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CONVEGNO per ALLENATORI di NUOTO SINCRONIZZATO Chianciano 15-17 novembre 2013 PROBLEMATICHE MEDICHE ( rachide, spalla, ginocchio) Dr. Gianfranco Colombo* *Medico Federale di Settore per il Nuoto

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CONVEGNO per ALLENATORIdi

NUOTO SINCRONIZZATO

Chianciano 15-17 novembre 2013

PROBLEMATICHE MEDICHE

( rachide, spalla, ginocchio)

Dr. Gianfranco Colombo*

*Medico Federale di Settore per il Nuoto Sincronizzato

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Nel nuoto sincronizzato si riconoscono diverse patologie riguardanti i vari distretti sia muscolari che ossei.

Questo sport nel tempo si è sempre più evoluto e indirizzato a valorizzare oltre la componente tecnica, soprattutto quella spettacolare.

L’esercizio diviene sempre più ricco di “momenti” di alta acrobazia, alla ricerca di un qualcosa che possa stupire giudici e pubblico.

Ecco quindi affacciarsi sollecitazioni sempre maggiori, prima impensabili, a distretti anatomici come la colonna, la spalla e il ginocchio, che vanno sempre più incontro a patologie che possono costringere l’atleta anche a fermi prolungati.

Di recente, portando la mia esperienza pluriennale di medico della nazionale, si è visto che le patologie di maggior riscontro riguardano nell’ordine: la colonna vertebrale che in questo momento ha decisamente preso il primo posto, a seguire la spalla e infine con minore frequenza il ginocchio

In questa relazione saranno affrontate le problematiche più comuni che posso interessare nell’ordine:

1 - la colonna vertebrale

2- la spalla

3- il ginocchio

LA COLONNA VERTEBRALE

La colonna vertebrale è composta da 5 regioni: cervicale (5 vertebre), toracica (12 vertebre), lombare (5 vertebre), sacrale (5 vertebre fuse) e coccigea (4 vertebre) per un totale di 33 vertebre.

Di queste 24 formano tre regioni distinte: cervicale, toracica, lombare.

La colonna presenta quattro curve: due convesse posteriormente (concave anteriormente) la regione toracica e sacrale, sono definite curve cifotiche; le regioni cervicale e lombare sono concave posteriormente (convesse anteriormente) e sono definite come curve lordotiche.

Si ritiene che la lordosi si sviluppi a seguito dell’atteggiamento assunto dallo scheletro nella stazione eretta. Si è anche costatato che la curva cervicale, lombare e toracica serve ad aumentare la capacità della colonna di resistere al carico assiale.

Con le sue tre curve la colonna è in grado di sopportare più forze compressive rispetto a una colonna dritta. Fig. 1

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I movimenti della colonna possono essere paragonati a quelli di un’articolazione con tre gradi di libertà che permettono la flesso - estensione, la flessione laterale e la rotazione.

La mobilità coordinata del rachide è consentita dal movimento sincrono e coordinato di tutti i segmenti che lo compongono detti segmenti di movimento. Questi ultimi sono costituiti da due vertebre adiacenti e dai tessuti molli interposti.

Il pilastro anteriore di sostegno, è costituito dal corpo vertebrale, mentre il pilastro posteriore di guida al movimento è costituito dalle lamine e dai peduncoli.

Il tipo e l’entità del movimento possibile differisce da regione a regione e dipende da’’orientamento delle faccette articolari, dalla fluidità e dallo spessore del disco intervertebrale (DIV).

La colonna lombare per esempio, sostiene il peso della parte superiore del corpo (le vertebre lombari infatti sono più voluminose delle altre proprio per sopportare questo peso aggiuntivo).

Molto importante rimane la corretta conservazione delle curve fisiologiche poiché un aumento della lordosi porterà ad un aumento delle forze di taglio che agiscono sulle vertebre lombari e renderà più probabile uno spostamento in avanti della 5 lombare.

La colonna lombare da L1 a L4 favorisce i movimenti di flessione ed estensione e limita la flessione laterale e la rotazione.

IL CORPO VERTEBRALE

La forma e la dimensione delle vertebre varia diventando da piccole della regione cervicale a sempre più grandi nella regione lombare questo per sostenere più facilmente il peso corporeo)

Di contro il forame intervertebrale da molto grande nella regione cervicale si rimpicciolisce sempre di più per le dimensioni del midollo spinale che diventa sempre più sottile.

Due vertebre sono completamente diverse dalle altre: la C1 detta atlante (di forma circolare ) atta a dare una buona base di appoggio al cranio e la C2 detta epistrofeo dotato di una protuberanza a forma di perno che serve a permettere alla testa di avere un punto di appoggio su cui girare.

E’ costituito da una corticale di osso denso che racchiude osso spugnoso. La faccia superiore e inferiore di ogni corpo prende il nome di piatto vertebrale, particolarmente ispessito al centro dove è

ricoperto di tessuto cartilagineo . Nella parte periferica vi è una sorta di anello che origina da un nucleo di ossificazione che si salda nella pubertà con il resto del corpo vertebrale.

Fig. 2

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Le alterazioni a carico dell’ossificazione di questo nucleo porta all’epifisite vertebrale o malattia di Sheuermann (con relative alterazioni all’assialità della colonna).

Con l’età il corpo vertebrale diventa più rigido e in grado di immagazzinare una minore quantità di energia (minore deformabilità e minore resistenza alle fratture).

Il sostentamento della colonna è dato soprattutto dai legamenti longitudinali anteriore e posteriore. Il legamento longitudinale anteriore si estende per tutta la lunghezza della colonna, si inserisce sui corpi vertebrali e sul DIV anteriormente. La sua funzione è quella di sostenere e rinforzare la superficie anteriore del disco intervertebrale durante il sollevamento dei pesi.

Il legamento longitudinale posteriore anch’esso si estende per tutta la lunghezza della colonna ma si restringe via via che discende. Nella regione lombare è talmente sottile da fornire pochissima protezione ai dischi lombari.

IL DISCO INTERVERTEBRALE

Il disco intervertebrale è una struttura anatomica che assume una notevole importanza in alcune patologie invalidanti della colonna. Assorbe e aiuta a distribuire le forze che agiscono sulla colonna ed è il fulcro intorno a cui avvengono gran parte dei movimenti intervertebrali.

E’ costituito da una parte centrale fluida, il nucleo polposo che occupa il 50-60% della sezione trasversa del disco, e da una parte esterna fibroelastica che rimane ancorata ai piatti cartilaginei, l’anulus fibrosus che racchiude il nucleo. Il nucleo è composto da acqua per l’85% e da proteoglicani che sono macromolecole in grado di legare notevoli volumi di acqua limitandone la fuoriuscita quando il disco è sottoposto a pressioni.

Viene considerato non vascolarizzato ma riceve il nutrimento per diffusione attraverso il suo contatto con la placca terminale cartilaginea dove i vasi sanguigni si ramificano vicino al nucleo e all’anello fibroso.

Per due terzi il disco non è innervato, lo è invece il punto in cui l’anello fibroso si inserisce sul periostio vertebrale, per cui ogni sollecitazione delle fibre esterne dell’anello risulta dolorosa.

Il disco come l’osso può andare incontro a lesioni progressive da fatica a seguito di carichi cumulativi inferiori al carico di rottura o a seguito di carichi mantenuti nel tempo. Si possono avere fessurazioni all’interno dell’anulus soprattutto nella sua parte posteriore dove risulta più sottile; o a livello del piatto con penetrazione al loro interno di materiale nucleare (frequente nei giovani).

Con l’usura e l’invecchiamento si riduce il contenuto di proteoglicani nel disco e di conseguenza si ha la perdita di gran parte della capacità ammortizzante del disco stesso

La compressione assiale è la forma più comune di carico imposto sulla colonna.

Fig. 3

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Nella figura 4b è schematizzato il comportamento del DIV nel caso di una sollecitazione forte e persistente (freccia rossa grande) con emissione di liquido dal disco (freccia verde) mentre nella 4c si ha il caso di un alleggerimento delle forze di carico (freccia rossa sottile) con conseguente rientro di liquido nel disco. Bisogna notare che la pressione intradiscale è maggiore nella posizione seduta e flessa in avanti come accade nelle attività quotidiane. La compressione assiale è la forma più frequente di carico imposto alla colonna. Il DIV è più esposto al trauma durante la fase di transizione da una direzione di rotazione all’altra. Ciò avviene nella colonna lombare quando un soggetto si flette e si piega lateralmente, raccoglie un peso o cerca di assumere una posizione eretta continuando a mantenere un’inclinazione.

Nella genesi del prolasso assume molta importanza il contenuto idrico del DIV. Durante il sonno La colonna non è sottoposta a carichi e quindi assorbe acqua e al risveglio è saturo e raggiunge il suo massimo volume (si è quindi più alti), mentre durante la giornata per i diversi fenomeni compressivi perde acqua e si assottiglia. A causa di questo gioco di spostamento di liquido, la lunghezza totale del corpo, nel corso della giornata diminuisce di circa l’1% (1,5-2cm)

Il DIV può essere sottoposto a prolasso più la mattina in quanto più ricco di acqua, piuttosto che più tardi quando ha perso acqua.

Fig. 4

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Nella figura 5 e 6 sono rappresentati gli effetti della pressione sul DIV nelle varie posizioni del corpo e nelle diverse attività (lo studio riguarda la pressione sul 3 disco lombare).

I FORAMI INTERVERTEBRALI

Sono gli spazi intervertebrali attraverso cui fuoriescono i nervi spinali.

Il forame intervertebrale è occupato per 1/5 dal nervo spinale e per i restanti 4/5 da altri tessuti molli come vasi, tessuto adiposo ecc. , che può andare incontro a fenomeni infiammatori con conseguente edema responsabile del restringimento dello spazio foraminale.

Una riduzione dello spazio può essere provocata anche da altre cause quali: protrusione discale, lesioni infiammatorie o artrosi che delle faccette articolari, ipertrofia del legamento giallo.

L’APPARATO LEGAMENTOSO

Le articolazioni del rachide sono rinforzate da legamenti intrinseci (leg. Longitudinale anteriore, leg. Longitudinale posteriore, leg. giallo, legamenti capsulari, leg. interspinoso, leg. sovra spinoso, leg. trasverso) e da legamenti estrinseci (leg. ileo lombari).

Il loro compito è quello di limitare la mobilità del rachide sviluppando una tensione passiva in grado di opporsi, congiuntamente alla tensione muscolare, ai movimenti esterni prodotti dalla gravità e dall’inerzia.

La resistenza dei legamenti aumenta con l’allenamento e la somministrazione di carichi fisiologici.

Fig. 7

Fig. 6

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LE ALTRE STRUTTURE ANATOMICHE DELLA COLONNA

Vi sono i peduncoli, processi arcuati brevi rivolti all’indietro che si originano da ciascun corpo vertebrale.

Le lamine che si continuano con i peduncoli e sono larghe piastre dirette anch’esse posteriormente. Dal punto di unione delle lamine si originano i processi spinosi posteriormente e in basso.

Infine i processi trasversi che si originano dal punto di unione dei peduncoli con le lamine. Infine le faccette articolari. Peduncoli e lamine costituiscono nel loro insieme l’arco posteriore.

I MUSCOLI

Senza entrare nei dettagli anatomici va ricordata la distinzione tra muscoli intrinseci (splenio, erettore spinale, trasverso spinale, m. segmentari) e muscoli estrinseci (gran dorsale, addominali, psoas, quadrato dei lombi). Per poter svolgere al meglio le molteplici azioni a cui sono deputati è fondamentale che i muscoli siano dotati di forza adeguata e buon controllo neuromotorio.

Le azioni principali dei muscoli del dorso sono:

- Promozione dei movimenti attivi del tronco contro gravità e inerzia (contrazione concentrica).- Mantenimento di una posizione contro gravità con la produzione di tensione attiva (contrazione

isometrica) e passiva.

- Freno ai movimenti del tronco generati dalla gravità, dall’inerzia e dai muscoli antagonisti attraverso la produzione di tensione attiva (contrazione eccentrica, o in allungamento) e passiva.

- Attenuazione delle sollecitazioni generate sul rachide con assorbimento di energia elastica da parte dei muscoli attraverso la contrazione controllata degli stessi

-

Fig. 8 Fig. 9

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Sono raffigurati alcuni dei gruppi muscolari del dorso: i muscoli spinali del capo e del dorso (Fig.8); i muscoli lunghissimo del capo e del collo (Fig.9); il muscolo obliquo esterno (Fig.10); il muscolo ileocostale (Fig.11)

PATOLOGIA A CARICO DELLA COLONNA

Dobbiamo distinguere diverse patologie a carico della colonna che possono essere dovute a traumi diretti, a fenomeni compressivi, a lesioni degenerative.

ARTROSI VERTEBRALE

Frequente specie nel tratto lombare o cervicale . A livello dei singoli metameri si distingue un’artrosi anteriore (intersomatica) e posteriore (apofisaria).

L’artrosi anteriore detta anche spondilodiscoartrosi consiste nell’alterazione dei corpi vertebrali a causa della degenerazione o schiacciamento di uno o più DIV adiacenti.

La sintomatologia consiste nel dolore e nella rigidità articolare.

Le complicazioni possono essere date da sindromi midollari dove gli osteofiti che si sviluppano nel bordo posteriore dei corpi vertebrali comprimono il sacco meningeo e il midollo spinale.

Fig. 10 Fig. 11

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Si possono avere sindromi vascolari per compressione dell’arteria vertebrale da parte di becchi oste ofitici con disturbi che vanno dalle algie cervicali e nucali, alla cefalea, al nistagmo e vertigini (sindrome di Neri-Barrè-Lieu).

Le sindromi radicolari dove gli osteofiti artrosici vanno a comprimere in corrispondenza del foro di coniugazione la rispettiva radice irritandola. Le più comuni patologie sono la cervicobrachialgia (soprattutto nei territori di competenza delle radici C6 e C7)e la lombo sciatalgia.

PROTRUSIONI DISCALI

Nel corso della vita all’interno del DIV si verificano alterazioni regressive che si accompagnano a diminuzione del contenuto liquido e del turgore. Sono dovute alla protrusione del nucleo polposo nel canale midollare. (Fig.12)

Questa protrusione che avviene nei punti deboli , può causare una compressione del contenuto del forame intervertebrale (radici nervose, vasi sanguigni satelliti).

Si possono avere su tutto l’ambito della colonna ma più frequentemente a carico di quelle porzioni che per la loro natura anatomica, sono soggette a maggiore pressione . Nel caso di un’ernia del DIV medio laterale di solito è compromessa la radice nervosa più profonda.

I meccanismi traumatici nel prolasso del DIV sono ben definiti nella Fig.13

LA LOMBALGIA

Si tratta di sindromi dolorose di frequente osservazione non dovute esclusivamente ad alterazioni discali.

Fig.13

Fig.12

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La lombalgia è la sindrome lombare di maggiore osservazione e si ha quando la sintomatologia è limitata alla regione lombare, mentre la lombo-sciatalgia o lombocruralgia si ha quando la sintomatologia dolorosa si estende all’arto inferiore interessando il territorio del nervo sciatico e del nervo crurale.

Nella lombalgia il dolore è spontaneo localizzato al rachide lombare con accentuazione ai tentativi di mobilizzazione e alla pressione locale e ai tentativi di mobilizzare il tronco.

Si ha una contrattura delle masse muscolari paravertebrali che porta ad un atteggiamento di rigidità del rachide lombare con lieve flessione anteriore o laterale nel caratteristico atteggiamento antalgico.

Si ha rigidità del tronco che si evidenzia nel tentativo di flettere anteriormente il rachide.

Dobbiamo distinguere la forma acuta e quella cronica.

La lombalgia acuta. Si instaura spesso senza una causa apparente ed è dovuta alla distensione acuta dell’anello fibroso associata a distorsione delle articolazioni interapofisarie. Il dolore sembra determinato dall’irritazione delle terminazioni sensitive dell’anulus e del legamento longitudinale che viene messo in estensione dalla spinta esercitata dal nucleo anche in occasione di uno sforzo banale.

La lombalgia cronica. Sono più frequenti delle forme acute ed i fattori responsabili si possono trovare in:

- Protrusione dell’anulus, - Artrosi intersomatica ed interapofisaria,- Anomalie congenite del limite lombosacrale per il sovraccarico funzionale che esse comportano sui

dischi sovrastanti,- Squilibri statico-dinamici: obesità, gravidanza, scoliosi deficit della muscolatura paravertebrale,- Processi infettivi quali reumatismo, TBC, ecc.- Le osteopatie metaboliche come l’osteoporosi ecc.- I processi tumorali benigni come l’angioma, l’encondroma ecc.- I processi tumorali maligni primitivi o metastatici

La lombosciatalgia.E’ una sindrome dolorosa che dalla regione lombare si irradia con distribuzione radicolare all’arto inferiore, nel territorio del nervo sciatico. Possono essere interessate le radici L5-S1-S2-S3-S4.

Normalmente l’ernia appare come una tumefazione circoscritta dalle dimensione che vanno da un grano di miglio a quelle di una nocciola. Normalmente la sua posizione è postero laterale (punto di minore resistenza del disco).

In rapporto alla forza espulsiva del nucleo e alla resistenza opposta dalle strutture fibrose possiamo avere:

- Ernia contenuta- Ernia protrusa, fa breccia ma non si allontana- Ernia espulsa o migrata, il nucleo polposo distaccato è fuoriuscito dall’anulus

La sintomatologia

I sintomi possono essere di tipo rachideo con dolore trafittivo accentuato dalla pressione in sede paravertebrale in corrispondenza del disco interessato. Rigidità del rachide lombare.

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Si possono avere anche sintomi di tipo periferico con irradiazione dolorosa corrispondente alla radice interessata. Riacutizzazione del dolore con manovre semeiologiche specifiche: segno di Delitala, segno di Lasegue (fig. 15) e segno di Valleix (fig.14).

SINDROME POSTURALE

Alcune posizioni mantenute per lungo tempo sollecitano i tessuti molli e provocano dolore.

Il dolore causato dalle sindromi posturali è sempre intermittente. Gli atleti lamentano un dolore che si sviluppa localmente, vicino alla linea mediana della colonna.

Un carico statico prolungato può provocare non solo la lombalgia ma anche dolore cervicale e toracico.

Il trattamento in questo caso consiste nella rieducazione. La normale posizione di riposo della colonna lombare presenta una lordosi anatomica, ma spesso si adotta una posizione curva cifotica che mette in tensione le strutture posteriori.

La terapia della sindrome posturale quindi comprende la correzione della postura da seduti, da eretti e clinostatica. La posizione con la schiena piatta porta a uno squilibrio dei flessori del tronco (retto addominale e intercostali) e degli estensori dell’anca che con il tempo porta a sofferenza lombare.

Per quanto riguarda la situazione in cui gli atleti lamentano un peggioramento della lombalgia quando cercano di dormire o al risveglio è necessario che si controlli la posizione assunta durante il sonno e la qualità del materasso (questo deve essere successivamente flessibile da sostenere le curve naturali della colonna vertebrale senza però accentuarle).

LA SINDROME DA DISFUNZIONE

Questa sindrome si sviluppa a causa di un errato atteggiamento posturale o a causa di un trauma specifico che ha interessato la colonna. La sindrome da disfunzione si manifesta perché il movimento non viene effettuato adeguatamente nel momento in cui ha luogo la contrazione dei tessuti molli.

Fig.14 Fig.15

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Si ha una contrattura da adattamento con conseguente perdita della mobilità che provoca un dolore prematuro prima del completamento dell’intero arco di movimento.

Il trattamento della sindrome disfunzionale richiede il rimodellamento dei tessuti contratti mediante esercizi regolari di stretching che deve essere spinto fino a provare un certo fastidio.

LA SPONDILOLISTESI

Consiste nello spostamento della 5 vertebra lombare e della colonna lombare verso il sacro , meno comunemente della 4 vertebra lombare della colonna sulla 5 vertebra. Nell’85% dei casi la 5L si sposta verso il sacro. Sebbene sia spesso asintomatica la spondilolistesi può causare lombalgia con o senza sciatalgia.

Per una corretta diagnosi sono necessarie esami radiografici (Rx in proiezione laterale e obliqua) che mostra in maniera inequivocabile lo slittamento.

La spondilolistesi è classificata in 4 gradi a seconda della percentuale di scivolamento in avanti:

- Primo grado scivolamento del 25%- Secondo grado scivolamento del 50 %- Terzo grado scivolamento del 75 %- Quarto grado scivolamento del 100%

Nella spondilolistesi il trattamento, quando non chirurgico, è quello di rafforzamento dei muscoli addominali, di stabilizzazione del bacino o propriocettivi, dei flessori dell’anca e della fascia lombosacrale, dei legamenti e delle unità mio tendinee.

RIASSUMENDO

La lombalgia quindi può essere classificata in tre sindromi: posturale, da disfunzione e da erniazione. Nel primo caso l’atleta avrà dolore per una errata postura, nel secondo caso si tratterà di una contrattura adattiva dei tessuti molli a seguito dei cattivi atteggiamenti posturali o per traumi. Nel terzo caso è il danneggiamento del DIV che fuoriesce e provoca la sintomatologia.

TERAPIA

La terapia varia da caso a caso e può essere conservativa o chirurgica. Nella terapia conservativa oltre a fare uso di antinfiammatori (FANS) si utilizzano esercizi che consistono nella rieducazione posturale, esercizi di flessibilità, rafforzamento e stabilizzazione dinamica del tronco.

La terapia chirurgica consiste nell’asportazione dell’ernia .

Aspetto importante è quello della prevenzione che consiste nell’eseguire correttamente i vari esercizi tenendo conto del sovraccarico a cui è sottoposta la colonna durante l’esecuzione degli esercizi. L’uso dei pesi deve essere fatto con oculatezza e attenzione non trascurando mai lo stretching.

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Nella fig.16 è illustrata la corretta tecnica per sollevare un carico e mette in evidenza l’aumento del carico compressivo sbagliando la posizione. La fig.17 illustra le modificazioni del carico sulla colonna in funzione del peso da sollevare e della postura assunta. La fig.18 invece fa vedere il carico che subisce la colonna in relazione alla posizione della schiena e delle gambe con e senza carico.

Qui di seguito sono schematizzati alcuni esercizi per la mobilizzazione ed il potenziamento dei muscoli del tronco.

Fig.16 Fig.17 Fig.18

Fig.19 Fig.20 Fig.21

Fig.22 Fig.23 Fig.24

Fig.25 Fig.26

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Le figure da 19 a 26 schematizzano gli esercizi di inclinazione e rotazione laterale del tronco.

La rotazione del tronco viene effettuata dalla muscolatura che, inserendosi sul bacino e sul torace, presenta linee di trazioni oblique. Questo movimento si effettua essenzialmente a carico delle vertebre del tratto lombare. La muscolatura che effettua questo movimento è costituita essenzialmente dai muscoli piccolo e grande obliquo, mentre il muscolo trasverso può intervenire marginalmente. In questo movimento, considerando le linee di trazione della muscolatura interessata, intervengono per la rotazione in un senso, il m. grande obliquo di un lato ed il m. piccolo obliquo del lato opposto, mentre i m. obliqui dello stesso lato sono tra loro antagonisti.

L’inclinazione laterale del tronco da un lato viene effettuata dalla muscolatura che prende un punto fisso sul bacino e sul femore e si inserisce sul torace e sulle vertebre sempre dallo stesso lato. I muscoli propri di questo movimento sono il quadrato dei lombi, gli obliqui, il grande e piccolo psoas.

E’ chiaro che qualora si fissino il torace e le vertebre, la contrazione di tali settori muscolari effettua l’inclinazione laterale del bacino.

LA SPALLA

La patologia a carico della spalla nel passato si riscontrava con una certa frequenza tanto da essere al primo posto delle problematiche fisiche riguardanti il nuoto sincronizzato. E’ stata la maggiore attenzione alle metodiche di allenamento e alla prevenzione che ha fatto si che questa patologia, anche se al momento ancora presente, passasse al momento al secondo posto come incidenza.

Nella maggior parte dei casi le lesioni atletiche della spalla sono dovute all’azione ripetitiva dei gesti atletici effettuati al di sopra del piano della testa (microtraumi ripetuti, sovraccarico funzionale) o all’azione di una forza rilevante e diretta in corrispondenza della spalla (macrotraumi).

L’articolazione scapolo omerale è la più mobile del corpo umano nonché quella dotata della minore stabilità intrinseca.

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.

Si tratta di una enartrosi le cui superfici articolari sono costituite dalla testa dell’omero e dalla cavità glenoide della scapola.

Gli elementi che garantiscono la sua stabilità si distinguono in passivi ed attivi.

Gli elementi attivi sono il cercine glenoideo che aderisce al bordo glenoideo ampliando le sue possibilità contenitive; la capsula articolare conformata come un manicotto fibroso che ha rapporti anatomici con con il processo coracoideo, la testa dell’omero e il tendine del capo lungo del bicipite brachiale.

Il complesso dell’articolazione gleno-omerale può essere suscettibile a lesioni traumatiche come le sublussazioni, le lussazioni, i distacchi acromioclavicolari, le lesioni delle parti molli.

L’articolazione gleno-omerale è l’articolazione che di fatto va più incontro a lussazione.

ANATOMIA

La spalla risulta costituita da tre articolazioni: la scapolo-omerale; la sterno-clavicolare; l’acromion-claveare. (fig.27)o articolazioni vere; e da due piani di scivolamento (scapolo-toracico e sotto acromion-deltoideo) definiti anche come articolazioni false.

Durante i gesti quotidiani o quelli sportivi, articolazioni e piani di scivolamento concorrono in maniera integrata ed armonica alla realizzazione dei movimenti più complessi.

L’ARTICOLAZIONE STERNO-CLAVICOLARE

E’ una articolazione a sella con una capsula articolare, tre legamenti principali e un disco articolare.

Viene stabilizzata anteriormente dal leg. sterno-clavicolare che controlla i movimenti anteriori e posteriori della testa della clavicola.

Il leg. costo- clavicolare stabilizza la clavicola contro la trazione del m. sternocleidomastoideo.

Questa articolazione è la sola che connette il complesso della spalla al torace.

L’ARTICOLAZIONE ACROMIOCLAVICOLARE

Fig.27

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E’ una articolazione piana con due complessi legamentosi e un menisco articolare. Le sue funzioni principali sono quelle di conservare i rapporti fra clavicola e scapola nelle fasi iniziali di elevazione dell’arto superiore e di consentire alla scapola un arco aggiuntivo di rotazione nelle fasi terminali di elevazione dell’arto.

L’integrità dell’articolazione viene mantenuta dalla capsula articolare rinforzata a sua volta dai legamenti acromioclavicolari anteriore, superiore, posteriore e inferiore.

L’ARTICOLAZIONE GLENO-OMERALE

E’ la più mobile e la meno stabile del corpo umano. E’ composta dalla testa omerale e dalla fossa glenoidea (poco profonda). La capsula articolare ha un volume doppio rispetto alla testa dell’omero ed è rinforzata anteriormente e posteriormente da distinte strutture legamentose.

Tra i diversi legamenti quello gleno-omerale inferiore è importante in quanto impedisce la sublussazione della testa omerale in abduzione (90°) ed extrarotazione.

I muscoli che circondano questa articolazione sono quelli della cuffia dei rotatori che hanno due funzioni: quella di rotazione e stabilizzazione dell’articolazione.

Questa articolazione è in grado di compiere quattro movimenti combinati: flesso-estensione, abduzione-adduzione orizzontale, intrarotazione.

L’ARTICOLAZIONE SCAPOLO-TORACICA

E’ un’articolazione fisiologica liberamente fluttuante per mancanza di qualsiasi vincolo legamentoso eccetto nel punto in cui ruota facendo perno sull’articolazione acromioclavicolare.

L’ARCO CORACOACROMIALE

L’arco o spazio subacromiale fornisce una protezione contro i traumi diretti alle strutture subacromiale e previene la sublussazione superiore della testa omerale.

LA CUFFIA DEI ROTATORI

Sono i muscoli sovra spinoso, sottospinoso, piccolo rotondo, sottoscapolare. Collettivamente contribuiscono alla stabilità dinamica dell’articolazione gleno-omerale e a ragione possono essere considerati come i fini modulatori dell’articolazione gleno-omerale e del cingolo scapolare. La loro funzione è quella di comprimere la testa omerale e per agire e controllare la forza verticale di taglio esercitata sulla testa omerale stessa (azione di centraggio della testa nella glena omerale). (fig. 28 e 29)

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PATOLOGIE A CARICO DELLA SPALLA

Le lesioni della spalla possono essere di natura traumatica diretta o generate da un sovraccarico funzionale legato allo specifico sport e alle sue dinamiche biomeccaniche.

Le lesioni di natura traumatica diretta sono la sublussazione o la lussazione completa della spalla.

Distinguiamo le lesioni dell’articolazione scapolo toracica, lesione della cuffia dei rotatori, la sindrome da conflitto, l’instabilità anteriore e posteriore, instabilità multi direzionale, le lesioni del labbro glenoideo, il distacco acromioclavicolare.

LESIONI DELL’ARTICOLAZIONE SCAPOLOTORACICA

Questa patologia compare in quelle situazioni di dolore cronico dove il movimento della gleno-omerale si è ridotto notevolmente o che l’articolazione ai stata immobilizzata per lungo tempo.

Un dolore aumentato alla spalla comporta lo spasmo dei muscoli sovra spinoso, trapezio, romboide , latissimus dorsi e sottoscapolare che impediscono un normale movimento dell’articolazione ( si raggiungono solo i 100-120° di abduzione passiva).

LA LUSSAZIONE

La lussazione della spalla consiste nella perdita completa dei rapporti reciproci dei capi articolari. Può essere causata da un trauma diretto o da trazione. Nella sub lussazione invece la perdita di questi rapporti è solo parziale.

Le lussazioni possono essere recidivanti se riprodotte da un nuovo evento traumatico; o abituali se sono invece riprodotte anche da un banale movimento.

Si riconosce sempre dolore acuto, deformità della regione anatomica e impotenza funzionale totale.

Le complicazioni a breve termine possono essere la frattura (associata a volte alla fuoriuscita dei capi articolari), la coesistenza di turbe vascolari e nervose (lesione del nervo circonflesso).

Le complicazioni tardive più frequenti sono invece la lussazione recidivante (si va inevitabilmente incontro all’intervento chirurgico), le calcificazioni e la lassità articolare cronica.

LESIONE DELLA CUFFIA DEI ROTATORI

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L’eziologia della rottura della cuffia dei rotatori si può imputare ad una o più combinazioni di fattori: microtraumi ripetuti, disuso, tendinite da sovraccarico funzionale, fattori anatomici e attrito. Uno studio di Neer ha ipotizzato che solo il 3-8% delle rotture acute della cuffia derivi da traumi. Quindi si è ipotizzato che le cause più frequenti siano da ricercare in una tendinite della cuffia.

La spalla interessata è solitamente rigida specialmente in corrispondenza della capsula posteriore. Questa rigidità può limitare uno o la combinazione dei seguenti movimenti: flessione in avanti, intra-extrarotazione, adduzione orizzontale.

Il trattamento può essere di tipo conservativo con l’utilizzo di mezzi fisici (calore umido, ionoforesi e ultrasuoni, TECAR), la mobilizzazione e gli esercizi per l’allungamento della capsula posteriore.

Gli atleti che non rispondono alle cure conservative vanno trattati chirurgicamente.

LA SINDROME DA CONFLITTO

La impingement syndrome fu resa nota fin dal 1972 da Neer che faceva notare il conflitto che si poteva creare tra l’inserzione al trochite del sovra spinoso e il solco bicipitale. Di solito il conflitto interessa il tendine del sovraspinoso. Questo conflitto viene perpetuato dai numerosi passaggi della cuffia dei rotatori al di sotto dell’arco coracoacromiale. Da ciò deriva l’irritazione del tendine del sovra spinoso e probabilmente del sottospinoso con uno slargamento della borsa subacromiale che può andare incontro a fibrosi riducendo così ancor più lo spazio già compromesso.(Fig.30)

La cuffia dei rotatori quindi ha un’azione stabilizzatrice della testa dell’omero sulla spalla contro le azioni del m. deltoide e gran pettorale che tendono invece a portare fuori centro la testa stessa.

Si possono distinguere tre stadi del conflitto:

- 1 stadio: con edema e/o emorragia conseguente all’uso prolungato del braccio o per trauma diretto. In questo stadio le lesioni sono reversibili. (età inferiore ai 25 anni)

- 2 stadio: con fibrosi dei tendini e della borsa . il dolore è maggiore con ulteriore riduzione dei movimenti della spalla. In questo stadio le lesioni sono irreversibili dal punto di vista istologico ma non da quello clinico poiché la terapia adeguata tende a migliorare il quadro clinico (età dai 25-40 anni) . le terapie più frequentemente adottate sono la TECAR ,la riabilitazione muscolare con potenziamento specifico.

De

Sv

Fig.30

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- 3 stadio: con una tendinosi della cuffia dei rotatori fino a delle vere e proprie lesioni parziali o totali dei tendini.

La sintomatologia è il dolore con esordio anche improvviso. Lentamente si può avere una perdita della mobilità con un peggioramento del dolore con il braccio in elevazione al di sopra della testa.

La diagnosi si basa oltre che su un’anamnesi accurata, sull’esame clinico e strumentale. Nell’esame clinico si terrà conto di:

- Limitazione del range di movimento ( ROM) soprattutto in elevazione

- Test di Neer, Jobe e impingement supino positivi

- Deficit di forza muscolare

La diagnosi strumentale si avvale dell’esame Rx della spalla in antero-posteriore e in proiezione ascellare; della TC o della RMN con o senza mezzo di contrasto.

La terapia deve tener conto della sintomatologia dolorosa e quindi si può far uso di antidolorifici e antinfiammatori (FANS) soprattutto nella fase iniziale. La fisioterapia ha il compito di lavorare sul recupero di una buona postura e sul bilanciamento dei muscoli stabilizzatori attivi della spalla per un buon posizionamento della scapola , su un buona centratura della testa omerale sulla glena e sul rafforzamento dei muscoli della cuffia dei rotatori indeboliti.In ultimo, quando la terapia medica e fisioterapica hanno fallito, si prenderà in considerazione la terapia chirurgica che servirà a ridurre gli effetti del conflitto. Lo scopo sarà proprio quello di allargare lo spazio tra l’acromion e i tendini della CDR in modo tale da facilitare il movimento della spalla con eliminazione del dolore e dell’infiammazione. Dopo l’intervento l’atleta deve osservare un periodo di riabilitazione che si aggira intorno ai 40 giorni.

INSTABILITA’ ANTERIORE

L’anatomia dell’articolazione glenomerale predispone la spalla all’instabilità che può essere divisa in lussazione acuta traumatica e lussazione ricorrente o sublussazione.

La lussazione di spalla è caratterizzata dal dolore acuto e dall’impossibilità di muovere il braccio ( la testa dell’omero in questo caso scavalca il labbro glenoideo e si colloca al di sotto della coracoide.

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L’instabilità di spalla può dare diverse complicanze e si può associare a rottura della porzione anteriore del labbro glenoideo e a lesione ossea posterolaterale della testa omerale (lesione di Hill-Sachs); all’avulsione della capsula e del labbro dalla rima glenoidea (lesione di Bankart)

In questo caso il trattamento conservativo può non avere successo e allora si passa direttamente al trattamento chirugico.

LE LESIONI DEL LABBRO GLENOIDEO

Sono estremamente comuni negli atleti e possono essere di origine traumatica o atraumatica. Possono avvenire in associazione con la lussazione o la sublussazione della spalla. La SLAP lesion è la lesione del complesso labiale anterosuperiore. Inizia posteriormente per poi estendersi anteriormente coinvolgendo il capo lungo del bicipite brachiale. Le cause possono essere o un trauma brusco con caduta sul braccio iperesteso, o di una contrazione forzata del bicipite, o di vigorosi movimenti ripetitivi eseguiti con il braccio sopra la testa. Le SLAP lesion a seconda della gravità sono classificate in quattro gradi (I,II,III e IV grado di lesione).

PREVENZIONE

Nella prevenzione gioca un ruolo importante lo stretching ed il potenziamento muscolare specifico.

Lo stretching è una tecnica di allungamento di grande importanza sia nella prevenzione che nel trattamento della spalla dolorosa. Assicura un graduale miglioramento delle caratteristiche elastiche e di flessibilità dei muscoli. Assicura inoltre un adeguato afflusso di sangue nel distretto muscolare interessato ottimizzando nel contempo le capacità contrattili delle fibre.

Va eseguito per almeno 10-15 minuti dopo un accurato riscaldamento. Ciascun gruppo muscolare può essere allungato per 30-40 secondi.

Gli esercizi di potenziamento possono essere isotonici: esercizi dinamici con accorciamento e produzione di lavoro. E’ la tecnica migliore per conseguire un buon tono muscolare; isometrici quando il muscolo si contrae senza accorciarsi o con un minimo accorciamento. E’ utile nelle prime fasi dall’intervento quando è importante mantenere un ceto tono muscolare. La tensione va mantenuta per 15-20 sec ad intensità sub-massimale.

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Nella fig. 31 e 32 sono rappresentati gli esercizi isotonici di potenziamento dei muscoli intra ed extrarotatori mentre nella fig. 33 gli esercizi riguardano il potenziamento del m. sovraspinoso. Nelle fig.34 e 35 sono rappresentati gli esercizi di potenziamento per il m. gran dorsale ed il bicipite brachiale.

Nelle fig.36 e 37 sono rappresentati esercizi di facilitazione propriocettiva su linee diagnonali con posizione di partenza e finale; esercizi isotonici per il romboide (fig.38). Nelle fig.39 e 40 vi è un esempio di come fare l’allungamento muscolare; nella fig.41 sono rappresentati gli esercizi isometrici per gli extrarotatori

RIASSUMENDO

Fig.31 Fig.32 Fig.33

Fig.36 Fig.37

Fig.34

Fig. 35 Fig.38

Fig.39 Fig.40 Fig.41

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Le lesioni della spalla possono essere provocate in modo acuto a seguito dell’azione di traumi o possono esordire in modo insidioso per l’azione ripetuta nel tempo di esercizi particolarmente stressanti.

Nella gran parte dei casi le lesioni della spalla avvengono durante le fasi terminali del carico, nelle accelerazioni e decelerazioni brusche.

Le lesioni più comuni sono la tendinite e le rotture parziali della cuffia dei rotatori, la patologia compressiva della cuffia, la sindrome da conflitto posteriore e l’instabilità di spalla.

La riabilitazione va incentrata sullo sviluppo di una stabilità articolare dinamica.

Negli atleti predisposti a questa patologia il protocollo riabilitativo va portato avanti, a scopo preventivo, al termine della stagione agonistica con un programma di potenziamento di tutti i muscoli della cuffia dei rotatori e di elasticità della spalla. In questo modo si tende a stabilizzare dinamicamente l’articolazione glenomerale e gli stabilizzatori della scapola che aiutano la fossa glenoidea ad orientarsi con la testa omerale in modo da mantenere la stabilità.

IL GINOCCHIO

Mentre negli altri sport quest’ articolazione risulta tra quelle maggiormente colpite, lo stesso non si può dire nel nuoto sincronizzato.

Il ginocchio (fig.42) è un’articolazione sinoviale che viene classificata come un’articolazione a cerniera. Distinguiamo l’articolazione femoro-tibiale e la femoro-rotulea.

Le strutture ossee sono: la tibia, la rotula ed il femore. Alla stabilità del ginocchio poi concorre l’apparato legamentoso con il leg. crociato anteriore (LCA) e posteriore (LCP), il leg. rotuleo (LR), i legamenti collaterali ed i menischi.

L’ARTICOLAZIONE FEMORO-ROTULEA

L’articolazione femoro-rotulea è un’articolazione a sella che è sottoposta ad una complessa combinazione di flessione, scivolamento e rotazione nel corso del movimento del ginocchio.

L’articolazione femoro-rotulea è quella più chiamata in causa nel dolore e nella disfunzioni del ginocchio. La funzione primaria della rotula è quella di incrementare l’efficienza del muscolo quadricipite e di fornire una protezione ossea alla faccia anteriore del femore. La faccia posteriore della rotula si articola con la troclea femorale. L’area di contatto tra le superfici articolari di rotule e femore aumenta con la flessione progressiva del ginocchio. La cartilagine articolare della faccia posteriore della rotula è la più

Fig.42

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spessa del corpo umano (circa 5 mm) e questo la dice lunga sull’entità delle forze di compressione che si sviluppano in questa articolazione.

Il corretto funzionamento della rotula dipende dal fine bilanciamento tra le strutture legamentose e muscolari e quando questo equilibrio viene compromesso si verifica uno scorrimento anomalo della rotula. La condromalacia rotulea che ne consegue viene descritta come un rammollimento della cartilagine articolare.

I LEGAMENTI CROCIATI ANTERIORI E POSTERIORI

Il legamento crociato anteriore (LCA) si inserisce medialmente all’area intercondiloidea della tibia e lateralmente alla porzione postero mediale del condilo femorale esterno. Il legamento è composto di due fasci distinti. Questo legamento costituisce il freno primario alla traslazione anteriore del ginocchio;è deputato al controllo delle sollecitazioni in valgismo e varismo, ha funzione di meccanismo di blocco in avvitamento. Movimenti di avvitamento esasperati possono comportare la sua rottura .

Il legamento crociato posteriore (LCP) si origina nella gola intercondiloidea posteriore della tibia per inserirsi sul condilo femorale mediale. La sua funzione è quella di limitare la traslazione posteriore del ginocchio. Anch’esso controlla lo stress in valgismo e varismo. (fig.43 e 44)

Le lesione del LCP sono rare negli sportivi con percentuale variabile dal 2% al 20% di tutte le lesioni del ginocchio; il ginocchio può subire un danno delle cartilagini femoro-tibiali e femoro-rotulee.

I LEGAMENTI COLLATERALI

Sono il legamento collaterale mediale (LCM) che origina dall’epicondilo mediale femorale e si inserisce profondamente alla zampa d’oca; e il legamento collaterale laterale (LCL) che si origina dall’epicondilo laterale del femore per inserirsi alla testa del perone.

Entrambi concorrono a limitare gli stress in varismo e valgismo del ginocchio.

I MUSCOLI

Fig.43

Fig.44

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Non meno importanti sono le strutture muscolari che si possono definire come degli stabilizzatori dinamici (fig.45)

Il muscolo quadricipite (stabilizzatore dinamico) è quello che con il ginocchio in lieve flessione impedisce il rovesciamento all’indietro del corpo garantendo La stabilità. In caso di deficit o paresi di questo muscolo si viene a ridurre la funzione di estensione nell’articolazione del ginocchio.

Il muscolo quadricipite è costituito da quattro muscoli tutti innervati dal nervo femorale.

Questi muscoli sono: il m. vasto laterale, il m. vasto intermedio, il m. retto del femore e il m. vasto mediale che tutti insieme producono una qualsiasi forza in estensione.

I m. della zampa d’oca e il bicipite femorale influenzano la stabilità della rotula in quanto controllano l’intra- ed extra-rotazione della rotula sul femore.

I MENISCHI

Sono fibrocartilagini semilunari (fig. 46) che si interpongono tra tibia e femore e la loro superficie è fatta in modo tale da adattarsi perfettamente ai condili femorali. Ogni menisco copre i 2/3 della superficie articolare tibiale. I menischi sono vascolarizzati solo nella loro parte più esterna (vascolarizzazione capillare perimeniscale per il 10-30%) mentre la parte interna riceve nutrimento per diffusione passiva e pompaggio meccanico (70%). Per questo motivo le lesioni che si verificano nella parte esterna possono essere riparate chirurgicamente.

Essi sono inoltre collegati tra loro tramite il leg. jugale e con i muscoli attivatori del ginocchio attraverso le strutture capsulari.

Le funzioni principali dei menischi dono quelle di aumentare la stabilità del ginocchio, di ammortizzare e assorbire i traumi.

LE PATOLOGIE A CARICO DEL GINOCCHIO

Fig.45

Fig. 46

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Le patologie a carico del ginocchio possono interessare la componente ossea e cartilaginea (la rotula più frequentemente ed i menischi) e la componente legamentosa.

Le patologie a carico della rotula possono essere la lussazione della rotula che è provocata da una violenta contrazione del m. quadricipite con il ginocchio in posizione di valgismo rotazione esterna.

Un’altra patologia importante per le implicazioni che può avere e per la diversificazione della sintomatologia è la disfunzione rotulea caratterizzata da dolore femoro-rotuleo correlato ad una disfunzione dell’articolazione femoro-rotulea. Il dolore in questa regione, a volte ad esordio insidioso, quando non viene attribuito ad un trauma diretto, chiama in causa il sovraccarico funzionale ed i microtraumi ripetuti.

LE DISTORSIONI DEL GINOCCHIO

Si devono distinguere distorsioni lievi: rappresentate dalla semplice distensione dei legamenti o della capsula o da lacerazioni parcellari di alcuni fasci fibrosi.

Distorsioni gravi che comprendono le rotture a tutto spessore di uno o più legamenti, le loro inserzioni con eventuale strappamento della corticale ossea sulla quale si inseriscono o lacerazioni capsulari.

La sintomatologia costante è data dal dolore nei punti di inserzione o sul decorso dei legamenti interessati, provocato dalla pressione e dalle sollecitazioni che tendono a saggiare il legamento in esame.

Può essere presente una tumefazione con eventuale versamento emorragico nel cavo articolare o nei tessuti molli periarticolari (l’eventuale presenza di emartro deve sempre far pensare ad una lesione severa); eventuale associazione di lassità articolare.

La lesione del Legamento Crociato Anteriore (LCA), comporta una perdita della stabilità del ginocchio con cedimento sotto carico dello stesso. Il LCA si inserisce medialmente all’area intercondiloidea anteriore della tibia e lateralmente alla porzione posteriore del condilo femorale esterno. E’ composto di due fasci distinti, uno dei due più spesso dell’altro. Le sue funzioni sono quelle di blocco in avvitamento, controllo delle sollecitazioni in valgismo e varismo.

La lesione del LCA è quella che riscontra con maggiore frequenza (soprattutto negli sport di contatto) è dovuta a un movimento esagerato in iperestensione o anteropulsione della tibia e obiettivamente ed è caratterizzata dal rumore di “crack” che l’atleta avverte al momento del trauma, si ha cedimento articolare, lassità articolare con positività dei segni di Lachmann, del cassetto e dello stress in varo a 30°. Spesso si associa tumefazione con emartro.

Nella fig.47 è rappresentata la più comune lesione discorsiva del ginocchio che prende il nome di “triade” caratterizzata dalla lesione contemporanea del leg. collaterale interno, del menisco interno e del LCA.

LE LESIONI MENISCALI

Fig.47

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Queste lesioni rappresentano i 2/3 delle lesioni interne del ginocchio. Il menisco interno risulta leso più spesso di quello esterno. La lesione meniscale è riportabile a traumi indiretti quale calci a vuoto, un brusco rialzarsi dalla posizione accosciata o più frequentemente a sollecitazioni in abduzione ed extrarotazione della gamba a ginocchio atteggiato in semiflessione. (fig.49)

Possiamo avere diversi tipi di lesione:

Disinserzione del menisco dalla capsula dove la lesione interessa il bordo periferico del menisco (fig. 48a) oppure estendersi ampiamente realizzando un reperto “a manico di secchio” (fig. 48b);

Rottura del corno anteriore (fig. 48c) o del corno posteriore ;

Rottura trasversale rara e tipica del menisco esterno (fig. 48d)

La sintomatologia si basa sui dati anamnestici dove spesso si rileva un precedente evento traumatico spesso una distorsione in valgo rotazione esterna o in iperestensione.

A volte si può avere un vero blocco articolare che deve sempre far pensare a una probabile lesione meniscale. Sintomi tipici sono il dolore locale a livello dell’emirima corrispondente.

LA DIAGNOSI E IL TRATTAMENTO DELLE LESIONI DEL GINOCCHIO

Nelle lesioni riguardanti il ginocchio assume una notevole importanza la storia clinica del soggetto quindi la raccolta delle informazioni sulle cause di insorgenza del problema.

Importante l’esame obiettivo con la verifica di una eventuale tumefazione ed impotenza funzionale. Utili sono le manovre specifiche per valutare la lassità del ginocchio. Nella fig. 50 viene rappresentato il test di valutazione dei legamenti collaterali mediale e laterale (vengono impresse sollecitazioni valgizzanti o va rizzanti al ginocchio per saggiare l’eventuale lassità).

La fig. 51 viene raffigurato il “segno del cassetto” che si effettua nel sospetto delle lesioni del LCA. A ginocchio flesso si ha una mobilità abnorme sul piano sagittale sollecitando in avanti e indietro la tibia.

Fig. 48

Fig. 49

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Il trattamento delle diverse patologie del ginocchio si avvale dell’utilizzo dei normali FANS sia per via orale o per via iniettiva e di:

Mezzi fisici come gli ultrasuoni, le correnti antalgiche, il laser e la più recente TECAR terapia; La crioterapia soprattutto nelle fasi precoci subito dopo il trauma; Il trattamento manuale con massoterapia e chinesiterapia; L’utilizzo di bendaggi specifici (kinesio taping) e tutori come nel caso della lussazione di rotula; Il potenziamento specifico dei vari distretti muscolari quali il quadricipite e il bicipite femorale nelle

lesioni dell’LCA; La chirurgia artroscopia che può essere diagnostica o di riparazione della lesione nella ricostruzione

del LCA o nella sutura del menisco lesionato.

Fig51

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CONCLUSIONI

Se l’allenatore terrà conto di

un buon riscaldamento (non affrettato), di una buona seduta di allungamento

(non affrettata) all’inizio e alla fine del lavoro,

di una buona preparazione fisica che tenga conto delle caratteristiche individuali,

di una stretta collaborazione con il preparatore atletico,

del riconoscimento precoce delle patologie di più riscontro

il risultato non può che essere quello di avere una squadra sempre pronta ed efficiente.