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Foglio di collegamento delle Suore di San Giuseppe di Pinerolo Via Principi d’Acaja, 82 – Pinerolo – 0121.32.26.08 www.suoresangiuseppepinerolo.it Grafica: Silvia Aimar – Stampa in proprio Correvano, correvano... Ansimanti e tremanti i due discepoli raggiunsero il sepolcro, ne varcarono la soglia e d’un tratto le parole tante volte udite da Gesù erano diventate realtà dinanzi ai loro occhi intrisi di lacrime di gioia e di sofferenza. Alla vista delle bende per terra e del sudario la commozione rapì il loro cuore a tal punto che tra i due scese un silenzio denso di stupore che rasentava l’incredulità. Esultanza e diffidenza, emozione ed esitazione si rincorrevano nei meandri dei loro cuori nei quali cominciava ad echeggiare con insistenza quella di- chiarazione risoluta cha avevano fa- ticato ad accettare quando l’Amico e Maestro era ancora in mezzo a loro: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire mol- to, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno». Si sentirono piegare le ginocchia di fronte al mistero che sovrastava tutto il loro essere e, prendendo tra le mani le bende ruvide, pareva loro di acca- rezzare il corpo deformato di Cristo. Ma quel corpo non c’era più! Diventa- va sempre più evidente alla loro mente e al loro cuore che la scena struggente della passione e della morte di Gesù era stata trasfigurata dal miracolo stra- biliante che Dio aveva compiuto per manifestare «ad ogni uomo, popolo e nazione» la potenza della vita sulla morte, la vittoria del bene sul male, la forza dell’amore che sa rimarginare le piaghe interiori e ricomporre nel- la pace amari frammenti disseminati nella storia delle persone e dell’uma- nità intera. Affiorava imponente sulle loro labbra quella parola che avrebbe segnato in modo indelebile l’esistenza dell’uo- mo in cerca di verità e di felicità: ri- surrezione, vera Pasqua del Signore! Ripartirono dunque con una gioia incontenibile per testimoniare l’avve- nimento che può cambiare, rendere bella e nuova la vita, per annunciare la reale speranza che dissolve la paura del dolore e della morte, per proclamare con audacia e tenacia: «Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto!». Continuano a correre i due discepo- li lungo le strade che attraversano le vicende umane e l’esistenza di ogni persona, capolavoro dell’Amore. Cor- rono anche per te, per farti gustare la bellezza della Pasqua, perché tu pos- sa respirare a pieni polmoni la brezza della risurrezione, vera libertà nel tuo presente, profonda realtà che apre alla fiducia il tuo futuro! Buona Pasqua a tutti voi! Una corsa senza tempo di DON MASSIMO LOVERA n° 7 / 2012 - Aprile Foglio di collegamento delle Suore di San Giuseppe di Pinerolo W rizzonti di speranza sommario 2 Carisma 4 Pastorale Giovanile e voczionale 7 Laici P.D. 10 Sfida educativa 17 Missionari digitali 18 Giustizia e Pace 20 Missio-news 22 Notizie di famiglia

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Foglio di collegamento delle Suore di San Giuseppe di PineroloVia Principi d’Acaja, 82 – Pinerolo – 0121.32.26.08www.suoresangiuseppepinerolo.itGrafica: Silvia Aimar – Stampa in proprio

Correvano, correvano... Ansimanti e tremanti i due discepoli raggiunsero il sepolcro, ne varcarono la soglia e d’un tratto le parole tante volte udite da Gesù erano diventate realtà dinanzi ai loro occhi intrisi di lacrime di gioia e di sofferenza. Alla vista delle bende per terra e del sudario la commozione rapì il loro cuore a tal punto che tra i due scese un silenzio denso di stupore che rasentava l’incredulità. Esultanza e diffidenza, emozione ed esitazione si rincorrevano nei meandri dei loro cuori nei quali cominciava ad echeggiare con insistenza quella di-chiarazione risoluta cha avevano fa-ticato ad accettare quando l’Amico e Maestro era ancora in mezzo a loro: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire mol-to, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno». Si sentirono piegare le ginocchia di fronte al mistero che sovrastava tutto il loro essere e, prendendo tra le mani le bende ruvide, pareva loro di acca-rezzare il corpo deformato di Cristo. Ma quel corpo non c’era più! Diventa-va sempre più evidente alla loro mente e al loro cuore che la scena struggente della passione e della morte di Gesù era stata trasfigurata dal miracolo stra-biliante che Dio aveva compiuto per

manifestare «ad ogni uomo, popolo e nazione» la potenza della vita sulla morte, la vittoria del bene sul male, la forza dell’amore che sa rimarginare le piaghe interiori e ricomporre nel-la pace amari frammenti disseminati nella storia delle persone e dell’uma-nità intera. Affiorava imponente sulle loro labbra quella parola che avrebbe segnato in modo indelebile l’esistenza dell’uo-mo in cerca di verità e di felicità: ri-surrezione, vera Pasqua del Signore! Ripartirono dunque con una gioia incontenibile per testimoniare l’avve-nimento che può cambiare, rendere bella e nuova la vita, per annunciare la reale speranza che dissolve la paura del dolore e della morte, per proclamare con audacia e tenacia: «Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto!». Continuano a correre i due discepo-li lungo le strade che attraversano le vicende umane e l’esistenza di ogni persona, capolavoro dell’Amore. Cor-rono anche per te, per farti gustare la bellezza della Pasqua, perché tu pos-sa respirare a pieni polmoni la brezza della risurrezione, vera libertà nel tuo presente, profonda realtà che apre alla fiducia il tuo futuro!Buona Pasqua a tutti voi!

Una corsasenza tempo

di don MassiMo Lovera

n° 7 / 2012 - Apr i l eF o g l i o d i c o l l e g amen t o d e l l e Suo r e d i San G i u s epp e d i P i n e r o l o

Wr i z z on t idi speranza

sommar io

2 Carisma

4Pastorale Giovanilee voczionale

7 Laici P.D.

10Sfida educativa

17 Missionari digitali

18Giustizia e Pace

20 Missio-news

22Notizie di famiglia

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2 Carisma

sentimenti e i pensieri del cuore”: come sono io davanti agli occhi di Dio? Qual è il mio stato davanti all’eternità? Il cuore ci suggerisce il valore delle cose

in funzione della vita. Il cuore assicura le verità della fede. «In questo conosceremo che siamo dal-la verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore[...]. Carissimi, se il nostro

cuore non ci rimprovera nulla, abbia-

mo fiducia in Dio» (1 Gv 3,19-22). I credenti non sono in grado di prova-re la loro fede in Cristo con argomenti di ragione, ma il sentimento del cuore dà loro la certezza di essere sulla giusta strada della salvezza: «Chi crede nel Fi-glio di Dio, ha questa testimonianza in sé» (1Gv 5, 10).

Il cuore puro ci fa anche conoscere gli

altri. Dio ci ha creati perché ci cono-sciamo a vicenda; per chi giunge alla purezza di cuore, i cuori degli altri sono

Con il termine “cuore” vogliamo indi-care tutta la vita interiore dell’uomo. L’uomo, infatti, nel suo cuore riflette, decide, reagisce di nascosto.Quando la Bibbia dice che dobbiamo amare Dio «con tutto il cuore» ciò si-gnifica «con tutta l’anima, con tutta la

mente, con tutta la forza».

Riflessioni spirituali con padre Médaille e Teresa d’Avila

Ritorno al cuoredi suor CLaudia FrenCia

«Abbiateper Dio un

amore grande...che occupi

il centro del vostro cuore»

J. P. Médaille

Carisma

Padre Médaille spiega il contenuto della Scrittura (della «Legge» come la chiama lui), aggiungendovi anche l’amore per le creature e per tutto ciò che è umano (arte, bellezza, scienza, storia...): «Ab-

biate per Dio un amore grande, che

abbracci tutta la capacità dell’amore e

tutto quello che un cuore può amare

in Dio e per Dio». È davvero un cuore a 360 gradi!

Come possiamo renderci conto

dello stato del cuore?Il cuore resta un mistero, è la parte na-scosta dell’uomo, quella che Dio solo conosce, perché Lui «è più grande del

nostro cuore e conosce ogni cosa»

(1Gv 3,20). Ma anche l’uomo deve imparare a co-noscere se stesso, e può farlo, perché l’anima è presente a se stessa e l’uomo, a seconda del grado della propria in-nocenza, della limpidezza interiore, ha un’intuizione diretta di sé. La nozione di cuore include questa forma di cono-scenza integrale e intuitiva di sé; sono “i

«Un cuore libero

da ogni cosaè al tempo

stessopieno di Dio»J. P. Médaille

«Chiunque sa lasciar agire

Dio in sé... non perde mai la

pace del cuore»J. P. Médaille

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3Carisma

aperti. E, dato che il cuore viene pu-rificato soprattutto dall’amore, solo chi ama l’altro lo comprende. Dove dun-que sarà amato Dio se non nel cuore? E dove si manifesterà se non lì? Dio è amore, senza l’amore non lo si può co-noscere.

Il cuore conosce Dio per mezzo

delle ispirazioni interioriDio ci parla attraverso le ispirazioni, ma anche il demonio suggerisce idee per distruggerci. Lo Spirito Santo, però, si avvicina a noi in modo diverso dal ne-mico, si fa sentire “dal di dentro”.Dicono gli esicasti che il cuore assomi-glia a una fontana: se è pura, il cielo si riflette in essa. Così nel cuore puro si riflettono i pensieri divini. E la preghiera del cuore è ascoltare con cuore puro le ispirazioni divine dentro di noi.San Francesco d’Assisi aveva intuizioni divine e non se le lasciava sfuggire; si soffermava ad ascoltare la voce del Si-gnore, ponendo una mano sul cuore.

Dio è sensibile al cuore, il contatto con Lui avviene nella profondità del cuore. L’uomo di oggi, erede della cultura po-sitivista, si è abituato ad ascoltare gli al-tri, il mondo, le cose, ma non fa più at-tenzione alle ispirazioni del cuore, che vengono dallo Spirito. Ma chi ci aiuterà a ritornare in noi stessi?

Gesù ci guida al cuoreCosì pregava padre Médaille: «Degnati,

o Gesù, di rimanere al centro del mio

cuore come forza vitale, come linfa e

fuoco, come Padre, Maestro, Sposo e

Guida».

Gesù ci ha mostrato come vive l’uo-mo dal cuore convertito, grazie a Lui noi possiamo incontrare Dio a livello del nostro cuore. L’intimità con Lui è la porta d’accesso all’amore di Dio, la contemplazione e l’imitazione del Cuo-re di Gesù ci apre la via.Che cosa ci dice Gesù del suo cuore? «Imparate da me, che sono mite e umi-

le di cuore». Alla sua scuola il nostro cuore deve imparare a diventare mite e umile; la mitezza e l’umiltà sono i mez-zi per ricevere il dono di Dio, perché ci rendono consapevoli di essere figli amati, salvati e redenti.

Cuore eucaristicoSanta Teresa d’Avila ci suggerisce la via

più semplice per lasciarci raggiungere da Cristo Gesù e lasciarci toccare dalla sua umanità: l’Eucaristia.

«Quandoè il cuoreche prega,

Egli risponde»Teresa d’Avila

«O Gesù, per questo

miracolo dei tuoi misteri, opera in noi un miracolo

d’amore» J. P. Médaille

Riportiamo le sue parole, che richiama-no le pagine commoventi della “Lettera eucaristica o delle elevazioni”: «A tutti sono note le grandi meraviglie che que-sto Pane di cielo opera in coloro che lo ricevono con fede [...]. Quando sento da altri che avrebbero desiderato vivere ai tempi di Gesù, sorrido tra me e me, perché penso che, possedendo nell’eu-caristia lo stesso Cristo che camminava per le vie di Galilea, non vi è altro da bramare [...]. Se quando era nel mondo guariva gli infermi col semplice tocco delle vesti, come dubitare che, stando in noi personalmente, non abbia a fare miracoli se abbiamo fede? Sì, trovando-si in casa nostra, accoglierà ogni nostra domanda, non essendo suo costume pa-gar male l’alloggio che gli si dà, quando gli venga fatta buona accoglienza [...]. Appena ricevete Gesù Eucaristia, chiu-dete gli occhi del corpo e aprite gli oc-

chi dell’anima per fissarli in fondo al

vostro cuore, dove il Signore è disceso.

Vi dico, vi torno a dire e ve lo vorrei ripetere all’infinito, che se vi abitue-rete a questa pratica ogni volta che vi accosterete alla Comunione, il Signore si manifesterà a voi. In proporzione al vostro desiderio riverserà in voi grazie inimmaginabili» (“Cammino di perfe-zione”, 6-12 passim).

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4 Pastorale Giovanile e Vocazionale

di suor Mariarita BoLLati

Di ritorno dalla missione popolare di Piedimonte Matese, un grazie cordiale a tutti voi che ci avete accompagnato con il ricordo e la preghiera.Siamo state accolte con disponibilità e simpatia dalla popolazione e coadiuvate da un folto numero di co-missionari che sono venuti con noi, casa per casa, ad annunciare la bella notizia evangelica: «Oggi voglio fermarmi a casa tua!». La commissione Giovani e Vocazioni condivide con i lettori di “Orizzonti di Speranza” le risonanze, lasciate da questo evento di grazia, attraverso due testimo-nianze.

Così si è espresso, durante la celebrazione eucaristica conclusiva, Alfonso Feola, gio-vane laico piedimontese, che ci ha seguiti giorno per giorno con il suo apparecchio fotografico, per immortalare i momenti più significativi della missione:

«Vi confesso che è dura, molto dura, dire in poche righe cos’abbia visto e cos’abbia vissuto in questi giorni di missione popolare perché tanti, tantis-simi sono stati i visi e le storie incon-trate, le amicizie sbocciate o rinvigori-tesi, i fedeli avvicinati ed in alcuni casi ri-avvicinati, in questa indimenticabile settimana di evangelizzazione. Settima-na che ha visto in prima linea un drap-pello di suore straordinarie, coadiuvate da entusiasti co-missionari laici, che hanno fatto davvero di tutto per spar-gere semi di fede nelle case e nelle stra-

Piedimonte Matese.Missione popolare dal 4 all’11 marzo scorso

“Voglio fermarmi a casa tua!”Giovani & vocazione

de della parrocchia. Proverò a rendere l’idea di quanto vissuto attraverso due episodi che mi sono capitati in questi giorni. Eravamo in casa di una nuova famiglia della comunità parrocchiale, una famiglia allietata da tre bambine di cui due in tenerissima età. Dopo esser-ci lasciati conquistare dalla loro inno-cenza e parlato un po’ con la mamma, ci siamo alzati per congedarci... D’un tratto una bimba, la più spigliata delle tre, quasi con aria supplicante, escla-ma verso suor Fernanda: “no, stai con me!”. Quell’istante è stato fulminante: in un attimo appariva chiaro non solo quanto questa missione fosse necessa-ria, ma anche quanto, pur nella nostra indegnità di uomini, fossimo riusciti a portare Gesù in quella casa. Quello “stai con me” era il segnale inequivocabile che la presenza del Signore era scesa su quelle persone e soprattutto nel cuore di quella bimba di tre anni. Mi sono detto: “missione compiuta, di nome

e di fatto”, quantomeno nell’aspetto immediato... perché sarebbe un’idio-zia pensare che la missione popolare si concluda oggi. Penso infatti che la vera missione popo-lare di Ave Gratia Plena inizia per noi fedeli a partire da questa mattina, dove, raccogliendo il lascito spirituale delle Suore di San Giuseppe, ci impegniamo a coadiuvare don Emilio nel far frutta-re queste primizie di rinascita, assapo-rate fin dalla scorsa domenica. Spesso noi fedeli, specie quelli più prossimi alla vita parrocchiale, ci perdiamo nella cura e nel mantenimento di puri det-tagli, di segni esterni che tralasciano il messaggio autentico, l’essenzialità del-la fede, cioè l’annuncio di Cristo e del suo Vangelo, la nostra vera vocazione: a volte, la vanagloria e le polemiche ste-rili finiscono per depotenziare ogni ini-ziativa efficace: la grazia della missione popolare invece ci ha mostrato fin dove si possa arrivare se si agisce in comu-nione, ma soprattutto ci sta offrendo nuovamente l’opportunità di rimanere testimoni... È un’opportunità che dob-biamo cogliere, in quanto c’è bisogno di un costante annuncio di Cristo tra i bambini, tra i giovani e gli adulti del-la nostra parrocchia. È una necessità che ciascuno di noi co-missionari può confermare perché l’ha vissuta in prima persona, accompagnando le suore por-ta a porta. Il secondo episodio si è svolto non più tardi di un paio di sere fa, sul sagrato di Ave Gratia Plena: una mamma, appar-tenente a una delle famiglie più biso-gnose della comunità si avvicina a me e mi chiede speranzosa: è vero che le suore ritornano in giugno come si dice in giro? Non sapevo e non so tuttora cosa risponderle, ma sono assoluta-mente certo che quell’interrogativo di madre si fa portavoce di un desiderio condiviso da tutti noi co-missionari e da una comunità intera. Nel rendere grazie a Dio, nel ringraziare il vescovo, don Emilio e voi suore per quanto ci è

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5Pastorale Giovanile e Vocazionale

stato dato in questi giorni speciali, con-tinuiamo a pregare affinché il Signore ci conservi tutti insieme in una salda comunione di fede... E magari faccia sì che quell’innocente “stai con me” non rimanga solo una semplice frase, ma il concretizzarsi di una presenza perma-nente delle suore di san Giuseppe in mezzo a noi».

Riportiamo le parole che suor Liliana Re-naldo, a nome di tutte noi, ha detto alla comunità di Piedimonte Matese.

«Il nostro fondatore padre Médaille, un gesuita francese, ci esorta così in una delle sue massime relative alla nostra azione apostolica: “Fate in modo che Dio sia contento e nulla più”. Una mas-

sima che fa da eco alla Parola di Dio: “Cer-cate prima di tutto il regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”. È lo stile con cui abbiamo vo-luto entrare in que-sta missione, nella quale il “sovrappiù” ci è stato elargito da Lui e da voi a larghe mani. Innanzi tutto ci è piaciuta l’acco-glienza calorosa e cordiale, segno di una umanità ancora sana ricca e aperta. Subito abbiamo col-

to in voi, al di là della differenza di età e di appartenenza sociale e culturale, una fede semplice e robusta, capace di affrontare le difficoltà grandi che la vita riserva. Abbiamo notato un forte lega-me alla famiglia naturale, bene prezio-so e ancora saldo, insieme ad un forte senso di appartenenza al vostro paese, oltre ad una dimensione di vicinanza e di prossimità nei confronti delle per-sone che vivono nel vostro quartiere. Una dimensione che purtroppo è quasi persa altrove. Gli anziani restano, no-nostante i problemi, ancora dentro il tessuto familiare, aiutati, seguiti e ac-compagnati. Tutti questi elementi sono manifestazione di un cristianesimo vis-suto più che detto a parole, molto con-creto e meno teorico. Abbiamo voluto accostarci a voi con semplicità, senza fare cose straordinarie, con il desiderio, prima di tutto di ascoltarvi per entrare in punta di piedi dentro un contesto diverso da quello da cui proveniamo. Il nostro carisma di comunione ci solleci-ta in questa direzione per essere fedeli alla duplice unione che il nostro fon-datore ci suggerisce, che si estende in due direzioni: verso Dio e con il prossi-mo. La risposta che abbiamo trovato in voi è stata di accoglienza e di simpatia. Al nostro ascolto ha fatto eco la vostra disponibilità. Ci hanno sostenuto e ci hanno dato una testimonianza di gra-tuità i co-missionari che ci hanno ac-compagnati, mettendo in secondo pia-no le loro esigenze e i loro impegni a beneficio della comunità. Straordinarie

sono state l’amicizia e la stima dei vo-stri pastori, del vescovo e del parroco; la considerazione e l’invito spontaneo del sindaco e della giunta, che ci hanno piacevolmente sorprese; l’accoglienza fraterna delle suore benedettine,la di-sponibilità delle catechiste e degli ani-matori dell’Azione Cattolica Ragazzi nel condividere con noi i momenti di gioco e di catechesi; l’interesse e la col-laborazione dei genitori; la gioia e l’at-tenzione dei bambini, capaci di lasciarsi coinvolgere con grande docilità. Tutto questo costituisce il quadro di una co-munità viva che si lascia contagiare dal-la testimonianza di adulti nella fede che prendono sul serio l’impegno educati-vo. Non possiamo pensare che il par-roco da solo o con pochi collaboratori possa fare tutto. Solo il lavoro generoso e costante di tanti, come si è verificato in questi giorni, costruisce la comu-nità. In questa messa conclusiva della missione ci poniamo una domanda: in-sieme alla simpatia, alle preghiere, alle parole, ai canti, agli abbracci, ai sorrisi, alle feste, a qualche lacrima di commo-zione, abbiamo sentito che il Signore ha bussato alla porta del nostro cuore? Gli abbiamo aperto? Lo abbiamo vera-mente ospitato in casa nostra? A questa domanda, nella verità della nostra inte-riorità, può rispondere solamente cia-scuno di noi. Una sola cosa, con tutta sincerità sentiamo di poter dire. Quando al termine della meditazione della passione, che abbiamo intensa-mente vissuto, venerdì sera, pur tra le correnti di aria tempestose, mentre scendeva questo crocifisso che tutt’ora campeggia davanti a noi, abbiamo avuto la percezione che davvero Cristo Gesù sia passato e rimasto in mezzo a noi. Sì, davvero il Signore è passato in mezzo a noi. Amen».

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6 Pastorale giovanile e vocazionale

Riportiamo il testo di una lectio divina sui brani della guarigione del cieco di Gerico e dell’incontro di Gesù con Zaccheo (Lc 18-19), guidata da padre Antonello Erminio, vincenziano. Destinatario, il gruppo giova-nile interparrocchiale che si raduna ad Alba e a Pinerolo, con suor Liliana Renaldo.

Gerico è «la fortezza inespugnabile, so-lidamente sbarrata, dove nessuno può entrare ed uscire» (Gs 6, 1): solo il Si-gnore la farà cadere quando gli ebrei la circonderanno. Così Gesù espugnerà la cittadella interiore in cui sono chiusi sia il cieco che Zaccheo. Gerico è come il cuore di ogni uomo che tenta di resiste-re alla relazione con Dio: la vista di Lui è sbarrata. A quali condizioni il Signore può farsi vedere? Che si abbia consape-volezza del proprio bisogno e si gridi la propria impotenza (cieco), che si animi il cuore a desiderare di vedere il Signore che passa nella vita (Zaccheo).Consapevolezza di essere nelbisogno e preghiera perseveranteOgni uomo è “sulla strada”, mendicante della vita. Il punto di partenza per guarire dalla malattia è rendersi conto di questo bisogno che si ha: domandare la vita. «Sedeva a mendicare», chiuso nelle tene-bre. Il cieco non vede, però può ascoltare: è per questa via che arriverà alla luce. Si può arrivare alla visione se ci si mette in atteggiamento di ascolto: “fides ex audi-tu”, la visione della fede nasce dall’ascol-to. È l’atteggiamento di apertura, che at-tende da un altro la parola che sciolga la propria tenebra. Oggi non si ascolta più. Si parla solo. Si producono parole per gli altri: per manifestare la propria abilità, per essere riconosciuti e applauditi. Non si attende una parola per sé: una parola che vada a impiantarsi in fondo all’ani-ma. Tutto è diventato un grande chiac-chiericcio. Questo cieco prima «s’informa per sapere che cosa accadesse»; poi implora: «Gesù abbia pietà di me». Si affida. Il bisogno espresso dal cieco è prima di tutto che Gesù “abbia pietà”, sia misericordioso: o volga il suo sguardo alla sua miseria e la sappia investire della sua tenerezza amo-

revole. Insomma che Gesù si commuo-va di fronte alla sua situazione di essere cieco e mendicante. «Lo rimproveravano perché tacesse»: è il tentativo del mon-do (anche “il mondo” che è in noi) di oscurare la presenza di Cristo e di impe-dirgli di prendere contatto con il nostro bisogno. Ma la perseveranza nel doman-dare fa scattare l’interessamento di Gesù: «Che vuoi che io ti faccia?». La guarigio-ne passa attraverso la nostra libertà che si apre mediante la domanda continua e ostinata. Non si guarisce come quando si prende una pastiglia per il mal di testa; la guarigione non avviene meccanicamente come se si schiacciasse un bottone, pas-sa attraverso una preghiera perseverante. Il chiedere nella preghiera è già fonte di guarigione, perché distoglie dall’osses-sività con cui si sta di fronte al proprio male. Il pregare apre infatti una breccia in quella chiusura su di sé che il male normalmente genera: ed è già un primo guadagno. Non solo, ma il fatto di avere la sensazione di non essere ascoltato acu-isce il desiderio se si ha il coraggio di non desistere. La preghiera educa il desiderio: gli impedisce di passare troppo in fretta dal domandare all’avere. Soltanto quan-do si ottiene qualcosa avendola a lungo sospirata, allora il possesso è pieno di soddisfazione. Così il Signore permette che noi dobbiamo chiedere a squarciago-la, patendo pure la sensazione di non es-sere ascoltati, prima che dentro di noi si chiarisca l’oggetto del nostro desiderio. Qual è l’oggetto del desiderio? «Che io possa vedere!». Vedere che cosa? Gesù che sta passando e che è incamminato verso Gerusalemme: il luogo del suo sa-crificio, cioè il luogo dove manifesterà la pienezza del suo amore. Il vero bisogno di ogni uomo è di vedere Gesù e pote-re camminare dietro di lui: questo deve diventare oggetto del desiderio di ogni credente. Lo si incontra nella fede: «La tua fede ti ha salvato!». Fidarsi di Cristo è la fonte della salvezza. Se non ci si fida di Cristo, si finisce per fidarsi di altre cose. E queste cose non compiranno ciò che promettono, lasciandoci sulla strada del-la vita tramortiti e sfiduciati.

compimento inatteso del desiderioZaccheo è l’uomo del desiderio: «Cercava di vedere Gesù chi è». La folla (le preoc-cupazioni della vita, i progetti, le aspetta-tive che gli altri hanno su di noi, gli idoli quotidiani, le presunzioni sulla vita...) gli impediva di vedere Gesù». Bisogna far pulizia di tutto ciò che può impedi-re la vista. Per questo bisogna mettersi in posizione alta che permetta di vedere: «Zaccheo salì su un sicomoro». Nella vita bisogna sempre tenere alto lo sguardo, nonostante il proprio peccato. Il deside-rio anzi nasce più forte, quanto più pro-fonda è la percezione della propria mise-ria. Il compimento della propria umanità (la salvezza) non nasce dalla presunzione, ma dalla grazia, che va desiderata e do-mandata. Non si può pretendere che i desideri si compiano. I desideri però han-no un’importanza profonda nel nostro animo: impediscono che questo ristagni e scavano nel cuore l’attesa. Se un cuore è senza desiderio è già morto, perché l’in-tima natura dell’uomo è di desiderare. Ogni desiderio è un’apertura di credito sul futuro, distogliendo la vita dal freddo meccanismo di fatti che si devono subire. Senza desiderio la vita si rinchiuderebbe su se stessa. Fatalismo e scetticismo sono le malattie che uccidono l’anima: “Tanto non c’è niente da fare!”. “Non cambie-rà mai niente!”. Desiderare però non è progettare: il desiderio è pura apertura a qualcosa d’imprevisto che possa accadere senza pretenderlo; il progetto è invece un disegno che è nelle nostre mani. Il nostro cambiamento non avviene su progetto, ma avviene miracolosamente quando si è aperti alla grazia, cioè al passaggio di Cri-sto in noi. È Cristo di fatti che s’accorge di Zaccheo: «Presto scendi, oggi devo fermarmi a casa tua». Dio e l’uomo trovano casa l’uno nell’altro e possono cessare la loro fatica: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa». Eppu-re Zaccheo è un peccatore della peggiore specie: in quanto peccatore pubblico è escluso dalla salvezza in base alla Legge; in quanto ricco lo è in base al Vangelo. Alla vista di questo, tutti «borbottavano: è andato nella casa di un pubblicano».

Alba e Pinerolo.Una lectio divina guidata da padre Antonello Erminio

La nostra Gerico interiore

Giovani & vocazione

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7Laici del Piccolo Disegno

Laici P.D.

Dal 2004 a Puy-en-Velay, in Francia, opera un Centro destinato a diffondere ovunque la spiritualità della riconcilia-zione e dell’unità, tenendo vivo il ca-risma del fondatore delle Suore di San Giuseppe di Pinerolo, padre Jean Pierre Médaille. La prima intuizione di creare questa struttura sorse durante un convegno organizzato nell’ottobre 2000, in oc-casione del 350˚ anniversario di fon-dazione. In seguito fu costituita una commissione internazionale, col man-dato di realizzare il Centro e renderlo operante. La casa adesso è molto accogliente, ani-mata da suore giunte da diverse parti del mondo. «Viviamo la nostra missione – spiega-no le religiose – grazie a una spiritualità della relazione con Dio, tra di noi, con ogni essere umano e con tutta la crea-zione. Si tratta di un amore attivo, che non esclude nessuno, che ci incoraggia a costruire comunità di relazioni, ovun-que viviamo e serviamo. La nostra mis-sione è sempre attuale, specialmente nel contesto attuale che ha un ardente desiderio di amore e di giustizia».

Fra le numerose iniziative organizzate dal Centro, meritano di essere segna-late due proposte rivolte in particolar modo ai Laici del Piccolo Disegno:• il pellegrinaggio sui passi del fon-

datore, dall’11 luglio al 18 luglio 2012

• la settimana di formazione dal 22 al 29 settembre 2012.

Le organizzatrici presentano così il pellegrinaggio: «L’idea è quella di ri-unirsi per riflettere, pregare, condivi-dere, camminare, istruirsi, scambiare, mangiare e ridere insieme nella comu-nità globale di San Giuseppe. Riuniti al Centro Internazionale di Le Puy, i partecipanti sono invitati a compiere un tuffo nel nostro passato, nel nostro cammino attuale e a riflettere sul nostro avvenire. Delle guide che provengono dalla nostra comunità globale e impre-gnate della spiritualità e della storia del-la nostra comunità accompagneranno i pellegrini a partire dalla sera dell’11 lu-glio al mattino del 18 luglio a Lione. Le lingue per il pellegrinaggio saranno scelte a partire dalle preferenze dei par-tecipanti. Si potranno utilizzare quat-tro lingue: inglese, francese, spagnolo e

portoghese, ma solo due per lo stesso pellegrinaggio. Sarà data priorità a chi si iscrive per primo. Si richiede una somma di 650 euro per le spese dell’al-loggio e dei pasti, per il materiale uti-lizzato e il trasporto da Le Puy a Lione nell’ultimo giorno». Molto interessante anche la settimana in programma dal 22 al 29 settembre sul tema: “Efficacia della missione: un carisma vivo nei ministeri delle congre-gazioni di San Giuseppe”. Spiegano le organizzatrici: «Si tratta di un’oppor-tunità che viene offerta ai collabora-tori laici che condividono la missione delle Suore di San Giuseppe di venire a Le Puy per immergersi nello spirito originario della congregazione e insie-me nelle dimensioni globali del nostro carisma. Quest’esperienza di una setti-mana la vivremo a un ritmo moderato con momenti di preghiera, dei tempi di presentazione, con la condivisione delle reciproche esperienze e delle visite ai luoghi storici. Speriamo che tutti i partecipanti saranno infiammati dallo zelo necessario per continuare e svilup-pare questa missione di unità nei loro ministeri”. Il programma sarà svolto in inglese e in spagnolo. Il costo è di 650 euro. Le iscrizioni terminano il giorno 1 giugno. All’animazione della settima-na collaborerà suor Dolores Clerico di Philadelfia, che ha molto lavorato negli Stati Uniti con i responsabili dei Laici del Piccolo Disegno, aiutandoli ad ap-propriarsi dello spirito missionario di padre Médaille per testimoniarlo nei loro luoghi di lavoro. «Pieni di speranza per il futuro – è scrit-to nel bollettino internazionale “Insie-me in missione” – desideriamo offrire un’immagine della bontà e della mise-ricordia di Dio, aiutando a costruire un nuovo mondo dove tutti i popoli, con la ricchezza della loro diversità, costrui-ranno l’unico popolo di Dio». Info su:[email protected]

Puy-en-Velay. Due proposte di formazione per i Laici del Piccolo Disegno

Dove tutto è iniziatodi donateLLa CoaLova

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8 Laici del Piccolo Disegno

L’amore di Dio ha suscitato oggi, nella nostra congregazione, cristiani deside-rosi di camminare sulla via della santi-tà, proprio come il nostro caro fonda-tore desiderava e desidera. È vero che le virtù sembrano non tro-vare più ospitalità nel nostro mondo, anzi, non se ne comprende neanche il significato, ma è anche vero che sem-pre più si diffonde la nostalgia dei va-lori evangelici, la ricerca di senso nella vita di ogni giorno e, come afferma una Suora di San Giuseppe, Patrizia Gra-ziosi, «un’esigenza forte di spiritualità, come se quel seme di eternità, deposto nel cuore di ogni persona, stesse germi-nando attese e desideri capaci di illu-minare la quotidianità di un’esistenza sovente tentata di restare nel grigiore del sempre uguale». È proprio il desiderio a spingere e a il-luminare le profondità del cuore uma-no, là dove lo Spirito suscita uomini e donne che, come disse papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, al n° 31, sono ca-paci di «non accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica», ma tendono alla «misu-ra alta della vita cristiana ordinaria». È dunque un grande desiderio di Dio che ha toccato la vita di Gabriella Pal-cani, una parrocchiana di Gesù Opera-

io, sposa, madre e vedova. Ella ha colto il passaggio dello Spirito, che le chiede-va di coronare gli ultimi anni della sua vedovanza con un totale dono di sé. Questa esigenza, nata in lei da parec-chio tempo, non aveva trovato il modo di realizzarsi. «Finalmente – sono le sue parole – ho incontrato le Suore di San Giuseppe e il loro carisma mi ha affascinato». Gabriella è stata la prima del gruppo dei Laici del Piccolo Disegno di Torino a interrogarsi sulla nostra spiritualità e a sentire di aderirvi pienamente nel proprio intimo. Era la chiamata del Si-gnore! Così, dopo maturata riflessione e un cammino di due anni di preparazione, ha offerto la sua vita a Dio. E proprio il 15 ottobre del 2011 (che per noi ha tante risonanze interiori!), a Torino, nella parrocchia Gesù Operaio, durante la celebrazione eucaristica pre-sieduta dal parroco Alberto Bertalmia, alla presenza di parenti, amici, suore e tanti parrocchiani, Gabriella ha consa-crato la sua vita al Signore nel Piccolo Disegno. Noi suore abbiamo partecipato con grande gioia e sorpresa a questo avve-nimento. Alla carenza di vocazioni alla vita reli-giosa sembra supplire lo Spirito Santo,

Il prossimo 22 aprile la consacrazione di una coppia

Uno... più due!di suor MireLLa PiCCo Botta

Laici P.D.

facendo germogliare altrove, e in ma-niera inaspettata, laici generosi «tutti di Dio e del caro prossimo».

Ma le sorprese non sono finite, anzi... Infatti, anche Alessandra e Andrea, due giovani sposi con tre figli, conosciuto da ben otto anni padre Médaille e il no-stro carisma, desiderano consacrarsi nel Piccolo Disegno. Questa è davvero una novità... Ma siamo convinti che “solo uomini nuovi cambieranno le vecchie struttu-re!”. Chissà che la nostra congregazione non abbia proprio bisogno di vita nuova, di un profondo rinnovamento nello Spiri-to, dal momento che il Signore chiama queste persone a farne parte, seppur a diverso titolo? In che cosa consisterà il “nuovo”? Attendiamo... con animo umile e cuore aperto quanto Dio vorrà fare e collabo-riamo con la sua Grazia. Il prossimo 22 aprile, nella giornata di famiglia, dedicata a suore e laici, Ales-sandra e Andrea, nel corso della cele-brazione eucaristica, faranno la loro consacrazione nel Piccolo Disegno.

Parteciperemo all’evento con gioia e riconoscenza a Dio, che sempre ci stu-pisce!

Torino, parrocchia Gesù Operaio. Due momenti della consacrazione di Gabriella Palcani.

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9Laici del Piccolo Disegno

La famiglia dei Laici del Piccolo Dise-gno sta crescendo a vista d’occhio. Quest’anno sono sorti due nuovi grup-pi: famiglie che hanno dimostrato inte-resse a trovarsi insieme per condividere le loro esperienze di vita e per appro-fondire la spiritualità della nostra con-gregazione. Come sono nati questi gruppi? Occorre fare un passo indietro nel tempo. Suor Antonietta Basile e suor Angelina Paga-no sentivano nel loro cuore il desiderio di offrire, ai genitori dei bambini che avevano a scuola, alcuni incontri di for-mazione umana e spirituale. Mi aveva-no coinvolta e abbiamo incominciato, poco alla volta, a concretizzare questa loro bella aspirazione. Molto semplice-mente abbiamo proposto due incontri, uno a Torino (nella scuola materna “Or-dine di Malta”) e l’altro a Pinerolo (in Casa Madre), per i genitori dei bambini della scuola dell’infanzia di None, dove suor Antonietta insegna Religione. Al-cune famiglie avevano aderito, si è cre-ato subito un ambiente fraterno, dove ognuno ha potuto condividere in sem-plicità il proprio cammino di vita e di fede. La proposta di un altro momento di ritrovo era stata accettata con molto entusiasmo e aveva suscitato l’idea di organizzare alcuni momenti comuni-tari per l’anno successivo, seguendo un itinerario maggiormente strutturato. Quest’anno abbiamo organizzato una serie di incontri sul tema “La sfida dell’amore”. Il medesimo percorso è stato proposto al gruppo dei Laici del Piccolo Disegno di Druento, anch’es-so formato da famiglie. Meditando la Parola di Dio e le “Massime” di padre Médaille sull’amore verso il prossimo, abbiamo approfondito l’inno alla carità di san Paolo, fermandoci sulle sue varie espressioni: «l’amore è paziente, l’amo-re è benevolo, l’amore non è egoista, l’amore pensa all’altro, l’amore non è

sgarbato». Ogni incontro inizia sempre con un momento di confronto all’in-terno della coppia, per uno scambio di pensieri e di sentimenti vissuti nelle settimane precedenti; poi si affronta il nuovo tema e ci si lascia con l’impegno di vivere “la sfida”, cioè un proposito molto concreto: ad esempio, non dire assolutamente nulla di negativo al pro-prio coniuge. Il numero delle coppie per ogni gruppo si aggira sulla decina e non mancano i bambini. La collaborazione della comunità è preziosissima perché, mentre i genitori vivono il loro mo-

di suor adriana ussegLio

Tra Druento, None e Torino si moltiplicano le iniziative

Un gruppo tira l’altro

mento di confronto e dialogo, i bambi-ni hanno un proprio percorso per una loro crescita personale. In questo modo tutta la famiglia è coinvolta, i figli non si sentono semplicemente “parcheggiati”, ma inseriti in uno stesso cammino e, come conseguenza, vengono volentieri perché è anche il loro appuntamento. Non essere sola a portare avanti queste iniziative, ma essere coadiuvata da al-tre consorelle, è un’esperienza davvero arricchente: pensiamo e progettiamo insieme, è una testimonianza concreta di comunità e di aiuto reciproco.

Laici P.D.

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10 Sfida educativa

Venerdì 23 marzo scorso, nel pomeriggio, gli insegnanti dei tre ordini di scuola (pri-maria, secondaria di primo e di secondo grado) dell’Istituto Maria Immacolata di Pinerolo hanno partecipato a un incon-tro formativo tenuto dal professor Giorgio Chiosso. Docente di Pedagogia Generale, Chiosso è direttore del dipartimento di Fi-losofia e Scienze dell’Educazione dell’Uni-versità degli Studi di Torino.Riportiamo, qui di seguito, il testo inte-grale del suo intervento.

L’orizzonte culturale dominante Tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso fa la sua comparsa sulla scena del mondo occidentale, compresa quella italiana, una nuova concezione della scuola in stretta relazione con la spinta economi-ca neo liberale che risponde alla nuova realtà della globalizzazione. Alla scuola vista come luogo di conser-vazione, trasmissione ed elaborazione di una tradizione culturale si comincia ad anteporre un’idea di scuola non solo più individualista, ma soprattutto più economica. Un piccolo libretto uscito qualche tempo fa ha così fotografato nel titolo il cambiamento a cui stiamo facendo riferimento: Un’Ikea di scuola per il prossimo futuro”.

Istituto Maria Immacolata.Giorgio Chiosso ha incontrato i docenti

Per insegnare ad amare il mondo Una fondamentale conseguenza di que-

sta impostazione riguarda il passaggio dalla centralità assegnata a chi apprende al sistema che produce apprendimento e alle procedure che quantificano la cosiddetta “capacità produttiva” della scuola. In questa direzione vanno le indicazioni dei grandi centri nei quali si elaborano le strategie politico scolastiche dei Paesi avanzati: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Ocse e, per quanto ci riguarda più da vicino, la Commissione Europea e la Banca d’Italia.Si sono moltiplicate le ricerche per do-cumentare, anche sul piano quantita-tivo, il rapporto esistente tra i sistemi della formazione (scuola e formazione professionale) e il PIL, le conseguenze negative prodotte sul piano economico dalle scuole dal rendimento insufficien-te, le potenzialità insiste nel meccani-smo premiale dei docenti migliori...I processi di formazione istituzionaliz-zata – sempre più costosi e pervasivi – sono ormai più in mano agli econo-misti, agli esperti di statistica, ai pro-grammatori delle strategie di mercato e sempre meno agli uomini di scuola e, tanto meno ai pedagogisti e agli psico-logi dell’educazione. Un particolare rapporto, in particolare, si è stabilito tra i gruppi di specialisti (in qualche caso di super specialisti) in misurazione e comparazione e i deci-sori politici che si affidano fiduciosi ai dati forniti dalle indagini quantitative per orientare le linee di sviluppo delle politiche dell’istruzione e della forma-zione. Il rischio in cui si incorre è fatalmente quello di un funzionalismo educativo nutrito della priorità dell’utile e gover-nato dalle regole proprie del mercato. Il mercato non è un male dal quale dobbiamo per forza difenderci: l’erro-re è quello di considerarlo infallibile e capace di correggere i propri squilibri senza una robusta iniezione etica. Con gli approcci funzionalistici siamo ben

oltre il permissivismo pedagogico che ha segnato la storia educativa a partire dagli anni ’70 (che, certo in modo mol-to discutibile, coltivava tuttavia anco-ra un’idea di umano non strumentale, se pur spesso sganciato dai vincoli del confronto con la dimensione della ve-rità) e siamo altresì lontani – in questo caso abissalmente lontani – dall’ideo-logismo politico che percorse le scuole italiane negli anni della contestazione e in quelli immediatamente successivi di cui la generazione più anziana ha anco-ra qualche memoria.La logica economica si è congiunta, a sua volta, con quello che è stato defini-to l’“agnosticismo antropologico” e cioè un’idea di uomo flessibile, pragmatico, non interessato alle questioni ultime, condizionato e legato al “qui e ora”.Questa concezione utilitaristica del sapere (apprendo solo ciò che “mi ser-ve”, mi comporto in funzione di un traguardo che intendo raggiungere) si nutre del modello (del mito?) della “scuola neutrale” il cui compito sarebbe quello di trasmettere abilità e compe-tenze, riconducendo gli aspetti valoriali alla dimensione del privato.Gli unici valori pubblicamente rico-nosciuti dovrebbero essere quelli posti alla base della convivenza tra diversi (giustizia e tolleranza) e della consape-volezza di quella che Edgar Morin ha definito la «cittadinanza terrestre», va-lori comunque concepiti non come “as-soluti”, ma relativi e cioè visti più come princìpi regolativi che normativi. Lo Stato infatti – e nella fattispecie la scuola dello Stato – non potrebbe far proprio alcun valore pena il rischio di cadere in forme di indottrinamento e addirittura, secondo alcuni, di mettere a repentaglio la natura stessa della de-mocrazia.In buona sostanza siamo in presenza del primato dell’uso strumentale della ragione. La ragione non può tuttavia essere ridotta alla capacità scientifica di dimostrare o di stimare quali regole si possano praticare per garantire una cit-

Il professor Giorgio Chiosso

Sfidaeducativa

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11Sfida educativa

tadinanza pacifica. Ci sono esperienze per la cui comprensione non basta la ragione sperimentale: sono tutte quel-le dimensioni della vita che non sono quantificabile nel “finito” e si proten-dono verso qualcosa di infinitamente grande.L’agnosticismo antropologico congiun-to alla concezione riduttiva della ragio-ne costituisce, a sua volta, la premessa di un altro fenomeno oggi molto evi-dente e cioè il forte condizionamento del sapere rispetto al mondo del lavoro, al punto che uno studioso francese ha recentemente parlato di una “ideologia della professione” che condizionerebbe la vita scolastica del mondo occidenta-le. Alle ideologie tradizionali starebbe subentrando, nelle sue forme culturali più radicali, il condizionamento pro-duttivistico accompagnato dal molti-plicarsi delle procedure come garanzia di efficienza.Mi pare del tutto superfluo sottolineare come pensare all’educazione scolastica per l’umano e pensarla in funzione del semplice adattamento funzionalistico costituiscano due modalità antitetiche di agire nella scuola e di conseguenza di guardare al rapporto tra educazione e bene comune. Si tratta di una questione su cui, già ne-gli anni ’40, Jacques Maritain aveva ri-chiamato l’attenzione nel suo ben noto L’educazione al bivio.

Non vorrei dare l’impressione di sot-tovalutare la rilevanza delle dinamiche economiche e produttive e il loro in-treccio con le politiche formative. E neppure di non apprezzare gli sforzi di quanti cercano di migliorare la scuo-la italiana puntando sulle procedure valutative e sulla valorizzazione delle competenze. Qualsiasi processo sociale è ovviamente tenuto a fare i conti con le risorse, a impiegarle bene e a far frut-tare al massimo le potenzialità umane e cioè quello che ormai con espressione corrente viene definito il “capitale uma-no” e che noi preferiamo indicare con l’espressione classica di “persona”.C’è tuttavia da chiedersi se sia suffi-ciente in vista del bene comune operare principalmente su un piano funzionali-stico-proceduralistico oppure se la con-cezione dell’educazione dell’uomo della sua integralità personale non compren-da tout court anche la formazione di quelle abilità e competenze necessarie per il mondo del lavoro. Tutte le peda-gogie umanistiche e personalistiche non dubitano che questa seconda via sia più virtuosa di quelle regolate soltanto dalle leggi economiche, anche se oggi questa posizione risulta minoritaria.

Un altro modo di educaree di far scuola è possibile ? Chi dispone di una lunga tradizione educativa come le comunità cristiane

si interroga perciò in che modo reagi-re verso la brusca e drastica svolta neo liberale e soprattutto come, in sostan-za, regolarsi di fronte alla sfida portata alla formazione scolastica dalla cultura economica del capitalismo avanzato. In questa prospettiva, il contributo che mi preme offrire alla riflessione consiste nel richiamare l’attenzione su alcuni orien-tamenti e criteri di fondo validi per la progettazione educativa nelle scuole e fruibili da ogni insegnante che consi-deri il proprio lavoro come espressio-ne della propria tensione ideale e della propria passione per il bene comune. A maggior ragione questi orientamen-ti e criteri potranno risultare fecondi per chi opera a vario titolo nella scuola cattolica, e intende realizzare tutto ciò alla, e nella luce del Vangelo. Rispetto alla prassi corrente, mi rendo ben conto che essi sollecitano un “cambiamento di mentalità”, volto a promuovere un altro modo di educare e di far scuola, più adeguato.

Il criterio del “cuore”come asse dell’educazionedella personaLa prima questione riguarda proprio il nostro approccio di fronte all’utilita-rismo pragmatico del nostro tempo e se davvero esso sia realmente “neutro” come spesso si tende ad affermare.

Il gruppo di insegnanti dell’Istituto Maria Immacolata che ha partecipato all’incontro con Giorgio Chiosso

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12 Sfida educativa

Spogliato delle sue forme estreme esso riflette preoccupazioni ed esigenze reali e ci invita a un bagno nella realtà.Non serve avversarlo per ragioni di principio e cioè soltanto ideologiche. Ma al tempo stesso va detto che ciò che può essere utile come strumento di analisi e non si può tradurre in una finalità. Per noi cristiani – ma credo anche per quanti più ampiamente si riconoscono nella tradizione dell’umanesimo occi-dentale – la persona umana non può essere ridotta al solo stato di “produt-tore” e di “consumatore”. Nel nostro linguaggio la persona non è solo “ca-pitale umano”, ma “qualcuno”, mai “qualcosa”. Questa riduzione antropologica è con-seguente all’idea che l’unico modello di sviluppo sociale ed economico sia quel-lo attuale. Nella enciclica Caritas in Veritate, Bene-detto XVI ha indicato una via alterna-tiva affidata non alle sole leggi dell’eco-nomia, ma depositata principalmente nella capacità dell’uomo di desiderare un mondo migliore, di costruire e mi-gliorare la propria vita persona e fami-liare, di riconoscere che lo sviluppo dei popoli «dipende soprattutto dal rico-noscimento di essere una sola famiglia che collabora in vera comunione ed è costituita da persone che non vivono semplicemente l’uno accanto all’altro».Leggiamo ancora nell’enciclica: «L’ap-piattimento delle culture sulla dimen-sione tecnologica, se nel breve periodo può favorire l’ottenimento di profitti, nel lungo periodo ostacola l’arricchi-mento reciproco e le dinamiche colla-borative... Ciò richiede una nuova e approfondi-ta riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfun-zioni e le distorsioni. Lo esige, in realtà, lo stato di salute ecologica del pianeta; soprattutto lo richiede la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo». Occorre, dunque, immaginare e co-struire un sistema dove il destinatario e il soggetto della vita economica sia la persona educata a un desiderio non ri-

dotto nelle realtà sociali e produttive in cui vive, ma sia animato da un desiderio più grande che, per esempio, oltrepassa l’impresa come semplice strumento per dare occupazione e la inquadra entro la logica dei buoni servizi, un desiderio che considera il lavoro come una for-ma di realizzazione di se stessi oltre che, naturalmente, come una insostituibile forma di sostentamento per sé e la pro-pria famiglia. A tal fine occorre saper parlare a quell’intima dimensione squisitamente umana che la tradizione biblica ha in-dicato con il termine “cuore” e che la storia dell’educazione cristiana (da Fi-lippo Neri a Rosmini e a don Bosco) ha individuato come il luogo privilegiato per far crescere la persona. Ne Il senso religioso, Luigi Giussani ne ha parlato come dell’esperienza «che tende a indicare compiutamente l’im-peto originale con cui l’essere umano si protende sulla realtà, cercando di immedesimarsi con essa, attraverso la realizzazione di un progetto, che alla realtà stessa detti l’immagine ideale che lo stimola dal di dentro».Più recentemente il cardinal Angelo Scola lo ha presentato come «la strut-tura comune a tutti gli uomini» attra-verso cui «il mondo reale si offre come fonte di stupore e di meraviglia e rinvia oltre le “cose” che appaiono, aprendo la strada al riconoscimento di Dio».

In ognuno di noi c’è insomma c’è un luogo che tendiamo a considerare come nostro, unico, intimo, nel quale ci rico-nosciamo non solo per conquistare la fiducia e la certezza della nostra esisten-za, ma per aprirci alla comprensione degli altri e delle cose. Soltanto attra-verso la coltivazione di questo “luogo” (il “cuore”) l’uomo è in grado di risalire alla sorgente di se stesso e di cogliere l’ampiezza del desiderio che lo sostie-ne: in questo stanno precisamente «il compimento totale di sé» e l’esercizio della libertà come «possibilità, capacità, responsabilità di compiersi” e, cioè, in una parola il conseguimento del pro-prio destino».

Ma come riuscire in questo compito che sembra così difficile nell’era delle tecnologie avanzate, della comunica-zione globalizzata, del consumismo sfrenato e soprattutto della perdita del-la speranza educativa di cui ha più volte parlato Benedetto XVI?Intorno a quali princìpi e strategie cul-turali rielaborare un’idea di educazione e di scuola cristiana che non sia soltan-to una copia della scuola pubblica, pre-sentata un po’ semplicisticamente come educativa per l’integrazione dell’anima-zione religiosa o per il “supplemento” della formazione etico-morale, che la distinguerebbe dal resto del sistema scolastico?

Un momento dell’intervento di Giorgio Chiosso

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Proverò a rispondere a questo interro-gativo articolando la mia riflessione in-torno a tre punti essenziali che, se pur presentati per forza di cose in sequenza vanno tuttavia compresi secondo una logica ipertestuale.

1. La ricchezza vivadella tradizione Il primo riguarda il recupero/rilancio della tradizione.Il modello del sapere contemporaneo oscilla tra la negazione di ogni dimora – il passato come errore – e la sua ridu-zione a “museo”, catalogo di reperti.In ambedue i casi viene cancellata qual-siasi possibilità della tradizione come luogo di educazione.«La continuità che lo storicismo presu-me di stabilire tra passato e presente si capovolge, in tal modo, in discontinu-ità pura. Non c’è attualità possibile per ciò che è passato».La tradizione è invece esattamente l’opposto: è la storia dell’umano che si compie nella storia. La tradizione è, in altre parole, non solo un insieme di va-lori oggettivi, sociologicamente rileva-bili, che si tramandano di generazione in generazione. Essa si configura anche come una sorta di apparato concettuale che giustifica i particolari aspetti rileva-bili al suo interno e ai quali fornisce co-esione sul piano normativo e su quello della fondazione ultima.La tradizione si pone, cioè, come un fondamento che non è affidato alla purezza aprioristica della razionalità illuministica, ma poggia sul senso e la profondità storica dei rapporti che re-golano e hanno regolato l’esperienza di una comunità.

Contro la tentazione del nichilismo contemporaneo noi disponiamo, in al-tre parole, di una forza vitale dall’ine-stimabile valore educativo, spesso tra-scurato, che è la tradizione come flusso vivo di civiltà e di storia. Ad essa appar-tiene quello straordinario patrimonio di testimonianze del passato che soli-tamente indichiamo come “classici”. E cioè quegli autori che nel campo del pensiero, della letteratura, dell’arte han-no saputo proporci riflessioni e opere che hanno oltrepassato i secoli e su cui, anche recentemente, alcuni studiosi – dal noto saggio di Harold Bloom sul «canone occidentale» alle più recenti riflessioni di Martha C. Nussbaum sul rapporto tra cultura classica e moderne democrazie – hanno richiamato l’atten-zione come strumento insostituibile di formazione dell’umano.Nei classici – da Omero a Virgilio, da Dante a Shakespeare, da Manzoni a Tolstoj, per restare nel campo della sola letteratura – si riverbera infatti l’esi-stenza dell’uomo, la sua lotta contro il fato, la sua nostalgia del divino. Nella misura in cui i classici rappresen-tano «l’eterno nell’uomo», essi «danno voce al suo grido di vita, alla sua mesti-zia dinnanzi alla morte». Le opere artistiche del pensiero ci in-vitano alla riflessione sul nostro io che, osservandosi, crea una relazione assolu-ta con le cose e col mondo. Attraver-so queste testimonianze noi entriamo inoltre a far parte di una storia e, attra-verso le narrazioni, possiamo riempire di significati gli inevitabili interstizi che si insinuano in ogni ricostruzione del passato e illuminare l’opacità dei fatti con la luce di un senso complessivo,

partecipando empaticamente alle azio-ni altrui. MacIntyre ha scritto che «privando i bambini delle storie, li si trasformereb-be in balbuzienti ansiosi e senza copio-ne... Non esiste nessun modo per com-prendere qualsiasi società, compresa la nostra, se non attraverso l’insieme delle storie che costituiscono le sue risorse originarie». Naturalmente i classici hanno bisogno della mediazione di qualcuno che li sappia presentare e far apprezzare nella loro sostanza di verità e non solo uti-lizzati come esercizio linguistico o filo-logico. Abbiamo bisogno di insegnanti che siano, a loro volta, convinti della vali-dità di un insegnamento che valorizza i classici senza opporli banalmente ai moderni. Anche i moderni possono a loro volta essere “classici” nella misura in cui sanno interpretare i grandi senti-menti e destini dell’uomo. La tradizione più antica e anche più re-cente e le opere classiche che la rappre-sentano, non costituiscono, insomma, il nostalgico ripiegamento sul passato come se avessimo paura del futuro e avessimo bisogno di un rifugio dove riposarci. La tradizione è invece il luogo nel quale noi troviamo una proposta di significati – etici, artistici, religiosi – validi anche per l’oggi. Un buon consiglio, per usare la metafo-ra suggerita da MacIntyre, dato da un amico per aiutare a risolvere un proble-ma di vita. Dobbiamo però saperla far parlare, ren-derla vitale, coglierne i tratti che ci con-sentono di costituirla come parte della

Alcuni “classici”: Omero, Virgilio, Dante Alighieri, William Shakespeare, Alessandro Manzoni e Lev Tolstoj

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nostra esperienza e cioè concepirla in forma dinamica e propositiva, non cer-tamente imbalsamarla come un reperto archeologico. I classici ci consentono di sperimentare un impiego della ragione umana e dun-que di educare al suo impiego senza riduttivismi: una «ragione estesa», se-condo l’espressione di Benedetto XVI, che oltrepassa i confini logico-empiri-co-scientifici per aprirsi alle domande e alle esperienze che coinvolgono l’uomo nella sua integralità: bene/male, fini-to/infinito, immanenza/trascendenza. Lo stesso Benedetto XVI ci ha offerto due suggerimenti di lavoro capitali, a Ratisbona e a Parigi, relativi il primo al compito dell’autentico sapere scien-tifico e alla sua costitutiva «razionalità aperta», il secondo alla natura più pro-fonda, spirituale e teologica, del sapere umanistico e letterario. Ma, sempre pensando all’insegnamen-to e alla sua valenza educativa, possia-mo raccogliere un’ulteriore suggestione ancora dall’opera e dalla riflessione di Maria Zambrano. La sua prospettiva di «ragione poetica» non ha uno scopo direttamente esplicativo, quanto si pro-pone piuttosto come un cammino per entrare dentro se stessi e percepire l’in-timità originaria dove il divino è parte integrante della vita umana. Ecco: i classici – in ogni campo del sa-pere – dovrebbero proprio essere riletti, proposti, utilizzati in questa prospetti-va.

2. L’esperienza della bellezzaVorrei ora soffermarmi su un secondo aspetto di un ideale piano educativo e culturale di una scuola cattolica. Mi riferirò in via introduttiva a un aspet-to della vita scolastica riemerso, dopo anni di eclisse, al centro del dibattito pubblico: il bisogno di eccellenza con la sua ricaduta pratica, e cioè il ripristi-no della meritocrazia. Dopo anni di appiattimento eguali-tario il ripensamento meritocratico è certamente positivo. La scuola non è solo luogo di equità – anche se questo aspetto va tenacemente difeso – ma è anche luogo di scoperta e coltivazione delle eccellenze. Ma sull’espressione “eccellenza” occorre fare qualche chia-rezza. Infatti essa è abitualmente e cor-rentemente impiegata per segnalare gli allievi più dotati e più bravi, insomma quelli che raggiungono le votazioni mi-gliori. Questa interpretazione dell’eccellenza risponde all’impianto funzional-proce-duralistico che abbiamo prima ricorda-to. C’è un’altra visione dell’eccellenza che è più coerente con la concezione personalistica. Ai personalisti non basta stabilire chi sono gli allievi dai risultati più sod-disfacenti, essi sono infatti interessati all’eccellenza potenziale di tutti. L’ec-cellenza si configura perciò come obiet-tivo attraverso il quale si compie il mi-glioramento personale, come conquista di spazi più ampi di libertà e respon-

sabilità, in una parola come pienezza e compimento di sé. Siamo abituati a pensare che questo itinerario – che è poi l’itinerario del-la perfezione cristiana – sia proprio dell’educazione morale e religiosa. Vor-rei proporvi un altro itinerario di im-pianto più strettamente culturale e affi-dato alla forza pedagogica della bellezza in quanto esperienza – non coltivata solo come godimento estetico fine a se stesso (in questo caso cadiamo nell’este-tismo) – capace di innalzarci e portarci ad un piano superiore di conoscenza. Per trovare ragioni a sostegno della mia proposta ricorro ad alcune osservazioni di Romano Guardini. Nella creazione dell’opera d’arte – questo è il punto di partenza di Guardini – l’artista dà for-ma a un’esperienza che non è soltanto sua, ma riguarda l’uomo in generale. Diversamente dalla realtà quotidiana «ogni autentica opera d’arte è come un mondo, uno spazio ben disposto e ricolmo di significati». Nell’avvicinarsi ad essa noi sperimentiamo qualcosa di più e di meglio delle cose che ci stanno di fronte: dall’opera d’arte promana-no «forme significanti» attraverso cui è possibile «andare oltre» ciò che egli è semplicemente ogni giorno per ritrova-re nelle cose e in se stesso una spinta al pieno compimento di sé. «La meraviglia e l’emozione che si provano di fronte al bello, conclude Guardini, hanno una formidabile valenza pedagogica perché aiutano ad avere uno sguardo diverso verso le cose e le persone, uno sguardo – diciamo così – non solo orizzontale, ma anche e soprattutto verticale». La bellezza diventa, dunque, mezzo di conoscenza quando suscita lo stupore verso le cose e le relazioni svelandone il loro senso. Coltivare la bellezza signifi-ca ampliare l’orizzonte di comprensio-ne del soggetto educabile, aprendolo alla ricomposizione tra ordine sensibile e soprasensibile delle cose, tra aspet-ti razionali ed emotivi, tra pensiero e affettività, tra esteriorità e interiorità. Fare della scuola un luogo di scoperta e valorizzazione della bellezza nelle sue varie forme – letteraria, artistica, mu-sicale, ambientale – porta con sé varie conseguenze. Significa sollecitare gli allievi a scoprire dentro di sé emozio-ni e sentimenti diversi e più complessi

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15Sfida educativa

rispetto alla banalità del quotidiano, significa introdurli in quel percorso di miglioramento di sé che non può ri-guardare soltanto la padronanza delle competenze cognitive, significa aiutar-li ad attribuire alle cose un significato che va oltre le cose, significa – in ultima istanza – aiutarli a riflettere, a interro-garsi, a farli crescere, in una parola, en-tro una prospettiva sapienziale.

3. L’amore al lavoro ben fattoPer introdurre il terzo momento del mio progetto mi avvarrò di un roman-zo di Primo Levi – non tra quelli più noti dello scrittore torinese – dal titolo “La chiave a stella”. Nel libro si narrano le vicende di un operaio specializzato che con questo particolare attrezzo gira il mondo a montare gru, ponti sospe-si, impianti petroliferi. Il protagonista nutre l’orgoglio del “lavoro ben fatto” e così, ad un certo punto della narrazio-ne, si esprime: «Io, l’anima ce la metto in tutti i lavori. Per me, ogni lavoro che incammino è come un primo amore». E Levi aggiunge: «Amare il proprio la-voro costituisce la migliore approssima-zione concreta alla felicità sulla terra». Non basta insegnare a “fare”, occorre “fare bene” e cioè con precisione, or-dine mentale e senso della disciplina. Sono ben consapevole che nella società dell’immagine e della comunicazione totale la restituzione in termini perso-nali del “lavoro ben fatto” costituisce davvero un aspetto che rischia di appa-rire un po’ retrò. Ciò che oggi contano sono altri parametri: l’apparenza este-riore, il successo acchiappato a qualun-que costo, la visibilità mediatica, l’esibi-

zione dei vestiti griffati. Naturalmente poi pretendiamo ben altro quando il la-voro degli altri ci riguarda ed esigiamo un “lavoro ben fatto” dall’artigiano che provvede ad aggiustare il motore della nostra auto, dall’impiegato cui ci rivol-giamo per una pratica burocratica, dal medico che ci visita. Il criterio del “la-voro ben fatto” costituisce una salutare immersione nella realtà. Contro l’illu-sione della realtà virtuale nella quale possiamo crearci un mondo a parte e contro l’idea diffusa che non esistano certezze per le quali vale impegnarsi e scommettere sulla vita, l’educazione scolastica ha la responsabilità di richia-mare i giovani alla realtà. La pretesa del “lavoro ben fatto” costi-tuisce per l’appunto uno strumento in tal senso. Il mondo adulto, per tante ragioni, tiene i figli e gli allievi lontani dalla realtà senza gradualmente intro-durli nelle difficoltà e nei problemi che l’accompagnano. Tutto è reso semplice, dato per scontato, accompagnato dalle preoccupazioni di evitare ogni minima frustrazione. Pretendere il “lavoro ben fatto” significa sollevare il velo della protezione adulta – protezione che non sempre è edu-cativa e spesso è, anzi, esageratamente permissiva – e presentare la realtà per quella che effettivamente si presenta. È proprio attraverso il confronto con la realtà e con i vincoli che essa fatalmente pone che è possibile promuovere l’edu-cazione del carattere personale rispetto a cui il “lavoro ben fatto” costituisce un eccellente strumento. La cultura pedagogica cattolica ha lun-gamente praticato in passato il princi-pio pedagogico dell’educazione morale attraverso la formazione del carattere: Mounier ci ha regalato nell’immediato dopoguerra un grande saggio su questo tema, poi questo motivo gradualmen-te si è eclissato dietro le spallate della cultura psicoanalitica. Forse oggi me-riterebbe riconquistare questo spazio pedagogico. Il “lavoro ben fatto” non è solo una ca-tegoria etica, ma è anche una categoria economica perché significa spendere bene il tempo scolastico. L’uso del tem-po ha un alto valore simbolico perché svela in che modo l’insegnante si pren-de cura degli allievi. Ma il “lavoro ben

fatto” è tuttavia soprattutto una impor-tante categoria pedagogica. Nel concetto del lavoro ben fatto stan-no l’individuazione di un preciso scopo da raggiungere, la mobilitazione delle capacità personali, la messa alla prova del soggetto che apprende, l’accompa-gnamento dell’insegnante attraverso il sostegno e l’incoraggiamento, e infine la correzione e la valutazione. Attraverso la correzione e la valutazione – gestite con il solido buon senso della persone intelligenti – passano messaggi espliciti e impliciti di profondo rilievo formativo: il confronto con il maestro e cioè con una persona esperta (contra-stando il rischio dell’autoreferenzialità personale), la perfettibilità dell’agire umano (e dunque la consapevolezza della possibilità del miglioramento per-sonale) e il senso di responsabilità verso il proprio lavoro (evitare la persistenza dell’errore).

4. Insegnare ad amareil mondo Oggi serpeggia nei comportamenti so-ciali una forte rischio di regressione: al pericolo di vedere diminuite le risorse disponibili per la propria famiglia e il proprio gruppo ci si arma e ci si blin-da perché non disponiamo di tutte le sicurezze con le quali abbiamo convis-suto nell’illusione che essere durare in modo permanente. La prospettiva del bene comune traballa insidiata da una pericolosa rincorsa al bene non solo privato, ma individualistico.

Vorrei concludere che l’itinerario che mi sono permesso di proporvi trova il suo motivo dominante nell’esigenza di formare mentalità capaci di amare il mondo nello spirito di quell’Amore che proposto dal Cristo stesso come model-lo agli uomini: «Amatevi gli uni e gli altri come io ho amato voi». Imparare ad amare il mondo vuol dire insegna-re a capire che non ci si può salvare da soli, imparando a lottare senza smettere di amare gli uomini, anche coloro che hanno una diversa opinione o sbaglia-no, nella convinzione che anche noi abbiamo la nostra parte di errore non fosse altro per la limitatezza del nostro punto di vista e dei nostri interessi per-sonali e di gruppo.

La copertina del volume “La chiave a stella” di Primo Levi, in una delle sue prime edizioni

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16 Sfida educativa

Sfidaeducativa

Lo scorso 23 marzo, presso l’Istitu-to Maria Immacolata, si è svolto, alla presenza del vescovo Pier Giorgio De-bernardi, un incontro tra i responsabili delle scuole paritarie cattoliche presenti sul territorio della diocesi di Pinerolo. Questi gli altri istituti rappresentati: Casa Angeli (Pinerolo, scuola dell’in-fanzia), Cottolengo (Pinasca, infan-zia), Engim (Pinerolo, professionale), Sacro Cuore (Luserna San Giovanni, infanzia), San Giacomo (Luserna San Giovanni, infanzia), Scuola Mauri-ziana (Torre Pellice, infanzia e prima-ria), Umberto I (Pinerolo, infanzia), Serena (Bricherasio, infanzia), San Secondo di Pinerolo (infanzia), Bi-biana (infanzia).La seduta è stata aperta dal saluto da parte di monsignor Debernardi, il quale, citando alcuni passaggi di “Educare alla vita buona del Vangelo” (Orientamen-ti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020), ha ricordato come l’educazione sia parte integrante della missione ecclesiale. Il vescovo ha spiegato che la Chiesa educa attraverso varie modalità: il sostegno alla famiglia (perché «per i genitori l’educazione è dovere essenziale»); l’operato della par-

rocchia, vero crocevia di istanze educa-tive; la scuola. «La scuola cattolica − ha ribadito monsignor Debernardi − è soggetto ecclesiale a pieno titolo nella vita e nel programma pastorale della diocesi. Oggi ci sono molti motivi in più, rispetto al passato, per dire che la scuola cattolica è strumento prezioso di evangelizzazione nella Chiesa locale. Ma anche all’interno della realtà dioce-sana occorre superare le forme di estra-neità e di indifferenza».Il vescovo ha poi proseguito il suo di-scorso affermando che la ragione pri-maria della convocazione dei dirigenti e dei responsabili delle scuole paritarie cattoliche risiede nel fatto che «allean-dosi, si diventa più forti nel dialogo con le istituzioni. Desidero che vi met-tiate in rete per potervi confrontare, per unirvi alle altre realtà scolastiche cattoliche a livello provinciale e regio-nale. A questo proposito, vi ricordo che il 21 aprile si terrà a Torino la prima Conferenza Regionale sulla Scuola». Nel successivo giro degli interventi, di-rigenti e responsabili hanno sottoline-ato esigenze diverse e complementari: il fatto che «la rete non sia solamente uno slogan, ma un soggetto portavoce,

Istituto Maria Immacolata.Incontro dei responsabili delle scuole paritarie cattoliche

Giochiamo di squadradi vinCenzo Parisi

capace di trattare con peso maggiore sia con le istituzioni, sia con le fami-glie e con le altre realtà sociali; la rete non è da vedersi solo come occasione di formazione e di aggiornamento, ma come opportunità per crearci strumen-ti utili ad affrontare le difficoltà»; «la rete dovrebbe avere come scopo quello di essere una guida; il confronto ci dà stimoli; la rete delle scuole cattoliche non deve ignorare quella delle scuole statali». Al termine dell’incontro, mon-signor Debernardi ha tratto le conclu-sioni, affermando che la rete deve porsi come obiettivi quelli di «fare formazio-ne; dare più peso alla nostra presenza; offrirci reciproca consulenza; ripararci dalle cadute; risolvere problemi prati-ci; gestire insieme dei servizi; orientare le famiglie; farci dialogare tra noi e far dialogare le famiglie tra loro». La prima pietra è stata posata. Si tratta ora di impegnarsi attivamente affinché la rete diocesana delle scuole paritarie cattoliche non resti solo un bel sogno, ma si traduca al più presto in una con-creta (ed efficiente) realtà. Il prossimo incontro è previsto per ve-nerdì 13 aprile, alle ore 17:30, presso l’istituto Murialdo a Pinerolo.

Il gruppo dei partecipanti con il vescovo di Pinerolo, Pier Giorgio Debernardi.

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17Missionari digitali

L’antico filosofo greco Platone, in uno dei testi più famosi, il “Fedro”, raccon-ta che nell’antico Egitto il dio Teuth, inventore della scrittura, presenta la sua invenzione al re Thamus. Ma la scrit-tura non piace, perché con essa i gio-vani, secondo Thamus, potranno fare a meno degli insegnamenti orali del loro sovrano e ridurranno l’uso della loro memoria. Oggi queste pagine di Platone fanno sorridere se solo pensiamo a quanto la scrittura è diventata uno strumento di conoscenza. Possiamo anche immagi-nare che molte conquiste del progresso non sarebbero state possibili senza la scrittura. Ma in fondo, ieri come oggi, l’uomo ha sempre temuto i nuovi mez-zi di comunicazione e così l’introdu-zione della fotografia, della radio e del cinema, ogni volta, sono stati accompa-gnati da aspre critiche e da paure spesso immotivate. Ora tocca ai “nuovi media” (il compu-ter, internet, i cellulari, l’iPod...) essere identificati come i nemici della cono-scenza, della cultura e delle relazioni autentiche fra gli uomini. I giovani nati a partire dagli anni Novanta di solito hanno un buon rapporto con le nuo-ve tecnologie, semplicemente perché ci sono cresciuti insieme: sono i nativi di-gitali. Le modalità con cui questa gene-razione apprende sono profondamente diverse: si parla di “homo zappiens” come termine che identifica una gene-razione che ha avuto accesso al mondo tramite il pc e lo schermo attraverso modalità iconiche. I comportamenti di apprendimento dei nativi digitali sono caratterizzati da un forte desiderio di esprimersi e di per-sonalizzare le proprie scelte e interessi, di condivisione costante dell’informa-zione con i coetanei, con cui si vuole stare connessi in modo continuo. Gli spazi virtuali, che i ragazzi abitano, non sono più semplicemente sussidi tecno-logici, ma stanno sempre più diven-tando veri e propri ambienti formativi.

Il tempo non è più guardato nella sua durata, cioè come successione omoge-nea che si distende tra passato, presente e futuro, ma come attualità; è ridotto all’immediatezza quasi impercettibile dell’istante. Rispetto allo spazio si assi-ste al superamento della distinzione di ciò che è vicino e lontano in termini fisico-geografici. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), lungi dall’essere semplicemente strumenti tecnici, pon-gono sfide nuove all’educazione:• gli educatori devono riconoscere la multidimensionalità dell’esperien-za di apprendimento: la conoscenza, l’apprendimento, lo sviluppo stesso della persona sono dati, oggi, anche dall’esperienza autonoma, mediata dal-le nuove tecnologie;• occorre valorizzare nell’azione edu-cativa la centralità dell’evento comu-nicativo e la dimensione emozionale-affettiva: le tecnologie amplificano la possibilità di comunicare, superando ogni vincolo spazio-temporale, ma nel-lo stesso tempo sollecitano una forte domanda di dialogo e partecipazione che può essere soddisfatta riscoprendo, nei contesti formativi, vicinanza affetti-va, scambio emozionali, senso dell’ac-coglienza e dell’ascolto, empatia;• condividere un approccio alla cul-tura intesa come sistema dinamico di simboli che si incrementa, grazie ai nuovi linguaggi che non sostituiscono, ma integrano, arricchiscono, danno nuova vitalità e ricchezza a quelli della tradizione;

• emerge una nuova forma di creati-vità culturale che potrebbe definirsi in-tercreatività. Sul web dovremmo essere in grado non solo di trovare ogni tipo di documento, ma anche di crearne facilmente. Non solo di seguire i link, ma di crearli, tra ogni genere di media. Non solo di interagire con gli altri, ma di creare con gli altri. L’intercreatività vuol dire fare insieme cose o risolvere insieme problemi. Si auspica una “new media education” come sfondo all’edu-cazione alla cittadinanza in quanto portatrice di una presa di coscienza che permette una partecipazione più diffusa alla convivenza civile. Per tutto questo la competenza digitale è stata ritenuta dal Parlamento Europeo e dal Consi-glio d’Europa tra le competenze chiave per realizzare nella scuola una forma-zione significativa che prepari i giovani a integrarsi in modo efficace nell’Eu-ropa della conoscenza. La competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecno-logie della società dell’informazione per il lavoro, il tempo libero e la comunica-zione, ed è supportata da abilità di base nelle ICT, in particolare la capacità di utilizzare il computer per reperire, va-lutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni, nonché per comunicare e partecipare a reti collabo-rative tramite internet. La competenza digitale è alla base della cittadinanza digitale, che è l’estensione naturale, il completamento e l’interpretazione glo-bale delle nuove forme di interazione e di vita sociale e politica.

Il rapporto odierno tra giovani e nuove tecnologie

Educare... on line! di suor adriana ussegLio

Missionaridigitali

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18 Giustizia e Pace

Definire un programma di lavoro per la congregazione appare ancora prema-turo, per ora ci sentiamo di proporre degli spunti operativi per sollecitare la riflessione di tutte le comunità.Gli ambiti di intervento che abbiamo individuato come commissione sono tre ed in specifico: lotta alla povertà, diffusione della sobrietà, supporto al «caro prossimo».

Lotta alla povertà.In questo settore possiamo attivare azioni concrete in almeno tre direzioni: raccolta e distribuzione di cibo; orti di solidarietà; casa.Raccolta e distribuzione di cibo. • Obiettivo: “Nessun chicco di grano

vada sprecato”. • Situazione: esistono organizzazio-

ni che raccolgono il cibo; esistono iniziative nelle parrocchie; la Ca-ritas diocesana ha un elenco delle famiglie in difficoltà. Per iniziare: qualora si intenda attivare un’ini-ziativa per la raccolta e distribu-zione di alimenti occorre: definire criteri ed elenco famiglie; attivare una raccolta di alimenti prima della celebrazione eucaristica; richiedere a supermercati e aziende alimentari gli alimenti non più commerciabili; contattare il Banco Alimentare.

Orti di solidarietà.• Obiettivo: “Rendere più autonomo

chi è in difficoltà”.• Per iniziare: avendo già definito

l’esistenza di famiglie in difficoltà, una delle modalità di aiuto può essere individuata nell’assegnazioni di piccoli appezzamenti di terreno per creare degli orti: verificare se il Comune o la Diocesi o altri soggetti hanno terreni di proprietà; richiede-re la disponibilità per una iniziativa di solidarietà di una quota per av-viare l’esperienza; definire criteri di suddivisione e di priorità; attivare un bando per le famiglie in difficoltà.

Casa.• In questo ambito si può cercare di

intervenire per le situazioni di estre-ma emergenza (persone senza fissa dimora o che vivono in ex strutture industriali abbandonate).

• Per iniziare: verificare con la Prote-zione Civile la disponibilità di con-tainers e di un’area attrezzata per collocarli.

Diffusione della sobrietà.La crisi economica può essere occasione per rivedere modelli di consumo.In questo ambito due possibili iniziati-ve: “Io Recupero” e patto tra produttori e consumatori.

Povertà, sobrietà e carità: alcune proposte operative

È tutto un programma!di vaLerio veCChiè

“Io Recupero”.• Obiettivo: “Dall’usa e getta al recu-

pero”: verificare se esistono sul ter-ritorio associazioni che recuperano del materiale (ad es. vestiti); orga-nizzare corsi di recupero e riutilizzo di tutto ciò che può essere ancora utile.

Patto tra produttori e consumatori.• Per sviluppare la sostenibilità occor-

re iniziare dal cibo e ritornare alla dieta propria del nostro territorio, i cui elementi essenziali sono pasta, riso, frutta, verdura e legumi.

• In questo ambito, una collaborazio-ne tra contadini locali ed abitanti può essere decisiva per remunerare il loro lavoro ed acquistare prodotti buoni e a prezzi bassi.

• Occorre: verificare se esistono grup-pi di acquisto solidale; promuovere la cultura del cibo sostenibile per-ché ha minor impatto sull’ambiente ed è più salubre.

Supporto al «caro prossimo».Molto spesso le persone in difficoltà sono “invisibili” perché presi dalla no-stra vita abbiamo difficoltà a trovarle e perché si trovano in strutture (es. case di riposo) chiuse, lontane dai nostri oc-chi. Dobbiamo rendere visibile il «caro prossimo» e aiutarlo con la parola, il sorriso, l’ascolto.

Giustizia & Pace

ANALISI SCHEDE COMUNITÀNei mesi scorsi La commissione Giustizia e Pace ha inviato ad ogni comunità un questionario, avente per oggetto il numero dei componenti dei vari gruppi e il genere di attività svolte.Ecco, qui sotto, i dati raccolti.

Collaborazione con la Caritas

Accoglienza

Visita in carcere

Doposcuola

Visite a domicilio

Mensa

Comunità residenziali

Raccolta fondi

Missioni

Distribuzione di cibo

Schede pervenute: 10

Componenti gruppi: Inferiori a 5 ................. 3Tra 6 e 15 ..................... 1Tra 16 e 30 .................. 2Più di 30 ......................... 3

(una comunitànon ha indicatoil numero di componenti)

Attività 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

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19Giustizia e Pace

C’era anche una delegazione di suore e laiche della nostra congregazione il 25 marzo scorso ad Aosta, dove si è tenuto l’incontro delle commissioni Giustizia e Pace funzionanti o in via di costitu-zione presso le varie realtà che compon-gono la Federazione Italiana delle Suore di San Giuseppe. È stato un momento di riflessione, studio, gioiosa convivia-lità fraterna, nel quale abbiamo anche potuto rivivere la storia del processo di sempre più marcata attenzione alla va-lutazione critica e propositiva dei pro-blemi sociali che caratterizza in tutto il mondo le religiose impegnate a vivere oggi il carisma di padre Médaille. Con l’aiuto di diapositive elaborate a Torino e dei ricordi di suor Graziella di Cuneo, abbiamo rivissuto la storia della commissione internazionale Giustizia e Pace, che ha preso le mosse nel 2008 proprio da un incontro a Le Puy, la “culla” del Piccolo Disegno. Abbiamo rievocato le giornate di studio che la commissione federale italiana di Giu-stizia e Pace aveva organizzato a Torino nel 2009, 2010 e 2011 con don Luigi Ciotti, il sociologo Franco Garelli, la dott.ssa Daniela Sironi della Comuni-tà di Sant’Egidio. Abbiamo ricordato l’impegno della ONG in cui suor Gri-selda Martinez è succeduta a suor Carol Zinn come rappresentante all’ONU, per fare proposte di promozione uma-na (l’ultimo contributo ha riguardato il contrasto alla tratta di persone ridotte in schiavitù). Abbiamo visto che l’im-pegno del nostro Capitolo della scorsa estate, la sua attenzione, sentita come parte integrante della spiritualità cri-stiana, ai problemi sociali e all’integrità del creato, lo slancio nel coinvolgere i laici nella commissione Giustizia e Pace della congregazione di Pinerolo, la scel-ta di far presiedere da un laico la com-missione stessa... Non sono dei fatti isolati che riguarda-no soltanto noi pinerolesi; si inserisco-

Aosta. Lo scorso 25 marzo,incontro nazionale delle commissioni Giustizia e Pace

Insieme, per rinnovare la Chiesadi anna Maria goLFieri

no infatti in un cammino responsabile e gioioso che in ogni continente vuole esprimere una grande for-za di amore e comunione difendendo l’uomo, il più piccolo, il più povero, quello che patisce violen-za, che è espropriato dei propri diritti. Il lavoro di Aosta ha affondato le sue radici nella preghiera e nell’ascolto della Parola di Dio. Suor Nicoletta Dan-na, della congregazione di Aosta, ha aiutato a pregare meditando il messaggio di Benedetto XVI per questa Quaresima, che ci invita a prestare attenzione gli uni agli altri. Silvio Salussonia, di Pax Christi, partendo da una riflessione comune sul Vangelo della quinta domenica di Quaresima, ha evidenziato che Gesù, morto in cro-ce per la salvezza di tutti, ha trovato le ragioni della nonviolenza nella volontà del Padre; Gesù, mandato dal Padre a vivere in un angolo silenzioso e perife-rico del mondo, ci insegna a partire dal piccolo, concreto impegno quotidiano (alternativo alla rivoluzione violenta) per non partecipare alla prepotenza dei forti sui deboli. Occorre anzitutto in-formarsi, studiare, imparare a ragionare per ricercare le cause di fenomeni che non sono dovuti al caso, ma discendo-no da precise responsabilità (come, ad esempio, lo sfruttamento economico del Nord del mondo nei confronti di un Sud dove si muore per fame o ma-lattie che sarebbero curabili). Bisogna ricorrere a fonti che diano in modo si-stematico e corretto notizie taciute dai media funzionali a precisi interessi eco-nomici; e tra queste fonti, la stampa e i siti dei religiosi, dei missionari hanno un ruolo fondamentale. Nel dibattito

abbiamo potuto raccontare come la Chiesa pinerolese sia aiutata ad educarsi alla mondialità dalle nostre suore mis-sionarie e da tutti i missionari, a partire da don Giovanni Piumatti che dirige l’ufficio diocesano Missioni risiedendo in Congo; sul tema delle spese milita-ri che sottraggono denaro pubblico a quelle sociali, abbiamo parlato della presa di posizione del nostro consiglio pastorale diocesano contro la costru-zione dei cacciabombardieri F35. Nello scambio pomeridiano abbiamo dato comunicazioni sulle varie aree di gra-duale impegno individuate dalla nostra commissione, cercando di contribuire a mettere in pratica l’invito rivolto da Sa-lussonia al mondo delle congregazioni giuseppine: tener vivo l’attuale spirito di “circolarità”, di condivisione delle risorse e delle esperienze, di correspon-sabilità, di valorizzazione dell’apporto di tutti nella società e nella Chiesa; quello spirito di pace e di dialogo che il cristiano deve coltivare continuando a camminare sulla strada indicata dal Concilio Vaticano II.

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20 Missio-news

Argentina.

Notizie e auguri pasqualidi suor aMedea vaLsania

Con le foto desideriamo far arrivare per mezzo del notiziario “Orizzonti di Speranza”, gli auguri di una lieta e santa Pasqua e tanti cari saluti da tutte le Suore di San Giuseppe di Pinerolo in Argentina. Il 3 marzo scorso, alla presenza di madre Gabriella Canavesio, durante la celebrazione eucaristica la junior Karina Bordón ha rinnovato i voti religiosi in un clima di famiglia e con molta gioia. Un fraterno abbraccio da tutte noi.

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21Missio-news

Brasile. In cammino verso la prossima Giornata Mondiale della Gioventù

2013, stiamo arrivando!Nei tre giorni precedenti il Natale, Feira de Santana ha accolto la croce e l’icona di Maria, simboli della Giornata Mon-diale della Gioventù, che stanno percorrendo in questi mesi tutte le diocesi del Brasile, in preparazione al grande incon-tro previsto nel 2013. Abbiamo partecipato tutte e cinque all’ingresso nella cattedrale e alla celebrazione eucaristica; poi, suor Penha e le due novizie hanno vissuto con emozionante gioia anche gli altri momenti di pellegrinaggio, di preghiera e di canto con i giovani. Ecco le foto!

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22 Notizie di famiglia

Un bel gruppo di persone, domenica 18 marzo scorso, ha raggiunto la basilica di San Maurizio per festeggiare il caro San Giuseppe: la chiesa era gremita. Una vera gioia ci ha riempito il cuore nel costatare come il carisma cammini e ci preceda... I Laici del Piccolo Disegno che hanno partecipato alla celebrazione eucaristica erano famiglie con bambini piccoli, giovani, adulti, anziani, nonni, nonne e nipotini. San Giuseppe ci aspettava dall’alto del-la ridente collina per colmarci dei suoi doni. Egli, l’umile falegname di Na-zareth, accanto alla sua sposa, Maria, accoglieva ognuno di noi. Ho pensato: “Come sarebbe bello che le nostre fa-miglie assomigliassero un po’ a quella di Nazareth! Che i problemi del lavoro e della crisi economica trovassero un sostegno nella fede e nella preghiera di Giuseppe! La sua è una fede ecceziona-le, perché lui l’ha resa tale, infatti non c’era niente di eccezionale nella sua vita. Anche la sua preghiera era sem-plice, fatta di colloquio con i Tre e con Quel Bambino che aveva in casa sua, una preghiera che nasceva in una bot-tega artigiana”.San Giuseppe, l’uomo del silenzio, ora ci parla. Credo proprio che in questa vigilia della sua festa abbia parlato a cia-scuno nel cuore... soprattutto alle tante famiglie che erano lì a pregarlo. E la sua voce ha trasformato i volti, rendendo

quel 18 marzo 2012 un giorno pieno di gioia. Tutti hanno collaborato a costru-ire questa gioia, a partire dal coro dei Laici del Piccolo Disegno di Druento, poi il ricordo del quarto anniversario della morte di Chiara Lubich, felice e provvidenziale coincidenza nell’incon-tro di due carismi molto simili, quello del Focolarini e il nostro: un solo Amo-re, una sola dedizione al prossimo! Incontro... Che cosa vorrà dirci il Si-gnore attraverso San Giuseppe?Don Massimo Lovera, il parroco di San Maurizio, ha ricordato il grande santo e, parlando del Piccolo Disegno di pa-dre Médaille, ha sottolineato la bellez-

Pinerolo.Il 18 marzo scorso, festeggiato il patrono

Viva San Giuseppe!di suor MireLLa PiCCo Botta

za dei doni che lo Spirito suscita nella Chiesa. Le numerose intenzioni che si sono poi succedute, sia da parte dei Laici del Piccolo Disegno sia dei Focolarini, testimoniavano quella ricerca di unità che è il desiderio struggente del nostro cuore e che San Giuseppe ci ha regala-to. Dopo la celebrazione eucaristica, ci siamo ritrovati tutti nel refettorio della Casa Madre per un allegro “apericena”. Ognuno dei partecipanti aveva qual-cosa da dire, da comunicare agli altri. Che bello! Dopo due ore, circa, nessu-no si decideva ad andar via... Eppure bisognava tornare a Torino, a Druento, a Villafranca, a Vinovo, oppure scen-dere semplicemente all’Istituto Maria Immacolata, per correggere i compiti e preparare la lezione del giorno dopo. «Ciao, ciao, siamo contenti, fatelo di nuovo, arrivederci». Questo era il vo-ciare di saluti, che a stento si distingue-va. Abbiamo condiviso soprattutto la gioia dello stare insieme, di sentirci un’unica famiglia: suore, Laici del Piccolo Dise-gno e... il nostro caro San Giuseppe!

La facciata della basilica di San Maurizio a Pinerolo

Un momento dell’apericena in Casa Madre

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neLLa ConsoLante Certezza

deLLa risurrezione riCordiaMo i nostri Cari deFunti

Suor Ercolina (Enrica Dorigo), nata a Farra di Soligo (TV) il 21 febbraio 1914, deceduta nella casa di Riva di Pinerolo il 22 gennaio 2012 all’età di anni 97, di cui 72 di professione reli-giosa.

Suor Guglielma (Ada Monti), nata a Barbarano Vicentino (VI) il 18 otto-bre 1920, deceduta a Casa Nazareth il 13 marzo 2012 all’età di anni 91, di cui 69 di professione religiosa.

Sig. Vito Marraffa, cognato di suor Mariapaola Pocobello

Sig. Andrea Fogliatto, fratello di suor Andreina

Sig.ra Orsolina Brossa, sorella di suor Annarosa

• Sabato 14 aprile alle ore 20:45 all’Istituto Maria Immacolata, il grup-po teatrale giovanile Imiut metterà in scena “La favola dei saltimbanchi”, rappresentazione scritta da Michael Ende. Ingresso libero. Le offerte saran-no devolute per le missioni brasiliane delle Suore di San Giuseppe di Pinerolo.

• Domenica 22 aprile in Casa Ma-dre, annuale festa di famiglia delle suore e dei Laici del Piccolo Disegno. Dalle ore 9:30 alle 18. Nel pomeriggio, celebrazione eucaristica.• Dal 26 al 29 aprile, incontro fe-derale dei Consigli di Congregazione a Villa San Pietro (Susa).• Dal 25 al 27 maggio a Spotorno, giornate federali di formazione per-manente. • Domenica 3 giugno, incontro di formazione per Suore e Laici del Pic-colo Disegno sul tema “Autorità e ser-vizio”. Dalle ore 9 alle 18.

Corsi di eserCizi sPirituaLi

• 8-16 luglio in Casa Madre (padre Carlo Lanza SJ).• 6-12 agosto a Villa San Pietro (Susa) esercizi federali (don Antonio Scquizzato).• 19-26 agosto in Casa Madre (don Carlo Comba).• 9-16 settembre in Casa Madre (don Oreste).

reFerenti

deLLe sei CoMMissioni CaPitoLari

Carisma: Donatella [email protected]

Pastorale Giovanile e Vocazionale:suor Mariarita [email protected]

Carisma ai Laici: Michele [email protected]

Giustizia e Pace: Valerio Vecchiè[email protected]

Sfida Educativa: suor Silvina [email protected]

Missionari Digitali:suor Adriana [email protected]

aniMatriCi e Coordinatori

dei gruPPi dei

LaiCi deL PiCCoLo disegno

Casa Famiglia (Pinerolo):suor Rinangela Pairotto, Michele Iu-liano e Tonino Picco Botta.

Casa della Giovane (Pinerolo):suor Filippina Fossat e suor Antonietta Basile, Donatella Coalova e Anna Ma-ria Golfieri.

Sentinelle dell’Eucaristia (Pinerolo): suor Claudia Frencia, Giorgio Finello.

Druento (parrocchia):suor Adriana Usseglio, Mauro Berto-lotto.

Piossasco (parrocchia SS. Apostoli): suor Aurora Bianciotto, Maria Borrea.

Torino (parrocchia Gesù Operaio): suor Mirella Picco Botta, Beppe Ma-nazza.

Villafranca (scuola dell’infanzia):suor Consilia Vinci, Sebastiano Chial-vo.

Vinovo (scuola dell’infanzia):suor Rosanna Pipino, Gabriella Gai.

Notizie di famiglia

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Signore, che nessun nuovo mattino venga ad illuminare la mia vita senza che il mio pensiero si volga alla tua resurrezione e senza che in spirito io vada, con i miei poveri aromi, verso il sepolcro vuoto dell’orto! Che ogni mattino sia, per me, mattino di Pasqua! E che ogni giorno, ogni risveglio, con la gioia della Pasqua, mi giunga anche la conversione profonda, quella che sappia, in ogni situazione e in ogni persona, conoscerti come vuoi essere conosciuto oggi, non quale mi sembrasti ieri, ma quale ti mostri a me adesso. Che ognuno dei miei risvegli, sia un risveglio alla tua presenza vera, un incontro pasquale col Cristo nell’orto, questo Cristo talvolta inatteso. Che ogni episodio della giornata sia un momento in cui io ti senta chiamarmi per nome, come chiamasti Maria! Concedimi, allora, di voltarmi verso di te. Concedimi di rispondere con una parola, dirti una parola sola, ma con tutto il cuore: «Maestro mio!»

(un monaco della Chiesa d’Oriente)

BuonaPasqua!