Dispense III parte - sufueddu.org · La parola di Dio, la Rivelazione: ... Dio si esprime, parla di...

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1 DISPENSE III Parte Analisi della Dei Verbum. Note sparse: appunti di critica testuale. Il Canone delle Scritture (Rita Lai) Lo Studio della Bibbia. Analisi di alcuni passi della Dei Verbum Alcune conclusioni sul concetto di Rivelazione La Bibbia: panorama storico della sua formazione (sintesi) Precisazioni sparse Canone delle Scritture Appunti di critica testuale

Transcript of Dispense III parte - sufueddu.org · La parola di Dio, la Rivelazione: ... Dio si esprime, parla di...

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DISPENSE III Parte 

Analisi della Dei Verbum. 

Note sparse: appunti di critica testuale. Il Canone delle Scritture (Rita Lai) 

 

 

 

 

 

Lo Studio della Bibbia. Analisi di alcuni passi della Dei Verbum 

Alcune conclusioni sul concetto di Rivelazione 

La Bibbia: panorama storico della sua formazione (sintesi) 

Precisazioni sparse 

Canone delle Scritture 

Appunti di critica testuale 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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 LO STUDIO DELLA BIBBIA1 

Attraverso l’analisi di alcuni passi della Dei Verbum2 

Natura, ruolo, metodo interpretativo. 

 

A) COS'E' LA BIBBIA 

1) E' Parola di Dio... 

2) ma in parole veramente umane. 

 

1) E' Parola di Dio 

DV  14:  "L'economia  della  salvezza  ...  si  trova  esposta  come  vera  Parola  di Dio  nei  libri 

dell'Antico Testamento" 

DV 17: "La Parola di Dio  ...  si presenta e manifesta  la  sua  forza  in modo eminente negli 

scritti del Nuovo Testamento" 

DV 24: "La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta 

, insieme con la sacra tradizione...Le sacre Scritture contengono la Parola di Dio e, perché ispirate,  

sono veramente parola di Dio...". 

DV 26: Necessità di  lettura e  studio perché  la Parola di Dio  ...  compia  la  sua  corsa e  sia 

glorificata. 

DV 11:  i libri dell'Antico e del Nuovo Testamento "hanno Dio per Autore." 

 

2)... ma in parole veramente umane 

DV 11: Gli uomini sono veri autori.Quindi Dio e  uomini sono veri autori 

DV 12: "Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo d’uomini alla maniera umana". 

Pensiamo alla enorme portata di quello che stiamo affermando: parliamo di  linguaggio di 

Dio e di  linguaggio degli uomini, e Dio per farsi capire usa  il  linguaggio degli uomini. Questo ci fa 

comprendere  perché  noi  abbiamo  bisogno  di  fare  un  lavoro  di  decodificazione  per  arrivare  al 

messaggio che dobbiamo cogliere nella Scrittura sacra. 

1 Per questa parte, ci affidiamo alle osservazioni e agli studi di un eminente studioso e biblista, scomparso nel 1999, DON ANGELO TOSATO, a cui va il mio ricordo grato e riconoscente come sua allieva all’ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II PER STUDI SU MATRIMONIO E FAMIGLIA 2 I passi tratti dalla Dei Verbum o dalla Scrittura sono riportati in corsivo.

3

Quelle parole umane sono legate al tempo dell’autore, al contesto in cui lui ha vissuto, alla 

storia, alle  condizioni  sociali, a  tutta una  serie d’elementi  che  condizionano noi oggi nel nostro 

contesto, nella nostra storia, che ha "condizionato", " determinato" in ogni caso  lo scrittore sacro. 

Rileggiamo il prologo della Lette ra agli Ebrei: 

"Dio,  che  aveva  già  parlato  nei  tempi  antichi molte  volte  e  in  diversi modi  ai  padri  per 

mezzo dei profeti, ultimamente,  in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del  Suo  Figlio”  (Eb 

1,11) 

La Parola di Dio è una realtà che occupa una storia che è la storia della salvezza, è il modo 

che ha Dio per rivelare sé stesso e la sua volontà. 

DV 13 

Le parole di Dio  infatti espresse  con  lingue umane  si  sono  fatte  simili al  linguaggio degli 

uomini come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece 

simile all’uomo 

Forse attraverso questo testo riusciamo a capire meglio:   così come Dio, dice  la Lettera ai 

Filippesi  (cfr. Fil 2,6ss.) non disdegnò di assumere  la natura umana, senza perdere  la sua natura 

divina e si abbassò, "si svuotò" ("spogliò sé stesso"),  così come Dio in Gesù Cristo, senza rinunciare 

alla sua natura, assume completamente la natura umana (completamente tranne il peccato di cui 

però porta le conseguenze nella passione e morte), così la parola di Dio entra nel linguaggio degli 

uomini, si veste  in un certo senso del  linguaggio degli uomini, per far capire agli uomini che cosa 

Dio vuol dire. 

La Parola  che  ascoltiamo, nell’assemblea  liturgica della   domenica, o  che  ascoltiamo nel 

gruppo di cui facciamo parte o nella lettura personale, quella Parola di Dio, è il messaggio che Dio 

vuol fare arrivare a noi.  

Per farlo arrivare, dal momento che il suo linguaggio per noi sarebbe incomprensibile, usa il 

nostro  linguaggio,  si  adatta  al  nostro modo  di  parlare,  parla  con  il  linguaggio  umano,  con  le 

categorie dell’uomo. 

E quando noi studiamo e leggiamo la Parola di Dio, facciamo i conti con questa realtà, che è 

una realtà d’incarnazione, come dice il n. 13 della Dei Verbum.3  

DV n. 15: sottolinea l'importanza del Vecchio Testamento per i cristiani perché contiene "la 

vera pedagogia di Dio". 

 

3 Vedi anche la prima parte delle nostre dispense.

4

B) PERCHE' CI OCCUPIAMO DI ESSA? 

DV n.  11 

La  Santa madre Chiesa,  per  fede  apostolica,  ritiene  sacri  e  canonici  tutti  interi  i  libri  sia 

dell’Antico che del Nuovo Testamento. 

Quindi  sacri  perché  ispirati;  canonici  perché  ci  danno  delle  regole,  delle  norme  di  vita, 

quindi hanno un valore normativo per noi. 

Sacri: ci richiamano al potere evocativo della parola di Dio che entra in pienezza nella vita 

dell’uomo  attraverso Gesù  Cristo, ma  che  è  presente  in  tutta  la  storia  della  salvezza,  la  storia 

dell’uomo. 

Ispirati, appunto, e canonici, nel senso che contengono anche delle norme, delle regole: la 

Parola di Dio è una parola che c’interpella, contiene un  linguaggio che ci chiede un sì o un no di 

vita e, che quindi di conseguenza, ci chiede una trasformazione. . 

La parola di Dio, la Rivelazione: apriamo una finestra sulla Rivelazione.4 

Se potessimo  tracciare una differenza  tra  il Vaticano  I  e  il Vaticano  II,  a proposito della 

Rivelazione,   potremmo dire che  il  II  sottolinea  la  rivelazione personale e  storica di Dio  in Gesù 

Cristo: DV  nn. 2‐4. e la fede come risposta adeguata alla Rivelazione soprannaturale (cfr DV n. 5). 

Il Vaticano  II mette  in  evidenza  la  libera  e  gratuita  iniziativa  di Dio  nel  rivelarsi. Qual  è 

l’oggetto della Rivelazione? Molto indicativo sulla rivelazione è il n. 2 della Dei Verbum – natura e 

oggetto della rivelazione. 

Quando  parliamo  di  rivelazione,  intendiamo  in  senso  teologico,  il  movimento  che  Dio 

compie  nei  confronti  dell’uomo,  dell’umanità,  che  compie  sempre  Lui  per  primo  aprendo, 

squarciando  il  velo  del  suo  mistero  e  rivelando  chi  è  lui  e  rivelando  qual  è  il  suo  progetto 

sull’uomo. 

Quindi  c’è  una  sorta  di movimento  di Dio,  che  vuole  uscire  dal  suo mistero:  nel  senso 

teologico,  il mistero non è qualcosa che non  si conosce, ma  in  senso paolino,  indica  il progetto 

salvifico di Dio per tutti gli uomini, nascosto nei secoli e rivelato pienamente in Gesù Cristo. 

Quando io incontro Dio che si rivela, incontro anche  me stesso, chi io sono, il mio mistero 

che si svela alla luce della rivelazione di Dio attraverso la sua Parola. 

 

 

4 Cfr. Valerio Mannucci, Bibbia come Parola di Dio. Introduzione generale alla Sacra Scrittura, Ed. Queriniana, Brescia 1993, 23ss. Tutti i riferimenti bibliografici si trovano per esteso nella bibliografia consigliata.

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Dei Verbum  n.2  

Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua 

volontà, mediante  il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo  fatto  carne, nello  Spirito  Santo 

hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura. Con questa rivelazione, infatti, Dio 

invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si trattiene con loro per invitarli e 

ammetterli alla comunione con sé..

Quest’economia della  rivelazione  avviene  con  eventi  e parole:  la  rivelazione non  è  fatta 

solo di parole, è  insieme parlare e fare, è insieme parole ed opere. 

L’evento  di  salvezza,  l’evento  di  rivelazione,  è  un  evento  che  è  anche  parola;  la  parola 

illumina  l’evento  e  l’evento  testimonia  la  parola,  intimamente  connessi,  in modo  che  le  opere, 

compiute  da  Dio  nella  storia  della  salvezza,  manifestano  e  rafforzano  la  dottrina  e  le  realtà 

significate dalle parole, e  le parole dichiarano  le opere e il mistero  in  loro contenuto. La profonda 

verità, poi, sia di Dio sia della salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione, risplende a noi 

in Cristo, il quale è , insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione.   

Quindi    l’oggetto della Rivelazione è qualcuno, non qualcosa. E’ una persona. E’  il mistero 

della  sua  volontà,  è  tutto  il  disegno  salvifico  che  è  svelato  da  e  in Gesù Cristo. C’è  quindi una 

profonda relazione fra Rivelazione e salvezza. 

La  Rivelazione  avviene  tramite  eventi  e  parole: Questo  concetto  è  largamente  presente 

nella  Scrittura:  cfr  Es  33,11;  Bar  3,38; Gv  15,14‐15.  Dalla  Bibbia  stessa  il  Vaticano  II  attinge  il 

carattere interpersonale, esistenziale, dinamico  della Rivelazione. 

L’intento di Dio, nel  rivelarsi, non è  solo quello di  insegnare delle  verità  all’uomo. Nella 

rivelazione 

Dio parla il linguaggio dell’amicizia e dell’amore 

Dio chiama l’uomo per nome 

Dio racconta interpreta, insegna 

Dio si esprime, parla di sé, rivela agli uomini sé stesso e la sua vita intima. 

In 1Gv 1,2‐3, citato nel Proemio della DV, troviamo l’oggetto, il modo, la trasmissione e la 

finalità della Rivelazione. 

Oggetto: la vita eterna, la luce, immagini che Giovanni usa per significare la realtà stessa di 

Dio, Dio stesso che si apre agli uomini e si comunica ad essi. 

Modo:  la  vita  eterna  si manifesta  a  noi  in  Gesù  Cristo  che  si  rivela  anche  con  la  sua 

presenza attiva. La parola si fa anche “toccare” e “vedere” 

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Trasmissione:  l’annuncio di Giovanni è anche una  testimonianza,  tale è anche  l’annuncio 

della  Chiesa.  Prima  di  essere Maestra,  la  chiesa  è  discepola.  Prima  di  annunciare,  si  pone  “in 

religioso ascolto”. 

Finalità  ultima:  La  comunione  col  Padre  e  col  Figlio  suo  Gesù  Cristo.  Questa  è  la  vita 

eterna…Ma questa non è una faccenda privata, ma passa attraverso il sacramento di Cristo che è 

la Chiesa. 

 

Conseguenze per la lettura e la comprensione della Bibbia 

La Bibbia non ha una pura funzione informativa.Non è riducibile ad un puro insieme 

di proposizioni che veicolano delle verità 

Il primato dell’ascolto.  Se  la Rivelazione è Parola  che mi parla, è Persona  che mi 

interpella, allora io devo soprattutto ascoltare.  

Lettura  sapienziale:  leggere  non  per  una  scientia,  quanto  per  una  sapientia,  alla 

latina, cioè una conoscenza vitale, assaporata, che mette  in gioco  tutte  le  facoltà 

dell’uomo  e  sfocia  nella  fede  obbediente    di  cui  parla  la  Scrittura.  Avviene  così 

anche nel dialogo dell’amicizia e dell’amore che investe l’intimo e prende la totalità 

della vita. Una comunione di cuore, di intenti, di progetti, di vita. 

Il magistero della Chiesa è a servizio della Parola (questo  lo vedremo meglio dopo, 

analizzando la DV) 

Tornando  dunque  alla  rivelazione,  essa  è  il manifestarsi  di  Dio,  l’aprire  il  velo  del  suo 

mistero per rivelare sé stesso e la sua volontà sull’uomo. Dio, rivelandosi, apre il mistero: è il Dio 

trascendente e insieme il Dio che cammina con l’uomo. 

Dio  che è mistero,  che è una  realtà  che va al di  là della nostra vita normale quotidiana, 

questo  Dio  ha  voluto,  nella  storia  dell’uomo,  rivelare  sé  stesso,  cioè  aprire  un  varco  nel  suo 

mistero. E nel momento in cui  apre questo squarcio attraverso la Scrittura, rivelando il suo nome, 

rivelando  la  sua  presenza,  rivelando  le  sue  opere,  ricolmando  l’uomo  di mille  doni,  di  grazia, 

benevolenza, misericordia, Dio  rivelando  sé  stesso,  ha  rivelato  anche,  insieme,  all’uomo  il  suo 

progetto di salvezza. 

Il progetto di  salvezza non è qualcosa che  si cala  sull’uomo dall’alto e che  l’uomo  riceve  

passivamente: nel momento in cui Dio si rivela e rivela la sua volontà salvifica, rivela anche l’uomo 

a sé stesso. Quando Dio rivela sé stesso e  la sua volontà di salvezza, non solo dice chi è  lui e che 

cosa vuole, ma svela anche all’uomo sé stesso. 

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DV  n. 21 

La  Chiesa  ha  sempre  venerato  le  divine  Scritture  come  ha  fatto  per  il  corpo  stesso  del 

Signore,  non  mancando  mai,  soprattutto  nella  sacra  liturgia,  di  nutrirsi  del  pane  della  vita 

prendendolo dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli. 

Il Concilio parla chiaramente di due mense, la mensa della parola e la mensa del corpo del 

Signore, e questa è un'ulteriore riprova di quello che ha costituito la Dei Verbum nella storia della 

Chiesa e del Vaticano II, cioè la riscoperta totale, assoluta, a  tutto campo, della Parola di Dio. Noi 

cristiani abbiamo due mense, non soltanto quella del pane, ma anche quella della Parola.5 

La Chiesa ha sempre venerato l'Eucaristia, non tralasciando mai di nutrirsi del pane di vita, 

e questo viene assunto sia nella mensa della parola di Dio, sia in quella del Corpo di Cristo. Questa 

sottolineatura  è  importante  perché  pone  sullo  stesso  piano  il  pane  eucaristico  e  il  pane  della 

Parola, è una riscoperta essenziale: un tempo, prima del Concilio,  la parola era trascurata, messa 

da parte. 

Noi dobbiamo cogliere  l’idea fondamentale che  la Messa raccoglie  il pane della parola e  il 

pane eucaristico e il secondo è in continuità col primo. 

Sempre nella DV n.21 

“Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi 

figli, e discorre con  loro; nella parola di Dio poi è contenuta  tanta efficacia e potenza, da essere 

sostegno  e  vigore  della  Chiesa,  e  per  i  figli  della  Chiesa  saldezza  della  fede,  cibo  dell’anima, 

sorgente pura e perenne della vita spirituale. 

Sono  tutte note che  sono attribuite alla Parola:  sostegno e vigore,  saldezza di  fede, cibo 

dell’anima, sorgente pura e perenne di vita spirituale 

 

DV 24 

La  sacra  teologia  si  basa  come  su  un  fondamento  perenne  sulla  parola  di  Dio  scritta, 

insieme con la sacra Tradizione…………… 

Le sacre Scritture contengono le parole di Dio e, perché ispirate, sono veramente parola di 

Dio; sia dunque lo studio delle sacre pagine come l’anima della sacra teologia. 

Ecco perché noi studiamo  la Bibbia: perché  lo studio della Sacra Scrittura è come  l’anima 

della teologia, è il fondamento da cui non si può prescindere e di cui non si può fare a meno. 

5 V. anche Giovanni Paolo II, Mane nobiscum, Domine, Lettera apostolica per l’Anno dell’Eucaristia, 2004, n. 12 e n.

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A questo punto ci chiediamo: che funzione ha il magistero in rapporto alla Scrittura. 

Il magistero è chiamato  in modo particolare, per ministero particolare, ad  interpretare  la 

Sacra Scrittura, ma come? Troviamo la risposta a questo? 

Nel n. 10 della Dei Verbum è analizzato il rapporto  tra il magistero e la Scrittura 

La sacra tradizione e  la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di 

Dio affidato alla Chiesa … 

Scrittura e Tradizione sono un unico deposito: Scrittura e Tradizione, ossia  la continuità di 

una  fede  che  viene  trasmessa,  la  traditio  appunto,  di  generazione  in  generazione.  Scrittura  e 

Tradizione costituiscono l’unico deposito della fede, il sacro deposito affidato alla Chiesa. 

E qui apriamo una breve parentesi sul significato della Parola Tradizione per noi cristiani 

cattolici.6 

La Rivelazione non è qualcosa di  immediato e diretto: se così  fosse, si parlerebbe solo di 

Rivelazione.  Ma dal momento che Dio si è voluto rivelare in una storia e in un popolo, culminando 

in Gesù, la Rivelazione include la Tradizione e la trasmissione. 

Ogni  uomo  è  in  una  comunità,  vive  con  altri  uomini,  è  homo  socialis, ma  anche  homo 

culturalis, là dove cultura è qui costituita dal linguaggio, costumi, credenze, idee e abitudini di un 

popolo. Ogni individuo quindi riceve un’eredità per così dire sociale. 

La  tradizione  è  tipica  di  ogni  cultura:  alla  base  di  essa  c’è  l’esperienza  originaria  che  è 

l’evento  della  comunicazione  divina,  che  poi  si  estende  in  una  serie  di  elementi  qualificati  che 

fanno da tramite, una sorta di consegne dall’uno all’altro individuo. Le consegne avvengono in due 

forme: una viva, dinamica, l’altra scritta e più statica. 

In Israele la tradizione è un imperativo, nasce dal desiderio di tenere viva la memoria degli 

eventi della salvezza per poterli poi tramandare dall’uno all’altro. 

Per i cristiani c’è l’antica rivelazione d’Israele e la nuova e definitiva portata da Gesù Cristo. 

Gesù è un accusatore degli abusi della  tradizione degli antichi  (cfr. Mc 7,8‐9), ma non è nemico 

dell’autentica tradizione d’Israele, anzi la promuove. 

Eppure Gesù dà  inizio ad una “sua”  tradizione nuova col  suo  stesso agire e predicare: v. 

interpretazione  delle  Scritture:  “ma  io  vi  dico”  dice,  e  questo  indica  una  nuova  tradizione 

importante dal punto di vista canonico normativo. 

Ma esiste anche una tradizione apostolica su Gesù,  che è anch’essa canonico – normativa. 

L’evangelo di Gesù e l’evangelo su Gesù sono predicati e vissuti prima di essere scritti. 

6 Per queste osservazioni, cfr. ancora MANNUCCI, op. cit., 59ss.

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Le raccolte evangeliche fissano per  iscritto una tradizione già esistente che è  la tradizione 

di  Gesù  e  traducono  e  interpretano  tale  tradizione  in  base  alle  comunità,  ai  predicatori  e  al 

contesto (missionario, catechetico, liturgico, polemico ecc). 

La Tradizione  si distingue dalla  Scrittura perché non è  scritta.  La Tradizione della Chiesa 

apostolica ha come contenuto la dottrina, la vita e il culto della stessa Chiesa apostolica. 

Gli  apostoli  hanno  direttamente  da  Gesù  la missione  autoritativa.  Occorre  custodire  il 

deposito della fede (cfr. 1Tm 6,20) che è la tradizione apostolica. 

LA TRADIZIONE APOSTOLICA NON PUÒ PIÙ RICEVER ELEMENTI NUOVI. 

In  qualche  modo  si  può  dire  che  la  Rivelazione  è  chiusa.  Il  suo  sviluppo  consiste 

nell’esplicitare le virtualità racchiuse nel deposito apostolico. 

Gli  apostoli  sono,  in  senso  stretto,  soggetti  della  Tradizione.  I  loro  successori  sono  al 

servizio della Tradizione apostolica fino ad oggi. 

 

Ancora DV n. 10 

L’ufficio poi d’interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al 

solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo.   

La funzione di interpretare in modo autentico non è lasciata al singolo, è affidata in modo 

categorico  al  solo magistero  vivo  della  Chiesa. Attenzione:  il magistero  non  è  al  di  sopra  della 

parola di Dio, ma è al suo servizio: il testo in latino dice ministrat, cioè serve. 

Il magistero è al servizio della parola, insegnando ciò che è stato trasmesso, nella misura in 

cui "piamente ascolta, santamente custodisce, fedelmente espone quella parola".  Interpreta, non 

può  inventare,  non  può  ergersi  al  di  sopra  della  Parola.  Questa  resta  comunque  primaria,  il 

magistero la serve, è al servizio di essa, nel senso che dà voce alla parola, insegnando soltanto ciò 

che è stato trasmesso nella misura in cui ascolta, custodisce, fedelmente espone. 

Cosa deve fare il magistero per trasmettere la parola, per servire la parola? Deve ascoltare, 

custodire, esporre fedelmente. 

 

C) COME STUDIARE LA SCRITTURA 

 

Occorre  fare  il modo  che  la Bibbia  sia  scoperta nel  suo  autentico  valore, nel  suo  valore 

primario che continuamente la Dei Verbum sottolinea. 

 

10

DV 15 

Questi  libri, sebbene contengano cose  imperfette e  temporanee, dimostrano  tuttavia una 

vera pedagogia divina. 

Una  sottolineatura  importante  è  quella  sulla  vera  pedagogia  di  Dio,  sul modo  che  Dio 

sceglie per condurre  il suo popolo,  farlo crescere e  farlo maturare. Nei  libri della Scrittura c’è  la 

vera pedagogia di Dio, anche se insieme ci sono cose imperfette e temporanee, perché la Bibbia è 

linguaggio divino in linguaggio umano. L'abbiamo già visto:  Dio, per parlare all’uomo, si serve del 

linguaggio umano, quindi quest'ultimo  ha tutte le imperfezioni, tutti i limiti del linguaggio umano 

del tempo, del contesto, della storia, della situazione, dell’autore sacro ecc. ecc. 

Allora:  ci sono cose imperfette ma insieme c’è la vera pedagogia di Dio. 

Come  scegliere,  come  discernere,  tra  quella  che  è  la  vera  pedagogia  di  Dio  e  le  cose 

imperfette legate al tempo, al linguaggio umano? Non è facile. Lo studio è importante, proprio in 

questo senso. 

 

DV 12  

Troviamo un metodo di  lettura, un metodo che ci spiega come discernere  il  linguaggio di 

Dio e il linguaggio dell’uomo. 

Poiché Dio  nella  sacra  Scrittura  ha  parlato  per mezzo  di  uomini  e  alla maniera  umana, 

l’interprete della sacra Scrittura, per capire bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare 

con attenzione, che cosa gli agiografi abbiano inteso significare e a Dio è piaciuto manifestare con 

le loro parole. 

L’interprete  (l'esegeta,  il  biblista),  per  venire  a  conoscere  ciò  che  Dio  ha  voluto 

comunicarci, deve  cercare  con attenzione  che  cosa gli agiografi  (gli  scrittori  sacri) hanno  inteso 

indicare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. 

Qui la DV distingue accuratamente l’intenzione dell’agiografo e cosa Dio vuol comunicare7. 

 Per  ricavare  l’intenzione degli agiografi,  si deve  tener  conto  fra  l’altro anche dei “generi 

letterari”.  La  verità,  infatti,  viene  diversamente  proposta  ed  espressa nei  testi  in  varia maniera 

storici, o profetici, o poetici, o con altri modi di dire. 

7 Al proposito, dobbiamo ammettere serenamente che questa profonda istanza della DV è da accostare alle nuove conoscenze che le scienze bibliche hanno acquisito in seguito, al concetto di testo e del suo rapporto col lettore, alla teoria della comunicazione e del significato che essa riveste anche nell’ambito di un testo scritto, senza parlare poi dei metodi sincronici che, accanto a quelli diacronici, permettono un nuovo approccio col testo, tenendo conto della sua dinamica interna e del suo impianto. Tutto questo ci consiglia di leggere queste istanze della DV alla luce dell’altro più recente documento, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, che fin dall’inizio abbiamo tenuto presente nel nostro studio (v. Dispense, I parte).

11

Cioè  la  stessa verità,  lo  stesso messaggio può essere  letto  come un  racconto,  come una 

poesia, come una profezia: ogni genere  letterario, ogni modo, ogni abito di cui si veste un certo 

contenuto, ha  i suoi codici, però  la verità può essere  la stessa, anche se  il  testo profetico non è 

uguale al testo poetico o ad un oracolo. 

Anche nella  letteratura profana ci  sono queste differenziazioni: un poema o un  racconto 

storico  sono  generi  letterari  diversi,  ma  il  messaggio  di  verità  può  essere  trasmesso  proprio 

attraverso questi generi letterari diversi. 

E’ necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo intese di esprimere ed 

espresse  in determinate circostanze,  (la mediazione dell’agiografo è determinante per scoprire  il 

senso che  l’autore ha voluto dare a quel testo) secondo  la condizione del suo tempo e della sua 

cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso. 

E’ evidente che non si può pretendere che lo scrittore d’Isaia si esprima con il linguaggio di 

oggi, col genere  letterario di oggi:   a quel  tempo avevano  i  loro codici,  il    loro contesto storico, 

culturale, sociale ecc.. 

Occorre  fare  dunque  una  mediazione:  questo  vuol  dire  che  l’interprete,  lo  studioso, 

chiunque studia, anche ognuno di noi, deve fare lo sforzo di entrare in questa mentalità, scoprire, 

penetrare, attraverso la distanza dal testo e tentare di cogliere qual è il senso che l’autore sacro ha 

voluto dare e ciò Dio stesso ha voluto esprimere attraverso il linguaggio umano. 

Per  comprendere,  infatti, nel  loro  giusto  valore  ciò  che  l’autore  sacro  volle  asserire nello 

scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originari modi d’intendere, di esprimersi e 

di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che allora erano in uso nei rapporti umani.  

Qui noi dobbiamo distinguere due elementi: la DV parla di distinzione, tra due tipi d’attività 

interpretativa. 

La prima scopre il senso originario dei testi, ritorna, se è possibile e per quanto è possibile, 

all’intenzione originaria. 

La seconda fa  il passaggio successivo: distingue ciò che appartiene alla cultura del tempo e 

ciò che è pedagogia divina, vera pedagogia in  cose imperfette. 

In qualche modo c’è poi il passaggio successivo: è un ri‐attualizzare il senso originale: cioè si 

deve dire oggi, con il linguaggio d’oggi, quello che è stato detto 2000 anni fa, cercando di cogliere 

il senso originario, di distinguere ciò che è imperfetto ed effimero da ciò che è la pedagogia divina 

e ri ‐ dire, e quindi ri‐attualizzare, con il linguaggio d’oggi, quello che è il messaggio originale. 

12

Come raccontare  il messaggio di Dio alle generazioni d’oggi, a noi, alla civiltà occidentale, 

alla civiltà africana, come  incarnare  il messaggio: questo è  il grosso problema dell’inculturazione, 

di come lo stesso contenuto, che poi è sempre uguale,  va annunciata in modo diverso. 

Alla  luce  della  Dei  Verbum,  l’unico messaggio  che  è  dentro,  è  reinterpretato  alla  luce 

dell’oggi. Pensiamo a Luca 24 quando Gesù si accompagna ai due di Emmaus: i due non capivano, 

hanno assistito a tutto il mistero pasquale, erano discepoli, però si trovavano davanti al fallimento 

secondo  loro, oggettivo, della croce: “noi speravano che …. Però sono passati  tre giorni e non è 

successo niente” (parafrasi). 

Gesù fa coglier loro il cuore del messaggio, cioè la buona novella: “stolti e tardi di cuore a 

comprendere  il  senso  delle  scritture”,  ricominciando  dal  principio,  fa  ripercorrere  loro  tutta  la 

Scrittura, leggendola alla luce di Lui, di Gesù.  

La rilettura di Luca 24 è  il metodo con cui noi dobbiamo  leggere  la Scrittura, noi cristiani 

evidentemente, alla luce di Gesù Cristo, rivelatore e pienezza della storia della salvezza. 

E va letto tutto, non solo qualche frammento, anche perché per ogni brano nella scrittura 

vige questo principio:    la  scrittura  si  legge  con  la  scrittura, dicevano  i padri,  cioè  la  scrittura  è 

interprete di sé stessa. Come comprendo un brano? Alla luce di un altro brano. 

Come comprendo il mistero pasquale? Alla luce di tutta la Scrittura. 

La differenza tra noi e i nostri fratelli maggiori (come diceva Giovanni Paolo II), gli ebrei, è la 

seguente: noi condividiamo   con  loro tutta  la prima parte della Bibbia,  l’Antico Testamento, però 

lo leggiamo alla luce di Gesù Cristo. 

Ancora al n. 12:  

Però dovendo  la  sacra  Scrittura  esser  letta  e  interpretata  con  l’aiuto dello  stesso  Spirito 

mediante  il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza  il senso dei sacri testi, si deve badare 

con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta  la Scrittura,  , tenuto debito conto della 

viva Tradizione di  tutta  la Chiesa e dell’analogia della  fede. E’  compito degli esegeti  contribuire 

secondo queste norme alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della sacra Scrittura, 

fornendo i dati previi, dai quali si maturi il giudizio della Chiesa. 

Noi studiamo  la Scrittura per compiere questi passaggi. Questo è  il contesto generale che 

va bene per ogni brano, per ogni lettura, per ogni studio. 

 

 

 

13

ALCUNE CONCLUSIONI SUL concetto di   RIVELAZIONE8 (DI PALMA, 26 ss)  

La prospettiva del Vaticano  II  in realtà non nega quella del Vaticano  I,  lo svelamento e  la 

partecipazione  alla  conoscenza,  ma  aggiunge  altre  dimensioni  (linguaggio  dell’amore  e 

dell’amicizia, funzione appellativa della Parola, ecc. ). 

“Con  la  sua  Parola,  Dio  racconta  chi  è  l’uomo…    e    l’uomo  inizia  il  processo  di 

autocomprensione”. Per  l’uomo è  importante ascoltare  la Parola perché attraverso di essa  inizia 

un processo di miglioramento di sé stesso. 

Nella Parola Dio si rivela e si esprime, offrendo agli uomini amicizia, presenza, familiarità. 

Inizia quello che possiamo chiamare il processo della comunione con Dio. 

Gesù Cristo,  il Verbo  incarnato,   è dunque pienezza del processo di  rivelazione    (cfr. 1Gv 

1,1). 

Ad una rivelazione così attenta e completa di Dio deve corrispondere un’adeguata risposta 

da  parte  dell’uomo  (DV  n.  5:  l’obbedienza  della  fede).Ecco  perché  la  Scrittura  insiste  tanto 

sull’ASCOLTO (Dt 6, 4).  

La  Rivelazione  va  accolta  e  sempre  più  compresa  (DV  n.  5)  e  ciò  avviene  soprattutto 

nell’ambito della TRADITIO (Dv N. 8) 

La  tradizione non è alternativa alla Scrittura, ma unita ad essa  (DV n. 9). Però mentre  la 

Scrittura  è  parola  di  Dio  nata  sotto  ispirazione  dello  Spirito  Santo,  la  tradizione  trasmette 

integralmente  la  Parola  di Dio    affidata  da  Cristo  agli  apostoli  e  ai  loro  successori    affinche  la 

conservino, la espongano e la diffondano. 

Tra  le  due:  scambio  reciproco  per  costruire  la  verità.  La  tradizione  ha  il  compito  di  far 

crescere l’intelligenza della Rivelazione. Entrambe costituiscono la Rivelazione che ha un carattere 

di  “duplice  temporalità”:  l’autorivelazione  divina,  fissata  nelle  Scritture  e  culminata  in Cristo,  è 

passata    e  conclusa  con  l’epoca  apostolica;  questa  autorivelazione  che  è  un  evento  vivo  si 

attualizza nella tradizione, dicentando contemporane a e presente. 

In  realtà,  quindi  la  cosiddetta  teoria  delle  due  fonti  post  tridentina,  secondo  la  quale 

Scrittura e Tradizione sarebbero due sorgenti della rivelazione, non regge più. 

Il Vaticano  II  parla  di  una  stessa  origine  divina  da  cui  scaturiscono  entrambe  (DV  7).  In 

questo contesto di  trasmissione dinamica svolge  il suo  ruolo  il Magistero che si pone al servizio 

della Rivelazione (DV 10).  

8 G. Di Palma, Parola di Dio in Parole umane. Manuale di Introduzione alla Sacra Scrittura, Edizioni Messaggero Padova, 2007.

14

Diciamo infine che, “se al magistero competono determinati compiti, non si può sottacere 

che  il deposito della fede è stato affidato all’intera chiesa, al popolo cristiano unitamente ai suoi 

pastori,  in  quanto  anche  i  fedeli  sono  responsabili  nel  tenere  salda  la  fede,  nel  praticarla  e 

professarla, in una singolarità di spirito con i vescovi (DV 10, primo capoverso)” (p. 31). 

 

 

 La Bibbia: panorama storico della sua formazione9 

Sintesi ad uso degli studenti   

Ogni tradizione religiosa è sempre un intreccio di due versioni, una scritta e una orale, del 

patrimonio di un determinato popolo. Un popolo prima vive, poi scrive la sua storia. I libri sono la 

memoria privilegiata dei popoli. Per  Israele  la Bibbia non è  solo  la memoria della  sua  storia,  è 

anche Parola di Dio. 

Per  i musulmani  la Rivelazione è concepita come caduta dal cielo, per  i giudeo cristiani  la 

Bibbia non è dettata da nessun angelo ma scritta da diverse decine di Autori nell’arco di 10 secoli. 

Per questo, e non solo per questo,  la storia della formazione letteraria dei libri dell’Antico 

e del Nuovo Testamento è difficile. 

Il  nostro  obiettivo  è  capire  il  nesso  fra  il  divenire  di  una  storia,  l’evoluzione  della  sua 

comprensione e il divenire di una memoria prima orale, poi scritta. 

Questo schema ci fa comprendere anche la formazione del Canone delle Scritture 

 

ANTICO TESTAMENTO10 

Tutto  comincia  con  Abramo:  egli,  chiamato  dalla  voce  di  Dio,  va  dalla Mesopotamia  a 

Canaan. Siamo nel secolo XIX o XVIII a. C. Qui in Genesi si ha la lettura di fede di una chiamata. Qui 

, come  in altri racconti ciclici di Genesi, si odono gli echi dei racconti dei patriarchi come   erano 

fatti, alla sera, vicino alla tenda, per mettere in comune le avventure vissute da ciascuno. 

 Così nascono i racconti dei patriarchi. La tradizione orale è la prima tappa della formazione 

dell’Antico Testamento. 

E  si  susseguono  i  patriarchi:  Giacobbe,  Giuseppe  venduto  dai  suoi  fratelli  e  portato  in 

Egitto: siamo circa nel 1720 – 1552 a. C. , durante la dinastia degli Hyxos, di origine semitica.  9 Per questa parte cfr. ancora MANNUCCI, op. cit., 67ss. Questa sintesi dovrebbe fornire una traccia di lettura per la dispensa n. 2 dal titolo La formazione della Bibbia a cura di ANTONIO PINNA. 10 Integrare questa parte con alcune nozioni di carattere storico geografico

15

Poi grande silenzio, come talvolta accade nella storia, per secoli, fino al secolo XIII  in cui  i 

nuovi faraoni, non più di origine semitica, condannano gli Ebrei alla schiavitù. E’ allora  la volta di 

Mosè che guida il popolo nell’esodo. Siamo circa nel 1250. 

Qui  la sofferenza degli Ebrei è ascoltata da Dio passo dopo passo: e Mosè sarà appunto  il 

frutto di questo ascolto, colui che guiderà  il popolo nel difficile cammino verso  la  libertà.  Israele 

dovrà attraversare il deserto per diventare il popolo di Dio e arrivare alla terra della promessa, la 

Palestina. 

Sul Sinai Dio concluderà con Israele un patto di alleanza il cui documento scritto sarà poi la 

base di tutta la Torà. Mosè non riuscirà ad entrare nella Terra Promessa, Giosuè, che ne raccoglie 

l’eredità,  conquista  Canaan  (1220  –  1200  circa)    e  il  popolo  vi  si  insedia  e  diviene  da  nomade 

sedentario.  

Nel 1030 si ha la nascita della monarchia : Saul è il primo re, poi Davide, poi Salomone. Alla 

fine del regno di quest’ultimo, Israele nel 931 si divide nei due regni: quello del nord, Israele, con 

capitale Samaria, quello del sud, Giuda,  con capitale Gerusalemme. 

Sui  due  tronconi  di  Israele  vegliavano  uomini  saggi:  i  profeti    che  in  questo  periodo 

cominciano  a  far  sentire  la  loro  voce,  quando  il  popolo  comincia  ad  allontanarsi  da  Dio  e  a 

dimenticare l’alleanza: essi sono le sentinelle che richiamano Israele all’osservanza del patto. 

Essi si dividono  in due categorie:  i profeti non scrittori, Elia ed Eliseo al nord  (1 e 2 Re) e 

quelli scrittori: al nord  Amos e Osea, a sud Isaia e Geremia (i maggiori), Michea, Sofonia ecc., due 

dei minori. 

Nel 931 si ha la divisione dei due regni, nel 721 la caduta di Samaria e del Regno del nord 

ad opera degli Assiro Babilonesi, nel 587 quella di Giuda e Gerusalemme ad opera degli stessi e il 

conseguente esilio in Babilonia con la deportazione degli ebrei. 

I profeti di questo periodo, i cosiddetti profeti esilici, sono Ezechiele, e il Deuteroisaia 

L’esilio babilonese (587 – 538), tempo di massima sofferenza e prova per Isrele, di nuovo 

lontano dalla Terra della promessa,  finisce con  l’editto di Ciro nel 538: esso comporta  il  ritorno 

degli esiliati nella loro terra. 

In  questo  periodo  gli  elementi  determinanti  saranno:  l’ebbrezza  del  ritorno,  che 

permetterà  la  ricostruzione  del  Tempio,  la  nascita  del  giudaismo  vero  e  proprio,  su  altre  basi 

rispetto a quelle puramente politiche. 

Figure di spicco di questo periodo: Neemia ed Esdra, poi  i profeti Aggeo, Zaccaria, Gioele, 

Malachia… 

16

Questo  è  il  periodo  in  cui  la  maggior  parte  dei  libri  dell’Antico  Testamento  riceve  la 

definitiva  redazione: attorno al  libro  sacro  si vuole costruire ancora  la comunità del popolo che 

ama Jahvè.  

Dopo  l’esilio  si  sviluppa anche  la  letteratura  sapienziale: Salmi, Proverbi, Giobbe, Qoelet, 

Siracide ecc. 

Col tramonto del regno persiano, si apre il periodo ellenistico e la persecusione di Antioco 

IV Epifane (167 – 135 a. C.). E’ questo il periodo di 1 e 2 Maccabei e della letteratura apocalittica. 

In questo periodo in Israele mancherà la profezia, Amos l’aveva profetizzato (Amos 8,12), e 

oa Israele si lamenta di questo. 

 

NUOVO TESTAMENTO 

Dopo un  lungo  silenzio,  “La Parola di Dio  scese  su Giovanni Battista”  (Lc 3,2).  Lui  sarà  il 

nuovo profeta, a cavallo tra Antico e Nuovo Testamento, che riapre  il tempo della Rivelazione di 

Dio. 

Il Precursore è Voce di Colui  che  sarà  la Parola per eccellenza: Gesù di Nazaret.   Egli,  il 

nuovo Maestro  di  Nazaret,  ricevuto  il  battesimo  di  Giovanni,  inizia  il  suo ministero  di Messia 

Salvatore in mezzo agli uomini.  

L’uomo, la Parola, gli eventi, il mistero pasquale: tutto questo narrano i vangeli su Gesù. Poi 

sarà  la  Chiesa  a  raccogliere  l’eredità  del  Cristo,  a  continuare  nella  storia  la  sua mediazione  di 

salvezza.  

La diffusione del vangelo sarà soprattutto ad opera di Paolo di Tarso, ma tutti gli  Apostoli  

diffonderanno  il messaggio pasquale prima a  livello orale, poi  inizieranno a scrivere  i vangeli che 

non tarderanno ad apparire. 

I primi scritti  cristiani sono quelli paolini: Paolo indirizza delle lettere alle comunità da lui 

fondate. Così i primi scritti sono la Prima e la Seconda lettera ai Tessalonicesi, la Prima e Seconda 

ai Corinzi, Filippesi, Galati e Romani. 

Negli anni 61 – 63 Paolo è prigioniero a Roma. Di questi anni sono le lettere della prigionia, 

Colossesi, Efesini, Filemone. 

La Lettere pastorali  (1 e 2 a Timoteo, Tito)  risalgono  invece agli anni 63 – 67,  se queste 

lettere sono di Paolo. 

La  Lettera  agli  Ebrei,    sicuramente  non  di  Paolo,  probabilmente  di  un  suo  discepolo,  è 

invece di prima del 70. 

17

I Vangeli sinottici sono invece del periodo dal 65 all’80 d. C. Sono Matteo, Marco e Luca. 

Si  chiamano  così  perché  hanno  una  comune  tradizione  e  una  singolare  convergenza. 

L’ultimo vangelo ad essere scritto è quello di Giovanni. 

Marco,  il più antico, è  il vangelo del catecumeno, del cristiano che arriva dal paganesimo. 

Narra di Gesù Cristo figlio di Dio: v. Mc 1,1: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” che è 

anche il titolo del vangelo 

Matteo  è  il  vangelo  dei  giudeo‐cristiani.  Qui  Gesù  è  presentato  come  il  Messia 

preannunciato dalle scritture. E’ l’Emanuele. 

Luca è l’Autore di un dittico che è formato dal vangelo che porta il suo nome e dagli Atti. Il 

vangelo  si occupa del  tempo di Gesù, gli Atti  si occupano del  tempo della Chiesa. Gesù qui è  il 

Salvatore degli uomini, il misericordioso. 

Le  lettere cattoliche  (cioè universali, destinate ai  cristiani  in genere)    sono un gruppo di 

scritti apostolici, raggruppati sotto questo nome dopo il IV secolo: Giacomo, Giuda, 1 e 2 Lettera di 

Pietro, 1, 2 e 3 di Giovanni). 

Giovanni e l’Apocalisse: sono dello stesso autore. 

Giovanni è il Vangelo più maturo, della fine del I secolo d. C. Esso si indirizza soprattutto ai 

non credenti chiamandoli in gioco e chiedendo loro di entrare nel messaggio di Cristo. 

L’Apocalisse è un libro profetico, scritto in linguaggio simbolico e misterioso che risveglia la 

coscienza ecclesiale che rischia di addormentarsi sotto la persecuzione di Domiziano. Il testo vuole 

sfuggire alla censura. Il messaggio è che la Chiesa è chiamata alla conversione e alla purificazione. 

Così si chiude il Nuovo Testamento. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ALCUNE PRECISAZIONI SPARSE (Mannucci, p. 81) 

La Bibbia non è caduta dal cielo. E’ la memoria scitta dell’Antico e del Nuovo 

Israele. Anche il non credente può vedere la Bibbia come una fonte letteraria per la storia 

della civiltà e delle religioni. 

Essa non è un unico libro, ma una biblioteca di libri diversi anche tra loro. 

La Bibbia parla tre lingue: ebraico, greco e aramaico. 

In ebraico è scritto quasi tutto l’AT, tranne alcune sezioni in aramaico. 

In greco è scritto tutto il NT. 

Perché  è  tanto  importante  la  lingua?  Essa  non  è  solo  un  sistema 

convenzionale  di  segni,  ma  anche  modello  interpretativo  di  cultura  di  elaborazione  d 

espressione del reale. Quindi lingue diverse rappresentano modi diversi di vivere.11 

 

I GENERI LETTERARI 

Questo  è  un  concetto  elaborato  dalla moderna  scienza  biblica    (GUNKEL,  1862  –  1932, 

professore di AT). 

I generi letterari sono le varie forme o modi di scrivere usate comunemente tra gli uomini 

di una data epoca e regione e poste in relazione con certi contenuti. C’è un forte legame tra forma 

letteraria, contenuto da esprimere e situazione vitale che fa da sfondo ad entrambi. 

Es: salmi, Genesi, gli stessi vangeli ecc. 

E nei vangeli il genere letterario dei miracoli, delle parabole … 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

11 Cfr. Dispense I parte

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CANONE delle SCRITTURE (v. ancora MANNUCCI) 

La parola canone ha due significati. 

1) indica metro, norma, regola; ma anche 

2) elenco normativo di libri ispirati. 

 Nel primo significato è la regola della tradizione, la regola della fede. Questo fu valido fino 

al III secolo e senza riferimenti alla Sacra Scrittura. 

A  cominciare  dal  IV  secolo,  entra  in  vigore  il  secondo  significato.  E’  determinante  il 

concetto di norma dei libri ispirati, cioè il contenuto dei libri ispirati è norma della verità cristiana. 

I libri ispirati sono quelli scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo e sono detti canonici, 

cioè riconosciuti tali dalla Chiesa e proposti al credente come norma di fede. 

Dopo Trento si usò la terminologia PROTOCANONICI  per indicare i primi libri, entrati senza 

discussione e DEUTEROCANONICI per indicare quelli entrati dopo e i più discussi. 

I deuterocanonici sono 7 per l’Antico e 7 per il Nuovo Testamento. 

Quelli del NT sono: Ebrei, Giacomo, Seconda di Pietro, seconda e terza di Giovanni, Giuda, 

Apocalisse. 

Il canone ebraico esclude i deuterocanonici veterotestamentari (come Tobia, Giuditta, 1 e 2 

Maccabei ecc.).  I protestanti  adottano  il  canone ebraico e  chiamano  apocrifi  i deuterocanonici, 

rifiutando nel NT Giacomo, Giuda, Ebrei e Apocalisse. 

Attraverso un  lungo processo  si è  formato un  lungo elenco di  libri  sacri e canonici  : due 

sono i criteri che determianao la scelta: 

1. L’origine apostolica, reale o apparente, di un libro (il criterio apostolico) 

2. La conformità di uno scritto con la “regola della fede”, cioè il pensiero degli 

Apostoli fondatori. 

Il Concilio di Trento ne dà una solenne definizione;  li definisce “sacri e canonici  interi con 

tutte le loro parti”. 

Il Concilio Vaticano I ribadisce il concetto di Trento, ma aggiunge un paragrafo riguardante 

la canonicità: essa, dice,   è un riconoscimento magisteriale, da parte della Chiesa, dell’ispirazione 

dei libri sacri. 

Il Concilio Vaticano  II  (DV  n.  11)  aggiunge:  “è  la  stessa  Tradizione  che  fa  conoscere  alla 

Chiesa l’intero canone dei libri sacri”. 

20

Occorre  anche  dire  che  i  quattro  vengeli  non  esauriscono  tutta  la  Tradizione:  su  Gesù 

converge una  ricca  tradizione orale e anche altre  raccolte portano  il nome di vangeli  (quello di 

Pietro, quello di Tommaso ecc.). 

                                           

21

 Cos’è la critica testuale (appunti) 

 

“E’  quella  disciplina  che  cerca  di  ricostruire  e  chiarire  la  condizione  originale  del  testo 

biblico e  la  sua  storia  fino ad oggi”  (P. G. MÜLLER, Lessico della  scienza biblica, Ed. Queriniana, 

Brescia 1990). 

Non  possediamo  l’originale  di  nessuna  opera  letteraria  classica.    Anche  per  la  Bibbia  è 

valido lo stesso principio: i testi autografi sono andati  perduti. Anzi, per la Bibbia questo principio 

è  vero  in  particolare,    perché  nessun  testo  antico  fu mai  trascritto  e  tradotto  come  la  Bibbia. 

Quindi tanto più difficile è riconoscere in queste condizioni è il testo originale. 

Occorre considerare anche le condizioni dell’editoria prima della invenzione della scrittura  

(dalle tavolette d’argilla alle pergamene, ai blocchi di pietra fino al papiro) . 

Se anche la Bibbia, come tutti i testi antichi, è nata in queste condizioni, non fatichiamo a 

capire perché di essa gli originali sono andati perduti. Non avremo mai il testo originale così com’è 

uscito dalle mani dell’Autore. Questa è una pura utopia! 

Tra  l’altro,  i papiri, oltre  alle pergamene,  si  rovinavano presto  e occorreva  riscriverli.  Le 

trascrizioni erano quindi molto  frequenti e questo  comportava errori di  copiatura, ecco perché 

allora la presenza di errori fin dai più antichi testimoni del testo biblico. La tradizione manoscritta 

era piuttosto accidentata. 

Il TEXTUS RECEPTUS  è un testo convenzionale non attendibile, universalmente accolto. 

Per  condurre  un’esegesi  seria,  occorre un’edizione  critica  che  deve  rendere  conto  della 

storia  manoscitta.  I  testi  commentati  hanno  un  apparato  cristico,  ma  possono  non  essere 

un’edizione critica, se non hanno tutte le varianti dei manoscritti. 

L’apparato critico può essere negativo se riporta le varianti essenziali, le più significative, e 

positivo, se riporta anche le varianti accessorie, quelle poco significative. 

Le edizioni critiche più famose sono:  

 Per  l’Antico Testamento  il KITTEL – KAHLE  con due apparati  critici,  la BIBLIA HEBRAICA  

STUTTGARTENSIA, con un solo apparato critico, completamente rinnovato. 

Per il Nuovo Testamento: il NESTLE – ALAND dà le varianti principali, il MERK che ha testo 

critico e varianti principali, il GNT (Greek New Textament) offre alcune varianti principali, oltre un 

testo frutto della discussione del Comitato incaricato di redigerlo. 

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Nessun originale, quindi, ma testimoni del testo.   Questi sono frammenti di testo giunti a 

noi attraverso le innumerevoli trascrizioni durante le quali il testo stesso ha subito errori, revisioni 

e trasformazioni. 

I testimoni del testo sono di diversa natura: sono diretti se riportano il testo per sé stesso: 

o per intero o per sezioni o per brani molto ridotti. 

Sono invece testimoni indiretti    quelli che risproducono brani del testo dentro altre opere 

letterarie. Vedi, per esempio, le citazioni dei Padri. 

Tra i testimoni diretti annoveriamo i papiri, i manoscritti maiuscoli, i manoscritti minuscoli, 

i lezionari. 

I papiri sono difficili da leggere  e decodificare, occorre uno sguardo allenato. I manoscritti 

maiuscoli o unciali sono di tre tipi: l’ALEXANDRINUS, IL VATICANUS, IL SINAITICUS.  

 I manoscritti minuscoli  sono moltissimi  e  più  recenti,  anch’essi  di  difficile  lettura. Ma 

RECENTIORE NON DETERIORES! 

I  lezionari  sono pericopi usate per  la  liturgia. Sono  in genere poco attendibili   per  i  tagli  

fatti al testo ad opera del liturgista. 

Per la tradizione indiretta abbiamo due fonti: le antiche versioni e le citazioni patristiche. 

Le antiche versioni sono più antiche delle testimonianze dirette. Sono  la VETUS LATINA o 

meglio  le  VETERES  LATINAE  (ogni  Chiesa  aveva  la  sua),  la  VOLGATA  (traduzione  dell’Antico 

Testamento rivista da San Girolamo), la PESHITTA (versione siriaca) ecc. 

Le  citazioni  patristiche  sono  poi  da  utilizzare  con  cautela  (poco  attendibili  perché  quasi 

sempre fatte a memoria, senza possibilità di riscontro!). 

 

 

Cenni di critica testuale: I PRINCIPI12  

 

Il significato e il valore di essa nel Discorso di Pio XII nella Divino Afflante Spiritu, 1943 (leggi 

dal Mannucci, 108:  

“Oggi però questa tecnica, chiamata “critica testuale”e che viene applicata con grande lode 

e  frutto nel pubblicare  libri profani,  si  esercita a pieno diritto anche  sui  libri  sacri per  la  stessa 

riverenza dovuta alla parola divina. Essa infatti per sua natura ripristina, per quanto è possibile, il 

testo  sacro  in  modo  perfettissimo,  lo  purifica  dagli  errori  introdotti  dalla  debolezza  degli 

12 Cfr. Valerio Mannucci, op.cit, 108ss.

23

amanuensi e  lo  libera secondo  la propria possibilità dalle glosse e dalle  lacune, dalle  inversioni di 

termini e dalle  ripetizioni e da  tutti gli altri generi di errori che di  solito  si  insinuano negli scritti 

tramandati per molti secoli […]. E non è nemmeno il caso di ricordare a questo punto […] quanto la 

Chiesa abbia tenuto in considerazione questi studi di tecnica critica dai primi secoli fino alla nostra 

era.  E  tutti  sappiamo  bene  che  questo  lungo  lavoro    non  solo  è  necessario  per  comprendere 

rettamente gli scritti dati dall’ispirazione divina, ma è postulato anche e fortemente da quella pietà 

divina  con  la  quale  per  la  sua  somma  provvidenza Dio  ha  inviato  questi  libri  come  una  lettera 

paterna dalla sede della sua divina maestà ai suoi figli” . 

Il testo che noi abbiamo oggi è il risultato della ricostruzione operata pazientemente dagli 

scienziati, attraverso un lungo lasso di tempo. 

Il primo sforzo della critica testuale è quello di confrontare tra loro i testimoni, classificarli 

per ricostruire il processo di trasmissione e trascrizione del testo. Quindi concretamente l’edizione 

critica deve  confrontare quanto più  codici possibile.  La COLLATIO è  la  raccolta e  il  confronto di 

questi vari manoscritti. 

Il  secondo lavoro è quello di ricostruire il testo il più vicino all’originale. La RECENSIONE è 

il vaglio critico delle varianti. 

In base alle diverse varianti, lacune ed errori, si può delineare la storia e la genesi del testo. 

La  COLLATIO  si  fa  sugli  ERRORI:  proprio  gli  errori  possono  essere  di  vario  tipo 

(immaginiamo la trascrizione dei codici): 

glosse e interpolazioni (da note marginali, da lezionari, da altri testi liturgici) 

aplografia (sillabe uguali abolite per semplificare) 

dittografia (il contrario, sillabe simili raddoppiate) 

false separazioni di parole (non dimentichiamo che era allora usata la SCRIPTIO CONTINUA) 

omissioni  

problemi in interpunzione 

consapevole  intervento del copista o per correggere errori di ortografia e grammatica, o 

per aggiungere, completare, chiarire) 

errori di udito e memoria ecc. 

 

Possiamo dire quindi  che  la  critica  testuale, più  che una  scienza, è un’arte: ogni  caso va 

attentamente considerato ed esaminato, con tutti  i criteri possibili. Un’arte comunque a servizio 

della fede, per chi crede nella Bibbia come Parola di Dio. 

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Quali sono i criteri per la scelta tra le diverse varianti? 

Si parla di principi di carattere esterno al testo e altri di carattere interno. 

PROVE ESTERNE 

Si  riferiscono al valore dei  testimoni e si possono  riassumere  in questo modo:  le varianti 

sono probabilmente nel testo originale se 

Sono attestate da più codici 

Ricorrono in manoscritti antichi e attendibili come il Vaticanus. Quanto più antico è il 

manoscritto, tanto migliore è la qualità 

Sono attestate in manoscritti tra loro indipendenti dal punto di vista genealogico. 

Qui occorre aprire una parentesi: oggi uno dei problemi più urgenti della critica testuale è 

stabilire i rapporti di parentela tra i codici, fissando uno STEMMA CODICUM, o albero genealogico 

dei  codici  che  al  vertice  ha  l’ARCHETIPO  (codice  originale  che  non  possediamo  più ma  che  è 

all’origine di tutta la tradizione manoscritta). Soprattutto dal XIX secolo, gli studiosi si sono accorti 

che è possibile raggruppare i codici in famiglie, in base alle loro varianti. 

Si sono  individuati   tre o quattro gruppi di famiglie di codici, note agli studiosi, e preziose 

per ricondurre ogni codice ad un certo ceppo. 

 PROVE INTERNE 

Nascono da un confronto tra  le varianti e  il modo  in cui  i testi sono statio trasmessi. Ci si 

chiede: cosa hanno probabilmente fatto i copisti dinanzi al testo? Le varianti sono probabilmente 

nel testo originale se: 

Contengono la lezione più difficile ( LECTIO DIFFICILIOR POTIOR). Il testo va verso la 

semplificazione. 

Contengono la lezione più breve (LECTIO BREVIOR POTIOR). Il testo va verso 

l’ampliamento. 

Corrispondono meglio alle idee e allo stile dell’Autore (USUS SCRIBENDI) 

Tra due lezioni, una si è trasformata nell’altra o viceversa (UTRUM IN ALTERUM ABITURUM  

ERAT?) 

La lezione è discordante dai passi paralleli . Non traspare alcun influsso di passi paralleli. Il 

testo va verso l’armonizzazione del testo coi passi paralleli. 

 Per ulteriori approfondimenti su questi argomenti, rimando al sito www.christianismus.it e 

in  particolare  CLEMENTINA  MAZZUCCO,  La  critica  testuale  e  l’edizione  critica  del  Nuovo 

Testamento.