Dormire

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Erano giorni che non vedevo Kumiko. Era sempre stata una ragazza lunatica, perennemente avvolta in pensieri impenetrabili, non era la prima volta che cedeva all'isolamen- to. Quella lunga assenza, però, mi suonò differente, aveva fatto scatta- re in me la voglia di andarla a cercare. Di solito non lo facevo, la no- stra regola era non invadere le rispettive libertà, e su questo non si di- scuteva. Mi spinse l'amore, mi spinse il bisogno, forse mi spinse la paura di restare solo, non lo so, ma andai a trovarla. Quel pomeriggio, grigio e piovoso, mi presentai dietro la porta di casa sua, un piccolo apparta- mento nei sobborghi di Ebisu. Non ci andavo spesso, non mi era mai piaciuto: troppo squallido, troppo spoglio per una ragazza come Ku- miko, eppure così sorprendentemente simile a lei. Bussai alla porta due volte, lasciate entrambe senza risposta. Le avevo già dato le spalle, quando si aprì uno spiraglio. – Yoji, – si sorprese Kumiko. – Ciao. Ci fissammo per qualche istante, entrambi colti dalla stranezza del mio gesto, che le suonò inaspettato. I secondi trascorsi fra i nostri sguardi ticchettavano sotto forma di pioggia battente. – Mi lasceresti entrare, per favore? – Oh, sì, scusa, entra pure, – esclamò lei imbarazzata. Mi tolsi la giacca, l'appesi all'attaccapanni affinché si asciugasse almeno un po'; sfilai le scarpe, fradice come spugne, e calzai le panto- fole, quelle che Kumiko conservava per me.

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"Erano giorni che non vedevo Kumiko. Quella lunga assenza mi suonò differente, aveva fatto scattare in me la voglia di andarla a cercare."

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  • Erano giorni che non vedevo Kumiko.

    Era sempre stata una ragazza lunatica, perennemente avvolta in

    pensieri impenetrabili, non era la prima volta che cedeva all'isolamen-

    to.

    Quella lunga assenza, per, mi suon differente, aveva fatto scatta-

    re in me la voglia di andarla a cercare. Di solito non lo facevo, la no-

    stra regola era non invadere le rispettive libert, e su questo non si di-

    scuteva.

    Mi spinse l'amore, mi spinse il bisogno, forse mi spinse la paura di

    restare solo, non lo so, ma andai a trovarla. Quel pomeriggio, grigio e

    piovoso, mi presentai dietro la porta di casa sua, un piccolo apparta-

    mento nei sobborghi di Ebisu. Non ci andavo spesso, non mi era mai

    piaciuto: troppo squallido, troppo spoglio per una ragazza come Ku-

    miko, eppure cos sorprendentemente simile a lei.

    Bussai alla porta due volte, lasciate entrambe senza risposta. Le

    avevo gi dato le spalle, quando si apr uno spiraglio.

    Yoji, si sorprese Kumiko.

    Ciao.

    Ci fissammo per qualche istante, entrambi colti dalla stranezza del

    mio gesto, che le suon inaspettato. I secondi trascorsi fra i nostri

    sguardi ticchettavano sotto forma di pioggia battente.

    Mi lasceresti entrare, per favore?

    Oh, s, scusa, entra pure, esclam lei imbarazzata.

    Mi tolsi la giacca, l'appesi all'attaccapanni affinch si asciugasse

    almeno un po'; sfilai le scarpe, fradice come spugne, e calzai le panto-

    fole, quelle che Kumiko conservava per me.

  • Dov'eri finita? Sono dieci giorni che non ho tue notizie, la rim-

    proverai senza trasporto.

    Scusa. Hai ragione, disse sommessa, gli occhi bassi.

    Non merito una risposta?

    Ho dormito.

    Era una risposta che non avrei potuto immaginare nemmeno se ci

    avessi provato. E non ci credevo.

    Hai dormito? Come sarebbe a dire? Per dieci giorni?

    Mi guardai attorno e mi accorsi che, in effetti, l'appartamento ave-

    va un'aria ancora pi misera e trasandata del solito. Il tatami pieno di

    disordine, il futon abbandonato in un'apertura sgraziata che ne lasciava

    intravedere l'interno.

    Non posso spiegarti, Yoji. Non capiresti.

    Provaci, ti ascolto.

    No.

    Mi avvicinai a Kumiko e la strinsi. Sentivo le mie braccia perdersi

    nelle sue spalle minute, respiravo i suoi capelli, che avevano lo stesso

    odore viziato dell'appartamento.

    importante, le usc all'improvviso.

    Cosa?

    Dormire. importante.

    Mi staccai da lei lentamente, cos che i miei movimenti non tradis-

    sero lo sconcerto.

    Perch dormire sarebbe importante?

    Kumiko mi guard con occhi malinconici, abbass la testa e sus-

    surr Perch dormire aiuta a dimenticare di essere soli.

  • I lunghi capelli di seta neri le bagnavano il viso come inchiostro

    evaso dalla boccetta, avrei passato ore ad ammirarli.

    Ti senti sola? domandai d'impulso.

    Spesso.

    E io? Non conto?

    Tu sei un'altra storia. Sei altrove, mi disse. Non capii quella

    frase, finsi di farlo. Non volevo avesse l'impressione che fossi stupido,

    o poco profondo.

    Eppure non dormi molto, osservai.

    Perch non posso. L'ho fatto in questi giorni.

    La mia mano si mosse verso Kumiko senza che glielo comandassi,

    per poi scivolare piano sulla sua gota pallida. Lei abbozz un tiepido

    sorriso e socchiuse gli occhi.

    Mi domandavo quali mondi esplorasse quando si allontanava da

    me; era troppo distante per essere sfiorata dalla mia mano, figurarsi

    dalla mia mente. Eppure avevo la certezza che l, ovunque lei fosse, a

    suo modo stesse meglio che con me.

    Mi abbassai e mi stesi su quel futon gi pronto ad accogliermi, lei

    su di me.

    Si addorment in fretta, senza che me ne accorgessi; chiss da

    quanto era abituata a farlo. Io non ci riuscivo. Forse non mi sentivo

    abbastanza solo da desiderarlo, forse Kumiko preferiva dormire anzi-

    ch vivere.

    Sentivo il suo respiro, impalpabile come un fiocco di neve, cos

    impercettibile che per qualche istante pensai fosse morta. Immaginavo

    come avrei potuto reagire se me la fossi ritrovato addosso senza vita.

  • Pensai allo shock, poi al disgusto, infine alla disperazione per averla

    persa. Mi meravigliai di come il dolore occupasse l'ultimo posto; in

    me si fece strada il timore di non amarla abbastanza.

    Annegai a lungo il mio sguardo nel bianco asettico del soffitto:

    cercavo un difetto, una crepa o una macchia, che potessero distrarmi

    da quei pensieri macabri. Per quanto mi sforzassi, non trovai nulla.

    Dormire aiuta a dimenticare di essere soli, quella frase rimbalza-

    va nella mia testa come la potente eco di una voce lontana.

    A me, dormire, non era mai piaciuto. Lo ritenevo una perdita di

    tempo, se avessi potuto evitare di farlo, perfino di notte, l'avrei fatto.

    Io e Kumiko eravamo cos diversi, non mi spiegavo il motivo per

    cui fossimo finiti insieme. Su di lei aleggiava un'ombra costante, le

    rabbuiava il viso quando sorrideva, quando diceva di amarmi, ero cer-

    to che lo facesse anche mentre mi dormiva addosso.

    Chiss dov'era, chiss se, davvero, in quel momento, non si sentiva

    sola.

    Le mie riflessioni sul sonno e sulla morte confluirono senza che lo

    volessi in un pensiero crudele e cinico, un pensiero per cui Kumiko, se

    lo avesse sentito, mi avrebbe odiato. Non c'era pericolo per, giaceva

    immobile sul mio petto, il respiro flebile, l'espressione pacifica.

    La sua minuscola stanza sembrava fosse costruita attorno a lei, che

    pure era minuscola. Mescolai delicatamente la mia mano ai suoi ca-

    pelli, un gesto mosso da un latente senso di colpa.

    Dormire la morte dei vigliacchi, avrei voluto rispondere a Ku-

  • miko.

    il suicidio dei deboli, di tutti coloro che hanno paura di vivere,

    ma che non riescono a farne a meno. Uno stato di comodo che permet-

    te continuamente di spostarsi tra un mondo e l'altro, senza rinunciare a

    nulla, senza dare dolore a nessuno. Si muore infinite volte, infinite

    volte ci si risveglia, e tutto come prima.

    Pensiero dopo pensiero, le mie palpebre cominciarono a farsi pe-

    santi, segno dell'imminente sconfitta.

    A cosa pensi, Yoji? mi riport indietro la placida voce di Ku-

    miko.

    Non stavi dormendo? risposi con il tono di un ladro colto in

    flagrante.

    No.

    Credevo di s.

    Non potrei. Dormire aiuta a dimenticare di essere soli. Tu sei con

    me.

    Di colpo, mi accorsi che fuori aveva smesso di piovere.