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1 DOSSIER PIANO CASA Il Piano casa dalla L.R. 14/2009 alla L.R. 32/2013 Appunti tratti dal convegno di Camposampiero (PD) del 18/11/2014 PREFAZIONE Era il 31 marzo 2009 quando, dopo mesi di lunghe trattative, Governo, Regioni ed Enti Locali siglavano l’intesa sul c.d. Piano casa, ratificata poi nella Conferenza Stato - Regioni nel 1 aprile dello stesso anno. Come stabilito dall’Intesa raggiunta in sede di Conferenza, le Regioni si impegnavano ad approvare - entro e non oltre 90 giorni da quella data - proprie leggi, volte a favorire il rilancio dell’economia, rispondere ai bisogni abitativi delle famiglie ed introdurre incisive misure di semplificazione procedurale dell’attività edilizia. La Regione Veneto onorò l’impegno preso l’8 luglio 2009 con la promulgazione della legge regionale n. 14, oggetto di successive proroghe e modifiche nel 2011 e 2013 (LL.RR. n. 13 e 32, cc.dd. Piano casa bis e ter). Ebbene, a distanza di 5 anni dall’entrata in vigore della legge sul Piano casa, è giunto il momento di un primo bilancio. Agli oltre 70.000 interventi in applicazione del Piano casa è inevitabilmente seguito un contenzioso importante ma nemmeno troppo consistente. Quello che la presente raccolta giurisprudenziale vuole essere, oltre che una collezione delle sentenze pronunciate dal T.A.R. Veneto dal 2010 ad oggi in detta materia, è una sorta di vademecum a servizio dell’operatore giuridico, una antologia giurisprudenziale che renda più rapida ed efficiente la ricerca.

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DOSSIER PIANO CASA

Il Piano casa dalla L.R. 14/2009 alla L.R. 32/2013

Appunti tratti dal convegno di Camposampiero (PD) del 18/11/2014

PREFAZIONE

Era il 31 marzo 2009 quando, dopo mesi di lunghe trattative, Governo, Regioni ed

Enti Locali siglavano l’intesa sul c.d. Piano casa, ratificata poi nella Conferenza Stato -

Regioni nel 1 aprile dello stesso anno.

Come stabilito dall’Intesa raggiunta in sede di Conferenza, le Regioni si impegnavano

ad approvare - entro e non oltre 90 giorni da quella data - proprie leggi, volte a

favorire il rilancio dell’economia, rispondere ai bisogni abitativi delle famiglie ed

introdurre incisive misure di semplificazione procedurale dell’attività edilizia.

La Regione Veneto onorò l’impegno preso l’8 luglio 2009 con la promulgazione della

legge regionale n. 14, oggetto di successive proroghe e modifiche nel 2011 e 2013

(LL.RR. n. 13 e 32, cc.dd. Piano casa bis e ter).

Ebbene, a distanza di 5 anni dall’entrata in vigore della legge sul Piano casa, è giunto

il momento di un primo bilancio. Agli oltre 70.000 interventi in applicazione del

Piano casa è inevitabilmente seguito un contenzioso importante ma nemmeno

troppo consistente.

Quello che la presente raccolta giurisprudenziale vuole essere, oltre che una

collezione delle sentenze pronunciate dal T.A.R. Veneto dal 2010 ad oggi in detta

materia, è una sorta di vademecum a servizio dell’operatore giuridico, una antologia

giurisprudenziale che renda più rapida ed efficiente la ricerca.

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La catalogazione, all’interno della raccolta, delle sentenze, di seguito riportate è in

ordine cronologico e in relazione agli articoli di riferimento della legge c.d. “Piano

casa”.

Il lavoro, quindi, non ha pretese di completezza, né aspira a ciò, esso si pone come

obiettivo quello di essere un working in progress, esposto necessariamente a

periodici arricchimenti giurisprudenziali.

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COSA TROVERETE ALL’INTERNO DEL DOSSIER:

Tabella delle sentenze pronunciate dal T..A.R. Veneto, Sezione Seconda, dal 2010

ad oggi, in materia di Piano casa, suddivise per articoli di riferimento;

Lista delle sentenze più significative per tipologia di contenuti;

Appunti in merito all’intervento del 18 novembre 2014 dell’Avv. Pierfrancesco Zen,

“Orientamenti giurisprudenziali del T.A.R. Veneto in materia di Piano Casa”, in

occasione del seminario “Riqualificazione delle aree degradate: dal Piano per la città

( D.L. n. 70/2011) al Piano Casa della Regione Veneto (L. R. n. 32/2013)”, promosso

dal Comune di Camposampiero.

Grafici di andamento sui procedimenti, basati sui dati dei Comuni aderenti

all’attività di monitoraggio del c.d. “Piano casa” tratti dal sito della Regione Veneto,

Direzione Urbanistica e Paesaggistica.

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Piano casa: Sentenze T.A.R. Veneto

ARTICOLI L.R. 14/2009 L.R. 13/2011 L.R. 32/2013

2010

2011

2012

2013

2014

Art. 1 - Finalità. n. 2745 n. 186

Art. 1 bis – Definizioni e modalità applicative.

Art. 2 - Interventi edilizi di ampliamento. n. 2385 n. 2745 n. 3607 n. 3610 n. 5694

n. 186 n. 576 n. 781

n. 1361 n. 1371 n. 1611 n. 1615

n. 376 n. 486 n. 605 n. 642 n. 962

n. 1105 n. 1181 n. 1359

n. 12 n. 122 n. 541 n. 691 n. 835 n. 929

n. 1105 n. 1213 n. 1271

n. 14 n. 151 n. 411 n. 413 n. 589 n. 707 n. 760 n. 770

n. 1041 alla luce della l.r. 32/2013

Art. 3 - Interventi per favorire il rinnovamento del patrimonio edilizio

esistente.

n. 2385 n. 3607 n. 3610

n. 1371 n. 1611

n. 376 n. 486 n. 605 n. 959

n. 547 n. 14 n. 151 n. 698

alla luce della l.r. 13/2011

n. 1179

Art. 3 bis - Interventi nelle zone agricole.

Art. 3 ter - Interventi per favorire la rimozione e lo smaltimento dell’amianto.

Art. 3 quater - Interventi su edifici in aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica e

idrogeologica.

Art. 4 - Interventi per favorire la riqualificazione degli insediamenti

turistici e ricettivi

n. 3610 n. 859 n. 1371

n. 376 n. 486

Art. 5 - Interventi per favorire l’installazione di impianti solari e

fotovoltaici e di altri sistemi di captazione delle radiazioni solari.

n. 1216

Art. 6 - Titolo abilitativo edilizio e procedimento.

Art. 7 - Oneri e incentivi.

Art. 8 – Elenchi e monitoraggio.

Art. 9 - Ambito di applicazione. n. 796 n. 2385

n. 186 n. 242

n. 376 alla luce della l.r. 13/2011

n. 210 alla luce della l.r. 13/2011

n. 150 n. 151

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n. 5694 n. 377 n. 576 n. 781 n. 859

n. 1216 n. 1361 n. 1371 alla luce della l.r. 13/2011 n. 1611

n. 486 n. 605 n. 607 alla luce della l.r. 13/2011 n. 642 n. 962

n. 1105 n. 1181 n. 1359

alla luce della l.r. 13/2011

n. 302 n. 547

alla luce della l.r. 13/2011

n. 743 n. 929 n. 940

alla luce della l.r. 13/2011

n. 1213 alla luce della l.r. 13/2011

n. 1271 n. 1416

n. 233 n. 877

n. 1128 n. 1139 n. 1179 n. 1366

Art. 10 - Ristrutturazione edilizia. n. 2385 n. 1359 n. 1181 alla luce della l.r. 13/2011

n. 262 n. 561

Art. 11 - Interventi a favore dei soggetti disabili.

Art. 11 bis - Interventi finalizzati a garantire la fruibilità degli edifici

mediante l’eliminazione di barriere architettoniche.

Art. 12 - Modifiche all’articolo 10 della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 “Disposizioni generali in materia di

eliminazione delle barriere architettoniche”

Art. 13 - Dichiarazione d’urgenza.

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Le pronunce più significative del T.A.R. Veneto Di seguito troverete riportate le pronunce che, a parere dello scrivente, sono di

particolare interesse per l’argomento trattato:

♦ sulla necessaria compatibilità urbanistica (edifici in zona impropria – area

destinata a verde pubblico (art. 9, comma 2): nn. 186/11; 241/11.

♦ sulla demolizione e ricostruzione e piano casa (art. 3): nn. 2385/10; 1611/11.

♦ sul concetto di aderenza (art. 2): nn. 2745/10; 835/13; 561/14; 770/14.

♦ sulla derogabilità delle distanze (art. 9, comma 8): nn. 5694/10; 377/11; 151/14.

♦ sulla diretta applicabilità della legge per le prime case di abitazione (art. 9, comma

3): nn. 576/11; 1371/11; 210/13; 760/14.

♦ sulla applicabilità agli edifici abusivi o sanati (art. 9, comma 1): nn. 781/11;

1139/14.

♦ sulla possibilità di plurimi interventi del Consiglio comunale e sulla perentorietà

dei termini per introdurre limiti al piano casa (art. 9, comma 5): nn. 859/11;

1366/2014 [l’argomento è stato superato dalla L.R. 32/2013 che ha eliminato un

siffatto potere in capo al Consiglio comunale].

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♦ sul concetto di ristrutturazione con ampliamento (art. 10): nn. 1359/11; 262/14;

561/14.

♦ sul concetto di edificio esistente (art. 9, comma 6): nn. 1361/11;

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Orientamenti giurisprudenziali del T.A.R.

Veneto in materia di “Piano Casa”.

Nella Regione Veneto sono state presentate circa 70.000 istanze di applicazione

della L.R. n. 14/2009 - “Piano casa” e s.m.i.

Tuttavia, il T.A.R. Veneto non è stato investito da un contenzioso notevole

quantitativamente, ma le questioni giuridiche su cui è stato chiamato a pronunciarsi

hanno posto problematiche molto importanti relative alla interpretazione della L.R.

con riferimento, in particolare, alla legittimità delle norme regolamentari attuative

adottate dai Comuni.

Le sentenze della II Sez. del T.A.R. avevano individuato, al riguardo, alcuni punti

fermi per cercare di superare i contrasti tra gli atti integrativi dei Comuni e la stessa

legge.

La nuova legge modificativa (L.R. 32/2013) ha superato questi problemi nel

momento in cui li ha risolti in nuce non demandando più ai comuni la possibilità di

limitare, in determinati ambiti, l’applicazione stessa del Piano casa. Si trattava, da

parte del T.A.R. di verificare se il potere del Comune di limitare l’applicazione della

disciplina introdotta con la l.r. fosse stato esercitato legittimamente, soprattutto con

riguardo alle esclusioni disposte dagli stessi regolamenti.

Ora che questa problematica è stata tolta di mezzo, la giurisprudenza si è potuta

concentrare molto più direttamente sulle questioni relative al concetto di

ampliamento e alle sue applicazioni. In quest’opera esegetica certamente ora

soccorrerà la circolare regionale del 28.10.2014 che sostituisce le precedenti per

espressa previsione della stessa.

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Di seguito analizzeremo i temi che più sono stati motivo di confronto in ambito

giudiziario:

1) GLI AMPLIAMENTI DELLA PRIMA CASA.

Il giudice amministrativo in ordine all’applicazione della l.r. per gli ampliamenti della

prima casa di abitazione ha in maniera ferma e senza ombra di dubbio affermato il

principio della diretta applicazione della disciplina della l.r. n.14/2009 per gli

interventi relativi alla prima casa di abitazione, escludendo, anche in precedenza alla

L.R. 32/2013, la necessità della previa adozione di deliberazioni comunali.

Si richiamano al riguardo le sentenze della II Sezione del T.A.R. Veneto nn. 576/11 e

1371/11.

Tale principio era stato affermato in relazione agli ampliamenti della prima casa di

abitazione. Era stato, infatti, rilevato che: “se non è necessario attendere

l’introduzione delle disposizioni applicative comunali per ampliare la prima casa di

abitazione, ciò può trovare ragionevole giustificazione soltanto perché tali

disposizioni, se e quando approvate, non potranno disciplinare e tanto meno

impedire questi interventi: se si negasse, infatti, tale conclusione, si dovrebbe

ritenere che tali interventi, dapprima realizzabili e presuntivamente legittimi,

possono cessare di esserlo, dopo l’approvazione delle disposizioni comunali; e ciò

anche in corso d’opera, con le intuitive difficoltà in caso di varianti. Ciò darebbe,

evidentemente, luogo ad una disparità di trattamento, in presenza di presupposti

che possono essere del tutto identici, dove l’unico fattore discriminante è costituito

dal momento di presentazione dell’istanza, premiando, così, la maggiore reattività

del singolo proprietario”. E’ stato anche evidenziato che, comunque, anche gli

interventi sulla prima casa non sono liberi, trovando una sufficiente disciplina nelle

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disposizioni stesse della l.r. 14 del 2009 ( si vedano in proposito le sentenze: nn. 576

del 2011 e 1371 del 2011).

In altri termini si è chiarito che la “prima casa” segna il limite della competenza

comunale, nel senso che il legislatore l’ha assoggettata esclusivamente alla disciplina

di cui alla l.r. 14 del 2009 e s.m.i., la quale non può essere modificata dall’ente

territoriale con propri atti regolamentari, per cui la prima casa godrà sempre

dell’immediata ed integrale applicazione della stessa l.r. 14 del 2009.

Oggi, l’analisi del concetto di ampliamento dovrà attenersi agli artt. 2 e 3 della legge

sul Piano casa la cui portata è stata notevolmente ampliata. Quindi vediamo in

sintesi quali sono le parti modificate dei sopra citati articoli.

I commi 1 e 2 sono stati interamente riscritti, modificando la misura degli

ampliamenti concessi e, soprattutto, inserendo una fondamentale condizione legata

al fatto che sia gli edifici da ampliare sia l’incremento volumetrico o di superficie

devono ricadere in zona territoriale omogenea propria.

Altrettanto importante risulta la previsione del riscritto secondo comma, il quale

conferma ed amplia la possibilità di realizzare ampliamenti staccati, ma disciplina in

maniera puntuale dove [aderenza e se staccato in quale area (omogenea), lotto o

pertinenza] ed entro quale distanza (200 m) il bonus di cubatura o superficie

possa/debba ricadere.

Sostanzialmente immutati sono, invece, rimasti i commi 3 e 4, salvo l’aggiornamento

della data di esistenza dei sottotetti – ora fissata al 31.10.2013 – ed una precisazione

si maggior favore, contenuta alla fine del comma 4, laddove si specifica la possibilità

di ampliare le unità di testa delle case a schiera. È stato, invece, soppresso il comma

4 bis (introdotto dalla L.R. 36/2012) e gli interventi nelle zone agricole sono state

esaurientemente disciplinati dal nuovo art. 3 bis.

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Quanto al comma 5, la disposizione è rimasta praticamente la medesima salvo una

espressa precisazione finalizzata a valorizzare l’utilizzo di qualsiasi fonte rinnovabile

(leggete sul punto un mio intervento su “Il terzo Piano casa della Regione Veneto

AA.VV.”). La Giunta Regionale, con la Circolare del 28 ottobre 2014, ha segnalato che

il requisito dell’utilizzo, in atto o in progetto, di fonti di energia rinnovabile con

potenza non inferiore a 3 Kw deve essere asservato dal professionista abilitato, ai

sensi dell’art. 6, comma 3. Inalterato è rimasto pure il comma 5 bis, mentre va

segnalata l’introduzione del nuovo comma 5 ter, che disciplina l’ipotesi in cui

l’intervento preveda anche la messa in sicurezza sismica dell’intero edificio, favorita

da ulteriori incentivi. Sul punto, la Circolare del 28 ottobre 2014, precisa che il bonus

non potrà applicarsi quando la messa in sicurezza sismica sia già obbligatoria per

legge, “ciò in quanto gli interventi edilizi realizzati in adempimento di un obbligo di

legge, […], non danno luogo a premialità”.

2) LA COMPATIBILITA’ CON LA DESTINAZIONE URBANISTICA: LE ZONE C.D.

IMPROPRIE.

Un significativo contenzioso è scaturito dalla limitazione alla operatività del regime

straordinario posta dal secondo comma (invariato con la L.R. 32/2014) dell’art. 9 che

prescrive che “in ogni caso gli ampliamento sono consentiti esclusivamente su aree

che abbiano una destinazione compatibile con la destinazione d’uso dell’edificio da

ampliare” [n.d.r. testo della versione originaria del comma 2 dell’art. 9

non a caso rivisitato dal Legislatore regionale nelle altre due

modifiche alla legge].

La necessaria sussistenza della conformità urbanistica in relazione agli interventi di

ampliamento, quale presupposto imprescindibile per l’ammissibilità dell’intervento

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di ampliamento, è stata sostenuta dai giudici del T.A.R. Veneto sin dalle prime

pronunce.

In particolare, in relazione ad una fattispecie avente ad oggetto l’ampliamento,

richiesto ai sensi della normativa in esame, di immobile sito in zona impropria (nello

specifico in zona destinata a servizi pubblici di quartiere - verde pubblico e

attrezzato; la destinazione d’uso residenziale era stata legittimata a seguito

dell’accoglimento dell’istanza di condono), è stata rigettata la tesi di parte

ricorrente, volta a sostenere la delimitazione dell’ambito di applicazione della

seconda parte del secondo comma dell’art. 9 sopra citato, alle sole fattispecie nelle

quali l’ampliamento sia associato ad una modifica della destinazione d’uso (sentenze

nn. 2395 del 2010; 186 del 2011 e 242 del 2011).

Il Collegio ha chiarito, infatti, che la locuzione “in ogni caso” che figura nel secondo

comma dell’art. 9, sta proprio a denotare che in tutte le ipotesi di ampliamento, per

il solo fatto dell’estensione volumetrica dell’immobile ed a prescindere da ogni

ulteriore considerazione, è imprescindibile la compatibilità urbanistica.

Si è sottolineato, peraltro, che con tale limitazione, il legislatore regionale ha inteso

evidentemente evitare – in un’ottica di contemperamento delle finalità perseguite

con le esigenze di tutela e salvaguardia dell’assetto del territorio – che il regime

straordinario introdotto potesse incidere sulle scelte pianificatorie operate, andando

ben oltre la finalità, esplicitata nell’art. 1 della l.r. n. 14 del 2009, del “miglioramento

della qualità abitativa per preservare, mantenere, ricostituire e rivitalizzare il

patrimonio edilizio esistente nonché per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e

delle fonti di energia rinnovabili”.

Sotto il profilo sistematico, è stata richiamata la previsione dell’art. 3, il quale, nelle

ipotesi in cui ammette gli interventi di integrale demolizione e ricostruzione con

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ampliamento, specifica che gli edifici interessati devono essere situati in zona

territoriale propria.

Con la medesima pronuncia è stato, tuttavia, anche chiarito che la compatibilità

urbanistica non è, invece, necessaria in relazione agli interventi di demolizione e

ricostruzione senza ampliamenti.

Il vincolo di compatibilità urbanistica non opera quando le opere che si intendono

eseguire consistono nella demolizione e ricostruzione dell’edificio, non potendosi

configurare – proprio per l’assenza di incrementi volumetrici – alcun pregiudizio

sull’assetto urbanistico del territorio. Con lo scopo di avvallare tale interpretazione è

stato attribuito particolare rilievo alla previsione contenuta nell’art. 3 che, nel

disciplinare gli interventi volti a favorire il rinnovamento del patrimonio edilizio

esistente, dispone, in primo luogo, che : “ la Regione promuove la sostituzione ed il

rinnovamento del patrimonio edilizio esistente mediante la demolizione e

ricostruzione degli edifici realizzati anteriormente al 1989 e legittimati da titoli

abilitativi che necessitano di essere adeguati agli standard qualitativi, architettonici,

energetici, tecnologici e di sicurezza”.

Emerge chiaramente come il legislatore regionale abbia legittimato l’esecuzione di

interventi di integrale demolizione e ricostruzione proprio in deroga alle previsioni

contenute nella disciplina urbanistica ed edilizia comunale; tuttavia, ha acconsentito

a tale deroga solo in presenza di specifici presupposti1.

1 Su tali basi è stata dichiarata l’illegittimità del provvedimento comunale di rigetto della domanda di titolo edilizio in

quanto motivato esclusivamente in relazione alla specifica disciplina comunale – derogabile in forza della disposizione

di cui all’art. 3 – potendosi escludere l’assentibilità dell’intervento solo nell’ipotesi in cui fosse stata accertata l’assenza

delle condizioni in presenza delle quali l’art. 3, del sopra citato testo legislativo, ammette tanto la sola demolizione e

ricostruzione quanto questa associata ad ampliamenti sino al 40% ovvero, nelle ipotesi previste dal terzo comma della

medesima disposizione, sino al 50% del volume esistente.

Tali condizioni, specificamente individuate, sono relative all’esigenza di intervenire su edifici realizzati anteriormente

al 1989 e alla necessità che tale esigenza sia qualificata e, cioè, funzionalizzata al perseguimento degli attuali standard

qualitativi architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza.

Nel rigettare la tesi sostenuta dall’amministrazione comunale – volta ad affermare la necessità della compatibilità

urbanistica non solo nelle ipotesi di interventi di ampliamento ma anche in quelle di demolizione e ricostruzione – il

Collegio ha evidenziato che l’art. 3, comma 2, deve essere interpretato nel senso che la necessità a che l’edificio sia

situato in zona territoriale propria ricorre solo ove la demolizione e ricostruzione sia contemporaneamente associata ad

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3) LA NOZIONE DI EDIFICIO ”ESISTENTE” (SENTENZA N. 1361 DEL 2011).

La problematica verte sull’interpretazione dell’art. 2 e della previsione collegata

dell’art. 9, comma 6.

Gli ampliamenti previsti dall’art. 2 riguardano gli edifici esistenti al 31 ottobre 2013.

Poiché il terzo “Piano casa” si pone in continuità con i due precedenti, si deve

ritenere che gli edifici abbiano già beneficiato dei precedenti piani casa non possano

usufruire di un ulteriore bonus completo, quello previsto dal vigente comma 1

dell’articolo 2, ma solo di un eventuale bonus calcolato per differenza tra quello

previsto dal vigente comma 1 dell’articolo 2 e quello eventualmente inferiore

previsto dai precedenti.

Questa interpretazione trova suffragio nel comma 4 dell’articolo 1 bis, il quale

dispone che: “Gli interventi di cui agli articoli 2, 3, 3ter e 4, sono consentiti una sola

volta anche se possono essere realizzati in più fasi, fino al raggiungimento degli

ampliamenti o degli incrementi volumetrici e di superficie complessivamente

previsti”. Quindi, si deve escludere che gli interventi previsti dal terzo “Piano casa”

siano da considerarsi autonomi rispetto a quelli previsti dai primi due “Piani casa”.

Per quanto riguarda l’ampliamento fino a 150 metri cubi per gli edifici residenziali

unifamiliari da destinarsi a prima casa di abitazione, dovranno essere sottratti i

metri cubi già realizzati in precedenza applicando le percentuali previste dal primo

comma dell’articolo 2.

un ampliamento; ampliamento che, peraltro, postula la compatibilità urbanistica anche quando sia di misura inferiore al

40% della volumetria esistente. Sotto altro profilo, è stato rilevato che dal combinato disposto dell’art. 3 e della seconda

parte del secondo comma dell’art. 9 si deve desumere che la suddetta compatibilità deve essere valutata in relazione ad

ogni ipotesi di ampliamento ma non anche quando gli interventi si limitano alla demolizione e ricostruzione. Ciò,

peraltro, coerentemente con gli obiettivi, più volte evidenziati, che il legislatore regionale ha inteso perseguire; la

demolizione e ricostruzione di un manufatto insistente in zona impropria, infatti, consente il recupero dello stesso senza

aggravare la situazione preesistente e senza alterare le scelte operate dall’Amministrazione comunale specificamente

riferite alla zonizzazione.

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La legge non richiede che l’edificio, per essere considerato esistente, sia agibile né

che esso sia ultimato.

In astratto, per individuare il concetto di edificio esistente apparirebbe possibile

utilizzare l’elaborazione giurisprudenziale sul punto in materia di ristrutturazione

edilizia e di condono edilizio2.

Un’opera per potersi considerare come “edificio esistente” dovrebbe dunque

possedere perlomeno le mura perimetrali, le strutture orizzontali e la copertura.

Tuttavia, le leggi regionali venete sul “Piano casa” non hanno inteso fare riferimento

a questo concetto giurisprudenziale, ma hanno allargato la possibilità di

ampliamento anche ai fabbricati il cui progetto o richiesta del titolo abilitativo

edilizio siano stati presentati al Comune entro il 13 ottobre 2013 (comma 6

dell’articolo 9 della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14, come da ultimo modificato

dall’articolo 10, comma 11 del terzo “Piano casa”). A tal proposito, il T.A.R. Veneto,

sez. II, con la sentenza del 12.08.2011 n. 1361, ha specificato che: “l’art. 9, comma 6

è chiaro nell’affermare l’applicazione delle previsioni contenute nell’art. 2 anche ai

progetti presentanti entro il 31 marzo 2009, non richiedendo né che i relativi

procedimenti siano stati conclusi né che i lavori siano in fase di esecuzione; ciò che

rileva è che l’istanza progettuale sia stata presentata”.

Il terzo “Piano casa” non appare applicabile ai ruderi, anche se ricostruibili ai sensi

dell’articolo 5 della l.r. 18/2006, né agli edifici già da tempo demoliti.

2 Per esempio, il Consiglio di Stato con la sentenza 13 ottobre 2010 n. 7476 ha precisato che: “ […]una ristrutturazione

edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare – ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura -, onde la ricostruzione su ruderi o su un edificio già da tempo demolito, anche se soltanto in parte, costituisce una nuova opera e, come tale, è soggetta alle comuni regole edilizie e paesistico-ambientali vigenti al momento della riedificazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5375 e sez. V, 15 aprile 2004, n. 2142; 29 ottobre 2001, n. 5642; 1 dicembre 1999, n. 2021; 10 marzo 1997, n. 240)”.

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L’uso del termine “edificio” e i parametri del volume e della superficie nonché la

stessa finalità della legge, spingono a ritenere esclusi dalla fattispecie gli impianti

tecnologici e ogni altra opera non qualificabile propriamente come edificio.

Oltre a ciò è stato anche evidenziato che è lo stesso art. 9 a prevedere, al comma 4,

che gli interventi di cui agli artt. 2, 3 e 4 sono subordinati all’esistenza delle opere di

urbanizzazione primaria ovvero al loro adeguamento in ragione del maggior carico

urbanistico connesso al previsto aumento di volume o di superficie degli edifici

esistenti, ad esclusione degli interventi realizzati sulla prima casa di abitazione.

La Seconda Sezione, dunque, pur comprendendo le esigenze rappresentate dalla

difesa dell’amministrazione comunale ha valutato tali esigenze già adeguatamente

considerate dal legislatore regionale, sia attraverso la previsione di specifiche

limitazioni sia attraverso il riconoscimento alle amministrazioni comunali del potere

di intervenire, con l’approvazione delle deliberazioni ai sensi dell’art. 9, comma 5,

(potere, nella fattispecie, non esercitato dall’amministrazione comunale)

introducendo previsioni ulteriormente limitative, preservando in tal modo

l’autonomia di tali enti nell’esercizio delle funzioni connesse alla gestione del

territorio. Come noto, tali e ulteriori poteri limitativi non possono più essere

introdotti a seguito del c.d. Piano casa ter (L.R. 32/2013).

4) LE MODALITÀ DEGLI AMPLIAMENTI.

Il vaglio giurisprudenziale sul primo piano casa ha consentito anche di chiarire,

nell’interpretazione dell’art. 2 della l.r. 14 del 2009, come debba interpretarsi il

concetto di ampliamento o, meglio, le modalità attraverso le quali l’ampliamento

possa essere realizzato (sentenza n. 2745 del 2010).

Ai sensi dell’originario art. 2, comma 2, infatti, “l’ampliamento di cui al comma 1

deve essere realizzato in aderenza rispetto al fabbricato esistente o utilizzando un

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corpo edilizio contiguo già esistente; ove ciò non risulti possibile oppure

comprometta l’armonia estetica del fabbricato esistente può essere autorizzata la

costruzione di un corpo edilizio separato, di carattere accessorio e pertinenziale.”

Sulla scorta dei criteri di interpretazione letterale e teleologica, era stato statuito

che l’art. 2, comma 2, della L.R. n. 14/2009, andasse interpretato nel senso che

l’ampliamento del 20 per cento, consentito dall’art. 1 della medesima legge, dovesse

essere realizzato in continuità rispetto al corpo di fabbrica preesistente, non

importando se esso fosse in aderenza, in appoggio o in sopraelevazione. Si

osservava, infatti, come al legislatore interessasse che l’ampliamento fosse una

prosecuzione fisica e non una nuova entità distinta dal precedente edificio. A tale

regola generale, facevano eccezione le ipotesi in cui non fosse possibile la

costruzione in continuità con l’edificio preesistente o quelle in cui ne venisse

compromessa l’armonia estetica. In tali circostanze il legislatore consentiva la

realizzazione di un corpo edilizio separato di carattere accessorio e pertinenziale per

ottenere il beneficio previsto dalla normativa sul piano – casa.

Ora la legge regionale 32/2013 ha molto innovato in proposito e la circolare

dell’ottobre 2014 ha portato chiarezza: “In deroga alle previsioni dei regolamenti

comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali,

ivi compresi i piani ambientali dei parchi regionali, è consentito l’ampliamento degli

edifici esistenti al 31 ottobre 2013 nei limiti del 20 per cento del volume, o della

superficie; è comunque consentito un ampliamento fino a 150 metri cubi per gli

edifici residenziali unifamiliari da destinarsi a prima casa di abitazione. Resta fermo

che sia l’edificio che l’ampliamento devono insistere in zona territoriale omogenea

propria.

L’ampliamento di cui al comma 1 può essere realizzato in aderenza, utilizzando un

corpo edilizio già esistente ovvero con la costruzione di un corpo edilizio separato. Il

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corpo edilizio separato, esistente o di nuova costruzione, deve trovarsi sullo stesso

lotto di pertinenza dell’edificio che genera l’ampliamento o su un lotto confinante;

l’ampliamento può essere, altresì, realizzato su un altro lotto, purché lo stesso si

trovi a non più di 200 metri, misurabili in linea d’aria, rispetto al lotto di pertinenza

dell’edificio che genera l’ampliamento e appartenga, già alla data del 31 ottobre

2013, al medesimo proprietario o al di lui coniuge o figlio”.

Non servono particolari commenti in proposito perché, pare allo scrivente, il testo è

sufficientemente chiaro.

5) IL RISPETTO DELLE DISTANZE.

Ulteriore questione di rilevo affrontata in sede giurisdizionale è stata quella

dell’operatività del limite costituito dal rispetto delle distanze previste dalla

normativa statale (sentenze nn. 5694 del 20103 e 377 del 2011).

Come noto, infatti, l’art. 9, comma 8 – rimasto invariato anche a seguito della

novella del 2011 – fa salve le disposizioni statali sulle distanze tra costruzioni, senza

distinguere in base alla loro fonte (Codice Civile, d.m. 1444 del 1968, Codice della

strada, legislazione antisismica, ecc.), così come le disposizioni del Codice Civile

relative alle distanze di luci e vedute tra fondi.

L’osservanza di tali previsioni, del resto, non avrebbe, in ogni caso, potuto essere

messa in discussione, dal momento che i titoli edilizi vengono sempre rilasciati con

la clausola relativa alla salvezza dei diritti dei terzi.

Come chiarito dai giudici del T.A.R. Veneto, la norma in esame deve essere

interpretata nel senso che le norme statali sulle distanze non possono essere

3 Tale sentenza è stata commentata (e criticata) nel “Regime delle distanze” di Romolo Balasso e Pierfrancesco Zen –

Edizione Maggioli, soprattutto perché non sembra tenere in debito conto le problematiche civilistiche sottese

all’impostazione data. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto nella pronuncia in commento, i regolamenti locali

integrano le norme codicistiche e ne acquistano la forza se la ratio della loro introduzione è pubblicistica.

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derogate, a differenza delle diverse previsioni eventualmente contenute nelle

norme di piano o nel regolamento edilizio. Anche a prescindere da tale valutazione,

inoltre, i giudici del T.A.R. Veneto hanno osservato che tra i “regolamenti locali” – i

quali concorrono a disciplinare la materia delle distanze – devono essere incluse

tutte le disposizioni conferenti non statali e, dunque, anche quelle di fonte

regionale, tra le quali rientrano le norme, di cui alla l.r. 14/09, che consentono gli

ampliamenti in deroga a tutti i regolamenti comunali, e dunque anche a quelli sulle

distanze. Tali previsioni sono, peraltro, destinate a prevalere sui regolamenti

comunali, atteso il grado superiore nella gerarchia delle fonti4.

6) LA DEMOLIZIONE E RICOSTRUZIONE CON AMPLIAMENTO.

Cenni agli interventi di demolizione e ricostruzione.

L’art. 10 è intitolato semplicemente “ristrutturazione edilizia” e dichiara di voler

introdurre una norma contenente, inizialmente, due disposizioni (poi divenute tre

per effetto dell’introduzione della lettera b-bis da parte dell’art. 11, comma 3, L.R.

29.11.2013, n. 32) anticipatrici del più organico lavoro che attende il legislatore

regionale quanto alla disciplina dell’edilizia.

La laconicità della rubrica non rende ragione delle complesse e articolate ambiguità

4 Su tali basi è stata superata l’interpretazione sostenuta dall’amministrazione comunale, la quale, con le proprie

determinazioni era giunta a comprimere l’efficacia di una disciplina di legge in una materia, come il governo del territorio, dove la potestà legislativa è affidata alle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, di competenza statale. Tale soluzione, coerente sul piano tecnico e rispettosa della ratio sottesa all’intervento legislativo in esame, ha costituito oggetto di taluni rilievi critici, volti ad evidenziare il possibile proliferare di un contenzioso innanzi al giudice civile su iniziativa dei vicini che assumano di essere pregiudicati dall’applicazione delle diverse distanze dal confine stabilite dalla normativa statale (3 metri) rispetto a quelle maggiori previste dalla disciplina comunale. Si osserva al riguardo che tali preoccupazioni possono certamente essere ridimensionate in considerazione sia della doverosa applicazione del limite dei tre metri sopra evidenziato (al di sotto di tale limite, infatti, non sono, comunque, consentiti ampliamenti) sia della circostanza che tale parametro opera per tutti e, dunque, a condizione di reciprocità tra i vicini che volessero trarre vantaggio dall’applicazione di queste disposizioni del piano casa. La previsione, per come interpretata, appare, dunque, coerente e ragionevole, anche in considerazione della finalità di impulso degli investimenti privati nel settore dell’edilizia perseguita dal legislatore regionale.

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interpretative, che il legislatore regionale ha dimostrato, a buona ragione, di

avvertire come un pericolo per l’effettivo perseguimento degli obiettivi della LR

14/09, soprattutto con riferimento alle ampie oscillazioni interpretative che

accompagnano gli interventi edilizi inscrivibili nella tipologia della

“ristrutturazione/ricostruzione con ampliamento”, precipuo oggetto dell’art. 3 della

Legge regionale in commento.

L’intervento in commento del legislatore veneto è forse stato anche uno stimolo al

Parlamento nazionale, che, con il recente e c.d. “Decreto del Fare”, ne ha seguito

l’esempio, introducendo modifiche alla definizione di “ristrutturazione”, che

dovrebbero contribuire a superare quelle criticità ermeneutiche cui aveva inteso

fornire una risposta l’art. 10 della LR 14/09, ovviamente nei limiti in cui questa

poteva essere esplicitata in sede regionale.

In primo luogo, le questioni che l’art. 10 sembra voler considerare afferiscono alla

sussumibilità della “ricostruzione” di un edificio demolito nei tipi della

“ristrutturazione” o della “nuova costruzione” ovvero all’identificazione delle

condizioni e dei limiti per includere un siffatto intervento edilizio nell’una o nell’altra

fattispecie astratta, da ciò discendendone le note differenze di disciplina soprattutto

in merito alla necessità o meno di vedere rispettate le distanze di cui all’art. 873 del

Codice Civile.

Come si avrà modo di indugiare nel paragrafo che segue, tale accennato primo

problema interpretativo origina dalla constatazione per cui, nonostante il complesso

percorso giurisprudenziale e normativo attraverso il quale la “ricostruzione” è stata

inserita nella “ristrutturazione edilizia” anche superando l’originaria richiesta

“fedeltà” al manufatto precedente, parte della giurisprudenza ha continuato invece

a pretendere quelle caratteristiche di pedissequa identità ai volumi e alla sagoma

preesistenti, che sembravano abbandonate dalla disciplina positiva.

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Quindi, fino all’intervento di cui all’art. 10 lett. a) della L.R. 14/09 in commento, pur

modeste e del tutto secondarie modifiche alla sagoma precedente potevano, a

seconda dell’opzione ermeneutica più o meno severa assunta dall’interprete, far

considerare un intervento di ricostruzione quale “ristrutturazione” ovvero quale

“nuova costruzione”, con la conseguente necessità, in quest’ultimo caso, di vedere

preteso il rispetto, anche a mezzo della azioni giudiziali possessorie e petitorie, dei

parametri quantitativi più invasivi propri di quest’ultima tipologia edilizia.

Anche il legislatore nazionale, come si è detto, ha finalmente preso coscienza della

necessità di precisare i confini della “ristrutturazione” dopo l’intervento in materia

della L.R. 14/09, come è accaduto con il “Decreto del Fare”, cui, poi, come si vedrà, è

stato nuovamente adeguato il “Piano casa” con la novellazione introdotta dalla

recente legge regionale n. 32/2013.

In secondo luogo, incertezze interpretative ancor più marcate si rinvengono

nell’ipotesi di interventi di “ricostruzione con ampliamento”, fattispecie questa che -

come detto - corrisponde a un effetto tipico della legge in questione, la quale, come

noto, somma le finalità relative alla promozione della “sostituzione del

rinnovamento del patrimonio edilizio esistente mediante la demolizione e

ricostruzione degli edifici” (art. 3) con la concessione di implementazione di cubatura

negli stessi manufatti in essere.

Le problematiche interpretative cui intende, dunque, rimediare la lettera b)

dell’articolo 10 in commento, sembrano derivare proprio dall’incertezza nel definire

la tipologia edilizia di un intervento in cui vi sia la compresenza di una parte da

ristrutturare/ricostruire e una parte da ampliare, spesso tout court catalogato nei

tipi delle “nuove costruzioni”, il tutto complicato da un rinvio operato dalla più

recente giurisprudenza alle norme comunali, le quali, a loro volta, non raramente

moltiplicano le opzioni interpretative ai fini di sussumere una siffatta ipotesi nei tipi

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della “ristrutturazione” piuttosto che, in tutto o in parte, in quelli della “nuova

costruzione”. Sul tema in precedenza, cioè prima della L.R. 32/2014, il T.A.R. Veneto

si era espresso con due pronunce: nn. 781 e 1359 entrambe della Seconda Sezione e

del 20115.

5 Gli interventi di ristrutturazione edilizia realizzati mediante demolizione e ricostruzione, anche con ampliamento, per i

quali, a differenza di quelli previsti dall’art. 6, non è sufficiente la presentazione del D.I.A., essendo necessario, invece,

il rilascio del permesso di costruire.

Dopo aver previsto, al primo comma, che “nelle more dell’approvazione della nuova disciplina regionale sull’edilizia,

ai fini delle procedure autorizzative relative alle ristrutturazioni edilizie ai sensi del DPR n. 380/2001 gli interventi di

ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del DPR n. 380/2001, anche al fine di consentire

l’utilizzo di nuove tecniche costruttive, possono essere realizzati con l’integrale demolizione delle strutture murarie

preesistenti, purché la nuova costruzione sia realizzata con il medesimo volume e all’interno della sagoma del

fabbricato precedente”, la disposizione contiene, nel secondo comma, una previsione segnatamente riferita agli

interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamento.

Si prevede, in particolare, che gli interventi di ristrutturazione edilizia con ampliamento di cui all’articolo 10, comma 1,

lettera c), del DPR n. 380/2001, qualora realizzati mediante integrale demolizione e ricostruzione dell’edificio esistente,

per la parte in cui mantengono volumi e sagoma esistenti sono considerati, ai fini delle prescrizioni in materia di indici

di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo, ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’articolo 3,

comma 1, lettera d), del DPR n. 380/2001 e non nuova costruzione, mentre è considerata nuova costruzione la sola parte

relativa all’ampliamento che rimane soggetta alle normative previste per tale fattispecie.

Nell’esaminare tale previsione, il TAR Veneto (sentenza n. 1359 del 2011) non ha potuto che doverosamente rilevare la

necessità di privilegiare un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, con esclusione, dunque,

dell’introduzione, ad opera del legislatore regionale, di una definizione contrastante con quella di intervento di

"ristrutturazione edilizia" prevista dall’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001; alle definizioni degli interventi edilizi contenute in

tale disposizione del testo unico, infatti, è attribuita la natura di principio fondamentale della materia, come tale

vincolate per il legislatore regionale.

Chiarito, dunque, che la disposizione non contiene una diversa qualificazione giuridica dell’intervento – emergendo, ad

un’attenta interpretazione, che ove la demolizione e ricostruzione avvenga con modifiche del volume e della sagoma

l’intervento è, comunque, assoggettato a permesso di costruire – il senso della previsione è stato ravvisato nella

specificazione che, in tutti quei casi in cui sia possibile individuare, in esito ad un intervento di demolizione e

ricostruzione, un corpo di fabbrica avente la medesima volumetria e sagoma di quello preesistente demolito al quale si

aggiunge un ulteriore corpo di fabbrica che determina l’ampliamento contestuale dell’immobile, ai soli fini delle

prescrizioni in materia di indici di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo, il corpo di fabbrica

riproduttivo del preesistente anche nella sagoma e nel volume viene assoggettato alla disciplina propria della

ristrutturazione edilizia mentre quello ulteriore, integrante l’ampliamento, è valutato anche ai suddetti fini quale nuova

costruzione.

Il legislatore regionale, in altri termini, ha recepito l’orientamento affermato dalla Corte di Cassazione che,

nell’affrontare il tema delle distanze tra fabbricati e dai confini da rispettare in caso di demolizione e ricostruzione con

ampliamento, ha distinto due profili, quello della qualificazione giuridica dell’intervento, che è e resta di nuova

costruzione, e quello dei riflessi sul piano dei diritti di vicinato. L’intervento, dunque, è da considerare di nuova

costruzione ai fini del computo delle distanze dagli edifici contigui come previste dagli strumenti urbanistici locali, nel

suo complesso, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori

distanze previste siano state estese anche alle ristrutturazioni, ovvero, solo nelle parti eccedenti le dimensioni

dell’edificio originario ove una siffatta norma non esista (Cass. civ., Sez. II, n. 9637 del 2006).