Commento e letture per i lettori del mese di giugno · Il sangue asperso significa comunicazione...

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2018 CLAUDIO Unità Pastorale Barbarano, Mossano. Commento e letture per i lettori del mese di giugno ANNO B

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2018

CLAUDIO

Unità Pastorale Barbarano, Mossano.

Commento e letture per i lettoridel mese di giugno

ANNO B

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SS. Corpo e Sangue di Cristo03 giugno 2018

Il racconto della conclusione dell’alleanza al monte Sinai (Es24,3-8) non appartiene all’immediato contesto letterario di Es24: infatti, se nella lettura si saltano i vv. 3-8, tutto scorremolto meglio, in quanto si sta parlando dell’ascesa verso ilSignore da parte di Mosè con Aronne, Nadab e Abiu esettanta anziani d’Israele. I vv. 3-8 si riferiscono piuttosto alleparole che Dio ha detto a Mosè dopo che si è avvicinato almonte insieme al popolo (Es 19), dopo che il Signore haparlato a tutti direttamente (Es 20,1-18), e dopo che il popoloha chiesto a Mosè di ascoltare personalmente le parole delSignore e riferirle, cosa che Mosè ha fatto (Es 20,19-21).Dopo che Dio gli ha parlato, Mosè va a «riferire al popolotutte le parole del Signore e tutte le norme». Come la primavolta (Es 19,8),«tutto il popolo rispose a una sola vocedicendo: “Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi lieseguiremo». A questo punto Mosè scrive le parole delSignore, poi prepara il rito della stipulazione dell’alleanza. Lapreparazione è molto laboriosa, tanto che Mosè deve alzarsidi buon mattino e farsi aiutare da alcuni giovani. Innanzituttoprepara l’altare, ammucchiando delle pietre grezze. Poiraddrizza dodici pietre di forma allungata e le sistema, forsein cerchio, in modo da farne altrettante stele simboliche delletribù di Israele. I giovani sono incaricati di offrire sacrifici.Questi sono di due tipi: olocausti e sacrifici di comunione. Sisuppone quindi che sull’altare arda il fuoco, con abbondantelegna secca portata in precedenza. La preparazione è anchevolta a rendere disponibile una quantità di sangue per il ritodi aspersione. Il sangue simboleggia la vita, e la presenza diDio a cui la vita appartiene. È vita non più racchiusa in un corpo, ma disponibile ad essere usata, assunta, rendendo vitalicoloro che la ricevono. È energia vitale, che sgorga da Dio, qualcosa di sommamente santo. Il rito vero e proprio consistenella lettura del libro della legge, seguito dall’assenso di tutto il popolo che si impegna ad osservare quanto ha appenaascoltato, a farne regola della sua vita. Il rito raggiunge il suo culmine quando Mosè asperge il popolo con il sangue, unaparte del quale aveva versato sull’altare. Le parole che pronuncia fanno vedere («Ecco»), e quindi conoscere, essendonetoccati, il sangue che sigilla l’alleanza stipulata da Dio con il popolo. Il sangue asperso significa comunicazionedell’energia vitale da parte di Dio: Dio stringe a sé il popolo in un vincolo che lo rende in qualche modo consanguineo,consorte della storia di Dio, e perciò a lui consacrato, sacro-santificato. Tutti questi significati si unificano misteriosamente,facendo del popolo la segullâ divina, il suo patrimonio personale. In 2 Re 23,2-3 la conclusione dell’alleanza tra il re Giosiae il popolo, verosimilmente nel 622 a. C., viene narrata usando una terminologia simile a Es 24,3-8. Forse l’evento delSinai ricalca il rito che sancisce la riforma deuteronomista, rito a sua volta modellato sui patti di vassallaggio stipulati dagliAssiri con i popoli che a loro si sottomettevano. Anche in Dt 27,4-10 e in Ne 8,1-12 si trovano resoconti di stipulazioni dipatti tra Israele e Dio. In tutti questi resoconti però non si fa menzione del sangue, che viene riservato per le aspersioni delrito della espiazione nel settimo mese. In 2 Cr 30,16 l’aspersione con il sangue viene fatta in occasione della celebrazionedella Pasqua sotto Ezechia, su quanti non si erano ancora purificati. Nel Nuovo Testamento, è la lettera agli Ebrei ariprendere il rituale della conclusione dell’alleanza (9,19), mettendo in evidenza l’importanza decisiva che il sangue ha inesso nel quadro della liturgia di Israele, come segno e strumento della santificazione operata da Dio.Ancora Eb 11,28ricorda che l’aspersione con il sangue viene effettuata durante la Pasqua: «Per fede, egli [Mosè] celebrò la Pasqua e fece

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l’aspersione del sangue, perché colui che sterminava i primogeniti non toccasse quelli degli Israeliti». In questo modo ilsangue dell’agnello assume una funzione che si fonde con quella espiatoria, come si vede in 1Pt 1,2: «Pietro, apostolo diGesù Cristo, ai fedeli che vivono come stranieri, dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadòcia, nell’Asia e nellaBitinia, scelti secondo il piano stabilito da DioPadre, mediante lo Spirito che santifica, perobbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi dal suosangue: a voi grazia e pace in abbondanza»; e in Eb12,24: «Vi siete accostati [...] a Gesù, mediatoredell’alleanza nuova, e al sangue dell’aspersione,che è più eloquente di quello di Abele», in Rm3,25: «È lui [Gesù] che Dio ha stabilitoapertamente come strumento di espiazione, permezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazionedella sua giustizia per la remissione dei peccatipassati». Nel rituale sacerdotale il sanguepurificava gli strumenti stessi della comunione traIsraele e Dio: il tempio e l’altare, che ne venivanoaspersi nel Grande Giorno dell’Espiazione, in cui siristabiliva l’alleanza con Dio, infranta durantel’anno dai peccati degli Israeliti. L’assommarsi deisignificati dell’aspersione con il sangue nel corso

della storia della salvezza mostra la rilevanza e prepara a unacomprensione più approfondita delle parole di Gesùnell’istituzione dell’eucaristia come celebrazione della suaPasqua, e dell’Alleanza nuova da lui conclusa nel suo sangue.

Salmo responsoriale Sal 115 (116)Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore.- Il salmista del Sal 115 rende grazie perché il Signore gli harisposto quando in mezzo alla tribolazione lo ha invocato. Perquesto solleva il calice della celebrazione della vittoria,invocando il nome del Signore. Il parallelismo con il v. 16 («Ate offrirò un sacrificio di lode e invocherò il nome delSignore») suggerisce di interpretare il calice come pieno divino per una libagione sacrificale, offerta in adempimento di unvoto (cfr. Nm 15,5-7). È un contesto di gioia, di esultanza perla salvezza donata da Dio in mezzo a una situazione disperata.Per questo il salmista può dire: «Agli occhi del Signore èpreziosa la morte dei suoi fedeli», non nel senso che gli piace ela cerca, ma proprio il contrario: gli costa tanto che non lavuole, non può accettare che i suoi fedeli muoiano. Per questoha salvato il salmista dalla rovina. La terza strofa parlachiaramente di sacrificio (di «lode», non di «ringraziamento»),

e in questo senso si collega alla prima lettura, suggerendo che l’accoglienza dell'alleanza, sancita dai sacrifici, è rispostapiena di gratitudine alle grandi meraviglie operate da Dio per il suo popolo. Meraviglie di cui l’offerta dell'alleanza («Ora,se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli;mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa», Es 19,5-6) è il compimento e ilculmine.

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Nei capitoli 8-10 della lettera agli Ebrei l’autore mostracome dal nuovo Sacerdote prende origine una nuovaliturgia, della quale l’antica era ombra e figura: qui trovaposto la lettura odierna (Eb 9,11-15). Come ognisacerdote, anche Cristo ha qualcosa da offrire. Ma ilsommo sacerdote dell’antica alleanza entrava nelSantuario costruito sulla terra con sangue altrui. Cristoinvece entra nel Santuario del cielo con il proprio sangue,procurando così per tutti una redenzione eterna, perchéegli offre se stesso, con uno spirito eterno, a differenza diquanto si faceva nell’Antico Testamento. Mentre infattinell’AT il sacerdote rimaneva esterno all’immolazionedelle vittime, necessaria per ottenere il sanguedell’espiazione, il sangue di Cristo è segno del dono cheegli fa di se stesso; non la perdita forzata della vita dianimali, ma il libero dono di sé, compiuto nella pienezzadello Spirito. Inoltre, da una parte la sua morte diventa lospartiacque che separa la nuova dall’antica alleanza;dall’altra manifesta la nuova misura in cui si rivelapienamente il disegno di Dio: non più sacrifici di vitealtrui, che Dio non gradisce, ma il pieno compimentodella sua volontà, nella fedeltà fino alla fine, fino allamorte. È questo il fondamento logico dell’argomentazionedell’autore: già nell`Antico Testamento, nel Salmo39(40), un personaggio misterioso, parlando con Dio,aveva rivelato che Dio non gradiva olocausti e vittime per la colpa, ma gli aveva aperto gli orecchi; e a questo punto sipresentava a lui, come già il profeta Isaia, dicendosi pronto a «venire» per fare la sua volontà - così del resto era scritto nellibro della legge (cfr. Eb 10,5-7, che cita Sal 39/40,7). L`unità di donante, dono e donazione, realizzata da colui che solopuò offrire se stesso con uno spirito eterno, è il luogo dove si compie la divina liturgia e si riceve la santificazione:«Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre» (Eb10,10). D’altra parte, il cambiamento operato sul testo masoretico dall’autore della lettera agli Ebrei (invece di «mi haiaperto gli orecchi» scrive: «un corpo invece mi hai preparato») non altera il suo significato: «mi hai aperto gli orecchi»perché io possa ascoltare («ascolta, Israele»), amando «il Signore, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze»(Dt 6,4), con una obbedienza che vale più di tutti i sacrifici (1Sam 15,22). Cristo unisce in sé l’obbedienza e il sacrificio,vero Isacco, la cui obbediente disponibilità era ritenuta potente intercessione presso Dio in vista dell’espiazioni di tutti ipeccati. È significativo anche il fatto che l’epoca del Secondo Tempio attribuisca valore sommo ad un rito, il ritodell’espiazione, che in antico non veniva nemmeno nominato (le tre feste di pellegrinaggio erano la festa degli Azzimi, lafesta della Mietitura, la festa del Raccolto: Es 23,14-17; Dt 16,16; cfr. 1Re 9,25). E inoltre, che in questo rito si concentriper così dire tutta la varietà dei sacrifici espiatori che spesso comprendevano l’offerta di un agnello. Il rito dell`espiazioneappartiene alle celebrazioni per l’anno nuovo (viene celebrato il decimo giorno del settimo mese, tra la festa del primogiorno e la festa delle Capanne, a partire dal quindicesimo giorno, cfr. Lv 23,23-43), e porta con sé un’idea diristabilimento del rapporto con Dio, che purifica Israele da tutte le impurità dell’anno precedente e lo invita di nuovo avivere una vita santa. Esso segue la festa delle Settimane, che celebra il dono dell’alleanza, e precede la festa delleCapanne, in cui si celebra il dono della legge. Sorprende comunque l’accento che l’autore pone sull’eternità dellaredenzione e dell’eredità. Nel brano si collegano allo spirito eterno con cui Cristo offre se stesso, e al santuario del cielo(cfr. Eb 9,24) dove lui è entrato. Così si mostra la divina infinita potenza dell’atto di Cristo, che santifica coloro che sonochiamati a servire il Dio Vivente. In questo modo nel gesto di Cristo è già chiaramente contenuto quanto viene esplicitatoin Eb 10,36: «Avete solo bisogno di perseveranza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso»(cfr. Eb 13,21: compiere la volontà di Dio è la grande esortazione della seconda parte della lettera).

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Quanto Cristo ha compiuto attende nei suoi discepoli lo stesso movimento, lo stesso perseverante e fedele servizio. Inquesto modo si compie in loro la santificazione che il Cristo ha donato a tutti.

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Delineiamo il percorso proposto dalle letture:

La liturgia invita a riflettere sul significato del donoche Gesù fa di sé alla sua comunità: corpo e sanguerichiamano il dono della sua vita, consumata fino allafine «per noi e per la nostra salvezza». Nel linguaggiodella Bibbia questo mistero rappresenta il grandeprogetto che Dio va costruendo nella storia degli uominie che prende il nome di "alleanza”: un patto che Dio havoluto e continua a volere con l’umanità e, attraverso diessa, con tutta la “creazione” affinché diventi «un solocorpo» mediante l’amore. L’eucaristia è il memoriale”di questo eterno progetto divino, che trova realizzazioneattraverso Gesù. Il vangelo collega il dono che Gesù fadi sé all'alleanza che Dio vuole costruire con tuttal'umanità. Il vangelo parla dunque di relazione, dicomunione tra persone, e di vita che viene così messa incircolo. Il suo gesto dello spezzare il pane e dell’offrireil calice del vino diventa interpretazione anticipata dellasua morte e del significato di tutta la sua vita. Lamemoria del rito che conclude l'alleanza che Dio offre alsuo popolo, nella prima lettura, è figura dell’eucaristiacristiana: l'aspersione del popolo con il sangue dellavittima offerta in sacrificio esprime simbolicamente ilfatto che Dio rende la vita a coloro che gliela offrono. lnquesto stesso senso la seconda lettura chiarisce ilrapporto tra fede cristiana e la tradizione biblica cheprecede: i sacrifici antichi sono ora sostituiti dal donoche Gesù ha fatto di sé. Egli dunque è anche l'unicosacerdote.

Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell’Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua,fa’ che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, per sentire sempre in noi ibenefici della redenzione.

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X domenica del tempo ordinario10 giugno 2018

La parte del testo della Genesi che si legge oggi (Gen3,9-15) non sembra seguire l’articolazione letterariadel racconto biblico, ma prenderne semplicementeuna parte, più per interesse tematico che secondo losviluppo del racconto originale. Inoltre, come testotra i più famosi dell’Antico Testamento, la pericopeodierna si apre a commenti che vanno in direzionidiverse, con il rischio di confusione per gli interpreti.Sembra che intenzione di coloro che hanno sezionatocosì il testo sia di mettere in evidenza la figura delserpente. Retrospettivamente, la donna dice di esserestata da lui ingannata. Il Signore Dio commina a luiper primo il castigo della colpa, castigo cheraggiungerà in seguito rispettivamente prima la donnae poi l’uomo. La prima parte del brano sembra unainchiesta poliziesca. Dio non trova più l’uomo e lochiama. Le prime informazioni su questo indizio diuna crisi nel rapporto (il nascondersi, effetto dellapaura causata a sua volta dalla percezione dellapropria nudità) vengono date dall’uomo stesso, ilquale deve rispondere alle deduzioni operate da Dio:«Chi ti ha fatto sapere...? Hai forse mangiato...?».Risalendo dalle conseguenze alle cause, Dio viene asapere che all’origine del mangiare dell’uomo c’è laconsegna del frutto da parte della donna, che faseguito al mangiare di lei e all’inganno del serpente.Il procedimento letterario riesce a mettere in rilievo la

responsabilità del tentatore per quanto hanno fatto la donna, el’uomo con lei. Mentre con la donna aveva preso l’iniziativa diparlare, davanti a Dio il serpente non ha niente da dire. Assenzatotale di comunicazione che significa anche condanna a morte delpartner, affermazione della sua non-esistenza, nella relazione equindi nell’essere. In questo contesto di non-dialogo la storiadiventa luogo della negazione reciproca, luogo dove l`atteggiamentodi fondo prende corpo, si materializza, assume forma. Su questopunto chiave parla solo Dio. Commina al serpente una primamaledizione che lo colloca all’ultimo posto tra gli animali impuri, il

più impregnato di terra e polvere, quella terra e polvere che saranno a loro volta maledette a causa del peccato dell’uomo.La seconda maledizione riguarda il rapporto tra il serpente e la donna, ulteriormente esteso al rapporto con la stirpe delladonna. Ci sarà violenza reciproca, una guerra endemica senza esclusione di colpi da entrambe le parti, senza vinti névincitori. Con queste parole la lettura si interrompe. Il testo offre, tra le altre cose, una spiegazione tradizionale (eziologica)dell’origine di situazioni che possono far sorgere domande: Perché il serpente striscia mentre la lucertola no? Perché tantapaura dei serpenti? Perché sono così pericolosi? Il racconto si è poi arricchito di altri significati, profondamente teologici.In particolare il legame con il peccato e con il suo principio: il demonio, Satana (così viene chiamato in Ap 12,9: «E ilgrande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato

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sulla terra e con lui anche i suoi angeli»). Sembra che per lungo tempo nella tradizione di Israele il termine satana indicasseun ruolo piuttosto che una realtà personale. Si parlava “del” satana come di una figura che espletava la funzione diavversario in un processo (l’avvocato del diavolo, ma senza che si pensasse al diavolo), indipendentemente dalla suaidentità e dai suoi orientamenti decisionali. Soltanto nel post-esilio, insieme con un approfondirsi della coscienza morale,questa figura misteriosa comincia ad emergere, come soggetto che si mette in contrasto con Dio e continuamente gli sioppone. Di conseguenza si pone il problema di come possa esistere tale figura, se Dio, l’onnipotente creatore di tutti gliesseri, ha fatto ogni cosa buona. In Gen 4,6-7 è Dio stesso a parlare a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuovolto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; versodi te è il suo istinto, e tu lo dominerai». Dio chiama l’oppositore di Caino semplicemente con un nome comune, senzaspeculare su di esso. Ma non è qualcosa di astratto, perché viene rappresentato come un animale accovacciato presso laporta di casa, una sorta di cane feroce e rabbioso, e Caino riceve l’ordine di dominarlo, oppure viene assicurato che riusciràa tenerlo sotto controllo. Cosa che poi non avviene: Caino uccide il fratello e niente vien detto sull’influsso del peccato inquesto suo gesto. L’Antico Testamento non solleva il velo di questo mistero, anche se nella letteratura del MedioGiudaismo si ritrovano molti tentativi di spiegazione. Occorre attendere Gesù, il quale a sua volta spiega poco. Piuttosto, edè quanto conta, sconfigge ed elimina la sorgente ultima di ogni male, togliendole il controllo delle sue prede. Dice s. Ireneo:«Cristo ricapitolò tutto in se stesso e così tutto venne a far capo a lui. Dichiarò guerra al nostro nemico e sconfisse coluiche al principio, per mezzo di Adamo, ci aveva fatti tutti suoi prigionieri. Schiacciò il capo del serpente secondo la paroladi Dio riferita nella Genesi: Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: egli ti schiaccerà la testa etu insidierai il suo calcagno (cfr. Gen 3,15). Con queste parole si proclama in anticipo che colui che sarebbe nato da unavergine, quale nuovo Adamo, avrebbe schiacciato il capo del serpente. Questo è quel discendente di Adamo di cui parlal’Apostolo nella sua lettera ai Galati: La legge delle opere fu posta finché venisse nel mondo il seme per cui era stata fattala promessa (cfr. Gal 3,19). Ancor più chiaramente indica questa realtà nella stessa lettera, nel passo in cui dice:“Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4,4)».

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Salmo responsoriale Sal 129 (130)Il Signore è bontà e misericordia. - Scelto come salmoresponsoriale alla prima lettura, il De Profundis sembra messoin bocca ad Adamo ed Eva, dando voce alla trepidazione concui attendono di essere redenti. Non si nascondono più, anzisperano che gli occhi del Signore riescano a trovarli, perriscattarli. Il Salmo 130 è un salmo graduale, cantato durantela salita verso il Tempio, luogo dell'espiazione. L’avvicinarsiquindi è detto dei pellegrini, non della meta che resta sempreal suo posto; ma essi sono coscienti che nessuna ascesa porteràtanto in alto da poter ridare l’innocenza a chi non sa come ci sipossa sollevare dal profondo abisso della colpa. Il salmo peròè pieno di speranza: non perché la sentinella sa che l’aurora inogni caso arriverà («Affrettiamoci a conoscere il Signore, lasua venuta è sicura come l’aurora», sicurezza ipocrita giàstigmatizzata dal profeta Osea), ma perché confida che pressoil Signore vi sia il perdono. Il suo perdono porterà il dono deltimore di Dio.

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Nella prima parte della seconda lettera ai Corinzi Paolo offreai suoi ascoltatori uno sguardo “dall’interno” di quella che è lasua attività di annunciatore del Vangelo. Suo scopo è quello diaiutarli ad apprezzare la sua persona, la ricchezza della suadottrina, il grande amore che ha verso tutte le sue chiese. Cosìsi esprime in 2 Cor 1,13-14: «Spero che capirete interamente -

come in parte ci avete capiti - che noi siamo il vostrovanto come voi sarete il nostro, nel giorno del Signorenostro Gesù». In 2 Cor 3,1-4,6 Paolo mostra la forza dellaconvinzione con cui annuncia il Vangelo, sulla base dellaeminente gloria della nuova alleanza. Ma nei versettiimmediatamente seguenti 2 Cor 4,7-5,10, passa a meditaresul lato oscuro della sua vocazione di evangelizzatore: ifallimenti, le infermità, le persecuzioni che accompagnanocontinuamente il suo ministero. La lettura di questadomenica (2 Cor 4,13-5,1) presenta la reazione di Paolo atale situazione di debolezza: egli raddoppia il suo coraggionell’annunciare il Vangelo. Esordisce citando il salmo chenella traduzione dei LXX sembra proprio descrivere la suasituazione. Sicuro che per il Signore la morte dei suoifedeli è una perdita troppo grande, crede che il Signorenon lo abbandonerà, perfino se dovesse perdere la vita.Per questo, anche se l’annunciare gli costa sangue, eglicontinua nella sua missione. Paolo ha fede che il Signorelo porrà accanto a sé nella gloria, insieme anche aiCorinzi, destinatari dell’annuncio: egli spera che anch’essisi uniscano al grande coro che già sulla terra magnifica leopere di Dio. Effetto di tale fede è una nuova energia chePaolo riceve nell’uomo interiore e che sorregge l’uomo

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esteriore, mentre questo viene meno sotto i colpi delle difficoltà e delle persecuzioni. Essa è generata dalla contemplazionedi ciò che non solo non viene meno in eterno, ma sa dare consolazione anche se invisibile. Paolo continua poi a cercare dirappresentare a se stesso, ricorrendo all’immagine della tenda nel deserto, la vita che continua anche dopo la morte,nell’attesa della risurrezione finale. Quello che conta però, dice in conclusione, e il giudizio su quanto ciascuno avrà fattodurante la sua vita, quindi la ricompensa dei servi fedeli, se avrà continuato ad annunciare il Vangelo senza secondi fini.

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Delineiamo il percorso proposto dalle letture:

La storia umana appare spesso ai credenti come unacontinua lotta tra il bene e il male. E tuttavia nonpossiamo fare nostra una visione manichea della vita,secondo la quale i buoni sono tutti da una parte e i cattivitutti dall'altra. Bene e male si mescolano piuttosto incontinuazione, creando una zona grigia dove il compitoprincipale dei credenti diventa quello del discernimento e,di conseguenza, di un combattimento spirituale per farprevalere il bene. La lotta contro le forze del male chiedespesso fatica e sacrifici, ma la fede ci assicura che Dio nonfarà mancare la sua grazia. In tale lotta ci è da guidal'esempio di Gesù. Nel vangelo siamo oggi posti di frontealla richiesta di riconoscere Gesù: chi è costui? Dondevengono i poteri che egli manifesta? Egli si rivela anche a

noi come “il più forte” nella lotta contro la potenza delmale. Non riconoscerlo significa escluderci dallasalvezza, mentre riconoscerlo, conformando la vita allasua parola e al suo esempio, significa fare la volontà delPadre e formare la sua famiglia. La scena antica dellatentazione da parte del male, riproposta nella primalettura, ci rende consapevoli del fatto che la vitacomporta un continuo confronto con la sua forzaseduttiva, ma ci richiama anche al criterio diorientamento che ci deve guidare: l'amore di Dio chechiede fedeltà. Nella seconda lettura ci è propostol'esempio di Cristo come modello per non scoraggiarci,ma per rinnovare di giorno in giorno la nostro vita

interiore.

Dio, sorgente di ogni bene, ispiraci propositi giusti e santi e donaci il tuo aiuto, perché possiamo attuarli nella nostravita.

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XI domenica del tempo ordinario17 giugno 2018

Il profeta Ezechiele è stato da tempo riconosciuto comel’antesignano e in qualche modo il padre del giudaismo.Nella sua vita di sacerdote esiliato dal Tempio e dalla CittàSanta ha modo di meditare sul passato di Israele, sullecause del disastro che ha colpito prima il Regno del Nord epoi il Regno del Sud, e seguendo l’ispirazione divinaintravvede il nuovo assetto del resto del popolo dopo ilritorno in patria, ormai minuscola e indifesa comunitàcultuale che scompare tra le centinaia di nazioni, grandi epiccole, controllate da una successione di immensi imperi.Visioni ed enigmi di Ezechiele. In questa opera diricostruzione ha grande importanza il modo con cui Dio sifa conoscere dal profeta. Sono famose le visioni diEzechiele, per la loro potenza immaginifica e per la forzadei gesti simbolici che esse incorporano, e probabilmente diquesto c’era bisogno per aiutare gli esiliati a vedere inanticipo quanto nella loro situazione era impossibilevedere: la rinascita di una nuova società dalle ceneri in cuil’aveva gettata l’improvvida politica delle due monarchie.Mentre i capitoli 40-48 del libro (la cosiddetta Tôrah diEzechiele) appartengono alle visioni che riguardano ilfuturo della ricostituzione della comunità, altri temi aventilo stesso scopo di gettare i pilastri della ricostruzione sipossono trovare sparsi anche in altre sezioni del libro. Ilcapitolo 17 ne offre un esempio. Probabilmente inoccasione della ribellione di Sedecia re di Gerusalemmecontro Nabucodonosor, nel 589 a.C., Ezechiele propone aisuoi ascoltatori due enigmi, raccontando storie di aquile edi piante, storie in cui le immagini acquistano vaghi tonisurreali per l’allegorizzazione a cui il profeta le sottopone,prima di spiegarle. Spiegazione di queste storie immaginifiche è l’annuncio del giusto giudizio di Dio contro Sedecia, reodi aver violato il giuramento, che aveva fatto a Nabucodonosor, un pagano, ma nel nome del proprio Dio, il Signore diIsraele, impegnando quindi lui, e di conseguenza portando anche su di lui lo stigma della propria infedeltà. La disfatta delregno di Giuda mostrerà a tutti i popoli, paradossalmente, non la debolezza del Dio di Israele, incapace di difendere il suopopolo, ma, al contrario, la sua potenza e la sua giustizia. Fidandosi dei suoi calcoli politici e non del suo Dio, Israele haperso ogni sostegno. La visione del ramoscello di cedro. A questo punto si inserisce la lettura odierna (Ez 17,22-24): iltesto del profeta, sorprendentemente, aggiunge una terza visione, nella quale non più un’aquila, ma Dio stesso pianta su unmonte alto ed elevato «un ramoscello [...] dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami» (in queste parole appaionofugacemente la teologia del resto e forse anche un rinnovato messianismo). Contro ogni logica, come in Osea, Dio prendel’iniziativa di ristabilire il popolo, e il suo tempio come luogo di pace, di riposo, di incontro e comunione per tutte lenazioni. Tutto questo per rivelare, nella storia del popolo eletto, la grandezza del suo nome. Come aveva manifestato la suapotenza nel punire la casa reale e la città, così si manifesterà ancora nel riedificare e piantare, come diceva Geremia.Guidate dalla mano del Signore, le vicende di Israele diventano la vetrina attraverso la quale egli si rivela, nonsemplicemente per la propria esaltazione, ma per il bene di tutte le sue creature. La promessa si conclude con l’attestazionedel suo prossimo compimento: «Io, il Signore, ho parlato e lo farò» (Ez 17,24), che mostra da una parte la potenza dellaparola divina, parola-fatto, parola-evento, che porta con se la propria realizzazione; dall'altra la fedeltà inamovibile di Dioal suo popolo, al di là di ogni sua debolezza e infedeltà. Le parole di Ezechiele si offrono all’immaginazione, ma ancor dipiù, attraverso di essa, alla contemplazione, mediante la quale esse istillano in chi le accoglie una gioiosa speranza. Lafrase: «[io, il Signore] umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso» (Ez 17,24) echeggia il cantico di Anna, e quello diMaria. Sarà ripresa da Gesù (Lc 14,11): «Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

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Salmo responsoriale Sal 91 (92)È bello rendere grazie al Signore. - Letto come risposta altesto di Ezechiele, questo Salmo 92(91) esprime la gratitudinedi coloro che hanno ascoltato l’oracolo di restaurazionepronunciato dal profeta a nome di Dio, e trovanonell’obbedienza ai suoi comandi la via per crescere secondola loro propria natura, come cedri e palme piantati lungo icorsi d’acqua della parola vivificante dell’Eden. Il ritornelloscelto per il Salmo responsoriale offre una delle prospettive disintesi con cui interpretare le tre letture della domenica: «Èbello rendere grazie al Signore». Non si tratta semplicementedi rispondere con un doveroso rendimento di grazie allapromessa divina, ma anche di rendersi conto che questo èbello, dà gioia, compie il progetto di Dio per il suo popolo eper tutta l’umanità. Nel suo titolo, il Salmo 92(91) vieneriservato per il giorno del sabato, giorno del riposocomunionale del popolo insieme con Dio, di Dio insieme alsuo popolo. L'attività da vivere in quel giorno, giorno cheprelude all’eternità, è quella di annunciare il suo amore e lasua fedeltà. Viene alla mente il compito di proclamare lamorte e la risurrezione del Signore «finché egli venga», chePaolo riconosce come ragione di vita delle sue comunità.Nella parte del salmo non letta viene sviluppato il confrontotra il giusto, il quale, come palma e come cedro, conosce una

grande longevità, e gli empi, paragonati ad erba secca, che per la loro stolta ingiustizia vanno veloci incontro a repentinarovina.

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Quanto Paolo scrive in 2 Cor 5,6-10 sembra un gioco diparole, facile da ripetere, ma non così facile da cogliere nelsuo articolarsi concettuale. In sostanza l’Apostolo parla didue situazioni di esilio. In qualche modo esse si oppongonoa vicenda, e inoltre non è possibile non trovarsi in una diesse. Abitare in un luogo significa essere in esilio rispettoad un altro, né si possono abitare tutti i luoghicontemporaneamente. Applicando questa constatazione allapropria vita, l’Apostolo riconosce che, nella presentesituazione, tra l’abitare nel proprio corpo e l’essere con ilSignore sta una differenza che esclude ogni mediazione. Seegli sta nel suo corpo è in esilio rispetto allo stare con ilSignore, tra le due collocazioni del suo io c’è una precisadifferenza di intimità. Riconosce quindi di non trovarsi inuno stato di compresenza piena delle due relazioni, quellacon il proprio corpo e quella con Cristo. Desidererebbe chela pienezza della relazione con Cristo si compisse in lui con naturalezza, senza che la relazione con il proprio corpo venissemeno o ne avesse a soffrire. Ma la prospettiva della morte, resa più drammatica dalle persecuzioni causate dal ministeroapostolico, viene a contraddire tale desiderio, mostra a Paolo la necessità di scegliere tra l’una e 1’altra delle alternative, inun aut aut tanto sconsolante quanto ineluttabile. Paolo non vorrebbe essere costretto a tale alternativa, vorrebbe essererivestito del corpo di gloria, senza passare per lo spogliamento del proprio corpo presente. Anche perché egli ha unapercezione abbastanza precisa di cosa significhi vivere nel corpo, abitare quella tenda, vestire quel vestito; mentre non sache cosa significhi rivestire il corpo di gloria, abitare nella tenda del Signore, essere con lui. Ecco quindi la duplicemenzione della ‘piena fiducia’, che colma tale mancanza di percezione “sensibile”, ed ecco anche il “preferire”dell’Apostolo. Messo davanti all’alternativa, Paolo preferisce l’esilio dal corpo all’esilio dal Signore, preferisce abitare

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presso di lui che abitare presso se stesso. La sua fiducia tra l’altro non è del tutto senza ragione, perché il tribunale di Cristoattende tutti, sia quelli che alla sua venuta saranno ancora nel proprio corpo - corpo che in ogni caso dovrà subire unatrasformazione, essere cambiato in corpo spirituale (1 Cor 15,44) – sia quelli che a quel momento saranno con il Signorema in esilio dal corpo. Mentre questi pensieri si sviluppano, qualcosa di nuovo appare: l’essere graditi a Cristo, situazionerelazionale verso la quale l’Apostolo tende con tutte le sue forze. È questa la relazione importante, quella che rimane;rispetto ad essa la stare con il proprio corpo o il suo opposto, l’esulare da esso, perdono importanza. Il rapporto con Cristodiventa così intimo da superare quello con se stessi: Intimior intimo meo. Occorre notare quale situazione catalizza taleapprofondimento del senso della propria vita e rende possibile l’individuazione della vera patria, verso cui muoversi daogni terra che ormai viene intesa come terra di esilio. Paolo lo riconosce chiaramente: sono le sofferenze, sono lepersecuzioni e le contraddizioni affrontate a causa del Vangelo. Ritornando alla prima lettura, si coglie come sia necessarioche falliscano i progetti umani, perché il credente cominci a riconoscersi nei progetti di Dio. Sarà possibile, a chi vuoleessere con Cristo, accelerare i tempi, superare le sofferenze capaci di affrettare la conclusione di questo processo? Nonsembra che questa sia la via. Sembra piuttosto che Dio riservi a sé, gelosamente, il dosaggio di una medicina tantonecessaria quanto pericolosa. L’apostolo infatti cerca di vivere e di predicare il Vangelo. Cerca di essere gradito a Cristoseguendo la sua volontà nel presente. Come Cristo lo riporti in patria dall’esilio in cui si trova, Paolo lo scoprirà giornodopo giorno, mantenendo la sua fedeltà, preferendo abitare presso di lui.

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Delineiamo il percorso proposto dalle letture:

È questa la prospettiva da cui porci per comprendere laparabola oggi proposta dal vangelo: Gesù vuol dare conessa una risposta alle aspettative della gente del suotempo e anche del nostro, ossia all'attesa, al desiderio, allasperanza di un mondo più umano. Solo che, a differenzadelle nostre pretese di autosufficienza, per Gesù il “mondomigliore" potrà essere solo opera di Dio: egli lo chiama,infatti, il "regno di Dio” non un ambito di dominio sulmodello dei regni umani, ma una realtà in cui è la presenzadi Dio e la sua volontà ad essere criterio delle condotteumane. È Dio che può far crescere l’umanità, lui è lasorgente della vera umanizzazione. Per il vangelo lacrescita del piccolo seme gettato nel terreno richiede daparte nostra l’atteggiamento della pazienza: noi siamochiamati a collaborare alla realizzazione del regno di Dio,ma non ne siamo i padroni. L'opera silenziosa di Dio nellastoria può solo suscitare in noi lo stupore, a cui possiamorispondere con la nostra disponibilità ad accoglierlo. In unmodo analogo parla la profezia della prima lettura: unramoscello è preso dalla cima di un cedro per esserepiantato su un monte alto. L’immagine allude al popoloche Dio si è scelto perché faccia conoscere il suo nome atutti i popoli della terra. Questo richiede la risposta dellafede. Camminare nella fede è il compito affidato dallaseconda lettura. Viviamo ora come in esilio, lontani dallapatria, e solo la fede può sostenere il nostro viaggioterreno. La fede cristiana non suggerisce però un

quietismo indifferente, bensì una conversione interiore, un cambiamento di mentalità.

O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nullapossiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelleintenzioni e nelle opere.

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Natività di Giovanni Battista24 giugno 2018

Sembra che Is 49,1-6 appartenga ai difficili inizi dellaricostituzione della comunità dei reduci dopo 1’esilio diBabilonia. Il brano manifesta la conferma divina dellamissione di colui che parla, probabilmente il profeta stesso(il Deuteroisaia), o forse anche il discendente della dinastiaregale, posto dall’imperatore di Babilonia a capo dellacomunità. Le parole dell’oracolo potrebbero essere postesulla bocca di Sesbassar, o del suo nipote e successoreZorobabele. Il Deuteroisaia sembra essere tra gli ultimisostenitori della casa regale, i discendenti di Davide, la cuiautorità era contrastata dalle famiglie sacerdotali conl’accusa di essere stata la causa del disastro della nazione.Si tratta in ogni caso di una nuova partenza, di unanuova speranza, anche se colui che parla ha presenti gliostacoli già trovati sul cammino ed e consapevole di quelliche ancora lo attendono. Dopo l’introduzione con l’invitoall’ascolto rivolto agli estremi confini della terra, il profeta(o il re/governatore, del quale il profeta parla) racconta gliinizi della sua missione, coincidenti con l’origine della suavita. Oltre che Geremia (Ger 1,5), il testo riporta alla mentela figura dell’Emmanuele, la cui nascita porta speranza alpopolo. Come per l’Emmanuele, anche il soffio e le paroledella bocca del protagonista di questo canto manifestano,come una spada affilata, la potenza divina (cfr. Is 11,4). Alv. 3 l’identificazione del Servo come Israele pare unaglossa posteriore: tutto il brano pone un personaggioindividuale di fronte ai suoi destinatari e alla sua missione.Più avanti infatti (v. 6) è lui che restaura Giacobbe ericonduce i superstiti di Israele. Che la parola divina siarivolta a un re si può inferire anche dalla presenza del temadella universalità della missione affidata al Servo, tema che

appare spesso in correlazione alle celebrazioni deisovrani (Sal 44/45,6.17; 71/72,8). Nell’oracolo ilprotagonista parla della presenza della chiamata divinafin dall’origine della sua vita. Questo tema ha moltaimportanza nell’autocomprensione dei profeti prima e ditutto Israele poi. Essendo la scelta che Dio fa, essa èassoluta e include tutto di colui che viene scelto, inparticolare l’origine della sua vita e la suasantificazione, non solo spirituale ma anche fisica.Questo tema evoca la nascita di Sansone, la suaconsacrazione come nazireo fin dal seno materno,preludio a una missione unica in seno al popolo e segnodella elezione divina di quest’ultimo (cfr. Am 2,11). IlServo poi paragona se stesso a una spada che il Signore ha affilato, a una freccia pronta per essere scoccata, raccoglie lapromessa di Dio di manifestare su di lui la sua gloria. Questa promessa può essere vista come spiegazione anticipatadell’insuccesso della missione del Servo (v. 4), ragione della sua speranza malgrado i risultati scoraggianti («i1 mio dirittoè presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio»). Dio si serve della missione del Servo indipendentemente da unsuccesso umano, o forse proprio perché tale successo è mancato, per manifestare su di lui la propria gloria, per rivelare

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attraverso la vicenda del Servo la propria potenza. Dall’apparente fallimento alla salvezza universale. Il brano siconclude con una doppia specificazione dell’ambito della missione del Servo: dopo aver parlato di restaurare Giacobbe ericondurre i superstiti di Israele, l’oracolo annuncia che il Servo diventerà luce delle nazioni per portare la salvezza divinafino ai confini del mondo. Tutto questo, sembra, forseproprio a causa dell’apparente fallimento. Se da unaparte le parole della profezia trovano facilmente inGesù il loro referente (su di lui, al battesimo, simanifesta la gloria di Dio; è lui a venir chiamato dalvecchio Simeone «luce per illuminare le genti e gloriadel tuo popolo Israele»), esse possono venir riferiteanche a Giovanni il Battista. È Dio ad ispirare il suonome alla madre prima della sua nascita; è Cristo achiamarlo e a farlo esultare nel grembo. Se la suamissione rimane controversa (i farisei rifiutano diriconoscere che Giovanni viene da Dio), è anche veroche su di lui si manifesta la gloria divina, in quantoegli è strumentale alla rivelazione pubblica di Cristo ericonduce a lui il popolo, predisponendoloall’accoglienza del messaggio evangelico. Nella suamissione Giovanni, lucerna che arde e risplende,mostra come essere servi del Signore, ponendo lapropria gloria nel diminuire di fronte allo splenderedel Figlio Diletto.

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Salmo responsoriale Sal 138 (139)lo ti rendo grazie: hai fatto di me una meravigliastupenda. - Il Salmo 138 esprime un senso altissimodel rapporto personale con Dio. Nella conoscenzadivina dell’orante si realizza la sua verità, ed egli sivolge in tutte le direzioni contemplando ovunque lapresenza amorosa e avvolgente del Signore. Nellaparte del salmo selezionata l’orante fa menzionesoprattutto di tempi. Innanzitutto i tempi della vitapresente: l’alzarsi, lo stare seduto, il cammino, ilriposo, il vagare dei pensieri. Poi in particolare i tempidell’origine della sua vita: quando era intessuto nelgrembo e ricamato nelle profondità della terra. Di tuttoquesto il salmista non sa fare altro che meravigliarsiper l'opera stupenda di Dio, ringraziarlo e lodarlo. Sein qualche modo queste parole possono esserepronunciate da tutti, esse sono adatte in particolare allabocca di Giovanni il Battista, la cui venuta al mondo èassistita da Dio in modo particolare, in vista della suamissione.

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Ad Antiochia di Pisidia, su invito dei capi della sinagogalocale, Paolo tiene un’omelia, che in qualche modoseguirebbe uno schema tradizionale. Essa dovrebbe farriferimento a dei testi biblici, presumibilmente i testiappena letti, e illustrare un tema da essi desunto attraversoaltre pagine dell’Antico Testamento, fino a giungere alleimplicanze del testo per il presente, in vista di guidare lavita degli ascoltatori. Tale omelia viene chiamata «paroladi consolazione», o anche «parola di esortazione» (lógosparaklḗseōs, At 13,15). Essa mira a dare gioia,consolazione, entusiasmo attraverso la contemplazionedelle armonie della Scrittura, che per 1’arte del predicatoresi rivelano agli ascoltatori come fonte di sorpresa, e dannoloro forza per vivere secondo la rivelazione ricevuta. Intale genere di discorso, contemplazione, consolazione edecisione di vivere secondo il dono spirituale gustato sifondono in uno. Quale testo dell’Antico Testamentopotrebbe fare da sfondo al ricamo scritturistico intessuto daPaolo? Si può ipotizzare un testo tratto dalla Tôrah, in cuisi parli della promessa divina fatta forse ad Abramo. Tra isalmi - anche se non si sa molto del loro uso nella liturgiasinagogale - si può pensare al Salmo 89(88), nel qualeDavide ha un ruolo centrale, e gli viene fatta la promessadi una dinastia eterna. Paolo comunque cita anche il Salmo2 e il Salmo 16(15). Temi chiave dell’omelia paolinasembrano essere la salvezza operata da Dio nella storia delpopolo, e la promessa letta in chiave messianica. I due

temi convergono sulla figura di Gesù, erede di Davide e Salvatore inviato da Dio, e si attualizzano nella «parola disalvezza» annunciata da Paolo. Cristo risorto libera dai peccati coloro che credono in lui e li giustifica; la Legge e la suaosservanza erano impotenti a realizzare questo. In questo quadro la menzione di Giovanni il Battista assume una funzionedi conferma anticipata: Paolo interpreta la sua figura e la sua opera dicendo che egli prepara la venuta del Salvatore, e lo fapredicando e amministrando un battesimo di conversione. Il battesimo di conversione fa riferimento ai peccati e allanecessità di qualche strumento, o di qualcuno mandato da Dio, che abbia la forza di toglierli. La missione di Giovannimette a fuoco con crescente chiarezza che il compimento della conversione avverrà ad opera di «uno» che sarà finalmenteinvestito della potenza di rimettere i peccati. Davanti a lui il Battista proclama la sua subordinazione. Secondo un certosentire, sciogliere i sandali può essere interpretato come azione servile. Giovanni si proclamerebbe così indegno perfino diessere servo di Cristo. Ma sulla base di Dt 25,9; Rt 4,7-8; Sal 60(59),10; 108(107),10, il sandalo può essere interpretatocome simbolo del diritto riservato al suo possessore. Così gettare i sandali su un territorio significa affermare il propriodiritto a possederlo; togliere i sandali a qualcuno significa privarlo del suo diritto di prelazione. Se questo è lo sfondo delleparole del Battista, allora con esse egli riconosce il diritto del Cristo, la sua superiore dignità, a cui non vuole essere diostacolo. Tale riconoscimento si può riferire alla persona, ma può essere letto insieme anche della missione: Giovanni sa dinon essere venuto a togliere i peccati, ma solo ad aprire la strada, ad annunciare la venuta del solo che ha questa forza. Inquesto senso, il Battista prepara anche la venuta di Paolo, che colloca se stesso nella sua scia e in una posizione analoga allasua: «Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù»(2 Cor 4,5). Infatti dice che agli ascoltatori «è stata mandata», proprio come da Dio era stato suscitato Davide e inviatoGesù, «la parola di questa salvezza» (At 13,26), un soggetto attivo, alla cui azione Paolo lascia tutto lo spazio,annunciandola («E ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’ereditàfra tutti quelli che da lui sono santificati», At 20,32). In qualche modo il ruolo di Giovanni si estende così a tutti coloro chedi epoca in epoca da una parte ricevono se stessi e la propria salvezza, accogliendo con fede la Parola, dall’altra nepartecipano distinguendosi da essa, consegnandola ad altri quanto più limpidamente possibile, in modo che sia essa adilluminare e santificare coloro che la accolgono.

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Delineiamo il percorso proposto dalle letture:

Giovanni Battista fa risuonare sulle rive del Giordano la"voce" che invita alla conversione del cuore: egli èportatore della parola di Dio e testimone della suapresenza creatrice di un mondo nuovo. Cosi egliprepara la strada a Gesù. Egli è profeta, come Gesù dirà:il più grande dei profeti d’Israele. Egli "immerge" nelleacque del Giordano, simbolo di un cammino dipurificazione, ma il suo vero scopo è portare a Gesù: ilsuo stesso nome richiama la sua missione: Giovanni, chesignifica "Dio fa grazia”! Nel vangelo il racconto dellanascita straordinaria di Giovanni, il Battista, preparaall'annuncio di un’altra nascita, quella di Gesù. Lasperanza della madre Elisabetta può diventare lasperanza di ogni credente: che Dio sia presente e guidianche la nostra vita. Allora potremo provare quella gioiaed esultanza che la nascita del Battista portò nella suafamiglia. Dio rimane fedele alla sua promessa: questo è

il centro della prima lettura, che anticipa in qualche modoil tema del vangelo. La lettura si fa interprete anche dellarisposta accogliente: «Il mio diritto è presso il Signore, lamia ricompensa presso il mio Dio». Il messaggio dellacelebrazione è ripreso anche dalla seconda lettura, in cuiPaolo cosi riassume la predicazione di Giovanni Battista:«Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopodi me uno, al quale io non sono degno di slacciare isandali».

O Padre, che hai mandato san Giovanni Battista apreparare a Cristo Signore un popolo ben disposto,allieta la tua Chiesa con l’abbondanza dei doni delloSpirito, e guidala sulla via della salvezza e della pace.