E IO TI SEGUO BOOKLET DVD

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e io ti seguo

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Booklet del dvd del film "e io ti seguo" di Maurizio Fiume

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Intervista a Maurizio Fiumedi Dario Formisano

L’intervista che segue è più complicata dellealtre che hanno accompagnato i dvd di questacollana. Il regista di “E io ti seguo” e il suo occa-sionale intervistatore condividono infatti unalunga amicizia. E hanno in passato, in altre si-tuazioni, altri film, lavorato insieme. Non solo.Maurizio Fiume (Napoli, 1961), sceneggiatore,regista, production manager – oggi in forze aTeatri Uniti, storica cooperativa di produzioneteatrale e cinematografica – è un cineasta ita-liano per così dire eretico. Uno di quelli per cui rappresentare oraccontare non è mai una scelta soltanto estetica o soltanto nar-rativa. Ma una scelta che si fonda – ha bisogno di fondarsi – suconvinzioni e suggestioni forti, meglio se extracinematografi-che. Come non bastasse, come si vedrà nel corso di queste pa-gine, Fiume è anche uno di quelli che “non la manda a dire”.Intervistandolo, dopo un fitto scambio di mail, in un caffè di piaz-za dei Martiri, nella Napoli dove è tornato a vivere da diversi anni,ho infatti intuito quanto questa intervista fosse per lui impor-tante. Quanto conti per lui, ma spero non per lui soltanto, fissaresulla pagina scritta una storia che non ha mai avuto l’occasionedi raccontare fino in fondo. La storia di un film, certo. Ma che in-treccia molti altri temi, nomi, fasi recenti e meno recenti dellanostra cronaca e del nostro (mal)costume.

Non è una storia sempre facile da ascoltare. Penso di nonfare cosa sgradita all’intervistato se premetto che la raccon-teremo un po’ alla Godard. Ci sono l’inizio, lo svolgimento, la fine.Ma non necessariamente in quest’ordine.

e io ti seguoè una pubblicazione eskimo

progetto e realizzazionefuori logo

designfranci&patriarca

editing e coordinamentobarbara tuccillo

immagini: “e io ti seguo” (pp. 16, 19)“In nome di Giancarlo” (pp. 7, 21)Mario Amura (p. 23)Gianni Fiorito (pp. 4, 9, 10)Tony Giangiulio (p. 3)

chiuso in tipografia28 luglio 2010

eskimo srl viale trastevere 21500153 romawww.eskimoweb.it

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Si fa un gran parlare delle colpe del cinema,di registi fannulloni e produttori disonesti. Sidice anche che c’è chi produce film per com-prarsi la casa, ma anche chi per produrre unfilm la casa è costretto a venderla. Ti spiace serivelo che tu appartieni, letteralmente, a que-sta seconda categoria?

Non credo sia un disonore, anche se, con duebambini da crescere, ne avrei volentieri fatto ameno. Tant’è. Un film a basso budget non con-templa imprevisti. “E io ti seguo” l’ho prodotto io, con una piccolacooperativa che avevo creato nel 2000, la icarowebfilm, senzaprevendite e finanziamenti pubblici. Quando ho iniziato avevomeno di un milione di lire sul mio conto corrente e un preventivoda 350 milioni. Ho utilizzato gli strumenti di finanziamento perle cooperative e creato un apposito fondo aziendale. Ho cercatoe trovato soci disposti a investire, come in un tax credit ante lit-teram ma senza benefici fiscali. Non è bastato. Ho chiesto un pri-mo prestito a una banca, poi un secondo; ho acceso un mutuosulla mia casa di Roma… Il budget intanto, tra il 2001 e il 2003 –tanto è durata la realizzazione del film – aveva raggiunto i250.000 euro. Intendevo pagare tutti, almeno un minimo, e hovoluto mantenere gli impegni presi. Ho trattato con Rai Cinema,Sky, Arte, senza riuscire a chiudere un contratto. Non ho potutofar altro che vendere l’appartamento in cui vivevo, acquistato coni sacrifici di 12 anni di lavoro. Ma non ho grandi rimpianti. Ho ancorpiù gratitudine per quei sovventori che mi hanno messo nellecondizioni di finire il film. Permettimi di ricordare Antonio Marino,che su un catamarano monoposto, durante una traversata dallaSpagna all’Italia, è sparito senza lasciare tracce di sé.

Eppure gli anni di “E io ti seguo” sono quelli, sempre secondouna certa vulgata, dei finanziamenti facili da parte dello Statoal cinema d’autore. È una strada che hai tentato anche tu?

Ci avevo provato un bel po’ di anni prima, in un’altra fase delprogetto. E conoscevo – abbiamo conosciuto insieme, per espe-rienza vissuta con il film precedente, “Isotta” – quanto il finan-ziamento pubblico complicasse e finisse per asfissiare laproduzione di un film. Volevo mantenere una certa indipenden-za, il budget estremamente contenuto poteva permettermelo.Però prima di cominciare le riprese ho chiesto al Ministero il soloriconoscimento dell’interesse culturale. L’ho fatto per rendere ilfilm più appetibile per un potenziale distributore, i film ricono-sciuti di interesse culturale potevano e possono accedere a varieagevolazioni... Il riconoscimento mi fu negato. La commissioneera presieduta dall’allora direttrice generale Rossana Rummo ela motivazione fu la seguente: «Opera di impegno civile, che pe-rò può servire ben poco alla causa che abbraccia nel momentoin cui si presenta secondo clichés del genere... essa descrive co-se note di un degrado civile meridionale di cui parlare ancoraservirebbe ormai a prolungare l'agonia invece di accelerarne il ri-medio e la rinascita... un ennesimo film standard su come ci ri-mette chi è onesto, be', di questo non abbiamo bisogno». Ma erofuori tempo: nel 2008 lo stesso MiBac assegnerà un finanzia-mento di 1.800.000 euro a “Fortapàsc” di Marco Risi, che rac-conta anch’esso la storia di Giancarlo Siani.

Giancarlo Siani, il cronista del quotidiano “Il Mattino”, assas-sinato dalla camorra il 23 settembre del 1985, avrebbe oggiquasi gli stessi anni che hai tu. I commissari del Ministero nonsapevano che per te quel nome, quel ragazzo, non erano sololo spunto per un’onesta “opera di impegno civile”. Per anni Sia-ni è stato per te poco meno di un’ossessione...

Conoscevo personalmente Giancarlo. Lo avevo conosciuto allafine del 1984. Il sociologo Amato Lamberti, che anni dopo sareb-be stato anche presidente della Provincia di Napoli, teneva uncorso di giornalismo all’Università Popolare di Napoli, che seguivoanch’io. Spesso era proprio Siani a tenere lezione. Raccontava la

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ricerca e sentivo di avere fra le mani una storiae un personaggio importanti. Nel 1990 proposiun progetto di docudrama, che chiamai come ilvecchio soggetto, “In nome di Giancarlo”, al“Premio Filmmaker” di Milano. Fui selezionato,mi diedero 20 milioni di lire per girarlo. Realizzaiil progetto con Roberto Gambacorta, dentro unacooperativa che avevamo fondato lo stesso an-no – io, lui e altri, te compreso – la Riverfilm. Ilruolo di Siani, dapprima pensato per Roberto DeFrancesco, anche lui socio della Riverfilm, l’ho poi affidato a unaltro socio, Antonio Cecchi. Ho apprezzato la tua tensione filo-logica nel voler proporre questo lavoro tra gli extra del dvd, maoggi lo giudico lungo e datato. Così te ne ho dato una versioneridotta e aggiornata, più evocativa che propriamente narrativa.Teresa Saponangelo si è amichevolmente prestata a registrareuna nuova voce fuori campo.

Che tipo di storia avevi in mente all’inizio? E cosa è cambiatonegli anni, nella tua visione del lavoro e del destino di Giancar-lo Siani?

Nel 1987 avevo scritto la storia di un ragazzo che cercava sem-plicemente di realizzare il suo sogno: fare il giornalista. E volevarealizzarlo senza ricorrere a scorciatoie, contando solo sulle pro-prie capacità. Questo personaggio mi sembrava nuovo rispettoallo stereotipo dell’eroe o al contrario del napoletano furbo oscansafatiche. Un personaggio nel quale io e molti della mia ge-nerazione ci identificavamo. Poi le inchieste giudiziarie, alcuneinchieste giornalistiche – un servizio della rivista “Frigidaire”, unapuntata del “Testimone” di Giuliano Ferrara, un “Telefono giallo”di Augias e “Il caso” di Biagi – insieme con alcuni libri nel frattempopubblicati, mi hanno fornito il contesto nel quale si muoveva Siani.E mi sono accorto che il contesto, per dirla alla Sciascia, era altret-tanto interessante (e tragico) della vicenda personale di Siani.

sua esperienza al “Mattino”, a Torre Annunziata, dell’ambientegiornalistico napoletano. Senza peli sulla lingua, come era nel suostile. Quando appresi dell’omicidio sono rimasto di sasso. Primadi quel momento non avevo mai pensato che la camorra potessetoccare direttamente te o le persone che ti sono vicine… Lenta-mente cominciai a pensare che il modo giusto per esorcizzarequesta storia, questa nuova paura, fosse raccontarla.

Che facevi in quegli anni? Quali erano le tue aspirazioni pro-fessionali?

Lavoravo, per così dire, per un cine club napoletano, il CentroCulturale Giovanile di via Luigi Caldieri, al Vomero. Curavo l’ufficiostampa, organizzavo rassegne e inoltre scrivevo di cinema e te-levisione per alcune pubblicazioni. Volevo scrivere per il cinemae la storia di Giancarlo fu in un certo senso la mia prima vera oc-casione di raccontare qualcosa di interessante.

In una traccia del dvd riproduciamo il testo del soggetto ispi-rato alla morte di Giancarlo Siani, con il quale vincesti, nel1987, il premio indetto dalla cooperativa Cinema Democraticoper il miglior soggetto originale.

Come dicevo, avevo maturato l’idea di esorcizzare lo shock at-traverso il racconto. Volevo prima di tutto capire che cosa erasuccesso. Mi chiusi in emeroteca per tre mesi e lessi tutti gli ar-ticoli di Siani. Cominciò a sembrarmi tutto chiaro, tutto scritto inquegli articoli... Scrissi il soggetto che vinse il Premio, e ancheuna sceneggiatura. Dopo il premio mi contattarono in molti: pro-duttori come Luigi De Laurentiis, registi come Amanzio Todini,attori come Sergio Castellitto. Scrissi diverse versioni del film manon se ne fece mai nulla. E mentre scrivevo, sembrava che le in-chieste su Siani si avviassero tutte a un punto morto.

Tu invece ne eri “ossessionato”? Non la chiamerei ossessione. Avevo fatto un lungo lavoro di

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E però il nome Siani, nel film non viene maipronunciato. E nessuno pensa sia soltanto ilfrutto di una scelta narrativa. Perché?

Alla fine è stata davvero una scelta narrativa.Fare un film dentro la cronaca eppure ribadirnel’autonomia, il diritto a un’elaborazione creativa.È chiaro nel film, fin dalle prime inquadrature, cheil mio Giancarlo non può che essere Giancarlo Sia-ni. È vero però che il problema si è posto e anchein maniera piuttosto drammatica. È una storianon proprio edificante. Vuoi che la racconti?

È la tua occasione. Dunque era successo, siamo a giugno del 2001, che il “Venerdì

di Repubblica”, aveva dato notizia della preparazione del miofilm. Il 6 agosto mi arriva una diffida da parte della Europeanfil-mcommission (che non è una Film Commission nel senso in cui leintendiamo oggi, ma una società privata) di Gianfranco De Rosa.La diffidante sostiene di essere titolare esclusiva “per conces-sione degli eredi” dei diritti di utilizzazione del nome di GiancarloSiani. Rispondo che non possono esistere “esclusive” di questotipo e chiedo in buona fede di poter verificare questa titolarità.Non ricevo risposte, ma la cosa comincia a inquietarmi: un gior-nalista del “Corriere del Mezzogiorno”, Diego Del Pozzo, mi chia-ma e mi fa avere un fax dello stesso De Rosa in cui venivodefinito “un bandito”. A ottobre dello stesso anno ricevo una ri-chiesta di danni per cinquecento milioni di lire! Gianfranco DeRosa aveva girato un cortometraggio anch’esso ispirato alla vi-cenda Siani, dal titolo “Mehari”. Ancora durante le riprese, la pri-ma società che nel frattempo aveva rilevato il progetto di DeRosa, insisterà nel rivendicare l’esclusiva di usare il nome di Gian-carlo Siani e nel chiedere il risarcimento dei danni. Tutte istanzeper fortuna archiviate dal giudice. De Rosa figura oggi tra i pro-duttori di “Fortapàsc”.

Così ho mantenuto la storia di Giancarlo come storia principale,ma ho inserito tre storie parallele che sono altrettanti punti di vistadella vicenda. Quello dei camorristi, che ho basato sulle ricostru-zioni che al tempo andavano fornendo i pentiti. Quello dell’ambien-te giornalistico, che secondo molte voci aveva avuto nei confrontidi Siani comportamenti a dir poco contraddittori. Il punto di vistainfine di imprenditori, politici e magistrati, a partire dalle inchiestedi Tangentopoli e da tutto quanto si è scoperto grazie a pentiti eintercettazioni. Era chiaro che il lavoro di Siani, sia nei risultati chenel modo in cui veniva svolto, dava fastidio a molti.

Questo ti esponeva al rischio di fare un film “a tesi”. E imma-gino che la cosa ti abbia posto non pochi problemi, sia in fasedi scrittura che di realizzazione...

Ne ero abbastanza consapevole ma non completamente. Hopensato di uscirne fuori con una sceneggiatura che fosse rigi-damente basata su documenti, volevo che qualunque eventoraccontassi fosse supportato da fonti incontrovertibili. Decisi diavvalermi della consulenza di Nello Cozzolino, un giornalista chesu “Prima Comunicazione”, ma soprattutto sul sito “Iustitia.it”,raccontava senza conformismi i retroscena del giornalismo na-poletano. Cozzolino, come altri suoi colleghi, era anche in pos-sesso delle carte dell’inchiesta giudiziaria del processo Siani. È stato lui che mi ha permesso di accedere a fonti primarie e ve-rificare ogni evento che mi sembrava necessario raccontare. Ilconfronto diretto con Bruno Rinaldi, vicequestore capo dellasquadra mobile di Napoli – stretto collaboratore del pm ArmandoD’Alterio, responsabile dell’inchiesta giudiziaria sul caso Sianiche ha portato all’arresto di mandanti ed esecutori – e con PietroGargano, decano dei giornalisti del “Mattino”, mi ha infine per-messo di scrivere e poi realizzare il film che avevo immaginato.In ogni caso, pur con queste forti limitazioni ho sempre deside-rato “fare del cinema”, ovvero raccontare coinvolgendo emoti-vamente lo spettatore.

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Torniamo alla genesi del film. Quando è che nonostante i se-gnali non proprio incoraggianti hai deciso di partire con la pro-duzione?

Nel 2001 accadono due cose significative. Viene pubblicato daMarsilio, e ha una vasta eco mediatica, “L’abusivo” di AntonioFranchini, che non è proprio un libro sul caso Siani ma viene per-cepito, anche grazie al bel titolo, come tale. C’è più di un produt-tore che pensa di comprarne i diritti e io sento il bisogno di nonaspettare oltre. La seconda cosa è che sto organizzando a Geno-va, per Mauro Berardi, le riprese di un film a più mani sul G8, “Unaltro mondo è possibile” e che in quei giorni mi convinco di potergirare “E io ti seguo” in digitale con una telecamera. Provai a miavolta a comprare i diritti del libro di Franchini, ma fui bruciato, intutti i sensi, da Rai Cinema. La cosa non mi fermò. Pensai, inge-nuamente, che se fossi arrivato primo su una storia così impor-tante, la stessa Rai non avrebbe potuto ignorarmi. Angelo Curti,produttore di Teatri Uniti, mi mise un ufficio a disposizione a Fuo-rigrotta e cominciai la preparazione. Avevo per fortuna da pocofinito un corso sull’organizzazione della produzione per aiuto re-gisti, producer e segretarie di edizione, la qual cosa mi consentìdi mettere su un primo nucleo di collaboratori, tutti giovanissimima dotati di grande entusiasmo. Ho iniziato la preparazione delfilm il giorno in cui le Torri Gemelle furono rase al suolo.

Con che mezzi avete poi girato?Ho girato con una telecamera Sony PD150 e poi abbiamo tra-

sferito il montaggio finale su pellicola 35 mm al laboratorio Au-gustus Color di Roma utilizzando il vecchio sistema del vidigrafo.Il direttore della fotografia, Mario Amura, aveva già sperimentatoil digitale, entrambi eravamo affascinati dal metodo Dogma diLars Von Trier. Avevamo pochissime attrezzature, tutte stipatein un camion che guidava il direttore di produzione, Enea Cioffi.Abbiamo lavorato con una troupe essenziale. In 24 giorni di ri-prese abbiamo girato 60 scene in circa 40 location diverse, con

Non cercasti un chiarimento con la famigliaSiani?

Non era facile. Conoscevo appena Paolo Siani,il fratello di Giancarlo. Mi era stato presentatonel 1988 al Centro Culturale Giovanile di via Cal-dieri dove si riunivano i soci della prima Associa-zione Giancarlo Siani. In quell’occasione gli parlaidel mio progetto. Lo stesso feci quando vinsi ilPremio Filmmaker. Ci incontrammo di nuovo alcinema Alcyone di Napoli in occasione di unaproiezione del documentario organizzata dalla “Repubblica”.Quando poi nel 2001 stavo per iniziare le riprese del film chiesi aPaolo Siani un incontro e ci vedemmo alla Caffettiera Vanvitelli,nel mese di settembre. Riepilogai brevemente la mia vicenda malui disse di non ricordare tutti i passaggi. In ogni caso mi confermòdi non potermi autorizzare l’uso del nome Siani avendo cedutoad altri l’esclusiva. Andai avanti ugualmente, convinto – e confor-tato da più di una consulenza legale – che non possa esserciesclusiva di alcun tipo su storie o nomi presi dalla cronaca.

Nomi e cognomi a parte, gli interessi e i temi che andavi atoccare erano più che delicati. Hai mai avuto paura?

Non ho avuto paura. Piuttosto l’impressione che quando parlidi camorra, il “sistema” (ed eravamo ben prima di “Gomorra”) siapronto a sfruttare ogni tua debolezza. Avrei più di un episodioda raccontare a conferma di quest’impressione. Mi limito all’ul-timo in ordine di tempo. Giravo un documentario, “Confini”, nelcarcere di Pescara (tra gli extra di questo dvd, ndr), ci sono moltidetenuti napoletani, tutti “affiliati”. Terminate le riprese uno diloro, il più anziano, viene a salutare e ringraziare. «Ho saputoche hai girato un film che parla di noi». Lo guardo negli occhi econfermo: «Quello su Siani». «Già proprio quello. Stai tranquillo.Andrà tutto bene».

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Angelo Petrella - cui si deve la video introduzione allavisione di “E io ti seguo”, riprodotta tra gli extra del dvd– è uno scrittore napoletano che si era già cimentato conla storia di Giancarlo Siani.

Nel 2009, aderendo a un progetto di Mario Gelardi, rea-lizzato dalla piccola casa editrice Ad est dell’Equatore(www.adestedellequatore.com), ha scritto, in un bel li-bro dal titolo “La ferita – Racconti per le vittime innocentidi camorra”, un racconto caratterizzato da un originalepunto di vista sulla vicenda Siani.

Poiché il racconto ci era piaciuto – ed è la ragione percui abbiamo pensato a lui per la presentazione del film –ci sembra interessante riprodurne integralmente il testo.

Lo facciamo grazie alla gentile concessione dell’autore,del curatore e dell’editore. Che naturalmente ringraziamo.

Impercettibili sfumaturedi Angelo Petrella

Io il millenovecentottantacinque me lo ricordo. Ci stannodue cose importanti ché ti devi per forza ricordare il milleno-vecentottantacinque: no, non Enzo Tortora. E nemmeno i ter-roristi palestinesi quando dirottarono l’Achille Lauro. Ilmillenovecentottantacinque me lo ricordo bene per via dellalotteria Italia. Erano i primi di gennaio e io e Giancarlo stava-mo a piazza Plebiscito, in mezzo al traffico. A quel tempo cistavano ancora un sacco di macchine e pure i parcheggiatoriabusivi e pure una fontana, al centro della piazza. E insommaeravamo fermi in mezzo al traffico e stavamo andando a TorreAnnunziata a pigliare un po’ di informazioni su della genteche avevano arrestato. Dopo che Giancarlo è morto io sono ri-masto chiuso a casa di sua mamma e non mi sono mosso più.Però a quel tempo stavo sempre con lui, dalla mattina prestofino a quando se ne andava a dormire. A volte rimanevo perun sacco di tempo vicino alla sua scrivania al giornale.

Comunque, quel giorno, in mezzo al casino di piazza Plebi-scito vediamo attraversare un tizio strano, colla faccia dapazzo, che gridava appunto come un pazzo e faceva dei saltidi mezzo metro, ché per poco non lo mettevamo sotto. Io nonsono mai riuscito a riconoscere bene le espressioni sulla fac-cia di Giancarlo, però sono sicuro che in quel momento stavaridendo. “Aggio abbuscato! Aggio abbuscato!”, urlava il pazzo.Io mi pensavo che parlava della partita del Napoli, però eramartedì e non era possibile. Allora mi sono pure pensato chea quel signore veramente lo aveva stroppiato qualcuno: a Na-poli, soprattutto al centro, sta pieno di gente spostata cheper niente ti alza le mani addosso. Ma però quel signore te-neva la faccia troppo contenta e infatti, pure se faceva le suepazzarìe, continuava a ridere e a saltare. Quella notte stessa,io e Giancarlo stavamo leggendo l’edizione del giornale uscitafresca fresca dalla rotativa e ci troviamo questo titolo enor-me: “Lotteria Italia: a Napoli, premio da un miliardo. Cacciaal fortunato vincitore”. Quel pazzoche faceva le pazzarìe aveva avutoveramente il culo rotto, scusatel’espressione.

Quando siamo arrivati a casa suaal Vomero, la prima cosa che Gian-carlo ha fatto è stato aprire un cas-setto della scrivania, pigliare il suobiglietto della lotteria e stracciarlo.Io non sono mai riuscito a riconosce-re bene le espressioni sulla faccia diGiancarlo, però sono sicuro che inquel momento stava ridendo. Mi so-no sempre pensato se Giancarlo vin-ceva lui la lotteria, forse non moriva.O forse sì lo stesso. Tutti i giornalisti,perfino gli scrittori, hanno detto chein realtà la morte di Giancarlo era già

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decisa il giorno dieci giugno millenovecentottantacinque,quando uscì un articolo dove si diceva che il boss ValentinoGionta di Torre Annunziata era stato arrestato per colpa delboss Lorenzo Nuvoletta di Marano. Cioè, il fatto è che per farepiacere alla famiglia dei Bardellino della provincia di Caserta,Lorenzo Nuvoletta doveva uccidere a Valentino Gionta: peròNuvoletta era mafioso come Gionta, oltre che camorrista, eperciò non poteva far uccidere un altro mafioso. Non sarebbestato onesto. E allora fece una pensata niente male, e cioèpensò “Io mo’ lo faccio arrestare dai carabinieri, faccio unasoffiata anonima. Tanto nessuno lo viene a scoprire”. Ma peròqualcuno lo viene a scoprire e infatti un capitano dei carabi-nieri ce lo venne a dire a me e a Giancarlo. Così, nell’articolodel dieci giugno millenovecentottantacinque, Giancarlo inpratica diceva che Lorenzo Nuvoletta era un quaquaraquà,cioè un infame, uno che fa la spia alla polizia. Per questo Lo-renzo Nuvoletta ha fatto sparare a Giancarlo. Però volevo direche a quel tempo della lotteria che vi ho detto prima, era an-cora gennaio e Giancarlo non aveva ancora scritto quell’arti-colo e quindi se vinceva la lotteria forse non avrebbe scrittoquel pezzo per “Il Mattino”. O forse sì, non lo so.

Quattro giorni prima che hanno ammazzato Giancarlo sta-vamo a casa sua. Suo fratello e gli amici gli hanno fatto la tor-ta e mentre spegneva le candeline stava quasi per affogare,s’è messo a tossire e ha fatto un rumore assurdo colla boccaper pigliare fiato. Allora gli amici si sono messi a sfotterlo. Ionon sono mai riuscito a riconoscere bene le espressioni sullafaccia di Giancarlo, però sono sicuro che stava ridendo. La se-ra che l’hanno sparato stavamo tornando a casa, dietro piaz-za Leonardo, vicino a quella strada che poco dopo si arrivapraticamente a Salvator Rosa. Giancarlo aveva appena par-cheggiato, teneva un piede quasi fuori dalla macchina quan-do abbiamo visto uno dei due tizi che teneva il braccio drittoe la pistola puntata. Quando ho sentito il primo colpo non ho

capito più niente: mentre rotolavo per terra ho visto Giancar-lo che sbatteva colla faccia vicino al parabrezza. Poi ho sen-tito un altro colpo e ho visto che Giancarlo cadeva all’indietro,con uno scatto come quando scivoli sulla cera per i pavimen-ti. Allora ho sentito che faceva un rumore assurdo colla boc-ca, come quello di quattro giorni prima quando spegneva lecandeline della torta. Poi ho sentito l’ultimo sparo e il rumoreassurdo è finito anzi tutti i rumori sono finiti. Non è duratoassai, il silenzio.

Dopo un poco sono arrivate un sacco di persone e pure lapolizia e ci stava gente che gridava e poi sono scesi pure i ge-nitori di corsa da casa e gli amici. Qualcuno per poco non micalpestava. Ho passato un sacco di giorni in mano a poliziottie magistrati e avvocati. Poi mi hanno riportato a casa e daquel giorno là sono rimasto chiuso in un cassetto e nessunomi ha toccato più. Solo la mamma di Giancarlo ogni tanto, maogni tanto. Ci sta un filosofo tedesco, che si chiama Wittgen-stein, che dice che la nostra logica è come gli occhiali sul no-stro naso: possiamo vedere attraverso le lenti, ma nonpossiamo vedere le lenti. Però secondo me vale pure l’incon-trario: per questo da sopra al naso di Giancarlo non sono mairiuscito a riconoscere bene le espressioni sulla sua faccia. Ma,se ora mi sta ascoltando, sono sicuro che sta ridendo.

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più complesso. Non ero più un esordiente. Nel complesso erosoddisfatto e come me lo erano i miei principali collaboratori.Eravamo pronti ad affrontare il pubblico.

Anche nel caso di “E io ti seguo” – come degli altri film cheproponiamo in questa collana di dvd – la distribuzione è stataavventurosa quanto la produzione.

A metà del 2002 ho iniziato la trafila dei festival. Ho ricevutomolti apprezzamenti ma nessuna selezione importante. Per i fe-stival stranieri preferivo dribblare i corrispondenti italiani con-vinto che le logiche nazionali finiscano sempre per privilegiare ifilm più forti dal punto di vista produttivo. Fui infine selezionatodal Festival di Montreal in concorso, nella sezione Cinema Euro-peo. In Italia puntai sugli “Incontri di Sorrento” che nel dicembre2003 tentavano di rilanciarsi e proiettarono il film ad aperturadi festival. Pensavo potesse essere un trampolino mediatico male cose andarono diversamente e credo che in qualche modoproprio nella mia regione il destino del film ne uscì negativamen-te segnato.

Che cosa accadde? Accadde che l’inviato del “Mattino”, Pietro Treccagnoli, fece un

resoconto del film in cui criticava, devo dire in maniera equilibra-ta, il modo in cui venivano raccontati i giornalisti del “Mattino”.Mi chiamarono poi sul cellulare per dirmi che “Il Mattino” avrebbechiesto il sequestro del film! E il giorno dopo sulle pagine delquotidiano venne pubblicato un comunicato di censura al filmda parte del Comitato di Redazione. Seguìto, qualche giorno do-po, da un altro comunicato, questa volta dell’Associazione Na-poletana della Stampa, presieduta da un giornalista del“Mattino”, Gianni Ambrosino, di solidarietà ai colleghi del quoti-diano. Ne riporto il testo: «Interpretare e rappresentare la duravita di un cronista ricorrendo a trasposizioni fantasiose per ren-dere più attraente una vicenda di per sé tragica costituisce una

40 attori e più di 300 comparse. Ho montato conAlessandro Corradi. La post produzione è durataquasi un anno.

Dove avete girato? Gran parte della vicendache raccontavi era ambientata a Torre Annun-ziata, un‘area non certo tra le più facili.

Conoscevo bene Torre Annunziata. Ho com-pletato lì i miei studi superiori al Liceo Scientificoe un mio compagno di classe, Giosuè Starita, èsindaco della città. Ho avuto inoltre il contributo fondamentale diMario Amura, che è proprio di Torre Annunziata e ci ha consigliatocome muoverci, suggerendoci quello che si poteva fare, quelloche era meglio evitare. Abbiamo girato molti esterni – e solo alcuniinterni – a Torre Annunziata. La redazione del “Mattino” l’abbiamoricostruita a Castellammare, nella redazione di “Metropolis”, ungiornale locale. Gli esterni del “Mattino” sono tutti girati a via Chia-tamone (dove ha sede il quotidiano); la strada che Giancarlo com-pie ogni giorno in Mehari per arrivare al giornale, dal Vomero doveabitava, è la strada che percorreva nella realtà. Anche la scena del-la sua uccisione l’abbiamo girata a Piazza Leonardo, proprio sottola lapide che lo ricorda. Ho pensato che fosse un grave errore chenell’inquadratura si veda la lapide. Un solo critico ha notato l’er-rore, ma lo ha considerato un punto di forza del film.

Alla fine delle lavorazioni eri contento del risultato?Quando inizi un film indipendente sai che devi inventarti le mi-

gliori soluzioni al costo umano ed economico più basso possibile,che alcune scene che hai immaginato dovrai profondamentemodificarle, alcune dovrai tagliarle, altre non riuscirai a girarle.Ero preparato ai problemi, ai ritardi, ai cambiamenti. Tra il docu-mentario “In nome di Giancarlo” ed “E io ti seguo” avevo girato“Drogheria”, un cortometraggio in 35 mm (anche questo tra gliextra del dvd, ndr) e “Isotta”, che produttivamente era un film

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rato che Santilli fosse un personaggio di fanta-sia e continuo a dichiararlo. Ma che rappresen-tasse quei lati oscuri interni alla redazione del“Mattino” che nei mesi e negli anni successiviall’assassinio Siani avevano tuttavia un loro ri-scontro, se pure non definito in sede giudiziaria,in alcune indagini dei magistrati come nel rac-conto di altri cronisti e osservatori. Pensavoinoltre che dal 1985 al 2002 di acqua sotto iponti, compresi quelli di via Chiatamone, ne fos-se passata. Non credevo che un giornale, una categoria, potes-sero chiudersi in maniera così censoria a una possibilità didibattito. Che era poi quello che veramente mi interessava.

Che genere di dibattito?Un dibattito nel corso del quale, si potesse e si possa, anche

al di là delle sentenze, ma tenendo conto delle indagini e del la-voro dei magistrati, provare a dare una risposta a quelle doman-de che sono state poste non certo dal mio film o non solo dal miofilm, ma che sono state sistematicamente eluse. È vero che Giu-seppe Calise, uno dei capiservizio di Siani ha scritto un libro daltitolo “Morte di un cronista”, in cui sposa a priori l’inchiesta sulcaso – che si rivelerà senza alcun fondamento – del procuratoregenerale Aldo Vessia? Quel Calise che intercettato telefonica-mente nel ‘92 prometteva al questore – la cosa fu ripresa damolti giornali – che avrebbe cacciato “con un calcio in culo” unaltro suo giornalista, Gianni Ambrosino? È vero che il pentito Fer-dinando Cataldo, giudicato attendibile in tre gradi di giudizio (co-me raccontato dal suo avvocato, Arturo Buongiovanni anche inun bel libro edito da Donzelli, “Intendo rispondere”), riferì che arendere riconoscibile il volto di Siani ai suoi sicari fosse stato unimprenditore di Torre Annunziata, tal Salvatore Annunziata det-to Damiano, e che questa “segnalazione” era avvenuta a viaChiatamone in presenza di un collega di Siani? È vero oppure no,

violazione grave dei più elementari diritti all'informazione». Lacosa davvero grave era che nessuno dei firmatari aveva visto ilfilm e tutti si basavano sul resoconto di Treccagnoli. Provai a ri-spondere ai due comunicati in maniera argomentata, sostenen-do che il mio non era un documentario, che rivendicavo la libertàdi interpretazione dei fatti, pur basandomi su documenti, e cheero pronto ad un dibattito pubblico. Di questa mia replica, né “IlMattino” né altri giornali pubblicarono una sola riga. I distribu-tori, con cui avevo intrapreso una negoziazione per fare uscire ilfilm, decisero di non prenderlo in distribuzione. Alla fine “E io tiseguo” è uscito nel 2004, a Napoli al Filangieri e all’America Hall,grazie ad Annie e Giuseppe Grispello. Poi è stato proiettato in ol-tre cinquanta tra rassegne, festival, convegni, in alcune univer-sità e in molte scuole. Tra tutte le proiezioni tengo a ricordarequella al cinema Trianon del 25 gennaio 2004 organizzata dalCentro per l’educazione alla legalità della Provincia di Napoli. Ri-cordo che in quella occasione mi si avvicinò Maurizio Cerino, ungiornalista del “Mattino”, urlandomi di aver raccontato un saccodi bugie su Siani. Il cerchio in qualche modo si chiudeva. Cerinoera il coautore del cortometraggio “Mehari” e figura tra gli sce-neggiatori di “Fortapàsc”.

La tua colpa era quella di aver alzato il velo su possibili col-lusioni con il disegno malavitoso che aveva portato all’ammaz-zamento di Siani di qualcuno interno alla redazione delgiornale. Non era certo cosa da poco.

Nel film c’è un personaggio, Santilli, interpretato da AntonioManzini, che potrebbe aver sottratto – l’ipotesi è suggerita manon rappresentata – a Siani la cartellina che conteneva la sua in-chiesta sui rapporti tra imprenditoria e politica a Torre Annun-ziata. Un’inchiesta che Giancarlo avrebbe voluto pubblicare inun libro, come risulta da una sua lettera privata e da alcune sueconversazioni riportate da una sua amica di Bologna, ChiaraGrattoni in una testimonianza resa al giudice. Ho sempre dichia-

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un altro dei misteri in cui è intorbidito il passatodel nostro Paese. Capisco finalmente adessoanche che cosa significasse la frase di lancio,riprodotta sul manifesto cinematografico delfilm: «Io non voglio conoscere la verità, ma mipiacerebbe poterla scrivere». Una frase che misuonava oscura, soprattutto se detta da ungiornalista, uno che può raccontare soltantoquel che conosce o crede di conoscere. Ma Fiu-me non è un cronista, ma un cineasta, per dipiù eretico. Lui ha usato il linguaggio del cinema per arrivare asuo modo a una verità che a sua volta non conosce e che nes-suno di noi conosce. Inevitabile che un percorso del generepossa deragliare. Altrettanto certo che di queste forzature, de-ragliamenti, il cinema, e non soltano il cinema, abbia bisogno.Presentando il dvd, lo scrittore Angelo Petrella ricorda l’«io soma non ho le prove» di pasoliniana memoria. L’epigrafe in codaal film preferisce citare Francesco Rosi e le sue “Mani sulla cit-tà”, quando dichiara il racconto frutto di fantasia ma assoluta-mente vero il contesto che lo ha generato. Dice ancora, piùsemplicemente, il regista di “E io ti seguo”:

Mi aspettavo che il film fosse un caso, che provocasse grandidibattiti su Siani e sul giornalismo. In realtà questo è avvenutoma diluito in molti anni. Forse i piccoli film indipendenti non pos-sono essere diffusi con la rapidità dei film commerciali ma hannobisogno del tempo.

Buona visione.

come racconta un passaggio dell’inchiesta del vicequestore Ri-naldi, che una guardia giurata, Armando Silvestre, ha detto diaver assistito, sempre a via Chiatamone, all’episodio in cui Sianichiedeva protezione, perché si sentiva minacciato, a un “falco”suo amico, tal Giovanni Mannocchia detto Maradona? Che il Sil-vestre ha raccontato questo episodio al giornalista del “Mattino”Giulio Avati e poi a Calise, e che sia stato da questi invitato adandarlo a raccontare anche al magistrato Cono Lancuba, il giu-dice poi tirato in ballo dal pentito Galasso, arrestato nel marzo1994 e condannato in primo grado, nel luglio 2000, a otto anniper concorso esterno in associazione camorristica e corruzione?È vero che la testimonianza fu archiviata dal magistrato senzametterla minimamente in relazione con il caso Siani? E chequando il vicequestore Rinaldi trova finalmente la cartella con ladeposizione, tutti cadono dalle nuvole, compreso il giornalistache aveva accompagnato Silvestre dal magistrato? Il giornalistaMaurizio Cerino che pure ha scritto un libro su Siani ma questoepisodio ha raccontato in ben altro modo dal vicequestore? È ve-ra oppure no la dura reazione dei redattori più giovani del quo-tidiano alla decisione del direttore Pasquale Nonno di dare,all’indomani della tragedia, solo poche righe alla notizia dell’omi-cidio? Un film, un’opera possono, forse devono, confrontarsi conqueste domande, non certo compiacere i giornalisti che andran-no a vederlo.

Devo riprendere il filo da dove ho iniziato. Conosco MaurizioFiume da troppi anni per dubitare di quanto sia onesta, sinceraquesta sua richiesta di verità, o anche soltanto di un dibattitoin cui le varie ipotesi siano formulate e non rimosse. Questa suaconsapevolezza circa il fatto che se certi nodi non vengono maial pettine, un Paese non potrà mai dirsi veramente civile. E delresto quel che sia davvero accaduto a Giancarlo Siani, che cosaci fosse nella sua cartella, chi e se davvero qualcuno sia statocomplice, anche inconsapevole, dei suoi assassini, è soltanto

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e io ti seguoe io ti seguo

e io ti seguoItalia | 2004 | 81 minuti | colore | 1.77:1

con Yari Gugliucci (Giancarlo), Antonio Manzini (Santilli), Roberto DeFrancesco (Tore), Carlotta Natoli (Chiara), Ninni Bruschetta(Comandante Starace), Ginestra Palladino (Daniela), Pino Calabrese(Caporedattore), Stefania Di Nardo (Lella), Francesco Ruotolo(Funzionario), Enrico Ianniello (Redattore Napoli), Peppe Miale(Cronista Questura), Francesco M. Dominedò (Pentito), Angelo Curti(Angelo), Agostino Chiummariello (Lorenzo), Roberto Nigro(Imprenditore torrese), Federico Torre (un camorrista).

aiuto regista Gennaro Fasolino, assistenti alla regia Ilaria Patamia eAlfredo Mazzara, segretaria di edizione Alessia Confessore, direttoredi produzione Enea Cioffi, scenografia Ottavia Rinaldo e Mario Pettinari,arredamento Michela Gargiulo, costumi Gennaro Fiumara e RosarioZaccaria, trucco Adele Paga, suono in presa diretta Luca Bertolin eAlberto Fasulo, musiche Vittorio Cosma, montaggio AlessandroCorradi, fotografia Mario Amura, soggetto e sceneggiatura MaurizioFiume con la collaborazione di Stefano Muti e la consulenza di NelloCozzolino, un film prodotto da Maurizio Fiume per icarowebfilm, regia di Maurizio Fiume.

Sito dell’autore www.mauriziofiume.com

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