quest’ultimo «non si puòattribuire forza di prova piena» alle dichiarazioni del-le parti, a meno che «si aggiungano altri elementi adavvalorarle in modo definitivo», nel nuovo canone«le dichiarazioni delle parti possono avere valore diprova piena», da valutarsi come tali dal giudice «senon vi siano altri elementi che le confutino».

2. Accoglienza dei fedeli separati o divorziati,che dubitano della validità del proprio matrimo-nio, nelle strutture parrocchiali o diocesane. Unamisura di carattere prettamente pastorale è quellaindicata nelle Regole procedurali all’articolo 2, se-condo il quale l’indagine pregiudiziale o pastorale,che accoglie nelle strutture parrocchiali o diocesanei fedeli separati o divorziati che dubitano della vali-dità del proprio matrimonio o sono convinti dellanullità del medesimo, deve avvenire nell’àmbitodella pastorale matrimoniale diocesana unitaria nel-le strutture parrocchiali o diocesane. Si specificainoltre che «la stessa indagine sarà affidata a perso-ne ritenute idonee dall’Ordinario del luogo, dotatedi competenze anche se non esclusivamentegiuridico -canoniche. Tra di esse vi sono in primoluogo il parroco proprio o quello che ha preparato iconiugi alla celebrazione delle nozze. Questo com-pito di consulenza può essere affidato anche ad al-tri chierici, consacrati o laici approvati dall’Ordina-rio del luogo»10.

3. Nei tribunali collegiali due giudici possono es-sere laici. Il Codice di Diritto canonico permettevache solo uno dei tre giudici fosse un fedele laico.

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Papa Francesco con i giudici della Sacra Rota

Conseguenze giuridiche& pastorali

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Ora il can 1673 § 3 stabilisce che il tribunale colle-giale «deve essere presieduto da un giudice chieri-co, i rimanenti giudici possono anche essere laici».

4. L’auspicio di processi gratuiti. Un aspetto chesarà sicuramente ben accolto dai fedeli è l’auspiciodel Papa affinché le Conferenze episcopali curinoper quanto possibile «che venga assicurata la gra-tuità delle procedure, perché la Chiesa, mostrando-si ai fedeli madre generosa, in una materia cosìstrettamente legata alla salvezza delle anime, mani-festi l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamostati salvati». Una delle critiche infondate alla Chie-sa che circolano tra i fedeli è infatti quella che ri-guarda supposti costi elevati per ottenere una nulli-tà matrimoniale. Dico «critiche infondate», poichéin realtà il costo di un processo di nullità matrimo-niale è estremamente contenuto. Anche in Svizzeranon si chiedono più di 400 fr. sv. per la prima istan-za e 500 per la seconda, con la possibilità di ridu-zioni fino al completo condono nei casi di necessi-tà. A ogni modo questa raccomandazione del Papacontribuirà a superare simili pregiudizi.

Per quanto questa riforma sia opportuna, non puòilludere facendo credere di risolvere i problemi e ledifficoltà che gravano oggi sulla famiglia11. Per laChiesa (pastori, animatori pastorali, e specialmentele famiglie cristiane) rimane aperta e urgente la sfi-da di mostrare al mondo la bellezza e il valore deldisegno di Dio sul matrimonio e la famiglia.

D’altro lato appare evidente la necessità che i ve-scovi diocesani curino la formazione nell’àmbitomatrimoniale, sia giuridica sia pastorale, di chiericie laici. Senza la preparazione di questo personale (esoprattutto di giudici competenti) questa riformanon potrà dare i frutti sperati e si rischierebbe inve-ce di scadere in un lassismo che darebbe ragione achi paventa un «divorzio cattolico».Questa riforma potrà così incrementare il prodigarsidella Chiesa, con spirito di servizio e sollecitudine, afavore di quei suoi figli che si trovano in difficili si-tuazioni matrimoniali. Evidentemente la bontà delservizio prestato non dipende unicamente dalla cele-rità con cui viene svolto il processo di nullità, ma ri-chiede anche la fedeltà dei pastori e di tutti i respon-sabili alle norme stabilite dal Papa e al perenne inse-gnamento della Chiesa riguardo al matrimonio.Mons. Pio Vito Pinto, decano della Rota Romana,che ha presieduto il Gruppo di lavoro incaricato dielaborare il progetto di questa riforma, ha osserva-to: «L’anno del giubileo della misericordia attendequesto segno di umile obbedienza da parte dei pa-stori delle Chiese allo Spirito che parla loro attra-verso Francesco»12.Solo così questa riforma porterà autentici frutti dimisericordia.

Arturo Cattaneo

Arturo Cattaneo è Dottore in Diritto canonico e in Teologia.Docente di entrambe le discipline, a Pamplona, Roma, Veneziae attualmente presso la Facoltà di Teologia di Lugano. Autoredi numerose pubblicazioni nell’àmbito canonistico, ecclesiolo-gico e pastorale. Consultore del Pontificio Consiglio per i laicie membro della Commissione teologica della Conferenza epi-scopale svizzera. Con le Edizioni Ares ha pubblicato, in colla-borazione con Franca e Paolo Pugni, Matrimonio d’amore.

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La bellezza del disegnodi Dio sul matrimonio

1 L’ha detto nella conferenza stampa del 28 luglio 2013 sull’ae-reo di ritorno da Rio de Janeiro. L’ha ridetto al cardinale WalterKasper, come questi ha riferito nell’intervista a Commonwealdel 7 maggio 2014.2 Relatio Synodi, n. 48.3 Cfr n. 100.4 Presidente della Commissione è stato mons. Pio Vito Pinto,Decano del Tribunale della Rota Romana. Gli altri membri sonostati: il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pon-tificio Consiglio per i Testi legislativi; padre Luis Francisco La-daria Ferrer, s.j., segretario della Congregazione per la Dottrinadella Fede; mons. Dimitrios Salachas, Esarca apostolico per icattolici greci di rito bizantino; mons. Maurice Moniere, mons.Leo Xavier Michael Arokiaraj e mons. Alejandro W. Bunge, Pre-lati Uditori del Tribunale della Rota Romana; padre NikolausSchöch, o.f.m., Promotore di Giustizia sostituto del SupremoTribunale della Segnatura Apostolica; padre Konštanc MiroslavAdam, o.p., Rettore Magnifico della Pontificia Università SanTommaso d’Aquino (Angelicum); padre Jorge Horta Espinoza,o.f.m., decano della Facoltà di Diritto canonico della PontificiaUniversità Antoniamum e il prof. Paolo Moneta già professore diDiritto canonico all’Università di Pisa.5 Se le due sentenze non sono concordi, si può ricorrere al Tribu-

nale della Rota Romana (il tribunale ordinario della Santa Sede).6 Cfr can 1689 § 1.7 P. Moneta: Vescovi nei processi? Più pastori che giudici, «Av-venire», 14 ottobre 2015.8 J. Ratzinger, Rapporto sulla fede, Cinisello Balsamo 1985, p. 61.9 In tal senso si è chiaramente espresso san Giovanni Paolo II, ri-volgendosi ai prelati uditori della Rota Romana il 30.I.2003: «Èdecisivo tener presente che un atteggiamento dei nubendi chenon tenga conto della dimensione soprannaturale del matrimo-nio, può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul piano na-turale nel quale è posto lo stesso segno sacramentale». Perciòegli ha anche precisato che «la Chiesa non rifiuta la celebrazio-ne delle nozze a chi è bene dispositus, anche se imperfettamen-te preparato dal punto di vista soprannaturale, purché abbia laretta intenzione di sposarsi secondo la realtà naturale della co-niugalità. Non si può infatti configurare, accanto al matrimonionaturale, un altro modello di matrimonio cristiano con specificirequisiti soprannaturali» (n. 8).10 Regole procedurali, Art. 3.11Cfr l’intervista a J. Llobell, pubblicata su «Palabra» 631, otto-bre 2015, pp. 15-19.12 P.V. Pinto, La riforma del processo matrimoniale per la dichia-razione di nullità, ne «L’Osservatore Romano» 9.IX.2015, p. 7.

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INQUIETOVIVERE di Guido Clericetti

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è proprio solo una questione di fortuna?Ecco che la fortuna/sfortuna riguarda lo studio del-la moralità. Proviamo oggi a riprendere questa ri-flessione, rilevante dall’antichità fino al nostro ri-nascimento, senza abbandonarla a un giornalismoscandalistico o di costume.

È indubbio che negli ultimi cinquecento anni, con igrandi progressi della scienza e della tecnica, èchiaramente diminuita la percezione del ruolo dellafortuna nella nostra vita. Da qui la minor attenzioneprestata all’argomento. A nessuno viene in menteoggi di attribuire alla sfortuna i danni causati alcu-ni mesi fa dalle perturbazioni atmosferiche nella zo-na di Genova, essendo manifeste, in buona parte,

i pensava, e molti lo pensano ancora, diessere dotati delle capacità necessarie per

decidere e realizzare del tutto autonomamente ilproprio progetto di vita felice prescindendo com-pletamente da circostanze, eventi e fattori esternifuori dal proprio controllo. Per altri la fortuna av-versa, ciò che accade indipendentemente dalla no-stra libera volontà, sarebbe la causa determinantedella loro infelicità. Ci sarà comunque e sempre inogni vita umana, come ha ricordato Spaemann, unadiscrepanza tra il sogno di una felicità piena e la suarealizzazione empirica. A chi imputare tale, spessoradicale, discrepanza? Compare al nostro orizzonte morale la fortu na/sfor tuna a cui si attribuisce spesso, in maggior ominor grado, la riuscita o meno della vita felice diuna persona. Con troppa superficialità, diciamospesso: è stata fortunata! Oppure, la mala sorte si èaccanita su questa povera esistenza! Ma la felicità,

«Ma la felicità è proprio solo una questione di fortuna?». A questo interro-

gativo risponde don Michelangelo Peláez, ben noto per i suoi articoli di

spiritualità ai lettori di Studi cattolici, di cui è stato caporedattore dal

1960 al 1975, proprio quando la rivista da bimestrale è divenuta mensile.

Lo studioso sottolinea come la fortuna costituisca un tema di rilevanza

etica, poiché l’agire morale guidato dalla ragion pratica interagisce con il

mondo esterno indipendente da noi. Dal punto di vista etico, sostiene Pe-

láez, conta non quello che ci accade, ma il modo in cui noi agiamo in rap-

porto a esso. «La fortuna non è mai da sola la causa di una vita riuscita o

meno. Nulla, all’infuori della propria libera volontà, è la causa determi-

nante di una condotta umana. La felicità consisterebbe dunque nell’orga-

nizzare la vita eticamente, in conformità cioè alla scienza del bene e del

male, che produce un agire virtuoso sia nella buona sorte sia nella sven-

tura», permettendoci di essere noi stessi anche qualora si sia soggetti a

gravi problemi di salute, sconvolgimenti famigliari, sociali ecc. «Soltanto

la cattiva azione è incompatibile con la vita buona di chi aspira alla feli-

cità», conclude l’autore, suggerendo che «l’etica aristotelico-tommasiana,

arte di vivere bene, sempre viva e rinnovata, costituisce ancora una gui-

da sicura del nostro agire tra incertezza e rischio».

Felici:fortunati

o virtuosi?

MichelangeloPeláez

il primatodelle virtù morali

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STra scienza & pietà

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precise responsabilità morali. Catastrofi ecologi-che, disastri naturali non sarebbero avvenuti sel’uomo, fedele alla sua missione di custode dellanatura, non si fosse comportato da tiranno devasta-tore: inquinare, scardinare i ritmi della natura, spez-zare la trama dell’ecosistema, ferire il creato, di-sprezzare la materia, non è mai giustificato moral-mente. La gravità di questi comportamenti purtrop-po sfugge perché la «prova scientifica» delle graviconseguenze che alcuni comportamenti possonocausare si ha spesso solo quando il degrado non puòpiù essere evitato. Tuttavia, per quanto il progresso scientifico e unamigliore organizzazione sociale abbiano debellatoepidemie e malattie un tempo mortali, e reso possi-bile prevedere, a volte neutralizzare, sciagure e ve-re catastrofi di una natura considerata «matrigna»,molte sono ancora le malattie sconosciute o tuttorainguaribili, e ancor più restano al di fuori di ognicontrollo eventi naturali, difficilmente prevedibili,come per esempio i terremoti, che cambiano in ma-niera improvvisa l’ambiente e minacciano la vitadell’uomo. A ciò si aggiunga la presenza del malemorale che impedisce di prevedere le conseguenzedi azioni terroristiche, belliche e criminose a livellonazionale e internazionale.L’imponderabile imprevedibilità del caso, perquanto sempre più residuale, rimane presente nellanostra vita e quindi esige da noi una conveniente ri-sposta etica che, nei casi limite, un credente acco-glie come disegno divino il quale non vuole altro,

anche se per vie misteriose, che la felicità dell’es-sere da Lui amato. A ragione perciò l’umanista rinascimentale LeonBattista Alberti ebbe a dire che non è indegno di unuomo cristiano avere una qualche idea intorno allafortuna, anzi «ragionando su eventi della natura gliuomini sentono Dio meno lontano [...]. Da molti veg-go la fortuna più volte essere senza vera ragione in-colpata. E scorgo molti, per loro stultizia scorsi neicasi sinistri, biasimarsi della fortuna e dolersi d’esse-re agitati da quelle fluttuosissime sue onde, nellequali, stolti! se stessi precipitarono [...]. Non è pote-re della fortuna, come alcuni sciocchi credono, cosìfacile vincere chi non voglia esser vinto. Tiene giogola fortuna solo a chi sé gli sottomette».Anche il Pontano, umanista alla corte napoletana diAlfonso il Magnanimo, nel suo De fortuna distingueil fatalismo pagano della dea Fortuna dalla visionecristiana sul governo provvidenziale del mondo. Lafede nella Provvidenza, afferma, sollecita una spie-gazione razionale al cospetto degli eventi che ac-compagnano la vita degli uomini, tutto il contrariodel cieco abbandono agli inesplicabili disegni delladivinità proprio del paganesimo. Il Pontano si avvia,«tra scienza e pietà», dirà il Toffanin (Giovanni Pon-tano. Fra l’uomo e la natura, Bologna 1938), a spie-gare il ruolo della fortuna attingendo alle «fonti del-la vecchia filosofia», «alle opinioni e sentenze deivecchi filosofi». Anche se noi cristiani, precisa, rife-riamo tutto alla volontà di Dio, non sempre conosci-bile, non possiamo rinunciare a pensare in qualche

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A Venezia, la Punta della Dogana, nell’area della basilica di Santa Maria della Salute, è conclusa da un

monumento su cui svetta la statua della Fortuna (il particolare nella pagina accanto). La statua gira su

un perno a seconda del vento che «gonfia» lo stendardo impugnato dalla volubile dea.

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modo quella Volontà; c’è qualcosa in noi che resistealle facili rinunce della ragione. Egli perciò rivendi-ca l’esercizio della scienza profana, tra cui lo stessoinflusso che gli astri, nel rispetto della libertà, pos-sono esercitare sulla condotta umana. Il Pontano, come Tommaso d’Aquino, si tiene allalarga da un’astrologia degenerata in sortilegio e di-fende una teologia conciliata con la fisica del suotempo, sulla base di certi dati di esperienza che con-fermerebbero l’armonia del cosmo. Le nostre considerazioni però non pretendono oradi sconfinare nell’àmbito teologico sull’influssodella Provvidenza divina nel governo del mondo enella vita delle persone. A livello strettamente ra-zionale occorre misurarsi almeno con quella «com-plessità sociale che oggi condiziona tutte le nostredecisioni» di cui parla un filosofo contemporaneo,Bernard Williams (Sorte morale, Milano 1987), co-me vedremo a proposito del suo giudizio sulle scel-te del pittore Gauguin, quando cerca di «stabilireuna dimensione di decisione e di valutazione chepossa sperare di essere al riparo della fortuna».

La fortuna/sfortuna è, pertanto, un argomento di ri-levanza etica perché il nostro agire morale guidatodalla ragione pratica si svolge interagendo con glialtri e in rapporto con un mondo esterno, entrambiin parte indipendenti da noi.La risposta provvidenzialista che fa dipendere la vi-ta felice totalmente dalla divinità, urta con fonda-mentali princìpi antropologici, soprattutto cristiani,che spiegano come sia consentito a ogni uomo de-cidere, a determinate condizioni, del suo destino edi darne un significato che riscatti la validità di qua-lunque forma di vita, anche quella segnata dal do-lore o da forti limitazioni personali. In una cultura pagana negatrice della libertà umana,la fortuna governa, contro ogni aspettativa e volereumano, il mondo, gli eventi e le azioni umane. Nelteatro greco prevale una visione pessimistica, tragi-ca, della felicità che si può riassumere in un pro-verbio antico riferito da Aristotele: «La migliore fratutte le cose è non nascere e il morire è meglio delvivere». L’uomo sarebbe esposto a continui rischiperché la felicità dipende sostanzialmente da un de-mone inaffidabile.Alla dea Fortuna primigenia gli antichi romani de-dicarono nelle vicinanze di Roma, a Palestrina, unmaestoso tempio di cui restano possenti testimo-nianze. La dea fortuna, che conosce, ma non rivela,ciò che riserva il futuro, è la potenza che presiede aldestino di uomini e donne che si assiepano alle sueporte. È stata personificata in vari modi e con si-gnificati molto diversi: donna dagli occhi bendati

che distribuisce indiscriminatamente il bene e ilmale, donna in nave con in mano il timone della vi-ta o su una sfera simbolo dell’instabilità delle cosemondane; oppure la cornucopia o la ruota che indi-cano la grande volubilità della fortuna. La fortuna ha conservato ancora oggi molto del ca-rattere di un’antica divinità; essa ha i suoi capricci,e interferisce arbitrariamente negli atti umani senzache sia possibile fare qualcosa per neutralizzarla.Questa visione, con i suoi corsi e ricorsi, non è maidebellata del tutto dalla coscienza di molti. Si pen-si quanto divinazione, astrologia, superstizione,oroscopi siano diffusi anche oggi.Al di fuori di un’antropologia deterministica la for-tuna si intreccia con l’agire libero e responsabiledell’uomo. La fortuna, identificata da Aristotelenella sua Fisica «nelle cose oggetto di azione», puòessere gestita e in parte modificata dall’uomo nelsuo sforzo di comportarsi moralmente. Infatti dalpunto di vista etico conta non quello che ci accade,ma il modo in cui noi agiamo in relazione di ciò cheaccade o può accadere. La giusta risposta moraletende proprio a stabilire comunque un rapporto ot-timale con il mondo esterno.Nella nostra esistenza si dà una completa commi-stione tra ciò che è nostro e ciò che appartiene almondo nel quale operiamo. Siamo allo stesso tempovulnerabili e ambiziosi. Un’ambizione anche nobilein quanto responsabilmente costituiti dal Creatore incustodi di tutto il mondo creato, compresi i nostri si-mili da considerare fratelli. Ma anche vulnerabili:persuasi che la nostra identità di esseri razionali nonci esime dall’essere esposti ai rovesci di fortuna e al-la coercizione della natura o della volontà altrui, chepossono in certe circostanze condizionare fortemen-te il nostro libero progetto di felicità. Non possiamo rinunciare, per vivere bene, all’ami-cizia, all’attività professionale e di cittadinanza, aformare una famiglia, ad assumere impegni, a ri-creare energie e socialità in attività ludiche, ad abi-tare in un determinato luogo, elementi tutti di un’e-sistenza che ci espongono alle sorti della fortuna,ma costitutivi di una vita che aspira alla felicità esenza i quali la nostra esistenza si impoverisce. Ma devo pure domandarmi: posso mettere a repen-taglio la mia nobile aspirazione alla felicità con unaforsennata sfida a ogni genere di rischi? La rispostamigliore a una situazione personale sfortunata, peresempio di povertà, non consiste certamente nel ri-correre al gioco d’azzardo con l’illusione di liberar-si così da tale stato. La stabilità affettiva di chi hacostituito una famiglia non sarà messa in pericoloassecondando qualunque possibilità di carriera pro-fessionale o di grande miglioramento economico?La nostra identità è fragile, da qui deriva la fragilitàstessa del bene e della felicità a cui possiamo aspi-rare su questa terra. Fino all’ultimo istante della no-stra vita il processo di maturazione personale, in

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Vulnerabili & ambiziosi

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rapporto con un mondo esterno a noi, rimane in-compiuto. Come ricorda Aristotele, «nel corso dellavita avvengono mutamenti e casi di ogni genere, eaccade che il più felice possa cadere in grandissimedisgrazie nella vecchiaia». Ma ciò significa che de-va essere considerato automaticamente un infelice? Gli esseri umani dimostrano una sorprendente resi-stenza davanti alle prove e sofferenze della vita.Primo Levi, nella sua discesa agli inferi che fu l’in-ternamento nei lager nazisti raccontata nel suo libroSe questo è un uomo, spiega che lo tennero in vita idisagi, le percosse, il freddo, la sete: «Tale è la na-tura dell’uomo che le pene e i dolori [...] non sisommano per intero nella nostra sensibilità, ma sinascondono, i minori dietro i maggiori, secondouna legge prospettica definita. Questo è provviden-ziale, e ci permette di vivere».

Machiavelli si domandava: «Quanto conta la fortu-na nelle umane vicende e in che modo ci si può op-porre a essa?». Ma non sarebbe meglio domandar-si: come agire nella fortuna/sfortuna affinché la no-stra vita sia comunque felice e buona? Machiavelli,infatti, non si poneva la questione etica per eccel-lenza: determinare, cioè, il contenuto di bene diogni singola azione che contribuisca a realizzareuna vita felice. Le virtù erano per lui strettamenteintellettuali, predittive attitudini che consentono diconoscere la mutevolezza delle situazioni con chi siha a che fare; servono quindi a prevedere come sicomporteranno gli altri in modo di ottenere, a pre-scindere della bontà o malizia della propria condot-ta, il fine perseguito. Essere persone buone, afferma, invece, Tommasod’Aquino, significa vivere sì secondo ragione, masecondo una ragione retta e cioè finalizzata al benemorale, il che esige il possesso di virtù morali. Nonci sono scorciatoie né alternative ai necessari tempidi maturazione del nostro essere morale alle presedurante tutta la vita con tante circostanze, opportu-nità ed eventi che non sempre dipendono da noi. Reagire con la giusta sensibilità in ogni situazionealle limitazioni esteriori, per esempio di salute, dibenessere economico, è proprio delle persone vir-tuose le quali non smetteranno di essere sé stessesolo perché soggette a gravi sconvolgimenti socia-li, rovesci di fortuna, malattie. La sfortuna non puòindurre una persona virtuosa a compiere volontaria-mente azioni turpi; può invece esigere dal virtuosomaggiori rischi e dolori che per nulla intaccano, an-zi nobilitano, il compimento di una vita riuscita. Lacattiva sorte potrà impedire di compiere alcuneazioni buone, per esempio compiere un atto di me-cenatismo sociale, come si conviene a un affermato

imprenditore, per un imprevisto dissesto economi-co, ma soltanto la cattiva azione è incompatibilecon la vita buona di chi aspira alla felicità.I guadagni e le ricchezze inattese unite alla virtùdella magnanimità possono contribuire a compierequalcosa di grande. Altre volte, «togliendoci da im-picci», come dirà sant’Agostino, ci aiutano a com-piere semplicemente i nostri doveri con più facilità.Allo stesso modo un infortunio, per esempio un af-fare andato male, diventa occasione di esercitarsinelle virtù della temperanza e del coraggio nella suadoppia espressione di resistenza di fronte alla sven-tura (pazienza) e di intraprendenza nell’affrontaregli ostacoli che si frappongono nella ricerca dellafelicità (audacia). Le circostanze sfavorevoli non impediscono tutta-via di realizzare cose grandi. Aristotele faceva l’e-sempio del generale eccellente che sa utilizzare inbattaglia al meglio le forze di cui dispone, nonchéquello del calzolaio che farà la scarpa migliore coni materiali che può avere a disposizione, riuscendoentrambi, con le loro limitazioni, a esprimere nelleproprie azioni l’eccellenza virtuosa che rende felici. Il Petrarca, nella sua opera De remediis utriusquefortunae, ricca di umana comprensione verso unagran varietà di esperienze umane di cattiva e buonasorte, considera la buona fortuna più pericolosa del-la sventura: «Molti uomini, virtuosi e fortissimi nel-le avversità, sono stati superati e abbattuti dalla pro-spera e gioconda fortuna». Occorre dunque evitareun eccessivo tripudio quando la fortuna è favorevo-le o un eccessivo abbattimento quando è contraria.Indica perciò che nelle difficoltà causate dalla catti-va fortuna il rimedio sia la pratica della virtù dellapazienza; invece nei vantaggi della prosperità sirende necessaria la moderazione che imbriglia l’im-peto della gioia sfrenata. Troviamo già in quest’o-pera una dettagliata esposizione di quello che po-tremmo chiamare un trattato etico della fortuna,ineliminabile compagna dell’essere umano. L’etica, filosofia pratica intesa come «l’arte di vive-re bene», dando un criterio alle singole azioni, aiu-ta l’essere umano nella sua interezza a raggiungereun equilibrio tra il desiderio di sicurezza e la nostraineliminabile esposizione alla fortuna/sfortuna. Ècon l’acquisto delle virtù morali che si rafforzano lenostre tendenze naturali, prima di tutte la nostraaspirazione a essere felici. «L’uomo è fatto per l’a-zione», afferma Adam Smith, «e per promuovere,attraverso l’esercizio delle sue facoltà, cambiamen-ti nelle circostanze esterne, sia proprie sia altrui, ta-li da sembrare più favorevoli per la felicità di tutti».Un simbolo assai significativo di questa realisticavisione della fortuna, contro la quale il mercante, ilcondottiero, affermano vigorosamente la loro pro-pria potenza e abilità, è la prua della nave già pre-sente in una moneta dei tempi di Adriano. La figu-ra femminile, avvolta in panni mossi da un vento

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Il primato delle virtù

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impetuoso, in piedi nel centro della nave, reggendocon entrambe le mani una vela, anch’essa gonfiatadal vento, è la fortuna che simboleggia la forza del-la tempesta. Nessuno sembrerebbe che possa resi-stere con successo a questa dea potente e spietata,ma l’uomo che, come il marinaio nella barca, ne ri-conosce la forza e sa adattarsi al vento, potrà valer-si della stessa fortuna/sfortuna per portare la sua na-ve incolume nel porto. La virtù può tener testa alleavversità del caso e garantire la felicità. A questa iconografia della nave fa forse riferimentoDante quando parla della sua «dolorosa povertade»causata dalla condizione di esule: «Sono andatomostrando contra mia voglia la piaga della fortuna,che suole ingiustamente al piagato molte volte es-sere imputata. Veramente io sono stato legno senzavela». Dante però, anche privo della vela rigonfiadalla fortuna, in condizioni molto sfavorevoli scris-se la Divina Comedia.La stessa idea si ritrova nello stemma della famigliaRucellai, scolpito da Bernardo Rossellino nel corti-le del famoso palazzo fiorentino costruito da LeonBattista Alberti. Vi è, appunto, una nave, il cui al-bero maestro è formato dalla figura di una donnache regge nella sua sinistra la vela maestra e nellasua destra la parte inferiore della sartiera rigonfia.Giovanni Rucellai, mercante che aveva a che fareper i suoi commerci con imbarcazioni e vele, eraprofondamente preso dalla relazione tra virtù e for-tuna nella ricerca della felicità. È in grado l’uomo,si domandava, anche in pieno uso della sua ragionee della sua previdenza, di far fronte con successo aicasi del destino? Il suo stemma, ispirato a quello dietà adrianea, riflette la risposta che diede MarsilioFicino alla domanda di Giovanni Rucellai: «Buonoè combattere colla fortuna coll’armi della prudenza,pazienza e magnanimità».La fortuna non è mai da sola la causa di una vita ri-uscita o meno. Nulla, all’infuori della propria liberavolontà, è la causa determinante di una condotta uma-na. La felicità consisterebbe dunque nell’organizzarela vita eticamente, in conformità cioè alla scienza delbene e del male, che produce un agire virtuoso sianella buona sorte sia nella sventura. La virtù dev’es-sere esercitata per l’intera vita, non solo in alcuni mo-menti, dirà Aristotele con immagini assai popolari:«Come una rondine non fa primavera, né la fa un so-lo giorno di sole, così un solo giorno, o un breve spa-zio di tempo, non fanno felice e beato nessuno».

Tre filosofi contemporanei, R. Spaemann, B. Wil-liams e Th. Nagel, nel riproporre oggi il tema dellafortuna, studiano il caso del pittore francese PaulGauguin (1848-1903), il quale, per seguire una qua-

si repentina inclinazione pittorica, abbandonò pri-ma il suo lavoro in un’agenzia di Borsa e poi la suanumerosa famiglia, alla ricerca di ispirazione nelleisole della Polinesia, dove a causa di una condottadisordinata trovò una morte prematura. Soltanto iposteri hanno riconosciuto il valore delle sue opere.Ci si domanda quanto fosse giustificato lasciare unasua stabilità professionale e affettiva per dedicarsianima e corpo alla pittura, contagiato da un collega,avventurandosi poi in terre lontane, lasciando mo-glie e figli alla deriva. Non avrebbe potuto ugual-mente coltivare la pittura rimanendo fedele agli im-pegni assunti con gli altri? È significativo che il pit-tore francese abbia lasciato dipinto in una delle sueultime tele che rappresenta un’allegoria della vita edella morte, un interrogativo fortemente etico: «Dadove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?». Con estrema chiarezza, Spaemann (Felicità e bene-volenza, Milano 1998), fine e originale interpretedell’etica eudemonistica, sottolinea che il giudiziomorale riguarda sempre il comportamento del sog-getto agente in quanto uomo, nella sua interezza equindi anche per quanto riguarda le sue relazionicon gli altri, quindi non soltanto come medico, co-me artista, ecc. Dal punto di vista di una vita cheaspira alla felicità, è un’esigenza razionale valutarela sua realizzazione considerando l’esistenza uma-na nella sua totalità. Sarebbe perciò, secondo Spae-mann, da giudicare eticamente non riuscita la vitadi Gauguin. Gauguin avrebbe potuto affermarsi co-me artista rispettando nelle sue scelte una gerarchiadi beni: innanzitutto il bene onesto, quello di rispet-tare gli impegni assunti come marito e padre, e poiil bene utile e piacevole, la realizzazione delle sueattitudini pittoriche.Spaemann ha confermato questa stessa impostazioneetica ricordando il caso di Carlo V che tenne fede al-la parola data quando, come promesso anticipata-mente, assicurò a Lutero, dopo il fallimento dellaDieta di Worms, la sua libertà di movimento, anche seun Lutero libero avrebbe destabilizzato i suoi rappor-ti con i principi tedeschi e quindi la pace nell’Impero. Williams (nel già citato La sorte morale) e Nagel(Questioni mortali, Milano 1986) parlano non tantodi scelta etica di un bene morale, ma di decisioneche mira al risultato più soddisfacente possibile.Con qualche dissenso, entrambi, si fermano ad ana-lizzare una grande varietà di fattori e di conseguen-ze, anche ipotetiche, della decisione di Gauguin co-me base per esprimere una valutazione razionale.L’oggetto della morale, secondo Willians, non èquello di risolvere i grandi interrogativi, che cosa èil bene? Che cosa è il dovere? La morale ha sem-plicemente a che fare con le singole vite delle per-sone, e cioè con le ragioni interne, sempre com-plesse, del loro agire quotidiano. Per Williams, ognipersona ha un suo carattere e dei progetti con cui siidentifica, ha una sua identità, determinante all’ora

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Il caso di Paul Gauguin

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di giustificare razionalmente la sua condotta. Con-sidera perciò inimmaginabile l’esistenza di alcunateoria etica capace di proporre una procedura deci-sionale valida per il carattere della singola e inso-stituibile persona che tenga conto delle sue relazio-ni con gli altri. Nel caso di Gauguin, il giudizio de-gli altri, incluse le pretese delle persone di famigliache maggiormente sperimenteranno le conseguenzedella sua condotta, contano soltanto nella misura incui a Gauguin stanno a cuore, ma si dimostranoininfluenti dato che egli ha tenuto conto soltantonelle sue scelte di quanto gli consentirà di diventa-re un grande pittore. Sotto questa prospettiva esclu-sivamente razionale, la sola cosa che può giustifi-care Gauguin sarà il suo successo artistico; se falli-rà, non avrà motivo per pensare che il suo modo diagire fosse razionalmente valido.Per Nagel un giudizio basato su sentimenti retro-spettivi come: «Se lascio la mia famiglia e diventoun grande pittore, sarò giustificato dal successo; senon divento un grande pittore, l’atto sarà imperdo-nabile», non può essere considerato morale. Secon-do Nagel è possibile valutare la decisione dal puntodi vista di quello che Gauguin poteva sapere al mo-mento di dedicarsi anima e corpo alla pittura, anchese il risultato non poteva essere previsto con certez-za. Possibilità che però Nagel non chiarisce quandodi seguito afferma: «Lo stesso grado di colpevolez-za o apprezzabilità in un’intenzione, motivo, o inte-resse, è compatibile con un’ampia varietà di giudizi,positivi o negativi, che dipendono da quello che èaccaduto oltre il punto della decisione». Per Nagel, l’influsso della sorte sulla responsabilitàmorale del soggetto agente costituisce un problemafondamentale, ma insoluto perché le nostre sceltesono condizionate dalle qualità personali e dalle co-noscenze che abbiamo quando poniamo l’azione,indipendentemente da quali risultati questa produr-rà realmente. Egli non chiarisce a sufficienza la di-stinzione fra qualità che annullano l’esercizio dellalibertà e qualità temperamentali suscettibili di con-trollo che possono aumentare o diminuire, mai scu-sare del tutto, la responsabilità morale. A suo meri-to, egli riconosce che quando s’indebolisce il con-cetto di azione, l’area del giudizio morale sembrarestringersi a un’estensione minima poiché il nostroagire si riduce a evento indipendente dalla nostravolontà, sottoposto all’influenza combinata di fatto-ri precedenti, concomitanti e conseguenti all’azio-ne. Ma gli eventi si deplorano o si celebrano, sol-tanto le azioni si biasimano o si lodano.Nagel ondeggia tra il riconoscere che certe azionisono cattive o rischiose in sé stesse, per cui nessunrisultato può renderle accettabili, e il sostenere chein molti casi non è possibile dare in anticipo una va-lutazione morale del nostro agire. D’altra parte, ag-giunge: ci sono decisioni, soprattutto di caratterepolitico, che non possono essere giustificate re-

troattivamente dalla storia, e cita un esempio cheoggi può far riflettere nel giudicare le decisioni diObama nei confronti della Siria di Assad. Se Hitlernon avesse invaso l’Europa e sterminato milioni dipersone, ma fosse invece morto per un attacco dicuore dopo aver occupato i Sudeti (minoranze tede-sche nel territorio della Cecoslovacchia), il com-portamento di Chamberlain alla conferenza di Mo-naco avrebbe ancora rappresentato un deciso tradi-mento dei cechi, ma non il disastro morale che hafatto di lui un esempio di pusillanimità politica.Ci sarebbe da precisare che se Chamberlain nonavesse tradito la Cecoslovacchia che si era impegna-to a difendere, Hitler sarebbe stato fermato prima didilagare in Europa. Già solo questo fatto condanna ilcomportamento del capo di governo inglese.

Oggi come ieri, dobbiamo misurarci con la fortunanella nostra universale aspirazione alla felicità. L’e-tica aristotelico-tommasiana, arte di vivere bene,sempre viva e rinnovata, costituisce ancora una gui-da sicura del nostro agire tra incertezza e rischio.Bisogna perciò scomodare ancora i maestri, da So-crate, Platone e Aristotele, a Maritain e Spaemann,senza dimenticare sant’Agostino e san Tommasod’Aquino, per trovare il bandolo della matassa che ciliberi dal labirinto in cui l’etica contemporanea si èimmersa alla ricerca di una giusta valutazione mora-le dell’agire umano. Da essi abbiamo imparato tantecose da non dimenticare: a distinguere, con l’aiutodell’agire virtuoso, il bene dal male, per cui alcunecose non si fanno mai; che un’azione per quanto buo-na in sé stessa, se rischia di causare gravi danni a séo ad altri, sarà prudente non farla. Non bisogna la-sciarsi trarre in inganno dal miraggio consequenzia-lista che non bada alla bontà o malizia della propriacondotta, ma solo al risultato, né cercare nel proprioagire una soddisfazione immediata voltando le spal-le ai danni che si possono causare agli altri, compre-se le generazioni future, con un comportamento da«onesto» egoista.Quando secondo una mentalità individualistico-narcisista si vuole fare egoisticamente quello chepiù interessa e piace, esercitare la virtù della pru-denza e quindi riflettere e consigliarsi sul fine vir-tuoso o meno della propria azione, non può essereche di disturbo e perciò si preferisce non pensare.La riflessione sul tema della fortuna, dolce e amaraverità, ci aiuta a renderci consapevoli della nostracollocazione nel mondo e quindi a distinguere ciòche accade intorno a noi e dentro di noi da ciò chenoi deliberatamente facciamo e di cui siamo re-sponsabili.

Michelangelo Peláez

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Tra incertezza & rischio

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vane indipendente e piena di titoli accademici, a San-t’Ireneo de Arnois, un quieto paesino i cui abitantihanno dichiarato guerra al mondo moderno. La si-gnorina Prim è arrivata in risposta a un annuncio dilavoro pubblicato da un gentiluomo ferocemente an-timoderno e irritantemente tradizionale, che ha biso-gno di una bibliotecaria per ordinare i suoi libri. Loscontro tra queste due personalità, opposte e forti, ela frequentazione dei peculiari abitanti del luogometteranno a repentaglio buona parte delle fermeconvinzioni dell’autosufficiente Prudencia Prim ecambieranno la sua vita per sempre.Non si tratta di un thriller, non è un romanzo poli-ziesco né un noir, non è nemmeno una storia eroti-ca, né una narrazione storica. Che cos’è allora? So-no solita dire che è una fiaba, nel senso che non èun romanzo realista, nonostante parli di cose pro-fondamente reali. Ha la licenza delle fiabe, che cipermettono di intensificare i colori in certi aspetti e

on ho una lunga esperienza come scrit-trice. Il risveglio della signorina Prim

è il mio primo romanzo e quando ho iniziato a scri-verlo non sapevo nemmeno se sarebbe stato pubbli-cato e non potevo in alcun modo immaginare chesarebbe stato poi tradotto in otto lingue, tra cui l’i-taliano e l’inglese, e venduto in oltre settanta Paesi.Perché non potevo immaginarlo? Non solo perchéera il mio primo libro, ma anche perché la mia inten-zione nello scriverlo non era quella di raccontare unastoria, ma di discutere alcune idee che oggi si dannoper certe e incontestabili. Se dovessi definire Il ri-sveglio della signorina Prim, direi che è una storiaapparentemente semplice, con quella semplicità tipi-ca delle fiabe, è però anche una storia costellata dicannoni. Sono dei cannoni strani, perché sono coper-ti di zucchero e cioccolato, come la casa di Hansel eGretel, ma sono pur sempre dei cannoni. La storiainizia con l’arrivo di Prudencia Prim, una donna gio-

M.S. - Natalia Sanmartin Fenollera (Galizia, 1970, foto) è una delle più vi-

vaci e promettenti scrittrici spagnole. Il suo primo romanzo, Il risveglio

della signorina Prim (Mondadori 2014), è diventato un caso internaziona-

le: racconta le avventure di Prudencia Prim, una donna giovane e brillan-

te, ma stanca dello stress della nostra società. Troverà un nuovo orizzon-

te di senso (e forse anche l’amore…) nel magico mondo di San’Ireneo de

Arnois, un quieto paesino che ha dichiarato guerra alla frenesia della mo-

dernità. Presentiamo l’intervento che la Fenollera ha tenuto lo scorso apri-

le al Convegno Scrivere. Per chi e perché. Gioie e fatiche dell’artista or-

ganizzato dalla Pontificia Università della Santa Croce di Roma.

I tre segreti della Signorina

Prim

NataliaSanmartinFenollera

Un bestsellerai raggi X

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N

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renderli più morbidi in altri, e che permettono la li-bertà di variare i punti di vista e di forzare lo sguar-do per concentrare l’attenzione su cose che a voltepassano inosservate.

Quando iniziai a scrivere Il risveglio della signori-na Prim mi proposi di costruire una storia che po-tesse essere letta su tre piani differenti, perché ognilettore potesse scegliere il proprio. Il primo modo èdi leggerla come una storia di costume che si svol-ge in un paesino particolare e, parallelamente, comeuna storia d’amore. È la lettura che hanno fatto inmolti. Ma è una lettura che sa di poco, perché comestoria d’amore è troppo contenuta per i canoni at-tuali e perché il libro non è una storia d’amore. Al-meno non nel senso che oggi diamo a questo termi-ne, anche se contiene una storia d’amore con la aminuscola e un’altra con la A maiuscola.Il secondo modo per avvicinarsi al libro – e qui tro-viamo già uno dei cannoni – è come una dichiara-zione di guerra, come un grido di ribellione controla modernità e i suoi demoni. La storia affronta loscontro tra due modi radicalmente diversi d’inten-dere il mondo: quello tradizionale, rappresentatodagli abitanti di Sant’Ireneo, e quella moderno, di-feso dalla signorina Prim. Gli ireniti, chiamiamocosì gli abitanti di Sant’Ireneo, sono profondamen-te ribelli, ma è una ribellione un po’ speciale, per-ché non guarda in avanti, ma indietro, non rivendi-ca il nuovo ma il vecchio, non cerca il futuro nel fu-turo ma nel passato.Questa idea di cercare il futuro nel passato sembrauna contraddizione. Specialmente per noi che sia-mo soliti associare la ribellione all’idea di rifiutareo distruggere qualcosa d’insoddisfacente per co-struire al suo posto qualcosa di nuovo e di migliore.Ma in realtà si tratta di una di quelle idee che di so-lito non si mettono in dubbio e di cui invece la sto-ria insegna a dubitare. Se pensiamo ai tempi suc-cessivi alla caduta di Roma, per esempio, vediamoche i popoli romanizzati sentivano nostalgia delpassato e guardavano con ansia il futuro: lo vede-vano molto scuro, perché erano rasi al suolo da in-vasioni di tribù barbare che distruggevano tutto ciòche trovavano sulla loro strada. A quella gente man-cavano i vecchi tempi con l’ordine, l’amministra-zione e il diritto che Roma aveva portato fino agliultimi angoli dell’impero. Per loro il progresso nonera avanti, piuttosto era rimasto indietro.C’è una commovente terribile desolazione nei testiche narrano quel crollo, quell’oscuramento della ci-viltà. È la voce di uomini che guardano il presente

con orrore, che non possono nemmeno immaginareil futuro e che piangono un passato perduto. San Gi-rolamo, per esempio, che tanto amò e studiò nellasua giovinezza i grandi autori latini, parla del saccodi Roma a opera di Alarico in questo modo: «Lamia voce si spegne nella gola mentre detto, i sin-ghiozzi coprono le mie parole. La città che conqui-stò il mondo è stata a sua volta conquistata... La piùbrillante luce dell’orbe intero si è estinta, è stato de-capitato l’impero romano. Per dirlo chiaramente, ilmondo muore insieme a una città. Chi avrebbe maipensato che Roma, edificata sulle vittorie nel mon-do intero, sarebbe dovuta cadere e trasformarsi asua volta in madre e tomba di tutti i popoli?».Per i popoli di quei tempi progredire non significa-va abolire vecchie strutture, ma cercare di resisterealla distruzione, di conservare frammenti di civiltà.

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La romanziera Natalia Sanmartin Fenollera

(foto © RaiRobledo): il suo romanzo è una

sfida ai luoghi comuni del nostro tempo.

Dai ribelli di Sant’Ireneoalla scoperta dell’amore

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La Breve storia dell’Inghilterra di Chesterton spie-ga molto bene questo paradosso. Chesterton soste-neva, con quel buon senso che lo caratterizzava, chela parola progresso in sé stessa indica solo una di-rezione: in avanti. Ma soltanto un insensato prende-rebbe una direzione come un fine. Perché non è lastessa cosa progredire verso una valle di latte e mie-le o verso un oscuro precipizio.Gli abitanti di Sant’Ireneo de Arnois, il paesino incui arriva la signorina Prim, hanno la sensazioneche la civiltà attuale abbia davanti a sé un precipi-zio e non una fertile valle. Sostengono l’idea che vi-viamo in un’epoca inquietante: sembra che il solestia calando, le verità siano impazzite e gli uominiabbiano perso la capacità di riconoscerle.

Molti lettori mi domandano dove sia Sant’Ireneo ose esista un luogo come quello tratteggiano nel ro-manzo oppure se è semplicemente un’utopia. La ri-sposta è che Sant’Ireneo è un luogo fittizio, ma nonè un’utopia, perché si tratta di un tipo di comunitàche è nel DNA dell’Europa, è nelle nostre fonda-menta. Un minuscolo paesino nato attorno a un pol-mone spirituale, che nel romanzo è un’abbazia be-nedettina di rito romano tradizionale, nel quale siconservano vecchie e sagge idee, come quella checi ricorda che la vita umana deve essere soggetta aun ordine per essere veramente umana. Un luogodove si coltivano i vincoli di vicinato, esistono fa-miglie solide, l’economia è piccola e i suoi abitanticombattono una battaglia per conservare il megliodi un passato senza il quale non si può comprende-re il presente né si può affrontare il futuro.Gli ireniti sono fuggiti dalla vita moderna, da unmondo smisurato e pieno di rumore, da una culturaoccidentale che ha perso la scala dell’umano e hadimenticato un’altra antica idea, come sono belle levecchie idee che sopravvivono alle giovani vite de-gli uomini: che il mondo deve essere a misura d’uo-mo e non il contrario.La terza lettura è la più importante e anche quellameno evidente. Le avventure di Prudencia Prim aSant’Ireneo de Arnois narrano la storia di una con-versione religiosa, che non tutti i lettori scopronoperché è raccontata al modo della lettera rubata diPoe. È così presente, è così in vista, tanto immersatra i fili del romanzo... che molti non la vedono.Perché fare in questo modo? Raccontano che ungiorno Evelyn Waugh, uno dei miei scrittori prefe-riti, era a una festa e a un tratto gli si avvicinò unasignora per fargli dei complimenti a proposito delsuo ultimo libro. Waugh, che era acido e corrosivo

come pochi, le rispose in un modo così brusco chefece sì che l’ammiratrice esclamasse: «Come è pos-sibile che lei, essendo cristiano, sia così sgradevo-le?». E lui rispose: «Ciò che lei non sa, signora, èche prima di essere cristiano io ero appena umano».Ricordo Evelyn Waugh e questa percezione cosìchiara che aveva dell’effetto della grazia su sé stes-so perché Ritorno a Brideshead è stato per me unmodello al momento di plasmare la storia di con-versione contenuta ne Il risveglio della signorinaPrim. Waugh cercò di esporre in quel magnifico ro-manzo, per quanto sia possibile spiegarlo, come lagrazia ci guida attraverso gli avvenimenti della no-stra vita, attraverso le persone che conosciamo, at-traverso le nostre gioie e le tristezze, attraverso lacontemplazione della bellezza e specialmente attra-verso le molte ferite e le cadute. È ciò che, con tut-te le limitazioni che il tema richiede, ho tentato difare nel libro ed è ciò che spiega perché le chiavi diquesta terza lettura non siano evidenti come le altre.Perché di solito Dio non è evidente, sarebbe tuttomolto più semplice se lo fosse, ma in realtà non loè, e ciò è qualcosa che conoscono particolarmentebene i convertiti: è l’esperienza della grazia che agi-sce in modo soave, che parla piano, che parla all’u-dito, senza fretta, senza forzare, con delicatezza.Lo stesso Waugh disse una volta che convertirsi eracome salire attraverso una ciminiera e passare da unmondo di ombre, dove tutto era come una caricatu-ra delle cose, al mondo reale. L’epitaffio del cardi-nale britannico John Henry Newman raccoglieun’idea simile: «Dalle ombre e dai simboli verso laverità». Nelle Cronache di Narnia di C.S. Lewistroviamo un personaggio che spiega come le terredi Narnia siano un’ombra o una copia «della Narniareale, che è sempre stata qui e qui sarà». E la si-gnorina Prim si sconcerta quando un pomeriggioquattro bambini le spiegano in un giardino che ilVangelo è una fiaba reale, non perché assomiglia al-le fiabe, ma perché le fiabe assomigliano al Vange-lo. È l’idea affascinante sulla rivelazione come mi-to vero che sostenevano Tolkien e Lewis.

È anche in questa terza lettura che si inquadra lastoria d’amore della signorina Prim. Prudencia per-corre tutta la scala dell’amore nel romanzo. All’ini-zio della storia, quando arriva a Sant’Ireneo, amaprincipalmente sé stessa, protegge accuratamente lasua autostima ed è molto preoccupata della sua di-gnità. Poi scopre un secondo tipo di amore, l’amici-zia, mentre va conoscendo a poco a poco gli irenitie si va integrando nel paese. Poi ne arriva un terzo,

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Fuga dal mondo modernoper una vita più libera

La scala di Prudencia& la fonte dell’Amore

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l’amore tra l’uomo e la donna. Un amore che è real-mente possibile solo quando si raggiunge il quarto,la fonte di tutti gli altri: l’Amore divino. È allorache tutto si ordina, l’amore per sé stessa, l’amoreper gli altri, tutto occupa il posto giusto quandos’incontra l’Amore con la A maiuscola.Nella storia d’amore tra i due protagonisti del libro,la signorina Prim e l’uomo che l’ha contattata per or-ganizzare la biblioteca, c’è la lotta di due personalitàtotalmente diverse. Diverse non solo per la loro con-cezione del mondo, ma per il modo che ciascuna hadi accostarsi alla realtà. Lui rappresenta la ragione,una ragione illuminata dalla fede – perché è un con-vertito – che è l’unico modo perché la ragione noncada nella tentazione di trasformarsi in un mostrocieco. Lei rappresenta il sentimentalismo, che è unavecchia patologia della ragione o, se si preferisce, deisentimenti, che crescono, debordano e occupano unluogo che non gli spetta, qualcosa che gli antichi dia-gnosticarono molto bene. La signorina Prim è moltosensibile, ama l’arte e la bellezza, ma pensa con ilcuore anziché con la testa. E il cuore ha una funzio-ne meravigliosa e unica – amare – ma fallisce quan-do lo si utilizza per ciò per cui non è stato creato.

Altri cannoni ricoperti di zucchero. Contro quali altribersagli sparano gli ireniti? Il femminismo comeideologia e specialmente l’educazione moderna sonoalcuni di essi. Una delle prime sorprese della signo-rina Prim è che a Sant’Ireneo de Arnois esiste unospeciale sistema educativo che sbigottisce e scanda-lizza la bibliotecaria. Gli ireniti educano a casa ededucano in comunità; i bambini ricevono lezioni dadiversi abitanti del paese: chi conosce la biologia falezioni di biologia; chi è esperto in letteratura, di let-teratura; chi si dedica alla matematica, di matemati-ca. C’è una maestra in paese che insegna ai piccoli iltrivio, i tre «attrezzi» – drammatica, retorica e dialet-tica – che fino a non molto tempo fa erano ritenutiimprescindibili per imparare a pensare. La lettura èassolutamente essenziale in questa piccola comunità,con un fervore reverenziale per i classici. Al puntoche i suoi abitanti si proclamano orgogliosi che lamaggior parte di ciò che il mondo chiama letteratura,Sant’Ireneo lo chiama perdere tempo.Molti lettori mi domandano se la speciale relazionetra l’infanzia e la letteratura che si ricrea nel libro siapossibile. I bambini ireniti crescono attorniati da fia-be, da buona letteratura infantile, da vecchi poemi,saghe e leggende, da classici, molti classici. Sonobambini capaci di godere de Il vento tra i salici, diKenneth Grahame, ma anche di riconoscere dei ver-

si di Virgilio in latino. Crescono in un focolare nelquale si può imparare ad amare Peter Pan, Alice nelpaese delle meraviglie o le fiabe, ma anche l’Odisseae l’Iliade, i romanzi medievali, Robinson Crusoe op-pure Oliver Twist. Altra utopia? È vero che se unoguarda la letteratura infantile del XIX secolo e gliinizi del XX e la confronta con molte delle opere cheoggi si scrivono per bambini, giunge alla conclusio-ne che o i bambini di adesso sono meno intelligentidi prima oppure la società li considera meno intelli-gente di quanto sono. Io credo che la seconda sia larisposta corretta. A questo bisogna aggiungere che cisiamo abituati a chiamare utopie le cose che i nostripredecessori non ritenevano assolutamente irrag-giungibili. C’è un aneddoto, ed è un esempio tra imolti, sull’infanzia di Tolkien che serve a illustrarequesta idea. Tolkien fu educato in casa sotto la tuteladi sua madre, una donna di classe media che avevaricevuto una buona istruzione. Con il suo aiuto co-minciò a leggere a quattro anni e apprese latino, fran-cese e tedesco ai sette, prima di andare a scuola. Ro-nald Knox, altro convertito britannico (EvelynWaugh scrisse la sua biografia), a sette anni compo-neva teneri poemi in latino. Ed ecco Bernard Shaw,che con l’ironia che lo caratterizzava diceva che lasua educazione finì ai sette anni, giusto il giorno incui i suoi genitori lo mandarono a scuola.Io sono cresciuta in un’epoca, gli anni Settanta, nel-la quale i libri non erano classificati per età e nes-suno si stupiva che un bambino sfogliasse un’operaclassica e perfino che vi scarabocchiasse sopra. So-no cresciuta in una famiglia numerosa, in quell’at-mosfera rumorosa, libera e mezzo selvaggia che sirespirava allora nelle famiglie molto grandi. Sonocresciuta con molti fratelli e anche con molti poemi,leggende e fiabe; e classici, molti classici, a portatadei bambini.L’anno scorso, quando ho presentato Il risvegliodella signorina Prim in Germania, ho avuto unaconversazione su questo tema con un anziano pro-fessore di letteratura che mi ha detto con una tri-stezza enorme: «I bambini tedeschi non conosconopiù Goethe, non viene più letto loro». In un certosenso noi europei siamo diventati come quei nanidei racconti che sono seduti su un tesoro e non han-no tempo per sfruttarlo. Un tesoro di tradizione ecultura di un valore incalcolabile, che è il migliorregalo che uno può dare ai suoi figli. C’è una vec-chia Europa costruita con sogni e favolose storiepiene di eroi, boschi, draghi, pantani, guerrieri,anelli magici, streghe e cavalieri, mostri, incantesi-mi, coraggio e sacrificio e che hanno una forza taleche è difficile non sentirsi soggiogati. Questo lin-guaggio magico delle fiabe, dell’epoca medievale edelle saghe nordiche precristiane è straordinaria-mente efficace per trasmettere ai bambini verità chenon sono facili da esprimere in altro modo. Ricordoche la prima volta che lessi a quattro miei nipoti

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A scuola dagli ireniti,tra saghe, classici & fiabe

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molto piccoli il Beowulf, nella versione di Tolkien,ascoltarono tutta la storia senza battere ciglio. Que-sta forza è quasi un incantesimo elfico, è meravi-gliosa. Sant’Ireneo combatte una battaglia ancheper preservare la magia che esiste nell’infanzia. Cisiamo abituati al fatto che i bambini siano presenticontinuamente nel mondo degli adulti, che siano alcentro delle riunioni e molte volte delle conversa-zioni. Ma non molto tempo fa, il mondo infantileera una cosa a parte, un paese caldo, sicuro e magi-co, e questa magia proveniva in buona misura dalnon essere esposti agli interessi e problemi degliadulti e dal non essere considerati il centro di qual-siasi riunione. Sant’Ireneo conserva questa magia:quando la signorina Prim penetra in un angolo delgiardino in cui i bambini della casa giocano, entrain un mondo al quale non appartiene e che ha le sueleggi proprie. Lei è un’estranea e un’adulta; e lorosono bambini. Sono razze diverse e i loro mondihanno logiche diverse.Dovrei parlare di un movente che spieghi perchéquesto libro, che difende la tradizione di fronte alculto cieco del progresso e che in sé stesso è unastoria di conversione, è stato ben recepito da nume-rosi lettori che si allineano con questo progresso eche non sono assolutamente religiosi. Credo che lachiave sia che non si tratta di una storia scritta spe-cialmente per i cristiani e che non ha alcuna inten-

zione apologetica. Un racconto semplice che parladi qualcosa che è stato nel cuore umano da sempre:la ricerca del paradiso perduto, l’indefinibile sensa-zione di nostalgia che tutti portiamo scritta nel cuo-re. Una nostalgia che a volte ha il sapore dell’in-fanzia e che nemmeno il rumore, l’attività frenetica,la dismisura di un mondo che non ha più tempo perriflettere sulle vecchie domande, può del tutto taci-tare. Il risveglio della signorina Prim inizia con unafrase di Newman, presa da uno dei sermoni dellasua tappa anglicana, che spiega magistralmente ilperché di questa ricerca, di questa insoddisfazioneperenne che si trascina l’essere umano: «Credono diavere nostalgia del passato ma in realtà la loro no-stalgia ha a che vedere con il futuro». Termino conla citazione di un altro britannico, Robert HughBenson, un altro convertito molto speciale per me.Benson era figlio dell’arcivescovo di Canterbury echierico anglicano, nato nell’epoca vittoriana, scris-se un piccolo libro intitolato Confessioni di un con-vertito nel quale racconta ciò che siamo con la sem-plicità e la bellezza magica di una fiaba. «Tutti noinon siamo altro che un gruppo di bambini che va-gano per la campagna, sporchi dal viaggio, stanchie abbagliati dalla gloria».

Natalia Sanmartin Fenollera(Traduzione di Michele Dolz)

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«Dio non ti forza, ma non ti lascia mai»Colloquio con Natalia Sanmartin Fenollera

l Quali sono le letture che ti hanno formato? Lefavole classiche, le leggende e le saghe medievali.E poi la letteratura inglese del XIX secolo, ma an-che quella russa dello stesso periodo, DostoevskijTolstoj, Gogol e Puskin. Dostoevskij ha per me unaprofondità speciale: è incomparabile la sua capaci-tà di entrare nel cuore dell’uomo. Dopo il ritorno al-la fede, mi sono interessata ai testi della Patristica ealle opere dei «convertiti» inglese dell’Ottocento edei primi del Novecento, come per esempio il card.John Henry Newman.

l Perché l’interesse per la Patristica? Ho avutouna formazione religiosa fin da bambina però deci-samente insufficiente. Il «gancio» con cui Dio miha riportato alla fede è stata la passione intellettua-le per la ricerca della verità. Fu un nuovo inizio.Tornai a leggere il Vangelo per intero, i testi deglistorici cristiani ed ebrei e così arrivai a studiare iPadri. Era una risposta alla mia richiesta di chiarez-za. I testi patristici sono allo stesso tempo semplicie profondi, mi hanno aiutato, per esempio, molto

più di certa spiritualità barocca, che mi risulta piùdifficile da avvicinare. Dopo la conversione, ho cer-cato di approfondire anche la teologia contempora-nea, ma non sempre mi sono trovata a mio agio. Eroagli inizi del mio nuovo percorso e trovavo elemen-ti che stridevano con la fede. Sentivo a prima vistache c’era qualcosa che non andava, ripeto, ero all’i-nizio della mia nuova formazione, solo più tardi hoscoperto che si trattava di autori eterodossi.

l I Padri prediletti? Sant’Agostino e Origene (an-che se so che in lui c’è una parte non ortodossa...).

l Puoi aggiungere qualche particolare sul tuo ri-torno alla fede? Avevo 35 anni e certamente nonero più una bambina. È stato un processo graduale,quasi essere portata per mano. Ci sono persone affa-scinate dalla ricerca intellettuale della verità e dallabellezza. Io sono una di queste. Sono sempre statamolto sensibile alla bellezza della natura, mi chiede-vo: «Qual è l’artista che si nasconde dietro a tuttoquesto?». Non potevo credere che fosse tutto gene-

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rato dal caso... Nel suo poema The Hound of HeavenFrancis Thompson (1859-1907) immagina che loSpirito Santo sia come un cane da caccia che ti in-segue senza fermarsi mai... Dio non ti forza, manemmeno ti lascia mai, era un’idea molto cara anchea C.S. Lewis. Naturalmente quando ci si converte, sipaga un prezzo in prima persona. Ti separi dalla vi-ta precedente, dagli amici con cui ti sentivi forte-mente legata. Si crea una sorta di abisso, alcune vol-te perché le persone non ti comprendono. Però conla conversione si passa dal vedere la vita come qual-cosa che semplicemente accade a intuirla come unprogetto di Dio. Si comprende allora che la vita hauna bellezza speciale, un qualcosa di epico di cuiprima non intuivi la portata. Anche se tocco con ma-no tutti i giorni che la vita cristiana non è facile daincarnare. È una sfida molto alta e se non ci fosse laGrazia sarebbe impossibile. È fuorviante pensare alfatto che la vita cristiana sia facilissima e sempre al-l’insegna dell’allegria. In verità, la vita cristiana èsegnata dalla croce, anche se c’è una bellezza purenella croce. Pur avendo una sensibilità spiccata, nonsono di quelle persone che leggono san Giovannidella Croce o santa Teresa d’Avila e si accendonomisticamente. La preghiera personale mi costa...

l Cos’è secondo te la scrittura creativa? Mi pia-ce ricordare quello che affermava Tolkien: Dio èCreatore e noi siamo «subcreatori», siamo un ri-flesso di Dio, anche se deformato e oscurato dallacaduta. La necessità umana di raccontare storie èmolto presente nella tradizione cristiana. Anchenoi, in qualche modo, possiamo essere creatori, lascrittura per me è «subcreazione». Si tratta di farein piccolo e in modo imperfetto quello che Dio fa ingrande e in modo perfetto.

l Quali letture consigli ai bambini? Le poesie, lefavole, le saghe nordiche precristiane, come i Nibe-lunghi, le avventure dei cavalieri medievali. Sonoopere fondamentali. E poi i classici, come l’Isola deltesoro. Non riesco a capire i genitori che compranoai ragazzi storie di pirati e si dimenticano di mettereal primo posto Stevenson. È meravigliosa tutta laletteratura dell’infanzia dell’età vittoriana. Amomolto anche Il vento nei salici di Grahame Kenneth,Peter Pan e Alice nel paese delle meraviglie.

l Il tuo rapporto con la musica? Mi piace moltosia la musica contemporanea sia quella classica,amo Monteverdi, Bach, Mozart, Beethoven. Ap-prezzo molto Erik Satie.

l Come compagini il tuo impegno professionaleche è molto assorbente (la Fenollera è una gior-nalista economica molto apprezzata) con l’attivi-tà di scrittrice? Molto male… ho impiegato dueanni a scrivere Il risveglio della signorina Prim

sfruttando le vacanze e i fine settimana. Non finiscomai di lavorare prima delle 21... La gestione delmio tempo di scrittrice è un’equazione che non haancora trovato soluzione. Però credo nel valore del-le piccole battaglie, fare cioè le cose curando i det-tagli e con calma. Cerco di essere ordinata e di pro-teggermi quando scrivo, cercando di tener lontanoil telefono o altre distrazioni simili. Cerco di sfrut-tare al massimo la mia casa di campagna in Galizia,vicino a La Coruña, dove ho scritto una parte dellaSignorina Prim. Su una suggestione tolkenianal’abbiamo ribattezzata Rivendell.

l Le tue regole per scrivere? Scrivo pochissimo. Eritorno continuamente sulla pagina che ho scritto, laleggo e la rileggo, anche a voce alta, e non vado avan-ti finché non sono completamente soddisfatta. Da He-mingway ho appreso un trucco per evitare il panicodella pagina bianca. Quando penso di avere un’idea ouna scena forte, non la sviluppo tutta nello stessogiorno. Tengo qualcosa per l’indomani. Il giorno do-po torno ad «accendermi» riprendendo quanto ho la-sciato indietro. Ho uno stile molto semplice, ma vo-glio che ogni parola sia posizionata al posto giusto.

l Qual è il regalo più bello che ti ha portato ilsuccesso? Il contatto con i lettori, dai più giovani aireligiosi di tanti monasteri.

l Hobby? Passare il tempo con la gente che amo,come la mia famiglia. Leggere, guardare la natura,curare il giardino. Mi piace moltissimo viaggiare ein particolare sul mare. Però sempre con un libro inmano...

Alessandro Rivali

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Natalia Sanmartin Fenollera mentre auto-

grafa Il risveglio della signorina Prim.

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Una nuova puntata Caro abbonato,

grazie per un altro anno trascorso con noi. Come avrà notato, abbiamo cercato di rinnovare di me-se in mese la nostra sfida culturale. Nonostante la crisi (che purtroppo perdura), abbiamo dato ilmassimo per affinare sempre di più la nostra proposta. La rinnovata veste di Studi cattolici, tutta a colori, con nuove rubriche e nuove firme, è stata molto

apprezzata dagli abbonati, che hanno anche la possibilità di ricevere in anteprima il pdf della rivistae di consultare con un semplice click il nostro archivio digitale. La leadership di Studi cattolici nell’opinione pubblica è testimoniata dalle frequenti citazioni nelle

principali testate nazionali e sul web. Ormai le notizie si apprendono su Facebook, ma serve un «navigatore» per non rischiare di smar-

rirsi nel surplus di informazioni (o di bufale sempre in agguato): Studi cattolici da 60 anni (50 annidi direzione di Cesare Cavalleri, tanti auguri!) ha sempre offerto vivaci spunti di riflessioni e ap-profondimento per leggere la realtà. E continuerà a farlo a tutto campo, senza timore di remarespesso controcorrente… Quest’anno il catalogo Ares si è arricchito di tanti nuovi autori. Qualche nome tra i tanti: dal card.

Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, al giornalista FulvioFulvi, che ha raccontato il volto nascosto di Don Camillo, sino alle suggestioni di Ma che cos’èuna famiglia? del brillante Fabrice Hadjadj. Intanto, siamo diventati sempre più Social. È vero che,ahinoi, le librerie chiudono, ma internet offre risorse e canali sorprendenti e il nostrowww.ares.mi.it ha avuto il 50% in più di visitatori (e ci sono anche gli ebook…). Per il 2016 l’orizzonte è ricco di novità. Entrerà nel catalogo Ares padre Antonio Sicari, il più fa-

moso agiografo dei nostri tempi, con uno studio sull’«incontro con Dio» di 100 santi, dai misticiai santi bambini; Ugo Borghello spiegherà I fondamentali dell’amore alle giovani coppie e MarinaLenti rivelerà i segreti di Harry Potter con la prima biografia italiana di J.K. Rowling… Per la sag-gistica Alberto Leoni passerà in rassegna la Storia delle guerre di religione, mentre Mario Iannac-cone offrirà la prima biografia scientifica di san Giovanni della Croce. Caro abbonato, come vede, il cantiere è sempre in fermento, ma perché sia sempre così è decisivo

il suo incoraggiamento e il suo sostegno economico. Serve subito. Nella pagina accanto sono specificate le modalità per essere con noi anche nel 2016. Contiamo

sulla sua fiducia, da oggi stesso.Alessandro Rivali – Segretario di redazione

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dell’avventura Ares!Con 70 euro Studi cattolici per il 2016L’abbonamento (nuovo o rinnovo) a Studi cattolici costa 70 euro. L’abbonamento sostenitore è di 150 euro.L’abbonamento benemerito è di 600 euro, e comprende i vantaggi dell’Ares Gold (vedi sotto).Con 100 euro, oltre al suo abbonamento, può regalare un abbonamento a un amico. Il versamento può essere effettuato utilizzando l’unito bollettino di c/c postale, oppure con bonifico bancario:

I B A N I T 1 4 F 0 1 0 3 0 0 1 6 6 6 0 0 0 0 6 1 1 5 4 7 4 1o ancora con carta di credito collegandosi al sito www.ares.mi.it. I destinatari degli abbonamenti donovanno specificati nella causale del versamento.

A grande richiesta, ritorna l’Ares GoldL’Ares Gold è uno speciale «pacchetto» che dà diritto a ricevere subito a casa propria (insieme a Studicattolici), senza chiederli di volta in volta e senza alcuna spesa aggiuntiva, tutti i nuovi titoli che le Edizioni Ares pubblicheranno nel 2016. La quota di adesione all’Ares Gold è di euro 250.Tutti i Soci dell’Ares Gold usufruiscono inoltre dello sconto del 50% sull’acquisto di qualsiasi libro del catalogo Ares.

Grande successo dell’Ares CardL’Ares Card è una tessera prepagata virtuale, di euro 150, che consente di acquistare i libri del nostro catalogo su www.ares.mi.it con il 50% di sconto nonché di abbonarsi a Studi cattolici al prezzo spe-cialissimo di 50 euro (anziché 70). L’Ares Card offre il vantaggio di scegliere, fra le novità e il catalogo,i libri che di volta in volta si desiderano, senza attendere particolari campagne di promozione. Dall’Ares Card viene scalato l'importo dei singoli acquisti più 2 euro come contributo postale per ognispedizione. Il titolare dell’Ares Card ha la possibilità di visualizzare in ogni momento lo storico dei suoiacquisti e il credito residuo.

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Ci commuove vedere un teologodella grandezza di san Tommasodedicare poesie devote alla SacraEucaristia, ma forse non riuscia-mo a spiegarci perché ci piacecosì tanto recitarle, ripeterle, can-tarle senza stancarci. C’è un segreto in questo inno eu-caristico: la sua semplicità. Sottola semplicità superficiale dellaforma, c’è una profonda semplici-tà del contenuto. E il contenuto èpuramente e semplicemente no-stro Signore Gesù Cristo. Per que-sto non ci stanca, al contrario ciincanta, ci commuove, ci eleva, esi trasforma necessariamente inorazione: Gesù bambino, Gesùmaestro, Gesù crocifisso, Gesù ri-sorto, Gesù nel pane, Gesù nel vi-no, Gesù nel cielo. Come poetaSan Tommaso non ebbe bisognodi prescindere dal suo talento filo-sofico e teologico; la sua menteordinata continua a essere ordina-ta nella poesia come nella Somma.Da buon poeta, non spiega ciòche canta. Nella prima strofa nondescrive la nascita del Salvatorea Betlemme. La dà per intesa. Mache cosa dice? Che sveniamo diamore. Ah, come lo vorremmo,ma il nostro cuore è così duro!Guarda: non tanto duro comepensi; mettiti davanti a un bambi-no e lo vedrai. A un tratto qualco-sa cambia in te, ti senti ammorbi-dire, fondere. Mettiti davanti alBambino, ci propone l’Aquinate.Dio si è fatto figlio tuo, inerme,totalmente abbandonato nelle tuebraccia... Non è vero che il tuocuore totum deficit?Nella seconda strofa ci vienedetto che il Bambino è già cre-sciuto e che adesso è il grandeMaestro, potente in opere e paro-

le, e ci fa sentire la sua voce sor-prendente, piena di autorità e co-sì luminosa che gli stessi sbirriconfessano: «Mai un uomo haparlato così» (Gv 7, 46). Perchéanche se lo vedevano e lo tocca-vano come uomo autentico, ciòche ascoltavano era divino. Nilhoc verbo veritatis verius.

E così ci porta a contemplare lapresenza del nostro Dio, nascostonella sacra Eucaristia, seguendo imisteri della redenzione, che, ol-tre a essere storici, sono vivi eoperativi. Non è ciò che fa laChiesa lungo l’anno liturgico?Non è ciò che si sgrana nei granidel Rosario? Nell’inno di sanTommaso, in maniera ancor piùsuccinta, in sette quadri bellissi-mi, la presenza umana e divina dinostro Signore Gesù Cristo sispiega di fronte al nostro sguardointeriore come roveto ardente,senza consumarsi.Gesù bambino, Gesù maestro,Gesù crocifisso... Mai la sua di-vinità è stata così nascosta com’ènella sua morte! Eppure mai èstato così clamoroso il suo amoreper noi, capace di convertire uncriminale, e che ci spinge a chie-dergli, pieni di fiducia, quod peti-vit latro paenitens.Gesù risorto! Quanto mi piacereb-be vederlo, toccare il suo petto fe-rito, come Tommaso! Ma sono piùfelice: credo, spero e lo amo senzavederlo, e per questo godo unagioia indescrivibile che lo stessoPietro invidiava (cfr 1 Pt 1, 8-9).Ma la vita terrena di Gesù non fi-

nì con l’Ascensione. Egli conti-nua a essere in mezzo a noi inogni ora e in ogni luogo, nel pa-ne eucaristico. Ci ama come Dio;ha bisogno di noi in quanto uo-mo. O memoriale della morte delSignore! O presenza fisica, realee viva del mio Gesù! Che io nonmi abitui mai a riceverti nel miopetto né nella perenne Betaniadel tabernacolo!Pellicano divino che mi purifichicol tuo sangue: quando innalzo ilcalice della nuova alleanza, checosa mostro e offro al Padre neltuo nome? La nostra redenzione!Gli siamo costati tutto quel san-gue! Perdonami e purifica ilmondo intero!Tu mi attendi con ansia nel cielo.Sogni la mia salvezza in mezzo atanti pericoli. Fa’ che nulla e nes-suno mi separi da te! E che iopossa darti gloria e vederti eter-namente faccia a faccia!

Con questa semplicità san Tom-maso non solo ci ricorda chel’Eucaristia è Gesù, lo stesso chenacque a Betlemme, predicò nel-la Palestina, morì sotto PonzioPilato, risuscitò e salì al cielo, mache nell’Eucaristia continua a es-sere bambino, maestro, sacrificioe sacerdozio, glorioso e onnipo-tente insieme al Padre e nostrocompagno terreno di ogni giorno.Che «non è un uomo del passato,che visse in un tempo e poi se neandò lasciandoci un ricordo e unesempio meravigliosi. No: Cristovive. Gesù l’Emmanuele: Diocon noi» (san Josemaría Escrivá,

SPIRITUALITÀ

Tommaso d’Aquino, mistico poeta

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Presenza umana& divina di Gesù

Lo sguardo di Gesùfissa anche me

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È Gesù che passa, 102).Non perse il suo sguardo innocen-te, quello sguardo meravigliosodei bambini, che ci fissano senzapaura né pregiudizi, pienamentefiduciosi della nostra bontà e de-dizione, perché conoscono soltan-to l’amore. Lo sguardo limpido,che non aspetta da noi se non ilbene, l’affetto e il servizio. Quellosguardo che giunge a perturbareun bandito, un depravato, un cini-co. Questo sguardo di Gesù alquale si arrendono immediata-mente Natanaele e Zaccheo, chetrapassa il giovane ricco, che sor-prende la samaritana, che gradiscel’attenzione della peccatrice peni-tente, che colma di pace l’adulte-ra, che fa piangere Pietro, sussul-tare Maddalena e che sorride aTommaso... Questo sguardo chefissa me con maggiore dolcezza dimia madre, con maggiore speran-za di mio padre, con maggiorecomprensione di mio fratello o delmio miglior amico... Sono certoche, in fondo, sono buono e saròsempre suo amico.

Le sue parole continuano a vibrarenelle mie orecchie, perché le rivol-ge a me, a ciascuno di noi; non al-l’umanità, che non ha orecchie. Ècon me che parla. La sua luce pe-netra nella mia anima e va accen-dendo le mie potenze, liberandomidalla mia ignoranza, rivelandosi,indicandomi la via e fortificandola mia fede, la mia speranza e lamia carità. Dobbiamo leggere lesue parole molte volte, perché so-no inesauribili. Ascoltarle ripetuta-mente... Finché non le abbiamocomprese e torniamo a stupirci, ascoprirne il senso attuale nella no-stra presente condizione e forsenuovi sensi più profondi. Ma nelsilenzio del tabernacolo, diventaLui stesso la somma di tutte le sueparole. E ci basta guardarlo.Continua a essere bambino, mae-stro e sacrificio – oblazione alpadre, l’eterna oblazione della

croce, offerta dalle nostre manisull’altare. Perché non si limitò adonarsi a noi e per noi, ma si of-

frì a noi, ci offrì il suo sacrificio.Un padre, una madre, un amico ècapace di sacrificarsi per i propri

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Adóro te devóte, latens Déitas,quæ sub his figúris vere látitas:tibi se cor meum totum subiicit,quia, te contémplans, totum déficit.

Visus, tactus, gustus in te fállitur,sed audítu solo tuto créditur;credo quidquid dixit Dei Fílius:nil hoc verbo veritátis vérius.

In cruce latébat sola Déitas,at hic latet simul et humánitas:ambo tamen credens atque

cónfitens;peto quod petívit latro pǽnitens.

Plagas, sicut Thomas, non intúeor,Deum tamen meum te confíteor:fac me tibi simper magis crédere,in te spem habére, te dilígere.

O memoriále mortis Dómini,panis vivus, vitam præstans

hómini:præsta meæ menti de te vívere,et te illi semper dulce sápere.

Pie Pellicane, Iesu Dómine,me immúndum munda tuo

sánguine:cuius una stilla salvum fáceretotum mundum quit ab omni

scélere.

Iesu, quem velátum nunc aspício,oro, fiat illud quod tam sítio,ut te reveláta cernens fácie,visu sim beátus tuæ glóriæ.

Amen.

Ti adoro con fervore, o Dio nascosto,

che sotto i sacri segni a noi ti celi:il mio cuore tutto a te si affida,mentre ti guardo e tutto viene meno.

La vista, il tatto, il gusto non soccorrono,

ma l’udito mi assicura nella fede:credo ogni cosa detta da Dio Figlio,nulla è più vero del Verbo verità.

La croce celava la sola Deità,ma qui celata è anche l’umanità:Dio e Uomo qui credo e confesso,e chiedo ciò che Dima pentito

ti ha chiesto.

Piaghe non vedo che Tommasopur vide,

ma ti proclamo Dio mio e Signore;accrescimi più sempre in Te la fede,in Te la mia speranza, in Te l’amore.

O memoriale della morte del mioSignore,

pane vivo, che infondi vita all’uomo,

fa’ vivere di te l’anima mia,per gustare per sempre il tuo dolce

sapore.

Gesù Signore, mio dolce Pellicano,monda me immondo col tuo

Sangue:una goccia di Te da sola può salvareda ogni colpa il mondo intero.

Gesù, che adesso vedo sotto i veli,ti prego avvenga presto ciò che

anelo:ch’io possa contemplarti

faccia a faccia,per godere al vivo la tua gloria.

Amen(Traduzione di Ernesto Terrasi)

Adoro Te devote

Mistero & abissodell’amore

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figli o amici, ma serba il suo sa-crificio come testimonianza delsuo amore per loro. Non è cosìcon Gesù Cristo. Come dice unantico padre della Chiesa, io nonfui flagellato, incoronato di spi-ne, crocifisso, ma posso presen-tare al Padre come miei tutti que-sti dolori e la morte redentricedel Signore. Perché Egli ce li halasciati. Sono della Chiesa e co-stituiscono tutta la sua ricchezza.Con quale facilità i bambini com-prendono che Gesù è vivo nel ta-bernacolo! Se è risorto, può tuttoed è nostro amico. Non vedono lepiaghe, come le vide Tommaso, ene sono grati, perché se ne afflig-gerebbero. Non perdiamo questalucidità così ragionevole. Non fuper affliggerci che Egli rimase tranoi, ma perché noi possiamo fre-quentarlo con la semplicità concui lo frequentavano Marta, Ma-ria, Lazzaro, tutti. «Io sono la ri-surrezione e la vita... Credi que-sto? Sì, o Signore, io credo che tusei il Cristo, il Figlio di Dio, co-lui che viene nel mondo» (Gv 11,26-27). E non per questo Martasmise di trattarlo come sempre,di avvertirlo che suo fratelloemanava già cattivo odore. Chenaturalezza! Sia così la nostra fa-migliarità con la Sacra Scrittura.Noi sì che abbiamo bisogno delbonus odor Christi. Il suo sanguebenedetto mi pulisca fino in fon-do, me immondo, soprattuttoquando oso – con audacia di fi-glio contrito e umiliato – ricever-lo come nutrimento dell’anima,fino al punto di portarlo dentro dime, come sua madre Santissima.Ho fame e sete di vederTi, anchequando non sento nulla, perchénulla e nessuno mi soddisfano.Solo Tu. Tu sei il mio amore na-scosto, il termine di paragone pertutto ciò che è intorno a me. Checos’è l’uomo? Un mistero; e ilsuo cuore un abisso. Un abissosenza fondo, un anelito d’infini-to. Un niente che attende il Tutto.Sì, ho fame e sete di vederTi, an-che quando non sento nulla.

Hugo de Azevedo

«Abbiamo cercato di ricordare ecommentare alcuni lineamentidei focolari in cui si riflette la lu-ce di Cristo, e che sono perciò fo-colari luminosi e allegri: in essil’armonia che regna tra i genitorisi trasmette ai figli, a tutta la fa-miglia e all’ambiente circostante.Così, in ogni famiglia autentica-mente cristiana, si riproduce inun certo modo il mistero dellaChiesa, scelta da Dio e inviatacome guida del mondo [...]. Èmolto importante che il senso vo-cazionale del matrimonio siasempre presente, tanto nella cate-chesi e nella predicazione quantonella coscienza di coloro che Dioprepara a questo cammino, poi-ché è attraverso di esso che sonorealmente chiamati a incorporar-si al disegno divino di salvezza ditutti gli uomini» (È Gesù chepassa, n. 30).Con queste parole san JosemaríaEscrivá si avvia alla conclusionedell’omelia dal titolo Il Matrimo-nio, vocazione cristiana. Sonoparole che mettono in luce lagrandezza unica della vita matri-moniale e famigliare: ogni fami-glia diviene un punto di irraggia-mento di luce, di calore, di fede.Così la famiglia è una Chiesa do-mestica, con tutta la forza, anchemissionaria e apostolica, di que-sta espressione. È il tema dellafamiglia come soggetto di evan-gelizzazione, emerso nelle As-semblee sinodali 2014-2015, ri-preso anche di recente in modi econ espressioni variegate, dal Pa-pa, quando per esempio afferma:«L’alleanza della famiglia conDio è chiamata oggi a contrasta-re la desertificazione comunitariadella città moderna. Ma le nostre

FAMIGLIA

La dimensione apostolica

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città sono diventate desertificateper mancanza d’amore, per man-canza di sorriso [...]. Il sorriso diuna famiglia è capace di vincerequesta desertificazione delle no-stre città. E questa è la vittoriadell’amore della famiglia» (PapaFrancesco, Udienza Generale 2-IX-2015)1.

Di fronte a questi panorami stu-pendi, a questi ideali da capogiro,la tentazione onnipresente è quelladello scoraggiamento: come si po-tranno applicare queste parole allamia famiglia, alla mia situazione,con le difficoltà che ci sono (eco-nomiche, professionali, relaziona-li, di dialogo, di salute, ecc.)?Vorrei capovolgere la prospetti-va. Affermazioni come quella ri-portata in apertura dovrebberoproprio aiutarci a recuperarel’entusiasmo, a consolidare lacertezza che questo ideale, que-sta «vita» può e deve incarnarsiin storie concrete, che sono –sempre! – fatte insieme di luci edi ombre.Ebbene, san Josemaría, oltre afarci intravedere l’ideale, ci for-nisce anche piste da seguire per-ché tutto ciò diventi realtà nellavita di tutti i giorni e trabocchi inmille forme diverse di apostolatofamigliare. Le riassumo in trepunti: ravvivare il senso vocazio-nale (Battesimo); ravvivare la co-scienza che il Matrimonio è cam-mino di santità; imparare a pren-dersi cura delle relazioni fami-gliari. Queste piste portano, conla grazia di Dio, a risultati sor-

Recuperare l’entusiasmo

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momenti splendidi e difficoltà,luci e ombre. Ma è cammino nelquale si è sempre sostenuti e ali-mentati dalla grazia, sempre chela accogliamo. Essa infatti, nonagisce «automaticamente» o ma-gicamente, ma richiede costante-mente di essere accolta e custodi-ta. Come ogni vocazione cristia-na, la vocazione matrimoniale èuna «storia», nella quale la chia-mata divina si intreccia con la ri-sposta dell’uomo e della donna,e, ancor più specificamente, conla risposta dell’uomo alla donnae della donna all’uomo. Rispostatesa a diventare sempre di più undono fatto carne nella vita di tut-ti i giorni, un dono e un amoreaperto alla cooperazione con iprogetti di Dio e alla fecondità,un dono che vuole essere totale.Certo, questo si scontra con ilpeccato, che divide, porta a chiu-dersi nell’egoismo. Ma lungoquesto cammino i coniugi cristia-ni hanno il sostegno e l’appoggiodella preghiera e dei sacramenti,anche di quello della Riconcilia-zione: l’amore misericordiosodel Padre sostiene e accompagnai suoi figli in cammino.

Perché l’ideale diventi realtà, oc-corre che ognuno dei coniugi (etutti i famigliari: genitori, figli/e,nonni) imparino ogni giornoquella che con pregnante espres-sione il Papa ha chiamato la «sa-pienza degli affetti». Occorreche, a partire dalla grazia ricevu-

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prendenti, proprio dal punto divista dell’apostolato e dell’evan-gelizzazione.

Innanzitutto occorre ravvivare ilsenso vocazionale della nostraesistenza cristiana. Tutti i battez-zati in quanto tali sono chiamatida Dio, che ci pensa fin dall’eter-nità, a partecipare alla ricchezzainfinita della vita divina già suquesta terra e poi, in pienezza,nel Cielo. Un’abbondanza diamore, un senso di profondità,una intimità di dialogo reale conle tre Persone della SantissimaTrinità, una ricchezza trasfor-mante, che, nonostante l’eviden-za dei nostri limiti umani, ci con-figura progressivamente, se ciimpegniamo a corrispondere allagrazia che Dio non si stanca dielargirci, con Gesù stesso, for-giando la nostra esistenza, illu-minandola dal di dentro, cam-biando le nostre abitudini, apren-do il nostro cuore a chi ci circon-da. Una ricchezza poi che traboc-ca in un altrettanto profondo sen-so di missione: Gesù vuole ser-virsi di noi, illuminati e trasfor-mati da Lui, per illuminare tantialtri, per contagiare la gioia evan-gelica a tutti coloro che incon-triamo sul nostro cammino. Conparole di san Josemaría: «Il Si-gnore vuole servirsi di noi – deinostri rapporti con gli uomini,della capacità che ci ha dato diamare e di farci amare – per con-tinuare a farsi amici sulla terra»(Lettera 9-I-1932, n. 75). Maravvivare il senso vocazionale

La vocazionebattesimale

della vita significa comprendereogni giorno che tutto ciò è possi-bile a partire dalla grazia che ab-biamo ricevuto con il Battesimo,a sua volta ravvivata e rinnovatadalla ricezione degli altri sacra-menti. Tutto questo accade dav-vero, non solo nonostante i nostripeccati, ma «a partire» dai nostripeccati, ovvero dalla situazionereale e concreta in cui ci muovia-mo: non occorre pretendere di es-sere già «a posto» per ricevere lagrazia, quando invece è la graziastessa che ci sana. San Paolo ciinsegna infatti: «Sono persuasoche colui il quale ha iniziato invoi quest’opera buona, la porteràa compimento fino al giorno diCristo Gesù» (Fil 1, 6). È il Si-gnore a renderci capaci di questagrandezza; ed è su questa consi-derazione che si fonda il nostroimpegno di corrispondenza.

Per le persone sposate la forzaderivante dal Battesimo è corro-borata e accresciuta dal sacra-mento del Matrimonio, il qualeeleva e innalza la realtà naturaledell’amore coniugale e famiglia-re introducendola nell’Alleanza,nel «mistero» dell’amore di Cri-sto verso la Chiesa (cfr Ef 5, 25ss.). In questo sacramento i co-niugi cristiani trovano una graziaspecifica, che li guida, consoli-dando e rafforzando il loro amo-re vicendevole e verso i figli.Ora, il Matrimonio è cammino,cammino di crescita, che conosce

La vocazionematrimoniale

La cura dellerelazioni famigliari

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ta, ognuno sia capace di rimetter-si in gioco nelle relazioni fami-gliari, che ognuno si proponga dicrescere «nelle» relazioni fami-gliari e «dalle» relazioni fami-gliari. Per questo non bastano nél’impegno individuale né l’eser-cizio delle virtù personali né lapiù fervente pratica devozionale:occorre apprendere la «gramma-tica» degli affetti. Pregare, impe-gnarsi, acquisire le virtù serve ec-come: è condizione necessaria,ma non sufficiente perché il fo-colare sia luminoso e lieto e ilclima famigliare sia efficace nel-l’educare i figli. L’amore (coniu-gale, paterno/materno-filiale)non è un effetto automatico del-l’impegno di ciascuno, come lafamiglia non è un semplice ag-gregato di individui. Non bastaproporsi di voler più bene al co-niuge o ai figli, ma occorre ancheimparare a farlo, per esempio im-pegnandosi nell’arte della com-prensione, dell’ascolto (e di unascolto capace davvero di metter-si in discussione, ovvero di cam-biare e arricchire il proprio mododi vedere le cose), della modificadei propri tratti di carattere inmodo da adattarli e renderli com-patibili con le esigenze altrui ecc.In una parola: occorre prendersicura delle relazioni che costitui-scono la famiglia come tale. Tra iconiugi, innanzitutto, e poi neirapporti genitori/figli e nell’edu-cazione. San Josemaría diceva:«I genitori educano soprattuttocon la loro condotta» (È Gesùche passa, n. 28). Non solo con lapropria condotta individuale, co-sa evidentemente necessaria, maanche con la qualità della relazio-ne tra marito e moglie. Si è a giu-sto titolo affermato, a introduzio-ne dell’importante ricerca svoltain preparazione dell’IncontroMondiale delle Famiglie del2012: «La socializzazione dei fi-gli non dipende solo dai singoligenitori ma, soprattutto, da comei due genitori vivono in pratica laloro relazione: il figlio osserva edecide il suo modo di vita inquanto si regola soprattutto sulla

relazione fra i genitori, non solo enon tanto in base a quello checiascuno di essi gli dice»2. Si no-ti che parlare della «socializza-zione dei figli» non significa toc-care astrusi temi sociologici; si-gnifica, per esempio, parlare dicome un figlio, giunta l’età, im-posta la propria vita affettiva.Credo allora che sia particolar-mente importante apprendere (einsegnare con l’esempio e con lacorrezione opportuna) piccolimodi concreti e reali di prendersicura delle relazioni famigliari.

Il Papa ancora una volta ci forni-sce indicazioni estremamentepratiche, per esempio quando ri-chiama le «tre parole» decisiveper la vita della famiglia: «Per-messo, grazie, scusa». Sono mo-dalità di cura delle relazioni.«Permesso»: significa riconosce-re (non in teoria, ma nel viverequotidiano) che ogni membrodella famiglia, proprio per il fattodi essere in relazione con gli altri,non può pretendere di regolarsiautonomamente: la vita della fa-miglia non è regolazione di ciòche resta al di fuori dei tempi edegli spazi di autonomia di ognu-no; al contrario è relazione di do-no reciproco totalizzante, che ab-braccia l’intera esistenza. Di con-seguenza, è attraverso un dialogoprofondo, vero e sincero tra i ge-nitori che si decidono non solo iprogrammi famigliari, ma anchei programmi personali; e questo èsegno dello «spossessamento»della propria vita, di cui si è fattodono al coniuge. «Grazie»: è il riconoscimento ef-fettivo del dono ricevuto costan-temente, quotidianamente, nellavita famigliare (a cominciare daldono della vita). «Scusa»: è laparola chiave perché il grandeideale di cui sopra si faccia stra-da attraverso i difetti e gli errori ei peccati che feriscono l’altro co-niuge, i figli o i genitori (o i non-

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ni, o i suoceri). È difficile correg-gersi: quante volte accade che ilitigi degenerano perché se ne fauna questione «di chi ha ragio-ne», come se questo risolvesse ilproblema. Il punto non è arrivarea capire chi ha ragione, ma è ilbisogno vitale di recuperare, ri-costruire la relazione incrinata,come se si dicesse «non posso vi-vere (bene) senza di te e senzache tu sia contenta/o», oppure «lamia vita sarebbe impossibile sen-za di te». «Scusa»: parola da utilizzare piùspesso ed evitando che finisca lagiornata senza rappacificarsi; ècome dire: «La relazione con te èpiù importante del mio punto divista». Anche il Prelato dell’O-pus Dei, mons. Javier Echevar-ría, nella lettera del mese di set-tembre, vi fa riferimento con pa-role molto belle, fino a conclude-re: «Che facili diventano i rap-porti tra le persone quando si ècapaci di dire un “grazie” sinceroper un gesto di cortesia forse mi-nimo, ma che è una dimostrazio-ne di vero affetto, di generosa di-sponibilità a servire!». Suggeri-sce poi di non cadere nella «scu-sa» del carattere (sono fatto co-sì...!), citando alcune parole disan Josemaría che riporto: «Biso-gna dominare il proprio caratteree, per amore a Gesù Cristo, sorri-dere e rendere gradevole la vita achi ci sta accanto» (san Josema-ría, Note di un incontro informa-le, 4-VI-1974). E ancora, rivoltoai coniugi: «Dato che siamo crea-ture umane, qualche volta si puòbisticciare; ma poco. E poi tutti edue devono riconoscere che nehanno la colpa e dirsi l’un l’altro:Perdonami. E darsi un bell’ab-braccio... E avanti! Ma si noti chenon tornate a litigare per moltotempo» (ivi).Ancora, chiediamoci se sappia-mo ascoltare. Ascoltare è diffici-le: non si ascolta se si sta già pen-sando alla soluzione del proble-ma, non si ascolta se in partenzasi pensa che la visione dell’altrapersona è incompleta e parziale,non si ascolta se si reagisce con

«Permesso, grazie,scusa»

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nervosismo o istintività. Ci sonopersone che sembrano incapacidi allargare il proprio angolo vi-suale e di modificare il propriopunto di vista. Ascoltare richiedetempo, fiducia. Il dialogo in fa-miglia (tra coniugi e genitori/fi-gli) è una realtà sulla quale inve-stire. Spesso richiede tempo:tempo di preparazione, tempoper conquistare e riconquistare lafiducia (si pensi al rapporto configli in fase delicata della cresci-ta). Si può applicare a questoquanto vale per ogni relazione: ècome l’aria che non si vede ma,se è viziata, stiamo male, se man-ca, moriamo. Questa capacità di dialogo e diascolto reciproco si allarga anchealla famiglia nel suo insieme. Ècosì che in famiglia si trovano lerisorse per affrontare difficoltà diogni tipo: crisi professionali, dif-ficoltà scolastiche ed educative,problemi di salute o di handicap,problemi di amicizie. Venendosiincontro con affetto e compren-sione, con disponibilità a modifi-care i propri programmi e i propripunti di vista, ci si rende idonei,come famiglia, a superare le dif-ficoltà della vita. È come se il«sì» detto a suo tempo dagli spo-si al cospetto di Dio, della Chie-sa e della società intera, conti-nuasse a sprigionare la sua ener-gia, perché è un «sì» vicendevo-le, aperto e definitivo.Con questa forza umana e so-prannaturale, la famiglia diventaa sua volta un punto di luce. Nonperché esista la famiglia «perfet-ta», ma perché le famiglie (sem-pre) imperfette, quando vivonouno scambio di affetti e di dialo-go e quindi di comprensione e dimisericordia vicendevole, quan-do alla base c’è un affetto indi-scusso, quando vivono (e non so-lo proclamano) una fede sempli-ce e forte che permea lo stile divita (sobrio ed elegante), quandoal loro interno sanno superare lefrizioni e i dissapori, brillano diuna luce che attrae, una luce cal-da e non fredda o distante. La lu-ce di un amore che non si limita

a un afflato soggettivo (che poispesso tradisce egoismo), ma cheè vera comunione di persone; laluce di un amore che sa offriremisericordia perché vive di mise-ricordia (cfr Evangelii gaudium,n. 24). Questa luce è parte di quel«qualcosa di santo, di divino, na-scosto nelle situazioni più comu-ni, qualcosa che tocca a ognunodi voi scoprire» (san Josemaría,«Amare il mondo appassionata-mente», in Colloqui, n. 114). Co-sì la famiglia cristiana fornisceun esempio vivo e vicino; cosìtrova in sé stessa le risorse e lecapacità perché le normali rela-zioni di amicizia che varie fami-glie intessono tra di loro diventi-no occasione di un vero apostola-to, ovvero di un esempio vissuto,accompagnato dalla parola la-sciata «scivolare proprio al mo-mento giusto», dalla «conversa-zione orientatrice» provocata aproposito, dalla «discreta indi-screzione» che suggerisce «oriz-zonti insospettati di zelo» (cfrCammino, n. 973), sempre congrande amore per la libertà di tut-ti. Per questo apostolato non oc-corre pensare organizzazioni ostrutture, perché basta la natura-lezza dell’amicizia e della fre-quentazione e perché si svolge acasa propria o altrui, a secondadelle circostanze.Spesso da queste amicizie tra fa-miglie potranno nascere iniziativecon un respiro più ampio. O que-ste amicizie diventeranno occa-sione di allargamento di iniziativegià esistenti, a partire, com’è lo-gico e normale che sia, dalle esi-genze reali delle famiglie stesse. Penso alle diverse attività diorientamento famigliare o di for-mazione delle famiglie. Famiglieche si riuniscono in piccoli grup-pi, in cui si dedica del tempo a ri-flettere insieme (a partire dallapropria esperienza, con il coordi-namento di una coppia più esper-ta) su come affrontare e risolvere«casi» tipizzati (che però rispec-chiano la vita reale delle famiglieper fasce di età dei figli): è unesercizio pratico di riflessività

delle famiglie e tra le famiglieche può dare ottimi frutti di ami-cizia e di educazione. Oppure fa-miglie che, sempre insieme, siimpegnano ad approfondire, stu-diare e condividere progetti for-mativi relativi all’educazione deifigli, scambiandosi esperienzepositive. Penso anche alle scuole che sonosorte in tutto il mondo e anche inItalia (secondo il modello FAES),che funzionano attraverso il coin-volgimento attivo delle famiglie,che così sono sempre più abitua-te a concepire l’educazione noncome un servizio o una funzioneerogata da un’istituzione (lascuola) che si guarda dall’ester-no, ma come il proprio principa-le compito, che si può svolgerepienamente e attivamente soltan-to coinvolgendosi e cooperandonella scuola (con altre famiglie:le famiglie delle classi dei figli) econ la scuola. La scuola diventaallora un’altra appassionante av-ventura famigliare, a sua voltapunto di luce attraente per chi,ignaro di questo stile educativo,vi approda per la prima volta.Quante splendide storie di con-versioni, di cambiamenti di vita!Sono solo degli esempi: l’aposto-lato famigliare è davvero, comediceva san Josemaría, un maresenza sponde. In questo mare cia-scuno può navigare con la barcadella grazia di Dio e con il soste-gno di una formazione che porta,sempre più, a riconoscere e vive-re le relazioni famigliari come ilcampo principale di santificazio-ne di chi è stato chiamato da Dioalla vita matrimoniale.

Don Matteo FabbriVicario dell’Opus Dei per l’Italia

1 Il tema della famiglia come soggetto dievangelizzazione è anche al centro dellepreoccupazioni pastorali del card. Scola,Famiglia soggetto di evangelizzazione,in «Il Regno. Documenti», 16 (2015), pp.1 ss.; Idem, Educarsi al pensiero di Cri-sto (Lettera pastorale per il 2015-2017).2 P. Donati, Introduzione al volume Fa-miglia risorsa della società, Il Mulino,Bologna 2012, p. 17.

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Anche per l’anno 2014 il bilanciodella Santa Sede è in deficit: 25,6milioni di euro, contro i 24 milio-ni del 2013. Queste le cifre forni-te in occasione della presentazio-ne dei bilanci, mentre continua illavoro di analisi e risanamentocondotto dalla Segreteria per l’e-conomia, la nuova struttura volu-ta da Papa Francesco e guidatadal cardinale George Pell.Tra i principali fronti sui qualil’organismo è impegnato c’è latrasparenza dei bilanci di tutte lestrutture della Santa Sede, com-prese quelle che un tempo nonerano chiamate a rendere contodel proprio andamento economi-co, ma c’è anche una novità strut-turale: l’introduzione di un pre-consuntivo per l’anno in corso e diun budget per quello successivo. Come negli anni precedenti, laspesa più cospicua nel bilanciodella Santa Sede (che, lo ricordia-mo, è il governo centrale dellaChiesa cattolica e comprende tuttigli organismi della Curia romana,l’Amministrazione del patrimoniodella Sede apostolica e i mezzi dicomunicazione) è rappresentatadal costo del personale: 126,6 mi-lioni di euro per 2.880 dipendentidistribuiti tra sessantaquattro enti.Per quanto riguarda i mass media,sono in rosso i conti dell’Osserva-tore romano e della Radio Vatica-na, mentre sono in attivo il Centrotelevisivo vaticano (che riprendein esclusiva le immagini del Papae le vende alle emittenti di tutto ilmondo) e la Libreria editrice vati-

cana, che detiene i diritti d’autorerelativi ai discorsi e agli scritti delPapa attuale e dei Pontefici degliultimi cinquant’anni.Positivo, invece, il bilancio del Go-vernatorato, l’ente che gestisce leattività dello Stato della Città delVaticano, che ha 1.930 dipendenti efa segnare un significativo miglio-ramento rispetto all’anno prece-dente con un avanzo di 63,5 milio-ni di euro, soprattutto in virtù delleentrate relative alle attività cultura-li (in primo luogo i Musei vaticani,sempre più visitati) e ad alcuni in-vestimenti favorevoli. Consideran-do i bilanci di Santa Sede e Gover-natorato si ottiene un attivo di pocoinferiore ai 38 milioni di euro. Unacifra, occorre ricordarlo, che nontiene conto dei risultati positivi del-lo IOR (ente autonomo, con unapropria contabilità) che ha fatto se-gnare un utile netto di 69 milioni. Le principali entrate del 2014 per laSanta Sede includono i contributisecondo il canone 1271 del Codicedi diritto canonico, ovvero le som-me donate dalle diocesi di tutto ilmondo al Papa perché la Sede apo-stolica possa disporre dei mezzi ne-cessari per prestare la sua opera alservizio della Chiesa universale. Tra i dati più interessanti del bi-lancio 2014 c’è un ammontare diun miliardo e 378 milioni formatoda somme relative a diversi dica-steri vaticani che in precedenzanon fornivano i propri conti e chel’équipe del cardinale Pell ha in-vece permesso di portare allo sco-perto. Si tratta, ha spiegato il diret-tore della sala stampa della SantaSede, padre Federico Lombardi,di «fondi che non risultavano neibilanci ufficiali della Santa Sede odello Stato della Città del Vaticano

e di cui la Segreteria per l’econo-mia ha appreso l’esistenza grazieal processo di studio e revisionedelle amministrazioni vaticane, incorso al fine di averne una cono-scenza complessiva più adegua-ta». Quasi la metà di questi asset,in precedenza nascosti, appartienealla Segreteria di Stato: si tratta inbuona parte di investimenti a lun-go e breve termine, e in parte di li-quidità, che vanno a formare unfondo servito in passato sia per farfronte a vari tipi di emergenze, acominciare dal risanamento deibilanci in rosso di altri dicasteri ouffici vaticani, sia per interventistraordinari di aiuto. In futuro po-trà servire per la sostenibilità delsistema pensionistico vaticano eoccorre dire che ogni Papa, fin dalmomento dell’elezione, è messo alcorrente della sua esistenza.

Il quadro complessivo non è dun-que preoccupante, ma il cardinalePell continua a raccomandare lalinea del rigore. Se non si inter-verrà adeguatamente, ha spiegato,c’è il rischio che i 25,6 milioni dideficit fatti registrare nel bilancioconsolidato 2014 possano portarenel giro di un triennio a un deficitcomplessivo di cento milioni dieuro. Per questo motivo, ha sotto-lineato, è di fondamentale impor-tanza capire qual è il punto dellasituazione, verificare ogni centrodi spesa e avere un quadro preci-so delle entrate, così da poter pro-cedere con il budget.Il tutto proviene da una richiestaesplicita di Papa Francesco, che

PIAZZA SAN PIETRO

La Santa Sede & gli Stati Uniti

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I bilanci vaticaniper l’anno 2014

Il cardinale Pellpredica rigore

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continua a chiedere trasparenza eha ribadito la sua richiesta in oc-casione della presentazione delbilancio 2014 della Santa Sede edel Governatorato, realizzato incollaborazione con l’Audit com-mittee e un revisore esterno.

La visita di Papa Francesco negliStati Uniti, con i discorsi al Con-gresso e alle Nazioni Unite e lacelebrazione della giornata finaledell’Incontro mondiale delle fa-miglie a Filadelfia, ha suscitatoampio interesse e numerosi com-menti, ma c’è un aspetto delle re-lazioni tra Santa Sede e USA che èpassato inosservato. Si tratta del-l’accordo intergovernativo che ledue parti hanno sottoscritto per fa-vorire l’osservanza degli obblighifiscali e lo scambio di informazio-ni in materia tributaria.L’accordo, il primo di questo tipotra la Santa Sede (anche a nomedello Stato della Città del Vaticano)e il governo degli Stati Uniti d’A-merica, ha un duplice scopo: facili-tare l’ottemperanza degli obblighi

fiscali per quei soggetti che, titolaridi attività finanziarie in Vaticano,sono tenuti a pagare le tasse negliUSA, e prevenire l’evasione fiscaleattraverso lo scambio automaticodi informazioni tra la Santa Sede ele autorità esattoriali degli StatiUniti. Sebbene i soggetti interessa-ti alla questione non siano numero-si, l’accordo ha un alto valore per-ché segna un altro passo verso latrasparenza e l’integrità nell’àmbi-to delle relazioni economiche e fi-nanziarie in campo internazionale.«La firma di questo accordo», spie-ga l’arcivescovo Paul Richard Gal-lagher, segretario per i rapporti congli Stati della Santa Sede (il «mini-stro degli esteri» del Vaticano), «èindubbiamente un evento storico.Di fatto è la prima volta che la San-ta Sede e gli Stati Uniti d’Americahanno concluso un accordo inter-governativo formale, portando a unlivello più alto l’estesa cooperazio-ne e l’amicizia già esistenti tra laSede apostolica e il governo degliStati Uniti. Inoltre l’oggetto di que-sto accordo, volto a contrastare l’e-vasione fiscale attraverso lo scam-bio di informazioni pertinenti, è difondamentale importanza sia per laSanta Sede sia per gli Stati Uniti.

Come Papa Francesco ci ricorda difrequente, evadere tasse giuste si-gnifica rubare sia allo Stato sia aipoveri. Ogni persona ha infatti ildovere di contribuire, in carità egiustizia, al bene comune, secondole proprie capacità e i bisogni deglialtri, promuovendo e assistendo leistituzioni pubbliche dedicate almiglioramento delle condizionidella vita umana.«In collaborazione con la SantaSede», dichiara l’ambasciatoreUSA presso il Vaticano, KennethF. Hackett, «stiamo operando percostruire un sistema finanziarioglobale più forte, più stabile e piùresponsabile. L’accordo è in lineacon il nostro mutuo impegno perindividuare, scoraggiare e impedi-re abusi fiscali offshore attraversouna maggiore trasparenza e un au-mento delle denunce».Due anni fa l’Autorità di informa-zione finanziaria del Vaticanoaveva già firmato con il FinancialCrimes Enforcement Networkdegli Stati Uniti un protocollo perlo scambio di informazioni finan-ziarie, allo scopo di contrastare ilriciclaggio di denaro.

Aldo Maria Valli

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Un nuovo accordodi trasparenza

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Le vicende biografiche di Giovan-ni Battista Montini e di JacquesMaritain sono abbastanza note, an-che se di fatto, nel caso di entram-bi, non è ancora stato possibileesplorare tutte le fonti conservatepresso l’Archivio Segreto Vatica-no. Del resto, il libro di Piero Viot-to non intende essere una vera epropria biografia dei due perso-naggi, benché l’ordine di succes-sione dei capitoli sia di tipo rigoro-samente cronologico e la scansio-ne degli argomenti risulti inseritain un preciso quadro biografico.D’altra parte bisogna dire cheViotto si è preparato da una vita ascrivere questo saggio, in cuiporta alla luce un’amicizia intel-lettuale importante che si è stret-ta abbastanza presto tra JacquesMaritain e Montini ed è duratatutta la vita. Viotto è proprio lostudioso ben preparato che dove-va scrivere a questo scopo. Nesono testimonianza gli altri suoiscritti in cui ha ricostruito conprecisione e acribia la stretta retedi amicizie dei Maritain. Infatti,dopo avere dedicato la sua tesi dilaurea al pensiero del grande filo-sofo francese, egli non ha maismesso di studiare gli scritti diJacques e Raïssa Maritain e gli

scambi di lettere che sono inter-corsi tra i due coniugi e molti al-tri loro amici assai qualificati (ri-cordo, tra gli altri, Léon Bloy,Charles Péguy, Emmanuel Mou-nier, Julien Green, Étienne Gil-son, Jean Cocteau, Saul Alinsky,Charles Journet, Max Jacob).

Questo volume, dedicato a Mon-tini e Maritain, percorre le «viteparallele» – se mi è lecito dire –di questi due grandi amici, mo-strando come non ci sia mai statomomento importante delle lorovicende personali e pubbliche,che non sia stato attraversato ecorroborato da un reciproco inte-ressamento, sempre essenziale eluminoso, improntato a grande ri-spetto reciproco, in un atteggia-mento di mutuo riconoscimento econdivisione, senz’alcuna confu-sione di ruoli. Nonostante le dif-ferenze irriducibili, per vocazionediversa, e i successivi compitipratici assunti dai due grandi uo-mini, da questo libro traspaionoanche intensi tratti umani di co-munanza tra l’ecclesiastico e il fi-

losofo. Emergono altresì lati dipartecipata sensibilità estetica trail diplomatico e il professore, fol-goranti lampi d’intellettualitàcondivisa tanto dal pastore Mon-tini quanto dal pensatore Mari-tain, insieme a molti elementi dispiritualità (dall’esigenza di unavita contemplativa all’urgenza diuna presenza attiva nel mondo),che affratellano i due in un identi-co spirito cristiano di dedizionealla verità e alla causa dell’uomo.I due amici hanno saputo muo-versi con fermezza e prudenzanella complessità articolata esfaccettata della cultura occiden-tale, dalla questione educativa aquella economica, dalle contro-verse situazioni di politica inter-nazionale alla necessità di con-creti interventi umanitari a difesadella dignità dell’uomo e delle ir-rinunciabili esigenze culturali dicui ogni persona è portatrice. Me-ditazione e preghiera, appassio-nata ricerca della verità e caritàfattiva attraversano queste vite, iloro scambi epistolari, gli scritti

AMICIZIE INTELLETTUALI

Montini & MaritainUn mutuo influsso fecondo per la cultura cristiana del Novecento

Piero Viotto, docente di Pedagogia all’Università cattolica di Milano, studio-

so e traduttore di Maritain, ha recentemente pubblicato il saggio Paolo VI -

Jacques Maritain. Un’amicizia intellettuale (Edizioni Studium, Roma 2015,

pp. 304, euro 19), che analizza la relazione culturale tra loro intercorsa nei

suoi diversi aspetti e periodi, al fine di costruire un quadro storico delle loro

affinità intellettuali (la filosofia dell’Aquinate e la teologia di san Paolo), del-

la coerenza e scientificità della loro riflessione, della spiritualità apostolica

(benedettina) che li accomunava insieme alla preoccupazione per la missione

temporale del cristiano e alla contemplazione della bellezza artistica e poeti-

ca. Pubblichiamo la prefazione al libro di mons. Franco Buzzi, prefetto della

Biblioteca Ambrosiana di Milano.

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cultura

Piero Viotto

PAOLO VI - J. MARITAIN

UN’AMICIZIA INTELLETTUALE

Piero Viotto

Piero Viotto

AA inclusa) (IVA

Le «vite parallele»di due grandi amici

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che si influenzarono reciproca-mente e le loro decisioni di vita.Viotto, da convinto cultore delpensiero di san Tommaso, insistesul realismo aristotelico-tomistasine glossa riproposto da Mari-tain1, facendo vedere anche laconvergenza che su questo puntoè possibile registrare, senza equi-voci, tra il tomismo di Montini equello del grande filosofo france-se. Ciò riesce al meglio soprattut-to per quanto riguarda la riflessio-ne di Montini fino al suo aposto-lato milanese. Non che poi l’Ar-civescovo di Milano abbia cam-biato parere sull’argomento. In-tervennero piuttosto cure e impe-gni pastorali di tale portata da nonconsentire al pastore di dedicarsicon speciale attenzione agli ap-profondimenti filosofici. Quandopoi l’Arcivescovo divenne Papacol nome di Paolo VI, è certa-mente opinabile che egli sia rima-sto personalmente fedele all’im-postazione filosofica rappresenta-ta da Maritain, ma giustamenteegli evitò di esprimersi in modoesplicito sui vari tipi di tomismo,a fronte della consapevolezza cheil supremo pastore non deve in-tervenire in questioni di scuola,quando queste presentino diffe-renze d’impostazione e d’inter-pretazione compatibili con la ve-rità cristiana. Mi riferisco al fattoche, da Papa, Montini si guardòbene dal prendere posizione o an-che soltanto dall’esprimere unapreferenza circa il modo di rifarsia san Tommaso da parte di Mari-tain piuttosto che da parte di tut-t’altra corrente. Penso, per esem-pio, alla linea neotomista inaugu-rata dal gesuita belga Joseph Ma-réchal e sviluppata nel mondo dilingua tedesca da indirizzi diver-si, tra i quali si segnalano autoriindubbiamente importanti comeJohannes Baptist Lotz, Karl Rah-ner ed Emerich Coreth2. Tuttiquesti teologi e filosofi appaiono,nel loro atteggiamento di fondo,più aperti, o meglio, più possibili-sti e dialoganti, dal punto di vistagnoseologico e metodologico, neiconfronti della cosiddetta moder-

nità, rispetto alle posizioni assun-te da Maritain. Tra Ottocento eNovecento sono certamente esi-stite forme diverse di neotomi-smo, assolutamente intenzionatea non compromettere nessun trat-to essenziale della vera filosofiadi sempre. In questo variopintopanorama culturale Maritain con-serva a pieno titolo la sua pecu-liare posizione teoretica.

Tra Maritain e Montini ebbe unposto di particolare rilievo la fi-gura di un grande teologo del XXsecolo, Charles Journet. Viotto il-lustra in modo assolutamente ap-propriato le relazioni intellettual-mente feconde che intercorserotra questi tre amici, sottolineandoin particolare l’apporto che Jour-net poté offrire a Montini anchenella fase terminale del ConcilioVaticano II, soprattutto per lequestioni teologiche relative almodo di concepire la Chiesa e lostretto rapporto che essa intrattie-ne con la figura di Maria, la ma-dre di Gesù. Non a caso Paolo VInon esitò a creare cardinale ilgrande teologo svizzero, CharlesJournet, cioè il celebre autore diuna tra le opere ecclesiologichepiù importanti del Novecento.Gli interessi culturali di Montini

furono sempre alti e straordina-riamente ampi. Qui vorrei con-cludere ricordando anche il suoimpegno, come Arcivescovo diMilano, nel promuovere la gran-de istituzione fondata dal cardi-nal Federico Borromeo nel 1603,la Biblioteca Ambrosiana con lasua vocazione umanistica univer-sale. Nel 1960 Montini si era re-cato all’Università di Notre Da-me du Lac, in Indiana, per rice-vere una laurea honoris causa ingiurisprudenza. In questa circo-stanza egli propiziò la nascita diun rapporto stretto tra quell’Uni-versità e la Biblioteca voluta dalcardinal Federico3. Ancora oggiNotre Dame gode di un legameculturale stretto che prevede pro-grammi di ricerca incrociati tra ledue istituzioni, in particolare perquanto concerne lo studio deimanoscritti latini e dei disegniconservati in Ambrosiana. Delresto la medesima University ofNotre Dame detiene oggi unaparte consistente degli archiviamericani di Maritain.Il libro di Piero Viotto è più diuna biografia: è una documenta-zione fedele dell’amicizia intel-lettuale dalla quale furono legati,nel medesimo ideale di vita sem-plicemente cristiana, questi duegrandi testimoni del Novecento.

Franco Buzzi

Prefetto

della Biblioteca Ambrosiana

1 Cfr in sintesi P. Viotto, Maritain, Jac-ques, s.v., in Enciclopedia filosofica, vol.7, Bompiani 2006, pp. 7020-7024.2 Per gli sviluppi complessi della cosid-detta neoscolastica tra Ottocento e Nove-cento si veda in sintesi: M.M. Rossi,Neoscolastica, s.v., ibid., vol. 8, pp.7836-7841; in particolare per J.B. Lotz,vedi M. Marassi, s.v., ibid., vol. 7, pp.6795-6797.3 C. Pasini, Il Collegio dei Dottori e glistudi all’Ambrosiana nella seconda metàdel Novecento, in Storia dell’Ambrosia-na. Il Novecento, IntesaBCI, Milano2002, pp. 65-69; G. Adornato, Cronolo-gia dell’episcopato di Giovanni BattistaMontini a Milano (4 gennaio 1955-21giugno 1963), Istituto Paolo VI, Brescia2002, p. 682.

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Un Papa, un filosofo& un teologo

Card. Charles Journet

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Pier Paolo Pasolini, P.P.P., alias«pe’poche piotte», è stato un per-sonaggio dall’uniforme ingegnoe dalle molteplici vite. Dalla pri-ma biografia di Enzo Sicilianoall’ultima di Renzo Paris, pas-sando attraverso sporadiche in-cursioni più o meno attendibili daGianni Borgna a Walter Veltroni,nessun altro intellettuale del se-condo dopoguerra è stato in Italia– quell’Italietta provinciale e fe-roce – più osannato e vituperato;e non è ancora finita. È statomassacrato da una banda di ra-gazzi di vita (verso la fine del’75) dei quali si fidava sempretroppo, riducendosi simile a loro,dominandoli con la sua umanità,la sua cultura, la sua generosità,il suo intelligente candore, la suatrasgressione, la sua pietà chetanto assomigliava a un’idea euna speranza di assoluzione chela disperata periferia romanachiedeva a una città presa nel-l’euforia ideologica della sinistrae l’ottusa bigotteria della destra.Paradossalmente, partiva a piedida casa fino al Trullo per incon-trare i preti che lo consigliavanosul Vangelo secondo Matteo do-ve tutta la marmaglia delle suenotti brave e la solerte, solitariaamicizia di scrittura delle sueoperose mattine, faceva recitati-va mostra di sé; mamma compre-sa, e la cugina. Anche per farne oggetto di cen-sura, più formale che non per ar-rogarci postulazioni giudicatorie,su queste pagine ne abbiamo tal-volta scritto. Perché Pier Paoloera soprattutto un candido al li-mite dell’autolesionismo, la suasincerità era disarmante e venivainterpretata come una posa di di-

Su queste notizie di cronaca sipossono imbastire dei romanzi,ci sono state autoproduzioni fan-tasiose e strumentali, non proces-si; e infatti la sorte di Pier Paoloè certa, ma come, quando, perchéè ancora un mistero. In quellaGiulietta con gli altri ragazzi divita, racimolati come al solito neigiardinetti intorno al monumentoai caduti di Dogali nei pressi diPiazza Esedra, la solita avventuraquesta volta era già stata ridise-gnata per farlo fuori, lui feliciot-to ingenuo e amicone di ragazziche conosceva bene. Andavanocon lui «pe’ poche piotte»; unapiotta a Roma erano cento lire,poi è diventato sinonimo di soldi.Pier Paolo era inviso a un certomilieu cinematografaro romanodi marca post-neorealista (forseanche neurorealista), aveva smon-tato un’icona, perché l’oleografiaborgatara del neorealismo di Risi,Fellini, Monicelli, e altri minori,messi davanti ad Accattone, maanche al confronto con i libri diPasolini sui ragazzi di vita, dise-gnavano adesso una insospettatarealtà balzachiana per niente as-solutoria, ma disperata e vera nel-la sua orrenda realtà. I poveri mabelli e i soliti ignoti compresa laMagnani di Rossellini – poi esal-tata meglio in Mamma Roma diPier Paolo – risultavano al con-fronto patetici e fasulli, buoni peril pop-sindacalismo alla Di Vitto-rio, mentre l’americano a Romadi Sordi scopriva il lato trilussia-no di una Roma impossibile ep-pure sognatrice, ancorata al bece-rume dei mercatini rionali e agliorti dove le donne hanno fino auna certa epoca raccolto la cico-ria. Soltanto Albertone marciava

ANNIVERSARI

Pasolini, quarant’anni dopo

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sprezzo; era questa sua natura atenerlo al di sopra della politicaideologica di quegli anni; ma, es-sendo un poeta, assorbiva il mon-do che lo coinvolgeva trasfigu-randolo in una visione disperata einconciliabile col mondo che inquegli anni Cinquanta si stavacostruendo in Italia. Certo, havissuto nel momento giusto inmodo sbagliato. Oggi la sua in-cessante e montante consacrazio-ne ha raggiunto il ridicolo; troppapanna montata su biscotti checuocevano in forni che nessunodei suoi biografi più o meno im-provvisati poteva conoscere nellaloro totalità. Perché Pier Paoloaveva molte vite, e ciascuna vi-veva nel luogo a essa congenialee oggi le si racconta per sentitodire, si rintracciano itinerari mal-formati su testimonianze spurie,si inseguono luoghi che non esi-stono più; perché il fenomenoPier Paolo Pasolini ha generatoun millantato credito testimonia-le, come di chi ha annusato la tor-ta senza mai averla assaggiata.

Lo trovarono massacrato all’i-droscalo di Ostia, il 2 novembre1975. Qualche giorno prima, alPigneto, un gruppo di fuoco maiidentificato, spara a canne mozzeall’interno di una sezione delMovimento sociale dove dei ra-gazzi stavano giocando a biliar-dino; Mario Zicchieri, sedici an-ni, muore, un altro è ferito. L’as-sassinio di Pier Paolo viene subi-to visto come una ritorsione ven-dicativa di un gruppo di destra.

Cronacadello squallore

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in parallelo con Pier Paolo, con-segnandoci la sintesi vera di Ro-ma. Pier Paolo ha rotto l’andazzodel volemose bene in un periodo,quello del bum economico, chevedeva parroci solitari in parroc-chie di periferia circondate da ca-se di bandone senza cessi né ac-qua, perciò gli venne in mente digirare quell’episodio La ricotta,dove un poveraccio che fa la par-te del ladrone in un Golgota im-possibile si ingozza per fame diricotta e muore per indigestione.Il nascosto afflato religioso e so-litario di Pier Paolo era chiuso inlui con la tenerezza di un fratelloperduto, ucciso dai partigiani ros-si, lui partigiano nelle formazionibianche; lo stupore che gli davaquel mondo estremo di vite giàperdute nelle ignorate periferieoggetto di falsa promissorietà po-litica, di una Roma intoccata daun esercizio di verità ufficiale,valeva il racconto che ne facevaPier Paolo, ma veniva schifatoper questo, troppo luridume dadigerire, troppa verità. Lo sappia-mo adesso che dovevamo accor-gercene allora.

Pier Paolo viveva tutto questo informe disperate e lontane, incon-ciliabili tra loro ma che lo lacera-vano; i suoi scritti corsari nasce-vano da questa repulsione chetoccava il mondo lontano daquello che lui conosceva, che nonera ammesso nei circoli ideologi-ci che amministravano il sapereculturale degli anni Sessanta,preparando – ignorandolo – il lo-ro collasso e aprendosi poi alleBrigate rosse e la lotta armata.Pier Paolo intuiva che sarebbescoppiata, perché ne aveva cono-sciuto i sintomi nelle sue peregri-nazioni notturne da Monteverdeal Mandrione-Pigneto dei barac-cati sul tram numero tredici, untram che attraversava Roma daun capo all’altro unendo due pe-riferie, una piccolo-borghese,

l’altra sottoproletaria.La vita a casa era, per Pier Paolo,un inferno. Si era trasferito con igenitori in Via Fonteiana, in unmodesto appartamento d’affittodell’Alleanza assicurazioni, gra-zie al fatto che il colonnello Paso-lini, in pensione, qualche possibi-lità di trasferirsi in una zona qua-si-bene di Roma c’è l’aveva. Noiabitavamo lì, in via Ludovico daMonreale, se facevamo tardi per-ché eravamo andati a suonare nel-le feste di scuola con Jimmy Polo-sa, il pianista jazz che ancora oggida Paestum con il suo quartetto al-lieta il meglio swing americano –chi scrive cantava e suonicchiavail piano quando Jimmy si riposava– con il tredici tornavamo a casadal Prenestino. Quasi sempre nelnotturno c’era Pier Paolo che tor-nava dal Mandrione, ce la faceva-mo a piedi giù per via Ozanam fi-no a casa. Gli avevo detto: «Hoscritto un libro»; «E fammelo leg-gere», ma non è mai successo. Poilo pubblicò Rizzoli; ma intantoPier Paolo se n’era andato all’Eur.La vita a casa in via Fonteiana perPier Paolo era un inferno. Davan-ti a casa sua c’era, e c’è ancora,

ammodernata, l’osteria di StefanoProietti. Già di mattina il colon-nello Pasolini scendeva a farsiun’ombra, forse due, certo più ditre. La mamma stava lì, tra duefuochi, due rabbie, tra due dispe-razioni, la terza era lei. Era questol’ambiente giornaliero di PierPaolo, anche da qui nasceva la fu-ria del suo farsi corsaro, controtutti; perfino la sua trasgressioneinnominabile e pudica aveva quelriflesso, quel necessario distaccoliberatorio, la diversità da unmondo che lo aveva respinto e cheoggi ne tenta una tardiva e stru-mentale apoteosi.Quando andava in centro, passan-do per il Trullo, incontrava i suoiragazzi di vita, gli facevano com-pagnia nell’andare per il Casalettoe il precipizio dell’Affogalasino,orti e canneti straordinari in vistadel parco dei Casali e delle gugliemoderniste del Buon Pastore, e ciscappava poi una partitella sulcampetto della parrocchia di Don-na Olimpia in via Abate Ugone,oppure in quello di San Pancrazio;Donna Olimpia era un altro ricet-tacolo di vita. Poi c’erano le suetrasferte nel Viterbese.

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La mammatra due rabbie

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Da quando aveva comprato laGiulietta – la berlina, non laspyder – andava in giro per ilLazio. Moravia aveva una pro-prietà a Campagnano, e PierPaolo la frequentava con MarinaRipa di Meana e un po’ di socia-listi craxiani, e così inoltrandosiper la via Cassia era arrivato ol-tre i monti Cimini, a Vitorchia-no, dove nei paraggi aveva ac-quistato un torrione diroccatocon un po’ di terra intorno, i pa-stori ci portavano le pecore e fa-cevano le caciotte, l’idea dellaricotta gli venne lì, quando i pa-stori nella stagione della tosatu-ra bollivano la carne di pecora epoi l’arrostivano insieme allaporchetta, l’accompagnavano afresche foglie di lattuga, vinorosso e ricotta; se ne mangi trop-pa s’intorsa in gola e fai la fineche Pier Paolo raccontò in quelfilm, metafora di una passionesempre attuale. Tornando a Roma aveva incon-trato quel gruppo di ragazzi diCapranica che se ne tornavano apiedi lungo la vecchia Cassia, ve-nendo da Sutri. «Vi porto io», gliaveva detto dopo una frenata daurlo, uno stridìo che aveva fattoincuriosire i ragazzi. Se ne eranoandati nel capanno del noccioletodi uno di loro, a giocare un po’ equando l’avevano salutato, «pe’poche piotte», gli avevano trafu-gato una copia di La religione delmio tempo con la dedica autogra-fa a Enzo Siciliano; il libro stavasul sedile della Giulietta. Oggi èun cimelio a casa di uno di queiragazzi, oggi nonni. Tutti oggi ostentano di aver as-saggiato la sua zuppa, un millan-tato credito patetico e surreale, ir-rispettoso, un’intrusione violentaverso un uomo schivo e solitario.Ne avrebbe scritto un corsivocorsaro, sicuramente. Oggi,2015, quarant’anni dopo.

Franco Palmieri

Perché studiare il latino? D’istin-to, mi verrebbe da rispondere: eperché non studiarlo?Negli scorsi anni, l’insegnamen-to delle lingue classiche è statosottoposto a una serie di attacchie di feroci critiche che, unitamen-te al quadro orario ridotto uscitodalla Riforma, hanno causatoquello che ora è sotto gli occhi ditutti: il Liceo Classico, una scuo-la di cui l’Italia dovrebbe esserefiera – al confronto con la situa-zione dei Licei del resto dell’Eu-ropa – e che dovrebbe essere sen-tita come patrimonio nazionale, èprecipitato in una crisi che sem-bra irreversibile: la scarsità diiscritti (specialmente nel Nord,dove è sentito come un indirizzodi studi poco «professionalizzan-te», che, nella vulgata, preparapoco alle facoltà tecnico-scienti-fiche) sembra senza sbocco, al-meno in tempi brevi, anche per ilquadro orario fortemente pena-lizzato, depurato da tutte le speri-mentazioni che, potenziando lamatematica e le scienze, come ilPNI, avevano reso questo indiriz-zo di studi assolutamente com-pleto e rigoroso: serviranno anni,e un intervento intelligente sullapromozione, il dialogo con le fa-miglie e i programmi, per risolle-vare questa situazione. Ma la cri-si del latino si vede anche, nettis-sima, dal successo degli indirizziliceali che non ne prevedono lostudio, il Liceo Scientifico delleScienze Applicate e il liceo delleScienze Umane nell’opzioneGiuridico-Economica.Ma quello attuale non è che ilcolpo finale d’una manovra cheaffonda le radici molto indietronel tempo. Nel 1962, infatti, fu

FORMAZIONE

Perché il latino

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Quei ragazzi,oggi nonni

varata una delle grandi svolte delsistema scolastico italiano, laScuola Media Unica. In prece-denza, la scuola media, con il la-tino, dava accesso all’istruzioneliceale (e quindi all’istruzioneuniversitaria: non dimentichiamoche solo il diploma di liceo clas-sico dava diritto d’accesso a tuttele facoltà universitarie), mentre ilcosì detto «Avviamento» – senzalatino – dava accesso all’istruzio-ne Tecnica, a conclusione dellaquale non era possibile peròiscriversi a tutte le facoltà.

In merito al problema se la Scuo-la Media Unica dovesse prevede-re o no lo studio del latino così siesprimeva Pasolini: «Pur conmolte incertezze, se io dovessi da-re il mio voto sull’insegnamentodel latino nelle medie, sarei per ilsì. Sarei per il sì, ma evidente-mente, in previsione di una rifor-ma radicale della scuola. Perché,stando così le cose, il latino che siinsegna a scuola è un’offesa allatradizione. È il latino del perbeni-smo piccolo-borghese, accademi-co: criminale, insomma. Sotto tut-ta la televisione, atrocementealeggiante, c’è, questo latino: pic-colo, miserabile privilegio di cul-tura. Ma la colpa non è del latino.La colpa è della storia, che si in-segna nelle scuole, o della lettera-tura, che si insegna nelle scuole, odella scienza, che si insegna nellescuole. [...] Guardi cos’ha fatto diRoma la speculazione edilizia, os-sia la classe dirigente che sa il la-tino e che esalta il passato (un no-

Pasolini dixit

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bile romano recentemente ha di-chiarato: io non leggo gli autorimoderni, io leggo Dante!). [...]Ora io sento un profondo sensod’ira contro l’azione sacrilega, neiconfronti del passato, cioè dellanostra storia, della classe dirigen-te tradizionalista e cinica. Difen-derei il latino, con ira, contro lasua difesa bugiarda. Dobbiamoconoscere e amare il nostro passa-to, contro la ferocia speculativadel nuovo capitalismo, che nonama nulla, non rispetta nulla, nonconosce nulla. Il povero latinodelle medie è un primo, minimomezzo di conoscenza di quella no-stra storia [...]. È perciò, secondome, un errore voler abolire l’inse-gnamento del latino: un errore co-me ogni tattica. Lo scacchiere del-la lotta è immenso e complesso: illatino è solo apparentementeun’arma del nemico».Pur se dal suo punto di vista par-ticolare, peculiare, parzialissimo,con cui possiamo o non possiamoconcordare, è chiaro come le ra-gioni del perché bisogna studiarelatino siano evidenti: la cono-scenza del nostro passato, di ere-di di una delle più lunghe tradi-zioni storiche è imprescindibile;se non studiano latino gli italiani,chi altro mai lo dovrebbe studia-re? E, in subordine, sembrano ri-echeggiare le osservazioni di unodei grandi padri costituenti, Pie-tro Calamandrei, secondo il qualela minorità di accesso ai gradi su-periori dell’istruzione e della cul-tura si traduce, inevitabilmennte,in minorità di accesso alle istitu-zioni e alle pratiche di cittadinan-za attiva e consapevole.

L’attuale crisi del liceo classico è,certo, anche crisi del greco – lacui conoscenza presso sarà para-gonabile a quella del sanscrito –ma, soprattutto, del latino, impu-tato in prima fila, e accusato, daitempi del Latinorum di don Ab-bondio e anche prima, come em-

blema di una scuola classista, poidi un insegnamento nozionisticoe mnemonico (qualsiasi licealesensato, per non chiamare in cau-sa chi il latino lo insegna, potreb-be ridere con ragione di questa di-ceria, qualificandola come «leg-genda metropolitana»: lo studiodel latino non richiede meno ra-gionamento logico della matema-tica, eppure nessuno accuserà maila matematica di essere materianozionistica e mnemonica); infi-ne, negli ultimi anni, l’accusamossa al latino è quella di richie-dere uno sforzo arduo e ingiustifi-cato, perché materia arida, teori-ca, svincolata dall’utilità pratica edalle necessità di una societàcomplessa, tecnologica, in conti-nuo divenire. Niente di più falso.Così, da latinista, sempre più,quando mi si chiede: «Ma a checosa serve studiare latino?»(Chissà perché, sia detto en pas-sant, nessuno si sogna mai dichiedere con altrettanto scettici-smo a che cosa serva studiare,

che so, filosofia o storia dell’ar-te), mi sorge spontanea la rispo-sta: «A niente, fortunatamente! equindi serve a tutto». O, meglio,come rispondeva provocatorio ilmio professore di latino e greco,il mitico professor Borghi, a noiliceali dubbiose: «Aver studiatolatino ti servirà moltissimoquando sarai in attesa in fila al-l’ospedale, quando sarai imbot-tigliata in un ingorgo in auto-strada, quando dovrai sbrogliareuna situazione sgradevole e dif-ficile con pazienza e attenzio-ne». Sembrava, appunto, una ri-sposta dettata da gusto del para-dosso, ma non lo è. Studiare la-tino, è vero, non dà nessunacompetenza spendibile nell’im-mediato, nel mitico, mitizzato,sempre evocato «mondo del la-voro». E nemmeno è utile, comepoteva accadere nell’Europamedievale, per scrivere in latino,perché la lingua delle comunica-zioni scientifiche internazionaliè ormai l’inglese. Il latino non si

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Non serve a niente,dunque a tutto

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gel G. Wilson (Padova 1974):«La cultura occidentale è sotto-posta a cambi rapidi e violenticome non fu mai. Una delle con-versioni che più possono impres-sionare gli spiriti attenti è il di-minuire precipitoso della cono-scenza delle lingue classiche:dal livello massimo dello specia-lista a quello minimo dello stu-dente liceale. Prima rinunziò ainsegnare in latino il professoree poi a rogare in latino il notaio;e ora finalmente anche la più va-sta e la più concorde delle Chie-se cristiane, la Chiesa cattolicaromana, prega non più con un’u-nica voce in latino, ma nei coridelle lingue nazionali. Cessa deltutto la retorica del latino; e solasopravvive la filologia. Insiemecalano nella società in cui vivia-mo la stima e l’affetto per la cul-tura classica! [...] Non vale ripie-garsi sul muro del pianto: fatavolentes ducunt, nolentes tra-hunt. Certo chi ha fiducia nellastirpe umana ama credere chesempre creature fortunate e ge-nerose – molte o poche – legge-ranno nel testo originale Omero,Sofocle e Platone, Virgilio, Se-neca e Tacito, i Vangeli e sant’A-gostino. Ma ogni giorno nell’au-tobus che a New York mi porta-va da uptown a downtown vede-vo stringermi attorno tante facced’ogni colore che pensavo che onoi eredi della civiltà occidenta-le riusciremo entro qualche de-cennio a proporre come tuttoravalidi i valori intimi della cultu-ra classica – letteratura, filoso-fia, arte – ai cinesi, agli indiani,agli africani, agli uomini di altraorigine e tradizione che sono di-ventati e sempre più diventeran-no partecipi della nostra vita, oquella cultura si ridurrà a un fos-sile: non più governata da pasto-ri di molte anime, ma solo sorve-gliata da pii necrofori nelle bi-blioteche e nei musei».Stanti tutte queste considerazio-ni, perché privarsi del privilegioenorme di studiare il latino?

Silvia Stucchi

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studia per scriverlo né per par-larlo... e allora, perché?

In primo luogo, è innegabile la su-periorità dell’educazione lingui-stica fornita dal latino: chi l’hastudiato con criterio si riconoscesubito, da come utilizza la sua lin-gua materna, dalla scelta attenta eaccurata del lessico, dal periodareattento e dall’uso preciso dei nes-si di subordinazione, e della con-catenazione dei tempi verbali.Inoltre, non è proprio possibile ca-pire gran parte, anzi, alcunchédella letteratura italiana, dalle ori-gini sino all’inizio del XIX seco-lo, senza conoscere la lingua e laletteratura latina. Come può capi-re Dante, Petrarca, Boccaccio,Machiavelli, Parini, Foscolo eLeopardi chi non capisce il lorolessico e la loro lingua, intrisi dilatino, il loro pensiero, compene-trato di classicismo, plasmato dal-la lettura e dalla riflessione diOmero, Virgilio, Livio, Orazio,Tacito? E non dimentichiamo cheper tutti i primi secoli del suo svi-luppo la letteratura italiana è bilin-gue, perché i suoi autori alternanoitaliano e latino (in verità, la lette-ratura italiana delle origini è trilin-gue, visto che c’è anche il proven-zale). Ma ipotizziamo che unapersona non abbia (poveretta!) ilminimo interesse per la letteratu-ra: non per questo dovrebbe trala-sciare lo studio del latino. Infatti,prendiamo come esempio l’eser-cizio più temuto, quello che lasciasul campo morti e feriti: la versio-ne, ovvero la proposta di un branosconosciuto, da analizzare, smon-tare, comprendere e, infine, tra-durre, il che, non solo, è l’opera-zione culturalmente più sofisticatae complessa immaginabile, ma èanche il banco di prova di una se-rie di operazioni che devono por-tare il solutore dall’ignoto (il bra-no latino, sconosciuto) al noto (lasua riformulazione nella lingua diarrivo). Ciò implica il fraziona-

Ottimo peril «problem solving»

mento del macroproblema, com-plesso (il brano nella sua interez-za) in sottoproblemi (i singoli pe-riodi): per ciascuno bisogna ana-lizzare le criticità, formulare ipo-tesi, verificare la loro coerenza,nel caso si riscontrino errori cor-reggerli, riformulare l’ipotesi everificarla. Tale sequenza rappre-senta perfettamente la proceduradel problem solving, necessariaanche per problemi di materiescientifiche e matematiche. Maper l’esercizio di traduzione dallatino si chiama in causa qualcosadi più: i periodi tradotti vanno le-gati tra loro, il lessico va adegua-to al registro comunicativo, al ge-nere letterario cui appartiene ilbrano proposto. In altre parole, ri-spetto alla procedura standard delproblem solving, l’esercizio dellaversione implica qualcosa di più:la sensibilità linguistica, la capaci-tà comunicativa, la sintesi e, nonesitiamo a usare queste parole, ilbuongusto e l’eleganza nell’espri-mersi. Tutte competenze che, si-curamente, nella società comples-sa e della comunicazione qual è lanostra, non sono da sottovalutarsi.

Ma non c’è solo il latino comepalestra della logica, dello svi-luppo delle procedure del pro-blem solving, come strumento diconoscenza della storia e del pa-trimonio culturale del nostro Pae-se: il latino (insieme con il greco,beninteso) sono strumenti essen-ziali per veicolare quei capisaldidell’identità dell’uomo, non solooccidentale, che indichiamosommativamente con il terminehumanitas. Ma anche questo te-soro di valori ora è minacciato, enon tutti possono fruirne, e spes-so non si rendono nemmeno con-to di quanto perderebbero.Come scrisse un grandissimoumanista, Giuseppe Billanovich,nella pagine iniziali della Pre-messa di un classico, Copisti efilologi, di L.D. Reynolds e Ni-

Perché privarsidi un privilegio?

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Storditi dal gran protagonismo dei numeri. Spesso im-prendibili, appena letti sono già cambiati, smentiti, inconflitto. Tirano dritto, svicolano, addobbano. Da urlo,OGM, birbanti. È impossibile incolonnarli, ma fannomassa. Numeretti e numeroni spesso irrilevanti, comei milioni di emendamenti bruciati sui banchi dell’infe-lice Senato: da regio a regionale, dimenticando le ap-prezzabili annate repubblicane del secondo ’900. Nu-meri incostituzionali, come i pacchi di deputati-regaloofferti dalle leggi elettorali ipermaggioritarie. O rim-pannucciati, vedi le votazioni parlamentari imbottitedai cambi di casacca. O preoccupanti, metti l’elevatoastensionismo rilevato da ogni serio sondaggio: siamocondannati a governi della minoranza votante?

Numeri in ritardo, come i provvedimenti per rendereoperative le riforme varate: sono usciti soltanto 144decreti attuativi sui 375 previsti, senza contare l’ulti-mo carico di adempimenti legati alla legge di Stabili-tà. Spot o specchietto: diventeremo una repubblicafondata sui bonus? Oscurati, vedi i contratti «derivati»rinchiusi nelle casseforti del Tesoro. In calo, metti leiscrizioni alle Università nei vaniloqui sul futuro. Sca-denti: in testa i servizi delle costose municipalizzateromane alla vigilia del Giubileo.

Sì, eccelliamo nelle veementi guerre sui numeri, nel«darli» sopraffiato o col contagocce. Bravi pure ascordarli subito, se è comodo. Numeri velenosi: ah,gl’interminabili computi della corruzione. Rinviati:non è mai il momento di «resecare tutte le spese su-perflue» (consiglio pressante di Francesco Guicciardi-ni, cinque secoli fa). Pallottoliere imbarazzato e stan-co. Restituire credibilità a qualsivoglia cifra è una fon-damentale riforma di struttura. Notizie e commentieconomici sono seguiti dai lettori col ciglio alzato, piùche dubbiosi sul loro reale valore.

Le cose non vanno meglio allargando lo sguardo al-l’accezione figurata del vocabolo: al numero-spettaco-lo. Le esibizioni in cartellone o all’impronta sono tut-t’altro che attraenti. Lasciamo da parte le cosiddette«baruffe d’aula», con o senza oscenità. Negli «a solo»più fischiati, a torto o ragione, l’Oscar è toccato almarziano in bicicletta, Ignazio Marino, colto ripetuta-mente contromano nelle dissestate strade capitoline.Premio di consolazione (difficile precisare quanta) aidem-dem per aver capito soltanto dopo 849 giorni che

il chirurgo targato «società civile», benecomunistas’intende, non possedeva i numeri (rieccoli!) per am-ministrare una città «bella e impossibile» come Roma.Mesi di scontri, poi sono bastati alcuni scontrini.Adesso, botte da orbi tra fazioni. Forse una recita nel-l’àmbito dell’operazione pigliatutto, destra-centro-si-nistra. Sull’ottovolante le primarie, arie arie... Confer-mative o regolate, vere o finte, abolite caso per caso?Avanti popolo.

A chi la targa di piombo della critica? Alla minoranzaPD, per acclamazione. Burlesca. Settimane e mesi digrida contro il massacro della democrazia, al dunquehanno divorato l’amaro pasticcio del Senatino prossi-mo venturo. Paura per la supplenza dei forzisti fuggia-schi capitanati da Denis Verdini? Non è escluso nep-pure un accordicchio riservato tra Pier Luigi Bersani ei neo-padroni della «ditta», in vista delle amministrati-ve, vissute come anteprima delle elezioni politiche. Unpatto di Bettola, mica male...

lMai un premier ha cumulato tanto interesse intornoal cognome. Trascriviamo alcuni divertimenti confi-denziali, chiamiamoli così. Svirgolettati, lisci lisci, co-me affiorano sopra giornali e tablet. Renzeidi, Renzi-stan, Renzata, Renzomandati, Renzinglish, Renzicon-to, Renziting, Renzimetro... Significati, nell’ordine:narrazioni gestite da Palazzo Chigi, vasto territorio do-minato dal premier, sue furbizie o gaffe, boiardi del so-praggiunto potere, pittoresco idioma anglo-toscanosciorinato negli incontri internazionali, libro mastrodelle promesse in entrata e presto in uscita, sintesi traaria di governo e marketing, unità di misura in voga aPontassieve. Favorenzismo? Replay a Renzomandati,per connessioni. Renzulotti? Boh, probabilmente i leo-poldini più accesi, avendo all’orecchio l’assalto dellaBastiglia. Renzocrazia e «lesa matteità» non hanno bi-sogno di chiose. Mancano neologismi riguardanti altrecaratteristiche, a cominciare dal fiuto capace di pren-dere le distanze in anticipo. Arriveranno. Già robustol’indotto. Telerenzi, trasmissioni televisive più o menogenuflesse. Modrenzi, moderati favorevoli a Renzi.Minorenzi, residuali dissidenze nel PD. Antirenzismo-cocco, sortito da un fumetto di Emilio Giannelli, vi-gnettista-capo. Fine taccuino: al gramsciano pessimi-smo della ragione viene contrapposto «l’ottimismodella renzità». Certe scherzose scorciatoie dei mediaraccontano o nascondono sempre qualcosa.

PIAZZA QUADRATA di Dino Basili

Il gran protagonismo dei «numeri»

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In quasi trentacinque anni di appa-rizioni – dal 24 giugno 1981 a og-gi... – non sono mai mancate testi-monianze – e da tutto il mondo – dipersone che sostengono che aMedjugorje hanno incontrato Dio.È il caso di Arthur (Artie) P. Boyleguarito in modo davvero sorpren-dente da metastasi ai polmoni, co-me ha raccontato in «Sei mesi di vi-ta». Ma la Madonna è intervenutaa Medjugorje. Il volume, tradottodall’inglese da Massimo ciani eappena pubblicato dalle EdizioniAres (pp. 208, comprensive di unbel corredo fotografico, il tutto pro-posto a euro 13,90), fin dalle primebattute risulta coinvolgente e dav-vero straordinario, anche per leprefazioni dell’attore Jim caviezel(il «Gesù» di Mel Gibson) e del-l’on. Raymond (Ray) Flynn, giàambasciatore USA presso la SantaSede. Quest’ultimo, molto noto inpatria anche per esser stato sindacodi Boston, afferma che «la testimo-nianza di Artie dimostra che Dioesiste e che nulla gli è impossibi-le»; mentre il primo si apre a unasignificativa confidenza personale:«Senza Medjugorje non avrei mairecitato la parte del Protagonista inThe Passion. Dopo essere stato inquesto luogo remoto, per la primavolta nella mia vita ho preso co-scienza che Gesù mi guardava, cheera preoccupato per me e che miamava. [...] Quando ho letto “Seimesi di vita” sono stato colpito dinuovo da questa verità».Nell’imminenza del pronuncia-mento della chiesa sulle apparizio-ni di Erzegovina, testimonianzeforti e limpide come questa si of-frono come contributo secondo ilmetodo di discernimento offerto daGesù nei Vangeli: «Li riconoscere-

te dai loro frutti. Si raccoglie forseuva dalle spine, o fichi dai rovi?così, ogni albero buono fa fruttibuoni, ma l’albero cattivo fa frutticattivi. Un albero buono non puòfare frutti cattivi, né un albero catti-vo fare frutti buoni» (Mt 7, 16-18).

Arthur Boyle è sposato con Judy, ladonna che ha conosciuto adole-scente e che ama con tutto sé stes-so. Dalla loro relazione sono nati13 figli, di cui uno, Joseph, mortoancora nella culla e un secondo, Ar-tie Jr., affetto da autismo. A 45 anni– siamo nel 1999 – la vita di Mr.Boyle è comprensibilmente moltointensa, ma ricca di soddisfazionisul piano umano, professionale esoprattutto, sportivo... Sì, perchéArtie pratica con successo diversediscipline e ha comunicato questapassione ai figli, al punto che il pic-colo Brian in seguito è divenuto ungigante nella squadra di hockey deiNew York Rangers prima e, ora,

dei Tampa Bay Lightning.Nel classico giorno che ti cambial’esistenza, una visita medica ri-scontra un tumore nel rene dell’Au-tore, con interessamento del pan-creas. La diagnosi è infausta, ancheperché il carcinoma è inoperabile.Da questo momento la fede incrol-labile di Judy inizia a dettare i ritmidella famiglia Boyle: Artie si sotto-pone a una delicata operazione, maè grazie alla preghiera che i valorinegativi della TAc mutano improv-visamente in meglio una prima vol-ta. Ma non è finita, dopo 8 mesi – eabbiamo sforato nel 2000 – le visi-te di controllo evidenziano un gros-so tumore nel polmone destro e duetumori più piccoli in quello sinistro.È metastasi: al paziente vengonodati al massimo «sei mesi di vita».

E qui entra in scena... la Madonna:un conoscente di Kevin, il cognatodi Artie che vorrebbe far di tuttopur di salvarlo, gli racconta per pu-

MIRACOLI

L’uva & i fichi di Medjugorje

800

Il sogno americano& le metastasi

Entra in scenala Madonna

La numerosa famiglia Boyle

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ro caso che la Vergine appare aMedjugorje e che, per l’intercessio-ne di suo Figlio, opera molte grazieanche di guarigione fisica. I tre uo-mini, contro il parere dei medici,intraprendono un incredibile viag-gio della speranza di cui ancor piùincredibile sarà... il lieto fine. A cuisi perviene, si badi bene, attraversouna serie di concomitanze che pertempistica e numero diviene azzar-dato definire causali, e che aiutanol’Autore e per suo tramite anchenoi a riconoscere nel dipanarsi del-l’esistenza la presenza discreta ecostante del Padre dei cieli.Artie si considerava un cristianotiepido; oggi a distanza di quindicianni dalla guarigione (tanto haaspettato per esserne assolutamen-te certo), ha dedicato questo libroalla Madonna e porta in giro per ilmondo la sua testimonianza: «ÈGesù il Signore della vita».

La sua vicenda negli USA è diven-tata un caso mediatico, anche per-ché i medici che hanno avuto in cu-ra l’Autore alla fine hanno dovutoarrendersi: la sua guarigione per lascienza rimane un mistero. FrancisJ. Mc Govern, urologo del Massa-chusetts General Hospital ha di-chiarato: «Data la gravità e il pro-gredire della malattia di ArthurBoyle, un carcinoma a cellule re-

nali metastatico, per la medicina èdifficile spiegare come egli sia vi-vo». In effetti secondo le valutazio-ni del Laboratory for QuantitativeMedicine del Massachusetts Gene-ral Hospital «le probabilità di unasopravvivenza di 15 anni in questostadio del tumore e con questa ve-locità di sviluppo sono “zero”» eper gli Annals of Oncology del-l’Oxford Journals «i pazienti aiquali è stato diagnosticato un carci-noma a cellule renali dello stadioquattro hanno una aspettativa me-dia di vita di 10 mesi». Invece gra-zie a Dio – ed è proprio il caso didirlo – Artie Boyle sta bene ed èqui a raccontarci un’altra storia.

Una preziosità della pubblicazioneè costituita dai credits che moltissi-mi personaggi, noti negli USA e nonsolo, offrono a inizio volume: oltreai menzionati caviezel e Flynn,spiccano,fra gli altri il pluripremia-to fotografo Bill Brett – «Un libroche ispira... Assolutamente da leg-gere!» –; l’attrice e collaboratricedel NY Times Mary Lou Quinlan –«Una storia indimenticabile di ami-cizia, di speranza e di fede incrolla-bile. Siate pronti a credere ai mira-coli!» – e persino Bobby Orr, laleggenda dell’hochey su ghiaccio,celebrata nella Hall of Fame: «co-nosco la famiglia Boyle da tanti an-

ni, e sono certo che la storia di Ar-tie si rivelerà illuminante per chiun-que legga questo libro». Del resto,perfino Ivan Dragičević, uno dei seiveggenti di Medjugorje, dopo averletto la storia di Artie ne è rimastoimpressionato e ha inviato un brevecommento appositamente per l’edi-zione italiana, sottolineando comela forza di questo libro stia nel fattoche, raccontando di una guarigionefisica veramente impensabile,l’Autore dà conto della «trasforma-zione spirituale» sua e di tutte lepersone che gli sono state accantodurante l’esperienza della malattia.Non a caso, il pensiero più bello aintroduzione del testo lo ha offertoBrian, il più sportivo dei figli di Ar-thur già ricordato: «La guarigionedi mio padre è stata una fonte diconversione per me e per i miei un-dici fratelli. ci ha cambiato tutti persempre. Siamo immensamente gra-ti a Gesù e a Maria per gli ultimiquindici anni con mio padre e per lecose che siamo stati in grado dicondividere come famiglia. Speroche i lettori traggano incoraggia-mento da questa storia di fede, diamore familiare e di amicizia».Questo libro si legge di un fiato: èun autentico balsamo che comu-nica e insegna la speranza, in untempo in cui le buone notiziesembrano scarseggiare perfinodentro la chiesa. Dalla letturaviene da pensare che se la Vergi-ne ottiene grazie tanto eclatantidal cielo, il cielo ha fretta chenoi tutti ascoltiamo che cosa cidice la Madre di Dio.

Riccardo Caniato

801

Arthur P. Boyle (al centro) tra due testimonial del suo libro «Sei mesi

di Vita»: l’attore Jim Caviezel (il Gesù di The Passion) e Raymond Flynn,

ambasciatore USA presso la Santa Sede sotto la presidenza Clinton.

Per la scienzaè morto da 15 anni

Guarigionechiama conversione

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«Siamo chiamati tutti alla santità,e la Sindone – icona e reliquiadella misericordia – è un segno digrande speranza». Così si èespressa la sindonologa Emanue-la Marinelli, alla quale venerdì23 ottobre, a Bassano, è stato as-segnato il Premio InternazionaleMedaglia d’oro al merito dellaCultura Cattolica.La cerimonia di consegna del ri-conoscimento è stata l’occasioneper conoscere a fondo la tradizio-ne famigliare della studiosa, ciòche l’ha orientata allo studio delleScienze naturali, disciplina attra-verso la quale si è avvicinata perla prima volta al sacro lenzuolosul quale, peraltro, continuano aconcentrarsi rilievi scientifici e in-sieme grande devozione.Marinelli non ha nascosto la suaconvinzione profonda, mutuatada 38 anni di approfondimentiininterrotti con 17 libri sull’argo-mento, che l’immagine impressasia quella di Gesù Cristo. «Certa-mente», ha sostenuto, «quella è lafigura di un uomo crocifisso cheha subìto una flagellazione esem-plare, e che dopo essere mortocon la punizione dei criminali diallora non è stato gettato in unafossa comune, ma è stato sepoltocon un trattamento regale». Tuttocombacia con la descrizione deiVangeli, e questo rende ancor piùcredibile che sia proprio il voltodi Cristo quello che si può vedere«stampato» sul lino.Ai tanti dati scientifici inoppu-gnabili, si aggiungono elementidi più recente rilevazione, comeper esempio il calcolo effettuatoche il cadavere sia stato avvoltonel tessuto per 36-40 ore e il fat-to che le fibre del tessuto siano

ingiallite come per effetto diun’esposizione a una fonte di lu-ce intensa, repentina. I dati raccolti in tanti anni di stu-di, ha spiegato Marinelli, lascia-no sempre, però, lo spazio aldubbio di chi non vuole credere.«Nella Sindone c’è l’immaginedi un momento di morte e Risur-rezione che ravviva la nostra fe-de», ha commentato.La Sindone è un lenzuolo che «ècome il quinto Vangelo scrittocon il sangue di Gesù, e proprioper questo ci consente di leggerecon occhio adeguato anche gli al-tri quattro Vangeli», ha spiegatoil presidente della Giuria che as-segna il Premio, il prof. SergioBelardinelli.

Nata in una famiglia numerosa,Marinelli ha confessato da subito

che è proprio in famiglia che èiniziato il suo cammino di devo-zione e di cultura. «Mio padre mifaceva leggere moltissimi librisui santi, perché – diceva – i san-ti non ti lasciano alibi». Possia-mo sentire come «irraggiungibi-li» l’esempio di Gesù Cristo e diMaria, ma i santi sono semprepersone come noi, e «se hannoraggiunto la santità loro, vuol di-re che è alla portata di tutti».Quanto al suo rapporto con laSindone, Marinelli ha detto cheera un incontro inevitabile: «Nonho scelto io di diventare apostolodella Sindone, perché Dio hamesso sulla mia strada dei segna-li che ho dovuto seguire». A sca-tenare la sua curiosità di laureatain Scienze naturali fu l’annuncio,alla fine degli anni ’70, che sullefibre del lenzuolo erano state rin-venute tracce di 58 pollini, 38 deiquali appartenenti a piante tipi-che del Medioriente.Venne poi la celeberrima analisi

La Sindone, reliquia della misericordia

803

ALBO D’ORO

Emanuela Marinelli riceve il Premio dall’assessore Linda Mu-

nari, in rappresentanza del sindaco di Bassano. Lo scorso an-

no il premio era stato assegnato a p. Romano Scalfi.

Apostolatodella Sindone

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fatta attraverso il radiocarbonio14, a seguito della quale la Sindo-ne venne ritenuta di fattura medie-vale. Un esame che per prima Ma-rinelli contestò alla radice, eviden-ziando come il campione utilizza-to fosse stato prelevato in uno deipunti più inquinati e compromessidel telo sindonico, sottoposto intanti secoli a esposizioni a maninude, rammendi, utilizzi poco ri-spettosi, le cui conseguenze nonpotevano non ripercuotersi sullostato delle fibre studiate. La pro-fessoressa Marinelli non ha nasco-sto i suoi dubbi che addirittura lerilevazioni siano state condottecon malizia e poco scrupolo scien-tifico per giungere a un riscontrofinale evidentemente falsato. Ep-pure, l’annuncio dei risultati emer-si attraverso l’analisi al radiocar-bonio venne mediaticamente stu-diato con cura, e ancora oggi nelletrasmissioni televisive e sulle pub-blicazioni non specialistiche ri-emerge la vulgata che vorrebbe laSindone medievale, considerazio-ne più volte smentita dalle ricer-che effettuate negli ultimi anni.«La definizione più azzeccatadella Sindone secondo me l’hadata Orazio Petrosillo, quando ladefinì “la fotonotizia dal Calva-rio”», ha commentato la premia-ta. «Questo lenzuolo ci lascia sul-la soglia del Mistero sul perché ilcorpo del cadavere del crocifissoche sicuramente vi è stato avvol-to non vi sia rimasto, pur essendostato in contatto con il lino per unlasso di tempo che va dalle 36 al-le 40 ore, in piena aderenza aquanto scritto nei Vangeli».Numerosi i messaggi che sonoarrivati per congratularsi con laprofessoressa Marinelli per ilpremio ricevuto. Tra gli altri,quelli del segretario di Stato vati-cano mons. Pietro Parolin che hatrasmesso le felicitazioni delSanto Padre, del card. CamilloRuini, dell’arcivescovo di Mila-no mons. Angelo Scola e del se-gretario del Pontificio Consiglioper i Laici mons. Josef Clemens.

Andrea Mariotto

Nulla è più importante per la vitadi un uomo che trovare il puntodi consistenza ultimo intorno acui costruire la traiettoria di un’e-sistenza che corrisponda al suodesiderio. Da secoli il cristianesi-mo è stata la roccia fondante diuna civiltà in cerca della Verità,perché ha saputo creare l’allean-za della Fede come adesione allaRivelazione con la Ragione comeesplorazione del senso dell’Esse-re, creando le condizioni di rispo-ste convincenti ai grandi interro-gativi dell’uomo. Ciò ha costrui-to le basi della civiltà europea,insegnando di generazione in ge-nerazione come fare a vivere, fin-ché l’Illuminismo ha postoun’autolimitazione della Ragionedichiarandola incapace di cono-scere ciò che sino allora era stataun’evidenza elementare e molti-plicando indefinitamente risposteparziali inadeguate a soddisfarel’orizzonte infinito del desideriodell’io. Così si sono anche man-tenuti i valori cristiani, che sonoperò stati separati dalla loro sor-gente originaria costituita dal-l’avvenimento stesso di Cristo,giungendo persino a porre la bru-ciante domanda se sia ragionevo-le per un uomo moderno crederein Gesù. La risposta non mette indiscussione l’esistenza storica diun personaggio di nome Gesù,ma lo riduce subito a simbolo divalori universali «laici» oppureal sentimento che se ne prova nelprofondo della coscienza del sin-golo. Ma com’è possibile credereal fatto della Risurrezione comeavvenimento presente pertinenteal desiderio umano di pienezza,se ciò non diventa fattore di giu-dizio sul vivere quotidiano? Poi-

ché una fede separata dalla ragio-ne non è una fede matura e ripen-sata criticamente, e la pretesa diridurre il cristianesimo a religio-ne laica che giustifica valori eprincìpi universali oppure all’in-terpretazione della fede comesentimento indistinto del divinodiventa la causa del crollo delleevidenze su cui si era formata lacoscienza europea.

Ma com’è potuto accadere un si-mile mutamento? Perché l’io si èperso nella molteplicità di puntidi vista differenti perdendo l’uni-tà offerta dalle evidenze elemen-tari? Autori come Romano Guar-dini hanno colto nella perdita delnesso vero dell’uomo con la real-tà la radice di questo moderno re-lativismo, ed educatori comeLuigi Giussani hanno osservatoche il passaggio all’indifferenzadiffusa è stato causato della man-canza di educazione al senso reli-gioso inteso come capacità del-l’uomo di porre le domande deci-sive sul proprio destino. L’esitodi tale rinuncia all’uso della ra-gione rispetto al senso religiosoha condotto anche la fede all’in-significanza rispetto agli interro-gativi ultimi della vita. Anche ladomanda originaria ed elementa-re su «come si fa a vivere» risul-ta così non interessante per l’uo-mo di oggi che – come suggesti-vamente diceva don Giussani –sembra imploso in una sorta diChernobyl spirituale, risucchiatonel nichilismo di una vera e pro-pria anoressia rispetto alle grandi

CHIESA

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Per una pastorale dell’in telligenza

Le grandi domandedella vita

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domande della vita. Così anchechiedersi «come sia possibile sta-re al mondo» e «se ne valga lapena» perde la sua originariastringenza, restando un lusso in-tellettualistico di pochi; ma, per-dendo la sua attrattiva, la doman-da rimane priva di ogni passionediventando indifferente e sostan-zialmente indistinta nella nebbiadella coscienza ridotta a nulla.Così oggi il cristiano si ritrova adover ricostruire l’io anzituttonel suo rapporto con la realtà,non tanto in senso teorico, maeducando a riprendere il legamecon le cose facendo leva sull’e-sperienza. È quanto si proponel’ultimo testo di Julián Carrón, ilsacerdote spagnolo che ha assun-to il compito di guidare il movi-mento di Comunione e Libera-zione dopo la morte di don LuigiGiussani, che si è messo perso-nalmente in gioco nel ripropornel’originale metodo educativo. Illibro si intitola: La bellezza di-sarmata (Rizzoli, Milano 2015,pp. 364, euro 18). Nel solco trac-ciato da don Giussani, Carrón in-vita a lasciarsi provocare ancoradalla realtà per rintracciare e ri-accendere quei «luoghi» caldidella coscienza in cui può rina-scere l’interesse verso la realtàcosì da risvegliare l’io.

Questo libro, che non è una merasequenza di saggi accademici,documenta i passi del camminosvolto da CL negli ultimi diecianni, cioè dalla morte del Fonda-tore. Si tratta di interventi e di

scritti nati da specifiche circo-stanze, ma rivisitati e spesso ri-scritti per dare al libro un caratte-re più organico e sistematico in-torno al nucleo centrale del co-municarsi della bellezza del cri-stianesimo presentato come una«bellezza disarmata» che nonutilizza gli strumenti dell’appa-renza, ma si comunica solo allalibertà come espressione di ciòche è vero, buono, bello.Ne emerge una nuova ermeneuti-ca del comunicarsi della fede nonattraverso un’apologetica dellaspiegazione e giustificazione diconcetti, ma attraverso l’espe-rienza dell’umano fecondata dal-la fede. Ciò muta il tradizionalemetodo del confronto con valoriastratti, e spinge a incontrare tut-to evitando il moralismo e la bat-taglia ideologica, all’interno diun dialogo tra soggetti adulti.L’itinerario offerto da Carrónmostra come si possa entrare nel-la realtà senza ridurne il fascinoassumendone ogni aspetto eparagonandolo alle esigenze delcuore, ossia al senso religiosoche è quell’attitudine della ragio-ne a cogliere ogni frammento co-me segno (rimando) alla profon-dità del Mistero dell’Essere. Pro-prio questo continuo paragoneconsente l’incontro con tutti e undialogo sincero, suscitando lostupore della bellezza disarmatae gratuita della realtà e favorendol’incontro senza pregiudizi.Educare l’io in questo modo si-gnifica vederlo risorgere: educa-re non vuol dire spiegare tutte lecose, ma introdurre alla realtà la-sciando che essa dimostri quel dipiù che sta al di là del segno incui si manifesta. Ma implica an-

che scoprire la radice della crisiantropologica in cui viviamo,cercando di capire come si siagiunti all’annullamento del sensoreligioso come tensione a coglie-re il valore ultimo del vivere. Ciòfa tornare a essere protagonistinella scena del mondo, aperti a360° e liberi dalla schiavitù dellapretesa ideologica di ridurre tuttoa uno schema a priori che per-metta di dominare e controllaretutti i fattori della realtà.Rivitalizzare la fede significa, in-vece, comprendere la realtà dopoaverla guardata alla luce dellosguardo di Cristo e, oltre ognipossibile equivoco, il dialogo tor-na a essere confronto schietto traesperienze di vita tanto più inte-ressanti quanto più se vissute dauomini maturi che ne danno ra-gione. È l’invito a essere liberi diincontrare sapendo che Cristo nonè un’idea che sta sullo sfondo diun pensiero da difendere con ar-gomentazioni logiche, ma è unavvenimento che riaccade e che sirende nuovamente presente nellavita delle persone in modo impre-vedibile, nella gratuità di una bel-lezza amabile perché disarmata.In tempi di rinnovamento eccle-siale e di riflessione sulla rinasci-ta di un nuovo umanesimo cri-stiano, questo testo è un preziosocontributo al pensiero cattolicopoiché risveglia il desiderio di in-carnare la presenza di Gesù Cri-sto nella storia concreta di uomi-ni che amano la realtà e che fan-no della bellezza l’unica armadella loro vita, rimettendo laChiesa in missione (Papa France-sco direbbe «in uscita»). Il testodi Carrón ha il merito di essererigoroso e preciso sotto il profiloculturale, ma anche di motivareun impegno comprendendo chela radice della crisi antropologicaè profonda e investe tutti, anche ifedeli più zelanti. E forse oggioccorre più che mai potenziareprimariamente una «pastoraledell’intelligenza» per essere al-l’altezza delle sfide del presentee del futuro.

Giampaolo Cottini

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pastorale dell’in telligenza

Apologeticadell’esperienza

Julián Carrón

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Il convegno che si è svolto loscorso settembre presso Villa Ca-gnola di Gazzada (Varese), nelquadro della XXXVII settimanadi Storia religiosa euro-mediterra-nea organizzata dalla FondazionePaolo VI, aveva come tema «LeMissioni in Africa». Lo scenarioemerso dai vari interventi è statoquello di una realtà che, pur nellesue complesse differenziazioni,specifiche dei diversi Paesi, pre-senta elementi comuni di partico-lare rilevanza e attualità, a primavista distinti, ma in effetti tra lorointerrelati. Ci riferiamo agli esitidell’inculturazione come nucleocentrale dell’azione missionariasvolta negli ultimi decenni, e allacapacità delle Chiese locali di rac-cogliere una duplice sfida: quellalanciata da organizzazioni islami-che particolarmente attive, quan-do non aggressive, e quella, di mi-nor effetto mediatico ma più per-vasiva, lanciata da movimenti re-ligiosi di generica quanto confusae stravagante ispirazione cristia-na. Va subito rilevato che le duesfide non rappresentano un’asso-luta novità nella storia religiosadell’Africa. Per quanto riguardal’islàm basti ricordare le vicendelegate al movimento insurrezio-nale del Mahdi che tra il 1883 e il1898 creò uno Stato teocraticonell’attuale Sudan sconfiggendogli anglo-egiziani, iniziativa cheebbe tra gli «effetti collaterali» ladistruzione di quanto DanieleComboni era riuscito a costruirecon grande fatica e intelligenza, esulla cui attività missionaria è in-tervenuto Giampaolo Romanato1.Per quanto concerne la lunga atti-vità delle diverse confessioni esette originate dal variegato mon-

do protestante, ma non solo, è op-portuno rammentare quanto acca-deva già negli anni 1950-1970. Ilgesuita André Retif scriveva in-fatti nel 1959: «Ai quattro perico-li che l’enciclica Fidei doum se-gnala per l’Africa nera nel 1957:iper-nazionalismo, ateismo, mar-xismo, islàm, se ne potrebbe ag-giungere un quinto: la prolifera-zione della “Chiese” nere»2. Unadecina di anni dopo lo studiosoinglese David B. Barrett rilevavail tracimare del fenomeno nellefile cattoliche: «All’interno dellaChiesa cattolica e delle confes-sioni protestanti, ci sono un mi-gliaio di movimenti religiosi,mentre sono oltre 5mila le orga-nizzazioni religiose ed ecclesia-stiche distinte con circa sette mi-lioni di aderenti dichiarati, prove-nienti in maggioranza da 290 tri-bù dell’Africa sub-sahariana»3.Negli stessi anni lo studioso fran-cese Guy Bernard osservava:«Dal 1961 al 1967 abbiamo fattoricerche su circa 250 Chiese con-golesi, ma tenendo conto delle la-cune della nostra informazione sualcune regioni e della fluidità del-la situazione valutiamo che per il1967 le Chiese nere in Congo sia-no tra 400 e 500»4.

Allora oggi non sta avvenendonulla di nuovo? In realtà qualcosaè cambiato in profondità, e ri-guarda non tanto chi lancia la sfi-da, ma chi la raccoglie o dovreb-be raccoglierla e interroga le mo-dalità con cui si sono svolti e sisvolgono i processi di incultura-

zione. È significativo che proprioGiovanni Paolo II, convinto fau-tore dell’inculturazione, mettessein guardia contro una sua estensi-va ed erronea interpretazione,stigmatizzando i casi di africaniz-zazione della liturgia e le disputesul «rito zairese», memore dellecatastrofiche conseguenze provo-cate in passato dalla «Controver-sia sui riti cinesi». Il tema dell’in-culturazione, anche se con altronome e in altre forme, era benpresente alla Chiesa fin dai primitempi di Propaganda Fide, che inuna sua consegna del 1659 rivoltaai missionari scriveva: «Non usa-te alcun mezzo di persuasione perindurre quei popoli a mutare i lo-ro riti, le loro consuetudini e i lo-ro costumi, a meno che non sianoapertamente contrari alla religio-ne»; qualche anno prima il ma-nuale del 1655 Monita ad missio-narios al cap. V recitava: «Trat-tando con i pagani (il missiona-rio) eviterà di sembrare dare loroun insegnamento del tutto nuovo,ma avrà cura di trattarli come seavessero già una traccia di veri-tà»5. A questa «traccia di verità»faranno riferimento in tempi a noipiù vicini, Benedetto XV nell’en-ciclica Maximum illud del 1919,Pio XI nell’enciclica Rerum Ec-clesiae del 1926 e Pio XII nellasua prima enciclica Summi ponti-ficatus del 1939, dove leggiamo:«La Chiesa di Cristo [...] non puòpensare né pensa di intaccare odisistimare le caratteristiche parti-colari che ciascun popolo con ge-losa pietà e comprensibile fierez-za custodisce e considera qualprezioso patrimonio. [...] Essa haripetutamente mostrato, nella suaattività missionaria, che tale nor-

CONVEGNI

Africa: inculturazione & nuove sfide

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Nulla di nuovo?

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ma è la stella polare del suo apo-stolato universale». Concetti riba-diti nel discorso alle PontificieOpere Missionarie, del giugno1944: «Se volgiamo lo sguardo alcontinente africano, [...] l’indole,le tradizioni e i costumi natividebbono rimanere inviolati, inquanto sono conciliabili con lalegge divina. Il Missionario [...]non ha l’ufficio di trapiantare laciviltà specificamente europeanelle terre di missione, sebbene direndere quei popoli, che vantanotalora culture millenarie, pronti eatti ad accogliere e ad assimilaregli elementi di vita e di costuman-za cristiana». Affermazioni che ri-troviamo nelle encicliche Evan-gelii Praecones del 1951 e Fideidonum del 1957, sullo stato delleMissioni cattoliche in Africa, alcui testo collaborò Marcel Leféb-vre, allora arcivescovo di Dakar eDelegato apostolico per l’Africafrancofona. Pio XII tra l’altro in-vitava i popoli africani a «ricono-scere all’Europa il merito del loroavanzamento; all’Europa, senza ilcui influsso, esteso in tutti i cam-pi, essi potrebbero essere trasci-nati da un cieco nazionalismo aprecipitare nel caos o nella schia-vitù». Da parte sua, GiovanniXXIII nell’enciclica Princeps pa-storum del 1959 sulle missionicattoliche ribadiva: «La Chiesa,come sapete, non si identifica connessuna cultura, nemmeno con lacultura occidentale, alla quale lasua storia è strettamente legata».In questa linea plurisecolare si in-seriva il Decreto Ad gentes, allacui redazione sveva contribuito inqualità di peritus Joseph Ratzin-ger, approvato il 7 dicembre1965, il giorno prima della chiu-sura del Concilio Vaticano II, ot-tenendo il più largo consenso fratutti i documenti conciliari.

Come si evince da questo breveexcursus, i tratti fondamentali delconcetto di inculturazione erano

te del clero africano delle ex-co-lonie francofone e che erano stateespresse pubblicamente in un li-bro edito nel 1956, opera colletti-va di tredici giovani preti neri dilingua francese6. Il tema centraleera quello dell’«indigenizzazio-ne» del cattolicesimo, con un lun-go capitolo finale, premonitore diambiguità, dedicato al Vudù nondal punto di vista antropologico,ma da quello di una «sociologiapastorale aperta», perché i suoiadepti «adorano generalmente equotidianamente il Dio dei cri-stiani»: era il primo passo di quel-la che sarebbe stata la teologiaafricana, sviluppatasi negli anni1970. Risale, infatti, al 1974 la di-chiarazione dei vescovi d’Africaal sinodo romano che aveva pertema «L’evangelizzazione delmondo contemporaneo» dove silegge: «Nella concezione dellamissione i vescovi d’Africa e Ma-dagascar considerano definitiva-mente superata una certa teologiadell’adattamento a favore di unateologia dell’incarnazione. Legiovani Chiese d’Africa e Mada-gascar non possono eludere que-sta esigenza fondamentale»7. An-ni dopo Jean-Paul Messina com-mentando l’esortazione apostoli-ca Evangelii Nuntiandi, redattada Paolo VI nel 1975, scriverà,forzandone il significato, che ilPapa «si propone di liberare il di-scorso teologico dal suo orizzon-te storico occidentale e apre le pi-ste di riflessione che diventeran-no le caratteristiche essenzialidelle teologie del terzo mondo:inculturazione e liberazione»8.

In effetti, i legami tra la teologiadella liberazione e l’Africa furo-no stabiliti e approfonditi in in-contri tra diversi teologi di Asia,America Latina e Africa: il primoin Belgio nel 1975, poi a Dar Es-Salaam l’anno successivo, centra-to sulla necessità per le Chiesedel terzo mondo di «spiegare co-

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Un accentoinnovatore

La teologiadella liberazione

patrimonio consolidato dellaChiesa, al quale recherà un accen-to innovatore Paolo VI con l’en-ciclica Africae terrarum dell’ot-tobre 1967, dove afferma che laChiesa vede nei valori morali ereligiosi della tradizione africanala «base provvidenziale sulla qua-le trasmettere il messaggio evan-gelico e avviare la costruzionedella nuova società in Cristo»; epiù oltre, rivolgendosi agli intel-lettuali, sottolinea: «La Chiesamolto attende dalla vostra coope-razione per il rinnovamento e lavalorizzazione delle culture afri-cane, in relazione sia alla riformaliturgica, sia all’insegnamentodella sua dottrina in termini corri-spondenti alla mentalità dellegenti africane». Un atteggiamen-to di grande apertura, quello diPaolo VI, che a Kampala nel lu-glio 1969 a chiusura del simposiodei vescovi d’Asia e del Madaga-scar si spinse oltre affermando:«Voi africani siete ormai i vostristessi missionari. Nella ricerca diun’espressione dell’“unica fede”conforme alla vostra cultura, po-tete e dovete avere un cristianesi-mo africano». Con queste dichia-razioni il Papa andava incontroalle esigenze maturate in una par-

San Daniele Comboni

(1831-1881).

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me interpretano il significato del-la rivelazione in mezzo alla po-vertà e al sottosviluppo»9, rifiu-tando la teologia occidentale giu-dicata non conforme alle nuovesituazioni del terzo mondo. Nelcomunicato finale della Confe-renza panafricana di Accra 1977«Libération ou adaptation? Lathéologie africane s’interroge» silegge che la teologia africana siporrà «come teologia en situa-tion, come un’esperienza di lottacontro tutte le forme di oppressio-ne e segregazione, come un luogodi impegno dove è bandita ognitendenza sessista (sic!)». A mar-gine della conferenza nasceval’Association œcuménique desthéologiens africains per incenti-vare la cooperazione tra i teologidi diverse lingue, regioni e con-fessioni cristiane d’Africa, adot-tando una metodologia interdisci-plinare. Ben presto, però, tra glianni 1980 e 1985, emersero duetendenze. La prima dominata dalcamerunense Jean Marc Ela, peril quale una teologia della libera-zione esisteva un tempo in Africa,portando come esempio lo strava-gante caso della «profetessa»congolese Beatriz Kimpa Vita(1684 ca.-1706) fondatrice di una«Chiesa» antoniana. SecondoEla, il compito della teologia afri-cana è quello «di riflettere parten-do dall’esperienza (avviando) unlavoro di decifrazione del sensodella Rivelazione nel contestostorico dove prendiamo coscien-za di noi stessi e della nostra si-tuazione nel mondo»10. Da quil’opzione socio-politica con effet-ti di lunga durata, visto che anco-ra nel 2011 Benedetto XVI nel-l’enciclica Africae Munus ammo-niva i preti africani a non cederealla tentazione di diventare leaderpolitici o agitatori sociali. La se-conda tendenza era ispirata dalgesuita camerunense EngelbertMveng, che riteneva ben poco at-tinente alla situazione africana lanuova teologia latino-americana:«L’africano è povero perché nonè, non perché non ha. La povertàdi cui si parla in America Latina è

una questione materiale, quellache si vive in Africa è prima ditutto e soprattutto una questioneantropologica»11.

Queste posizioni suscitavano uncruciale interrogativo che oggi re-sta di bruciante attualità: quali so-no i valori della cultura africanache il Vangelo può fare proprisenza snaturare la sua essenza?La relazione di Pierre-JaurèsKouassi12 ci offre alcuni spunti diriflessione relativamente all’in-culturazione della liturgia: canti,uso del tamburo tam tam, uso deisimboli – il mestolo (indica lacondivisione), la palma e i suoiprodotti, lo sgabello (indica l’ac-coglienza e il servizio), il banano(la fecondità), la stuoia (la stabili-tà) – nella liturgia della Parola ein quella dell’Eucaristia; peresempio, in una regione si ricorrealla gesticolazione, alla danza, almovimento ritmico del corpo.Detto questo Kouassi ammetteche oggi il rapporto tra fede e cul-ture locali resta una questioneaperta: «Non è una sorta di batta-glia per un cristianesimo africa-no, ma un incontro tra l’oggi del-l’Africa e l’oggi e lo ieri dell’Oc-cidente». François Bœspflug nelsuo intervento13, dedicato allaproduzione artistica di caratterereligioso (scultura in legno o me-tallo, tessuti e più di recente pittu-ra e arti grafiche) ha rilevato co-me tra i vari temi la Crocifissione,supplizio ignoto a quelle popola-zioni, sia oggetto di una forteriap propriazione dall’arte locale,un Cristo dai caratteri africani, ta-lora presentato con seni femmini-li, dato che per tradizione tuttociò che è grande è anche bises-suale; pochissime invece le operededicate alla Trinità, tema invecepresente nell’arte etiopica, che èstata oggetto dell’intervento diEmanuela Fogliadini14. Altriesempi di inculturazione artisticaben più accettabili sul piano teo-

logico sono stati descritti da ErickCakpo15: La Vergine col Bambi-no sul dorso, il Tabernacolo so-vrastato dall’ombrello dei re, l’in-tegrazione en douceur di canti eritmi locali nelle celebrazioni eu-caristiche; diverso il caso deglioggetti d’arte sacra destinati alculto, con simboli e segni locali,esposti al rischio del sincretismo.Cakpo ha inoltre segnalato l’in-differenza dei fedeli locali versole opere d’arte inculturate, nelBenin per esempio sono state ri-fiutate immagini del Cristo e del-la Vergine con tratti africani, evi-denziando i rischi di un’incultura-zione male intesa, pronuba al di-lagare delle sette. Su questo feno-meno in terra ruandese, dopo ilgenocidio – tema affrontato dallarelazione di James Jay16 – è inter-venuta Silvia Cristofori17, segna-lando la travolgente avanzata deimovimenti pentecostali, forti an-che di pingui finanziamenti d’ol-treoceano: negli anni 1980 eraprotestante solo il 9 per cento de-gli abitanti del Paese a maggio-ranza cattolica, nel 2001 il 24 percento; il pentecostalismo si affer-ma come «religione della mobili-tà» contro la tradizione, la strego-neria, i boschi sacri, alimentandomisticismo e profetismo nei pen-tecostali indigeni.A fronte di questo scenario c’è dachiedersi se non stiamo assisten-do a un’interpretazione dell’in-culturazione il cui fine ultimo è la«mutazione genetica» della Chie-sa. A supporto di questa ipotesicitiamo due esponenti del «fronteprogressista». Il primo è AchielPeelman, già rettore della Facoltàdi Teologia dell’Università Saint-Paul di Ottawa, secondo il quale«non è la Chiesa che fa la Missio-ne, è la Missione che fa la Chiesa[...], una Chiesa policentrica chefonda la sua unità sulla potenzauniversale del Vangelo»18; la glo-balizzazione rende l’inculturazio-ne ancora più attuale, esige unnuovo paradigma missionario,sollecitando espressioni creativee inedite nella proclamazione delVangelo. Su posizioni simili tro-

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Inculturazione &mutazione genetica

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viamo Bénézet Bujo19, per il qua-le «ogni teologia è contestualiz-zata (située), dipende dalle circo-stanze concrete, socioeconomi-che, politiche o religiose nellequali il cristianesimo si muove[...]; l’Africa ha ricevuto il Van-gelo già masticato (maché) in ba-se alla cultura europea», i missio-nari «lavoravano mano nella ma-no con le potenze coloniali e lostesso Vangelo fu proclamato inquesto contesto intriso di pregiu-dizi [...]; dobbiamo sviluppare i

caratteri teologici propri nel con-testo della cultura africana, lungidalle sistematizzazioni prove-nienti da aree culturali esterne al-l’Africa sub-sahariana».

Se questa è la filosofia che per-mea l’inculturazione, allora di-ventano molto problematici an-che i rapporti con i Paesi e le co-

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Cristianesimo& islàm

munità musulmane dato che – co-me ha osservato Maurice Borr-mans20 – l’islàm per tradizione èdîn wa dunyâ wa dawla (religio-ne, società e Stato), per cui neinuovi Stati indipendenti si è dif-fuso rapidamente l’islàm tradizio-nale, alimentando organizzazioniche contestano e combattono unpo’ dovunque le missioni cristia-ne, rinnovando la presentazione el’insegnamento di un islàm cheoscilla tra la riforma «moderni-sta» e l’affermazione identitaria,

«Pittura nuda»: ne ragionavo anni fa, era il1998, quando mi trovai per la prima volta da-vanti alle tele di Michele Dolz e dovetti fare iconti con l’arroganza di un colore che osavafino al quasi nulla del bianco, su cui la super-ficie cromatica lentamente tesseva una carnenon ancora compiutamente e spulsa dal tempogestativo, legata ancora al grembo del tempoche la nutre eppure più pura e più forte di quelsangue. Mi colpì quella naturalità con cui leforme crescevano sulle tele trovando equilibriche si sentivano bloccati in una fermezza in-quietante perché non umana; di un regno, for-se, separato dalla natura, in una costanza diluce, senza ciclo, senza variazioni climatiche,da laboratorio alchemico, dove la forma veni-va colta qualche istante prima del parto (delsuo paradossale «venire alla luce»). Alla di-stanza, con le «Creatures» allestite alla Gal-leria Ostrakon di Milano dal 12 al 31 ottobrescorso, Dolz riconferma per questa «pitturanuda» la necessità gestativa di quel «lento im-pulso che forma l’immagine, che addensa odiluisce a poco a poco i contorni e le sagome»– come scrive Giorgio Seveso nel testo criticoche accompagna la mostra –, ancora una vol-ta con una luce gravida di forme che pareuscita dalla colluttazione con la «notte oscu-ra» dove la vista non è però, sorprendente-mente, l’ultimo dei sensi adeguato a discerne-re il palpito della vita, o olmeno quel che neresta, la sua reliquia fossile, la cui terribilitàrisuona tale perché la sentiamo certamentepiù prossima ai corpi evaporati di Hiroshimache ai mitici rituali di Lascaux. Ancora unavolta (per quanto questa volta portando l’in-candescenza su un piano più visibile, meno

prossimo al «calor bianco») questa forma ri-porta lo sguardo ad abituarsi lentamente, nel-l’accecamento stroboscopico in cui reale èquel che appare, a percepire quel che siamoattraverso un inventario di forme che non ci«rappresentano», ma ridestano in noi la no-stalgia di una originarietà perduta e che pos-siamo di nuovo far nostra: come in quegli al-bori del mondo, dando a ogni creatura il suonome.

Andrea Beolchi

«Creatures» di Michele Dolz

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applicando la sharî‘ah o impe-gnandosi nello jihâd spirituale omilitante appoggiato dall’ArabiaSaudita, sostenitrice delle comu-nità musulmane in tutto il mondoin obbedienza all’interpretazionewahhabita dell’islàm21, quella piùrigorista che si è diffusa anche inNigeria assumendo forme violen-te. Una realtà descritta da Mat-thew Hassan Kukah22, vescovo diSokoto, che rileva come nelle ter-re dell’attuale Nigeria, dove oggila sharî‘ah è applicata nei dodiciStati del Nord, l’islàm fosse pre-sente fin dal XIV secolo. Già du-rante il periodo coloniale, neglianni 1940, si manifestarono mo-vimenti antagonisti che si richia-mavano alla purezza originariadella fede islamica e poi prende-ranno il nome di Boko Haram,lanciando lo slogan Siyansamu,adininmu (la nostra politica è lanostra religione). Per Kukah, se èvero che il dialogo con l’islàm èla chiave del futuro – almeno inNigeria –, bisogna tener presentecome il musulmano vive la pro-pria fede, alimentata da una gran-de devozione che permea anche igruppi armati, per i quali la lottapolitica violenta è un atto morale.Sulle nuove dimensioni dell’i -slàm militante è intervenuto Ro-bert Launay23, sottolineando cheil concetto di missione, centralenel cristianesimo, non ha equiva-lenti nell’islàm; solo negli ultimidecenni nell’Africa occidentale siparla di da‘wa (appello) che puòassomigliare al paradigma cristia-no. Oggi nel Ghana, nel Mali; inSenegal, in Costa d’Avorio sonoattive ONG, organizzazioni stu-dentesche, nuove associazioniche grazie alla diffusione deimass media hanno radicalmentemodificato le basi dell’autoritàreligiosa nelle comunità islami-che24. Sono spuntati predicatorisuper star, la sharî‘ah fa presa suigiovani, un numero crescente didonne indossa lo hijâb. Sta avve-nendo una «conversione interna»o re-islamizzazione smentendouna certa visione «romantica» percui l’Africa «tradizionale» era più

compatibile con la cristianità; tut-tavia, secondo Benjamin Soa-res25, i rapporti islamico-cristianiin Africa non si possono ridurre acoesistenza pacifica o conflittua-lità latente o violenta; le cose so-no molto più complesse, visto ilruolo delle confraternite sufi equello dei mass media nello sca-tenare le violenze tra i diversigruppi religiosi; oggi l’islàm fapropri metodi di proselitismo eorganizzazione tipici dei prote-stanti: una forma di «pentecosta-lizzazione» dell’islàm; esemplareal riguardo il caso della NASFAT(Nasr Allah al-Fatih Society ofNigeria) fondata nel 1990 nelleregioni sud occidentali della Ni-geria, sorta di «evangelical Isla-mists» che in qualche modo fa dapendant alla «pentecostalizzazio-ne» della Chiesa e alla strisciante«balcanizzazione» del cattolicesi-mo africano.

Augusto Zuliani

1 Giampaolo Romanato, «L’Africa neratra cristianesimo e islàm. L’esperienza diDaniele Comboni»; cfr Idem, L’Africanera tra cristianesimo e islàm. L’espe-rienza di Daniele Comboni, Corbaccio,Milano 2003.2 Pullulement des Églises nègres, in «Étu-des», septembre 1959, p. 186.3 David B. Barrett, L’évolution des mou-vements religieux dissidents en Afrique(1862-1967), in «Archives de sociologiedes religions», n. 25 (1968), pp. 111-140;traduzione di un estratto da David B. Bar-rett, Schism and Renewal in Africa, Ox-ford University Press, Nairobi 1968.4 Guy Bernard, Diversité des nouvellesÉglises congolaises, in «Cahiers d’étudesafricaines», vol. 10, n. 38, 1970, pp. 203-227.5 Regole per i missionari scritte dai vicariapostolici François Pallu e Pierre Lam-bert de la Motte, fondatori nel 1663 delleMissioni straniere di Parigi, inviati inAsia sotto il pontificato di Clemente IX:Gilles Van Grasdorff, La belle histoiredes Missions étrangères: 1658-2008, Per-rin, Paris 2007.6 Des prêtres noirs s’interrogent, Ed. duCerf, Paris 1956 (pref. di mons. Leféb-vre).7 La Documentation catholique, n. 1664,17 nov. 1974, p. 995.8 Jean Paul Messina, Christianisme etquête d’identité en Afrique, Editions Clé,Yaoundé 1999, pp.129-131.

9 H. Abesamis (cur.), Théologies du tiersmonde. Du conformisme à l’indépendan-ce. Le colloque de Dar Es-Salaam et sesprolongements, L’Harmattan, Paris 1977,p. 5.10 M. Ela, Le cri de l’homme africain.Questions aux chrétiens et aux Églisesd’Afrique, L’Harmattan, Paris 1980, pp.40-41.11 E. Mveng, Églises et solidarité pour lespauvres en Afrique; la paupérisationanthropologique, in E. Mveng (cur.), L’A-frique dans l’Église. Paroles d’un cro-yant, L’Harmattan, Paris 1985, pp. 203-213.12 Pierre-Jaurès Kouassi, «L’inculturationde l’Évangile et de son annonce en Côted’Ivoire: rapports avec les traditions an-cestrales».13 François Bœspflug, «La mission chré-tienne en Afrique et les niveaux d’incul-turation de l’Évangile dans les arts plasti-ques».14 Emanuela Fogliadini, «L’arte cristianaetiope: un paradigma di inculturazione?».15 Erick Cakpo, «Art et évangélisation:les défis de l’art chrétienne inculturée duBénin (XIX-XXI siècles)»; dello stessoautore si veda: Le phénomène des Nou-veaux Mouvements religieux en Afrique:l’Église catholique en déroute, L’Harmat-tan, Paris 2013.16 James Jay Carney, «Evangelization andPolitics in Rwanda and Uganda».17 Silvia Cristofori, «Il movimento pente-costale nel post-genocidio ruandese».18Achiel Peelman, Les nouveaux défis del’inculturation, Novalis-Lumen Vitae,Ottawa-Bruxelles 2007, p. 103.19 Bénézet Bujo, Introduction à la théolo-gie africaine, Academic Press, Fribourg(Suisse) 2007.20 Maurice Borrmans, «Missions chré-tiennes et missions islamiques en Afri-que: concepts, méthode, langages, objec-tifs. Essai de missiologie comparée»; del-lo stesso autore si veda: Prophètes du dia-logue islamo-chrétien: Louis Massignon,Jean-Mohammed Abd-el-Jalil, LouisGardet, Georges C. Anawati, Éditions duCerf, Paris 2009.21 Sulle vicende attraverso le quali la set-ta wahhabita ha conquistato il potere inArabia Saudita si veda: Hamadi Redissi,Le pacte de Nadjd, ou comment l’islamsectaire est devenu l’islam, Seuil, Paris2007.22Matthew Hassan Kukah, «La sharî‘a inAfrica: l’esperienza nigeriana».23 Robert Launay, «Islamic conversionand Renewal in West Africa».24 Rosalind I.J. Hackett and Benjamin F.Soares (cur.), New Media and ReligiousTransformation in Africa, Indiana Uni-versity Press, Bloomington 2015.25 Benjamin Soares, «Rethinking Mus-lim-Christian Encounters in Africa»; del-lo stesso autore si veda: Muslim-Chri-stian Encounters in Africa, Brill, Leiden2006.

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Alla morte di Pietro Ingrao è se-guito un Niagara di retorica «lacui prima regola», come osservaFrancesco De Sanctis nella Storiadella letteratura italiana, «è l’or-rore del particolare e la vaga ge-neralità». È da manuale sottoquesto profilo l’affermazione del-la Presidente della Camera, ono-revole Laura Boldrini, per la qua-le Pietro Ingrao sarebbe stato una«grande figura della democra-zia». Perché considerata la so-stanza del lungo impegno politicodel prestigioso dirigente del Parti-to comunista italiano, è molto dif-ficile concordare con quel giudi-zio. Nel corso di decenni infatti,in particolare da direttore de L’U-nità (il maggiore e più efficacestrumento di indirizzo politico edi propaganda del PCI) Pietro In-grao fu il lucido e appassionatodifensore e mistificatore della cu-pa realtà di morte, di miseria, direpressione sistematica di ognidiritto naturale dell’uomo qualeera l’Unione sovietica di Stalin edei suoi successori, da lui invecedecantata quale modello di liber-tà, di giustizia sociale e di benes-sere, contrapposta alla vita dell’I-talia oppressa dal tallone del capi-talismo. Una posizione che portòIngrao a esaltare con arrogantedeterminazione (da direttore delquotidiano del partito in due arti-coli di fondo) l’opera dei carri ar-mati delle truppe siberiane sovie-tiche che, nel novembre del 1956,stavano schiacciando nel sanguela rivolta anticomunista deglioperai e dei giovani ungheresi. Dopo la morte , nel 1964, di To-gliatti (che nel 1947 l’aveva vo-luto alla direzione de L’Unità), edi fronte alla decomposizione,

ormai incontestabile, dei regimicomunisti d’Europa e della Cina(cui si contrapponevano gli ecce-zionali successi politici, econo-mici e sociali dei Paesi capitali-stici d’Europa e dell’Occidente)Pietro Ingrao cominciò a dubita-re: non dell’ideologia che era afondamento di quei regimi, madei modi con cui le loro classi di-rigenti avevano tentato di realiz-zare il comunismo.

Si pentì allora di alcuni eccessidel proprio impegno politico, inparticolare dell’atteggiamentoassunto durante la rivolta unghe-rese. E mosso a interesse dalleprime manifestazioni del males-sere giovanile e dalle tensioni so-ciali create da alcuni aspetti delmodello di sviluppo seguito neldopoguerra dai Paesi occidentali,Ingrao si mise in testa che fossepossibile «rigenerare» l’ideolo-gia comunista. E si impegnò aconvincere il PCI che fosse possi-bile realizzarla non più col sup-porto dello Stato totalitario, lapolizia onnipotente e la violenzaistituzionalizzata contro ogni for-ma di dissenso, ma favorendo eorientando le spinte libertarie deimovimenti giovanili di base e diquelle politico-sindacali dei set-tori «più a sinistra» della CGIL edella CISL; teorizzando il valore ela possibilità di forme sempre piùavanzate di democrazia direttanella formazione ed esercizio deipoteri politico-istituzionali edeconomici, e attestandosi, pro-gressivamente, su posizioni di

pacifismo assoluto. Tanto Ingraosi appassionò a queste nuove pro-spettive di rigenerazione dell’i-deologia comunista, che fu tra gliultimi nel PCI a convincersi che iterroristi delle Brigate Rosse edelle altre formazioni operaiste e«rivoluzionarie» che si definiva-no «di sinistra», non erano stru-menti creati dalla reazione catto-fascista e socialdemocratica permeglio tutelare i propri interessi,ma fossero invece prodotti genui-ni di quell’ideologia che egli siproponeva di rigenerare. Lungo questo itinerario Ingrao(però in forme più esplicite dellamaggior parte degli altri dirigen-ti comunisti, a cominciare daBerlinguer) riconobbe le mistifi-cazioni, gli errori e i silenzi delpartito sulla realtà dei regimiispirati al comunismo. Ma nonvolle mai mettere in discussionel’essenzialità e il modo di esseree di operare dello strumento pri-

Sempre in ritardo, l’utopico Ingrao

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IN MEMORIAM

Pietro ingrao (1915-2015)

La svoltapacifista

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mo, il partito, a mezzo del qualenel ’900 si tentò di realizzare nel-la storia l’ideologia comunista.

Quando infatti autorevoli diri-genti del PCI (con Il Manifesto) siproposero di allargare il proprioimpegno culturale e politico di ri-generazione del comunismo al-l’interno del partito, vennero col-piti dall’accusa di frazionismoorganizzato (la peggiore, imper-donabile, nei partiti espressionedelle ideologie dell’immanenzadel ’900: comunismo, fascismo enazismo) e Ingrao votò in Comi-tato Centrale a favore della loroespulsione, nel 1969. Vent’annidopo votò contro la proposta diOcchetto di rinunciare al nome diPartito comunista italiano, senzaseguire Cossutta nella scissionedal PDS, che però abbandonò nel1993. Aderì in seguito a Rifonda-zione comunista, che tuttavia la-sciò dopo breve tempo, tornandoa guardare con interesse ai grup-puscoli utopici pacifisti ed ecolo-gisti, spesso segnati da venatureanarco-comuniste, quasi a giusti-ficazione del titolo di un suo li-bro del 2006 Volevamo la luna.Una presa d’atto, fatta di delusio-ne e di nostalgia alla fine dellasua lunga vita, che anche il co-munismo, come le altre due ideo-logie dell’immanenza del ’900,era un sogno irrealizzabile per-ché contrario alla natura dell’uo-mo; e i tentativi di realizzarlenella storia erano costati monta-gne di morti, di miseria e di ti-rannia. Per cui non si capisce suche cosa abbia potuto fondare laPresidente della Camera il suogiudizio di Ingrao «grande figuradella democrazia». Anche se – ègiusto riconoscerlo – il leader co-munista esercitò con grande rigo-re istituzionale e sensibilità poli-tica il ruolo di Presidente dellaCamera negli anni drammaticidal 1976 al 1979.

Nicola Guiso

Perentorio il monito del Fondomonetario internazionale che, at-traverso il suo consueto WorldEconomic Outlook diffuso que-st’anno a Lima, sintetizza moltochiaramente lo stato dell’econo-mia mondiale. Le parole di Mau-rice Obstfeld, nuovo capo econo-mista del FMI subentrato al prece-dente Olivier Blanchard, sonoeloquenti e al tempo stesso privedi ogni fraintendimento: «Sei annidopo l’uscita della più profondarecessione del dopoguerra, il ritor-no a un’espansione globale robu-sta e sincronizzata, il Santo Graalper l’economia, ancora non c’è».Sfruttando la nuova stima sullaprevisione di crescita dell’econo-mia mondiale si arriva a sfiorare il3%, soglia considerata rappresen-tativa di una recessione globale.Un taglio alle previsioni dello0,2% per quest’anno e il prossimodelineano un quadro espansivod’insieme definito come «mode-sto» e soprattutto dallo stessoObstfeld annunciato come «non èlo scenario di base» del FMI. Alla base di questa frenata mon-diale le cause sono molteplici e di-versificate su più fronti: primo fratutti l’arresto dei cosiddetti Paesiemergenti che stanno vivendo gra-vi difficoltà soprattutto a causadell’andamento dei prezzi dellematerie prime delle quali sonoesportatori; la loro crescita rimanein calo anche quest’anno – il quin-to consecutivo – fermandosi al4%. Secondo il FMI il dato miglio-rerà solo nel 2016 con un 4,5%. La recente débâcle cinese è in li-nea con le attese, ma pone alcuneserie preoccupazioni per la cre-scita futura: lo sviluppo econo-mico del Paese passa dal prece-

FINANZA

Prospettive economiche in cifre

812

«Volevamola luna»

dente 7% al 6%. Solo l’Indiamantiene una crescita superioreal 7%, mentre sono un capitolo aparte sia il Brasile sia la Russia:entrambi in recessione. Nonostante nelle cosiddette eco-nomie avanzate – fatta eccezioneper il Giappone – si registri un mi-glioramento della ripresa econo-mica, questo dato non riesce co-munque a compensare il calo del-le precedenti aree geografiche.

L’Eurozona, temuta a lungo perl’instabilità economico/finanzia-ria di alcuni suoi Stati membri,evidenzia una ripresa graduale ri-spettivamente con una crescitadell’1,5% nel 2015 e dell’1,6%nel successivo anno. Da sottoli-neare il dato riconducibile all’Ita-lia che, inaspettatamente e permolti osservatori quasi a sorpre-sa, presenta un miglioramentopari allo 0,1%. Secondo ThomasHelbling, appartenente al diparti-mento economico del FMI e per-sona che affianca l’operato diObstfeld, l’Italia «può crescerepiù della Germania nei prossimidue anni», ma è anche bene ri-cordare che «nel lungo termineper fare meglio deve rafforzare laproduttività che è troppo bassa efare le riforme necessarie». Un’economia mondiale in affan-no che stenta a crescere in modouniforme e costante nei suoi di-versissimi territori; qualcosa peròsta cambiando. Per far fronte al presente e affron-tare soprattutto il prossimo futuroall’insegna del miglioramento

L’Europa in uscitadalla crisi

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delle condizioni generali di benes-sere economico mondiale, arriva-no in aiuto due importanti ele-menti di recente emanazione. Pri-mo fra tutti l’accordo USA-Pacifi-co, patto definibile storico in ma-teria di libero scambio; il secondointervento, auspicabilmente moltopiù vicino e favorevole a noi, l’at-tuazione del cosiddetto «PianoJuncker» focalizzato principal-mente sul fronte degli investimen-ti e della crescita.

La Trans Pacific Partnership (piùcomunemente abbreviata in TPP)lega gli Stati Uniti ad altri undiciPaesi affacciati sul Pacifico (fuo-ri dall’accordo la Cina) permet-tendo l’abbattimento delle barrie-re poste sui rispettivi mercati perun peso complessivo del PILmondiale pari al 40%. Un’impor-tante e significativa azione politi-ca ed economica voluta dal presi-dente americano Barack Obamache, attraverso questo suo impo-nente agire, ricopre le vesti diprimissimo attore in difesa delmiglioramento dell’economiamondiale. Un piano che prevedeuna riduzione progressiva di mi-gliaia di dazi e barriere all’inter-scambio a partire dal fronteagroalimentare fino a estendersia quello farmaceutico passandoper il mondo delle tecnologie e ipiù ampi spazi senza confini diinternet. Una vera e propria glo-balizzazione che si caratterizzeràper il suo significativo apporto intermini competitivi sul fronte siaquantitativo sia qualitativo.

Una vittoria economica e politicasoprattutto in chiave strategicaper l’Europa. La Trans PacificPartnership – di fatto – può esse-re considerata un primo passo,dopo un periodo di negoziati par-titi cinque anni fa, verso la realiz-zazione dell’altro grande proget-to di accordo commerciale giàiniziato e oggetto di negoziato datre anni: la Transatlantic Tradeand Investment Partnership (sin-tetizzata in TTIP) o più comune-mente definita come il pattotransatlantico tra UE e Stati Uni-ti. Un’azione per un ammontarepari al 50% del PIL mondiale eun’influenza di oltre un terzo suifuturi flussi commerciali globali.Il futuro accordo tra Europa e USAvivrà mutamenti nel corso del suonaturale approfondimento tra leparti, ma ciò che importa è la suaconcreta attualità sui numerosi ta-voli internazionali. Nell’attesa deisuoi prossimi sviluppi, l’Europaperò può già beneficiare del piùimminente «Piano Juncker», unvero e proprio programma conl’obiettivo principale di rilanciarela crescita con positivi risvolti sulfronte occupazionale.

L’intero progetto fonda le proprieazioni su tre pilastri: la costituzio-ne di un fondo europeo per gli in-vestimenti strategici (il cosiddettoEuropean Fund for Strategic In-vestments o più sinteticamente de-nominato EFSI); la creazione di

una riserva di progetti ritenuti cre-dibili con un piano di assistenzaper veicolare al meglio gli investi-menti; l’attuazione di un program-ma attraverso il quale l’Europapossa rendersi più attraente agliocchi degli investitori esteri mi-gliorando gli attuali regolamentiche – il più delle volte – risultanoessere un arduo ostacolo agli in-vestimenti stranieri.Il «Piano Juncker», mediantel’apporto significativo della BEI(Banca europea per gli investi-menti) e sfruttando il meccani-smo della leva finanziaria, im-metterà nell’intera Europa un am-montare di potenziali investimen-ti per oltre 315 miliardi di euronel corso del triennio 2015-2017,comportando un significativo in-cremento del PIL dell’intera area euna nuova accelerazione dell’oc-cupazione. A facilitare – in pro-spettiva – l’attuazione di questoulteriore stimolo monetario perl’intera Eurozona ci sarà anche lafutura Unione del Mercato deiCapitali il cui completamento èstimato entro il 2019: l’ennesimostrumento per il recupero di risor-se finanziarie finora bloccate.Raramente si è potuto osservareuna così omogenea convergenzainternazionale sul fronte della cre-scita economica globale. Non-ostante gli attuali dati sull’econo-mia mondiale non siano dei più in-coraggianti, le basi per meglio ap-profittare delle future opportunitàsono state comunque poste. Orapiù che mai è il momento di rac-coglierne i frutti.

Stefano Masa

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economiche in cifre

Accorditranspacifici

Piano Junckerper la crescita

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Il nostro carnet di appunti è pie-no di notizie: la situazione sem-pre più esplosiva in MedioOriente, con l’apparizione milita-re della Russia in Siria per soste-nere il governo di Damasco; ilfiume in piena dei migranti cheinvadono l’Europa, fiume chenon accenna a decrescere; la sof-ferta decisione dei 28 sull’acco-glienza dei migranti e la loro ri-partizione per Paese, con rimbor-so delle spese sostenute; la peri-colosa situazione della Turchia,Paese chiave per il flusso dei mi-granti dalla Siria, dall’Iraq, dal-l’Afghanistan; la situazione so-cialmente esplosiva delle popola-zioni africane, che malgrado ilprogresso economico di alcuniStati, affondano sempre più nellaspirale della povertà, che si ac-compagna a fame, malattie, mor-te prematura di migliaia di bam-bini, migrazioni dei giovani.Il tutto aggravato da lotte tribali,religiose, di conquista nell’indif-ferenza dei «governanti africani»impegnati a modificare la Costi-tuzione del loro Paese per farsirieleggere alla prossima tornataelettorale, facendo «contenti» gliOccidentali, che vogliono la de-mocrazia e le elezioni a ogni co-sto, come porta magica, una spe-cie di «apriti Sesamo!», per inca-nalare il Paese verso la crescitaeconomica. Uno sviluppo demo-cratico difficile da ottenere se lerisorse petrolifere e minerarie so-no spesso razziate da investitorioccidentali o cinesi, se le guerrereligiose, tribali, economiche simoltiplicano. Come fanno i «po-veri governanti africani» a preoc-cuparsi della situazione della po-polazione sempre più impoveri-

ta? Sono finiti i tempi dei grandipolitici e umanisti africani comeil Senegalese Senghor, il tanza-niano Nyerere, il sudafricanoMandela e pochi altri. Nessunosembra calcolare che la fuga dimigliaia di migranti dall’Africasub-saharia impoverisce il Paesed’origine, che ha speso, bene omale, delle risorse per far cresce-re il giovane, per insegnargli aparlare, a scrivere e far di conto,oltre che a maneggiare un fucilemitragliatore.

Il Premio Nobel per la Medicinaattribuito alla professoressa cine-se Tu Youyou (foto), 84 anni, pre-mio condiviso con il giapponeseSatoshi Omura e l’irlandese Wil-liam C. Campbell. Per la Repub-blica popolare cinese il premio èpiù importante che per Giapponee Irlanda: è la prima volta che unricercatore cinese, non emigrato,si vede attribuito il premio per ri-cerche condotte solamente in Ci-na! La professoressa Tu ha fattotutta la sua carriera all’Accade-

mia di medicina cinese. L’arté-misine, di cui ha scoperto le pro-prietà per trattare il paludismo, èoriginata dalla medicina tradizio-nale cinese1. Il premio Nobelapre una breccia nella suprema-zia scientifica dell’Occidente. Idirigenti cinesi sognavano unpremio Nobel: hanno investitosomme ingenti nei programmi diricerca scientifica, hanno fatto ri-tornare in patria ricercatori emi-grati negli Stati Uniti, hanno otte-nuto migliaia di brevetti, manca-va a Pechino il riconoscimentointernazionale dello svedese Ka-rolinska Institutet che assegna ilNobel per la Medicina.

Vi sono sempre meno poveri, esempre più migranti. Secondo leclassifiche della Banca mondialegli estremamente poveri eranocoloro che vivevano con meno diun dollaro al giorno nel 1990; laBanca ha portato detto livello a1,25 dollari nel 2005, poi nel2015 a 1,90 dollari.Ci fa provare sempre una certafrustrazione sentir parlare di 1 o2 dollari al giorno: penso a quelpastore nel Sahel, alle migliaia didonne che faticano nei campi,che vanno a prendere l’acqua neifiumi o nei pozzi, talora distantikilometri dal loro villaggio edebbono accudire la prole, sem-pre più numerosa, che non hannomai visto un biglietto verde da 1dollaro e mercanteggiano con lamoneta locale. La Banca mondiale, in coopera-zione con il FMI, ha lanciato, il 7

OSSERVATORIO D’EUROPA

Taccuino non solo europeo

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Nobel alla Cina,finalmente

La povertànel mondo

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ottobre scorso, un appello ai Pae-si sviluppati e industrializzati permetterli in guardia: le tendenzedemografiche contrarie al Sud eal Nord continueranno a originaredei flussi migratori su larga scaladai Paesi poveri del Sud verso iPaesi ricchi del Nord ancora perqualche decennio. Al declino de-mografico e all’invecchiamentodelle popolazioni del Nord si op-pongono, al Sud, tassi di natalitàelevati e delle popolazioni sem-pre più giovani. Come conse-guenza la mano d’opera non spe-cializzata si troverà sempre di piùal Sud. Saggia ma scontata la di-chiarazione del presidente dellaBanca mondiale, Jim Yong Kim:«Con le buone politiche quest’eradi cambiamento demografico puòservire da motore per la crescitaeconomica...».Resta solo da vedere chi sarà ingrado di mettere in opera «lebuone politiche».

Si indica con TPP (Trans PacificPartnership) l’accordo firmato il5 ottobre da 12 Paesi che si af-facciano sul Pacifico, condottidagli Stati Uniti. I dodici rappre-sentano il 40% del commerciomondiale e saranno uniti – se ilpatto sarà ratificato da ogni par-lamento – da tariffe preferenzialie da norme commerciali comuni.Il presidente Obama vorrebbeconcludere anche con l’Unioneeuropea il TTIP (il Trattato trans-atlantico su commercio e investi-menti). I negoziati si sono in par-te bloccati, anche per la cattivavolontà di alcuni Stati membri.Centomila persone hanno sfilato,a Berlino agli inizi di ottobre, perprotestare contro il trattato cheUE e Stati Uniti stanno negozian-do con la Commissione europea.Ben 16 organizzazioni tedeschedella società civile, come Greenpeace, OXFAM, la Confederazio-ne dei sindacati tedeschi, hannopartecipato alla manifestazione.

Perché? Gli organizzatori temo-no che il trattato di libero scam-bio possa abbassare gli standarddi qualità, sicurezza e tutela del-l’ambiente e possa mettere a ri-schio i diritti dei lavoratori. I sin-dacati italiani non hanno ancoraben studiato l’impatto dei nego-ziati sull’economia italiana.«Wait and see» (aspetta e vedrai).

I 25 anni della riunificazione del-le due Germanie. Merkel über al-les. Praticamente la RFT (Repub-blica federale tedesca) ha assorbi-to la Germania Est per poi costi-tuire cinque nuovi Länder, cioèStati federati (Meclemburgo-Po-merania Anteriore, Brandeburgo,Sassonia, Sassonia-Anhalt e Tu-ringia). La Germania riunificatamantenne il nome che era statodella Germania Ovest, ancor oggiRepubblica federale tedesca.Secondo quel che si è saputo ilpresidente francese Mitterand ne-goziò con il presidente tedescoH. Kohl importanti aspetti eco-nomico-monetari. Incisero sullariunificazione la caduta del Murodi Berlino (9 novembtre 1989), el’entrata in vigore, il 1° luglio1990, del Trattato sull’unionemonetaria, economica e socialeche stabilì un tasso di conversio-ne tra marco dell’est e marco del-l’ovest di 1 a 1 (malgrado la dif-ferenza di sviluppo economico eindustriale della Germania del-l’Est, mentre per le partite cor-renti il tasso di cambio fu di 2marchi dell’Est per 1 marco del-l’Ovest per patrimoni e debiti).Il 18 marzo 1990 si tennero leprime elezioni libere nella Ger-mania dell’Est che portarono allaratifica di un Trattato di unifica-zione tra le due Germanie e lequattro potenze vincitrici e occu-panti (Francia, Regno Unito, Sta-ti Uniti e Unione sovietica) cheprodussero il «Trattato due piùquattro» che garantiva la pienaindipendenza a uno Stato tedesco

unificato. Unificazione senza al-cuna guerra: entrambe le Germa-nie erano vincitrici. La Germania unificata rimase unPaese membro della Comunitàeuropea (e successivamente del-l’Unione europea) e della Nato.Hollande e Merkel hanno tenutoun discorso congiunto al Parla-mento europeo, riunito in sessio-ne plenaria in ottobre. «Per af-frontare le crisi che minaccianol’UE serve più Europa e più soli-darietà» ha dichiarato la Merkel.Hollande ha citato F. Mitterand,suo predecessore negli anni ’80,che disse: «Dobbiamo sempre te-nere a mente il nostro obiettivo,una federazione di Stati. Per an-dare avanti, non per tornare in-dietro». Quanti dei dirigenti dei28 Paesi sottoscriverebbero oggitale pensiero?

Nella Conferenza mondiale del-l’ONU sullo Sviluppo, tenuta asettembre a New York, sono statiidentificati 17 obiettivi per salva-re l’umanità. Lodevole decisione,ma... nessun impegno economi-co, solo l’indicazione dell’urgen-za di raggiungere, per salvare l’u-manità, i 17 obiettivi concordatiper il 2030. Bene! Per salvare ilPianeta attendiamo le decisionidella Grande Conferenza sul Cli-ma che si terrà a Parigi agli inizidi dicembre.

Giovanni Livi

1 L’artemisia è un principio attivo estrat-to dalla Artemisia annua impiegato nellalotta alla malaria e pertanto rientra nellacategoria degli antimalarici. È stata uti-lizzata da secoli dalla medicina tradizio-nale cinese. Si è saputo che durante laGuerra del Vietnam (Vietnam del Nord,comunista, contro il Vietnam del Sud, so-stenuto militarmente dagli Stati Uniti), ilpresidente vietcong Ho Chi Min, preoc-cupato dal fatto che il paludismo facevapiù vittime dei bombardamenti americanie del napalm, chiese aiuto a Mao TseTung, che in un primo momento rimaseperplesso e poi concesse l’artemisina.

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Nuove sigle:TPP & TTIP

Da venticinque annila Germania è una

Arrivedercia Parigi

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� Scusi, ma lei crede al com-plotto contro Papa Francesco?

Paolo Villaggio. Non credo inDio e penso che il Papa sia unapersona normale con le paure ditutti, compresa quella di morire.La Chiesa è un’istituzione terre-na come tante altre, composta an-che da frustrati che complottanocontro il Capo.

Ellen Page. Chi come me credenella libertà d’amare guarda confiducia alla figura di Papa Fran-cesco. Non mi stupisce che ci sia-no molte resistenze interne allaChiesa che farebbero di tutto perfermarlo, anche un complotto!

Anna Mazzamauro. La notiziadel complotto mi ha colpito perchési è tirato in ballo una malattia chefa paura a tutti. Non mi ha colpitoinvece che si sia scoperto che c’ègente all’interno della Chiesa chevorrebbe fermare il Papa.

Carlo Verdone. Come tutti san-no, sono un ipocondriaco e quan-do sento parlare di malattie mor-tali sto subito male. Figuriamociquando l’ho sentita attribuita alPapa! Comunque, penso che cer-te notizie siano state fatte circola-re ad arte.

Jude Law. Era impossibile,stando a Roma in quei giorni perla Festa del cinema, non esserecoinvolto dalla notizia che ri-guardava Papa Francesco. Aquesto punto, molto meglio ilsospetto di un complotto che diuna grave malattia.

Paola Cortellesi. La parola com-plotto mi mette sempre un po’d’ansia, anche se noi romani lo vi-viamo a modo nostro... Oddio mo’che è? Certo, alcune coincidenzefanno riflettere. L’importante è cheil Papa non abbia quel brutto male.

Monica Bellucci. Leggevo i gior-nali e mi sembrava un film di DanBrown: complotti in Vaticano, no-tizie false fatte filtrare apposta, co-ming out di un monsignore. Perònon mi sono meravigliata e questomi ha molto meravigliato.

Juliane Moore. La notizia di uncomplotto in Vaticano vissutamentre ero a Roma per la Festadel cinema mi ha dato un’emo-zione indescrivibile. Telefonavoa casa e raccontavo quello chevedevo e mi sembrava di parlaredi un film.

Sergio Rubini. La realtà supera lafantasia e per un regista sembra un

copione troppo azzardato. Eppuresi è arrivati a diffondere la falsanotizia della grave malattia del Pa-pa per un gioco di potere. Temonon sia l’ultimo episodio.

Eric Cantona.Nel mondo del cal-cio se ne sentono di tutti i colori ela parola complotto viene usataspesso anche quando non è il caso.Sentirlo attribuire al Vaticano, so-prattutto nei confronti di PapaFrancesco, mi ha molto colpito.

Isabella Ragonese. Il titolo delgiornale sulla grave malattia delPapa mi aveva stretto il cuore.Poi, per fortuna, si è scoperto chenon era vero e per me era suffi-ciente per stare meglio. Il com-plotto in Vaticano? La Chiesa èfatta di uomini.

Joel Coen. Coming out di unmonsignore gay con partner, tra-monti spettacolari sul Tevere, no-tizie false di una malattia del Pa-pa sullo sfondo di un complottovaticano: quale miglior trailerper la Festa del cinema di Roma?

Philippe Petit. Ho conservato igiornali che parlavano del com-plotto contro il Papa perché hoavuto la sensazione, stando a Ro-ma, di vivere da vicino un eventostorico. Mi aspetto altri colpi discena più funambolici delle mieesibizioni.

Paolo Sorrentino. Complotto èuna parola grossa, che è stata sco-modata troppo in fretta perché fa-ceva comodo alla semplificazionedei mass media. Mi ha molto col-pito la facilità con cui si strumen-talizza anche una grave malattia.

COSTUME

Il complotto visto dai cineasti

Sabato 3 ottobre: Monsignor Krzysztof Charamsa fa coming out. Dichiara di

essere omosessuale e di avere un partner da anni. Aggiunge che è in uscita

un libro che racconta la sua storia. Domenica 4 ottobre: si apre il Sinodo dei

vescovi dedicato alla famiglia. Mercoledì 21 ottobre: i giornali del Gruppo QN

pubblicano la notizia che Papa Francesco ha un tumore benigno al cervello.

Sabato 22 ottobre: la notizia viene smentita dal portavoce vaticano e i mass

media di tutto il mondo gridano al complotto. La teoria del complotto è subito

rimbalzata, provocando curiosità, preoccupazione e dietrologia, anche alla Fe-

sta del cinema di Roma, dove abbiamo raccolto i commenti, i giudizi e i pregiu-

dizi dei personaggi italiani e internazionali presenti.

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Frances McDormand. Le spystory che coinvolgono gli am-bienti segreti del Vaticano mihanno sempre affascinato come ilibri di Dan Brown. E infatti sem-brava tutto costruito per il set diun nuovo film, tutto troppo per-fetto per essere vero.

Isabella Rossellini. Viste da Ro-ma certe storie si capiscono me-glio, ma seguite dall’estero tuttoappare avvolto da quella stranasuspense che accompagna le sto-rie vaticane. Quella del complot-to contro il Papa ha colpito tuttoil mondo.

Cyril Barbancon. Vivere in di-retta il complotto mediatico ri-guardante Papa Francesco è stataun’esperienza unica, quasi comegirare le scene adrenaliniche de-gli uragani di tutto il mondo chemi hanno portato qui, alla Festadel cinema di Roma.

Paolo Taviani. Quella del com-plotto contro Papa Bergoglio è unadi quelle notizie già annunciate, daquando si è presentato al mondonel suo stile innovatore: si aspetta-vano solo le modalità. Non mi stu-pisce ma mi preoccupa.

Andy Byatt. Un complotto controPapa Francesco? È una notizia chepurtroppo in molti si aspettavano,forse più all’estero che in Italia.Un Papa che vuole cambiare certeregole incontrerà molti ostacoli,compreso un complotto.

Piera Degli Esposti. Quando holetto della malattia del Papa misono subito chiesta, come molti oforse tutti, cosa c’era dietro e chimanovrava una notizia cosìdrammatica. Poi, si sono scoper-te le carte e purtroppo si è capito.

Paolo Augero. Che copione intri-gante hanno offerto i giornali neigiorni della Festa del cinema: uncomplotto contro il Papa! Da regi-sta devo ammettere che è stato ar-chitettato alla perfezione, anche seho molte difficoltà a crederci.

Guy Edoin. I tempi cinematogra-fici di questo complotto sono dathriller di grande suspense: co-ming out del monsignore gay ilgiorno prima del Sinodo, notiziadella malattia del Papa. Compli-menti al regista... Parola di regista.

Dario Argento. Tutti a chieder-mi che cosa avrei fatto in un filmdedicato al complotto a PapaFrancesco. La mia risposta è chesono stato contento che la notiziafosse falsa. Tutto il resto fa partedel sistema millenario della sto-ria della Chiesa.

William Friedkin. Non credo aicomplotti, anche se vengo definitoa Hollywood «il regista del Male».Ma proprio perché cerco di inno-vare il genere horror devo essererealista. E un complotto in Vatica-no contro il Papa è troppo ovvio!

Gianni Amelio. A Roma sappia-mo o per lo meno intuiamo cheda secoli si ordiscono trame dipotere Oltretevere. In più, questoè un Papa che vuole cambiare laChiesa! La vera notizia è che lanotizia della malattia non è vera.

Donna Tartt. Per una scrittrice icomplotti provocano subito unacuriosità indagatrice. Se poi ilcomplotto riguarda l’uomo inquesto momento più amato e ri-spettato della Terra diventa unastoria da approfondire. E lo farò.

Peter Sollett. Quando una storia

ha i sincronismi così collaudaticome il presunto complotto a Pa-pa Francesco non mi convince.Andrebbe benissimo sul set di unmio film ma non nella vita reale,soprattutto vaticana.

Claudio Santamaria. Sospetto ilcoming out del monsignore primadel Sinodo, sospetta la notizia del-la malattia del Papa, sospetto ilcomplotto: sospetto anche che tut-ti quelli che credono di avere capi-to tutto non hanno capito niente.

James Vanderbilt. Complottocontro il Papa? Potrebbe esserel’idea per la mia prossima regia.È la personalità più carismaticadel mondo capace di riavvicinareCuba e Stati uniti, perché esclu-dere che una parte del Vaticanogli sia contro?

Elio Germano. Che tristezza lanotizia, per fortuna rivelatasi fal-sa, della grave malattia di PapaFrancesco. Ancora più triste èstato scoprire che faceva parte diun complotto contro l’uomo piùamato e seguito del mondo.

Mary Mapes. Ero arrivata a Ro-ma per presentare Truth, il filmsulla mia storia, ma sono stata su-bito coinvolta dal complotto vati-cano. Così ho lasciato il red car-pet per tornare giornalista d’in-chiesta. E ho chiesto un’intervi-sta al Papa.

Claudio Pollastri

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Gira nella rete un breve filmatodi Claude Monet anziano che di-pinge e passeggia nella sua oasidi Giverny. Malgrado il bianco enero e i difetti tecnici di una pel-licola antica, s’intuisce lo scintil-lio delle foglie sotto il sole e ilcontrasto con le ombre profonde,il luccicare dello stagno, il me-scolarsi di aromi e colori. Veden-do i quadri dipinti in quel giardi-no comprendiamo lo spirito delparticolare impressionismo diMonet. Egli non è soltanto il ca-poscuola e il più talentuoso delgruppo, è colui che ha portato al-le ultime conseguenze la logicaimpressionista.Al di là di tutte le teorie sulla lu-ce e il colore che hanno saturatola critica sul gruppo francese, unaloro acquisizione fu la possibilitàdi affrancare il dipinto dal suosoggetto. Non era questo lo sco-po, ma indirettamente avevanopredisposto una poetica in gradodi esprimersi per sé stessa, senzanecessario riferimento alla realtà.L’importante di quelle tele eranogli effetti creati dagli impasti dicolore, era proprio questo che lidistingueva dall’estetica accade-mica. Monet è però l’unico delgruppo che si serve di questapossibilità per creare immaginipregnanti che non richiamano unluogo fisico e non suscitano nem-meno il desiderio di confrontocon esso. Molti piccoli lavorieseguiti all’aperto sembranoschizzi, appunti, macchie di colo-re, ma non attendono di essere ri-elaborati perché sono già finiti.Per questa via arriverà verso lafine della sua carriera a una pittu-ra letteralmente informale comequella delle ninfee e di altre sug-

gestioni di Giverny. Monet morìricco e famoso nel 1926, quandol’Europa aveva conosciuto diver-se avanguardie e andava chieden-do quel ritorno all’ordine che ca-ratterizza l’arte tra le due guerre.In questo contesto Monet seguivala sua strada, non imitato da alcu-no e ignorato come vecchio daigiovani avanguardisti. Eppure sidovrà attendere fino agli anniCinquanta per trovare una pitturache assomigli alle ultime ninfee,una pittura fatta di solo colore.Ecco il genio di Monet. Natural-mente non tutta la sua produzio-ne è classificabile in questo stileliberissimo, un po’ perché dove-va vendere e trovare consenso unpo’ perché le novità richiedonotempo e sperimentazione. Così, èmolto interessante osservare co-me nella sua carriera abbondinovia via di più gli esempi di unapittura libera fino alla grandeesplosione degli ultimi anni.La mostra in corso a Torino è uti-le campionario per notare questatendenza. Oltre quaranta opere diMonet del Musée d’Orsay sonostate prestate alla GAM (catalogoSkira). Tra queste, opere impor-tanti e note, alcune mai esposte inItalia, insieme a lavori minori cheesprimono meglio la tendenza dicui si sta parlando. Certo, da unpunto di vista critico la mostra haben scarso valore, poiché si limi-ta a mettere insieme delle opereche stanno già insieme da un’al-tra parte. Permette di fare unapasseggiata tra i dipinti di Monet,ma non altro. Simile e ancora piùvaga, la serie esposta in contem-poranea a Genova (Palazzo Du-cale, catalogo Skira) con opereprovenienti dal Detroit Institute

of Arts sotto il titolo genericoDagli impressionisti a Picasso.Come abbiamo visto altre volte,l’impressionismo è una pitturapopolare in grado di attirare visi-tatori e di fare cassa.Eppure non mancano in questamostra della GAM opere di gran-de interesse, come il frammentode Le déjeuner sur l’herbe(1865-1866), che si colloca all’i-nizio della carriera di Monet. Acominciare dal titolo, egli volevamettersi in continuità e al tempostesso in competizione con la fa-mosa e discussa opera di Manet,evocandola in misure gigante-

ARTI VISIVE

Mostre d’autunno

818

Claude Monet, La

Rue Montorgueil à

Paris. Fête du 30 juin

1878, esposto alla

GAM di Torino. Nella

pagina accanto, il

verso del Polittico

Stefaneschi di Giotto.

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sche e in una composizione benpiù complessa. Egli stesso rac-contava nel 1920: «Dovevo l’af-fitto al proprietario di casa e, nonpotendo fare altrimenti, gli hodato in pegno la tela, che costuiha tenuto avvolta in cantina.Quando finalmente sono riuscitoa procurarmi la somma necessa-ria per riprenderla indietro, capi-rete bene che la tela aveva avutotutto il tempo necessario per am-muffire». Monet allora la tagliò ene conservò solo tre pezzi, dueora a Parigi e un terzo scompar-so. Il frammento qui esposto tra-disce tutta la foga e la voglia delgiovane artista che vuole emer-gere. Tra le opere celebri, dueversioni de La Cathédrale deRouen, dove la deriva informaleè evidente, e un dipinto della se-rie sul Parlamento di Londra.

È sempre un’emozione guardareda vicino il polittico Stefaneschidi Giotto, una pala d’altare dou-ble face, da un lato Cristo in tro-no e dall’altro san Pietro in trono,che fu per circa duecento annisull’altare della basilica di SanPietro, l’altare costantiniano co-struito sulla tomba dell’apostolo,fino alla demolizione dell’anticabasilica. Ora è nei Musei Vatica-ni da dove è uscito ben pochevolte. Tutta la teoria vasarianadel Giotto inventore della pitturamoderna è già qui. Angeli chetradiscono sentimenti nei volti.Una maestà del Cristo che non èsoltanto monumentalità, ma au-torevolezza che deriva dalla figu-ra stessa. E poi i martìri di Pietroe di Paolo, dove tutto è descrittocon sufficiente precisione, masenza indulgere a una teatralitàfastidiosa. Sembra proprio cheGiotto comprendesse la misuraesatta dell’immagine per la devo-zione. E non c’è tanto da stupirsise lo consideriamo, come in ef-fetti è, l’artista che ha trasforma-to in immagine lo spirito france-

scano di una pietà affettiva.Tutto ciò si rende ora evidentenella mostra a Palazzo Reale,l’ultimo evento culturale nel-l’àmbito di EXPO 2015, che pre-senta quattordici opere mobilidell’artista toscano. Pochi sono idipinti da cavalletto, essendo egliprincipalmente un grande fre-scante, e questa selezione è abba-stanza rappresentativa non solodello stile e tecnica, ma anchedella tesi stessa della mostra:Giotto fu il primo vero artistaviaggiatore. Con una bottega par-ticolarmente numerosa ed effi-ciente, egli percorse svariate cittàe centri culturali, da Napoli a Pa-dova, lasciandovi il segno delsuo rinnovamento.Poco si può dire di nuovo suGiotto. Nel catalogo Electa, Se-rena Romano prova a discutere latesi del Vasari di un artista com-pleto che è andato depositandonei vari luoghi la sua poetica sen-za farsi influenzare da nessuno.«Giotto nel racconto di Vasari è ilpiù fiorentino dei fiorentini, ma ètalmente bravo che tutti lo chia-mano [...]. Non c’è naturalmenteuna sola parola che permetta dichiedersi se Vasari si sia posto il

problema del dialogo dell’artista-genio con il luogo dove di voltain volta egli si recava: per Vasaril’opera del genio viene recapitatanelle varie destinazioni, per cosìdire a scatola chiusa, intesa a su-scitare ammirazione e impermea-bile al contesto in cui viene pro-dotta. Il viaggio insomma, perVasari, non è una traiettoria cro-nologica e psicologica che co-struisca il personaggio secondouna successione longitudinale lo-gica e in sviluppo: una nozione,questa, che sarebbe certo stataanacronistica nel Cinquecento,ed è comunque perfettamenteinutile agli obiettivi vasariani».Certo rinnovare una storiografiasedimentata lungo i secoli èun’impresa a dir poco ardua. Perme, un lavoro da fare è coglierela profonda visione religiosa diGiotto. Per esempio mettendo aconfronto i suoi dipinti con i testidi pietà popolare che i francesca-ni utilizzavano nella predicazio-ne di piazza. Ciò potrà aiutare acomprendere meglio il perchédella sua innovazione, comunqueincontestabile.

Michele Dolz

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Giottoviaggiatore

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«Ecco, li riconduco dalla terra delsettentrione e li raduno dalle estre-mità della terra» (Ger 31, 8): conquesto versetto la prima lettura didomenica 25 ottobre sembrava de-scrivere efficacemente la moltitudi-ne di sacerdoti e laici provenienti datutto il mondo, radunati nel Santua-rio dell’Amore Misericordioso aCollevalenza (Pg), per il VI Conve-gno della Famiglia mondiale di Ra-dio Maria, guidati dal Director’sAdvisor padre Livio Fanzaga, dalpresidente uscente Emanuele Ferra-rio e dal nuovo presidente VittorioViccardi. Già nella celebrazione diapertura era evidente il miracolo divolontariato che ha permesso allapiccola emittente nata a Erba, inprovincia di Como, di diventare ungrande albero che porta frutti dievangelizzazione e promozioneumana e sociale in ogni angolo delpianeta: sotto lo sguardo di padreLivio, si alternavano numerosi con-celebranti e altrettanti fedeli prove-nienti dagli Stati uniti all’Indonesia,passando per l’Ucraina e l’Uganda,il Messico e la Francia; e potremmocontinuare a lungo fino all’India ealla delegazione di Macao.

Dal 25 al 30 ottobre, i rappresen-tanti delle 75 emittenti già attive edei nuovi progetti in partenza neicinque continenti – citiamo, per tut-ti, Radio Mariam per i cristiani dilingua araba – hanno trascorso unasettimana di preghiera e formazio-ne sul tema Con Maria per le stra-de del mondo.Proprio come nei programmi tra-smessi in radio, le giornate del Con-

vegno sono state scandite dalla pre-ghiera delle Lodi al mattino, del-l’Angelus e della Divina Misericor-dia, dei Vespri e della Santa Messa,ogni giorno in una lingua diversa.Dopo la celebrazione di domenica25 e la presentazione dei Paesi pre-senti, sono iniziati i lavori lunedì26 con le relazioni introduttive dipadre Livio e di Emanuele Ferra-rio, che hanno invitato ciascuno arisvegliare il «fuoco» che attraver-so il lavoro quotidiano, con spiritodi sacrificio e di volontariato, hapermesso tale espansione, e a risco-prire l’identità di Radio Maria chepoi si incarna in un palinsesto benstrutturato che annuncia la conver-sione e diviene veicolo di speranza.In tutti i Paesi, nei più svariati con-testi, questo miracolo si può realiz-zare solo con l’amore per Maria eper la Chiesa, con la fiducia nelladivina Provvidenza e la centralitàdel volontariato. Tanto nelle confe-renze plenarie, quanto nei lavori digruppo o nei momenti conviviali èstato possibile condividere le pro-prie esperienze e confrontarsi sullesfide di questo grande progetto ma-riano missionario, anche in vistadell’Anno della Misericordia, checi chiama ancora più da vicino adandare, attraverso la radio, con Ma-ria sulle strade del mondo. «Con Maria», poiché senza il suoaiuto materno non sarebbe possibi-le uscire e diffondere l’annunciodella Misericordia, insieme con ilSanto Padre, verso tutte le periferiedel nostro mondo e del nostro tem-po. Sin dagli inizi Radio Maria è«Chiesa in uscita» che vuole darvoce a chi non ha voce, consolandochi non ha più speranza; che vuolearrivare ovunque ci sia un ascolta-tore. Di qui l’ansia missionaria di

questa grande cattedrale dell’etereche di anno in anno si rivela semprepiù grande delle aspettative. Qual èdunque il segreto di questo dinami-smo, che spinge a non accontentar-si, delineando nuovi scenari inAfrica e in Asia nel prossimo futu-ro? «Il segreto di Radio Maria è l’a-more per la Madonna perché senon ci fosse l’amore per la Madon-na non ci sarebbe Radio Maria», harisposto chiaramente Padre Livio,intervistato da Radio Vaticana, evi-denziando inoltre «un impegnoparticolare di sostenere il Papa,quindi di diffondere la sua voce e disostenerlo e di seguire la sua lineapastorale: questo è vero per tutte leRadio Maria del mondo».

Tale impegno viene evidenziatoanche visivamente dal consuetopellegrinaggio a Roma, che que-st’anno ha assunto una dimensionetutta particolare per l’Udienza pri-vata in cui Papa Francesco ha volu-to incontrare la famiglia di RadioMaria giovedì 29 ottobre. La gior-nata più emozionante del convegnoè iniziata prima dell’alba per arri-vare puntuali nella Basilica di SanPietro dove padre Livio insiemecon tutti i sacerdoti presenti ha ce-lebrato la Santa Messa. Ancora unavolta si rendeva tangibile il respirouniversale, quindi autenticamentecattolico, di questa grande famigliaraccolta attorno alla Cattedra diPietro, dove il suo successore con-tinua a confermare nella fede tutti ifratelli. Subito dopo la celebrazio-ne, la sala Clementina si riempivadi gioia e di emozione per l’incon-

MASS MEDIA

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75 emittenti,un’unica voce

Radio Maria,cattedrale dell’etere

L’udienza privatacon Papa Francesco

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tro dei 200 delegati di Radio Mariacon il Pontefice. «In questo mo-mento», ha detto padre Livio salu-tando il Santo Padre, «gli sforzi ditutti noi sono concentrati sull’Afri-ca e sull’Asia, che sono il futurodella Chiesa. In particolare, acco-gliendo la preoccupazione di SuaSantità, stiamo allestendo una WebRadio Maria in lingua araba, chepossa essere di conforto e di unio-ne per i cristiani perseguitati nelMedio Oriente».

In un discorso molto sentito e detta-gliato Papa Francesco ha quasi ri-percorso «lo sviluppo della Radio,prima in Italia e poi in tanti Paesidel mondo, con una capillarità euna rapidità sorprendenti», dimo-strando l’accoglienza inattesa che siincontra «quando si ha il coraggiodi proporre contenuti di alto profilo,a partire da una chiara appartenen-za cristiana». Tale sviluppo, ha con-tinuato il Papa, «non deve peròtroppo stupire, perché Maria, laMadre di Dio e Madre nostra, sottoil cui nome e la cui protezione è po-sta la vostra Radio, Lei sa trovare ilmodo per compiere, a partire dapiccoli e umili inizi, grandi opere».Papa Francesco ha evidenziato lamissione di Radio Maria «in ascol-to della società e delle persone, spe-

cialmente dei più poveri ed emargi-nati». Ha ricordato la natura di ap-profondimento e accompagnamen-to di questa emittente che «non co-munica solo un insieme di notizie,di idee, di musiche senza un filoconduttore [...], ma diventa un mez-zo di prim’ordine per veicolare lasperanza, quella vera che derivadalla salvezza portata da Cristo Si-gnore, e per offrire buona compa-gnia a tante persone che ne hannobisogno», fino a raggiungere oltre30 milioni di persone in tutto ilmondo, con il contributo di mi-gliaia di volontari. Questo miracoloè possibile soltanto partendo dallapreghiera, alla scuola della Vergine:«Amare con il cuore di Maria pervivere e sentire in sintonia con laChiesa», è stata l’esortazione delPapa in riferimento alla dimensioneinsieme mariana ed ecclesiale diRadio Maria. Infine il Papa ha con-cluso con un richiamo alla grandez-

za del compito di tutti coloro che inogni parte del mondo ne collabora-no alla grande missione: «Abbiatesempre presente che voi donatequalcosa di grande e unico: la spe-ranza cristiana, che è ben più di unasemplice consolazione spirituale,perché si fonda sulla potenza dellaRisurrezione, testimoniata con lafede e le opere di carità». Al termine del discorso Papa Fran-cesco ha voluto salutare singolar-mente tutti i 200 delegati presenti:«Ci siamo commossi, giù le lacri-me! Insomma, non si è stancato disalutare tutti! È stata una lunga pro-cessione, uno per uno...», raccontaPadre Livio, colpito dalla profondi-

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tà del discorso del Pontefice cheha toccato tutti gli aspetti essenzia-li che costituiscono l’identità e laspecificità dell’emittente: «Il di-scorso che ha fatto il Santo Padreè di grande soddisfazione per noi,perché è il riconoscimento supre-mo, il massimo riconoscimentoche possa esserci sulla bontà dellaradio, sul bene che fa». Con l’au-torevole e paterno incoraggiamen-to di Papa Francesco, dunque, lamissione di Radio Maria continuacon rinnovato vigore in Italia e nelmondo: «Noi diciamo», proseguepadre Livio, «che dobbiamo aiuta-re la Madonna ad aiutarci: questoamore per la Madonna è quellamolla che fa sì che Radio Mariasia una pianta sempreverde», i cuirami, aggiungiamo, si protendononei cinque continenti per «aiutarela Madonna a salvare le anime».

Stefano Chiappalone

«Amare conil cuore di Maria»

Papa Francesco ha chiuso il VI Convegno della Famiglia mondiale

di Radio Maria ricevendo i delegati delle 75 emittenti operanti in

tutto il mondo. Sotto il saluto a padre Livio Fanzaga.

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Quando, nel 2003, le riviste musi-cali incominciarono a parlare diSufjan Stevens nessuno sapevache cosa aspettarsi da questo ra-gazzo nato nel 1975 a Detroit etraferitosi, nel 2001, a New York.Colpiva quel nome: Sufjan. Nonun nome d’arte ma l’omaggio deigenitori, cristiani evangelici affa-scinati dalle mistiche delle reli-gioni, ai Sufi – i mistici musulma-ni famosi per le loro poesie, le tra-scinanti musiche devozionali e iballi estatici dei Dervisci. Colpivaancora di più la bizzarra bellezzadi un album, Michigan, che pro-poneva un Folk/Pop naïf e orche-strale. Stevens lo presentò comeil primo capitolo di un’opera chelo avrebbe portato a scrivere unalbum per ogni Stato degli USA

in quello che definì Fifty StatesProject. Sufjan, accompagnatoqua e là da una manciata di musi-cisti, scrive produce e suona, pertutto l’album, una trentina di stru-menti: chitarre, piani acustici edelettrici, oboe, corno inglese,flauti, batteria, percussioni, voci equalsiasi strumento possa essereutile per creare un Wall of Soundnaïf e sofisticato così all’oppostodi quel Muro di Suono che PhilSpector aveva insegnato dalla se-conda metà degli anni ’50. A rendere il tutto ancora più stra-no ci sono i titoli lunghi e bizzar-ri, le tematiche toccate (dalla re-ligione, al lavoro frustrante), lenovecentesche lunghe code stru-mentali, e una voce che, apparen-temente fragile, convince sempredi più. Ma non si fa in tempo ametabolizzare Michigan che su-bito esce il successore: SevenSwans. L’impianto sonoro e te-stuale cambia radicalmente. Ci

troviamo ora davanti a una seriedi canzoni acustiche suonate incompagnia della famiglia Smith– Elin, Meghan, David, Andrewe Daniel, quest’ultimo anche pro-duttore dell’album –. I testi siconcentrano intimamente sui te-mi della fede, dell’amore e del-l’amicizia tracciando, come mol-ti sottolinearono all’uscita del-l’album, la «posizione geografi-ca» del cuore e dell’anima. Undisco registrato in casa e quasidal vivo per ottenere quel caloree quella sincerità necessari perrendere appieno il senso dellecanzoni che, se in un primo mo-mento sembravano essere inqualche modo «minori», acqui-stano nel tempo una forza anchesuperiore a quelle di Michigan.

Passa un anno e arriva Illinoisesecondo capitolo dell’annunciatoFifty States Project ed è un capo-lavoro che fa apparire i preceden-ti album come dei bozzetti. L’ab-bozzato Wall Of Sound fatto dadecine di strumenti e strumentinisi ingrossa senza perdere il suogusto naïf. Ma compaiono ancheriferimenti al minimalismo diPhilip Glass come uno sviluppodi quel senso processionale che,presente anche nei suoi primi al-bum, appare più a fuoco. La biz-zarria torna prepotente nei titoli,nell’iconografia e nei temi del-l’album ma è sempre accompa-gnata da riflessioni intime sullavita e sulla fede che lasciano stu-piti. L’album ha un meritato suc-cesso anche grazie al trascinante

singolo Chicago, ma molti sono ibrani che fanno pensare a un ca-polavoro: il minimalismo ondeg-giante di Come On! Feel The Illi-noise!; la dolce amarezza di JohnWayne Gacy, Jr.; l’orecchiabilitàorchestrale di Jacksonville; l’inti-mità di Casimir Pulaski Day; lacomplessità di The Man Of Me-tropolis Steals Our Heart (inqualche modo così vicino alle co-se migliori dei Wilco). Un albumche non stanca e che sorprende aogni ascolto con le sue infinitesfumature, la sua freschezza eispirazione. Un’ispirazione cheportò Sufjan a produrre, pochimesi più tardi, Avalance, un al-bum con gli scarti più nobili di Il-linoise e che supera ogni aspetta-tiva con le sue «nuove» canzoni ele versioni alternative di quelleche conoscevamo. Siamo nel 2006 e in autunno arri-va un regalo inaspettato: SongFor Christmas, un cofanetto in 5EP con più di 2 ore di musica euna serie di gadget tra cui un li-bretto con testi e accordi per suo-nare le canzoni. Nel cofanettotrovano spazio i brani, tradizio-nali e originali, registrati e dona-ti agli amici, come regalo natali-zio, tra il 2001 e il 2006. Ma inrealtà questa apparente iperpro-duzione sta nascondendo altro.Sufjan Stevens non suona prati-camente nulla di nuovo dal 2005e, sino al 2010, non pubblicheràaltro che una splendida cover diJoni Mitchell (una Free Man InParis sorprendente per capacitàdi riscrittura) e un album su com-missione, The BQE, una colonnasonora per un documentario sul-l’autostrada urbana di New Yorkin cui elettronica e minimalismo

JUKEBOX

Il genio sghembo di Sufjan Stevens

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Cofanettonatalizio

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sono ingredienti di un’operacomplessa e riuscita. Peccato sitratti di registrazioni scritte e ese-guite nel 2006!

Qualcosa pare essersi rotto nelmeccanismo di questo talentuosoragazzo le cui fragilità sembranosempre più evidenti. Traspaionoin rete informazioni su crisi mi-stiche e momenti depressivi im-portanti. Le amicizie e la fami-glia sembrano gli unici luoghidove trovare tranquillità e identi-tà. Nel 2008 viene comunquepubblicato il disco casalingo deiWelcome Wagon, la band forma-ta dalla coppia Vito e Monique,amici e pastori evangelici giàpresenti, e celebrati, in Michigan.Il disco è delizioso nel suo essererock/folk e corale allo stessotempo e sorprendono molto lecover di Half A Person degliSmith e di Jesus del Lou Reedperiodo Velvet Underground. Ma a tenere vivo il nome del mu-sicista di Detroit arriva finalmen-te, nel 2010, un EP di nuovo ma-teriale: All Delighted People, ini-zialmente scaricabile solo sul si-to di Steven. Il lungo EP è, se-condo l’autore, «un omaggiodrammatico sui temi dell’Apoca-lisse, della noia esistenziale e delPaul Simon di The Sounds of Si-lence». Per noi appassionati un

disco riuscito a metà ma anche laprova che la carica emotiva, lanostalgia spirituale e il talentodei suoi primi lavori non sonoandati completamente perduti. Sorprende comunque tutti, a metà2010, l’uscita del nuovo album, el’ascolto lascerà ancora più fra-stornati. The Age Of Adz è unomaggio al lavoro, alla vita (e al-la follia) di Reale Robertson, unoscuro artista creolo che parla divisioni apocalittiche, di alieni, diprofezie e utopici templi. A primavista un’opera che sembra andarevicino a un delirio costruito assie-me a un compagno di camera du-rante un ricovero in casa di cura!E la musica? La musica è assolu-tamente spiazzante! Dopo un tie-pido inizio di sghembo folk/rockecco arrivare prepotente un fittoarmamentario di elettronica anni’90. Suoni spaziali, avanguardia,follia e rimandi alla musica coltadel ’900 vanno al servizio di unamusica che si allontana dalla can-tabilità pop in modo radicale. Co-me un novello Dylan – che ab-bandonò la chitarra acustica, ilfolk e il farsi portavoce della pro-testa di una generazione per get-tarsi nel Rock – Stevens abbando-na le attese salvifiche di cui i fanshanno ammantato la sua figura esi getta, con tutta la follia e l’au-dacia di cui capace, verso territo-ri sconosciuti. Il disco spiazza esolo il paziente ascolto e gli in-credibili concerti con cui è pre-sentato ne restituiscono la folgo-

rante e folle bellezza. La com-plessità elettronica pop/baroccadel disco è esemplificata perfetta-mente nell’ultima delle dieci trac-ce: i venticinque minuti di Impos-sible Soul che consiglio di cerca-re in qualche versione live su YouTube per comprenderne appienogioia e visionarietà!Ma per riavere notizie di SufjanSteven bisognerà aspettare il co-fanetto natalizio Silver & Goldnel 2014, più ricco del preceden-te ma meno prezioso musical-mente. Nel 2015, cinque anni disilente dolore dopo The Age OfAdz, ecco Carrie & Lowell, unalbum che parla della propria fa-miglia e della propria madre:schizofrenica e morta di tumorenel 2012. Un album intimo co-me una confessione e una rifles-sione unica sull’amore. Su sem-plici melodie folk Stevens rac-conta, iniziando dalla asciuttaDead With Dignity, di come sipossa essere grati anche di unamadre, Carrie, malata e «assen-te» per molto tempo; gratitudineanche per il «patrigno» Lowell,che, scomparso il padre naturaleall’età di un anno, si fece caricodella famiglia sino a diventare ilcofondatore della casa discogra-fica per cui Stevens incide e pro-duce. Ma la grandezza del discosta nel riconoscere, e renderepoeticamente pubblici, anche ifraintendimenti e gli abbandoni,così come i momenti di rabbia,che sin da piccolo provava peruna madre che a volte scompari-va nel dolore del delirio e dellamalattia. E allora la perdita el’angoscia nel disco si fanno pa-rola dura che diventa dolce pro-prio nel suo unirsi con una musi-ca mai sopra le righe e capace,appunto per questo, di moltipli-care la forza del testo in manieracommovente. Un’incomprensio-ne che diventa ragione e discotra i più belli di questo decennio.E pazienza se, alla fine, l’epopeadel Fifty States Project si sia fer-mata solo al secondo capitolo!

Paolo Ronchetti

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Amore & angosciaper la madre

Sufjan Stevens

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14 settembre

Nemo propheta in patria, potreb-be esser detto in doppia veste inquesta consueta diatriba: appenatre giornate di campionato e siapre la stagione della «caccia al-l’allenatore». Sia nel senso di im-pallinamento che di allontana-mento dalla squadra. Così il piùfamoso napoletano non di Napoli,Diego Armando Maradona, pro-nuncia contro il meno famoso (al-meno sinora) dei napoletani, diNapoli: «Sarri non è un allenato-re da squadra vincente». Aggiun-gendo poi un ricordo personale:«Questo Napoli mi ha fatto ricor-dare il mio primo Napoli, quandolottavamo per evitare la retroces-sione: questa è la mia grande pau-ra». La paura per ora dev’esserproprio passata (si legga qui l’ul-tima noticina del tacuin).

27 settembreMondiali di ciclismo, la notizia èarrivata in Italia alle 22.04: lo slo-vacco Peter Sagan ha trionfato aiMondiali di ciclismo. E chi è? Co-sa aveva vinto sinora? Secondo è

arrivato l’australiano MichaelMatthews (ma non erano campio-ni nel rugby e poc’altro?), e terzoil lituano Ramunas Navardauskas(???). Il migliore degli italiani èstato Giacomo Nizzolo, che è arri-vato ben diciottesimo. Compli-menti: un vero successo. Scusate-mi, ma Vincenzo Nibali dov’era?

11 ottobrePronti via! Parte il campionatoeuropeo di pallavolo maschile. Eper l’Italia, Paese organizzatorein condominio con la Bulgaria,dopo due belle vittorie una scon-fitta, brutta, contro la Francia.Ma si va avanti Ci aspettano otta-vi e poi chissà... si sogna!

17 ottobre... e ci si sveglia in semifinale con-tro la Slovenia (di un beneamatoex: Andrea Giani): che batosta! Ilsogno dell’Italvolley di qualificar-

si per la finale dell’Europeo, sulparquet di Sofia, sfuma davanti aun’implacabile Slovenia. Gli az-zurri hanno dovuto fare i conticon il proprio passato, che avevaper l’appunto le sembianze di An-drea Giani – napoletano da tempoalla guida degli sloveni e Cavalie-re Ordine al merito della Repub-blica italiana dal 2000 –, e sonousciti sconfitti da un confronto di-retto per tanti versi fratricida. 3-1(25-13, 23-25, 25-20, 25-20) ilpunteggio finale del match dispu-tato contro la squadra-rivelazionedel torneo. Giani ha dato un’im-pronta alla Slovenia, perfezionan-do il proprio capolavoro contro gliazzurri, in una partita fin da subi-to apparsa in salita. Un vero e pro-prio Everest da scalare, di fronteal quale gli azzurri hanno alzatobandiera bianca, e ben sotto i fati-dici Ottomila.

TACUIN SPORTIVO

Maradona-Sarri, le parole & i fatti

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Diego Armando Maradona

Peter Sagan

L’Italvolley in azione

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21 ottobreDoveva essere il giorno delle ce-lebrazioni. Flavia Pennetta, l’e-roina di Flushing Meadows (an-che se per me resta Roberta Vin-ci-Golia la vera eroina di quel-l’occasione), che diventa la quin-ta italiana della storia a raggiun-gere il Master di fine anno; erapronto a suo nome al gate del-l’aeroporto moscovita un bigliet-to per Singapore, destinazione fi-nali Master WTA, che significauna chiusura di carriera in grandestile. Le celebrazioni ci sono sta-te, come la WTA, che ha piazza-to in apertura di sito le congratu-lazioni alla brindisina. Un’orascarsa dopo i quarti raggiunti aMosca, Flavia ha annunciato ilritiro dalla Kremlin Cup per unavescica al piede destro, poco do-po aver dichiarato di essere entu-siasta per aver strappato il bi-glietto per Singapore. Con tuttala comprensione possibile, cam-bierei il manager della comunica-zione: comunque, e con tutte leattenuanti possibili, una caduta distile. Della vescicola nessunopuò accertarsene, della sua gioiainvece... E giù qualche malignitàe retropensiero. Si può sempreimparare da Valentino Rossi (ve-di sotto).

22 ottobreValentino Rossi è grande e sequalcuno ancora aveva dubbi ec-co una dichiarazione da pluri-campione del mondo della comu-nicazione (vedi sopra): «Ormai èchiaro: Márquez punta non solo avincere la gara, ma anche ad aiu-tare Lorenzo. Jorge, hai un nuovofan in pista...». Così Valentinothe Doctor punge Lorenzo, suocompagno di scuderia alla Yama-ha e rivale nella corsa al Mondia-

le di MotoGp, nella conferenzastampa ufficiale alla vigilia delGran Premio di Malesia. A Se-pang il penultimo GP della sta-gione offre a Rossi il primomatch point per il titolo. «Maquesta situazione», insiste con unsorriso il pilota di Tavullia,«cambia le cose».

23 ottobre

«Sarri è un maestro»: così ArrigoSacchi, guru e maestro a sua vol-ta, ha subito preso le difese delneo allenatore del Napoli, controMaradona ovviamente. Maestrodi calcio, e zen, visto il modo im-perterrito con il quale ha conti-nuato a lavorare secondo il suometodo, e così, dopo aver inanel-lato al 23 ottobre, tra campionatoe coppe, 5 vittorie consecutivecon il suo Napoli (Juventus, Mi-lan, Fiorentina in campionato,Legia Varsavia e Midtjylland inEuropa League, 14 gol fatti e 3subiti), all’indomani della quintapunge i suoi recriminando un po’per il secondo tempo del Napolicontro i danesi in coppa: «Abbia-mo gestito, ma noi siamo moltopiù bravi ad affondare. Molto be-ne fino al 3-0», osserva il tecni-co, «ma abbiamo preso il gol persuperficialità. Evidentemente pen - savamo che la partita fosse giàchiusa». Però: sempre alla caricae a trazione anteriore. Grazie (perora), maestro!

Francesco Napoli

Flavia Pennetta

Valentino Rossi

Maurizio Sarri

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CRUCIVERBA

826

ORIZZONTALI: 1 Scolpì l’Ecce

puer (in Sc.652). - 12 Era il «lazo»

nostrano. - 20 Antica popolazione

germanica. - 21 Casa di moda mi-

lanese. - 23 Nome di animale. - 24

Scoppia a bocca aperta. - 25 Chiu-

dere stringendo. - 27 Abbondano

di piante spinose. - 28 Le dee del

destino nella mitologia greca. - 29

Pregiato gallinaceo. - 30 I sudditi

di re Ciassare. - 31 Due cavità del

cuore. - 32 La settima ruota del

Lotto. - 33 La corsa... di Filippide.

- 36 Se cantano sono confesse. - 37

Finisce... in una bolla di sapone. -

38 Possono accogliere fregate. - 39

Ha cinque cifre (sigla). - 40 Un’u-

scita sull’autostrada A10. - 42

Un... treno nell’antica poesia gre-

ca. - 44 La patria di un noto Iaco-

pone. - 45 Lago detto anche Cusio.

- 46 Le forniscono i cibi. - 47 La

Rykiel della moda. - 48 Lavoratori

manuali. - 50 Il divertente genere

di Zelig. - 51 Gad giornalista. - 52

Ha radice tuberosa dalle proprietà

stimolanti. - 54 Schizza e inzac-

chera. - 55 Ingrassando... diminui-

scono di peso! - 57 La Peppa Pig

dei cartoon. - 58 Giunge fuori tem-

po.

VERTICALI: 1 Il mare di Istan-

bul. - 2 La cura che abbronza. - 3

La Clary, amata da Napoleone. - 4

Michele che scrisse una Storia dei

Musulmani di Sicilia. - 5 Scadono

quando maturano. - 6 Forma i cro-

mosomi. - 7 No... anagrammato. -

8 Lo spicco che mette in evidenza.

- 9 Tipo di deserto pietroso. - 10

Balzani, bislacchi. - 11 Porto alge-

rino. - 13 Sigla dei voli Alitalia. -

14 Una voce nel conto del ristoran-

te. - 15 Fabbricano funi. - 16

Eschimesi del Canada. - 17 Il di-

partimento francese n. 01. - 18

Opera di Verdi e tragedia di Schil-

ler. - 19 Fu un nostro impero (si-

gla). - 22 Attirava nel Klondike. -

26 Il padre di Teseo. - 29 Una pre-

datrice di galline. - 30 Fra Terra e

Giove. - 32 Michel che è stato un

idolo juventino. - 33 Un minuscolo

video. - 34 Sinéad cantautrice. - 35

Luogo con molte arnie. - 37 Il gat-

to a caccia di Puffi. - 38 Le cosce e

le kaiser in tavola. - 41 Il vero co-

gnome di Franca Valeri. - 42 Fa bi-

nomio con ars. - 43 La città sviz-

zera che ricorda una sconfitta di

Carlo il Temerario. - 44 Il dolce del

compleanno. - 46 La web che ri-

prende. - 47 La «casa» delle Tole-

do. - 48 Sigla dei cibi transgenici. -

49 Sigla petrolifera italiana. - 51

La sorella di padron ’Ntoni. - 53

Iniziali della Nannini. - 56 Cuore

di nobildonna.

di Florio Fabbri

Fra tutti gli abbonati che invieranno entro il 31 dicembre 2015 l’e-

satta soluzione del cruciverba, verranno estratti tre buoni acquisto da

euro 100 in libri del catalogo Ares. Gli analoghi premi messi in palio

tra i solutori del cruciverba n. 655 (settembre 2015), qui risolto, so-

no stati vinti dai signori: Luca Allegretta, di Milano; Pierluigi Malfat-

to, di Roma; Alessandra Resta, di Vigevano (Pv).

Z A T O P E K P A S T E U R E V A S O

N A D I R D A R T A G N A N I R E

E N R I C O B O T T I N I F A S C I N A

S I A D I A R I O D D T S V A S S O

T E C U C U L O L E A U D O R T I S

R S O M A L E T O M R E G G I A T

E M I R I I A F E T R E G A L O R A

M E N A D E C O N P E N A T I F A N

A N E L I T I L E G A A N S E A T I C A

D A L A N A T R E L L A A T O N E

S E D I A S T O I A I E S U O C E R O

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19

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conti imbevuti di esistenziali-smo. Due partiture narrative s’in-seguono, si smarcano, si ritrova-no. «La mia vita», spiega GinoPaoli, «è stata un viaggio lun-ghissimo. Un percorso pienod’incroci e dolori. Tanti amicipersi per strada. Il rimpianto dinon aver passato abbastanza tem-po con loro. Il ricordo, semprepiù debole. E allora resta ciò chesi è dato, e ciò che si è preso».Fluiscono note centellinate. Ilpianoforte «solo» di Danilo Reacrea gocce sottili, poi grumi piùdensi. Sono canzoni come Io cheamo solo te, Ritornerai, Bocca dirosa. Brani solo strumentali. Èuna marcia incalzante, il cuore vain temperatura. Arriva l’accompagnamento vo-cale, Gino Paoli è un diesel: Ve-drai vedrai, Il nostro concerto,Albergo a ore. Il climax sale, è unflusso di pensieri. È il ricordo diSergio Endrigo, Bruno Lauzi, Fa-brizio De André, Luigi Tenco,

Umberto Bindi, Herbert Pagani.È la Storia della canzone italianad’autore. Il registro si fa elegia-co. Tanto vale aggiungerci Unafurtiva lacrima e ’O sole mio. Lagatta entra in scena, di soppiatto.Un fondo blu cobalto accompa-gna un concerto per tutte le età.Non c’è disegno delle luci, che ri-mangono ferme. Ad accendere leemozioni bastano le note di Rea ela vocalità di Paoli. Che affermadi saper comunicare solo con lecanzoni. Eppure, anche parlata,ogni sua parola è una vibrazionediversa per rappresentare la vita,che non è mai quella che sembra.Nella track list c’è Non andarevia, versione italiana dell’im-mortale Ne me quitte pas, cheproprio Jacques Brel chiese ditradurre a Paoli.Tecniche impressionistiche. Tan-ta improvvisazione, nel sensomigliore del termine. Canzonicome Sassi che, sfiorando l’er-metismo, raccontano rovelli inte-

Quando la musica dà spettacolo

827

TEATRO

Raffinate note jazz e ritmi festosi.Canzoni come storie. Che tuffo neiricordi le serate intorno all’equino-zio d’autunno al Teatro Manzonidi Milano: il 22 settembre il con-certo con Gino Paoli e Danilo Rea,la loro musica elegante e assorta; il6 ottobre il remake – dopo quaran-t’anni – dell’incontro tra Toquinhoe Ornella Vanoni.Vintage intramontabile, come ildesign dell’epoca. Musica legge-ra, non senza quella gravitas ca-pace di fotografare lo spirito delmomento e anticipare nuovefrontiere. Le rughe degli anni nonintaccano lo smalto, anzi, smus-sano certe ruvidità.

Due come Noi che (Parco dellaMusica Records) è il disco cheGino Paoli, autorevole interpretedella canzone italiana, e DaniloRea, uno dei più creativi pianistisulla scena nazionale, hanno in-terpretato dal vivo sul palco delManzoni. Note jazz malinconi-che. Divagazioni oniriche. Si èrinnovato, nell’ambito della ras-segna Expo a Teatro, il sodaliziogià sperimentato con il progettoUn incontro in Jazz e la pubbli-cazione degli album Milestones eAuditorium.Uno stock dei brani più celebri diGino Paoli: Il cielo in una stanza(sogno tra Magritte e Leopardi),Che cosa c’è, Senza fine, Unalunga storia d’amore. Due artistiassoluti. La voglia di sperimenta-re ancora. La capacità di rinnova-re classici della musica italiana.Un pianoforte e una voce, rac-

Gino Paoli& Danilo Rea

Toquinhno & Ornella Vanoni

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riori, indagano la psiche. Sempreinterpretano l’amore in modonuovo, senza retorica. Con unostile asciutto capace di saldarefermenti introversi alla comuni-cazione più diffusa.Abbinare il pianismo jazz dànuova linfa anche a classici dellacanzone napoletana come Regi-nella e Passione. Il cantautoregenovese ha modo di asseconda-re al meglio il proprio stile inti-mistico. A sua volta Rea improv-visa con arrangiamenti «inverti-ti». Finisce con l’avvicinare lanostra canzone d’autore melodi-ca al jazz. Fonde due pubblici di-versi, che non sempre hanno fat-to fronte comune.

Sonorità carioca e ritmi jazz.Dal Brasile al Belpaese. Il Man-zoni è teatro del ritorno tra ilchitarrista brasiliano Toquinho eOrnella Vanoni, nel segno dellacollaborazione discografica cheli vide insieme a metà degli an-ni Settanta.Aneddoti spensierati pieni d’i-ronia. Fremiti nostalgici. To-quinho fa musica da quando erain pantaloncini, ai tempi dellelezioni con il maestro PaulinhoNogueira che lo guidò al perfe-zionamento dello strumento ealla scoperta della musicalità,dei segreti dell’accompagna-mento e del «solo». In Brasileerano tempi difficili. La musicaera via di liberazione. Emerserotalenti come Zimbo Trio, Mar-cos Valle, Bossa Jazz Trio, Tai-guara, Ivete, Tuca, GeraldoCunha, Chico Buarque. Ogni chitarra ha la sua voce.Quella di Toquinho ha calde notecorpose. La sala si anima. L’arti-sta di San Paolo ripercorre impor-tanti successi propri e altrui, Ac-quarello, Garota de Ipanema, Oque será. Oggi più che mai nellasua musica confluiscono gli inse-gnamenti dei grandi del Brasilecome Vinícius De Moraes e Antô-

nio Carlos Jobim. Toquinho ri-propone classici come Sambapara Vinicius. È un carosello ilduetto con la Vanoni, che sale sulpalco a piedi scalzi, memore deitrascorsi teatrali, ed è standingovation. Con Toquinho, Ornellagioca in casa, ritorna l’affascinan-te personaggio capace di proporreun modello di performer comple-ta, la prima a rifiutare il ruolo disemplice esecutrice già alla finedegli anni Cinquanta, quandoun’intelligente operazione artisti-ca pensata da Strehler e FiorenzoCarpi la trasformò nella cantantedella «mala» milanese. Ma il re-gistro particolare della sua voce,adatto al jazz come alla musicateatrale, fa di lei una cantante suigeneris sofisticata. L’incontrocon Toquinho è la sublimazionedella sua corrispondenza affettivacon la canzone brasiliana, chesfocia in successi come La vogliae la pazzia, l’incoscienza e l’alle-gria o Tristezza (per favore vaivia), cui affianca il partenopeoAnema e core.

I due artisti sul palco divertono.Rievocano episodi gustosissimi.Pur senza rinunciare ai princìpidella melodia e al suo virtuosi-smo chitarristico, Toquinho libe-ra le canzoni da quel fardello dioleografia insito alla musica po-polare brasiliana. Contamina emodernizza il tutto con radici rit-miche africane. Toquinho parlacorrentemente l’italiano e hadavvero, come il suo maestro Vi-nícius, il gusto della comunica-zione e dell’intrattenimento, se-condo la massima di De Moraesche diceva «la vita, amico, è l’ar-te dell’incontro». Ripeteva an-che: «Nella vita ama pure piùdonne, ma una per volta». To-quinho, da perfetto allievo, sulpalco con Ornella Vanoni ha ono-rato l’uno e l’altro precetto.

Vincenzo Sardelli

La definizione di Gnosi di Prin-ceton risale al 1969. Fu coniatada osservatori esterni colpiti daalcune analogie fra le conclusio-ni alle quali erano giunte i fisicidi Princeton (e Pasadena) e lefantasie mirabolanti delle antichesette gnostiche, sorte tra il primoe il secondo secolo dell’era cri-stiana, nell’area medio-orientale,a opera di personaggi le cui bio-grafie sono tuttora avvolte nelmito: Valentino, Menandro eMarcione. La Gnosi di Princetonsi caratterizzava per un particola-re sincretismo di idee, miti e sim-boli propri dell’antichità religio-sa, dal cristianesimo al neoplato-nismo, all’orfismo, reinterpretatialla luce di un cupo e divorantepessimismo. A questa dottrinaaderisce, potremmo scommetter-ci, il giornalista e imbonitore te-levisivo Roberto Giacobbo (nonlo fa apertis verbis, ma lo si de-sume da mille indizi). Il Nostro èil bersaglio preferito di autorevo-li critici televisivi come AldoGrasso, che (non senza ragione)lo accusa di diffondere vecchieleggende metropolitane cautelan-dosi dietro frasi di circostanzacome «teoria apparentemente in-credibile», dal giornalista Ales-sandro Cecchi Paone che lo rim-provera di fare «programmi in te-levisione, che fanno i soldi sullepaure e le irrazionalità» in rela-zione alle profezie sulla fine delmondo nel 2012. Anche il comi-co Maurizio Crozza, nel suospettacolo Crozza Alive, ha dedi-cato alla trasmissione Voyageruna striscia satirica, in cui l’imi-tazione di Giacobbo ammette di«inventarsi» improbabili misterie di esporli in modo «raffazzona-

RIVISTE & RIVISTE

Un nuovo gn osticismo

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Così parlòVinicius

Ornellabrasiliana

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to» e casuale. Ci chiediamo: co-me può un personaggio simile, ametà fra Cesare Cadeo e VannaMarchi, ricoprire il ruolo di vice-direttore della seconda rete na-zionale? Ma soprattutto: chi lo hainsediato, nel 2009, sulla poltro-na di RaiDue? La rete è quella di Clemente Mi-mun, la stessa sulla quale Loren-za Foschini impazzava, nel 1994,col suo programma Misteri. In-somma, la propensione della se-conda rete della nostra televisio-ne di Stato nei riguardi degli ar-gomenti «misteriosi» è a dir pocoassodata. Perché, noi ci chiedia-mo? Un animato dibattito da Caf-fè Sport potrebbe a questo puntoaprirsi. Evitiamo. Ma torniamoallora al nostro Giacobbo, diret-tore del mensile Voyager, unospin-off della fortunata trasmis-sione, seguita con ansia da casa-linghe annoiate e adolescenti fo-runcolosi in preda a febbre dacrescenza. Campeggia a titoli cu-bitali sulla copertina del numerodi agosto 2015 la notizia (che la-scerà senza fiato, letteralmente,più di uno di noi): «Dio esiste.Ecco la prova!». E nell’occhiellodel titolo: «Matematici, filosofi efisici hanno risolto il teorema(sic) impossibile: dimostrare lapresenza di un’entità superiore».Soprattutto: che cosa tutto ciò ab-bia a che vedere con il celebreteorema dell’incompletezza delmatematico Kurt Gödel o con ilneoempirismo di Bertrand Rus-sell o con la famigerata pipa con-cettuale di René Magritte («Cecin’est pas une pipe») non sappia-mo, nescimus. Certo è che il ser-vizio in questione sembra andareincontro a una fame diffusa di so-

prannaturale, come lo è quelladiffusa tra coloro i quali ravvisa-no miracoli dappertutto. Da unaparte lo spiritualismo più acceso,dall’altra il neopositivismo che,mascherato da curiosità nazional-popolare, mette fuori le sue an-tenne e sonda l’aria che tira.

Passeggiando, durante l’invernorigido del 2006, fra le anonimeedicole che prosperano nelGreenwich Village di New York,ci imbattemmo in una rivistache di questa istanza materiali-stica – in un Paese fortementeconservatore come lo è stata,dopo l’11 settembre, l’Americadi G.W. Bush – aveva fatto il suoplat de résistance. Parliamo delmensile, ovviamente in linguainglese, U.S. News & World Re-port, fondata nel 1933 da DavidLawrence, da uno che, nel Paesedel bengodi e della notizia faci-le (ricordate il film Quinto pote-re di Lumet?) aveva avuto «l’i-dea di dar vita a un organo di in-formazione al tempo stesso se-rio e utile a tutti, capace di ren-der conto tanto della cronaca lo-cale che degli affari internazio-nali. Se nel 1958 la tiratura delmensile si attestava ancora in-torno al milione di copie, nel1973 le copie mensilmentestampate erano già due milioni.Il 2010 vede il passaggio dellatestata al formato unicamentedigitale, che è secondo alcuniuna vittoria, secondo altri (noifra questi) un fallimento. L’edi-tore della testata, Brian Kelly,

commentò: «This is the lastmonthly print issue of U.S.News & World Report, but it isby no means the last of U.S.News» («Questa è l’ultima pub-blicazione stampata mensilmen-te di U.S. News & World Report,ma non è certamente l’ultima diU.S. News»), il che altro non si-gnifica se non «il re è morto, vi-va il re», un brocardo contrad-dittorio e senza senso compiuto. Ma torniamo al nostro bravo ar-gomento. «In search of the realJesus», alla ricerca del vero Ge-sù. Nuove ricerche ci dicono, af-ferma il mensile, se Gesù sia sta-to «more teacher than savior»(«più maestro che redentore»).Un bel quesito, ma soprattuttouna bel titolo di copertina, che èun poco come annunciare laquadratura del cerchio o la pro-vata efficacia della fusione fred-da. Ma, in fondo, costa così po-co affermare l’indimostrabile,quanto, cioè, non può essere néprovato né smentito (Popper neparla come delle proposizioniclassicamente non falsificabili).Una sola cosa è vera e sottoscri-vibile tra quelle riportate dalmensile americano: «Some fearthat the new Gnosticism threa-tens the shape of Christianfaith» («Qualche timore che ilnuovo gnosticismo minacci laforma della fede cristiana»)(U.S. News, Dec. 2006, p. 72).Alcuni temono che il «nuovognosticismo» – o il «nuovo mi-sticismo», ossia la cattiva infor-mazione intrisa di fede spiccio-la e di scientismo d’accatto,sempre che la traduzione spuriagarbi al nostro lettore – possacostituire una reale minaccia neiconfronti della fede cristiana.Mai giudizio fu più azzeccato,crediamo, e più pertinente.

Carlo Alessandro Landini

Un numero del mensile Voyager costa €3,50. Dei tristi destini del settimanaleU.S. News & World Report abbiamo am-piamente riferito nel corpo del testo.L’indirizzo attuale della rivista è online,eccolo: http://www.usnews.com/.

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RIVISTE & RIVISTE

gn osticismo

La finedi «World Report»

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Sull’edizione di Ferrara del Restodel Carlino del 6 ottobre il bibli-sta e studioso di ebraismo PieroStefani ha recensito il volume dimons. Luigi Negri, Il camminodella Chiesa. Fondamenti, storia& problemi (Edizioni Ares, Mila-no 2015, pp. 320, euro 16) criti-cando la componente storica dellamultidisciplinare analisi di Negri,che include anche teologia, eccle-siologia e apologetica.La prima obiezione è che, mentreNegri parla sempre e semplice-mente di «Chiesa» al singolare,senza nemmeno aggiungere l’ag-gettivo «cattolica», e «per quantosia il titolo di una disciplina acca-demica (il che è, di per sé, spia diuna povertà culturale tipicamenteitaliana), dal punto di vista storio-grafico non esiste alcuna “Storiadella Chiesa”. Nell’orizzonte sto-rico è gioco forza parlare solo di“storia delle Chiese”, oppure distoria della Chiesa cattolica roma-na o ariana o nestoriana o copta oarmena, o greco-ortodossa, o an-glicana» ecc. Questa critica miappare «senza mordente», poichédal libro, soprattutto dalla secon-da parte, si evince senz’ombra didubbio che si parte dalla conside-razione della Chiesa ancora indi-visa dell’età antica, ma citando inmaggioranza autori cristiani lati-ni, e si prosegue seguendo le prin-cipali fasi storiche della Chiesacattolica romana, dato che si par-la della Chiesa nell’Occidentemedievale, moderno e post-mo-derno, non solo escludendo di fat-to tutto il cristianesimo bizantinoe orientale, ma anche distinguen-dola nettamente dalla concezionecristiana, soprattutto antropologi-ca, elaborata dalla Riforma prote-

stante, oltre a soffermarsi partico-larmente sui Papi dei diversi pe-riodi. Anche nei manuali di storiadella filosofia medievale non ènecessario esplicitare che si trattadi filosofia cristiana o cattolica,dato che la trattazione parte dallapatristica latina e giunge sino alTrecento, soffermandosi solo suiPadri greci anteriori allo scismad’Oriente e distinguendola dallecorrenti eretiche (catari ecc.).

La seconda obiezione di Stefani èche per Negri la storia della Chie-sa è «la coscienza che la Chiesa hadi sé stessa nel corso del suo svi-luppo temporale» e, siccome lastoria conosce il proprio compi-mento in virtù dell’Incarnazione,evento attestato e trasmesso dallaChiesa, solo quest’ultima «ha nel-le sue mani le chiavi per interpre-tare la storia». Tuttavia, «preten-

dere di utilizzare una certa formadi conoscenza storica per compro-vare il senso globale della storiasignifica compiere un’operazioneideologica. Quando i cristiani sicimentano con la storiografia de-vono aderire, al pari di tutti gli al-tri, alle regole proprie di tale di-sciplina. La confusione tra i duepiani è impropria».A ciò si può replicare che nel se-condo capitolo del libro Negrievidenzia come la concezione delmetodo storiografico assunto perelaborare la storia della Chiesa siamarcatamente mutata nel tempo esottolinea in particolare come, apartire già dalla seconda metà delsecolo scorso, molti storici abbia-no reagito alla pretesa dell’Illumi-nismo e del Positivismo di co-struire una scienza storica fondatasulla neutralità e oggettività deidati, sia perché tale oggettività erasolo presunta, dato che essa attin-geva i propri criteri da una pro-spettiva razionalistica che riduce-va la Chiesa all’istituzione eccle-siastica, senza mai esplicitarli e difatto imponendoli come «dogmi»,sia perché il documento, la notiziaparlano solo se provocati dialetti-camente da un osservatore. «Èl’osservatore che, in forza dellapropria esperienza, di una ipotesidi significato oppure di assenza disignificato, pone al tessuto storicodelle domande e permette a que-sto tessuto di parlare: è l’osserva-tore che si comprende nella sto-ria» (p. 42). Per questo la metodo-logia storica non può essere ridot-ta alle scienze che accertano larealtà o la credibilità dei dati. Sepoi esiste un fatto della storia chesi afferma come il significato de-finitivo della storia stessa, allora

ARES NEWS

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Mons. Luigi Negri & la storia della Chiesa

La Chiesa tra storia& teologia

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non è possibile che questo avveni-mento non venga sentito e ripro-posto come il punto di vista defi-nitivo della storia. Nel contempo,precisa Negri, Cristo si è colloca-to al centro della storia senza co-municare all’umanità la visionedefinitiva della storia, ma creandonel mondo una soggettività nuo-va, la Chiesa, nella quale prose-gue misteriosamente il suo eventodi salvezza. Il discorso sulla visio-ne cristiana della storia dellaChiesa è il riproporsi storico di unsoggetto cristiano che proseguel’esperienza di Cristo: del meta-storico e dello storico insieme, delsoprannaturale e del naturale, del-l’eterno e del contingente.Pertanto, sono convinto che non sitratti di un’indebita confusione dipiani, ma di una loro necessariaintersezione, allorché l’oggettostudiato in prospettiva storica siaqualcosa che «eccede» la contin-genza e relatività della realtà me-ramente storica. Per esempio, lastoria della filosofia ha come og-getto di studio storico il filosofare,che mira a una conoscenza incon-trovertibilmente vera, non opina-bile e metastorica della realtà, sic-ché una storia delle concezioni fi-losofiche deve presupporre sial’intelligibilità per l’uomo dell’or-dine causale del mondo sia la fi-ducia nell’onestà dei singoli filo-sofi nel cercare di coglierlo attra-verso il loro filosofare sistemati-co. L’interpretazione storica deifilosofi è corretta se ricostruisce illoro pensiero evidenziandone almassimo il grado di coerenza in-terna (logico-formale e anche lo-gico-materiale) quale espressionedell’approssimazione del loropensiero alla verità e alla realtà.Invece, un’interpretazione mera-mente storica dei filosofi escludeapriosticamente l’intenzionalitàveritativa della loro riflessione e siriduce a «dossografia», mera suc-cessione cronologica di opinioniintese relativisticamente, sottraen-do ogni valore al proprio oggettodi studio. Insomma, la storia dellafilosofia dev’essere essa stessaimpegno autenticamente filosofi-

co mirante a conoscere la realtà.Ciò vale ancor più per la storiadella teologia, il cui oggetto distudio è la scienza che si servedella filosofia per comprendererazionalmente Dio nella sua deitàimpartecipata, che supera le capa-cità della ragione naturale e che ènota solo per rivelazione, accoltacon fede. Pertanto, la storia dellateologia non può non presupporrela fede, che è teologale, ossia so-vrannaturale, né può eliminare ladimensione dell’eternità nella Ri-velazione, se non sottraendole ilcarattere divino.

Analogamente, una storia dellaChiesa deve tenere presente chela Chiesa è il luogo metafisico incui il mondo ha coscienza di es-sere diafania di Dio in quanto es-sa assume il punto di vista cristi-co. Dal punto di vista di Dio laChiesa è il mondo santificato odeificato, ossia reso cristiforme.Pertanto, la Chiesa in Dio è ilmondo com’è nel Disegno eternodi Dio ed è bello in quanto coin-cide con il Corpo Mistico di Cri-sto. La Chiesa è la salvezza di tut-to perché è la rivelazione delmondo riconciliato e quindi salvoin Cristo. Anche Cristo è un fattostorico, ma non assume valoredalla storia; anzi le dà valore inquanto la fonda. Pertanto, la sto-ria della Chiesa non può esclude-re a priori il carattere metastorico,

sovrannaturale, della Chiesa. Al-trimenti finisce per considerarlapregiudizialmente una mera isti-tuzione umana contingente.Considerare in questi àmbiti laprocessualità storica in prospetti-va metastorica non significa nega-re la storia. È già e solo nell’otticametastorica che si ha l’interpreta-zione della storia, perché quest’ul-tima non è semplice avvenimento,ma è l’interpretazione causale del-l’avvenimento, e come tale esigeuna distanziazione da esso, sicchéprescindendo dalle dimensioni so-vratemporali resta l’esperienzasensibile di meri accidenti (datoche la sostanza non è direttamentepercepita, ma ammessa come fon-damento unitario del complessomolteplice delle nostre sensazio-ni). E poi Dio si adegua alla pro-gressiva capacità di comprensionedell’uomo: lo sviluppo storico stadalla parte del modo con cui ilcontenuto che è nell’eternità simanifesta allo sguardo umano,che non coglie tutto simultanea-mente, ossia la processualità è ne-cessaria quale carattere del mon-do, in quanto quest’ultimo è Dioche si rende intelligibile da un in-telletto creato, discorsivo.Inoltre, la stessa testata ha pubbli-cato il 22 ottobre un articolo diVittorio R. Bendaud, coordinatoredel Tribunale rabbinico del Cen-tro-Nord Italia, che valorizza pro-prio il carattere non neutrale diNegri in quanto storico: «Esplici-ta che cosa pensa e perché» e nellibro pone «interrogativi scomodicirca alcune sintesi e narrazionistioriografiche occidentali estre-mamente partigiane che sono an-date e talora ancora vanno per lamaggiore. Non è un libro per “fa-re storia”, ma “per far pensare”,magari anche dissentendo. La sto-ria della Chiesa è una disciplinainevitabilmente soggetta a essereaccostata da molte prospettive di-verse. La sua non è una prospetti-va ideologica, erronea o falsante,né banale né parziale, ma, al con-trario, significativa e legittima».

Matteo Andolfo

831

Mons. Luigi Negri

Processualità& eternità

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do, dell’io, della libertà, della re-sponsabilità morale e di Dio), chesono la materia della stessa rifles-sione metafisica, costituendo il pri-mo anello, ineliminabile, delle con-catenazioni dei ragionamenti e del-le dimostrazioni filosofiche. Diconseguenza, esse divengono uncriterio per vagliare la validità del-le diverse ipotesi formulate nella ri-cerca filosofico-scientifica. Per essere vera scienza la teologiapresuppone la metafisica, che perdisporre di solide basi deve anco-rarsi alle certezze dell’esperienzaimmediata, a cui fa riferimento an-che l’enciclica di san GiovanniPaolo II, Fides et ratio, 66, in quan-to il mondo e l’uomo sono oggettoanche della rivelazione divina. Per-tanto, sistemi filosofici che neghinotali evidenze originarie non sonocompatibili con la rivelazione enon possono essere accolti per ela-borare una «vera» teologia.Infine, i due studiosi richiamano lacorrispondenza tra le certezze delsenso comune e i praeambula fideidi Tommaso d’Aquino, ripresi daLivi nel saggio che apre il secondonumero di «Sensus Communis»:essi sono alcune verità naturali,conoscibili dalla ragione umanacon le sue sole risorse, che fungo-no da condizioni necessarie del-l’assenso della mente alle veritàsoprannaturali, rivelate ed ecce-denti le capacità conoscitive uma-ne, affinché la mente verifichi lapossibilità che i contenuti della ri-velazione siano veramente paroladi Dio in quanto non assurdi ri-spetto alle verità naturali e perciòcredibili. A ciò si aggiunge la fidu-cia nella credibilità della testimo-nianza degli apostoli a cui è affida-ta la rivelazione, ossia la certezza

La rivista «Sen-sus Communis.In te rna t iona lYearbook forStudies on Ale-thic Logic» hadedicato duepropri numeri(19 e 21) alla di-

scussione di vari filosofi e teologiintorno al saggio di Antonio Livi,Vera e falsa teologia (Casa EditriceLeonardo da Vinci, Roma 2012, pp.316, euro 25). Il primo fascicolo, con la prefazio-ne e il coordinamento editoriale diMarco Bracchi e Giovanni Covino,è diviso in due parti: nella primasono presentati gli articoli che ana-lizzano la struttura e gli snodi teo-retici fondamentali del testo di Li-vi, con particolare riguardo allaquestione delle istanze epistemolo-giche della teologia quale scienzadella fede, mentre la seconda parteospita gli interventi che espongonoosservazioni critiche alle tesi livia-ne o ne suggeriscono possibili svi-luppi dottrinali. Di particolare inte-resse sono i due contributi delle«Note conclusive».Nel secondo, Antonio Livi replica

LIBRI & LIBRI

832

ad alcune delle critiche espressesulle tesi del suo studio e aggiungela seguente delucidazione fonda-mentale: la sua teoria epistemolo-gica denominata logica aleticapresuppone che il discorso scienti-fico si differenzi da tutti gli altri inquanto capace di mostrare il fonda-mento epistemico della propriapretesa di dire la verità su un de-terminato tema di ricerca e che ta-le rigore sia massimamente indi-spensabile per la scienza della fe-de, dato che essa è portatrice dellaverità salvifica per l’uomo. Con«fede» Livi intende il dogma cat-tolico, ossia l’insieme delle veritàcontenute nella Scrittura, nei sim-boli della Chiesa e nelle definizio-ni del Magistero, perché l’oggettodi una scienza dev’essere determi-nato e assunto come reale (né falsoné ipotetico) e i dogmi conferisco-no tali tratti alla verità rivelata, sot-traendole ogni carattere di indeter-minatezza. Del resto, la rivelazionecristiana è affidata non alla solaScriptura, ma alla Tradizione dellaChiesa in continuità con gli apo-stoli quali testimoni diretti della ri-surrezione di Cristo.Nel primo, Marco Bracchi e Gio-vanni Covino riassumono il nucleodi fondo del saggio liviano – la qua-lifica di teologia spetta solo a quel-le concezioni che procedono concoerenza epistemica dai princìpidella stessa, ossia dalle verità di fe-de trasmesse dagli apostoli e custo-dite dal Magistero della Chiesa –mettendo in rilevo come tale co-erenza sia giudicata dalla logicaaletica. Infatti, questa si fonda sul-le certezze del «senso comune»nell’accezione di Livi (le evidenzeoriginarie dell’esperienza imme-diata relative all’esistenza del mon-

Teologia & filosofia

La verità in teologia. Discussioni di lo-

gica aletica a partire da «Vera e falsa

teologia» di Antonio Livi, «SensusCommunis» 19, Casa Editrice Leo-nardo da Vinci, Roma 2014, pp.190, euro 20.Le premesse razionali della fede e il me-

todo della teologia, «Sensus Commu-nis» 21, Casa Editrice Leonardo daVinci, Roma 2015, pp. 224, euro 20.

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morale della loro qualità di testi-moni. Così l’atto di fede risultanon contrario alla ragione. Tra ipraeambula vi è l’esistenza di Dio,che quindi non è oggetto di fede,ma un’evidenza razionale, che lalogica aletica rammemora alla teo-logia, affinché non si serva di filo-sofie che la negano, altrimenti co-struirà solo una giustificazione delfideismo, il quale svilisce l’annun-cio cristiano, quasi che non fosseindirizzato all’intelligenza dell’uo-mo, che è in grado di accogliere laverità ontologica rivelata solo segià ordinata alla verità logica.Anche il secondo fascicolo, curatoda Fabrizio Renzi, è virtualmentediviso in due sezioni: una primaserie di articoli parte dal libro diLivi mettendo in rapporto il meto-do liviano con la dialettica neopla-tonico-cristiana di Dionigi l’Areo-pagita, con il pensiero di Gilson,Fabro e Maritain, con le nozionitommasiane di esse ipsum per sesubsistens e di actus essendi, conle concezioni del rapporto tra teo-logia e filosofia di Duns Scoto e diOckham, con le riflessioni di Suá-rez e di Kobylinski, con la teologiadi Lonergan, Kenny e Lindbeck.Un secondo gruppo di articoli svi-luppa alcuni aspetti tematici delsaggio liviano, evidenziando: co-me l’abbandono dei praeambulafidei abbia favorito una commistio-ne epistemologicamente infondatadi «fenomenologia del sacro» edelementi biblici liberamente inter-pretati che ha falsato il significatodell’esperienza religiosa; come ilfideismo sia in sé aporetico inquanto il suo agnosticismo teoreti-co deforma il contenuto kerigmati-co della fede; come la teologia sidifferenzi dalla metafisica perchéconsidera Dio non quale primo en-te, ma nella misura in cui Egli ri-velandosi ci fa accedere alla suavita intima (Deità), ma si distinguaanche dalla fede, che è la radicedella teologia e che trova il propriospazio nel fatto che l’uomo coin-volto in tale nuova conoscenza diDio è ancora viator e non già nellavisione beatifica. L’atto di credereè anche, ma non solo, una libera

decisione della volontà, poiché lamente è sì priva dell’evidenza con-nessa all’esperienza diretta del suooggetto, ma non dell’evidenza dicredibilità connessa alla prova del-l’esistenza di Dio quale Essere in-dipendente che imposta il rapportodi dipendenza reciproca di tutti gliesseri mondani. Dopo che Cartesioha posto come punto di avvio dellametafisica la sola interiorità co-scienziale, escludendo la realtà delmondo, Kant ne ha tratto un impe-rativo etico universale; tuttavia,Nietzsche ha mostrato che dallacoscienza possono sorgere più mo-rali, anche opposte e come tali nonuniversali, e Lacan ha potuto defi-nire Sade come «la verità di Kant».Su questa linea si è pervenuti al re-lativismo contemporaneo e al rifiu-to di Dio, in cui si può inquadrareanche il «Gesù storico» che a par-tire dalla teologia liberale è statocontrapposto al «Cristo della fe-de», perché ha portato a un Vange-lo svuotato di sovrannaturale, il cuimessaggio salvifico svanisce nel-l’insignificanza, ma nel cui nomesi è sostenuto che la Chiesa loavrebbe tradìto.Conclude il fascicolo un articolosulla teologia politica, intesa comefalsificazione della teologia inquanto traspone il cristianesimonell’àmbito del conflitto. Con l’11settembre 2001 essa ha visto unarinascenza negli USA, nella formadi una «religione della Nazione» dimatrice puritana destinata a salva-re il mondo nel segno della libertàe della democrazia, ma con l’usodelle armi. Si deve a GiovanniPaolo II un’azione depoliticizzan-te, che ha impedito di trasformareil conflitto iracheno in una «crocia-ta» planetaria anti-islamica. Lacontraddizione intrinseca a taleteologia politica cristiana si è evi-denziata nell’ispirare un interventoarmato in Iraq che ha favorito ladistruzione la Chiesa irachena, unadelle più antiche. L’errore di taleteologia politica consiste nel con-cepire il potere come mezzo delrinnovamento religioso del mondo,sicché, se applicata al cattolicesi-mo, essa riduce la Chiesa a gruppo

di pressione che ha bisogno di unantagonista contro cui ergersi persussistere e dissolve la distinzionetra l’impegno della Chiesa e quelloanche politico-sociale dei laici cri-stiani, scadendo in un «integrali-smo» che impedisce alla Chiesa disvolgere una missione universaledi pace che chiede libertà e rispet-to per tutti, non solo per i cristiani.Si tratta, in conclusione, di due mi-scellanee ricche di approfondimen-ti e di spunti per ulteriori riflessio-ni dei lettori.

Matteo Andolfo

Nata in Francianel 1947, laureain Letteratura eStoria dell’Artealla Sorbona,convertita alcattolicesimoha studiato Teo-logia e si è con-sacrata abbrac-

ciando la via religiosa. Dal 1989abita a Medjugorje e secondo lamissione della sua comunità dividele sue giornate fra contemplazionee apostolato. Suor Emmanuel hauno speciale carisma della testimo-nianza, perché ha il dono di rag-giungere il cuore delle persone chel’ascoltano. Questo avviene ancheattraverso i suoi libri, dei piccolicasi editoriali tradotti in diverselingue. Molti sono ispirati dai fattidi Medjugorje, dal suo contattoquotidiano con i veggenti, ma ingenerale questi testi dicono dell’a-more di Dio che continua a farsipresente nel nostro tempo in modosia straordinario sia ordinario. An-che questo ultimo volume, secon-do lo stile proprio dell’autrice rac-coglie una miscellanea solo appa-rentemente causale di aneddoti eincontri che coinvolgono santi ca-nonizzati come don Bosco e Padre

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Da Medjugorje

Emmanuel Maillard, La pace avrà

l’ultima parola, Sugarco, Milano2015, pp. 304, euro 14,80.

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Pio e santi in pectore che ancoracalcano i sentieri del mondo. Fraloro ho conosciuto personalmentee ammirato profondamente l’ere-mita francese Daniel Ange, che fucaro a Jean Guitton e al beato papaPaolo VI, ma queste pagine dannovoce a gente comune che vive l’a-micizia con Dio nell’assiduità deiSacramenti. Guardando la realtàattraverso i loro occhi suor Emma-nuel comunica ai lettori la sua cer-tezza, che dà il titolo al libro: «Lapace avrà l’ultima parola», i SacriCuori di Gesù e Maria trionferannodopo questa notte oscura.

Riccardo Caniato

Esiste ancora ilpensiero criticolibero, non sot-toposto a unmercato appiat-tito da motiviideologici ocommerciali? Ildubbio può na-scere quando

assistiamo agli incontri salottieritelevisivi che promettono dibattitipolitici o culturali, ormai presentinei canali televisivi a ogni ora delgiorno e della notte, spodestati sol-tanto dalle partite di calcio. Cia-scun partecipante pretende di parla-re, non ascolta e sovrappone le pro-prie piccole idee alle voci degli al-tri, mentre il conduttore a sua voltainterviene non per creare ordine,ma per esprimere il proprio parerein una frastornante confusione disuoni. Per reagire allo sconforto diuna simile situazione, le EdizioniEnrico Damiani, casa editrice indi-pendente impegnata da quasi un se-colo in argomenti lontani dai con-dizionamenti delle mode, ha affida-to al giornalista Filippo La Porta ilcompito d’individuare gli spiriti ri-

belli che non accettano di proster-narsi dinanzi ai santoni del moder-no sapere. Ne sono stati selezionatiper ora dodici, affidando a ciascunola possibilità di ribellarsi con il pro-prio pensiero critico, mediante bre-vi interventi, alla stagnante atmo-sfera in cui la cultura italiana è pre-cipitata. Per entrare in contatto di-retto con loro occorre innanzi tuttomettere a tacere la TV e concedersia un tranquillo dialogo a due tra sée l’eterno amico, il libro, sceglien-do l’originalissimo testo, che offreriflessioni coinvolgenti e tenta direagire allo sconforto prodotto daun mondo in declino. Il volume sichiude con sintetiche note biobi-bliografiche essenziali degli autoridi ogni breve capitolo: critici lette-rari, giornalisti, scrittori, saggisti,filosofi, docenti universitari, con-duttori radiofonici, e ogni volta ilcontatto con le loro opinioni offre ildesiderio di approfondire la cono-scenza attraverso altre loro opere.Non si tratta comunque di un insie-me di testimonianze disparate: in-fatti, pur diversi nelle personalità,tutti esprimono la medesima, edu-cata indignazione contro la melmo-sa uniformità del pensiero «unico».Piacerà subito il primo degli Apo-stati, Paolo Morelli con le sue luci-dissime avvertenze semiserie a chivolesse scrivere libri di narrativa,ignaro delle angosce che lo atten-dono nei confronti degli editori.Nelle brevi note autobiografiche sidefinisce «scrittore di grande in-successo con alcuni titoli “in cata-logabili”», conquistando simpatiaper l’ironica modestia così abissal-mente diversa dalle tronfie presen-tazioni dei colleghi di successo. Losegue Camilla Baresani, che condeliziosa semplicità confessa il di-sagio di essere considerata tuttolo-ga in grazia della sua riconosciutafama culturale, mentre proprio innome della Cultura rivendica il di-ritto di rifiutarsi a inchieste superfi-ciali dove gli intellettuali sono in-terpellati non per ciò che avrebberoda dire ma solo per offrire lustrocon la propria presenza, come ca-barettisti o attori di successo. Inparticolare sintonia con Studi catto-

lici è la seconda parte dell’opera,sottoposta a un interrogativo in-quietante: «La Poesia salverà ilmondo?». In questo caso, SilvioPerrella si dice convinto che sarà ilmondo a mantenere viva la poesia,per riscattarsi con la saggezza deipoeti da una comunicazione ormaiingessata che non ha più nulla daoffrire. Il fascino del testo è datoanche dalla copertina: su un lucidosfondo nero che caratterizza le edi-zioni «Enrico Damiani» appare sta-gliato nel nulla il volto di un giova-ne Orson Welles atteggiato a un lie-ve sorriso ammiccante come di unoche sa, che ha capito tutto e che hacompreso che il mondo, così com’ènon può essere preso sul serio, per-ché è solo una gran buffonata. Altermine della lettura si comprendeche la ribellione al pensiero presen-te è diversa dall’anarchia che di-strugge senza costruire: tanta pas-sione contiene ben chiaro lo stimo-lo a svegliare i dormienti e a butta-re all’aria i falsi miti, perché rinno-varsi non significa passare ad altriimbrogli come è spesso accaduto,ma ritrovare la voglia di reagire,con la lucidità del pensiero maturo.

Armanda Capeder

Questo testo èeccellente e valetto, pubbliciz-zato e regalato,perché discutein modo strin-gente e talvoltaanche originaletutte le princi-

pali argomentazioni in favore delmatrimonio tra persone dello stes-so sesso, del tipo: il matrimonioomosex non danneggia nessuno;negare il matrimonio per tutti è unadiscriminazione; se la generazione

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Ribelli culturali

AA.VV., 12 apostati. 12 critici del-

l’ideologia italiana, Damiani, Salò2015, pp. 122, euro 15.

Per la famiglia

S. Girgis - R. Anderson - R. Geor-

ge, Che cos’è il matrimonio?, Vita epensiero, Milano 2015, pp. 124, eu-ro 15.

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è costitutiva per il matrimonio, bi-sognerebbe negare il matrimonioalle coppie sterili ecc.Il testo prende le mosse dall’inda-gine sulla natura del matrimonio edistingue due grandi concezioniconcorrenziali: quella coniugale equella revisionista. La prima con-cepisce il matrimonio come un’u-nione comprensiva-totalizzante divolontà (attraverso il consenso de-gli sposi) e corpo, un’unione che èun bene in sé e che è inerentemen-te e simultaneamente ordinata siaalla totale condivisione della vitasia alla generazione, ed è costituitada un impegno permanente edesclusivo che (se validamente as-sunto) non è più nella disponibilitàdelle preferenze dei coniugi. Nellavisione revisionista esso è concepi-to solo come relazione emotiva in-tensa, assolutamente revocabile(per esempio alla cessazione del-l’appagamento emotivo) e senzaintrinseca (bensì solo facoltativa)apertura alla generazione.Gli autori, che sono tre filosofi, so-stengono persuasivamente la primaconcezione e spiegano che l’istitu-zione del matrimonio tra personedello stesso sesso comporta un ra-dicale snaturamento del matrimo-nio in generale, così danneggiandoi matrimoni uomo-donna e il benecomune in generale. Per esempio,rende per tutti sempre più difficilecapire il vero senso del matrimonioe perciò vivere di conseguenza, eciò farà (molto più di oggi) crolla-re i matrimoni, con grandi soffe-renze per i figli e con costi socialiimmensi. Inoltre, se si istituisce ilmatrimonio omosex inteso comeunione affettiva intensa, non si po-trà negare lo stesso riconoscimen-to, compresa la pensione di rever-sibilità, alle relazioni poliamorose,purché connotate da affetti, comedi fatto si sta ormai reclamando invari Paesi; così come stanno acca-dendo gravi violazioni della libertàreligiosa, calpestando (talvolta an-che con l’arresto) il diritto dei fun-zionari civili di sposare solo uomi-ni con donne, quello delle agenziedi affidare i bambini solo a coppieuomo-donna, quello dei pasticceri

di fare torte nuziali solo per coniu-gi di sesso complementare ecc.Gli autori offrono un itinerario an-tropologico e filosofico supportatoda svariate ricerche sociologichesulle enormi e devastanti conse-guenze, sui figli e sulla società ingenere, del divorzio, della legaliz-zazione del matrimonio omologo,sulla clamorosa instabilità delle re-lazioni omosessuali, sui gravissimiproblemi dei figli cresciuti all’inter-no di queste relazioni (smontandola validità scientifica di quegli studiche ne hanno asserito l’equivalenzacon il matrimonio uomo-donna).

Giacomo Samek Lodovici

Un libro che inpochi mesi ven-de milioni dicopie in tutto ilmondo non sipuò liquidarecon qualchesentenza (o bat-tuta). E menoancora se, come

in questo caso, è un romanzo diesordio, ovvero senza alcunaaspettativa previa. Deve averequalcosa che tocca profondamenteil lettore, e questo vale la pena diessere analizzato.Risparmiamoci accenni alla trama,di cui la pubblicistica è piena e checomunque tolgono suspense allalettura. E domandiamoci che cos’èquesto romanzo. Perché è stato det-to di tutto. Un thriller? Un noir? Unpoliziesco? Non credo, benché sene possano ritrovare alcuni elemen-ti. Com’è stato suggerito, semmai èun’ambientazione alla Hitchkock,dove la tensione deriva dalla pene-trazione psicologica nei personag-gi. I loro sentimenti, paure, debo-lezze, sogni, gelosie, invidie, soli-tudine... sono il plot della narrazio-

ne. Ora questa è una via molto dif-ficile. Se riesce a funzionare, comeevidentemente è successo, vuol di-re che siamo di fronte a una grandeopera. Personalmente ne sono con-vinto. Ma il lettore si prepari a in-trodursi in un mondo di persone de-boli e disorientate. Diciamo puresenza scopo. Persone dal cuore in-stabile e dal sesso insaziabile. Con-vivenza, divorzio, tradimento, rap-porti occasionali sono la normalità.Ma il romanzo – e qui sta il puntointeressante – non tratta di questo,né indulge in descrizioni... Si capi-sce che questa è gente derelitta e lasi compatisce per questo. Sono co-me nessuno vorrebbe essere. E inmezzo a tutto ciò emerge una luce:la maternità è desiderata come unbene enorme e l’aborto consideratocome atrocità impensabile. Dettotra le righe, ma detto.

Michele Dolz

Nel 1978 a 38anni WilliamLeast Heat-Moon perse inun colpo solomoglie e lavo-ro. Per sfuggireai suoi fantasmiiniziò a vaga-bondare per

l’America «nascosta» a bordo delsuo furgone: da quell’esperienzanacque Strade blu, ormai un meri-tato classico della letteratura on theroad (ma è molto meglio di Ke-rouac). Dopo l’esperienza sullegomme, ha deciso di mettersi al ti-mone del Nikawa, una piccola bar-ca da pesca, per un sorprendentecoast to coast fluviale, da NewYork alle placide spiagge dell’Ore-gon. È la radiosa seduzione dellafrontiera...

Alessandro Rivali

835

Best seller

Paula Hawkins, La ragazza del tre-

no, Piemme, Milano 2015, pp.378, euro 19,50.

Frontiera & fiumi

William Least Heat-Moon, Nika-

wa, Einaudi, Milano 2014, pp.566, euro 14.

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SaggisticaLetteratura

836

La Doppia classifica, come dice il nome, si divide in

due parti. La pagina sinistra, qui sotto, offre una clas-

sifica mensile dei libri più venduti, compilata rielabo-

rando le liste dei bestseller diffuse dalle principali fon-

ti giornalistiche. Vale come un sintomo dell'aria che

tira nel mercato editoriale. Il numero su fondo nero ¶indica la posizione attuale; il numero su fondo chiaro

¬ indica la posizione nel mese precedente; la stellina

H segnala le nuove entrate. La presente elaborazione

si riferisce al mese di ottobre 2015.

¶ H Niccolò Ammaniti, Anna, Einaudi, Torino2015, pp. 274, € 19.

Anna è una tredicenne in una Sicilia apocalittica: lapeste Rossa ha sterminato gli adulti e la ragazza devesopravvivere da sola... Ammaniti ritorna alle origini«cannibali», ma è lontano dalle emozioni di Io nonho paura. Per chi ama rovine e contaminazioni vincesempre La strada di McCarthy, ma ora ci sono ancheLe cose semplici di Luca Doninelli (by Bompiani).

· H Anna Todd, After. Anime perdute, Sperling &Kupfer, Milano 2015, pp. 416, € 17,90.

Un po’ di Sfumature, un po’ di Twilight, un po’ ditormenti da college per la fan-fiction nata sul Web.Una buona e una cattiva notizia: siamo al quarto epenultimo episodio del polpettone amoroso... ma laParamount lancerà i film...

¸ ¬ Paula Hawkins, La ragazza del treno, Piemme,Milano 2015, pp. 306, € 19,50.

Il noir dell’estate continua a macinare copie: per sa-perne di più c’è Michele Dolz a p. 835.

¹ H Isabel Allende, L’amante giapponese, Feltri-nelli, Milano 2015, pp. 282, € 18.

Controproposta: La città delle bestie, Il regno deldrago d’oro e La foresta dei pigmei: e se il megliodell’Allende fosse la trilogia scritta per i nipoti?

º H Michele Serra, Ognuno potrebbe, Feltrinelli,Milano 2015, pp. 152, € 14.

Strano annoverare Serra tra i Narratori, è più unacuto saggista che osserva la sfrenata ossessioneegocentrica del nostro tempo. Ma le soluzioni?

¶ H Io sono con voi. Catechismo per l'iniziazione cri-stiana dei fanciulli (6-8 anni), Lev, Roma 2015, pp.192, € 5,50.· H Venite con me. Catechismo per l'iniziazione cri-stiana dei fanciulli (8-10 anni), Lev, Roma 2015, pp.192, € 5,50.

Che strana coppia al comando! Le pillole di dottrinacurate dalla CEI continuano una fortunata storia ini-ziata negli anni Novanta. Nonostante tutto, il tessutocristiano tiene ancora (almeno per i più piccoli).

¸ H Zerocalcare, L'elenco telefonico degli accolli,Bao Publishing, Milano 2015, pp. 192, € 17.

Zerocalcare aliasMichele Rech (1983) è diventata lamatita più celebre d’Italia per dissacrare ogni mani-festazione di Potere. Non si era mai visto un fumettofuroreggiare così nella classifica di Varia. Gli spuntiautobiografici funzionano, peccato che il vento soffisempre al ritmo di Internazionale e Repubblica.

¹ H Alan Friedman, My way. Berlusconi si raccon-ta a Friedman, Rizzoli, Milano 2015, pp. 390, € 20.

«Un uomo che non getta mai la spugna». Dopo i fa-sti di Ammazziamo il Gattopardo, Friedman sinte-tizza così Silvio Berlusconi in una conversazione a360° dalla «discesa in campo» del ’94 all’epopeadel Milan «olandese». E Berlusconi al suo interlo-cutore: «Farò come Steve Jobs con il suo biografo,io le racconterò la mia storia, lei scriverà quello chepreferisce...». Non lascerà indifferenti.

º ® Sulla tua parola. Letture della messa per viverela parola di Dio. Novembre-dicembre 2015, Shalom,Milano 2015, pp. 672, € 4.

Wow. Friedman e Zerocalcare assediati da «cattolibri».

doppiaIN LIBRERIA

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SaggisticaLetteratura

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¶ Giovannino Guareschi, Don Camillo e Pep-pone, Rizzoli, Milano 2011, vol. I, pp. 1134, € 32.

«Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la pre-ghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vi-cinanza con la gente», così Papa Francesco ha ricor-dato lo splendido affresco del Mondo piccolo delGiovannino nazionale. Sempreverde.

· Giuseppe Conte, Poesie (1983-2015), Monda-dori, Milano 2015, pp. 380, € 22.

«Ma chi ama / ama sempre una terra promessa»: fi-nalmente l’Oscar con «tutte le poesie» per i 70 an-ni di uno dei più grandi poeti italiani, inesausto can-tore di miti, viaggi e amori.

¸ Ian McEwan, Bambini nel tempo, Einaudi, Tori-no 2015, pp. 254, euro 12.

E se un giorno il papà perdesse la sua piccola al su-permercato? Rilancio nei SuperTascabili di uno deipiù struggenti romanzi di McEwan che getta qui loscandaglio nella fragilità umana.

¹ Herman Melville, Moby Dick, Rizzoli, Milano2015, pp. 704, euro 18.

Rizzoli (per quanto si chiamerà ancora così?) lanciain formato compact il pilastro incendiario della let-teratura USA, arricchito dai chiaroscuri di RockwellKent (1882-1971) e di Harold Bloom.

º Andrea Vitali, Di impossibile non c’è niente, Sa-lani, Milano 2015, pp.156, euro 12.

C’è un bosco aggredito dal cemento. E un bambinoche vuole salvarlo. Come? Scrivendo ai personaggidel suo immaginario. Una magica fiaba.

¶ Vittorio Messori, Ipotesi su Maria, Ares, Milano2015, pp. 672, € 21,50.

Trent’anni dopo Ipotesi su Gesù, Messori pubblica-va Ipotesi su Maria: ecco una nuova edizione con13 capitoli inediti, caratterizzati dallo stile che hadeterminato il successo di Messori: la vivacità delgiornalista unita alla solidità dello studioso esperto.

· Milly Gualteroni, Strappata all’abisso. Dagli psico-farmaci alla fede, Ares, Milano 2015, pp. 216, € 13.

La depressione trascina una giovane donna nel bara-tro, ma quando la discesa all’inferno sembra aver rag-giunto il fondo, ecco irrompere il Mistero...

¸Miriam Dubini, Ci siamo anche noi. Davide e altre in-credibili storie di bambine e bambini nella Bibbia, Ares,Milano 2015, pp. 104, € 9,90.

Miriam Dubini è una delle più amate scrittrici perragazzi: ora ha «sognato» delle bellissime avventu-re di bambini nella grande storia della Bibbia. Daleggere in famiglia, magari davanti al Presepe.

¹ Hasan Cemal, 1915: Genocidio armeno, prefazio-ne e cura di Antonia Arslan, Guerini e Associati, Mi-lano 2015, pp. 288, € 24,50.

Il nipote di uno dei principali artefici del genocidioarmeno si è identificato con la sofferenza di un popo-lo distrutto. Fino a essere considerato un traditore del-la propria patria turca. Impressionante e attuale.

º Valerio Magrelli, Millennium poetry, Il Mulino,Bologna 2015, pp. 170, € 13,50.

Viaggio «sentimentale» e liberissimo di un espertopoeta d’oggi tra i poeti di ieri. C’è molta luce.

di Mauro Manfredini

Qui sotto, nella pagina destra, figura un'altra classifi-

ca, che non si basa sulle vendite ma sulla qualità: è

una rassegna di volumi consigliabili e consigliati sulla

base del gusto, del buonsenso e di opinioni magari

sindacabili ma, di norma, non dissennate.

Entrambe le classifiche, quella di destra e quella di si-

nistra, sono accompagnate da brevi giudizi che forni-

scono sintetiche indicazioni critiche per un tempesti-

vo orientamento e non pregiudicano recensioni parti-

colareggiate in successivi numeri della rivista.

classifica IN REDAZIONE

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fattoria delle caciotte, fa bene allasalute e alla democrazia». Allora sono tornato dalla Gina e leho detto: «Ma è vero che al ritornoda una gita scolastica Giorgio ti haportato le caciotte?», e lei: «Sì, buo-nissime». «E allora, cara Gina, chene dici, meglio le caciotte o le FosseArdeatine?», «Certo che sono me-glio le caciotte, che domande mifai?». Ma proprio in quel momentoentrava Giorgio: «A ma’, passavoper Montecitorio e c’era una fila dianziani che entravano nel Parlamen-to, ho domandato: “Che hanno aper-to una mensa della Caritas purequi?”, per poco non mi menavano.Poi un carabiniere mi ha spiegatoche non è roba per giovani, e m’hadetto che nella Camera dei deputatic’era la camera ardente, ah, ar den-te, proprio come i bucatini all’ama-triciana cotti a dovere». La Gina gliha dato uno scappellotto: «Scostu-mato, la camera ardente è per unacerimonia funebre». «Ma non si fan-no in chiesa i funerali?», ha dettoGiorgio. In quel momento è entratoil sor Augusto, il padre di Giorgio,che fa il meccanico e ha detto: «Chec’è che strillate tanto?», gli spieganola cosa e lui fa: «Ignoranti che non

Prima di incartarci il pesce per ilgatto, la Gina il giornale se lo legge-va un po’, e lesse: «Ma non è possi-bile che su 300 ragazzi all’ultimoanno del liceo neppure uno avessemai sentito nominare le Fosse Ar-deatine». Chiamò: «Giorgio vieniun po’ qua, lo sai Giò che sono leFosse Ardeatine?», e Giorgio disse:«A scuola cianno insegnato la Fossadelle Marianne, roba oceanica, diqueste Ardeatine mai». E la Ginadisse: «Allora con te fâmo 301, sì, turidi, ma lo sai che se non conosci ilpassato sarai, come scrive Cazzulloqua su Sette, sempre solo e fragi-le?». Giorgio guardava sua madrecome se si fosse travestita da sôrape’li micchi, cioè gli scemi, e disse:«A ma’ che sarebbero ’ste Fosse Ar-deatine?»; «Niente», disse la madre.«Senti ’n po’ che te dice er professo-re domani». E l’indomani a scuola:«Professo’, ma’ ste Fosse Ardeatineche roba è?». «Aaah!, avete lettoCazzullo sui trecento ignoranti chenon lo sanno? ’Mo glielo dico io aldottor Cazzullo», e il giorno dopogli scrisse la seguente lettera: «Carodottor Cazzullo, io sono il prof diquel liceo ignorante sulla storia del-le Fosse Ardeatine, come lei hascritto su Sette, e le voglio dire cheio i miei alunni li porto a vedere co-me si fanno le caciotte, al museodelle cere, a visitare la fabbrica deibiscotti Gentilini che non ci mettonol’olio di palma che fa male ma soloil burro, e li ho portati perfino a Ci-vita di Bagnoregio per far contentoil mio amico Nicola Zingaretti che

ci tiene tanto a quel posto, pensi checi vivono solo dieci persone e suWikipedia c’è scritto che ci stannootto ristoranti e due bar, se ti presen-ti con la merenda al sacco ti buttanogiù dalla rupe, per finta, meglio sa-rebbe il quartiere medioevale SanPellegrino di Viterbo, ma bisognaincrementare le zone depresse, è dal1965 che a ogni inizio di stagione ilborgo sta per crollare, insomma, lespiego, io alle Fosse Ardeatine imiei alunni mi rifiuto di portarceliperché sono sempre stato di sinistrae non voglio provocare dissensi,cordiali saluti», e la firma. Convinto che fosse una provoca-zione o nella migliore ipotesi unoscherzo, Aldo Cazzullo ha lasciatoperdere. La Gina, che è amica no-stra, ci ha dato la dritta per il prof.Domanda: «Perché, caro professo-re, lei non vuole portare i suoialunni alle Fosse Ardeatine? Lo sache ignorare la memoria storica èun delitto contro la conoscenza, ec-cetera?». Il prof è un simpatico si-gnore sui cinquattotto, più in pen-sione che in servizio, stazza 130chili, e si capisce perciò che l’ar-duo percorso verso Civita di Ba-gnoregio l’abbia annoiato parec-chio, per non dire del fiatone. Siaccese un mezzo toscano, si avvol-se in una fetente nube azzurrina edisse: «Il guaio è che oggi i giova-ni sono curiosi, fanno le domande,ci ho portato la mia nipotina di die-ci anni e subito voleva sapere per-ché c’era stata la rappresaglia, chegli dovevo dire? La bomba a ViaRasella, Roma città aperta, la mi-naccia “dieci italiani per un tede-sco”, gli attentatori che si inguatta-no, il Partito comunista solidalecon loro, gli dovevo spiegare tuttoquesto? Compromettevo tutto ilvecchio PCI e il nuovo PD già inca-sinato tra Orfini, Marino, Veltroni,Causi, Marinelli e Mafia capitale,con le sezioni senza iscritti e Ber-sani che ride sempre, ma di che?Perciò io non ce li porto, meglio la

FAX & DISFAX

Ardeatine& caciotte

Civita di Bagnoregio

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le, io vorrei sapere perché la Cortedei Conti non controlla queste spe-se, anche per sapere se certe cosesono vere oppure no, che sempresoldi dei romani sono». Il sor Au-gusto disse: «Ma che ti sei messo afare il politico? Non lo capisci chesono tutti pezzetti, un pezzetto Sal-vini, un pezzetto Marchini, un pez-zo Grillo, un altro Meloni, un altroSabella, tutte fette dello stesso vec-chio cocomero. Stamattina è venu-to un cinese in officina a cambiarel’olio e sai che ha detto? “Marinova via? Ma lui non era sindaco”.“Come”, ho detto io, “lui era il sin-daco di Roma”, e il cinese ha fattola risatella finto-tonta del cinesefurbetto e ha detto: “Voi non biso-gno di sindaco a Roma, voi avetePapa Francesco, lui grande drago-ne”. “Guardi”, gli ho detto io, “chelei mi sta offendendo il mio Papa”.“No-no”, ha detto lui, “dragonesimbolo di uomo bravo e forte, nonformica come piccolo Marino”, emi ha voluto pure offrire per forzail caffè». Venite a tavola che èpronto, stava chiamando la Gina.Durante il luculliano pranzo, ilprofessore disse: «Glielo devoproprio dire a Nicola Zingaretti,inutile buttare ogni anno tanti sol-di pubblici per consolidare i ca-lanchi di Civita di Bagnoregioche è dal tempo degli etruschi chesi sfaldano, e poi quell’obbro-brioso, inerpicante e invasivosentiero sopraelevato di cementoè un pugno nell’occhio del pae-saggio, bella sarebbe una funica-binovia, un’attrattiva turisticafantastica, glielo devo proprio di-re al mio amico Zingaretti che ècosì dedicato: “A Nico’, facci unpensierino”».

leggete il giornale, io tutte le mattinemi faccio un cappuccino, il cornettoe Il Messaggero al bar, non lo sai cheè morto a cento anni Pietro Ingrao?E perciò hanno allestito la cameraardente in Parlamento». La Gina dis-se subito: «La fanno anche nella sa-la della pronto-emoteca in Campido-glio»; «A ma’», fa Giorgio, «dellaProtomoteca, ma che dici?», «Vab-bè, lo so perché ci misero Enzo Sici-liano». Il padre di Giorgio spiegò:«È secondo l’importanza del defun-to, Parlamento per i famosi e Proto-moteca per quelli un po’ meno». Giorgio stava pensoso da una partee disse: «Papà com’era quella can-zone: Core, core ’ngrato, te pigliat’a vita mia, è lui che è morto?». Ilsor Augusto gli dette uno scappel-lotto: «Sì, fai lo spiritoso, ignoran-te, e fai pure il terzo liceo classi-co». Giorgio si schermiva: «Lo so,papà, sto scherzando, ma questipersonaggi manco fossero antidilu-viani, però ce lo ha spiegato il profche Ingrao è come Giorgio Napoli-tano, cià spiegato tutto, che è statopure un bravo poeta ai Littorialidella poesia durante il fascismo,poi è diventato comunista e presi-dente, non so quali ma ha fatto tan-

te cose per l’Italia anche se adessosiamo tutti disoccupati, noi giova-ni, poi cià spiegato la tragedia del’56 a Budapest e del ’68 a Praga,che loro si sono pentiti dopo l’89,quando il comunismo non c’erapiù e il professore ha detto: grandegesto che rileva il lato umano diuomini integerrimi, e per poco nonsi metteva a piangere». Poi la Gina m’ha detto: «Resta apranzo da noi, oggi, viene anche ilprof di Giorgio, è rimasto vedovoda poco, ho preparato la zuppa dicardi con i fagioli, gli involtini diverza con un tritato di pollo e tac-chino, ciambrotta di zucchine, pe-peroni, melanzane e patate, aliciot-ti al gradin e tortino di riso al ca-cao, ma se preferisci ciò pure laversione con la cannella, ananascon le visciole e caffè al maraschi-no, a scelta, con l’anice che io lopreferisco, vero Augù?». Augustoera andato a lavarsi le mani, tor-nando diceva: «Ma Sandrino non èancora arrivato», e proprio in quelmomento entrò Sandrino, bellogrosso, giacca e cravatta, secondoanno di chimica alla Sapienza,quattro giornali sotto il braccio,«Sempre ’sti giornali, ma perchéquattro al giorno?», diceva la Gina,e Augusto: «Ormai ci dovresti averfatto il callo che lui è l’intellettua-le di famiglia», e dette uno scap-pellotto con bacio al figlio. Sandri-no: «Oggi non mi fate domandesennò butto giù tutto il comune diRoma». La Gina disse: «Guardache è già precipitato perciò rispar-miaci lo scatafascio», e Sandrino:«Manco pe’ gnente, un amico mioche sta con Marchini, l’architettoaspirante, mi ha raccontato un sac-co di cose della giunta del sindaco,pensa che Marco Causi quandostava con Veltroni avevano decisol’acquisto per nove miliardi dellevecchie lire di vecchi giocattoli diun tizio di Perugia, valutazionesenza espertise ufficiale di mercatoe pare nemmeno delibera comuna-

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di Franco Palmieri

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Fabrizio Benedetti, Un mondo senza ani-mali (Possiamo rinunciare alla speri-mentazione sugli animali?), CarocciEditore, Roma 2015, pp. 100, euro 10.

Massimo Bettetini, La luna nel naviglio.Milano in poesia, con illustrazioni diU. La Pietra, Interlinea Edizioni, No-vara 2015, pp. 110, euro 14.

Iosif Brodskij, Conversazioni, a cura diC.L. Haven, Adelphi Edizioni, Milano2015, pp. 318, euro 20.

William Butler Yeats, Blake e l’immagi-nazione, a cura di L. Gallesi, MimesisEdizioni, Milano-Udine 2015, pp. 82,euro 5,90.

Sergio Campailla – Marco Menato – An-tonio Trampus – Simone Volpato, Labiblioteca ritrovata (Saba e l’affairedei libri di Michelstaedter), prefazionedi R. Rummo, Leo S. Olschki Editore,Firenze 2015, pp. X-92, euro 20.

Carla Canullo (cur.), Differenze e relazio-ni, vol. III: Le religioni nello spaziopubblico, Aracne Editrice, Ariccia2015, pp. 262, euro 16.

Zefferino Cerquaglia, Napoleone in Um-bria (L’impero francese nell’Umbria«meridionale» 1809-1814), prefazio-ne di R. Ugolini, Edizioni Thyrus, Ar-rone 2015, pp. 528, euro 35.

Massimiliano Comparin, Il male accan-to, Editoriale Jouvence, Milano 2015,pp. 306, euro 19.

Pippo Corigliano, Siamo in missione perconto di Dio (La santificazione del la-voro), Mondadori, Milano 2015, pp.136, euro 17,50.

Gianandrea de Antonellis – MarcelloStanzione, 100 domande sul Purgato-rio, Gribaudi, Milano 2015, pp. 128,euro 6.

Armando Fumagalli, La comunicazione

di una «Chiesa in uscita» (Riflessionie proposte), Vita e Pensiero, Milano2015, pp. 136, euro 14.

Luca Gallesi (cur.), Ezra Pound. Jeffersone Mussolini, Edizioni Bietti, Milano2015, pp. 130, euro 14.

Carlo Ginzburg, Paura reverenza terrore(Cinque saggi di iconografia politica),Adelphi Edizioni, Milano 2015, pp.314, euro 40.

Andrea Torquato Giovanoli, Non piùdue, prefazione di R. Frullone, Gribau-di, Milano 2015, pp. 112, euro 11,50.

Paolo Isotta, Altri canti di Marte (Udire invoce mista al dolce suono), Marsilio,Venezia 2015, pp. 464, euro 20.

Claude Lévi-Strauss, Siamo tutti canni-bali, presentazione di M. Niola, prefa-zione di M. Olender, traduzione di R.Ferrara, Il Mulino, Bologna 2015, pp.174, euro 14.

Stefano Lucchini – Alessandro Santaga-ta (cur.), Narrare il conflitto. Propa-ganda e cultura nella Grande Guerra(1915-1918), saggio introduttivo diM. Isnenghi, Fondazione Corriere del-la sera – Rizzoli, Milano 2015, pp.154, euro 14.

Giuseppe Lupo, L’albero di stanze, Marsi-lio, Venezia 2015, pp. 252, euro 17,50.

Carlo Maria Martini, Piccolo manualedella famiglia, presentazione di M.Veladiano, Giunti Editore, Firenze-Milano 2015, pp. 122, euro 10.

Giorgio Orelli, Tutte le poesie, a cura di P.De Marchi, introduzione di P.V. Men-galdo, bibliografia di P. Montorfani,Mondadori, Milano 2015, pp. LXXX-494, euro 22.

Étienne Pascal, Lettera a padre Noël, acura di B. Nacci, Mimesis Edizioni,

Milano-Udine 2015, pp. 70, euro 5,90.

Silvio Ramat, Elis Island. Poesie da unesilio (Carteggio 2011 con un’ami-ca), Mondadori, Milano 2015, pp.140, euro 15.

Clemente Rebora, Poesie, prose e tradu-zioni, a cura e con un saggio introdut-tivo di A. Dei, con la collaborazione diP. Maccari, Mondadori, Milano 2015,pp. CXXXIV-1330, euro 80.

Ralph Roeder, Savonarola, traduzionedall’inglese di M. Trevisan, Castel-vecchi – Lit Edizioni, Roma 2015, pp.190, euro 17,50.

Andrea Rognoni, Storia della letteraturapadana dall’antichità all’unità d’Ita-lia, Greco&Greco Editori, Milano2015, pp. 316, euro 12.

Paul Sabatier, Vita di san Francescod’Assisi, prefazione di A. Vauchez eG.G. Merlo, traduzione dal francese diG. Zanichelli, Castelvecchi – Lit Edi-zioni, Roma 2015, pp. 368, euro 25.

Enrica Salvaneschi – Silvio Endrighi,Libro Linteo (Titolo V. Mai sempre),Book Editore, Ro Ferrarese 2015, pp.112, euro 15.

Othmar Spann, Breve storia dell’idea disocialismo, Mimesis Edizioni, Mila-no-Udine 2015, pp. 56, euro 5,90.

Aldo Maria Valli, «Avete un compitogrande» (I nonni secondo papa Fran-cesco), Ancora Editrice, Milano 2015,pp. 40, euro 3.

Ernst Wiechert, La selva dei morti, SkiraEditore, Ginevra-Milano 2015, pp.124, euro 14.

Giuliano Zanchi, L’arte di accendere laluce (Ripensare la Chiesa pensando almondo), Vita e Pensiero, Milano 2015,pp. 142, euro 12.

Stefan Zweig, Hölderlin, traduzione daltedesco di A. Oderdorfer, Castelvecchi– Lit Edizioni, Roma 2015, pp. 124,euro 14,50.

LIBRI RICEVUTI

840

Ringraziamo gli editori per l’invio delle loro novità. Il giudizio critico, nei limi-

ti dello spazio disponibile alle rubriche, è cronologicamente indipendente da

questo annuncio bibliografico.

Questo fascicolo (n. 657) è stato chiuso in tipografia il 13 novembre 2015. Il fascicolo precedente (n. 656) è

stato consegnato al C.M. Postale di Perugia, per l’inoltro agli abbonati e alle librerie, il 16 ottobre 2015.

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ro, e per tre volte tenta di fuggire dalla vita. Un incubo, nascosto

dietro una maschera mondana, tenuto per molti anni malamente a

bada con farmaci tanto moderni quanto dannosi e inutili terapie

psicologiche. Ma quando la discesa all’inferno sembra aver rag-

giunto il fondo, ecco irrompere il Mistero, e questa donna razio-

nale, che ironizza sulle superstizioni soprattutto se religiose, è co-

me presa di mira da una serie di eventi inspiegabili, impressio-

nanti. Una Luce inattesa che porta con sé la liberazione del cor-

po e dell’anima. Un’avventura che ancor oggi continua, dove fede e ricerca psicologica si in-

trecciano, e che la protagonista racconta qui, senza nulla nascondere e nulla aggiungere.

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i bambini dove sono? Spesso com-

paiono di sfuggita, come sbucando

tra le gambe delle loro mamme e

dei papà. Eppure sono proprio i

bambini che, molto meglio di tutti

i grandi e dei potenti del mondo,

sanno comprendere il Regno dei

cieli e i suoi meravigliosi misteri

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