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I.T.S.E. TURISMO IDONEITA’ DISCIPLINE TURISTICO AZIENDALI - L’Evoluzione storica del Turismo - Il Mercato Turistico: caratteristiche della Domanda e dell’Offerta - Il Patrimonio Culturale - Il Turismo Culturale - Impatti del Turismo - La Struttura del Mercato Turistico - Nuovi Trend del Turismo - I Prezzi dei Servizi Turistici - L’Impresa Turistica - Le Imprese Turistiche nel Sistema - La Gestione delle Risorse Umane nelle Imprese Turistiche - Il Bilancio d’Esercizio - Volo Charter

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I.T.S.E. TURISMO

IDONEITA’

DISCIPLINE TURISTICO AZIENDALI

- L’Evoluzione storica del Turismo - Il Mercato Turistico: caratteristiche della Domanda e

dell’Offerta - Il Patrimonio Culturale - Il Turismo Culturale - Impatti del Turismo - La Struttura del Mercato Turistico - Nuovi Trend del Turismo - I Prezzi dei Servizi Turistici - L’Impresa Turistica - Le Imprese Turistiche nel Sistema - La Gestione delle Risorse Umane nelle Imprese Turistiche - Il Bilancio d’Esercizio - Volo Charter

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L’EVOLUZIONE STORICA DEL TURISMO

Il turismo nel mondo greco-romano

Il turismo inteso nel senso moderno del termine (ossia lo spostamento dal luogo di abituale residenza sulla scorta di motivazioni culturali, religiose, ricreative, di salute, e quindi non per scopi meramente lavorativi, commerciali o militari), realizzato nelle forme e con i presupposti che abitualmente associamo a questo concetto (organizzazione e promozione turistica da parte dell’offerta, intervento di soggetti intermediari, consapevolezza turistica da parte della domanda), nasce intorno alla fine dell’Ottocento nell’Europa settentrionale e negli Stati Uniti, per poi diffondersi ad altri paesi europei, all’Australia e quindi al Giappone.

Tuttavia, già nell’Antichità ebbero luogo movimenti di persone che, pur nella esiguità numerica dei flussi (generalmente rappresentati da una ristretta élite, economicamente e socialmente in grado di affrontare un viaggio in terre lontane, considerati i mezzi di trasporto dell’epoca) e nella radezza della scansione temporale (legata per lo più a celebrazioni religiose e manifestazioni sportive), possono essere considerati forme primordiali di turismo. Tali prime manifestazioni del fenomeno turistico hanno inaugurato, per così dire, una fase storica che è stata definita del prototurismo (Battilani, 2000). Il prototurismo, in realtà, non si configura come una categoria unitaria e univocamente definibile: esso si articola piuttosto in una ampia casistica di viaggi e spostamenti associabili sì all’idea moderna di turismo, ma che precedono l’avvento del turismo vero e proprio, e si estende lungo un arco temporale plurimillenario, che va dai tempi dell’antico Egitto (dove già molti secoli prima dell’era cristiana il pellegrinaggio verso luoghi sacri rappresentava una pratica comune) al cosiddetto Grand Tour.

Di particolare interesse, appaiono le pratiche prototuristiche che caratterizzavano le civiltà greca e romana. ��� Sebbene mancassero strade carrozzabili, attrezzature ricettive e professioni turistiche, e sebbene le comunicazioni marittime fossero soggette alle scorrerie dei pirati, il mondo ellenico fu fortemente interessato dal fenomeno prototuristico. L’antica Grecia era organizzata, dal punto di vista politico, in città-stato, che vivevano in completa autonomia le une rispetto alle altre. Alla frammentazione politica si contrapponeva però un forte un senso di identità nazionale. Pur nella diversità dei dialetti, l’omogeneità linguistica permetteva infatti una completa comunicazione, che consentì lo sviluppo di una cultura unitaria, elemento questo che favorì i movimenti di persone all’interno del mondo ellenofono.

Accanto alla lingua, anche la religione favorì e mantenne questa straordinaria unità, rappresentando peraltro un ulteriore, potente, fattore di sviluppo delle prime forme di

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viaggio per motivazioni che oggi definiremmo turistiche. La religione greca, difatti, favoriva l’abitudine di recarsi laddove si riteneva che gli dei pronunciassero i loro oracoli. Centinaia di devoti giungevano nei luoghi caratterizzati dalla presenza divina, sia per devozione, sia per beneficiare del misterioso potere taumaturgico che si riteneva vi fosse presente. I santuari degli dei erano inoltre aperti a tutti e, in occasione delle feste religiose, da ogni città convergevano delegazioni ufficiali e flussi di cittadini. Uno dei più visitati era senz’altro il santuario di Esculapio ad Epidauro, dove i malati trascorrevano una notte intera in attesa di svegliarsi la mattina seguente miracolosamente guariti. Nei dintorni si trovavano locande per i parenti che accompagnavano i malati.

Ma il flusso turistico di maggiori proporzioni si realizzava in occasione delle manifestazioni sportive, come i giochi Olimpici dedicati a Zeus: erano una manifestazione sportiva e religiosa insieme, che prevedeva anche strutture in grado di ospitare le persone che sarebbero giunte per assistervi. A Olimpia si svolgevano gare per lo più atletiche, e in tutto i giochi duravano circa 5 giorni, durante i quali ogni attività bellica veniva sospesa. Oltre ai più famosi giochi Olimpici, in Grecia si svolgevano anche i giochi Pitici (a Delfi, dedicati ad Apollo) e i giochi Istmici (a Corinto, dedicati a Nettuno). Nell’antica Grecia si sviluppò anche l’idea del viaggio motivato dal piacere di conoscere e da impulsi di carattere culturale, come la partecipazione alle Feste Dionisiache, a rappresentazioni teatrali, a competizioni letterarie. ���Queste manifestazioni rendevano peraltro necessaria una forma – ancorché primordiale - di organizzazione del viaggio, dall’accesso all’evento - religioso, agonistico o culturale - all’ospitalità. Sotto questo secondo profilo, alla carenza delle strutture sopperiva l’ospitalità concessa dai privati, almeno a certe categorie di viaggiatori. L’ospitalità privata, che fu la forma prevalente e preferita di alloggiamento dei turisti per molti secoli, nell’antica Grecia era infatti considerata un dovere sacro: il viaggiatore, lo straniero, l’ospite, era sotto la protezione di Zeus Xenios e doveva essere accolto con tutti gli onori.

Con l’impero romano aumentò enormemente la mobilità delle persone. I viaggi vennero facilitati, oltre che dalla eccellente rete viaria, anche da un lungo periodo di pace e dalla conseguente prosperità economica, ed alimentati da motivazioni non solo di carattere religioso e culturale, ma anche di puro riposo e svago (otium). Essi ebbero un notevole sviluppo, forse il più cospicuo dell’era prototuristica. Tale movimento di persone, imponente per quell’epoca, impose la costruzione di alberghi lungo le vie imperiali (stationes) o presso località importanti per l’esistenza di templi, terme e mercati, e determinò la nascita di veri e propri centri turistici di villeggiatura. Il cursus publicus (servizio pubblico per il trasporto di persone o cose), la carruca dormitoria (carro attrezzato con letto, destinato ai viaggi notturni), ed il conductus nundinarum (l’affidarsi ad una giuda) dimostrano l’esistenza di una embrionale organizzazione turistica, mentre compaiono guide stradali di carattere pratico, dette itineraria: itineraria scripta, ossia elenchi di località su un dato percorso con relative distanze, ed itineraria picta, sorta di rudimentali carte stradali.

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Quanto poi alle motivazioni dello spostamento, va innanzitutto citato quella religiosa: il culto tipicamente greco per gli oracoli, ed il conseguente pellegrinaggio verso i santuari delle divinità, prese piede anche nel mondo romano, caratterizzandosi però per un maggiore dinamismo e per il sorgere di attività di ristorazione, alloggio e vendita di feticci sacri (precursori dei moderni souvenir) intorno ai santuari. Anche la partecipazione ai Giochi, di carattere sia sportivo che culturale, generava cospicui flussi di persone, più volte nel corso dell’anno: basti pensare che in età imperiale erano previsti ben 130 giorni festivi in un anno e con l’inaugurazione del Colosseo ci furono 100 giorni di giochi.

Una forma di spostamento dal luogo di abituale residenza che nel mondo romano, diversamente da quello greco, ebbe un notevole sviluppo, sia pur limitatamente alle classi elevate, fu quello della villeggiatura, intesa proprio nel senso etimologico del termine: risiedere per un determinato periodo dell’anno – tipicamente quello estivo – lontano dal chiasso della città, in ville situate in località amene, soprattutto nel territorio dell’attuale Campania (Capri, Ischia, Stabia, Baia, Miseno), nei dintorni di Roma (Tivoli, Anzio) ed in Etruria (corrispondente grosso modo all’attuale Toscana). Quanto poi al termalismo, esso conobbe un grande sviluppo nel mondo romano, ma fu legato più alla dimensione urbano-residenziale che a quella turistica vera e propria. La caduta dell’impero romano, le invasioni barbariche ed il dissolversi delle istituzioni politiche ed amministrative segnarono la fine delle pratiche prototuristiche che, con motivazioni e modalità organizzative sorprendentemente moderne, avevano caratterizzato il periodo imperiale.

Le terme al tempo dei romani

Il termalismo ebbe uno straordinario sviluppo ai tempi dell’antica Roma, e bisognerà attendere l’Ottocento perché questa forma di leisure ritrovi i fasti e lo splendore di un lontano passato, dopo il ripudio medievale e la funzione puramente curativa che essa assumerà dal Rinascimento in poi. Mentre però il termalismo ottocentesco era legato ad una dimensione tipicamente turistica, caratterizzata quindi dalla mobilità dei fruitori verso i centri termali, generalmente localizzati in contesti ameni e comunque non urbani (montani, rurali, lacuali, balneari), nella Roma imperiale il termalismo assumerà un connotato prevalentemente cittadino, ad uso e consumo della popolazione residente più che di un flusso proveniente dall’esterno, anche se nel contesto turistico della romanità non sono mancati luoghi di villeggiatura (Stabia, Campi Flegrei, in minor misura Ischia), la cui fortuna va attribuita, oltre che all’amenità del sito, anche alla presenza di acque termali. ���

Le terme romane fusero l’idea greca del gymnasium (istituzione preposta all’educazione fisica ed intellettuale dei giovani) con il bagno a vapore già noto agli egizi. Esse infatti si caratterizzarono, oltre che per la funzione strettamente termale, assicurata da locali e vasche a diverse temperature (frigidarium, tepidarium,

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calidarium), anche come luoghi d’incontro e di socializzazione, e furono accessibili a tutta la popolazione senza distinzione di classe (anche se in realtà esistevano due categorie di terme, una di livello più modesto destinata al popolo, e una più lussuosa riservata alla élite). Oggi le considereremmo come dei centri polifunzionali, essendo dotate anche di palestre, piscine, parchi, biblioteche, piccoli teatri e saloni per le feste. In buona sostanza, le terme romane hanno anticipato di un paio di millenni l’idea – oggi molto alla moda – di “centro benessere” e di termalismo come wellness. Inoltre, consentendo abluzioni regolari garantivano l’igiene personale e svolgevano quindi una importante funzione di tutela della salute pubblica, che si perderà con il crollo dell’Impero e l’avvento del Medioevo. Le prime terme pubbliche in Roma furono realizzate nel 12 a.C. a Campo Marzio ad opera di Marco Vipsanio Agrippa. Nei secoli a seguire molti imperatori romani si cimentarono nella realizzazione di complessi termali sempre più monumentali (Nerone nel 65 d.C., Tito nell’81 d.C., Domiziano nel 95 d.C., Commodo nel 185 d.C., Caracalla nel 217 d.C., Diocleziano nel 302 d.C. e Costantino nel 315 d.C.). Oltre che nella capitale, strutture termali furono realizzate in tutto l’Impero, arrivando a rappresentare un tratto caratteristico ed un elemento ineliminabile della vita quotidiana della Roma imperiale.

I pellegrinaggi medievali Il periodo alto-medioevale (secoli V-X) si caratterizzerà per la quasi totale scomparsa della pratica del viaggio, per ragioni facilmente comprensibili: fu un’epoca costantemente tormentata da guerre, pestilenze e disordini, che provocarono un generale senso di insicurezza, il decadimento della cultura, la stagnazione dei commerci e dell’economia. La mobilità personale avveniva solo per ragioni di assoluta necessità, mentre l’ospitalità ai viandanti veniva offerta da chiese e monasteri, in mancanza di qualsiasi tipo di struttura ricettiva. La rinascita economica, sociale e culturale che si ebbe a partire dall’anno Mille fece emergere nuove motivazioni al viaggio, nuovi itinerari e nuove forme di ospitalità: dal secolo XI, ad esempio, il turismo collegato a viaggi d’affari, fiere e mercati acquistò dimensioni rilevanti, grazie anche all’azione dei mercanti medievali, che furono veri precursori del moderno turismo d’affari, e svolsero anche una importante funzione di promozione della cultura del viaggio, sia pur nei limiti imposti dalle condizioni politiche ed economiche dell’epoca. A partire dal XII secolo, inoltre, la cultura del viaggio ricevette un notevole impulso anche dalle nascenti università, che si andavano configurando come comunità di apprendimento tra insegnanti e studenti in cui la dimensione dello spostamento per motivi di studio ed elevamento culturale acquistava un rilievo non secondario. Inoltre gli studiosi, gli studenti e i clerici vagantes, attraverso i loro viaggi e le esperienze di vita fuori dalla sede di abituale residenza, contribuivano a creare legami tra città o tra Stati e a diffondere la cultura e lo scambio di idee. Nacque quindi in quell’epoca, sia pur in una forma embrionale e limitata a pochi privilegiati, il turismo di studio e di ricerca, oggi assai diffuso grazie ai numerosi strumenti di mobilità

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destinati a studenti e ricercatori. Ma la forma di mobilità più comune nel Medioevo, tanto da configurarsi quasi come un elemento caratterizzante dell’epoca, fu il pellegrinaggio, di natura devozionale ma soprattutto penitenziale. Come già sottolineato, fino a tutto l’Alto Medioevo i pellegrinaggi – ed in generale gli spostamenti – erano stati caratterizzati da grandi difficoltà, dovute alle pessime condizioni delle vie di collegamento, all’assenza di strutture di accoglienza, alla pericolosità ed all’instabilità politica. A partire dal secolo XI, invece, le migliorate condizioni politiche, economiche e sociali, unitamente ad una accresciuta efficienza nell’organizzazione della mobilità, renderanno il pellegrinaggio – anche in terre lontane - accessibile ad un numero crescente di persone, la qual cosa decreterà già allora l’importanza di alcune destinazioni, come Roma, Santiago de Compostela, Gerusalemme e la Terra Santa per il mondo cristiano, La Mecca per quello islamico, tutti luoghi questi che ancora oggi sono meta di enormi flussi di pellegrini. Il pellegrinaggio, tra i secoli XIII e XIV, diverrà quindi un fenomeno “di massa”, agevolmente praticabile anche perché assistito da una rete di enti caritatevoli dediti alla ospitalità dei pellegrini, alla organizzazione del loro soggiorno ed al soddisfacimento, sia pur in forme primordiali, delle loro necessità materiali e spirituali, ma anche servito da società commerciali (tipicamente quelle armatoriali, soprattutto veneziane) che, non diversamente dai moderni tour operator, proponevano per il pellegrinaggio in Terra Santa un “pacchetto” – come oggi verrebbe definito - comprensivo di viaggio, vitto, alloggio, pratiche amministrative e quant’altro si rendesse necessario per l’espletamento di questa particolare forma di mobilità. Quando si parla di pellegrinaggi medievali tre aspetti vanno presi in considerazione: le crociate, le indulgenze, il Giubileo. Il pellegrinaggio, che oggi – come nell’antica Grecia e nella Roma imperiale - risponde a motivazioni di natura spirituale e culturale, in epoca medievale aveva invece uno spiccato carattere penitenziale: si partiva per un pellegrinaggio – sottoponendosi a disagi e pericoli - non tanto perché spinti dal desiderio di recarsi presso un luogo considerato sacro e meritevole di devozione, ma soprattutto per espiare le proprie colpe. E pertanto, in una temperie storico-religiosa come quella medievale, fortemente caratterizzata dall’idea della redenzione dei peccati attraverso la mortificazione personale, la partenza per le crociate (che ebbero luogo tra la fine dell’XI e la metà del XIII secolo) finì per rappresentare la forma più elevata di espiazione, soprattutto dopo che il papa Urbano II ebbe garantito indulgenza plenaria, ossia la remissione completa dei peccati, a chi fosse partito per la prima crociata verso Costantinopoli e la Palestina (1096). Le crociate, quindi, accanto alla dimensione prettamente militare e di conquista, assunsero anche la valenza di pellegrinaggio, sia pur armato: il crociato riceveva una sorta di investitura e gli venivano consegnati i simboli del pellegrino (un bastone, un mantello e una bisaccia). Sempre in tema di mobilità indotta dal desiderio di remissione dei peccati, va citata la Perdonanza istituita da papa Celestino V nel 1294: chiunque si fosse recato in pellegrinaggio a L’Aquila, in particolare nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio

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(oggi gravemente danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009), nei giorni compresi tra il 28 ed il 29 agosto, avrebbe ottenuto indulgenza plenaria da tutti i peccati. La Perdonanza celestiniana anticipò una delle celebrazioni più importanti della Cristianità: il Giubileo, o Anno Santo, destinato a generare nel corso della Storia grandi flussi di pellegrini verso Roma con una cadenza originariamente fissata in 100 anni, poi ridotta a 50 e quindi a 25. Il Giubileo fu istituito da papa Bonifacio VIII nel 1300 con la Bolla Antiquorum habet fidem, in forza della quale il pellegrinaggio alle Basiliche romane di San Pietro e di San Paolo fuori le mura nel corso di quell’anno avrebbe garantito l’indulgenza plenaria. Vi è incertezza riguardo al numero dei pellegrini affluiti a Roma nel corso dell’anno 1300, ma la stima più prudente indica in 200mila il loro ammontare, una cifra comunque enorme se rapportata alla consistenza demografica della Roma medievale ed alla contenuta entità degli spostamenti dell’epoca. La modernizzazione Il termalismo ottocentesco Le terme hanno svolto un ruolo di grande importanza nella storia del turismo europeo e mondiale, sostenendone lo sviluppo fino a tutto il XIX secolo. Ed in effetti è opinione comune che la prima tipologia di turismo nel senso moderno del termine sia stata quella termale, anche se naturalmente si trattava di una forma di mobilità ancora riservata all’aristocrazia ed all’emergente ceto borghese. Riprendendo l’excursus storico iniziato nel precedente paragrafo (vedi box Le terme al tempo dei romani), possiamo affermare che la caduta dell’Impero Romano e il decadimento delle strutture termali abbiamo decretato la fine del termalismo come fenomeno culturale e sociale. Nel corso del Medioevo, tuttavia, mentre l’uso del bagno come pratica igienica andava scomparendo e il suo antico valore sociale e ricreativo veniva addirittura messo al bando, si assistette alla nascita dell’idrologia come pratica terapeutica. Si ampliò, inoltre, il campo delle metodiche: accanto al bagno comparvero le terapie inalatorie e sudatorie in grotte naturali e l’applicazione di fanghi. Nel corso del Rinascimento si ebbe un ulteriore sviluppo delle cure idrologiche, ma è dal Settecento, con l’avvento della chimica moderna, che divennero possibili le prime indagini sulla composizione delle acque minerali e, di conseguenza, la svolta scientifica dell’idrologia. Nell’Ottocento, un’intensa attività di ricerca garantì un supporto scientifico alle terapie e ne ampliò i campi di intervento. I reparti di cura degli stabilimenti termali vennero potenziati, ma al tempo stesso la stazione termale si trasformò in qualcosa di simile all’antico luogo romano di arricchimento culturale e sociale, sulla scorta però della concezione romantica di rigenerazione del corpo e dello spirito. Da centri di cura le località termali andarono evolvendo in centri di villeggiatura e di vita mondana, con importanti ricadute dal punto di vista urbanistico, oltre che economico: le località termali à la page si dotarono infatti di ville, alberghi, café-concert , parchi e giardini per richiamare e accogliere una clientela internazionale e facoltosa. In questo senso, la località pioniera fu l’inglese Bath, le cui acque termali, ben note ai

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romani (le terme romane datano intorno al 43 d.C.), erano probabilmente già utilizzate in epoca preromana dalle popolazioni celte ivi insediate. Nel corso del XVIII secolo Bath conobbe quelle trasformazioni urbanistiche ed architettoniche - in stile georgiano - che la resero località mondana di riferimento per la nobiltà europea e modello da seguire per le altre stazioni termali europee. Fra queste, una particolare importanza ha rivestito nella storia del turismo termale il centro belga di Spa, al punto che il toponimo Spa ha finito per diventare sinonimo di termalismo. Secondo una opinione piuttosto comune, Spa deriverebbe dall’acronimo di “salus per acquam” (salute attraverso l’acqua). In realtà, sembra più probabile che derivi dal termine vallone espa, che significa “fonte”, “sorgente”. Come Bath, anche Spa rappresentò un luogo privilegiato di ritrovo dell’aristocrazia europea, soprattutto dopo che l'imperatore Giuseppe II l’ebbe definita “Caffè d'Europa”. A Spa è stato inoltre fondato il primo casinò moderno, la Redoute. Fra le altre località europee di spicco del termalismo ottocentesco è necessario citare Baden-Baden in Germania, Marienbad (Mariánské Lázně) e Karlsbad (Karlovy Vary) nella Repubblica Ceca, Aix-les-Bains e Bagnères-de-Luchon in Francia. Il massimo sviluppo del termalismo italiano, con qualche decennio di ritardo rispetto all’Europa centro-settentrionale, si ebbe invece tra la fine del XIX secolo e la prima guerra mondiale: Montecatini, Salsomaggiore, San Pellegrino e Abano ne rappresentavano in quel periodo le mete principali. La nascita della balneoterapia Il medico inglese Richard Russell (1687-1759) è considerato l’inventore della talassoterapia o balneoterapia (trattamento sanitario basato sull’azione curativa del mare e del clima marino), tanto che lo storico francese Jules Michelet lo definì “l'inventeur de la mer”. L’aspetto interessante ed invero innovativo per l’epoca dell’opera di Russell fu quello di aver tentato – senza peraltro riuscirvi del tutto - di dimostrare scientificamente l’efficacia delle “bagnature” in acqua marina nella cura di malattie polmonari e cardiocircolatorie, patologie molto diffuse nei secoli XVIII e XIX. Tutto ciò, aprirà la strada a quello che ancora oggi – nonostante l’estrema diversificazione dell’offerta e la sempre maggiore frammentazione della domanda - può essere considerato uno dei principali, se non il principale, generatore di flussi turistici di massa (ma non necessariamente di reddito prodotto) a livello sia mondiale che nazionale: il turismo balneare marino. Il connotato primigenio del turismo balneo-marino fu, dunque, spiccatamente terapeutico, così come lo era stato per il turismo termale. Tuttavia, tale tipologia di turismo assumerà ben presto, già nel corso dell’Ottocento, anche una valenza ludico-ricreativa, pur non rinunciando del tutto all’aspetto curativo, che invece è praticamente assente nella sua manifestazione contemporanea. Inoltre, pur essendo inizialmente appannaggio dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, a partire dalla seconda metà del XIX secolo il turismo balneo-marino si diffonderà, grazie alla sviluppo dei trasporti ferroviari ed all’aumento del tempo libero, anche alle classi lavoratrici, per lo meno nei Paesi dell’Europa settentrionale, già interessate dalla Rivoluzione Industriale.

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Le prime località balneoterapiche saranno anche in questo caso quelle britanniche, ancora una volta pioniere nello sviluppare nuove forme di turismo e nello stimolare nuove motivazioni al viaggio: Scarborough, piccolo centro di pescatori sulle coste dello Yorkshire, attivo già dagli inizi del Settecento. Blackpool, sulla costa nord-occidentale e non lontana da Liverpool. Ma soprattutto Brighton, sulla costa meridionale nella contea dell’East Sussex, che diverrà, sotto l’egida di Giorgio IV, il principale centro balneoterapico del Regno, assurgendo anche a sede estiva della corte. Il Royal Pavilion, fatto edificare in stile pseudo-orientale quale residenza reale dall’allora Principe di Galles, diverrà l’emblema di questa nuova, prestigiosa, vocazione turistico-residenziale e l’icona urbana alla base della fortuna di Brighton. Partendo quindi dai primi centri inglesi, la pratica della balneoterapia si diffonderà anche nel continente, interessando località come Dieppe e Biarritz in Francia, Ostenda in Belgio, Livorno (primo centro italiano di balneoterapia), Abbazia (Opatija, sulla costa istriana, oggi in territorio croato), e questo grazie anche alla visibilità ed al prestigio che le case reali ed i ceti aristocratici, soggiornandovi, garantivano alle nascenti stazioni balneari, così pubblicizzate – sia pure in una forma sui generis - come località alla moda dove scoprire i benefici delle terapie idrologiche e marine. Nel caso specifico delle località mediterranee, sarà anche il fattore climatico a decretarne la fortuna turistica: l’amenità del clima rendeva piacevole, oltre che possibile, il soggiorno e la cura anche durante la stagione invernale. Non si può parlare di turismo balneare dei primordi senza accennare alla formula architettonica del kursaal: letteralmente “sala di cura” (denominazione che riecheggia il connotato terapeutico delle origini), consisteva in un edificio, che oggi definiremmo polifunzionale, di grandi dimensioni, generalmente localizzato sulla spiaggia ed adibito ad albergo, stabilimento balneare, sala da gioco, café-concert, casinò. Il primo ad essere edificato fu quello di Ostenda nel 1852 (ancora oggi attivo, ma più che altro come auditorium), seguito da una lunga serie di strutture analoghe che si diffusero in tutto il continente e che resero il termine kursaal sinonimo di complesso turistico-ricreativo a servizio di vacanzieri e bagnanti. La “scoperta” della Natura Come è stato sottolineato nei precedenti paragrafi, gli inglesi furono i precursori sia del termalismo che della balneoterapia. In tutte queste forme di turismo il rapporto con la natura era però mediato da esigenze di comfort e protezione: essa veniva percepita e vissuta come uno scenario pittoresco ed attraente ma temibile, da osservare mantenendosi a rispettosa distanza, oppure da “addomesticare” ed asservire ai bisogni umani. La concezione della natura in quanto valore a sé stante, sia da un punto di vista estetico, sia da un punto di vista etico-ambientale, sia da un punto di vista turistico, ha origine invece negli Stati Uniti. Sulla scorta del Romanticismo e delle nuove tendenze pittoriche incentrate sulla

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rappresentazione del paesaggio naturale (principali esponenti ne furono in realtà gli inglesi John Constable and J. M. W. Turner), si fa strada in America un desiderio di scoperta e di contemplazione - a distanza anche ravvicinata - di paesaggi inediti, di fenomeni naturali, di luoghi selvaggi e disabitati. Certamente le caratteristiche naturali del territorio nord-americano hanno giocato un ruolo fondamentale nel determinare questo “mutamento culturale” in materia di preferenze paesaggistiche, e poi anche turistiche, caratterizzate dalla dimensione della wilderness (vedi box), e non è un caso che proprio negli Stati Uniti siano stati creati i primi parchi nazionali: quello di Yellowstone, istituito il 1 marzo del 1872, è il primo esempio nel mondo di area protetta nel pubblico interesse su larga scala. Il Parco Nazionale di Yellowstone indubbiamente rappresentò tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento il principale riferimento internazionale in materia di protezione ambientale, sia dal punto di vista legislativo che dal punto di vista operativo, oltre a assurgere, nell’immaginario collettivo, ad emblema stesso di area protetta. È stato inoltre giustamente osservato che l’assenza di un patrimonio storico-artistico sul modello europeo abbia stimolato negli Stati Uniti la ricerca di riferimenti identitari autoctoni, che sono stati individuati nei grandi scenari naturali che caratterizzano il territorio nord-americano. In Europa i primi parchi nazionali furono istituiti in Svezia tra il 1909 ed il 1910. Il primo parco nazionale italiano è stato quello del Gran Paradiso nel 1922, seguito da quello d’Abruzzo (oggi denominato Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise), istituito l’11 gennaio 1923 su iniziativa di un gruppo di politici e intellettuali fra cui il filosofo Benedetto Croce. Questa “scoperta” della natura incontaminata ha generato, in prima battuta, nuove modalità di fruizione dei paesaggi montani che, oltre a soddisfare il nuovo gusto estetico di ispirazione romantica, offrivano anche la possibilità – ad una élite, beninteso – di un rapporto immediato ed avventuroso con l’elemento naturale attraverso la pratica dell’alpinismo: da qui la fortuna di centri montani come Zermatt, Chamonix, Saint Moritz, Cortina d’Ampezzo, decretata ancor prima dell’avvento dello sci alpino. L’alpinismo, prima confinato in una dimensione iniziatica o motivata da esigenze scientifiche, evolverà quindi verso connotati più tipicamente sportivi e dilettantistici: nel giro di alcuni decenni, tra il 1800 ed il 1870, tutte le principali cime delle Alpi vennero scalate e si iniziarono anche le prime spedizioni extraeuropee. Da ricordare, ad esempio, quelle di Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi (Monte Saint Elias in Alaska, 1897; Ruwenzori in Uganda, 1906; Karakorum, con il fallito tentativo di ascesa del K2, 1909). Va infine ricordata, a testimonianza dell’interesse che l’alpinismo andava riscuotendo anche in Italia, l’istituzione nel 1863 del Club Alpino Italiano, su iniziativa di Quintino Sella, uomo politico ed economista appassionato di alpinismo, zio dell’alpinista e fotografo Vittorio Sella (celebri i suoi reportage fotografici di spedizioni alpinistiche). Turismo e wilderness Il termine wilderness indica l’ambiente naturale allo stato selvaggio (in inglese wild,

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da cui wilderness), incontaminato, non alterato dall’attività umana. La scaturigine e l’implementazione dell’idea di wilderness quale valore a sé stante ed elemento del patrimonio collettivo da preservare in quanto tale, indipendentemente da considerazioni di ordine economico (e quindi turistico), vanno individuate negli Stati Uniti, che infatti sono stati i primi a creare un Parco Nazionale già nel XIX secolo (Yellowstone, 1872). La wilderness assunse, nelle sue battute iniziali, un connotato marcatamente protezionista, estrinsecandosi, dal punto di vista normativo, nella istituzione di aree assoggettate ad un regime speciale di protezione ambientale, allo scopo di mantenerne intatto l’equilibrio ecologico, di tutelarne la biodiversità e di sottoporle ad attività di studio e di ricerca scientifica. Lo sviluppo, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, di una nuova concezione basata sull’esaltazione dei valori estetici della Natura condusse all’emersione di una forma embrionale di turismo naturalistico, ed alla finalità protezionista si aggiunse quella ricreativa: preservare la natura nel suo stato primitivo, oltre a tutelare il territorio e ad assicurare la sopravvivenza della fauna e della flora nella loro condizione originaria, cominciò ad essere considerato anche un modo per garantire la fruizione di aree di rilevanza turistica. Lo sviluppo delle reti ferroviarie in paesi come Stati Uniti, Canada ed Australia consentì ad un numero crescente di persone di praticare un’esperienza turistica nei primi Parchi Nazionali, il che a sua volta determinò la nascita di strutture di accoglienza nei pressi delle aree interessate dai flussi. L’esplosione della motorizzazione privata, nel secondo dopoguerra, trasformò il turismo verso le aree wilderness in un fenomeno di massa, soprattutto negli Stati Uniti. In Europa, e certamente anche in Italia, una minore presenza di aree naturali vaste e incontaminate, associata ad una intesa antropizzazione dei territori, ha condotto nel tempo ad una concezione della protezione ambientale meno legata ad un’idea di pura wilderness e più associata al recupero - anche in chiave turistica - dei generi di vita e dei paesaggi culturali delle comunità locali, oggi minacciate dallo spopolamento o dalla assimilazione da parte del dominante modello urbano-industriale. Analogamente, il termine wilderness ha assunto nel nostro Paese, quanto meno nell’ambito della divulgazione, un significato più generico e sfumato, ossia di ambiente naturale scarsamente antropizzato, dotato di speciali pregi paesaggistici e caratterizzato dalla presenza di specie animali selvatiche. In tale accezione più “morbida” del termine rientrano certamente quasi tutte le aree protette italiane, che invece, salvo qualche eccezione, verrebbero escluse dal novero delle aree wilderness in senso stretto. I pionieri del tour operating Come è noto, e come sarà meglio specificato in seguito, l’attività del tour operator consiste nel creare o nell’assemblare pacchetti turistici, generalmente inclusivi di titoli di trasporto, pernottamenti alberghieri, ristorazione e altri servizi forniti da operatori locali, e si differenzia nettamente da quella delle agenzie di viaggio, che invece sono esercizi commerciali che, accanto ad una sempre più marginale attività di biglietteria aerea, ferroviaria e marittima, vendono al consumatore finale le proposte di viaggio elaborate dai tour operator (anche se, come vedremo, questa tradizionale

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articolazione della filiera commerciale turistica ha subito sostanziali modifiche negli ultimi anni). L’esplosione dell’attività di tour operating è coincisa temporalmente, come è piuttosto ovvio, con il boom del turismo di massa, che possiamo collocare tra il secondo dopoguerra e gli anni Sessanta, per poi consolidarsi – di pari passo con l’evoluzione del mercato turistico – nei decenni successivi e fino a tutto il XX secolo. Cionondimeno, l’attività di intermediazione ed organizzazione nel soddisfacimento di esigenze complesse di mobilità (tale è, a conti fatti, quella del tour operator) ha origini remote: si ricorderà che già nel Medioevo gli armatori veneziani fornivano ai pellegrini diretti in Terra Santa un “pacchetto” che oggi chiameremmo, sempre con termine inglese, “all inclusive” (viaggio, vitto, alloggio, pratiche amministrative etc.). Per potersi però parlare di tour operating nel senso moderno del termine, ossia di una attività d’impresa caratterizzata da una organizzazione stabile e riconoscibile in quanto tale, e da una comunicazione commerciale rivolta, attraverso canali istituzionali, ad un pubblico il più ampio possibile, bisognerà attendere la seconda metà del XIX secolo, quando inizierà a consolidarsi e ad assumere una dimensione aziendale l’iniziativa, pionieristica per l’epoca, avviata nel 1841 dall’inglese Thomas Cook. Fervido religioso ed attivista in campo sociale, in particolar modo nella lotta contro l’alcolismo, organizzò il 5 luglio 1841 il primo trasporto collettivo low cost della storia moderna: affittò dalla società ferroviaria Midland Counties Railway una carrozza per trasportare a basso costo – uno scellino - 570 attivisti della organizzazione filantropica “Società della Temperanza” da Leicester a Loughborough (una distanza di 11 miglia), perché potessero partecipare ad una riunione di detta organizzazione. Quattro anni dopo questo primo esperimento – reiterato in seguito con regolarità - Cook passò dalla dimensione del mero impegno filantropico a quella dell’attività d’impresa, sia pure condotta all’insegna della solidarietà, organizzando brevi viaggi in Inghilterra e Scozia per categorie sociali svantaggiate. Va tuttavia detto che alla lungimiranza ed al talento organizzativo Cook non seppe associare una dose sufficiente di spirito imprenditoriale: la sua società attraversò alti e bassi dal punto di vista finanziario, e fu solo con l’ingresso nella gestione del più pragmatico John Mason – figlio di Thomas - che la “Thomas Cook and Son” conobbe una duratura fase di sviluppo. Alla fine del XIX secolo la società aveva aperto filiali in numerose città europee, nordamericane ed australiane, ed organizzava viaggi in diverse destinazioni mondiali (offrendo persino un viaggio di 222 giorni intorno al mondo), specializzandosi in Egitto e Medio Oriente. Pionieristica anche l’introduzione, nel 1890, della “banconota circolare”: una forma di pagamento, antesignana del traveller’s cheque, riservata ai clienti della “Thomas Cook and Son” e spendibile negli esercizi alberghieri convenzionati con quest’ultima. Nel corso del XX secolo complesse vicende societarie modificheranno più volte l’assetto proprietario dell’azienda, che rappresenta ancora oggi uno dei principali tour operator europei. Ancora una volta, quindi, il Regno Unito ha rappresentato il Paese ”apripista” in materia di indirizzi turistici. Cionondimeno, non può essere sottaciuto il ruolo svolto da altri operatori europei nello sviluppare con successo, tra la fine del XIX e l’inizio

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del XX secolo, l’attività di tour operating in forme moderne, come la belga “Compagnie Internationale des Wagons-Lits et du Tourisme”, fondata nel 1872 e legata indissolubilmente all’idea stessa del trasporto ferroviario su lunga distanza (il suo fondatore, Georges Nagelmakers, fu anche il creatore del leggendario Orient Express), oppure la svizzera Kuoni, fondata nel 1909 e dichiarata nel 2010 “World’s Leading Tour Operator”. In Italia, fra i precursori del settore, è possibile citare la Chiari, fondata nel 1878 a Milano da Massimiliano Chiari (il primo agente di viaggi italiano), rilevata dalla Sommariva a fine Ottocento ed ancora oggi in attività come “Chiariva”. Il turismo: un fenomeno di massa Le trasformazioni post-belliche Con l’espressione “turismo di massa” si intende quella fase del fenomeno turistico, il cui inizio è databile intorno agli anni Venti-Trenta negli Stati Uniti ed intorno agli anni Cinquanta-Sessanta in Europa, caratterizzata dall’estensione delle pratiche e della cultura del turismo a tutte le fasce sociali in grado di produrre un reddito, sia pure modesto. In questa fase il turismo non è più appannaggio dei ceti aristocratici ed alto-borghesi, come all’epoca del Grand Tour e, successivamente, della Belle Époque, ma diviene accessibile anche ai lavoratori impiegati nei settori manifatturiero e terziario. Le ragioni sono molteplici: sviluppo economico generale e quindi maggiore disponibilità di reddito per le classi lavoratrici, fino ad allora escluse dai circuiti turistici per motivi innanzitutto economici; ferie pagate, e quindi disponibilità di tempo libero da impiegare in attività ricreative al di fuori della località di abituale residenza; sviluppo dei trasporti, ed in particolare della motorizzazione privata, conseguenza anche questa delle migliorate condizioni economiche ed infrastrutturali; sviluppo dell’urbanizzazione, con conseguenti desiderio di evasione dalla routine metropolitana da un lato, e diffusione di modelli culturali urbani – e fra questi il turismo – dall’altro. Si tratta, come è evidente, di una svolta epocale, destinata a cambiare per sempre l’assetto della società occidentale: la sua scala di valori, i suoi bisogni, i suoi costumi, i suoi paradigmi ne vengono trasformati. Particolarmente pregnante, a tal proposito, l’incipit del saggio “Storia della villeggiatura”, di Orvar Löfgren: “Considero le vacanze come un laboratorio culturale in cui le persone hanno la possibilità di sperimentare nuovi aspetti della propria identità, nei rapporti sociali o nell’interazione con la natura, e anche di sfruttare importanti attitudini quali sognare a occhi aperti e compiere viaggi mentali. Si tratta di un contesto in cui la fantasia diventa un’importante pratica sociale”. Ed in effetti, l’espressione “turismo di massa” non ha solo una valenza economicistica: se da un lato essa richiama il principio aziendale della minimizzazione dei costi – e quindi della massimizzazione del profitto - attraverso l’offerta di un prodotto indifferenziato ad una massa il più ampia possibile di acquirenti, dall’altro suggerisce una dimensione sociologica di appartenenza ad una massa, appunto, di vacanzieri. Si va in vacanza anche per una esigenza identitaria e culturale, per non sentirsi esclusi dal proprio ambito sociale e

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per partecipare ad un rituale collettivo che, in questo momento storico, assume soprattutto le forme del turismo cosiddetto delle 4 S (sun, sea, sand, sex), volendo con ciò significare la “balnearizzazione” – qualcuno parla più specificamente di “mediterraneizzazione” – dell’immaginario e delle pratiche del turismo: in buona sostanza, predomina in questa fase la vacanza estiva in una località balneare (preferibilmente del Mediterraneo per gli europei, della Florida per i nord-americani) raggiungibile con la propria vettura o, nel caso delle isole, con forme di trasporto combinato (ad esempio auto più traghetto). Ne è conseguita l’esplosione tanto delle attività di intermediazione (agenzie di viaggi e tour operator), tanto dell’offerta di ricettività (alberghi, pensioni, campeggi, villaggi, seconde case) e dei servizi turistici (ristoranti, stabilimenti, trasporti marittimi) in un numero crescente di località dotate di risorse riconducili al paradigma delle 4 S. Tutto ciò ha generato prospettive concrete di sviluppo e una massiccia terziarizzazione del tessuto economico delle località marittime interessate dal turismo balneare, ma al tempo stesso ha prodotto una alterazione spesso irreversibile dei paesaggi costieri e in non pochi casi ha introdotto un meccanismo di segregazione spaziale tra popolazione residente e vacanzieri. Mutatis mutandis, quanto detto a proposito del turismo balneare vale anche per il turismo montano invernale legato alla pratica dello sci alpino: sulla scorta dei primi elitari esempi che già ai primi del Novecento avevano interessato alcune località dell’arco alpino, si assiste a partire dagli anni Sessanta, complice anche l’evoluzione tecnologica in materia di impianti funiviari, ad uno sviluppo dai connotati tipicamente di massa - tanto che si è arrivati a coniare l’immaginifica espressione di “oro bianco” – e ad una capillare diffusione geografica di stazioni sciistiche in tutti i Paesi dell’Occidente in possesso dei necessari requisiti climatici ed orografici, con tutto ciò che ne è conseguito in termini di sviluppo locale da un lato e di alterazione paesaggistica dall’altro. Il dilatarsi degli spazi e dei tempi del turismo Nelle fasi iniziale e di consolidamento della dimensione massiva del turismo (anni Cinquanta-Settanta, grosso modo), la natura dell’industria della vacanza è stata quindi sostanzialmente duplice: balneare in estate e montana in inverno. Al novero dei risvolti problematici, sopra accennati, se ne è andato quindi aggiungendo un altro: quello della accentuata stagionalità, ossia della concentrazione dei flussi - indotta dalle condizioni climatiche - in determinati periodi dell’anno, tipicamente nei mesi di luglio e agosto per le località balneari e nei mesi da dicembre a marzo (e pur sempre con l’alea delle precipitazioni nevose) per quelle sciistiche. È sempre esistito, e sempre esisterà, un nesso deterministico tra clima e turismo. Anzi, si può dire che la motivazione climatica – il cosiddetto “tropismo”– sia stata in misura rilevante alla base del turismo moderno di stampo ottocentesco, molto basato sulla ricerca di condizioni climatiche più amene o più salutari di quelle dei Paesi di provenienza dei flussi (in buona sostanza Regno Unito, Germania e Paesi nordici, generalmente freddi, umidi e piovosi). In quel periodo storico, tuttavia, l’esiguità dei

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flussi rendeva lento e graduale il processo di diffusione del fenomeno turistico dalle prime località pioniere ad altre di successiva istituzione. Nell’epoca del turismo di massa, invece, l’azione combinata di una accentuata stagionalità e di un incremento esponenziale dei flussi, sia interni che internazionali, ha dilatato enormemente gli spazi di mercato dell’industria turistica. Ciò si è tradotto, sul piano territoriale, in una moltiplicazione delle stazioni balneari e montane secondo un modello di diffusione spaziale molto ben descritto dal geografo francese Miossec. Alle soglie degli anni Ottanta, dopo lo sviluppo intenso e caotico degli anni Sessanta e Settanta, si è raggiunta la saturazione, in termini sia spaziali che temporali, delle località balneari e montane del Mediterraneo settentrionale e dell’arco alpino, oltre che di ampie sezioni di altre catene montuose europee (Appennini, Pirenei, Sierra Nevada, Carpazi, ecc.). Si è reso quindi necessario in questa fase, che si è caratterizzata per la riproposizione in forme nuove di prodotti ormai maturi, individuare nuovi spazi e nuovi tempi verso cui indirizzare un flusso in costante incremento. Le forme di turismo prevalenti sono ancora quelle tradizionali, e non sono maturi i tempi per le innovazioni che emergeranno a partire dagli anni Novanta e che dilateranno gli spazi e i tempi del turismo facendo leva soprattutto sulla diversificazione tipologica e motivazionale. Ed ecco quindi prendere piede, complice anche l’abbattimento dei costi del trasporto aereo che è stato possibile realizzare attraverso la formula del volo charter, una pratica fino a quel momento riservata ad una élite di benestanti: il mare in inverno in località tropicali del Mar Rosso, dell’Oceano Indiano, del Pacifico o dei Caraibi, destinazioni che finiranno per raggiungere una posizione apicale nell’immaginario turistico collettivo, grazie anche ad abili operazioni di marketing messe in atto da tour operator internazionali. Parzialmente diverso invece il discorso del turismo montano estivo, tipologia già di moda presso le aristocrazie ottocentesche, ma che conoscerà una dimensione massiva solo a partire dall’ultimo quarto del XX secolo. In questo caso, accanto alla necessità di attenuare la stagionalità dei flussi verso le località di montagna attraverso l’estensione della stagione turistica ai mesi estivi, ed in presenza anche di una motivazione puramente climatica, legata al tropismo (crescente intolleranza individuale verso le temperature e i tassi di umidità estivi al livello del mare, in reale o presunto aumento medio), ha molto contato lo sviluppo di una sensibilità naturalistico-ambientale presso strati sempre più ampi della popolazione occidentale: il turismo escursionistico montano è infatti una tipologia molto basata sul desiderio di contatto con la natura in contesti scarsamente antropizzati, se non proprio connotati da wilderness. Causa ed effetto al tempo stesso di questa tendenza evolutiva è stata, in Italia e in altri Paesi europei, l’istituzione nei primi anni Novanta di numerosi nuovi Parchi Nazionali in aree montane, al duplice scopo di tutelare porzioni di territorio di particolare pregio ambientale dal rischio di speculazioni edilizie e di tentazioni produttivistiche (ad esempio attività estrattive o impianti di risalita), e di ampliare l’offerta di turismo naturalistico ed escursionistico in una forma non lesiva degli ecosistemi, prospettando al tempo stesso nuove ipotesi di sviluppo per contesti geografici altrimenti destinati alla marginalità e allo spopolamento.

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Il consolidamento dell’offerta turistica Come si diceva nel paragrafo precedente, tra gli anni Cinquanta e Settanta del XX secolo, in Europa e in altre regioni del pianeta, si è verificato un intenso processo di diffusione territoriale dell’offerta turistica che ha seguito, grosso modo, lo schema proposto dal citato modello di Miossec. Scendendo più nel concreto, si è osservata generalmente una dinamica di questo tipo: le località definite pioniere, ossia quelle che erano già state interessate da forme di turismo – tipicamente balneare o montano, ma anche lacuale e termale - tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento (in Italia, ad esempio, Viareggio, Grado e Rimini per il turismo balneare; Cortina d’Ampezzo per quello montano), hanno funto da esempio per le nuove realtà che andavano emergendo ed organizzandosi in funzione dell’attività turistica, e questo sia per quanto riguarda gli aspetti materiali (strutture ricettive, esercizi commerciali e di ristorazione, stabilimenti balneari, impianti di risalita e via dicendo), sia per quanto riguarda quelli immateriali (conoscenze e competenze del personale addetto ai servizi turistici, metodologie di gestione, forme di comunicazione e marketing ecc). In qualche caso, le nuove località si sono andate strutturando a partire dall’orbita geografica della località pioniera, secondo un processo di diffusione spaziale per contiguità, fino a formare una sorta di regione turistica più o meno omogenea, strutturata e interconnessa (ad esempio, la Riviera Romagnola, oppure la Val Badia), il che oggi facilita l’adozione di forme sistemiche di organizzazione dell’offerta turistica . In altri casi, invece, si è seguito un esempio geograficamente molto distante, secondo un processo imitativo basato su tipologie insediative ed edilizie spesso del tutto estranee al contesto territoriale in cui sono state realizzate: nelle aree costiere, ad esempio, ci si è richiamati in maniera generalizzata alla “mediterraneità”, in quelle montane ha prevalso lo stile “tirolese”. Si è trattato inoltre di un processo che ha prodotto, nei casi migliori, paesaggi per così dire “artificiali” anche quando ci si è ispirati a modelli culturali autoctoni: valga in proposito l’esempio di Porto Cervo in Costa Smeralda. In quelli peggiori, ben più numerosi, la speculazione edilizia ad uso turistico ha invece introdotto una dimensione urbano-residenziale di scarso valore estetico e di dubbia funzionalità in contesti naturali e paesaggistici talvolta di grande pregio. Tale processo di edificazione, in larga misura, si è estrinsecato nella realizzazione di “seconde case” di villeggiatura in località, sia marine che montane, ubicate in prossimità di grandi centri urbani e dotate di attrattive paesaggistiche, naturalistiche e climatiche tali da giustificare massicci investimenti nel settore edilizio e nella realizzazione delle necessarie opere di urbanizzazione. Quello delle seconde case, in realtà, non è un fenomeno recente: a prescindere dalla dimensione “patrizia” ed estremamente elitaria che esso conobbe nel mondo romano, già nel Settecento e nell’Ottocento era un tratto comune di località termali, lacuali e marine alla moda, soprattutto nell’Europa settentrionale. Né d’altro canto esso si limita necessariamente ai contesti balneari e sciistici: nei mondi anglosassone e scandinavo è sempre stato usuale possedere seconde case di villeggiatura in contesti rurali, dotati di condizioni climatiche e paesaggistiche (nel senso lato del termine) antitetiche rispetto a quelle urbane, ma certamente privi di quelle attrattive comunemente riconducibili al turismo

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di massa. Esso ha conosciuto lo sviluppo abnorme che oggi osserviamo, ed una esasperata concentrazione in località costiere e montane, solo a partire dagli anni Cinquanta-Sessanta, in concomitanza con l’esplosione del turismo di massa legato alla balneazione ed alla pratica dello sci alpino. Se da un lato questa riconversione ad uso turistico-residenziale ha apportato nuove risorse economiche sotto forma di attività commerciali, di ristorazione, di manutenzione del patrimonio edilizio, di servizi immobiliari, legali, finanziari ecc., dall’altro ha comportato un indubbio e pressoché generalizzato degrado del paesaggio, un consumo di territorio non sempre realizzato in nome dell’interesse collettivo e una pressione antropica sulle infrastrutture e sui servizi pubblici (reti elettriche, idriche, fognarie, parcheggi, rimozione dei rifiuti) destinata, nei periodi di maggiore afflusso turistico, a superare la capacità di carico del territorio. La questione si pone con particolare intensità nelle aree, come le Alpi, caratterizzate da grande valenza paesaggistica ed elevata vulnerabilità degli ecosistemi: nel solo territorio alpino italiano si stima la presenza di 590.000 seconde case, soprattutto nelle sezioni piemontese, lombarda e veneta, laddove invece l’Alto Adige si segnala per un’offerta turistica basata quasi esclusivamente su strutture alberghiere ed extra alberghiere. È opinione comune – e condivisibile – che il turismo delle seconde case non apporti nel lungo periodo, alle località che ne sono interessate, vantaggi economici commisurati alle esternalità negative, sopra descritte. A tal riguardo, basti considerare i seguenti dati, riferiti all’Italia: secondo una stima dell’Osservatorio Nazionale del Turismo le presenze nelle seconde case, nel 2009, sarebbero state pari a 502 milioni, contro i 358 milioni di presenze nelle strutture ricettive (rispettivamente il 58% ed il 42% del totale). Di contro, dei 75,9 miliardi di euro di consumi turistici effettuati in quell’anno nel nostro Paese, ben 48,5 (il 64%) sono attribuibili ai turisti che hanno usufruito di strutture ricettive e solo 27,4 (il 36%) a coloro che, a titolo di proprietà o di locazione, hanno soggiornato nelle seconde case. Turismo di massa nella regione mediterranea La regione del Mediterraneo, con uno sviluppo costiero di 46.000 km, è forse la principale destinazione turistica mondiale: un terzo dell’intero fatturato del settore è riconducibile a questa regione. Gli arrivi internazionali – escludendo quindi quelli nazionali - avevano raggiunto alla fine degli anni Novanta un valore di 220 milioni, e si stima (WTO) che toccheranno i 350 milioni nel 2020. L’80% del flusso turistico complessivo è diretto verso Spagna, Francia, Italia e Grecia. I principali Paesi di provenienza dei flussi (84%) sono europei, Germania in primis, seguita da Regno Unito, Francia e Italia. Cionondimeno, un flusso turistico non limitato ai ceti aristocratici e borghesi - che frequentavano le località balneari à la page italiane, francesi e spagnole già dalla metà dell’Ottocento - cominciò a svilupparsi relativamente tardi, quanto meno rispetto al Nord Europa, per le vicende politiche ed economiche degli anni Venti, Trenta e Quaranta, che hanno reso tortuoso e accidentato il percorso di diffusione delle pratiche turistiche nella regione. Lo scenario, tuttavia, è cambiato radicalmente

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nella seconda metà del Novecento, quando l’Europa meridionale, ritrovata la stabilità politica, è diventata il simbolo del turismo di massa europeo. Non sarebbe esagerato definire paradigmatica la formula turistica che già negli anni Cinquanta veniva proposta dai tour operator attivi nell’area mediterranea: una “miscela” basata sulla presenza di un clima caldo e soleggiato, di un antico retaggio culturale ricollegabile alla classicità, di un ambiente sociale amichevole e di una buona tradizione eno-gastronomica, formula in seguito ben sintetizzata dalle famose 4 S (sun, sea, sand, sex). Ne è scaturito un modello lineare di urbanizzazione, immediatamente contiguo e parallelo alla costa, noto come “marbellizzazione”, in cui i processi di edificazione ad uso turistico hanno finito per incidere pesantemente sui quadri paesaggistici e sugli ecosistemi costieri. È in questa fase (anni Cinquanta – Settanta) che il Mediterraneo diventa una destinazione turistica privilegiata, non solo a livello quantitativo, ma anche a livello simbolico: la “mediterraneità” assurge a modello per località turistiche anche lontanissime, come la California meridionale o la Nuova Zelanda. Anche il Mediterraneo turistico propriamente detto finisce per estendersi oltre i suoi limiti geografici: ad esempio le Canarie, politicamente spagnole ma geograficamente atlantiche, vengono promosse sul mercato turistico come una destinazione mediterranea in cui l’estate “dura tutto l’anno”. La geografia del turismo del Mediterraneo si è andata articolando anche in funzione dei rivolgimenti politici che hanno interessato la regione nell’ultimo trentennio del XX secolo. Se il regime franchista in Spagna non aveva mai posto – se non in una primissima fase - un serio freno allo sviluppo del turismo, solo la fine delle dittature in Grecia e Portogallo negli anni ’70 consentirà l’ingresso massiccio di questi paesi nel circuito turistico internazionale, e di certo anche alla regione portoghese dell’Algarve, sulla costa atlantica, è stata conferita la patente di “mediterraneità”, stante la prossimità geografica e l’affinità paesaggistico-culturale. Per quanto riguarda la seziona mediorientale del bacino, e con l’unica eccezione della Turchia, dove il turismo ha potuto consolidarsi senza particolari fattori di limitazione, la presenza di conflitti interni o internazionali, ed in generale l’instabilità politica, hanno sempre ridisegnato la mappa delle destinazioni turistiche. Il perdurante conflitto israelo-palestinese, nelle sue ramificazioni regionali, ha influenzato – e influenza tuttora - lo sviluppo del turismo nell’area interessata: il Libano, ad esempio, era una delle mete turistiche più alla moda negli anni Sessanta e Settanta, fino a quando la guerra civile non lo ha reso inaccessibile, favorendo lo sviluppo di Cipro, limitatamente però alla parte meridionale dell’isola, essendo quella settentrionale soggetta all’occupazione militare turca dal 1974. Fra i paesi del Nord Africa, solo Egitto, Tunisia e Marocco hanno potuto conoscere uno sviluppo rilevante del turismo (oggi reso problematico dalla transizione politica legata alla cosiddetta “primavera araba”), laddove invece la Libia e l’Algeria sono sempre state quasi del tutto inaccessibili a causa di eventi politici legati al processo di decolonizzazione, alla presenza di regimi dittatoriali o all’instabilità politica. Passando alla sezione balcanica, il comparto turistico di Slovenia, Croazia e Montenegro, fiorente già in epoca socialista, è stato ostacolato a lungo dal conflitto nella ex-Jugoslavia e dai suoi

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strascichi, mentre in Albania la totale chiusura verso il mondo esterno imposta dal folle regime di Enver Hoxha prima, e l’instabilità politica degli anni Novanta poi, hanno finora impedito l’emersione di un settore turistico di livello internazionale, a dispetto di risorse ambientali e paesaggistiche di grande pregio. Gli sviluppi contemporanei Turismo e globalizzazione Con il termine globalizzazione si intende, sinteticamente, la crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti, i cui effetti principali sono la convergenza economica e culturale fra le regioni coinvolte in tale processo e l’aumento del divario con quelle che ne restano ai margini. Lungi dal rappresentare un fenomeno degli ultimi decenni, essendo piuttosto la manifestazione più recente dell’interazione che è in atto da migliaia di anni fra le popolazioni che abitano il Pianeta, il processo di globalizzazione si connota per la simultaneità e la molteplicità delle esperienze, delle identità, dei modelli operativi in quello che è stato definito il “villaggio globale” (Marshall McLuhan, 1964), dove la tanto avversata quanto ineludibile tendenza all’omologazione culturale coesiste con l’esaltazione, talvolta intrisa di ideologismi, delle specificità e delle identità locali. Al tempo stesso, la globalizzazione ha accelerato il passaggio da sistemi chiusi a sistemi aperti, da fissità a mobilità, da isolamento ad interdipendenza: il centro o, per meglio dire, i centri del potere economico, politico, finanziario, culturale, religioso influenzano le periferie in maniera immediata e diretta, a prescindere dalla distanza geografica, così come immediata e diretta è la presenza – demografica, economica, culturale, simbolica - delle periferiche nel centro, in forme sia tangibili che intangibili. Da qui la consapevolezza, o quanto meno l’aspirazione, per l’individuo contemporaneo – che qualcuno definirebbe post-moderno – di appartenere ad un sistema socioculturale più ampio di quello rappresentato dalla semplice dimensione locale o nazionale, e quindi il desiderio di ampliare i propri orizzonti esistenziali attraverso l’esperienza autoptica di realtà, culture, territori che sono “altri” rispetto ai propri, esperienza che diviene possibile innanzitutto attraverso la pratica del turismo. La crescente apertura che la globalizzazione ha generato in campo geopolitico, economico, culturale ha influenzato in maniera determinante lo sviluppo del turismo contemporaneo, dilatandone a dismisura il raggio di azione e gli ambiti territoriali, ed ha reso il turismo uno dei principali settori economici a livello mondiale, con il più alto tasso di sviluppo e la maggiore reattività alle crisi economiche. D’altro canto, il turismo è a sua volta strumento di contatto fra culture: non è inesatto affermare che una delle ricadute del turismo internazionale è la reciproca contaminazione culturale tra i centri generatori dei flussi (Europa, Nord America, Giappone) e le periferie, sempre meno relegate al ruolo di mere aree di ricezione (è il caso di Cina, India, Brasile, Europa Orientale), il che fa del turismo una delle cause della globalizzazione, oltre che uno dei suoi effetti. Nel loro strettissimo intreccio globalizzazione e turismo internazionale sono quindi in grado di innescare un processo (virtuoso o vizioso, a seconda dei casi e dei punti di vista) che si autoalimenta e si potenzia.

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Lo stretto legame che intercorre tra globalizzazione e turismo è dimostrato anche dalle rispettive dinamiche storico-evolutive. La scaturigine di entrambi i fenomeni appare intrinsecamente legata al progresso tecnologico che si è registrato nel settore dei trasporti e delle telecomunicazioni a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, epoca alla quale si fanno risalire sia la prima brusca accelerazione del processo di internazionalizzazione delle relazioni economiche (oggi culminato nella globalizzazione), sia la nascita del turismo moderno, fortemente connesso, in una prima fase, allo sviluppo dei trasporti ferroviari. Nei decenni successivi, ad ogni progresso tecnologico nel campo dei trasporti (navigazione transoceanica, aviazione, motorizzazione privata) e delle telecomunicazioni (telegrafo, telefono, Internet), globalizzazione e turismo hanno conosciuto sviluppi paralleli e interdipendenti, tanto da rappresentare due dimensioni e due chiavi di lettura dello stesso fenomeno, quello della crescente interazione spaziale a livello planetario. Una “svolta culturale”: dalle 4 S alle 4 E Sulla scorta dei processi descritti nel precedente paragrafo, il turismo contemporaneo si va caratterizzando per una sempre maggiore segmentazione della domanda, in termini di reddito, età, consumi, abitudini, luoghi di residenza, livelli di istruzione, motivazioni, attitudini. Gli analisti concordano, inoltre, sul fatto che la domanda mondiale di turismo sia destinata a diversificarsi ulteriormente nel medio e nel lungo periodo. L’offerta, di conseguenza, va evolvendo verso formule sempre più specifiche e soluzioni sempre più personalizzate: come vedremo nei prossimi paragrafi, da un lato nascono e si sviluppano nuove forme di turismo, dall’altro si affermano nuovi modi di interpretare e vivere le forme tradizionali. Le ragioni alla base di questa evoluzione del mercato turistico sono di ordine sia tecnologico (migliore accessibilità di un numero crescente di località grazie allo sviluppo dei trasporti, soprattutto di quelli aerei low cost; informazione più ampia, puntuale e disponibile grazie a Internet), sia motivazionale (ricerca di destinazioni alternative; desiderio di incontro con culture, identità e atmosfere “altre”, purché percepite come autentiche; aspirazione ad allargare la propria sfera di azione a esperienze nuove, inconsuete o semplicemente trendy). Accanto al turismo cosiddetto delle “4 S” (sun, sea, sand, sex), espressione – riferibile in particolar modo al turismo balneare di massa - con cui si vuol rappresentare il prototipo della vacanza standardizzata, si registrano con crescente intensità, a livello globale e per tutti i comparti turistici, dinamiche che sono state definite delle “4 E” (équipement, encadrement, événement, environnement; cfr. al riguardo M. Morazzoni, Turismo Territorio Cultura): per il successo di una nuova destinazione turistica – o per la rivitalizzazione di una località in fase di declino - non ci si basa più unicamente sulle economie di scala che si possono realizzare attraverso l’offerta di un prodotto indifferenziato al maggior numero possibile di turisti (paradigma questo del turismo di massa), ma anche – e forse soprattutto - sulla creazione e sulla promozione, attraverso canali non solo tradizionali, di un “contesto” turistico (environnement) altamente specifico e legato alle caratteristiche del territorio di riferimento, ben organizzato sotto il profilo logistico e dell’accoglienza

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(équipement), in grado di soddisfare le esigenze di un pubblico esigente e competente, attento alla qualità del servizio (di qui l’esigenza dell’encadrement, ossia della formazione professionale degli addetti) ed agli aspetti culturali che la destinazione è in grado di proporre (sintetizzati, nell’espressione sopra citata, dal termine événement, che potremmo rendere con “politica degli eventi”, intesi questi ultimi nel senso più ampio possibile, purché coerenti con l’immagine del luogo). Si tratta quindi di un complesso eterogeneo di offerte turistiche fortemente segmentate ed accomunate dal fatto di rappresentare un’alternativa al turismo di massa: si rivolgono infatti a mercati che appaiono di nicchia se considerati in un’ottica locale, ma che alla scala continentale o globale possono contare su una massa critica di potenziali utenti in grado di assicurare la redditività degli investimenti realizzati dagli operatori, a patto naturalmente di garantire alla località interessata le necessarie condizioni di visibilità, immagine, accessibilità, attrattività e fruibilità. In letteratura sono state coniate numerose definizioni per questa nuova “filosofia” del fare turismo (soft tourism, slow tourism, special interest tourism, total leisure experience), che si estrinseca in un approccio al viaggio, allo svago, alla vacanza come a una fruizione unitaria e organica – qualcuno la definirebbe “olistica” - del territorio e ad una forma di appagamento non superficiale né banale, in grado di arricchire il proprio bagaglio di esperienze personali (diversamente da quanto avverrebbe, secondo molti, nelle forme di turismo che rientrano nella categoria sopra definita delle “4 S”). Di qui, anche una certa ambivalenza concettuale del termine anglosassone leisure6, ossia quella quota di tempo che l’individuo destina ad attività di svago, intese in senso lato. Il concetto di leisure oggi appare strettamente collegato al turismo, e questo non soltanto per superficialità o per imprecisione terminologica: se è vero che il turismo è una delle possibili forme di leisure (ossia di impiego del tempo libero), è anche vero che le attività di leisure si estrinsecano sempre di più in dinamiche di tipo turistico (ossia spostamenti dal luogo di abituale residenza, che danno origine a uno o più pernottamenti in strutture ricettive). Non ci si sposta più soltanto episodicamente (tipicamente d’estate o durante il periodo dell’innevamento) per la classica vacanza balneare, per la settimana bianca o per la visita a una città d’arte. Come vedremo oltre, ci si sposta – impiegando quindi il proprio tempo libero - sempre più spesso, per periodi mediamente più brevi, con le più svariate motivazioni e per svolgere le più disparate attività: si pensi, a puro titolo di esempio, ai flussi turistici attivati dal desiderio di praticare uno sport come il golf, che ha dato luogo ad una vera e propria nicchia di turismo d’élite, o di effettuare shopping in siti prestigiosi, come Via Montenapoleone a Milano, o di visitare luoghi che sono stati teatro di capitoli drammatici della storia dell’Umanità (il cosiddetto dark tourism). Prodotti innovativi e destinazioni emergenti Come accennato nel precedente paragrafo, in tutti i contesti geografici, sia in quelli consolidati che in quelli emergenti, emergono nuovi modi di fare turismo: di fatto, qualsiasi manifestazione visibile dell’azione umana o della fenomenologia naturale è oggi potenzialmente oggetto di interesse per il mercato turistico. Accanto alle nuove

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modalità di fruizione delle risorse tradizionali nascono e si sviluppano segmenti totalmente nuovi, sulla scorta di motivazioni e sensibilità inusitate (geoturismo, cine e tele-turismo, “industriale”, “shopping”, “landscape”, “heritage”, “memory”, “wellness”, “adventure”, “dark” ecc.), di cui si darà conto nel prossimo capitolo. Di pari passo, e coerentemente, una attenzione sempre maggiore viene rivolta verso quello che potremmo definire il “paradigma dell’integrazione dell’offerta turistica”. Con l’esclusione di poche realtà caratterizzate dal requisito della infungibilità (ad esempio Roma o Parigi per il turismo culturale urbano, la Sardegna o le Maldive per quello balneare, le Dolomiti per quello montano ecc.), è ormai definitivamente acquisita l’idea che il successo di una destinazione sia legato anche - e soprattutto - alla possibilità di integrare fra loro diverse forme di turismo: sempre più spesso, ad esempio, le località balneari o montane si dotano di centri benessere e campi da golf, elaborano itinerari enogastronomici ed escursioni naturalistiche, organizzano eventi culturali, sportivi, musicali ecc. E questo per due ragioni fondamentali: quanto più ricca e diversificata è l’offerta, tanto più numerosi saranno i segmenti della domanda che possono essere intercettati, da un lato; tanto più specifica e riconoscibile - e quindi tanto meno fungibile – sarà la località nel suo mercato di riferimento, dall’altro. Il turismo culturale è forse il comparto che meglio si presta sia all’ideazione di nuovi prodotti sia all’integrazione con altre tipologie turistiche, e questo anche grazie al fatto che il termine “cultura” viene oggi correttamente inteso in senso lato, ossia di qualsiasi manifestazione sedimentata e sensibile dell’azione umana. Sotto questo profilo, l’Italia rappresenta sicuramente una delle realtà di punta a livello internazionale, potendo contare su un patrimonio storico, artistico, paesaggistico ed enogastronomico - e quindi sui un complesso di risorse da proporre in modo innovativo ed integrato ad un pubblico sempre più eterogeneo ed esigente - forse unico al mondo. A questo riguardo, di particolare importanza per lo sviluppo del turismo nel nostro Paese appare il crescente interesse che sia i turisti italiani che quelli stranieri dimostrano verso le località cosiddette “minori”, ignorate dal turismo di massa e periferiche rispetto ai circuiti classici (ad esempio, rispetto al cosiddetto “turisdotto” Venezia-Milano-Firenze-Roma-Napoli), prive di emergenze monumentali e artistiche di grande richiamo, ma caratterizzate da un mix di attrattive (natura, paesaggio, architettura, enogastronomia, tradizioni, artigianato) tale da crearvi un’ambientazione peculiare e dotata di fascino. All’interno di simili contesti, il turista che potremmo definire “allocentrico”, ma non necessariamente “no frills”, - ché anzi, spesso, questo tipo di turista è alla ricerca del fasto, pur se in versione country - può calarsi per vivere o, più probabilmente, per illudersi di vivere, un’esperienza di condivisione delle espressioni culturali di una comunità e di un territorio che non sia contingente o artefatta (come accade invece, senza infingimenti, nel turismo di massa). Il rischio, tuttavia, è che questa forma di rivitalizzazione territoriale in chiave turistica si traduca piuttosto in una “musealizzazione” e che l’“atmosfera” si trasformi in mera “scenografia”. Si tratta di un limite ovvio e ineludibile, di cui è bene essere consapevoli, che tuttavia non sopprime l’opportunità di rivitalizzare, sfruttando la leva turistica, territori altrimenti destinati ad una

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irreversibile marginalizzazione. Ecco quindi che un numero crescente di località, o più precisamente di “micro-regioni”, solo fino pochi anni fa escluse dal mercato turistico poiché prive dei tradizionali fattori di attrazione (mare, lago, neve, terme, monumenti), ma dotate invece di risorse riconducibili all’ambito delle “4 E”, vanno conoscendo una certa notorietà ed anche un promettente sviluppo grazie ad una combinazione di promozione efficace e di accresciuta accessibilità (soprattutto se prossime ad uno scalo aereo di secondo livello servito da una o più compagnie low cost). In Italia è il caso, ad esempio, del Val di Noto in Sicilia, dell’Abruzzo aquilano “non sciistico”, di alcune zone della Basilicata, del Sannio molisano e campano, del Cilento interno, della Sila. Con questo non si vuole certamente affermare che il fenomeno di cui si tratta riguardi solo il nostro Paese: dinamiche analoghe, ad esempio, si registrano in Francia e nella Penisola Iberica, che presentano una dotazione di risorse paesaggistico-culturali simile a quella italiana. Nei contesti caratterizzati invece da una preponderanza del fattore naturalistico su quello storico-culturale (ad esempio l’Islanda o la Nuova Zelanda) si punta piuttosto sulle nuove modalità di fruizione della risorsa ambientale (come il whale watching, ossia l’avvistamento dei cetacei, o il rafting), talvolta anche in forme estreme e discutibili sotto il profilo della sostenibilità ambientale (come l’eliski o le escursioni su ghiacciaio), integrate con forme di turismo culturale (ad esempio eventi, musei naturalistici, cineturismo) che prescindono da una dotazione patrimoniale di natura storico-artistica. Parallelamente, aree del pianeta fino a pochi anni fa scarsamente o affatto visitate vengono oggi “scoperte” dal turismo: nuove destinazioni emergono e si sviluppano, e questo sia in conseguenza dell’evoluzione del settore, sopra descritta, sia in funzione di mutati assetti geopolitici. Sotto questo profilo, una delle novità più rilevanti degli ultimi anni (in particolare, a partire dalla fine degli anni Novanta) è stata l’esplosione del turismo nell'Europa centro-orientale, soprattutto per le tipologie tradizionali (balneare, montana, lacuale, termale, culturale, rurale ecc.), ma anche, in una certa misura, per quelle innovative (dark, memory, adventure, medical ecc.). Con la fine dei regimi comunisti e l’apertura dei Paesi di quest’area all’economia di mercato ed alla democrazia si sono attivati importanti flussi internazionali verso le capitali e le città storiche della regione (Praga, Budapest, Mosca, San Pietroburgo, Danzica, capitali baltiche), ma anche verso le località balneari delle coste adriatica (Slovenia, Croazia e più recentemente Montenegro) e del Mar Nero (Romania e Bulgaria), così come verso quelle montane della sezione slovena delle Alpi (Kranjska Gora), dei Monti Tatra (tra Slovacchia e Polonia), dei Carpazi (Romania e, in minor misura, Ucraina). Più ad est, sempre nell’ambito post-comunista, alcuni Paesi del Caucaso meridionale (Armenia e Georgia) e dell’Asia Centrale (Uzbekistan e Kirghizistan) si stanno affacciando al mercato turistico internazionale: essi possono infatti contare su risorse di straordinario fascino culturale (ad esempio le città storiche di Samarcanda e Bukhara in Uzbekistan, i monasteri dell’Armenia, le torri di pietra dello Svaneti in Georgia) e naturalistico (il Caucaso georgiano, il Tien Shan kirghiso), in grado di attirare un flusso – per il momento di assoluta nicchia – di “aficionados” di mete inusuali, e questo nonostante l’instabilità regionale, le difficili

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congiunture interne e la scarsa accessibilità. Si vuole poi segnalare il tumultuoso sviluppo della Cina come destinazione turistica, sulla base di un’offerta competitiva sotto il profilo economico ed estremamente ampia e diversificata (turismo culturale, montano, balneare, naturalistico ecc.): già nel 2004, con 41,8 milioni di arrivi internazionali, la Cina aveva scalzato l’Italia dal 4° posto nella graduatoria mondiale dei Paesi più visitati. Attualmente rappresenta il terzo Paese al mondo (dopo Francia e Stati Uniti), con 56 milioni di turisti stranieri nel 2010/11. Merita infine un cenno l’Antartide, nuovissima frontiera del turismo naturalistico, raggiunta da un finora limitato numero di viaggi su navi da crociera (che offrono anche brevi escursioni verso l’interno) destinati ad un pubblico abbiente. Nonostante la sua esiguità, il flusso turistico verso l’Antartide comincia a sollevare non irrilevanti questioni di sostenibilità ambientale, rese ancora più complesse dal particolare status giuridico dell’Antartide (condominio internazionale regolato dal Trattato Antartico del 1959), che rende difficile stabilire quale sia il soggetto titolato ad intervenire in materia di regolamentazione dei flussi e di individuazione di limiti all’attività turistica. L’impatto delle crisi internazionali Come è comprensibile, il turismo moderno ha subito nel corso del XX secolo prolungate battute d’arresto in corrispondenza dei due conflitti mondiali: si tratta di eventi che per la loro gravità hanno reso impraticabile – o quanto meno estremamente limitato - lo svolgimento di attività ludiche e ricreative, soprattutto se al di fuori dei confini nazionali. Venendo a tempi più recenti, il discorso si è fatto più articolato, e si collega a quanto prima affermato a proposito di globalizzazione, ampliamento del raggio d’azione del turista, emersione di nuove tipologie, destinazioni e filosofie del fare turismo: è evidente che l’esposizione del turismo al rischio di una crisi politica, ambientale o sanitaria è andata crescendo in maniera direttamente proporzionale alla dilatazione dei suoi spazi, dei suoi tempi, dei suoi modi e dei suoi volumi di traffico. Al tempo stesso, però, si suole affermare che il turismo “ha la memoria corta”: volendo con ciò significare che, ad una immediata contrazione dei flussi, soprattutto di quelli internazionali, causata da eventi – come conflitti armati, attentati terroristici, epidemie, catastrofi naturali o provocate dall’uomo – che deprimono la motivazione individuale e collettiva allo spostamento per mere ragioni di svago, che la rendono oggettivamente impossibile, o che spingono verso una mobilità di raggio più limitato o verso destinazioni non interessate dalla crisi, segue in genere una ripresa del movimento turistico che viene percepita come relativamente rapida, quanto meno rispetto alla drammaticità dell’evento. Si pensi ad esempio all’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers di New York: nei mesi immediatamente successivi si è registrata una significativa riduzione del movimento turistico, non solo da e verso gli Stati Uniti, come è ovvio, ma in quasi tutti gli scenari regionali, riduzione generata soprattutto dal timore di viaggiare in aereo, in modo particolare su rotte intercontinentali. Tuttavia, a dispetto delle analisi più pessimistiche, già alla fine del 2002 il turismo internazionale alla scala globale aveva superato i livelli precedenti l’11 settembre

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(rispettivamente 702,6 e 696,7 milioni di arrivi). Comprensibilmente, gli Stati Uniti – che nel frattempo avevano avviato le operazioni militari in Afghanistan ed Iraq - hanno dovuto aspettare il 2005 per ritornare ai valori pre-crisi in termini di arrivi dall’estero, ma il calo è stato parzialmente compensato da un incremento del turismo interno. Un discorso analogo può farsi per gli attentati, anch’essi riconducibili alla matrice qaedista, di Bali, Madrid, Londra e Sharm el-Sheick: in tutti questi casi, il timore di visitare queste destinazioni, massimo nell’immediatezza dell’evento terroristico, è andato progressivamente scemando e l’attività turistica è ritornata in breve tempo ai suoi normali livelli. In caso di catastrofi naturali di grande entità o di conflitti armati su vasta scala i tempi di ripresa sono ovviamente più lunghi, perché verosimilmente si renderà necessaria una più intensa opera di ricostruzione delle infrastrutture – non solo turistiche – dei territori interessati e, nei casi più gravi, anche delle istituzioni della società civile: si pensi ad esempio al conflitto nella ex-Jugoslavia, che ha pesantemente limitato l’attività turistica sulle coste istriana e dalmata (nelle attuali Slovenia e Croazia) ben oltre la sua conclusione, sancita nel 1995 dagli accordi di Dayton. Vi sono poi casi in cui un evento catastrofico si abbatte su località turistiche nel pieno svolgimento dell’attività stagionale, coinvolgendo quindi direttamente i turisti presenti: è il caso dello tsunami che ha devastato le coste del sud-est asiatico nel dicembre del 2004, provocando centinaia di migliaia di vittime, fra cui un gran numero di turisti. In questo caso, alla distruzione massiccia si è accompagnato il forte impatto emotivo dell’evento, che ovviamente ha lasciato nell’immaginario turistico collettivo un ricordo di difficile rimozione. Infine, è verosimile ipotizzare che l’incidente nucleare di Fukushima avrà una ricaduta duratura sul turismo verso il Giappone, mentre al momento è difficile stimare l’effetto della cosiddetta “Primavera araba”12 sui flussi verso importanti destinazioni turistiche come Egitto, Tunisia, Yemen. Molto dipenderà dall’esito della transizione politica, in termini di democrazia, laicità ed apertura verso il mondo esterno, che è in atto in questi Paesi. Paradossalmente, ma il paradosso è solo apparente, una località colpita da un evento catastrofico, bellico o terroristico può proprio per questa ragione diventare oggetto di interesse di quel segmento turistico, molto specifico e di nicchia, noto come “dark tourism” (definito anche “black tourism” o “thanatourism”). Si accennava in un precedente paragrafo all’estrema eterogeneità delle motivazioni che sono alla base del turismo contemporaneo: ed ecco che finiscono per attirare masse più o meno consistenti di turisti – con relativa creazione di strutture organizzative di supporto – i luoghi che sono stati teatro delle due guerre mondiali o di conflitti più recenti, i campi di concentramento nazisti, le aree interessate da catastrofi naturali o provocate dall’uomo, le scene di crimini efferati. Nella maggior parte dei casi si tratta di una forma particolare di turismo culturale, motivata dal desiderio di approfondire capitoli dolorosi della storia dell’Umanità, anche allo scopo di mantenerne vivo il ricordo. Fra i possibili esempi: Auschwitz in Polonia, Hiroshima in Giappone, Chernobyl in Ucraina, Ground Zero a New York. Abbiamo finora tralasciato di considerare le crisi economiche che, diversamente da quelle finora descritte, hanno un impatto sul turismo che non è soltanto psicologico e

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motivazionale, oppure legato a fattori tecnici (cessata fruibilità o sopraggiunta inaccessibilità di una destinazione turistica) o politici (irrigidimento delle procedure di rilascio di visti, chiusura temporanea di confini statali): le crisi economiche vanno ad incidere in maniera diretta su uno dei fattori che maggiormente contribuiscono allo sviluppo del turismo, ossia la disponibilità di reddito e la conseguente capacità di spesa per beni voluttuari. Come è ben noto, nel 2008 ha avuto inizio una crisi economica globale che sta avendo effetti depressivi sui consumi dei Paesi che generano la maggior parte dei flussi turistici. Conseguentemente, in quello stesso anno si è registrato un calo degli arrivi internazionali del 4%, cui però ha fatto seguito una significativa ripresa nel 2009 (+7%), a testimonianza della capacità di reazione del settore, ma anche della maggiore presenza di turisti provenienti da Paesi emergenti – anche dal punto di vista della generazione dei flussi - come Cina ed India. Ciò che però sicuramente sta cambiando è la propensione alla spesa per servizi turistici: si continua a viaggiare, ma per periodi più brevi, privilegiando destinazioni più vicine e soluzioni più economiche per ciò che riguarda il trasporto e l’alloggio. Anche se le statistiche relative agli arrivi internazionali manifestano un andamento moderatamente crescente, è tuttavia probabile che la spesa complessiva per acquisti di servizi turistici stia seguendo un trend meno brillante, con ricadute che verosimilmente non saranno positive nel breve-medio periodo e che renderanno necessarie significative riorganizzazioni, soprattutto nelle destinazioni caratterizzate da più elevata fungibilità (condizione questa tipica delle località balneari e montane). Le nuove forme di ricettività L’evoluzione del mercato turistico verso tipologie di viaggio sempre più eterogenee, personalizzate e di breve durata ha generato nuove forme di ricettività, caratterizzate da una maggiore flessibilità e da un più stretto legame con il territorio. Da qui la capillare diffusione nel nostro Paese di offerte di ospitalità alternative rispetto al modello alberghiero classico, come i bed&breakfast, gli agriturismi, le country houses, le dimore storiche e di charme, gli alberghi diffusi, che si sono andati sviluppando con una dinamica che non sarebbe eccessivo definire esplosiva: in un solo quinquennio (2002-2007), ad esempio, gli agriturismi sono passati da 8.700 a 14.000, i bed&breakfast addirittura da 4.300 a 97.000. Mentre i bed&breakfast rappresentano un fenomeno più tipicamente urbano, le altre tipologie sono diffuse prevalentemente nei contesti extra-urbani e rurali: si tratta, nella maggior parte dei casi, di forme di ospitalità che consentono di destinare alla funzione ricettiva strutture già esistenti e patrimoni abitativi spesso abbandonati, che vengono recuperati anche grazie a specifici finanziamenti previsti nei piani di sviluppo territoriale predisposti a livello locale, nazionale o comunitario. L’adozione della formula del recupero consente di limitare l’impatto paesaggistico dell’offerta turistica, arrivando, nei casi più “virtuosi”, a valorizzare ed esaltare le peculiarità del territorio, contribuendo in questo modo a contrastare lo spopolamento e l’abbandono che hanno caratterizzato fin dal secondo dopoguerra le aree interne, soprattutto meridionali, del nostro Paese. Inoltre, queste forme di ospitalità legate alle peculiarità del territorio rispondono in

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maniera efficace al desiderio di autenticità e di contatto diretto con la realtà locale che connota il turismo culturale cosiddetto “minore”, oggi in fase espansiva. Un esempio particolarmente interessante è quello dell’ “albergo diffuso”. Si tratta di una formula ideata in Italia già dagli anni Ottanta, quando si pensò di recuperare in chiave di ospitalità turistica alcuni borghi distrutti dal terremoto del Friuli. Esso consiste in una struttura alberghiera facente capo, sotto il profilo proprietario, allo stesso soggetto, ma composta di camere e servizi dislocati in edifici diversi localizzati a poche centinaia di metri l’uno dall’altro all’interno di un borgo. Si distingue da altre forme di ospitalità diffusa per il fatto di connotarsi non come un semplice insieme di case, pur se tra loro collegate, ma come una vera e propria struttura alberghiera, in grado di garantire tutti i servizi di un hotel. Un esempio particolarmente riuscito è quello - ormai celebre - del piccolo centro montano abruzzese di Santo Stefano di Sessanio (in provincia dell’Aquila) che, dalla situazione di abbandono in cui versava fino ai primi anni Novanta, è arrivato oggi a costituire un modello di recupero e a richiamare flussi turistici, anche stranieri, di una certa consistenza.

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IL MERCATO TURISTICO: CARATTERISTICHE DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA

Sin dai tempi più antichi l’uomo si è continuamente spostato da una località all’altra, spinto dalla necessità di scoprire nuovi luoghi e dall’esigenza di sviluppare traffici commerciali. A queste motivazioni se ne sono poi aggiunte numerose altre, di natura religiosa (visite ai luoghi di culto), sportiva, di svago, di affari ecc. Il turismo nasce dallo spostamento temporaneo delle persone da una località a un’altra, e genera relazioni umane, culturali, economiche, finanziarie tra paesi, culture e persone diverse. Chi viaggia esprime una serie di bisogni, che vanno dal trasporto, all’alloggio, al vitto e a tanti altri ancora. Il soddisfacimento dei bisogni dei viaggiatori è stato ed è lo stimolo per lo sviluppo di una pluralità di attività economiche: l’industria ricettiva, della ristorazione, dei viaggi, dei trasporti ecc. Che cos’è il turismo: arrivi e presenze Il turismo è un’attività ormai da tempo entrata nella vita di noi tutti, tanto da essere considerato da molti un bisogno primario. Si può essere d’accordo oppure no con quest’affermazione, ma i numeri del turismo dimostrano che esso è divenuto una delle principali attività economiche a livello mondiale sia per le implicazioni dirette sull’economia dei paesi interessati (creazione di imprese e di occupati nel settore specifico, aumento della ricchezza e dei redditi ecc.), sia per le implicazioni indirette (sviluppo di attività indotte, come la ristorazione, le costruzioni, l’industria dei trasporti, delle costruzioni ecc.). Cominciamo con il definire che cos’è il turismo Il turismo contemporaneo consiste nel viaggio e nel soggiorno temporaneo in una determinata località dei non residenti, qualunque sia la motivazione del viaggio e del soggiorno: svago, cultura, affari, congressi ecc. Il turista è dunque una persona che effettua un soggiorno temporaneo in una località che, per vari motivi, ha deciso di visitare. Questa precisazione ci porta a distinguere tra escursionista e turista. L’escursionista è una persona che effettua trasferimenti giornalieri al di fuori della località di residenza senza effettuare pernottamenti. Il turista è una persona che si sposta dal suo luogo di abituale residenza, arriva nella località di destinazione e vi trascorre una o più notti. A proposito del turista, bisogna ora chiarire due semplici ma importanti termini: arrivi e presenze, che sono legati al suo viaggio e che troveremo in tutte le statistiche sui flussi turistici. Il turista che giunge in una determinata località costituisce un arrivo: gli arrivi indicano il numero di persone che giungono in un luogo e/o in un’impresa ricettiva, ma poiché il turista effettua da uno a più pernottamenti, è importante conteggiare anche questi. Un singolo turista, che giunto in una

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determinata località rappresenta per essa un arrivo, può pernottarvi una o più notti. Nelle statistiche sul turismo il numero di pernottamenti effettuati dal turista è indicato come presenze: un turista effettua quindi una o più presenze in una data località e/o impresa ricettiva. Le dimensioni del turismo Abbiamo già osservato che il turismo ha assunto nel mondo dimensioni notevoli ed è in continua crescita, se si eccettuano particolari momenti di crisi. I dati relativi al turismo mostrano infatti che a livello internazionale il fenomeno turistico ha assunto una tendenza espansiva che sembra inarrestabile, coinvolgendo un numero sempre maggiore di persone e di paesi. Basti pensare che gli arrivi turistici in tutto il mondo sono passati da circa 25 milioni nel 1950 a circa 1 miliardo nel 2010, mentre si prevede supereranno 1,5 miliardi nel 2020 (Tabelle 1.1 e 1.2 e Figura 1.1).

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La parte del leone nella distribuzione degli arrivi turistici continua a farla l’Europa, dove si registra tuttora la maggior parte degli arrivi turistici mondiali (Tabella 1.3). La posizione europea si è tuttavia indebolita nel corso del tempo; infatti l’Europa, pur mantenendo ancora il maggior numero di arrivi turistici rispetto agli altri continenti, riporta tassi annui di crescita più lenti e perde quote di mercato turistico internazionale (ossia, pur rimanendo elevata, la percentuale di arrivi turistici sul totale mondiale diminuisce di anno in anno, passando dal 68% del 1980 al 50% del 2010 e al previsto 46% del 2020) a favore delle aree turisticamente emergenti, in particolare Asia, Oceania e Africa (Tabella 1.3 e Figura 1.2).

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Questo significa che, nel corso del tempo, non è solamente cresciuto il numero dei viaggiatori, ma sono cambiate anche le caratteristiche dei viaggi. I consumatori, grazie anche allo sviluppo dei mezzi di trasporto e all’abbattimento dei costi del trasporto aereo, prediligono sempre più i viaggi a lungo raggio (destinazioni lontane) rispetto a quelli a medio e breve raggio. Nel lungo periodo il turismo si caratterizza inoltre come un fenomeno che apporta sempre più ricchezza, poiché nella maggior parte dei paesi le entrate valutarie per motivi turistici crescono in misura superiore rispetto agli arrivi di turisti (in generale, e salvo particolari momenti di crisi, non aumenta solo il numero dei viaggiatori, ma cresce in misura ancora più accentuata la loro spesa turistica). Questo dato è un chiaro indicatore sia dell’aumentata capacità di spesa del turista medio, sia della crescita dei prezzi dei servizi turistici. Basti pensare che nel 2010 le entrate internazionali derivanti dal turismo sono state, secondo il WTO (World Tourism Organization), circa 920 miliardi di dollari (poco meno di 700 miliardi di euro), con una crescita dell’ 8% rispetto all’anno precedente. Un altro dato di rilievo da tenere presente per capire il peso del turismo è l’incidenza

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del PIL (Prodotto interno lordo) del settore turistico sull’insieme del PIL di un determinato sistema economico. In Italia, per esempio, tale incidenza è valutata nel 10% circa, corrispondente nel 2010 a un valore pari a circa 170 miliardi di euro. Cause ed evoluzione del turismo I dati sopra riportati evidenziano ormai che per molte persone il turismo non è più un bisogno voluttuario, ma una necessità. Ma quali sono le principali cause di sviluppo del turismo? Originato dalla società industriale, il turismo si è sviluppato con essa, come conseguenza di una serie di fattori, tra i quali vi sono: � la maggiore disponibilità di tempo libero; � l’aumento del reddito familiare e pro capite; � la modifica dello stile di vita; � l’invecchiamento della popolazione e il conseguente allungamento della vita media. La maggiore disponibilità di tempo libero (le ferie annuali, i giorni liberi nella settimana) e di reddito spinge ciascuno di noi a svolgere attività che consentono di uscire dalla quotidianità e di migliorare, nel tempo libero, il nostro stile di vita (modo di vivere di una persona o di una popolazione, definito prendendone in esame cultura, valori, risorse, consumi) e di allargare i nostri orizzonti. Altri contributi ai tassi di sviluppo del turismo vengono dall’invecchiamento della popolazione e dall’allungamento della vita media che caratterizzano la nostra società. Basti pensare allo sviluppo del turismo della terza età, oppure alla maggiore possibilità di muoversi per turismo dei single o delle famiglie senza figli. L’evoluzione del turismo ha attraversato più fasi, vediamole sinteticamente. 1. In primo luogo sono aumentate le motivazioni che spingono a viaggiare: qualche decennio fa le persone si spostavano quasi esclusivamente per riposo, salute e cultura; oggi lo fanno anche in misura crescente per lavoro, divertimento, studio, congressi, avventura, sport ecc. 2. Le forme di turismo si sono diversificate: un tempo si trattava prevalentemente di turismo balneare, montano, collinare, lacuale, d’arte e culturale, oggi si parla anche di agriturismo, di turismo congressuale, sportivo, nautico, sociale e per motivi di studio, d’affari ecc. (Figura 1.3). 3. Si è passati da un turismo come fenomeno esclusivamente elitario a un turismo che coinvolge larghi strati della popolazione (turismo di massa), anche se con modalità molto diverse. 4. L’offerta ricettiva e dei viaggi organizzati si è diversificata per poter rispondere alla diversificazione delle forme del turismo. 5. Le modalità di utilizzo del viaggio si sono evolute: dalla classica villeggiatura agli inclusive tour. 6. L’atteggiamento della società nei confronti dei turisti è mutato, passando dalla tolleranza alla massima attenzione, poiché il turismo è ormai da tutti considerato un

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importante fattore di sviluppo socioeconomico delle aree che ne sono interessate.

Il Codice del turismo Con la promulgazione del Codice del turismo (DLgs 79/2011), destinato a ottimizzare la promozione dei prodotti turistici, la legge italiana ha individuato una serie di tipologie di prodotti e di circuiti nazionali di eccellenza, di percorsi e di itinerari tematici omogenei che collegano regioni diverse lungo tutto il territorio nazionale, anche tenendo conto della capacità ricettiva dei luoghi interessati. In base al DLgs 79/2011, esse riguardano: a) turismo della montagna; b) turismo del mare; c) turismo dei laghi e dei fiumi; d) turismo della cultura; e) turismo religioso; f) turismo della natura e faunistico; g) turismo dell’enogastronomia; h) turismo termale e del benessere; i) turismo dello sport e del golf; l) turismo congressuale; m) turismo giovanile; n) turismo del made in Italy e della relativa attività industriale e artigianale;

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o) turismo delle arti e dello spettacolo. Caratteristiche della domanda turistica La domanda turistica – intesa sia come arrivi (cioè numero di persone giunte in una località o in un’impresa ricettiva), sia come presenze (cioè numero di pernottamenti delle persone arrivate nella località) – è costituita dall’insieme dei servizi e dei beni turistici richiesti al prezzo corrente in un determinato paese e in un determinato momento. Il livello che la domanda turistica può raggiungere in un certo momento dipende da diversi fattori. � Reddito disponibile dei potenziali consumatori (reddito familiare più che reddito individuale): quanto più è elevato il reddito disponibile, tanto maggiore è la propensione a effettuare viaggi turistici. � Tempo libero: avere tempo libero (per esempio le ferie) è la condizione base per qualsiasi viaggio turistico. � Tendenza al consumo: non basta avere reddito e tempo libero; per fare viaggi turistici, è necessario che vi sia anche una tendenza al consumo del reddito disponibile oltre il livello di soddisfacimento dei bisogni ritenuti primari. � Prezzi dei servizi turistici: la domanda turistica è elastica rispetto al prezzo dei servizi turistici, il che vuol dire che esiste in genere una relazione inversa tra domanda di servizi turistici e livello dei prezzi degli stessi, nel senso che – a parità di altre condizioni – al crescere dei prezzi la domanda tende a diminuire, mentre tende a crescere se i prezzi scendono. � Moda: molti turisti si recano in una certa località perché questa è diventata attraente per molti (ci va il Tale e allora ci devo andare anch’io). � Fenomeni naturali: i turisti che si recano in una località per le sue attrattive naturali (presenza di neve, mare pulito ecc.), possono allontanarsene o rinunciare ad andarvi a causa della presenza di fenomeni naturali negativi (per esempio mancanza di neve in una località sciistica) o di catastrofi naturali (terremoti, alluvioni ecc.). � Fenomeni sociali ed economici: una bella destinazione turistica può non attrarre più a causa di tensioni sociali (scioperi, guerre civili ecc.) o di difficoltà economiche. � Stagionalità: intesa come concentrazione della domanda turistica in determinate stagioni o in determinati periodi dell’anno, in virtù delle condizioni climatiche, della disponibilità dei periodi di ferie, dell’organizzazione degli eventi di richiamo ecc.; il turismo balneare si pratica nei mesi caldi, lo sci si pratica quando c’è neve ecc. Domanda interna e domanda estera In base alla provenienza dei turisti e alla destinazione geografica possiamo suddividere la domanda turistica in: � domanda turistica interna; � domanda turistica estera.

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La domanda turistica interna (turismo interno) proviene dai cittadini presenti o residenti in un dato paese ed è relativa ai beni e ai servizi turistici prodotti nello stesso paese (per esempio, è domanda interna quella relativa agli spostamenti di cittadini italiani all’interno dell’Italia, ma anche quella di cittadini stranieri residenti in Italia per lavoro e che decidono di trascorrervi le vacanze). Il turismo generato dalla domanda interna è una forma di turismo attivo per il paese interessato, perché ha effetti ampiamente positivi sull’intera economia del paese: il reddito che i cittadini destinano al consumo turistico è speso nello stesso paese in cui è prodotto, facendo crescere la domanda di beni e di servizi diretti e indotti, creando occupazione ecc. La domanda turistica estera (turismo estero) proviene da cittadini che dal proprio paese si recano in un paese diverso da quello nel quale risiedono abitualmente, consumando servizi turistici prodotti nel paese di destinazione. Per un determinato paese il turismo estero può essere attivo (quando i turisti arrivano dall’estero) e passivo (quando i cittadini del paese si recano come turisti all’estero). Per esempio si parla di turismo estero attivo per l’Italia quando cittadini stranieri entrano nel nostro paese per motivi turistici: un tedesco che viene in Italia rappresenta dunque per noi una forma di turismo attivo. Gli stranieri spendono in Italia parte del loro reddito prodotto nei paesi di origine, con effetti ovviamente positivi sulla nostra economia e sulla nostra bilancia dei pagamenti. Allo stesso modo si ha turismo estero passivo per l’Italia quando cittadini italiani si recano in un altro paese per motivi turistici: un italiano in vacanza in Francia rappresenta per il nostro paese una forma di turismo passivo, perché sposta ricchezza prodotta in Italia per consumarla altrove (in questo caso è turismo passivo per l’Italia e turismo attivo per la Francia). Per questi suoi effetti, la domanda turistica dall’estero è assimilata a un processo di esportazione indiretta di beni e di servizi, in cambio dei quali entra valuta estera. Allo stesso modo, la domanda turistica verso l’estero è assimilata a un processo di importazione indiretta di beni e di servizi, in cambio dei quali esce valuta nazionale. Questo aspetto riveste notevole importanza per l’economia di un paese, in quanto contribuisce al saldo complessivo della bilancia dei pagamenti. Il turismo interno in Italia L’Italia è per vocazione un paese turistico e si colloca ai primi posti nel mondo per numero di visitatori. Ogni anno milioni di viaggiatori italiani e stranieri girano la nostra penisola per visitare le sue città d’arte, le sue località balneari e montane ecc. Secondo l’ISTAT, nel 2010 gli esercizi ricettivi italiani hanno registrato 99 milioni di arrivi (Tabella 1.4). Di questi visitatori circa il 57% (pari a oltre 55 milioni di arrivi) è costituito da italiani, mentre il rimanente 43% circa è costituito da stranieri provenienti da ogni parte del mondo, a dimostrazione della grande attrazione che l’Italia esercita nel mondo. Questi arrivi hanno dato luogo a circa 375 milioni di presenze, con una permanenza media di 3,80 giorni. Di queste, circa il 56% (pari a oltre 210 milioni di presenze) è costituito da presenze di italiani (che si fermano mediamente 3,82 giorni negli esercizi ricettivi) e il 44% (pari a oltre 165 milioni di presenze) da presenze di

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stranieri (che si fermano mediamente 3,77 giorni). Circa il 66% dei pernottamenti complessivi di italiani e stranieri (cioè circa 251 milioni di presenze) viene effettuato negli esercizi ricettivi alberghieri e nelle residenze turistico alberghiere, e il 34% (circa 124 milioni di presenze) nelle altre tipologie di esercizi ricettivi (Tabella 1.4). Considerando solo il segmento di domanda italiana, si può osservare che circa il 66% dei pernottamenti complessivi di italiani (cioè circa 140 milioni di presenze) viene effettuato negli esercizi ricettivi alberghieri e nelle residenze turistico alberghiere, e il 34% (pari a circa 71 milioni di presenze) nelle altre tipologie di esercizi ricettivi (Tabella 1.4). Prendendo in considerazione i dati relativi alle tipologie di strutture ricettive che ospitano i turisti, appare evidente che la domanda italiana esprime i seguenti comportamenti di consumo: circa 44 milioni di arrivi di italiani (cioè circa l’80% degli arrivi italiani) si è recato presso gli esercizi alberghieri, nei quali ha effettuato circa 140 milioni di presenze (pari a circa il 66% delle presenze di italiani), con una permanenza media di 3,15 giorni (Tabella 1.4). Il restante 20% degli arrivi di italiani (pari a circa 10,6 milioni di arrivi) si è recato negli esercizi ricettivi complementari, dove ha effettuato circa 71 milioni di presenze (cioè il 34% circa delle presenze di italiani) con una permanenza media di 6,64 giorni (Tabella 1.4). Se consideriamo i dati secondo le tipologie di località visitate (Tabella 1.5), vediamo che la domanda italiana privilegia le località marine, che sono situate al primo posto con circa 14 milioni di arrivi di italiani e 77,6 milioni di presenze italiane. Seguono le città d’arte, con circa 15 milioni di arrivi di italiani e circa 38 milioni di presenze italiane, e le località montane, con oltre 6 milioni di arrivi di italiani e circa 30 milioni di presenze italiane.

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Il turismo estero in Italia Nelle Tabelle 1.4 e 1.5 abbiamo già osservato alcuni dati sul turismo estero in Italia. In questo paragrafo prendiamo in considerazione altri aspetti. L’Italia è una delle principali destinazioni turistiche nel mondo, anche se nel corso degli ultimi anni ha perso qualche posizione di mercato, passando – come evidenziano i dati del UNWTO – dal 4° al 5° della graduatoria mondiale degli arrivi internazionali; conserva tuttavia il 4° nella classifica degli introiti turistici, e ciò significa che il turismo internazionale che si reca in Italia è un pò più ricco della media, emerge la continua crescita della domanda straniera verso l’Italia, sebbene in alcuni momenti – a causa delle crisi economiche e finanziarie internazionali – vi siano state flessioni sia nel numero di arrivi sia in quello delle presenze. In ogni caso, la permanenza media degli stranieri in Italia si aggira intorno ai 4 giorni.

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Prendendo in considerazione i dati relativi alle tipologie di strutture ricettive che ospitano i turisti (Tabella 1.4), emerge che la domanda straniera esprime i seguenti comportamenti di consumo: circa 35 milioni di arrivi stranieri (cioè circa l’80% degli arrivi stranieri) si è recato presso gli esercizi alberghieri, nei quali ha effettuato circa 111 milioni di presenze (pari a circa il 67% delle presenze di stranieri), con una permanenza media pari a 3,8 giorni. Il restante 20% degli arrivi di stranieri (pari a circa 8,7 milioni di arrivi) si è recato negli esercizi ricettivi complementari, dove ha effettuato circa 54 milioni di presenze (cioè il 33% circa delle presenze di stranieri) con una permanenza media di 6,1 giorni. La domanda estera privilegia le città di interesse storico e artistico, che sono al primo posto con circa 20 milioni di arrivi di stranieri e circa 56 milioni di presenze straniere. Seguono le località marine con circa 7 milioni di arrivi dall’estero e 38 milioni di presenze straniere, le località montane con circa 3,7 milioni di arrivi stranieri e 19 milioni di presenze straniere. I principali mercati esteri da cui provengono i turisti in Italia sono la Germania, gli Stati Uniti d’America, la Francia e il Regno Unito. Le regioni visitate dagli stranieri vedono al primo posto, per arrivi, il Veneto, seguito dal Lazio, dalla Toscana, dalla Lombardia, dal Trentino-Alto Adige e dall’Emilia-Romagna. La bilancia turistica La bilancia turistica è il documento che indica le entrate derivanti dai viaggi e dai soggiorni degli stranieri in Italia (turismo estero attivo) e le uscite derivanti dai viaggi e dai soggiorni degli italiani all’estero (turismo estero passivo). Questo documento è costituito dalla sezione Viaggi della parte denominata Conto corrente della bilancia dei pagamenti. La consistenza della domanda estera per motivi turistici verso l’Italia determina un apporto di valuta estera superiore a quello in uscita, con un saldo positivo della bilancia turistica (Tabella 1.11); questo saldo positivo contribuisce alla parziale copertura del deficit della bilancia commerciale italiana (conto corrente) e quindi della bilancia dei pagamenti.

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L’Italia è notoriamente uno dei paesi più ricchi di risorse turistiche naturali, culturali e monumentali, ed è per questo meta di apprezzabilissimi flussi turistici dall’estero. Questi flussi costituiscono turismo estero attivo, che comporta un’entrata di valuta ed è quindi assimilabile a un processo di esportazione indiretta di beni e di servizi. Ai flussi in entrata va aggiunto l’elevato livello della domanda interna, poiché ancora oggi la stragrande maggioranza dei turisti italiani rimane nei confini nazionali. Tuttavia un numero crescente di italiani si reca anche all’estero, generando una domanda turistica fuori dai confini nazionali: per il paese ciò rappresenta una forma di turismo passivo, perché vi è un’uscita di valuta equiparabile a un processo di importazione indiretta di beni e di servizi.

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IL PATRIMONIO CULTURALE Definizione Patrimonio Culturale Definire cosa sia il patrimonio culturale non è cosa semplice, ancora oggi non esiste un'unica ed inequivocabile definizione riconosciuta universalmente, piuttosto si tratta di un concetto. Genericamente si può dire che sia l’insieme di beni, materiali ed immateriali, nonché naturali, che per particolare rilievo storico, culturale, artistico e paesaggistico, sono di interesse pubblico e costituiscono la ricchezza di un luogo e della relativa popolazione. Dunque si intende per patrimonio culturale tutto ciò che possa testimoniare la cultura, ovvero l’insieme dei costumi, delle credenze, degli atteggiamenti, dei valori, degli ideali, delle abitudini, di un popolo o società del mondo. Con il sostantivo "patrimonio" si allude inoltre al valore economico attribuito ai beni che lo compongono, proprio in ragione della loro artisticità e storicità. Una definizione puntuale ci è data dall’UNESCO “United Nations Educational Scientific and Cultural Organization” ed in particolare dalla Convenzione del 1972 relativa alla tutela del patrimonio culturale e naturale mondiale secondo cui per patrimonio culturale si intende: «I monumenti: opere architettoniche, plastiche o pittoriche monumentali, elementi o strutture di carattere archeologico, iscrizioni, grotte e gruppi di elementi di valore universale eccezionale dall’aspetto storico, artistico o scientifico, gli agglomerati: gruppi di costruzioni isolate o riunite che, per la loro architettura, unità o integrazione nel paesaggio hanno valore universale eccezionale dall’aspetto storico, artistico o scientifico, i siti: opere dell’uomo o opere coniugate dell’uomo e della natura, come anche le zone, compresi i siti archeologici, di valore universale eccezionale dall’aspetto storico ed estetico, etnologico o antropologico» mentre patrimonio naturale viene considerato: « I monumenti naturali costituiti da formazioni fisiche e biologiche o da gruppi di tali formazioni di valore universale eccezionale dall’aspetto estetico o scientifico, le formazioni geologiche e fisiografiche e le zone strettamente delimitate costituenti l’habitat di specie animali e vegetali minacciate, di valore universale eccezionale dall’aspetto scientifico o conservativo, i siti naturali o le zone naturali strettamente delimitate di valore universale eccezionale dall’aspetto scientifico, conservativo o estetico naturale». Nel 2003 il concetto di bene culturale viene ulteriormente ampliato, attraverso la compilazione della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, che viene definito come: «… le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale … si manifesta tra l’altro nei seguenti settori: tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale; le arti dello spettacolo; le consuetudini sociali, gli eventi rituali

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e festivi; le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo; l’artigianato tradizionale». Costruzione sociale del Patrimonio Culturale Sin dalle epoche più remote l’uomo ha avuto la capacità di produrre oggetti per così dire “realizzati ad arte” che quindi avevano oltre che una funzione pratica una dimensione simbolica, di fatti già i Greci ed i Romani avevano coscienza del valore estetico, culturale e rappresentativo posseduti da determinati manufatti. Sicuramente però, il passo più importante verso una coscienza collettiva del patrimonio culturale è segnato dalla nascita dei Musei, ovvero quelle istituzioni create appositamente con lo scopo di salvaguardare e conservare tutto ciò che di culturalmente rilevante l’essere umano ha prodotto. Come abbiamo detto esisteva già dagli albori della storia dell’uomo un interesse per le “cose d’arte”, ma fino al XV sec. non si ebbero mai dei veri e propri musei, più che altro si trattava di preziose raccolte che avevano il carattere di collezioni private. La svolta che determinò la creazione di queste istituzioni venne proprio dall’Italia dove nel 1471 nacque il primo nucleo dei Musei Capitolini, costituito dalle donazioni che Papa Sisto IV fece “al popolo romano” e che rappresenta il primo museo della storia. Un altro contributo fondamentale venne alcuni secoli dopo dalla Francia, dove verso la fine del XVIII sec., per opera di Napoleone Bonaparte, il museo du Louvre divenne il primo museo Nazionale, rappresentante la forma più avanzata ed evoluta del fenomeno, che da quel momento in poi progredì verso un reale utilizzo pubblico ed un fine prevalentemente divulgativo del bene culturale. Ad oggi la definizione di Museo data dall’ICOM (Internetional Council Of Museum) è di «un istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che compie ricerche sulle testimonianze materiali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di studio, di educazione e di diletto».

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IL TURISMO CULTURALE

Definizione Turismo Secondo la definizione dell'OMT, Organizzazione Mondiale del Turismo (World Tourism Organization,) un dipartimento delle Nazioni Unite, «un turista è chiunque viaggi in paesi diversi da quello in cui ha la sua residenza abituale, al di fuori del proprio ambiente quotidiano, per un periodo di almeno una notte ma non superiore ad un anno e il cui scopo abituale sia diverso dall’esercizio di ogni attività remunerata all’interno del paese visitato. In questo termine sono inclusi coloro che viaggiano per: svago, riposo e vacanza; per visitare amici e parenti; per motivi di affari e professionali, per motivi di salute, religiosi, pellegrinaggio e altro». L’origine della pratica del turismo può essere ricondotta all’esperienza dei cosiddetti “Grand Tour” effettuati dai ricchi giovani dell’aristocrazia europea a partire dal XVII secolo. Il Grand Tour era un lungo viaggio nell’Europa continentale durante il quale i giovani imparavano a conoscere la politica, la cultura, l'arte e le antichità dei paesi europei. L'Italia con la sua eredità della Roma antica, con i suoi monumenti, divenne uno dei posti più popolari da visitare, una delle tappe obbligate. Questa pratica rimase in uso almeno fino al XIX sec. e proprio tra i più illustri viaggiatori di questo periodo si ricordano Stendhal e Goethe. Il caso dei Grand Tour però, costituisce un fenomeno d'Èlite, questi viaggi potevano essere intrapresi solo da una parte molto esigua della popolazione, mentre invece ciò che oggi si intende per turismo, ovvero una pratica di massa, ha una data di origine certa ed un inventore ben determinato: il 5 luglio 1841, Thomas Cook, sfruttando le nuove possibilità offerte dal treno, organizzò un viaggio di 11 miglia da Leicester a Loughborough. Ben 570 persone vi parteciparono e il successo fu tale da spingere lo stesso Cook ad organizzare pacchetti turistici sempre più articolati, dando inizio all'industria turistica modernamente intesa. Da questo momento in poi il turismo ha subito un continuo sviluppo fino ad arrivare negli ultimi decenni, grazie all'evoluzione e alla moltiplicazione dei mezzi di trasporto, all'incremento dei redditi nel mondo occidentale e anche ai nuovi mezzi di comunicazione che hanno cambiato l'accesso alle informazioni, ad essere uno tra i pochi settori dell’economia in constante ascesa a livello mondiale. Cos’è il Turismo Culturale? Il concetto di Turismo Culturale nasce a partire dagli anni 90’ del XX secolo e rappresenta in un certo senso un ritorno alle origini, ovvero la volontà di recuperare alcuni dei contenuti che erano stati caratteristici delle forme di viaggio del XVII sec. Di fatto i viaggiatori del Grand Tour avevano spesso alle spalle una preparazione classica e storica che li orientava anche nei loro itinerari, caratteristica questa che si perderà con l’avvento del turismo di massa, che come abbiamo detto avviene del XIX sec. e che appunto oggi si cerca di recuperare attraverso la promozione di un turismo

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definito “Culturale”. Esso è «il movimento di turisti, interamente o parzialmente motivati da un interesse per la storia, l'arte, la scienza o le tradizioni e gli stili di vita di un popolo o di una regione» (definizione Organizzazione Mondiale del Turismo). La definizione dell’OMT ci indica che ad attirare il popolo dei turisti culturali, non è solo un interesse specifico per la visita di monumenti, chiese, musei e siti storici ed archeologici, ma anche una motivazione più ampia che spinge a cercare di vivere il fascino della cultura di un popolo. In questo senso rientrano negli interessi di questo tipo di turista non solo opere d’arte e architettoniche, ma anche tradizioni, gastronomia, artigianato e quell’insieme di elementi socio-culturali che caratterizzano un’area. Ad oggi le attrattive storico-culturali risultano essere tra i primi fattori del flusso turistico, bisogna però sottolineare che non è sufficiente disporre di un patrimonio culturale di rilievo per poter attrarre la domanda culturale, ma è necessario valorizzare i beni artistici e culturali tenendo presente sia le aspettative della domanda che le logiche del mercato turistico.

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IMPATTI DEL TURISMO Se sulla capacità del turismo di produrre sviluppo, occupazione e ricchezza si è spesa buona parte della scienza economica moderna, definendo il turismo come una smokeless industry (settore dell'economia che, basandosi soprattutto sulla fruizione di beni intangibili, non mostra immediatamente i propri impatti negativi e a cui sono attribuiti soprattutto effetti benefici), è solo di recente che gli studi di settore hanno ampliato l’analisi per considerare anche gli impatti prodotti da questa attività. La necessità di comprendere nell’analisi gli effetti, anche negativi, dello sviluppo turistico è data dal fatto che il turismo esercita immancabilmente una pressione sull’economia, la società, la cultura, l’ambiente naturale dei luoghi di destinazione, le cui conseguenze, in mancanza di un’adeguata capacità di comprensione e gestione, possono comportare danni irreversibili e decretarne la fine in quanto mete in grado di attrarre turismo. Le linee programmatiche di sviluppo, soprattutto a livello europeo, fanno sempre più spesso riferimento alle connessioni esistenti fra economia, ambiente ed etica. Nel turismo questi legami diventano, se possibile, ancora più importanti: l’equilibrio fra sviluppo dell’industria turistica e tutela della destinazione è essenziale in un settore che trova nelle risorse ambientali, culturali, umane il substrato sul quale costruire le proprie attività. La destinazione turistica è, infatti, un sistema integrato di risorse che, per generare ricchezza e benessere nel territorio, deve essere gestita in modo da non distruggere se stessa. Lo sviluppo della destinazione turistica, anche nel suo aspetto di impresa, non può quindi prescindere dalla tutela e dalla conservazione dei beni ambientali e culturali, come sottolineato nel Libro Bianco del Touring Club “Sostenibilità e competitività del settore turistico” (TCI, 2005): “Il turismo trova proprio nei fattori di attrattività ambientale, artistica e culturale la leva principale della propria competitività ed è quindi perfettamente coerente con le strategie di promozione e sviluppo del settore perseguire obiettivi di salvaguardia e valorizzazione di tali fattori”…”gli obiettivi di tutela e valorizzazione, impliciti nella strategia di sostenibilità, contribuiscono infatti ad aumentare l’attrattività del patrimonio ambientale, artistico, culturale di una destinazione, divenendo quindi, a tutti gli effetti, misure di sostegno alla competitività del settore turistico”. La qualità di queste risorse, infatti, costituisce nel turismo un importante fattore di scelta da parte dei consumatori; ne consegue che la tutela delle attrazioni naturali e paesaggistiche, la diversità culturale, la qualità globale dell’ambiente naturale e umano sono condizioni necessarie per uno sviluppo economico durevole della destinazione, che include l’esperienza positiva di visitatori e turisti. Nello stesso tempo, una politica di conservazione e valorizzazione delle risorse non riproducibili del turismo diventa la chiave anche per prevenire impatti negativi sulle realtà locali, migliorando la qualità della vita nelle destinazioni. Dalla presa di coscienza a livello mondiale dell'importanza di valutare gli impatti del turismo, inizia a farsi strada il concetto di Turismo Sostenibile che - secondo la

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definizione dell'Organizzazione Mondiale del Turismo (ispirata a quella di Sviluppo Sostenibile contenuta nel Rapporto Bruntland) - è quel "turismo capace di soddisfare le esigenze dei turisti di oggi e delle regioni ospitanti prevedendo ed accrescendo le opportunità per il futuro. Tutte le risorse dovrebbero essere gestite in modo tale che le esigenze economiche, sociali ed estetiche possano essere soddisfatte mantenendo l'integrità culturale, i processi ecologici essenziali, la diversità biologica, i sistemi di vita dell'aria in questione. I prodotti turistici sostenibili sono quelli che agiscono in armonia con l'ambiente, la comunità e le culture locali, in modo tale che essi siano i beneficiari e non le vittime della sviluppo turistico." Uno dei fattori più facilmente riconoscibili di “inquinamento” turistico è legato al numero di visitatori: soprattutto in quelle località dove la maggior parte dei flussi si concentra in pochi e determinati periodi dell’anno, l’eccessiva presenza di visitatori, rispetto non solo alle dimensioni fisiche della destinazione, ma alla sua capacità di sopportarne il carico da un punto di vista dei servizi, delle infrastrutture, dell’organizzazione sociale delle comunità locali, può portare a gravi conseguenze per l’ambiente e per il tessuto economico e sociale. In molte località turistiche “sensibili” da un punto di vista naturale, come le aree naturali protette, o di rilevante pregio artistico e architettonico, come le città d’arte, si effettuano studi e ricerche per cercare di determinare il limite di turisti che la destinazione può sostenere senza subire un danno irreversibile. Il calcolo di questo limite porta alla definizione della Capacità di Carico di una località turistica. Gli impatti negativi derivanti da eccessivo carico antropico si possono dividere in: - Fisici o ecologici: danni alle risorse naturali o storico-artistiche non riproducibili dovuti a emissioni di gas nocivi, eccessivi consumi energetici e idrici, eccessiva produzione di rifiuti ecc. - Economici/di esperienza: limite di presenze oltre il quale la qualità dell’offerta diminuisce con conseguente calo della qualità dell’esperienza del visitatore e contrazione della domanda; - Sociali: cresce l’offerta per i turisti, la domanda dei turisti diviene più importante di quella dei residenti spingendo lo sviluppo locale verso una “monocultura”, con ricadute negative sui servizi per i residenti. Il turismo, inoltre, può provocare un cambiamento o la perdita di valori e di identità locali attraverso processi di standardizzazione che riducono autenticità e spontaneità della destinazione. Enclave turistica Le imprese locali vedono fortemente ridursi le loro possibilità di entrare e di sopravvivere nel mercato turistico quando l’offerta della destinazione è basata su hotel e resort commercializzati tramite pacchetti vacanza “tutto compreso”. Se, infatti, i turisti trascorrono il loro intero soggiorno sulla stessa nave da crociera o nello stesso resort, in cui possono soddisfare ogni necessità di svago, di relax e di spesa, non rimangono molte opportunità ai residenti di trarre vantaggio dal turismo.

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I pacchetti turistici all inclusive generano un grande giro d’affari, ma solo una piccola percentuale contribuisce allo sviluppo economico locale. Secondo le stime dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) le strutture ricettive dedicate ai pacchetti “tutto compreso” contribuiscono allo sviluppo della destinazione in percentuale minore rispetto all’ospitalità locale, importando maggiori quantità di beni e impiegando meno persone rispetto al fatturato delle strutture ricettive locali (Fonte: Tourism Concern). Lo stesso meccanismo sfavorevole per le comunità locali si manifesta con il turismo crocieristico, in cui la destinazione ha una importanza relativa, poiché gli ospiti sono invogliati a spendere la maggior parte del loro tempo e denaro a bordo, limitando le opportunità di spesa nelle località turistiche. Le énclave turistiche, replicabili in ogni parte del mondo, per la domanda turistica sono considerate pressoché perfettamente sostituibili, poiché la loro offerta principalmente costituita da “spiaggia e mare” non trova particolari ostacoli al cambiamento di destinazione, determinando una “guerra di prezzi” fra le destinazioni, che spinge al ribasso il prezzo della vacanza portando al collasso l’economia turistica locale. Altri impatti negativi Costi infrastrutturali Lo sviluppo del turismo può costare al governo della destinazione e ai contribuenti locali una grande quantità di denaro. Ciò accade quando il governo locale si fa carico dell’esigenza degli imprenditori esteri di migliorare gli aeroporti, le strade e le altre infrastrutture per lo sviluppo turistico; questo tipo di investimenti aumenta la spesa pubblica e riduce gli interventi negli altri settori chiave come educazione e sanità. Il peso degli investimenti pubblici diventa ancora più gravoso per la destinazione quando i governi sono costretti a ricorrere a nuovi prestiti, aumentando così la spirale del debito e provocando la svendita delle risorse, incluse quelle ambientali. Inflazione La crescita della domanda di beni e i servizi dei turisti causa un aumento dei prezzi generalizzato nella destinazione che impatta negativamente sui residenti. Molto spesso infatti la presenza di flussi turistici genera un aumento di prezzi, anche per i beni di prima necessità, che non è correlato a un aumento di reddito per i residenti. Il costo della vita per un residente può essere ulteriormente gravato dal rincaro del valore della terra e del prezzo delle case che solitamente avviene in fase di espansione turistica della destinazione, così che le opportunità di investimento dei residenti si assottigliano intensificando al contrario il potere estero (di imprese e turisti che acquistano terreni e seconde case) sul territorio. Dipendenza economica dal turismo (monocultura turistica) Se un paese dipende fortemente dal turismo (come molti PVS) in caso di eventi negativi che condizionano i flussi turistici sarà maggiormente esposto a crisi

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economiche rispetto a destinazioni che diversificano la propria economia. Ad esempio se si verificano recessioni economiche nei paesi di provenienza turistica o sopravvengono disastri naturali nelle destinazioni (vedi Tsunami), i Paesi fortemente dipendenti dal turismo soffriranno un calo di entrate che colpirà il lavoro e conseguentemente il livello di vita dei residenti. Il pericolo “monocultura” si manifesta in modo più consistente nelle località turistiche “di moda” e in quelle destinazioni che non garantiscono una situazione politica stabile. Proprio per questo motivo i Paesi del Sud del mondo sono considerati più affidabili dagli internazionali del settore quando la stabilità viene ottenuta a spese della democrazia attraverso dittature e regimi militari. Il problema della dipendenza dal turismo è aggravata dalla caratteristica stagionale del lavoro turistico. La pericolosità della monocultura turistica si rivela in tutta la sua evidenza nei Paesi come le Maldive, dove secondo le stime del WTO vi è una dipendenza della forza lavoro dal turismo dell’83%. Quando si presentano i meccanismi sopra descritti, il ritorno economico per la destinazione è destinato a decrescere sensibilmente. Nel periodo 1980-1998, nonostante i turisti nelle destinazioni del Sud del mondo siano passati dal 19% al 28%, il fatturato degli stessi Paesi è sceso dal 31% al 28%. Impatti positivi Secondo l’UNEP i principali impatti positivi sull’economia della destinazione si possono dividere in: • Ingresso di valuta pregiata: il turismo stimola direttamente l’economia locale attraverso gli acquisti dei turisti e indirettamente attraverso il reinvestimento delle entrate turistiche nello sviluppo di altri settori. • Contributo positivo al bilancio dello stato: le casse governative della destinazione possono trarre un beneficio diretto dalla tassazione sui redditi (sia dei residenti che delle imprese turistiche) e dalle imposte (come quelle applicate sui biglietti aerei) e in un modo indiretto attraverso tasse e imposte (come l’IVA) sugli acquisti dei turisti. • Creazione di posti di lavoro: la rapida espansione del turismo internazionale ha contribuito notevolmente alla creazione di posti di lavoro. Secondo le stime del WTO, il settore alberghiero offre nel mondo più di 11 milioni di posti di lavoro (1995) e se si include anche il lavoro creato dall’indotto turistico, si stima che il turismo generi occupazione per il 7% dei lavoratori mondiali. • Stimolo all’investimento in infrastrutture: lo sviluppo turistico può stimolare i governi locali a migliorare la qualità delle infrastrutture che sono essenziali anche alla comunità locale; un miglioramento del sistema fognario, delle strade, della rete elettrica, telefonica e del trasporto pubblico soddisfano il turista, migliorando la vita dei residenti. • Contributo alle economie locali (effetto moltiplicatore): è la capacità del turismo di stimolare un’economia correlata (artigianato, prodotti tipici, servizi di animazione e ricreazione ecc.). Oltre ai posti di lavoro creati dall’indotto “ufficiale” vi è poi una serie di lavori informali (venditori di strada, guide turistiche informali ecc.) che sebbene non regolari e non tutelati, creano un reddito che viene speso localmente generando un effetto moltiplicatore.

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LA STRUTTURA DEL MERCATO TURISTICO Il mercato turistico è caratterizzato dalla presenza di organizzazioni che si differenziano fra loro sia per tipologia di servizi offerti che per dimensione aziendale. Dal punto di vista della dimensione delle imprese, l’industria turistica può essere idealmente divisa in due parti; la prima comprende le piccole strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere, i piccoli ristoranti, le agenzie di viaggio, i negozi e i servizi ricreativi caratterizzati spesso dal fatto di essere imprese famigliari e di lavorare su mercati di nicchia. Nel contesto internazionale, questo tipo di strutture è contraddistinto da investimenti bassi, dalla scarsa stabilità del mercato e da un elevato turnover. Dall’altra parte troviamo invece le grandi imprese, a volte pubbliche (come nel caso dei trasporti) molto più spesso private, come le grandi catene alberghiere e di ristorazione, i parchi di divertimento, i tour operator internazionali ecc. Questa tipologia di imprese è invece contraddistinta dal lavoro non famigliare, dall’alto livello degli investimenti, dalla divisione e specializzazione del lavoro, dalla separazione fra gestione e proprietà. Da un punto di vista dell’offerta, il mercato turistico comprende diverse tipologie di impresa: - Hotel e ristoranti o alberghi, campeggi e altre strutture extralberghiereo ristoranti, bar, taverne, catering ecc - Imprese di trasporto o di terra (ferrovie, bus, taxi, noleggio auto...) o aerei o navali (traghetti, crociere...) - Imprese di produzione di pacchetti turistici (tour operator) - Imprese di intermediazione di servizi turistici (agenzie di viaggio) - Imprese che organizzano e gestiscono eventi aggregativi (congressi, fiere, raduni, grandi eventi) - Imprese pubbliche e private di gestione di singoli fattori attrattivi (musei, teatri, palazzetti sportivi, stadi, parchi tematici, parchi naturali...) - Enti e associazioni gestori di servizi “collaterali” rilevanti per il settore (Touring Club Italiano, Automobile Club d’Italia, Federalberghi, Enit – Agenzia Nazionale del Turismo...) - Imprese individuali o associazioni di guide turistiche - Altre imprese per la fornitura di servizi connessi (finanziari, assicurativi…). La varietà di imprese che compongono il mercato turistico rispecchia l’eterogeneità dei servizi offerti, i quali a loro volta vanno a individuare e caratterizzare le diverse tipologie di turismo, che possono essere segmentate a seconda dell’attività prevalente, della tipologia di destinazione, del target a cui si rivolgono:

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- Segmentazione per tipo di attività: turismo sportivo, turismo nautico, turismo balneare, turismo termale, turismo estetico e salutistico, turismo di formazione, turismo gastronomico, turismo d’arte, turismo religioso, turismo musicale. . . - Segmentazione per tipo di destinazione: turismo di mare, turismo lacustre, turismo montano, turismo urbano… - Segmentazione per target: turismo scolastico, turismo studentesco, turismo per la terza età, turismo giovanile, turismo aziendale, turismo congressuale... L’offerta turistica non prevede (solitamente) una distinzione netta fra i vari “turismi”, ma quasi sempre in una vacanza si possono rilevare diversi elementi (a volte integrati fra loro in un pacchetto turistico) che possono rientrare nelle diverse tipologie di turismo sopra elencate. Sebbene eterogeneo, il settore turistico è caratterizzato da integrazione sia verticale che orizzontale. Nel primo caso esistono grandi tour operator internazionali che controllano tutta la “filiera turistica”, ovvero dispongono di strutture ricettive, mezzi di trasporto e altri servizi in loco. Secondo uno studio di Tourism Concern (Ong inglese e network internazionale per il turismo sostenibile e responsabile) negli ultimi anni quattro tra i più grandi T.O. internazionali hanno rilevato molti piccoli e diversificati operatori e attualmente queste grandi compagnie controllano più del 50% dell’outgoing britannico.

Figura 16: il mercato turistico e le sue relazioni

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Come si può notare dalla figura 16, nel mercato turistico l’offerta è influenzata in primo luogo dalla domanda, alla quale l’industria si rivolge cercando di soddisfare i diversi e mutevoli bisogni e trend di consumo. I servizi turistici sono inoltre influenzati dal mercato del lavoro che comprende figure con differenti competenze, esperienze e qualifiche e una grande varietà di aspettative e desideri. L’offerta di lavoro è influenzata dai picchi stagionali, in cui la manodopera necessaria è per lo più costituita da lavoratori occasionali, spesso reclutati tra gli immigrati o gli studenti. Questo tipo di lavoratori spesso si trova a eseguire i compiti meno piacevoli e sicuri, con basso salario. Il mercato turistico è inoltre influenzato e influenza governi, regioni, sindacati ecc. in materia fiscale, giuridica ed economica. Nell’analisi del mercato turistico non bisogna dimenticare di menzionare che esso è caratterizzato da un’altissima competizione, non tanto e non solo a livello locale o regionale, ma a livello internazionale e globale. Le agenzie di viaggi e i tour operator offrono una vastissima scelta ai propri clienti, cosicché le destinazioni turistiche diventano nell’immaginario del turista prodotti facilmente “intercambiabili”.

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NUOVI TREND DEL TURISMO

Short and low Esperti del settore rilevano che le lunghe vacanze estive (soprattutto quelle in agosto) lasceranno sempre più spazio agli short trip, ovvero vacanze di una o due settimane realizzate in più periodi dell’anno, e agli short break, vacanze di pochi giorni effettuate nei mesi primaverili e in autunno. Questa tendenza è già in atto in gran parte del mondo cosiddetto occidentale: sia a causa della perdita del potere d’acquisto delle nostre valute, sia per le paure legate al fenomeno del terrorismo internazionale, il numero dei turisti che sceglieranno vacanze più brevi e dilazionate durante l’anno crescerà notevolmente. Il loro viaggio privilegerà le mete più vicine al luogo di partenza e la riscoperta del territorio di appartenenza. Buona parte del turismo, soprattutto quello di massa, individua nella variabile prezzo la motivazione principale nella scelta del viaggio. Spesso non è la destinazione che invoglia la scelta ma, viceversa, è la situazione economica che impone la meta di una vacanza. Il fenomeno dei “lastminute” e dei voli low-cost è un tipico segnale del nostro tempo: si viaggia al minor costo possibile e la destinazione non ha quasi importanza. Slow and active Secondo l’indagine svolta su alcuni T.O. nazionali e internazionali, i clienti dei T.O. (che per la maggior parte provengono da aree urbane fortemente antropizzate) ricercano sempre di più nella vacanza una forma di evasione dalla vita stressante delle grandi città e una possibile risposta la trovano in viaggi che offrono un’immersione completa in ambienti integri, autentici, puliti, più conservati e tutelati. C’è quindi in atto una tendenza a vivere la vacanza lentamente, assaporando il territorio nella sua profondità, gustando il piacere di mangiare e bere sano e in modo naturale, rilassandosi ma in modo “attivo” alla scoperta di luoghi e culture diverse. Il turista chiede inoltre di essere l’attore della propria vacanza (aumentano i turisti che vogliono partecipare al “confezionamento” del prodotto) in contrapposizione alle formule “passive” tipiche di una vacanza passata in spiaggia o di un viaggio “all inclusive” organizzato in modo standard e non personalizzato. Questo tipo di cambiamento si riscontra anche nei consumi, non solo turistici, degli ultimi anni: slow food, tour enogastronomici, prodotti biologici, agriturismo sono tendenze sociali e di mercato in continua crescita. Secondo Harvey Hartman “le società moderne sono state dominate da valori tecnologici fin dalla metà del secolo XIX e sebbene quasi nessuno si lamenti dei benefici materiali, c’è un desiderio di una connessione più profonda con la natura, la famiglia, gli anziani e la comunità”.

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Ambiente e Cultura Il turismo agrituristico, quello enogastronomico e il turismo “verde” in generale, mostrano previsioni di aumento nelle tendenze turistiche internazionali. Alcune indagini sulla domanda turistica “verde” confermano questi trend: • Un’indagine effettuata nel Regno Unito (Market Opinion and Research International, 1997) ha rivelato che il 61% dei consumatori riteneva “molto” o “abbastanza importante” il fatto che le compagnie di viaggio di fiducia prendessero in considerazione le tematiche ambientali, con un incremento di 9 punti percentuali rispetto al 1995. I consumatori dichiaravano inoltre di essere disposti a pagare 7 sterline in più, in media, per viaggi di tour operator di cui fosse sicuro l’impegno nella protezione ambientale e 7,50 sterline in più per lo stesso impegno assicurato dalle strutture ricettive presenti nel proprio tour; • Il Centro Dati del Turismo USA stimò che nel 1992 il 7% dei viaggiatori statunitensi aveva realizzato per lo meno un viaggio in destinazioni con attrazioni naturali e che nel 1995 l’83% dei turisti sosteneva compagnie turistiche “verdi” ed era disposto a pagare di più per usufruire dei servizi offerti da esse; • Negli Stati Uniti più dei tre quarti dei viaggiatori ritiene importante che il proprio viaggio non rechi danno all’ambiente, mentre in Gran Bretagna la stessa percentuale sale all’87%4; • Il 61% degli americani afferma che l’esperienza di viaggio è migliore quando la destinazione è integra da un punto vista ambientale, storico e culturale. Accanto all’interesse per l’ambiente naturale cresce anche l’attenzione per gli aspetti culturali, che non comprendono solo le peculiarità artistiche della destinazione, ma integrano il piacere di scoprire le tradizioni del luogo e i modi di vivere della popolazione locale. Alcune indagini di mercato e il libro bianco del TCI (2005) confermano la crescita delle destinazioni turistiche “alternative” e di nuove tendenze della domanda turistica: “dal 1990 al 2002, l’incidenza delle località d’arte e di quelle montane aumenta rispettivamente del 5% e del 3%, a conferma di un aumento di richiesta di turismo culturale e maggiore sensibilità all’ambiente”. • Agli inizi degli anni ‘90 il 40% dei turisti statunitensi desiderava viaggi che “arricchissero la propria vita” contro un 20% che solamente “cercava il sole”; • Tre quarti dei turisti britannici afferma che vorrebbe effettuare un viaggio che includesse l’esperienza della cultura e del cibo locale, con un incremento del 4% (dal 77% all’81%) fra il 2000 e il 2002. Fair tourism • Il 29% dei turisti britannici ritiene che, se il prezzo del viaggio garantisse buoni stipendi e degne condizioni di lavoro per la comunità locale, sarebbe disposto a pagare di più per la propria vacanza. In un’altra indagine la stessa percentuale sale al 53%. Secondo queste indagini di mercato la scelta della vacanza nel XXI secolo è legata

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anche al bisogno di contribuire a creare un “mondo migliore”. In effetti, a partire dalla fine degli anni Novanta e nei primi anni del 2000, fra l’opinione pubblica si assiste a una crescita della consapevolezza sui temi della giustizia sociale, sull’etica nel business e (soprattutto in relazione alle imprese occidentali stabilitesi nei Paesi in via di sviluppo) sulla tutela dei diritti umani, sull’equità nella distribuzione della ricchezza. L’esistenza di questa tendenza fra i cittadini è confermata dalla crescita del cosiddetto “consumo critico” e dalla nascita di forme alternative di commercio che si prefiggono lo scopo di migliorare l’equilibrio della distribuzione della ricchezza mondiale (commercio equo e solidale). L’idea del “commercio giusto” sembra catturare la domanda di quella parte di popolazione che è interessata a pagare prezzi giusti per il lavoro e per la tutela dell’ambiente e, secondo alcune teorie, una tendenza di acquisto e consumo generale si può tramutare facilmente in un’analoga scelta turistica: “la gente non compra vacanze in modo isolato, esse sono di solito una estensione del loro modello di vita quotidiano e spesso sono correlate al modo in cui i consumatori comprano altri prodotti. È quindi probabile che le risposte dei consumatori ai messaggi di acquisto di cibo, vestiti o intrattenimento siano similari alle risposte in relazione ai prodotti turistici”. • Secondo un recente studio pubblicato dalla Fairtrade Foundation, i britannici sono i più grandi sostenitori del consumo equo e solidale al mondo. Nel Regno Unito, nel 2004, le vendite dei prodotti con il marchio equo-solidale “Faitrade” sono aumentate del 50% rispetto all’anno precedente; • Sempre in Gran Bretagna, nel 2000, la percentuale di popolazione che boicottava prodotti o società per motivi etici era pari al 30%. Anche in Italia l’interesse per il consumo critico sembra sia in netta crescita. Secondo un’indagine Censis, nel 2004 più della metà dei consumatori italiani dichiarava di conoscere la realtà del commercio equo e solidale, il 35% dichiarava una frequenza di acquisti solidali di “qualche volta all’anno” e il 42% di comprare prodotti equo-solidali “una o più di una volta al mese”. Inoltre, secondo i risultati emersi da una ricerca promossa dalla Camera di Commercio di Milano agli inizi del 2005, si evince che più della metà degli italiani nell’ultimo anno di analisi aveva acquistato prodotti dopo aver verificato che non inquinassero o che per la loro produzione non fosse stato impiegato lavoro minorile e che fossero stati rispettati i diritti dei lavoratori. Inoltre, il 14,2% degli italiani ha partecipato a campagne di boicottaggio verso aziende che riteneva non avessero comportamenti etici. Un’inequivocabile conferma dell’avanzare del concetto di fair trade anche nel turismo viene dall’annuncio (8 novembre 2006) dell’Organizzazione Mondiale del Turismo del lancio, in partnership con il World Travel Market (WTM), della Giornata Mondiale del Turismo Responsabile con l’intenzione di stimolare l’industria turistica, i turisti e gli stakeholder pubblici sui temi etici legati al turismo.

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Altre tendenze Le tendenze del turismo del nuovo millennio incorporano altre due attitudini che si riscontrano nei trend di acquisto generali, quali la domanda crescente di qualità del prodotto (marchi e certificazioni, diritti dell’acquirente e del consumatore) e la maggiore propensione a spendere (e quindi anche a viaggiare) da parte del segmento della “terza età”. Infine vi è la tendenza in aumento dei viaggi in territori sconosciuti, alla ricerca di località meno affermate, che possano offrire un’esperienza “diversa”.

Trend e dati occupazionali in Italia Città dal valore storico e artistico, musei e scavi archeologici, chiese e cattedrali (con siti religiosi tra i più visitati al mondo), parchi nazionali, quasi 8.000 km di costa con località di mare, lagune, laghi, stazioni termali e strutture di montagna attrezzate per lo sport invernale. Ed è la Nazione che detiene nel mondo il maggior numero di siti (50) inclusi nella lista dei Patrimoni dell'Umanità. L’Italia è senza dubbio il Paese in cui il turismo rappresenta un settore fondamentale per la crescita e lo sviluppo economico con enormi potenzialità in campo occupazionale. Secondo Eurispes, l’incidenza del turismo sul Pil nazionale è circa il 10% con la previsione che, con interventi per rilanciare il settore, il dato andrà a raddoppiare nel giro di una decina di anni. L’istituto di ricerca annovera, inoltre, il turismo (insieme a cultura, manifattura e agricoltura) tra i “pilastri della nostra economia e fattore determinante per una ricostruzione del ruolo dell’Italia nel mondo”. Sul fronte occupazionale, il Quarto osservatorio sul mercato del lavoro del turismo in Italia, stima che il settore turistico conta quasi 1 milione di posti di lavoro in Italia, una cifra che rappresenta il 5% dell’occupazione nazionale (percentuale confermata anche dai dati Istat). Il Rapporto del 2014 è stato elaborato, sulla base dei dati Inps per gli anni 2008-2011, da Federalberghi, Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), ed Ebnt (Ente bilaterale nazionale del turismo). Il turismo è settore trainante anche dell’occupazione giovanile. Dall’industria dei viaggi, con agenti e tour operator, al settore alberghiero e della ristorazione, il settore offre sempre più opportunità ai giovani. Secondo il Rapporto sopra citato, i giovani rappresentano il 63% degli occupati, 602 mila dipendenti sotto i 40 anni e 342 mila sotto i 30. Il settore garantisce anche stabilità economica visto che i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato rappresentano il 67% del totale.

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I PREZZI DEI SERVIZI TURISTICI

Approccio Tradizionale Il percorso tradizionale che si segue per determinare il prezzo di un qualsiasi prodotto consiste nel definirne i costi e nell’aggiungere una quota di utile che si intende ottenere. Il primo problema che si incontra procedendo in questo modo è che non sempre è facile stabilire quanto costa un prodotto. Si prenda un semplice pacchetto-viaggio fatto di aereo più albergo: si possono conoscere il prezzo del posto in aereo e quello del soggiorno in hotel a persona, ma chiaramente non è sufficiente la loro somma per fare il prezzo. Non è solo una questione di utile, ma soprattutto di tener conto di tutte le spese connesse con l’attività organizzativa, di progettazione, di rapporto con i fornitori, di pubblicità, di stampa del catalogo, insomma delle spese generali. Se un’impresa è monoprodotto, nel senso che vende una sola cosa, la definizione delle spese generali potrebbe risultare semplice. Per esempio: un tour operator vende solo soggiorni di una settimana in un certo albergo in Costa Brava, ovvero un solo tipo di prodotto. Il costo del trasporto più il soggiorno è di 400 € a persona. Le spese di gestione dell’impresa, l’affitto, gli stipendi, la pubblicità, le spese di vendita, la stampa dei cataloghi e così via sono di 100 000 € all’anno. In un anno l’organizzatore vende 1000 di quei soggiorni tutti uguali. In questo caso sarebbe abbastanza facile dire che i 100 000 €di spese generali possono essere divisi per i 1000 viaggi e quindi considerare di attribuire 100 € di costo per ognuno di essi. Il costo totale del viaggio diventa in questo modo di 500 €. Per arrivare al prezzo non resta che aggiungere l’utile. Il problema è che le aziende monoprodotto praticamente non esistono: anche l’impresa turistica più modesta non vende un solo tipo di pacchetto, ne presenta diversi. Come si dividono le spese generali fra i vari tipi di prodotto? Per arrivare a fornire una risposta razionale, è necessario fare alcune considerazioni sui costi d’impresa. È tuttavia importante una premessa: ormai nessuna impresa può sperare di definire il proprio prezzo come somma dei costi più una generosa dose di utile. Il percorso deve essere inverso. Si parte dal prezzo, che è quello di mercato, ovvero quello al quale si suppone di trovare un consumatore disponibile all’acquisto. Si valutano quindi i costi e si verifica se i due valori sono compatibili: se il prezzo sembra coprire gli oneri il prodotto è vendibile, altrimenti si rinuncia e si inventa qualcos’altro. I COSTI FISSI E I COSTI VARIABILI I costi fissi sono quelli che non variano al mutare della produzione, i costi variabili sono invece quelli che dipendono dalla quantità di prodotto. Per un tour operator sono da considerare fissi i costi di struttura aziendale, come quelli relativi all’affitto e alla pulizia dei locali, agli stipendi dei dipendenti, agli

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allacciamenti dei terminali, agli ammortamenti delle macchine di ufficio ecc. Sono invece da considerare variabili quelli relativi ai servizi che vengono acquistati su richiesta dei clienti: soggiorni alberghieri, biglietti aerei, passaggi marittimi e via dicendo. Evidentemente, se le richieste e le vendite ai clienti sono molte, anche i costi che si sostengono per gli acquisti sono elevati; viceversa, in mancanza di domanda e quindi di ricavi, anche questi costi vengono a mancare. In sostanza, mentre l’affitto, gli stipendi, le assicurazioni, gli allacciamenti (costi fissi) devono essere sostenuti comunque, anche se non si vende, i costi direttamente connessi con le vendite (costi variabili) sono in diretta relazione con l’entità dei ricavi. Anche i costi fissi presentano elementi di variabilità: i locali in affitto costano un canone fisso, ma se il lavoro da svolgere cresce molto, può rendersi necessario l’affitto di nuovi locali. Gli stipendi ai dipendenti sono fissi, ma se l’attività dell’azienda aumenta oltre le capacità degli impiegati esistenti, se ne devono assumere altri, e questo comporta l’acquisto di nuovi mobili, nuove macchine per l’ufficio, nuovi allacciamenti di terminali e via dicendo. Il risultato è che si modificano i costi che fino a quel momento erano fissi. I COSTI SPECIFICI A IMPUTAZIONE DIRETTA E I COSTI COMUNI A IMPUTAZIONE INDIRETTA Una distinzione molto importante ai fini dell’analisi dei costi di un’azienda è quella fra costi specifici e costi comuni. I costi specifici sono quelli che riguardano direttamente un determinato bene o servizio. I costi comuni sono relativi a più beni e servizi e quindi non sono direttamente riferibili a uno in particolare. Per esempio, se, su richiesta di un cliente, un tour operator prenota un soggiorno alberghiero, il costo relativo è specifico in quanto riferito direttamente al servizio venduto a quel cliente. In una gestione tradizionale sono costi specifici, per un tour operator, quelli relativi ai servizi contenuti nei viaggi venduti (soggiorni in albergo, passaggi aerei, visite ed escursioni ecc.). Il t.o. che organizza un package tour acquista i servizi che lo compongono solo dietro prenotazione del cliente, solo, cioè, quando il pacchetto viene venduto. In questo modo, per il viaggio di ogni cliente il t.o. è in grado di stabilire con precisione i costi ad esso specifici. I costi comuni di un t.o. sono invece quelli riferiti a più prodotti, quindi, tipicamente, i costi di struttura (affitti, stipendi, ammortamenti ecc.). Esistono anche costi specifici a imputazione diretta che non vengono rilevati perché sarebbe troppo oneroso. Per esempio, sarebbe possibile, per ogni prodotto venduto, rilevare le telefonate fatte per prenotazioni, informazioni, contatti con i clienti; sarebbe anche possibile determinare il tempo utilizzato da ogni impiegato e persino la quantità di carta che viene utilizzata. In questo modo si avrebbero molti costi specifici e si potrebbe avere una visione più completa del costo di un prodotto. Tuttavia questi calcoli sono ritenuti, il più delle volte, troppo macchinosi e quindi le spese telefoniche, quelle di

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lavoro e quelle del materiale di cancelleria sono sempre considerate comuni. Perciò, se si vuole sapere quanto incidono su ogni viaggio queste spese comuni si deve compiere un’imputazione indiretta. LE CONFIGURAZIONI DEI COSTI La distinzione fra costi a imputazione diretta e co sti a imputazione indiretta può portare, per ogni prodotto, a determinare diverse configurazioni di costo. Il costo primo di un prodotto è dato dall’insieme dei costi specifici a imputazione diretta. Quindi, per esempio, per un viaggio, il costo primo può essere costituito dall’insieme dei servizi: trasporto, albergo, transfer, visite ecc. Il costo complessivo di un prodotto è dato dal costo primo più una quota di costi comuni che a quel prodotto vengono attribuiti. È ovvio che il costo primo costituisce solo una parte del costo effettivo di un prodotto. Se un t.o. vende a un cliente un viaggio composto di passaggio aereo + soggiorno alberghiero non può vendere detto viaggio al suo costo primo perché non solo non guadagnerebbe niente, ma perderebbe: infatti, per organizzare e vendere quel viaggio, il tour operator deve usare la propria struttura, i propri impiegati, i propri telefoni, insomma deve sostenere dei costi comuni. Il costo economico-tecnico di un prodotto è dato dal suo costo complessivo più una quota di oneri figurativi. Infatti, il costo complessivo ancora non può essere considerato il costo totale del prodotto. Fra le spese generali di gestione di un’azienda si deve tenere conto anche degli oneri figurativi. Che cosa sono gli oneri figurativi? Sono i mancati ricavi dell’impresa che assumono l’aspetto di costi che non possono entrare nella contabilità. Per esempio: ogni azienda per funzionare necessita di capitali. Poniamo che un imprenditore investa in essa 50 000 €. Se invece di usare quel denaro per far funzionare l’azienda, acquistasse titoli di Stato, avrebbe un reddito sicuro e senza rischi. Quindi l’imprenditore che investe denaro in un’attività sostiene un costo derivante dagli interessi su quel denaro, ai quali rinuncia. Questo costo è detto interesse figurativo. Analoga è la situazione dell’imprenditore che è proprietario dei locali dove svolge la sua attività: se non li usasse per la propria azienda potrebbe affittarli. Il mancato ricavo di affitto prende il nome di fitto figurativo. Ancora, si pensi alla persona che abbandona il lavoro che svolgeva per aprire un’agenzia di viaggi in proprio: per farlo deve rinunciare allo stipendio. Quindi l’apertura della propria azienda comporta il mancato ricavo costituito dallo stipendio, cioè un costo di stipendio figurativo. Nel costo di ogni prodotto si deve tenere conto anche di questi elementi, che vanno attribuiti alle singole unità secondo criteri di imputazione indiretta.

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Il costo economico-tecnico è il costo totale di un prodotto, non è ancora il suo prezzo: per determinarlo va aggiunta una quota di utile. La configurazione dei costi è sintetizzato nella figura 1.1.

COSTI SPECIFICI = COSTO PRIMO + + QUOTA DI CONSUMI COMUNI = COSTO COMPLESSIVO +

+ QUOTA DI ONERI FIGURATIVI = COSTO ECONOMICO TECNICO

Figura 1.1 La configurazione dei costi. IL FULL COSTING Quello che si è andato delineando attraverso la determinazione prima del costo primo, poi del costo complessivo, poi di quello economico tecnico di un prodotto è un metodo di calcolo che consente di determinare il prezzo da attribuire a ogni singola unità venduta. Questo metodo di calcolo del prezzo è detto di full costing (costo pieno), in quanto parte dalla determinazione dei costi attribuiti a ogni unità di prodotto. Il full costing è un metodo di calcolo che mira alla determinazione del costo pieno relativo a un singolo prodotto. Il full costing costituisce il metodo di calcolo del prezzo più tradizionale. TANTI PREZZI, TANTI PRODOTTI Quando si apre il catalogo di un tour operator, quando si consultano le tariffe di una compagnia aerea, quando si osserva il listino di un albergo è normale trovare un’elencazione più o meno lunga di prezzi. Su uno stesso volo di linea da Roma a New York viaggiano persone che hanno pagato almeno venti prezzi diversi: c’è chi ha prenotato con largo anticipo, chi torna non prima della domenica successiva, chi può variare la prenotazione e chi non può variarla, chi viaggia in prima classe, chi viaggia in classe business e chi in classe economica, chi viaggia in gruppo e chi per conto proprio, chi ha meno di 12 anni e chi più di 65, chi è in viaggio di nozze, chi è giornalista, chi è dipendente di compagnia aerea e così via. È normale, nessuno si stupisce per l’esistenza di queste diversificazioni, anzi, ci si stupirebbe del contrario. Anche per i soggiorni di vacanza esistono normalmente cinque o sei periodi diversi, dalla bassa all’altissima stagione, che comportano il pagamento di altrettanti prezzi diversi. In Gran Bretagna si arriva a determinare almeno una dozzina di diverse stagionalità. Ci sono poi le riduzioni per l’advance booking, cioè per chi prenota con almeno due-tre mesi di anticipo e quelle per il last minute, ovvero per chi decide all’ultimo minuto. Anche in questo campo la differenziazione è considerata normale. Non sono del tutto sopite le polemiche sul last minute, che è considerato soprattutto da alcuni agenti di

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viaggio uno strumento di turbativa per il mercato, ma ci si va accorgendo via via che anche quello va a costituirsi come un segmento a sé stante di domanda. Questo avviene perché la logica della differenziazione dei prezzi risiede proprio nella constatazione del fatto che ogni livello tariffario identifica un cliente: c’è il cliente di bassa stagione e quello di altissima stagione; chi prenota con largo anticipo perché i suoi impegni lo obbligano a programmare prima le vacanze, oppure perché è ansioso; chi acquista il last minute perché si è ritrovato con un po’ di tempo libero e coglie al volo la prima occasione che gli capita, osservando maggiormente il prezzo che la destinazione del viaggio. È una logica irreversibile, che procede verso una sempre più articolata segmentazione tariffaria, fino ad arrivare allo yield management, una metodologia di determinazione dei prezzi sulla base dell’andamento della domanda, che comporta la scomparsa del prezzo predeterminato. Nei paragrafi che seguono si cerca di arrivare, per gradi, a scoprire alcune delle moltissime tecniche che possono condurre alla definizione dei prezzi multipli. Si possono individuare diverse impostazioni metodologiche: ➽ il direct costing, un metodo ormai tradizionale di definizione del prezzo sulla base dei costi comuni, che sempre meno può essere usato in presenza di bassi margini di redditività; ➽ il calcolo di costi medi, da ripartire differenziandoli per tariffe, attualmente il metodo più usato dai tour operator, dai vettori e da altre imprese nelle quali l’utile unitario è ridotto; ➽ i prezzi modulari, applicati laddove si vuole generare un’offerta flessibile; ➽ lo yield management, tecnica attraverso la quale si cerca la massimizzazione del reddito con la massimizzazione delle opportunità di vendita a prezzi adeguati.

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L’IMPRESA TURISTICA

La l 135 29/3/2001 definisce turistiche le imprese che esercitano attività economiche organizzate per la produzione, la commercializzazione, l’intermediazione e la gestione di prodotti, di servizi (tra cui gli stabilimenti balneari), di infrastrutture e di esercizi, compresi quelli di somministrazione facenti parte dei sistemi turistici locali, concorrenti alla formazione dell’offerta turistica. Si tratta di una definizione assai ampia, essendovi riconducibili la maggior parte delle attività di offerta di servizi turistici. È infatti la tipologia di attività esercitata a conferire all’impresa il carattere turistico. All’identificazione delle diverse tipologie di imprese turistiche provvedono le regioni, secondo le indicazioni contenute nel DPCM 13/9/2002.

1. L’azienda alberghiera. L’esercizio dell’impresa alberghiera è subordinato al rilascio di uno apposito provvedimento autorizzatorio dell’autorità comunale. Specificamente, la legge dispone che l’apertura e il trasferimento di sede degli esercizi ricettivi (alberghi, residenze turistico alberghiere, case e appartamenti per vacanze, campeggi, villaggi turistici, ecc.) sono soggette ad autorizzazione del Sindaco del luogo. Insieme alla prestazione del servizio ricettivo, l’autorizzazione abilita a somministrare alimenti e bevande alle persone alloggiate ed ai loro ospiti, oltre che a coloro che sono ospitati nella struttura ricettiva in occasione di eventi quali manifestazioni e convegni organizzati, nonché a fornire alle persone alloggiate piccoli beni di consumo quali giornali, riviste, cartoline, pellicole, ecc. Il rilascio dell’autorizzazione consente anche l’installazione, ad uso esclusivo delle persone ospitate, di attrezzature e strutture di carattere ricreativo. Nell’esercizio dell’attività ricettiva debbono essere rispettate le norme, le prescrizioni e le autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica, igienico sanitaria, di pubblica sicurezza e di destinazione d’uso di locali ed edifici. Le legge elenca inoltre le ipotesi di revoca dell’autorizzazione. I criteri e le modalità di classificazione delle aziende alberghiere sono definite dalla legislazione regionale.

2. Deposito in albergo. È il contratto di deposito riguardante gli oggetti portati dal cliente in albergo (vestiario, valigie ecc.). L’albergatore è responsabile cc 1783 s di ogni deterioramento, distruzione o sottrazione (incendi, furti, rapine ecc.), delle cose portate dal cliente nel suo albergo, fino a un ammontare pari a cento volte il prezzo giornaliero della stanza. La responsabilità dell’albergatore è invece illimitata (cioè egli risponde dei danni senza limiti di importo) per le cose espressamente consegnategli in custodia (denaro, gioielli, altri oggetti di valore). L’albergatore non è comunque responsabile per deterioramenti, distruzioni o sottrazioni dovuti al comportamento del cliente o delle persone che sono con lui, oppure a cause di forza maggiore (ad es., a un allagamento provocato da un’alluvione), o alla natura della cosa (ad es., quando si tratta di oggetti deteriorabili, come fiori o frutta).

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Agriturismo. L 730 5/12/1985 Si definisce agriturismo l’uso delle aziende agricole per l’ospitalità di turisti, con possibilità di praticare attività agricole. Perché l’imprenditore agricolo rimanga tale (con tutti i vantaggi offerti dalla legge), nella sua azienda la coltivazione del fondo, l’allevamento del bestiame e la silvicoltura devono essere le attività prevalenti, mentre l’agriturismo deve essere solo un’attività secondaria, svolta grazie a quella agricola. Anche questa attività è di competenza delle Regioni, che devono stabilire i soggetti abilitati, i requisiti delle attrezzature da utilizzare e degli immobili da adibire all’agriturismo. Per esercitare tale attività occorre l’autorizzazione del sindaco del luogo dove l’azienda agricola ha la sede legale.

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LE IMPRESE TURISTCHE NEL SISTEMA

Le imprese turistiche si collocano all’interno di un sistema di cui rappresentano l’offerta turistica, ma nella maggior parte dei casi esse costituiscono un supporto alla fruizione delle attrattive del territorio, e non la motivazione prevalente del viaggio. Il ruolo più o meno forte delle caratteristiche delle imprese turistiche (per esempio prezzo e qualità) nel determinare la scelta d’acquisto e il recarsi in una località piuttosto che in un’altra dipende però dalle motivazioni del consumatore: è la domanda perciò l’elemento centrale del sistema. A competere tra loro, insomma, sono generalmente i prodotti turistici globali. Ad esempio, nel caso delle motivazioni di viaggio culturale, l’unicità delle risorse di determinate aree (città d’arte, ecc.) le rende attrattive anche a prescindere dal livello e dal prezzo di alcuni servizi. Si tratta in questo caso di aree che hanno un carattere di ”insostituibilità”, cioè una specializzazione così forte nell’ambito competitivo da rendere quasi ininfluente nella scelta della destinazione la valutazione del prezzo della ricettività o della ristorazione o dei trasporti. In altri termini “il vantaggio competitivo sta non nel costo ma nella specializzazione”. Lo stesso può accadere nell’ambito delle motivazioni religiose, del bisogno di alcune cure specifiche, di alcuni eventi, ecc. Laddove la motivazione sia più generica, come nel caso di un bisogno di vacanza o di relax, la variabile prezzo dei servizi o altre caratteristiche assume un valore diverso. Infatti possono esserci più possibilità di soddisfazione delle esigenze di viaggio con prodotti sostituibili (es. Ibiza o Rodi). Tuttavia, la presenza di imprese che garantiscano la possibilità di fruizione (tramite manutenzione, sicurezza, accesso, informazione, in primis) delle risorse è irrinunciabile e contribuisce essa stessa alla valorizzazione del territorio. Altro elemento da considerare è la pluralità di usi a cui alcuni servizi adempiono: molti servizi (si pensi all’esempio più semplice, la ristorazione, ma anche ai trasporti, all’attività di guida nei musei, varie modalità di intrattenimento e sport, ecc.) sono indirizzati sia ai turisti che ai residenti nella località e nelle aree limitrofe o agli altri utilizzatori di essa. Rivolti sia ai turisti che ai residenti sono soprattutto i beni e servizi di norma gestiti o tutelati dall'ente pubblico (si pensi al patrimonio ambientale, ma anche al verde pubblico, ai servizi pubblici, ecc.), beni e servizi che, anche senza turismo, dovrebbero comunque essere garantiti alla popolazione locale. Se così fosse, allora anche l'aiuto o il contributo dato all'amministrazione pubblica per la tutela del paesaggio, dei corsi d'acqua, del verde pubblico, per il recupero di beni artistici e culturali dovrebbe essere considerato un aiuto che falsa la concorrenza, quando invece garantisce livelli di vita e salvaguardia del territorio e della cultura locali oggi indispensabili per la sopravvivenza di molti comuni. Le imprese sono viste come partecipi al sistema turistico con una produzione specializzata e come puntualizzato sempre nella letteratura, ogni produzione turistica si integra con le altre e con il contesto ambientale, e quindi il prodotto dell'impresa

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contiene:

° elementi realizzati direttamente (es. il pasto); ° elementi appartenenti all’ambiente: sia beni e servizi realizzati da altre imprese (inseriti nel prodotto con forme di collaborazione o di “vicinanza”), sia risorse e infrastrutture legate all’ambiente circostante (es. la vicinanza ad una celebre piazza). Questi possono essere controllati in maniera più o meno forte; °una parte importante di informazione (anche questa in parte gestita dall’azienda, in parte esterna e talora involontaria e non controllata). L’informazione permette infatti al turista di “creare” il prodotto. Non tutte le imprese turistiche sono influenzate allo stesso modo dai fattori ambientali e di sistema locale. Si pensi ai tour operator che svolgono funzioni outgoing, che sono ovviamente condizionati dalla presenza della domanda (e si collocano di conseguenza nei bacini d’origine) ma non dalle risorse locali, ecc. Anzi, proprio perché il tour operator agisce direttamente sui bacini di origine della domanda, ha più potere in qualità di influenzatore, di motivazioni e soprattutto di destinazioni. Il rapporto tra prodotto globale e prodotto specifico della singola impresa Per meglio capire in quale misura si differenzia l’impresa turistica dalle altre tipologie di imprese, e quindi quali conseguenze possono registrarsi in termini di capacità competitiva, è necessario analizzare il rapporto tra prodotto globale e prodotto specifico, della singola impresa. Ogni azienda turistica risponde con una produzione specializzata (ristorazione, accoglienza, assistenza, trasporto) - inserita nel sistema d’offerta - alla domanda generale del consumatore. Il prodotto tipico di una categoria d’azienda è quindi quel sottoinsieme di prodotto globale offerto e organizzato da un soggetto strategico. Gli elementi offerti però possono distinguersi per ricchezza delle componenti, cioè avere un’estensione e composizione particolare, a partire dal nucleo caratterizzante. L’estensione è in genere, nelle aziende turistiche, costituta non solo da altri elementi prodotti, ma dal controllo sull’ambiente, che si può realizzare tramite controllo di risorse non riproducibili (le concessioni sulle spiagge), la collaborazione con altre aziende, l’informazione, ecc. Il prodotto può allargarsi in quanto l’impresa estende il range di servizi di sua diretta produzione, oppure si organizza per garantire quei servizi acquisendoli dall’esterno con varie modalità. Entro il suo sistema, l’impresa può assumere il ruolo di pivot, ossia fungere da attrattore attorno a cui si coordina l’offerta degli altri servizi e fattori di attrattiva, svolgere un ruolo complementare, oppure partecipare in modo paritario a progetti articolati (o meno), servendosi di associazioni, catene di marchio, ecc.

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Gli elementi che condizionano la competitività delle imprese turistiche Avendo analizzato il sistema turistico, definito il prodotto turistico globale, la domanda, è necessario approfondire le caratteristiche delle imprese turistiche. Il turismo si configura inoltre come un servizio, con alcune ulteriori specificità: • le specificità delle imprese turistiche di servizio rispetto a quelle manifatturiere; • gli elementi interni all'impresa che ne possono condizionare la competitività, dalle risorse umane alla scelta dei servizi fondamentali da quelli accessori; • gli elementi esterni all'impresa che ne possono condizionare la competitività, in particolare la collocazione in una determinata destinazione e in un determinato sistema locale di offerta. Infatti la specificità delle imprese turistiche non è solo quella delle imprese di servizi ma è legata alla loro collocazione sul territorio e alla prossimità con fattori di attrattiva specifici e con gli altri attori del sistema che contribuiscono alla creazione del prodotto turistico globale. La competitività: definizioni e strategie Intendiamo qui per competitività la capacità delle imprese di porsi efficacemente sul mercato, riuscendo a soddisfare le esigenze dei consumatori e guadagnandosene le preferenze, agendo però anche in ottica di una gestione efficiente e sostenibile nel medio/lungo periodo. Ci rifacciamo per precisione al concetto di strategia competitiva elaborato da Porter, che la descrive come: “taking offensive or defensive actions to create a defendable position in a industry, to cope succesfully with the competitive forces and therby yield a superior return on investiment for the firm“ (Porter, 1980). Per analizzare la competitività quindi dobbiamo tenere in conto (sia come manager che come ricercatori) una serie di fattori, che sono: - interni alle imprese e all’unità produttiva: a questo proposito, in letteratura sono considerate fondamentali le risorse e le competenze delle aziende. Per quanto riguarda il settore turistico, autori quali Grant, Berney, Amit e Schoemaker, segnalano: - strutture, impianti e attrezzature; - ubicazione e fattori di attrattiva; - risorse umane; - risorse organizzative, manageriali, tecnologiche; - risorse di relazione, informazione, comunicazione; - immagine, reputazione marchi; - esterni, che riguardano l’ambiente competitivo in cui si pongono le imprese. Secondo le dottrine di Porter e le successive elaborazioni, particolarmente

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interessanti per il settore turistico, gli attori da considerare sono non solo i concorrenti diretti (che cioè offrono un prodotto considerato simile dagli utilizzatori), ma anche imprese che offrono servizi sostitutivi, dai potenziali entranti, dai fornitori e dai clienti (operatori rispettivamente a valle e a monte nella filiera produttiva), fornitori di servizi complementari (la ristorazione rispetto alla ricettività, l’affitto di attrezzature o la scuola di sci rispetto agli impianti di risalita) e “regolatori” (enti pubblici, per esempio), fino alla domanda, di cui ricordiamo comunque la variabilità (nel tempo, per esempio) e la varietà (diverse caratteristiche e comportamenti d’acquisto, diverse motivazioni, ecc.). Le principali tipologie di imprese turistiche Nel settore turistico sono presenti una varietà di imprese, con caratteristiche diverse e ruoli diversi nel sistema. Per ognuna di queste sono diversi gli elementi che condizionano la competitività, come si è detto. Tipologie di impresa simili, inoltre, possono avere forme d’offerta diverse. Per quanto riguarda i grandi gruppi di imprese turistiche, possiamo citare alcuni esempi significativi, partendo dalle più classiche classificazioni e arrivando poi alla sintesi dei fattori che ne condizionano la competitività, in assoluto e nel sistema (a seconda della destinazione, come visto precedentemente). Le imprese ricettive All’interno di questo grande gruppo inseriamo sia le imprese alberghiere che quelle extralberghiere, purché offrano effettivamente prodotti che entrano nel mercato in maniera trasparente: sono quindi escluse le forme di ricettività privata che, come abbiamo detto, caratterizzano molte località. Le imprese ricettive rappresentano classicamente dei servizi fondamentali alla attività turistica, e rappresentano tradizionalmente l’attività più tipicamente turistica, rivolta cioè in maniera quasi esclusiva ad ospiti e viaggiatori. Altrettanto tradizionale è la definizione però di tale attività come complementare, di supporto alla fruizione di determinate risorse, e quindi come elementi che non influiscono sulla motivazione e sulla decisone di viaggiare o di scegliere, per esempio, un paese piuttosto di un altro. Tuttavia, la disponibilità di posti letto (ad un prezzo considerato equo) è la condizione di base perché il fenomeno turistico abbia luogo. D’altra parte, oggi, si tende a dare anche alle imprese ricettive lo “status” di fattori di attrattiva, in quanto attori forti del sistema locale di offerta turistica. In particolare, alcune di esse non si limitano ad offrire posti letto, ma includono nel loro prodotto direttamente degli elementi caratterizzanti (spesso derivanti dal territorio) tanto che esso diventa più completo e complesso e più distinguibile: si pensi agli alberghi termali, a quelli congressuali, a quelli con servizi sportivi. In alcuni casi (come i villaggi turistici, i resorts in paesi in via di sviluppo) è l'unico modo per fruire di determinate risorse. Le imprese alberghiere presentano forme di offerta di tipo molto diverso, che vanno dalla piccola impresa familiare “singleunit”, cioè con una sola unità produttiva, alla impresa multiunit monolocalizzata o plurilocalizzata (il caso delle catene alberghiere), ad aggregazioni e gruppi. Le situazioni competitive di ciascuna di

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queste forme di offerta sono molto differenziate, perché in alcuni casi sono strettamente legate alla destinazione in cui sono localizzate, in altri casi no. Le imprese extralberghiere sono tipiche di alcune località e assumono forme diverse; spesso hanno un rapporto molto forte con l’ambiente (soprattutto naturale), come i camping o alcuni villaggi-resort. In alcuni casi, delle grandi strutture (definibili in certi casi extralberghiere, in altri alberghiere) costituiscono una destinazione in sé: ma questo avviene solo se le dimensioni, l’organizzazione, il rapporto con l’ambiente sono tali da far giocare il ruolo di pivot sugli altri attori sulle risorse e sugli altri attori. Gli elementi che condizionano la competitività delle imprese ricettive sono, oltre agli ovvi elementi del prezzo/costo e del suo rapporto con la qualità: - la localizzazione rispetto alle risorse primarie (mare, sito archeologico, centro città); - la localizzazione rispetto ai servizi di accessibilità o altri servizi; - le caratteristiche delle risorse umane e della capacità di contatto con il cliente; - il legame con altri servizi (transfer, ecc.); - il legame con l’intermediazione. Il trasporto di persone L’attività di trasporto si configura come fondamentale per l’essenza stessa del turismo; essa ha un ruolo di estremo rilievo nel sistema turistico e presenta una serie di caratteristiche particolari: - la distinzione fondamentale tra infrastrutture, che condizionano l’attività turistica, e servizi di trasporto; - i diversi livelli di funzione di queste attività: essi servono infatti a garantire l’accessibilità alla destinazione, la mobilità in essa; esiste poi la gestione dell’intermodalità; - la commistione di usi: raramente i servizi e le infrastrutture di trasporto sono dedicate ai turisti ma in molti casi sono ad uso promiscuo, servendo diverse categorie di utenti e in molti casi l’utenza turistica viene vista come secondaria nella strategia d’offerta. Riservate ai turisti sono alcune attività come quelle definibili “charter”, di trasporto su bus o su aeromobile, o servizi navetta o di trasporto interno ad alcune imprese turistiche di altro tipo (ad esempio le navi da crociera); - il carattere di azienda pubblica o partecipazione pubblica e con caratteristiche di monopolio in molti casi, con utilizzo di prezzi e tariffe non determinate dal mercato ma dalla funzione di servizio pubblico. E’ tale funzione a determinare anche il prodotto offerto (ad esempio il numero di corse, il tragitto) in un’ottica di consenso in molti casi locale; - la rilevanza degli investimenti fissi e la conseguente necessità di risorse finanziarie delle imprese e la già nota impossibilità da parte delle aziende di adottare una politica di scorte. L’ambito competitivo delle aziende di trasporto è quindi assai particolare, anche

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perché in molti casi la competizione si gioca su mezzi diversi: auto privata versus treno o bus, treno vs aereo, taxi vs metropolitana, ecc. Una vera e propria competizione si può definire solo tra aziende di trasporto private con servizi dedicati al turismo come quelle che abbiamo definito prima. La stretta connessione tra località e trasporto rende quindi fortemente interrelata l’azione nel sistema e rende cruciale la presenza di sevizi e infrastrutture per lo sviluppo di tutti i settori economici; dalle ricerche svolte (ad esempio lo studio CNR finalizzato ai trasporti, 1995-96) emerge però che i trasporti e l’accessibilità sono caratteristiche necessarie e non sufficienti a garantire la competitività di un’area. La competitività quindi può essere assicurata da una serie di elementi, di cui molti esterni alla singola impresa e in molti casi legati però all'equilibrio tra core e servizi accessori: - località servite; - orari e tempi di percorrenza; - prezzo; - specializzazione e qualità (confort, ecc., disponibilità di alcuni servizi (es. trasporto auto per le isole). In realtà, date le caratterizzazioni già esposte sulla domanda, la prima scelta deve avvenire tra mezzi, ed è giocata secondo la sensibilità al tempo e ai prezzi, data come fissa la destinazione; la seconda tra diversi mezzi dello stesso tipo, scelta che però non può essere sempre effettuata. In realtà, la considerazione che qui può essere fatta è che maggiore o minore, l'adeguatezza di uno di questi servizi (o il prezzo, ecc.) può contribuire alla scelta di una località piuttosto che un'altra, all'interno di uno stesso stato o a livello internazionale. Nel caso dei rapporti tra stati, si può affermare che possono essere rilevanti le politiche che interessano le imprese che operano internazionalmente (vettori aerei soprattutto), e che si esprimono non tanto negli aiuti economici quanto in altri tipi di regolamentazioni (libertà dei cieli, concessione di slot, ecc.). Le imprese di ristorazione Queste rappresentano un servizio complementare di base nel sistema turistico, offrono il servizio di ristoro fuori da casa, e sono rivolte sia ai residenti che ai turisti. La distinzione è possibile solo definendo la collocazione di alcune imprese (aree o località frequentate da turisti). In alcuni casi, il ristorante in sé diventa meta di spostamenti e uscite (serali, domenicali), assolvendo una funzione diversa (a seconda appunto delle occasioni d’uso) rispetto a quella basilare. Le imprese di ristorazione, tradizionalmente condotte a livello familiare, hanno subito una evoluzione piuttosto rapida negli ultimi anni, adattandosi ai ritmi di vita e lavoro e ai nuovi gusti, ed hanno visto affermarsi le catene multinazionali, che in molti casi offrono un prodotto standardizzato in buona parte consumato da turisti. Le evoluzioni possibili prevedono da un lato una attenzione maggiore all’adeguamento alle

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normative (HACCP, per esempio) e dall’altro il recupero delle tradizioni locali. All'interno di una destinazione in alcuni casi si può affermare che esista una concorrenza perfetta, che viene a decadere in alcuni casi per i seguenti fattori che ne possono condizionare la competitività: - localizzazione all’interno della località; - rapporto prezzo/qualità; - caratterizzazione del prodotto (tipicità) e del servizio (rapidità); - marchio; - rapporti con i fornitori e con il sistema agroalimentare locale. Sono cioè elementi che in termini porteriani derivano dall’elemento costo e specializzazione. Come si nota, alcuni elementi possono essere considerati esterni ed altri interni. Data comunque la caratteristica di servizio complementare, non è pensabile che lo sviluppo delle imprese di ristorazione singole possa condizionare gli scambi tra paesi. Le imprese termali Il prodotto terme è uno dei più complessi, a causa di una serie di fattori: - la sua basilare connessione con le risorse del territorio, e quindi la non trasferibilità; - il suo forte orientamento alla cura e alla salute come elemento che accompagna il turismo, con delle specializzazioni a seconda dei benefici fisici promessi; - la caratterizzazione della domanda come “di prossimità” in molti casi (in Italia, per esempio, tra le molte località termali solo due – Ischia e Terme Euganee – possono contare su un mercato a dominanza internazionale, oppure Vichy in Francia); - la caratteristica spesso pubblica della risorsa, gestita unitariamente, ma con varie differenze tra località e località e una gestione non imprenditoriale; - l’evoluzione in corso verso una specializzazione che riguarda la bellezza e il fitness e l’inizio di un superamento della connessione con la risorsa locale; - l’emergere di nuove forme (talassoterapia), legata anche l’iniziativa di privati, in alberghi che accrescono il range dei servizi offerti. Ne deriva una situazione in cui la concorrenza si gioca tra strutture ricettive o di servizi di una stessa località; che, data la specificità della risorsa e della cura, presenta alcune caratteristiche di monopolio o almeno di monopolio territoriale. Gli stabilimenti termali sono però da considerarsi strutture da sostenere, sia per l’importanza curativa che storica e di valorizzazione delle risorse. L’evoluzione attuale mostra invece una riduzione a meccanismi competitivi delle imprese private. Il servizio termale viene fornito in molti casi da imprese alberghiere, che aggiungono al range dei loro prodotti core dei servizi periferici, che però diventano tali da costituire il vero fattore di attrattiva. I parchi a tema e i “luoghi di ricreazione urbana e extraurbana” E’ un prodotto turistico di nascita relativamente recente, che assume però notevole

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rilevanza, anche dato il numero di visitatori in molti casi superiore a quello di beni culturali, ecc. Inseriamo in questa grande categoria dei gruppi che trattiamo in modo diverso: - parchi di divertimento fissi; - zoo, acquari, parchi tematici; - sale da ballo, discoteche, sale da concerti; - palazzetti dello sport, stadi (utilizzati soprattutto da chi pratica sport agonistico e, se presenti in alcune località turistiche, anche dalle squadre in ritiro); - luoghi di relax e sport (parchi urbani, campi da golf, tennis club, piscine, ecc.); - contenitori di mostre ed esposizioni. Si tratta di gruppi di servizi gestiti da imprese private profit e non profit o da aziende pubbliche e miste, che rispondono a bisogni diversi. Li possiamo distinguere in: - servizi pensati per i residenti o comunque “per la comunità locale” (per aumentarne la qualità della vita, ecc.). In alcuni casi però servono come attrattiva supplementare per i turisti, o possono costituire essi stessi delle attrattive (per esempio per le aree circostanti). E’ il caso degli impianti sportivi, di locali da ballo, ecc.; - servizi pensati (come le discoteche, gli aquapark o altro) per arricchire il prodotto di località turistiche esistenti; - servizi destinati ad essere attrattiva in sé e quindi ad attirare turisti autonomamente (anche se collocati di solito nei pressi di bacini turistici già strutturati: si pensi ai parchi tematici, agli acquari, ecc.); La stessa tipologia di impresa può rispondere a bisogni diversi, sia dei consumatori finali che del territorio in sé (ringiovanimento del prodotto, ecc.). Ognuno di questi servizi si colloca quindi in un ambiente competitivo complesso, e deve interrelarsi con gli altri elementi del sistema, sia turistico che urbano. La competitività si gioca perciò in molti casi all’interno di un sistema locale di offerta: la presenza di uno di questi servizi è utile ad aumentare la competitività del sistema, e d’altro lato solo la presenza di un adeguato bacino di utenza locale può consentire il successo dell’azienda. Solo nel caso di grandi strutture come i mega parchi a tema o di alcune strutture particolari si può parlare di un diverso ambiente competitivo, in cui agisce effettivamente la concorrenza diretta anche al di fuori dei confini nazionali. Ciò però può accadere solo se il prodotto presenta delle caratteristiche di unicità tali (forza del marchio, attrazioni e divertimenti offerti) da poter competere anche fuori dal suo sistema. Per di più, questi “resort” si configurano come sotto il controllo di un’unica impresa e quindi non vincolati alle azioni di altri attori esterni. In realtà, ad una analisi più realistica, appare che anche queste grandi strutture si collocano all’interno di sistemi turistici definiti (Disneyland Paris presso Parigi, Gardaland nei pressi del lago di Garda) con bacini di utenza sia internazionali (attratti

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anche dalle altre risorse territoriali) che locali. Infine, è opportuno ricordare anche la presenza di grandi centri commerciali (outlet) che possono servire sia per i residenti che come attrattori e destinazioni “in sé”. Le imprese “di funzione”: impianti di risalita, porti turistici, ecc. Chiamiamo in questo modo una serie di aziende - spesso a componente pubblica – che creano infrastrutture o gestiscono servizi che permettono la fruizione di determinate risorse ad un determinato gruppo di utenti, per una determinata funzione. Tra queste, ricordiamo soprattutto le aziende che gestiscono impianti di risalita, i porti turistici o nautici, le teleferiche, ecc. Anche se possiedono alcune caratteristiche tecniche che le fanno assomigliare ad aziende di trasporti, queste assolvono essenzialmente a una funzione di valorizzazione/accessibilità turistica e ricreativa, legata alla possibilità di praticare un certo sport, o di svolgere determinate attività. Sono fortemente legate al territorio, che ne costituisce la condizione per l’esistenza, e la loro esistenza definisce la funzione e l’utilizzo di un determinato luogo. La costruzione di determinate infrastrutture è peraltro fortemente vincolata da norme e valutazioni (impatto ambientale, ecc.). E’ ovvio che la presenza di iniziative di questo genere potenzialmente è in grado di trasformare una risorsa “indifferenziata” in un fattore di attrattiva, che si inserisce in maniera decisa nel sistema di offerta turistica e può arricchire ma anche far nascere dei prodotti specifici, anche esclusivi e dotati di un posizionamento competitivo forte. Tuttavia, le imprese che costruiscono e gestiscono tali impianti devono valutare alcuni elementi per la loro competitività: - il bacino di utenza in cui sono inseriti, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: in molti casi gli impianti hanno utilizzatori locali, che sfruttano alcuni servizi (rimessaggio e “parcheggio” nei porti), oltre che da turisti (ad esempio, nel caso dei porti e approdi della provincia di Ferrara, un solo porto - Marina degli Estensi -, con 350 posti barca, garantisce il 5% ai diportisti transitori, mentre gli altri posti sono riservati ai diportisti stanziali, nel porto di Coro, i 110 posti barca sono riservati agli stanziali, a Porto Garibaldi, 2 posti riservati al transito e 68 agli stanziali, nel Porto Canale su 120 posti solo una minima parte è riservata a diportisti occasionali); - il grado di differenziazione e di specificità offerto, sia controllabile dall’interno (qualità dei servizi, sicurezza, ecc.) che all'esterno (paesaggio, clima, ecc.); - la presenza di una rete di servizi locali complementari in loco: ricettività, ristorazione; - l’intermodalità possibile; - la presenza di una rete di servizi analoghi nelle aree vicine: si pensi ai comprensori sciistici collegati tra di loro, alla necessità della presenza di porti turistici a breve distanza l’uno dall’altro per permettere l’effettuazione di brevi distanze (40/50 km), ecc.

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Si tratta di tipologie di imprese che devono sostenere ingenti costi fissi e che devono tra l’altro essere costantemente aggiornate dal punto di vista dell’innovazione e della sicurezza. Il prezzo gioca un ruolo importante nell’ambito di certi bacini e a parità di condizioni qualitative (soprattutto esterne: fascino della stazione, accessibilità ecc.). Tali impianti sono in grado di indirizzare una destinazione verso un particolare prodotto, ma non ne garantiscono da soli il successo. La crocieristica Pur traendo origine da servizi di trasporto, la crocieristica oggi si propone come fornitrici di servizio turistico, individuando come propri concorrenti i villaggi turistici o i tour organizzati, pur non essendo – se non come collegamento con l’home port – stabilita su un territorio particolare. La collocazione dell’impresa crocieristica nel sistema è infatti particolare, anche se non priva di rilevanza. I fattori che determinano la competitività di un prodotto crocieristico, sono: - località di imbarco e sbarco (appeal della località e servizi di accessibilità e intermodalità); - itinerario e possibilità di visita; - qualità dei servizi e dell’imbarcazione e marchio; - costi del personale e del carburante. Nel quadro attuale di internazionalizzazione di queste imprese, si può certamente affermare che esse siano in concorrenza diretta le une con le altre in ambito europeo. Il rapporto con le località di sbarco/imbarco e di sosta è comunque a doppio senso, in quanto i porti vengono scelti dall’impresa crocieristica in base al loro appeal e ai loro servizi, e comunque le località interessate vengono beneficiate dai flussi di visitatori provenienti dalle navi: quindi il rapporto con i sistemi locali di offerta è piuttosto forte, anche se il trasporto si svolge lontano da essi. Leggermente diverso può apparire, per le forti specificità territoriali, il prodotto “crociera fluviale”, con le sue varie specificità a seconda dei paesi (charteraggio di house boat, “burchielli”, ecc.), prodotto che permette un avvicinamento (talora a basso impatto) con le risorse diffuse. Le imprese di intermediazione Intendiamo raggruppare con questo termine una serie di imprese che possono essere accomunate dalla funzione di assemblaggio, distribuzione e vendita di servizi, che possono essere ulteriormente distinte in: - imprese di intermediazione pura ( agenzie di viaggio); - imprese che gestiscono reti di prenotazione; - imprese di produzione di pacchetti turistici, talvolta con servizi incoming, (e legati al territorio) talvolta outgoing (riferiti a luoghi lontani da quello di localizzazione dell'azienda).

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A differenza delle altre tipologie di imprese turistiche, queste svolgono attività in molti casi non dipendenti dalla loro localizzazione territoriale (che in molti casi, come per i sistemi di prenotazione, assume sempre più carattere "virtuale"), bensì di quella dei fornitori (locali solo in caso di incoming). In realtà, ciò che può in maniera maggiore condizionare le imprese di intermediazione pura è il contatto/vicinanza con il cliente finale (o con le aziende), cioè la collocazione in determinati bacini di utenza. Si può comunque affermare che questo tipo di imprese siano, nel settore, tra quelli maggiormente assimilabili agli altri fornitori di servizi. Imprese relative alla gestione e ospitalità di eventi aggregativi (il settore congressuale) Anche nel settore definito degli eventi aggregativi o più semplicemente dei congressi (ma ricordiamo anche la presenza di fiere, ecc.) esistono diversi tipi di imprese con caratteri molto diversi. Le prime sono le imprese di organizzazione e intermediazione (Professional Congress Organisers, ecc.), che offrono servizi assimilabili all’intermediazione turistica, dovendo mantenere contatti sia con clienti che con fornitori, ma la loro attività si configura come un servizio puro, non necessariamente legato al territorio. Più complessa la questione degli spazi per congressi ed eventi aggregativi, che possiamo distinguere in tre grandi categorie: - spazi dedicati, anche di grandi dimensioni (palazzi dei Congressi), gestiti da imprese che hanno come scopo la maggior saturazione possibile della capacità. In questo caso gli investimenti iniziali sono molto forti, e sono spesso affrontati da aziende pubbliche o a partecipazione pubblica, che hanno tra i loro scopi anche il lancio o il rilancio di una destinazione, la destagionalizzazione, la proposta insomma di un nuovo prodotto (centri congressi in località termali, lacuali o balneari, ecc.). In altri casi la struttura risponde alle caratteristiche di un centro urbano che presenta funzioni economiche, scientifiche o politiche molto consistenti (capitali, ecc.). Generalmente l’offerta di grandi spazi dedicati è unica o molto limitata per ogni località, cosicché la concorrenza si gioca all’esterno. In questo caso, la presenza di uno spazio adeguato può fungere da attrattore per determinati convegni od eventi a grande partecipazione. La concorrenza, nel caso di questi eventi, si gioca generalmente a livello internazionale, soprattutto se si tratta di convegni scientifici, di meeting tematici, ecc. Nel caso di convention politiche o commerciali invece la competizione resta spesso nei confini nazionali. La presenza quindi di strutture idonee può permettere la scelta di una destinazione piuttosto che di un’altra per un evento importante, ma non è l’unico fattore; - spazi in strutture alberghiere (che possono offrire il servizio di ricettività, ristorazione, ecc.). Alcuni alberghi si sono specializzati nel business dei convegni, offrendo sia sale che i servizi tradizionali. Ciò significa che si pongono su almeno due ambiti competitivi: quello tradizionale ricettivo e quello di eventi, cercando

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quindi di attuare una strategia di differenziazione tra gli alberghi di una stessa località, o anche di focus (riuscendo a offrire i servizi complementari a minor prezzo). In genere in una destinazione sono presenti alcuni alberghi specializzati in questi servizi, che quindi competono tra di loro. I più “forti” possono entrare invece nel prodotto complessivo della località e contribuire a farla scegliere dagli organizzatori dell’evento come sede. - spazi di minori dimensioni, non dedicati, e che spesso adempiono ad altre funzioni (teatri, cinema, sale interne): in questo caso il core dell’impresa non può essere considerato quello del servizio congressuale. Per sale di carattere non specifico e presenti in numero abbastanza elevato in ogni località, la concorrenza è quella tra imprese, con un riferimento specifico alla location. La competitività nel settore si gioca quindi non solo tra strutture all’interno di una località ma tra destinazioni. La scelta infatti di una località per un evento dipende: - dalle caratteristiche del committente e dalle caratteristiche degli utilizzatori (convention politica, scientifica, ecc.; durata dell’evento, ecc.). In molti casi gli eventi sono nazionali, e di piccole dimensioni; gli eventi internazionali invece possono richiedere diversa visibilità, ecc. - opportunità “politiche” e di immagine; - legame con le attività del territorio; - servizi ricettivi presenti nella località e loro caratteristiche; - accessibilità e servizi di trasporto in loco; - presenza di spazi adeguati; - attrattive locali (ambiente, cultura, shopping); - presenza di servizi accessori (traduzioni, hostess); - sicurezza; - prezzi della struttura, della ricettività, ecc. E’ evidente come il comparto di tali imprese sia fortemente legato agli altri del turismo, anche se il ruolo dei palazzi dei congressi può essere cruciale nell’attrarre gruppi anche a livello internazionale. Altre imprese Esistono poi tutta una serie di altre possibili aziende operanti nel campo del turismo, e sempre facenti parte del sistema turistico, con specificità derivanti in parte dall'essere servizi misti e in parte dall'essere di tipo pubblico e non sottoposte al mercato. Rientrano ad esempio tra queste le aziende di servizi di comunicazione e “promozione”, le imprese di servizi vari (guide, animazione), gli stessi centri commerciali (che attirano turisti per lo shopping), i servizi di gestione dei beni culturali e ambientali o di singole attrattive. Sebbene possa essere importante esaminarne le caratteristiche, gli autori ritengono che gli esempi fatti precedentemente possano ritenersi esaustivi nella definizione di un quadro di

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riferimento relativo all'impresa turistica e alla competitività. Il settore ricettivo L'offerta del prodotto alberghiero si concretizza con il funzionamento di uno o più stabilimenti di produzione (gli alberghi). La struttura si caratterizza per la rigidità dei fattori produttivi, non trasferibili nel tempo e nello spazio (un albergo localizzato a Crans Montana non può essere trasferito a Courchevel perché l'interesse della domanda si sposta dalla Svizzera alla Francia, mentre invece un'impresa manifatturiera può decidere di spostare un prodotto da un mercato all'altro), e il prodotto alberghiero si ottiene in una situazione di "congiunzione spazio-temporale della produzione e del consumo" (Rullani, 1988). Inoltre, per trasformarsi in ricavo, l’offerta alberghiera deve essere combinata con consumatori disponibili all'utilizzo simultaneamente al processo produttivo. Nel caso di una incompleta utilizzazione delle unità di servizio (le camere d'albergo), "si determina una dispersione delle risorse economiche in quanto a fronte dei costi dei fattori rigidi non corrispondono i ricavi specifici delle utilizzazioni mancate" (Metallo, 1984). Nell'impresa ricettiva non esiste il magazzino: ovvero, le camere che non vengono vendute, non possono essere messe sul mercato il giorno successivo. Differentemente, la camicia non venduta oggi da un negozio di abbigliamento può tranquillamente essere venduta il giorno successivo. La differenza è sostanziale: mentre l'invenduto nell'impresa ricettiva corrisponde ad una perdita, nell'impresa manifatturiera l'invenduto si trasforma in costi magazzino e scorte riutilizzabili successivamente. La simultaneità del consumo e erogazione del servizio implica che, le strutture fisse del prodotto alberghiero disponibili in precedenza (come per gli impianti di risalita) costituiscono una parte soltanto dell'offerta e non sono significative fino a quando non costituiscono una componente dell'esperienza di consumo del prodotto alberghiero da parte del singolo consumatore (ovvero, il prodotto alberghiero non esiste fino a quando non esiste il consumatore presso la struttura ricettiva). Inoltre, come già visto precedentemente, diversi sono gli elementi che caratterizzano internamente, direttamente e indirettamente la produzione alberghiera, e ne determinano quindi la capacità competitiva. La "rigidità" dell'offerta, si manifesta con intensità diversa secondo l'orizzonte temporale assunto. Nel breve termine la rigidità è sicuramente molto elevata (a differenza delle imprese manifatturiere che possono cambiare linee produttive con velocità, le strutture ricettive non possono investire in ammodernamento nel breve termine o destinare gli impianti ad altro utilizzo): è praticamente impossibile variare l'unità produttiva appena successivamente il cambiamento nella domanda o per disponibilità di fattori produttivi. Con il variare del tempo (prospettiva di medio-lungo termine), alcuni fattori fissi (il numero degli addetti, la loro professionalità, l'arredamento delle camere, ecc.) possono essere adeguati in aumento ma anche in diminuzione, seguendo linee di sviluppo strategico di crescita quantitativa o di ridimensionamento. Tale rigidità e l'impossibilità di immagazzinare il prodotto porta alla vendita anche sottoprezzo del bene/servizio (vedasi la diffusione del fenomeno “last minute” sul mercato europeo e americano). Mentre l'impresa manifatturiera può immagazzinare i

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beni prodotti - pur sostenendo costi di magazzino -, l'impresa di servizi, nella prospettiva di invenduto, può preferire la vendita a prezzo ridotto con due conseguenze: la prima in termini di immagine (ridurre all'ultimo minuto i prezzi dell'offerta potrebbe avere effetti sulla percezione che il consumatore ha dell'azienda e creare insoddisfazione tra i clienti che hanno acquistato il bene a prezzo superiore), la seconda in termini di redditività (le entrate si ridurrebbero e diminuirebbe di conseguenza l'utile operativo). Riassumendo quindi, gli elementi endogeni caratterizzanti la produzione alberghiera, in parte già analizzati precedentemente, sono: - l'output della produzione alberghiera se non viene erogato non può essere immagazzinato; - l'immobile che caratterizza lo stabilimento produttivo (l'edificio alberghiero) e gli impianti che lo completano ai fini della produzione non possono essere modificati nel breve andare; - lo stabilimento (l'albergo) non può essere "legato" che a una determinata località e, al suo interno, a una specifica posizione topografica; - l'aspetto estetico e le dotazioni dell'albergo nelle diverse parti che lo compongono costituiscono un elemento di importanza strategica nel soddisfare le esigenze degli ospiti e conseguentemente nella sua capacità competitiva; - per quanto riguarda le risorse umane, gli autori sottolineano che: - le capacità e le competenze del personale - risorse invisibili - non sono soggette a consumarsi con il loro impiego nel processo di produzione, bensì ad accrescersi via via (Albertini, 1990). Queste risorse hanno un'importanza strategica quando assicurano un vantaggio competitivo, ma la loro creazione e la loro accumulazione non è semplice e richiede tempi lunghi. Si aggiunge inoltre, proprio per le caratteristiche intrinseche della impresa turistico-alberghiera (lunghi orari di lavoro, basse retribuzioni, ecc.), il rischio di "perdere" proprio il personale chiave nell'organizzazione; - la "quantità" delle risorse umane non può essere aumentata o ridotta entro certi limiti; - la qualità e gli skills che caratterizzano le risorse umane non possono essere migliorati e amplianti se non con politiche del personale attraverso ricerche di nuove risorse e formazione e addestramento di quelle esistenti; - il personale di contatto, con il suo comportamento, può influire sulla qualità del servizio erogato, ma non ha capacità e potere di modificare significativamente nel breve termine il servizio erogato; - lo stile di ospitalità adottato dal management alberghiero e applicato dal personale di contatto, unitamente all'insieme delle facilities disponibili per gli ospiti, determinano il grado di personalizzazione del servizio. E' evidente quindi come "le imprese alberghiere si caratterizzano per un livello elevato di costi fissi in relazione ai loro costi operativi complessivi; di conseguenza i loro risultati economici si manifestano come molto variabili a causa del combinarsi

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della rigidità della produzione con la fondamentale instabilità delle condizioni della domanda" (Jones e Lockwood, 1989). Gli impianti di risalita La conclusione del paragrafo precedente può tranquillamente essere riportata al caso degli impianti di risalita. Gli impianti di risalita operano generalmente nelle zone di montagna, con funzione di “trasporto persone”, prevalentemente a fini turistici, e in particolare per la pratica degli sport invernali sulla neve. Esistono però casi di impianti a fune che allargano la loro funzione collegando zone che altrimenti sarebbero isolate perché prive di collegamenti stradali sostitutivi. Di fatto, gli impianti di risalita costituiscono uno degli elementi più importanti dell'offerta turistica delle destinazioni di montagna. Il loro valore nel processo di consumo del turista del prodotto turistico globale si concretizza non in quanto "utilità in sé", quanto piuttosto nella capacità di "permettere" l'utilizzo di risorse e fattori di attrattiva (le piste da sci, le passeggiate, ecc.) altrimenti difficilmente raggiungibili e utilizzabili. Il "limite" della funzione dell'impianto di risalita sta quindi nell'essere uno strumento che "permette il raggiungimento di un fine o uno scopo" e non nell'essere "il fine ultimo o scopo" dell'iniziativa o dell'azione intrapresa dal consumatore turista o residente. Rispetto alla struttura ricettiva, la rigidità dell'impianto di risalita è ancora più evidente. Mentre la struttura ricettiva può rivolgersi a diversi mercati che trovano nella destinazione motivazioni diverse, l'impianto è utilizzato per motivazioni ben circoscritte. Qualora venissero a mancare queste motivazioni (il desiderio di sciare su determinate piste), l'impianto non potrà essere riconvertito o utilizzato per altri scopi. Le stesse condizioni meteorologiche rappresentano un fattore ingestibile e incontrollabile, che però influisce enormemente sull'utilizzo e redditività dell'impianto. Inoltre, proprio per la loro funzione di trasporto pubblico, gli impianti sono soggetti a una normativa tecnica specifica al fine di garantire la sicurezza dei trasportati. Tale normativa, incide sui costi di avvio e di gestione, quindi sulla rigidità dell’offerta. Rispetto alle altre imprese di trasporto, per gli impianti di risalita il dimensionamento è maggiore e i coefficienti di sicurezza applicati sono particolarmente cautelativi: i controlli automatici sia elettrici che meccanici devono essere garantiti ed effettuati con una frequenza molto alta, la manutenzione straordinaria è soggetta ad un preciso programma predeterminato, devono essere fatti controlli periodici sullo stato delle strutture e dei macchinari, prima di iniziare il servizio è necessario procedere con verifiche, la vita stessa dell’impianto o di parti di esso è già determinata ed ha una scadenza precisa, oltre la quale l’impianto deve essere sostituito, il personale addetto al funzionamento degli impianti deve essere dotato di abilitazione, in caso di arresto dell’impianto, l’impianto stesso deve essere predisposto e possedere dispositivi aggiuntivi per il recupero dei viaggiatori in linea, pratica non facilmente risolvibile in breve tempo. Come la sicurezza, anche la garanzia della regolarità dell’esercizio

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incide in maniera indifferente sui costi di gestione degli impianti a fune. Di fatto gli impianti si devono dotare di motori supplementari nel caso di guasto di quelli principali, gruppi di alimentazione energetica alternativi, nonché di organico sufficiente per prevedere le turnazioni e le sostituzioni. A questi si aggiungono gli obblighi di carattere amministrativo e gestionale previsti per le aziende di trasporto pubblico di persone in concessione, quali il controllo delle tariffe applicate, il rispetto dei calendari e degli orari prefissati, la disponibilità di servizi e ricoveri per il pubblico. Ai costi di avviamento e gestione ordinaria e straordinaria degli impianti, che come si è visto hanno una vita limitata nel tempo (a differenza, per esempio, di una struttura ricettiva), gli impianti a fune devono aggiungere i costi di gestione delle piste da sci, cui il trasporto è funzionale. L’allestimento e la gestione delle piste pone problemi di investimento e rientrano nella normale gestione aziendale. E’ però doveroso ricordare che, a parte la diversa pratica sportiva (sci da discesa piuttosto che carving, o snowboard, o racchette da neve, ecc.), le piste da sci hanno una specifica funzione d’uso che limita in modo ancora più evidente il range di possibili offerte che gli impianti possono mettere sul mercato. Non solo, ma l’innevamento è diventato un elemento di attrattiva fondamentale e imprescindibile per l’utilizzo degli impianti. Le recenti mutazioni meteorologiche e la diminuzione delle precipitazioni nevose hanno reso necessario l’adozione di sistemi di innevamento artificiale molto costosi e con impatto ambientale abbastanza discusso. Gli investimenti per tali impianti possono variare in base alla tecnologia utilizzata e alle condizioni ambientali, ma sono di solito nell’ordine del 25-35% del costo dell’impianto di risalita che alimenta la pista. I costi di gestione degli impianti di innevamento artificiale sono spesso a carico delle società che gestiscono gli impianti. Il beneficio però che ne consegue, - l’arrivo di turisti, che sciano, consumano cibi e bevande, pernottano in alberghi, fanno acquisti nei negozi, ecc. – non ha ricadute esclusivamente sulla società degli impianti di risalita, ma sull’intera destinazione e gli attori che ne fanno parte. Negli ultimi anni gli impianti di innevamento artificiale si sono resi indispensabili per poter “salvare” stagioni che altrimenti avrebbero chiuso in passivo per l’intera destinazione. Se gli impianti di innevamento svolgono anche una funzione di “ammortizzatore sociale”, la presenza di impianti di risalita in una destinazione è un fattore determinante non la competitività di una destinazione, ma la sua presenza e sopravvivenza sul mercato. La presenza di una rete di impianti di risalita che sia sicura, confortevole ed efficiente, sicuramente aumenta la visibilità e accresce la percezione positiva che il consumatore ha della destinazione, sia in estate che in inverno, rafforzandone l'immagine sul mercato. Gli impianti di risalita rappresentano un motivo di richiamo verso la destinazione anche per quei turisti che poi, una volta sul posto, non ne faranno uso. Oltre alle caratteristiche descritte precedentemente, gli impianti a fune hanno molte similarità con le imprese turistiche, come già descritto anche nel caso dell’impresa ricettiva. Gli impianti di risalita sono una attività stagionale (ma a differenza delle strutture ricettive localizzate in destinazioni alpine, hanno una prevalenza di

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utilizzazione nei mesi invernali), e il loro l'utilizzo dipende molto dalle condizioni atmosferiche (innevamento in inverno e mancanza di precipitazioni in estate); l'output non può essere immagazzinato (e neanche si prospettano forme di incentivazione all'acquisto utilizzate invece da altre imprese turistiche - esempio il last minute o altre iniziative derivanti da una politica di yield management); l'offerta è rigida, in quanto gli impianti non possono essere modificati nel breve termine; l’offerta è legata ad una determinata località (al massimo si può ampliare l'offerta attraverso collegamenti con altri comprensori oppure l'emissione di skipass validi in più impianti di risalita), e ad una specifica posizione (in questo caso l'altitudine diventa un elemento importante vista la progressiva riduzione del manto nevoso e dei ghiacciai); l'efficienza tecnologica e la sicurezza degli impianti costituiscono un costoso elemento di importanza strategica nei confronti del cliente e della concorrenza; le risorse umane sono anche nel caso degli impianti di risalita elemento importante per la competitività delle imprese, sebbene in misura inferiore rispetto alle imprese ricettive. E' possibile inoltre fare altre considerazioni. L'utilizzo dell'impianto di risalita dipende da molti fattori connessi alle motivazioni del consumatore (lo stesso sciatore, può decidere, nell'arco della settimana bianca, di utilizzare l'impianto solo per alcuni giorni e non per la durata intera del soggiorno), connessi alla destinazione (la destinazione è visibile sul mercato a tal punto da attirare turisti?), a elementi esterni alla destinazione o non controllabili (il clima, l'innevamento, l'accessibilità, ecc.), oltre che alla gestione diretta da parte dell'impresa. Volendo approfondire ulteriormente, per quanto riguarda il consumatore, l'utilizzo dipende dalla motivazione di viaggio e, in un secondo momento anche dalla preparazione tecnica (ecco quindi l'esigenza di un range di piste adatte a più livelli di capacità sportiva). L'utilizzo dipende anche dalla percezione che il consumatore ha della destinazione (accessibilità, livelli di traffico, parcheggi, ecc.), e quindi dell'impianto (efficienza e sicurezza in primis, ma anche costo della prestazione). Molte di queste variabili non sono direttamente controllabili da parte dell'impresa che gestisce gli impianti. Anzi, paradossalmente, la capacità dell'impianto di risalita di attirare clienti dipende enormemente dalla capacità della destinazione di vendersi sul mercato, e dalle relazioni che gli altri attori dell'offerta (dagli intermediari, agli enti del turismo, fino agli stessi albergatori) hanno prima instaurato con il potenziale consumatore. E' quindi ancora più evidente la necessità, per gli impianti di risalita, di gestire l'informazione e la relazione con il cliente in una logica di rete, oppure delegare tale relazione a soggetti terzi della destinazione. Inoltre, la rigidità dell'offerta, i forti investimenti tecnologici, gli elevati costi fissi di gestione (tra cui il personale che deve essere qualificato) influiscono fortemente sul prezzo della prestazione (lo skipass), prezzo che spesso non copre tutti i costi di gestione, e male si concilia con la flessibilità di utilizzo e di tariffazione richiesta invece dal consumatore (ski pass ad ore, per esempio).

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LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE NELLE IMPRESE RISTORATIVE

Un’azienda ristorativa deve saper gestire e amministrare il personale nella maniera più adeguata. Le imprese ricettive svolgono un’attività di produzione e scambio di servizi di ospitalità congiuntamente o meno a servizi di ristorazione, dietro pagamento di un determinato prezzo. Queste imprese hanno come obiettivo principale il conseguimento di un profitto, ma presentano caratteristiche gestionali e organizzative peculiari, dovute alla differenziazione e all’articolazione della domanda e dell’offerta turistica. La domanda ricettiva, cioè la richiesta del servizio di ospitalità e di altri servizi annessi, come la ristorazione, è elastica, in quanto è influenzata da diversi fattori, quali prezzo, la qualità dei servizi, le mode, le tendenze e gli avvenimenti. L’offerta ricettiva è rigida perché il servizio di ospitalità è, infatti, un prodotto immateriale e quindi non può essere immagazzinato nei periodi in cui non c’è domanda per essere rivenduto in un momento successivo. In Italia il settore turistico è regolamentato da due leggi: vecchia e nuova legge quadro del turismo. La vecchia legge quadro è la n. 217/1983 denominata “legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica”. La nuova legge quadro è la n. 135/2001 denominata “riforma della legislazione nazionale del turismo”. La nuova legge quadro ha in parte modificato il contenuto della vecchia legge quadro rimandando all’emanazione di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri l’abrogazione definitiva della vecchia legge quadro. Il decreto è stato emanato il 12 settembre 2002 d’intesa con le regioni. Esso però ha definito soltanto alcuni aspetti del sistema turistico. Secondo la legge n. 217/1983 le imprese ricettive possono essere classificate in base alla tipologia di impresa in: alberghi, motel, villaggi-albergo, residence turistico-alberghiere, campeggi, ecc. Queste imprese possono essere classificate in diverse categorie, mediante l’attribuzione di un numero di stelle che tiene conto del livello qualitativo e quantitativo dell’offerta, cioè tiene conto delle prestazioni dei servizi, dotazione di impianti e attrezzature, ubicazione e aspetto. Nelle imprese della ristorazione il fattore umano è una risorsa molto importante che necessita di un’oculata gestione. Al crescere delle dimensioni dell’azienda la gestione delle risorse umane diventa più complessa e richiede una diversa composizione degli organi che si occupano di svolgere questo compito. Nelle imprese ristorative di piccole e medie dimensioni, la politica del personale è gestita dai consulenti del

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lavoro che si occupano del rispetto della normativa fiscale e previdenziale e degli aspetti amministrativi (retribuzione, contributi, ecc). Gli organi direttivi (titolare, soci, amministratori, ecc.) si occupano, invece, della selezione del personale e del suo addestramento. Nelle grandi imprese ristorative è presente un ufficio del personale articolato in sezioni. Una per l’amministrazione del personale, e un’altra per lo sviluppo organizzativo (pianificazione, selezione, addestramento e formazione). La definizione del fabbisogno, la ricerca e la selezione del personale sono attività degli organi direttivi, mentre nella determinazione del fabbisogno è opportuno tener presenti alcuni aspetti della gestione. Innanzitutto, è necessario considerare l’orizzonte temporale di riferimento; in secondo luogo, è necessario individuare con precisione il numero di persone di cui si ha bisogno, nonché i compiti che dovranno svolgere. La fase successiva è rappresentata dalla ricerca. Il personale può essere ricercato o all’interno dell’impresa(fonti interne); oppure all’esterno dell’impresa (fonti esterne). Il ricorso alla fonte interna presenta notevoli vantaggi, in quanto le persone di cui si ha bisogno sono già dipendenti dell’impresa e con opportuni corsi di riconversione possono essere impiegate in altre mansioni. Nel caso di nuove assunzioni con ricorso a fonti esterne, le imprese hanno attualmente numerose alternative come i canali informali come la comunicazione ha conoscenti di voler assumere personale. Le persone che cercano lavoro nel campo della ristorazione possono rivolgersi ai centri per l’impiego. Gli attuali centri per l’impiego sono strutture pubbliche che forniscono a titolo gratuito alcuni servizi come: servizi alle persone in cerca di lavoro; servizi alle imprese che assumono, che comunicano le avvenute assunzioni, che richiedono consulenza e assistenza. Chi cerca lavoro può anche rivolgersi alle agenzie per il lavoro. Le agenzie per il lavoro possono svolgere attività di: somministrazione di lavoro a tempo indeterminato o determinato, intermediazione tra domanda e offerta di lavoro (centri per l’impiego), ricerca e selezione del personale, ricollocazione del personale. Le agenzie per il lavoro devono essere in possesso di alcuni requisiti giuridici e finanziari allo scopo di garantire la loro affidabilità, professionalità e solvibilità. Bisogna sottolineare che nel settore della ristorazione avviene molto spesso che la ricerca di personale qualificato sia effettuata direttamente dall’impresa interessata. Tale ricerca consiste nella pubblicazione di inserzioni sulle riviste specializzate e sui quotidiani, nelle quali si precisano il tipo di figura professionale ricercato, i requisiti che dovrà possedere e le mansioni che dovrà svolgere. Le inserzioni invitano in genere i candidati ad inviare il curriculum vitae per posta, via fax o e-mail all’impresa interessata; talvolta viene indicato anche un numero di telefono per un contatto immediato. Il curriculum vitae è utilizzato dai candidati che

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aspirano ad un determinato impiego per farsi conoscere e contiene tutti gli elementi personali e professionali di chi lo redige. I punti da sviluppare sono: i dati anagrafici, le esperienze di studio (il possesso, ad esempio, di qualifiche alberghiere), le motivazioni per il futuro e le attitudini che si ritiene di avere. Una fase importante della gestione del personale nelle imprese ristorative è la formazione. Con essa si forniscono ai dipendenti sia le competenze necessarie per svolgere i compiti assegnati, sia le informazioni sul comportamento richiesto in ambito lavorativo. I datori di lavoro possono effettuare l’assunzione diretta dei lavoratori comunicando l’avvenuta assunzione al centro per l’impiego entro cinque giorni. La comunicazione deve contenere: cognome e nome del lavoratore, data di assunzione, tipologia di contratto, qualifica, l’inquadramento contrattuale in base al livello, trattamento economico e normativo. L’assunzione si perfeziona con la stipula del contratto individuale tra datore di lavoro e dipendente. Il lavoratore deve consegnare al datore di lavoro i seguenti documenti: fotocopie di carta d’identità e numero di codice fiscale, scheda anagrafica certificato di stato di famiglia, una dichiarazione per beneficiare delle detrazioni ai fini fiscali. Una selezione del personale giusta ed accurata è un' arma vincente, in particolar modo per le aziende che svolgono attività nell'ambito della ristorazione. Nelle imprese ristorative il personale, infatti, rappresenta l’interfaccia tra l’azienda e il cliente. Ad esso è affidato il compito di soddisfare contemporaneamente le esigenze del cliente e la salvaguardia degli interessi aziendali. È un ruolo difficile e, spesso, conflittuale che richiede, nella ricerca e selezione del personale, attenzione nella formulazione del mix più adeguato tra le capacità professionali e operative e quelle relazionali. È evidente che lo staff management deve interagire con gli altri settori operativi dell’impresa e, soprattutto, con il marketing management per gli evidenti riflessi che la politica del personale ha sulla realizzazione del prodotto ristorativo, cioè a quell’insieme di elementi di natura materiale e immateriale che non si riduce al mero consumo di un pasto, ma che rappresenta un’esperienza sensoriale complessa per il quale il cliente accetta di sopportare un sacrificio in termini economici che dovrà essere ripagato in misura adeguata. Il personale allora può diventare una potente leva del marketing mix se opportunamente manovrata. Infatti, spesso l’immagine che il cliente si fa di un’azienda ristorativa è strettamente legata al primo contatto che ha con un operatore della stessa: un atteggiamento sbagliato da parte dell’operatore si riflette negativamente sull’immagine complessiva dell’azienda.

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IL BILANCIO D' ESERCIZIO

DELLA SOCIETA’ DI CAPITALI

LE FUNZIONI DEL BILANCIO D’ESERCIZIO Il bilancio d’esercizio è un documento di derivazione contabile mediante il quale gli amministratori forniscono la rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria della società al termine del periodo amministrativo e del risultato economico conseguito nell’esercizio.

Il bilancio d’esercizio svolge le seguenti funzioni:

· è un documento amministrativo che collega la gestione passata a quella futura;

· è uno strumento di conoscenza della gestione e dei suoi risultati per gli amministratori della società;

· è uno strumento di comunicazione di informazioni di carattere economico, finanziario e patrimoniale nei confronti di una molteplicità di soggetti che in vario modo sono interessati agli andamenti aziendali e che si collocano si all’interno dell’azienda sia all’esterno di essa, come le banche e gli altri finanziatori.

CLAUSOLA GENERALE

La clausola generale fissa il principio che sta alla base della nuova regolamentazione del bilancio e lo individua nella chiarezza con cui esso deve essere redatto e nella verità e correttezza della rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria della società nonché del risultato economico dell’esercizio.

1- La chiarezza del bilancio va intesa come intelligibilità da parte di persone dotate di media cultura contabile.

Essa deriva dalla rigorosa osservanza delle regole giuridiche che disciplinano:

- la struttura e il contenuto delle varie parti del bilancio;

- la valutazione degli elementi attivi e passivi;

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- l’iscrizione delle poste del Conto economico.

2- La rappresentanza veritiera e corretta del patrimonio e del reddito d’esercizio non può consistere nella ricerca di una impossibile verità oggettiva, ma va intesa come il comportamento in buona fede da parte degli amministratori, che devono operare correttamente le stime e le iscrizioni delle varie voci di bilancio, tenendo presenti:

- le norme di legge;

- i principi contabili.

Il file del bilancio è:

· l’obbligo di fornire informazioni complementari a quelle stabilite dalla legge;

· l’obbligo di derogare alle norme di legge, in casi eccezionali, se la loro applicazione impedisce di conseguire l’obiettivo fondamentale.

I PRINCIPI DI REDAZIONE DEL BILANCIO

Principi di redazione del bilancio:

1- La valutazione delle voci di bilancio deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività.

E’ il principio della prudenza, che esclude gli utili sperati. Ad esso è associato il principio della continuità aziendale (going concern), secondo il quale le valutazioni devono essere eseguite con criteri di “funzionamento”. 2- Si possono indicare solo gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio. Questa disposizione rafforza il principio della prudenza. 3- Si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento. Qui viene affermato il principio della competenza economica. 4- Si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo. 5- Gli elementi diversi compresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente. 6- I criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro. La costanza dei criteri di valutazione imposta da questo principio mira a limitare le possibilità di “manovra” dei redattori del bilancio, che non possono mutare a loro discrezione le regole di valutazione. LA STRUTTURA DEL BILANCIO D’ESERCIZIO

1- STATO PATRIMONIALE: mette in evidenza la composizione del patrimonio aziendale al termine del periodo amministrativo, determinato secondo la logica

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valutativa con cui si definisce il reddito d’esercizio; è il prospetto chiamato a fornire la corretta rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria della società;

2- CONTO ECONOMICO: che dà la dimostrazione del risultato economico dell’esercizio;

3- NOTA INTEGRATIVA: che è destinata a chiarire alcuni dati contenuti nei due documenti contabili di sopra.

Lo stato patrimoniale e il conto economico sono due schemi a struttura obbligatoria, nel senso che le varie voci devono essere iscritte separatamente e nell’ordine indicato dalle norme che ne stabiliscono il contenuto. La legge chiede agli estensori del bilancio di rispettare la denominazione e la successione dei gruppi, delle classi e delle singoli voci che sono previste negli schemi che essa detta per lo Stato patrimoniale e il Conto economico. In alcuni casi vi è la possibilità di apportare variazioni agli schemi obbligatori: · possibilità di una o più analitica suddivisione delle voci; · possibilità di eseguire raggruppamenti di voci; · l’obbligo di aggiungere altre voci; · l’obbligo di adattare le voci.

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VOLO CHARTER Un volo charter è un servizio di trasporto aereo, merci o passeggeri, non soggetto ad una programmazione sistematica di orari, diversamente da quanto avviene per i voli di linea. Di solito viene stipulato un contratto di noleggio tra due o più contraenti per sfruttare al massimo la capacità del velivolo. Un volo è definito charter solo se il numero di posti è superiore a 12, altrimenti si parla di servizio aerotaxi.

Nel contesto del turismo di massa, i voli charter hanno assunto il significato di voli con il solo ruolo di trasportare i turisti verso le loro destinazioni; spesso i biglietti non vengono venduti direttamente dalle compagnie charter ai passeggeri ma dalle agenzie di viaggio che stipulano il contratto con la compagnia, magari insieme ad altre agenzie. In molti pacchetti di viaggio vengono inclusi il volo, l'alloggio e altri servizi. In passato, i voli charter erano acquistabili solo attraverso tali pacchetti; oggi invece è possibile l'acquisto anche da parte di chi vuole usufruire del solo volo. Sebbene i voli charter vengano spesso usati nel contesto turistico, a volte può capitare che vengano prenotati da singoli gruppi numerosi, come i dipendenti di una azienda, di una squadra sportiva o a volte da gruppi di militari.

Buona parte del traffico aereo negli aeroporti medio-piccoli della Gran Bretagna è costituita da voli charter, e gli introiti economici di questi aeroporti sono proprio le tasse pagate dalle compagnie charter. Molte grandi compagnie aeree che offrono i voli di linea hanno inaugurato delle compagnie sussidiarie che operano servizi charter, anche se non sempre si sono dimostrate competitive nei confronti delle compagnie specializzate. Inoltre alcune compagnie aeree merci trasportano alcuni passeggeri charter sui loro aerei. Viceversa, alcune compagnie charter hanno avviato i regolari voli di linea. I voli charter nascono anche con lo scopo di sfruttare al massimo la capacità del velivolo, anche se spesso gli standard qualitativi non sono gli stessi dei voli di linea.

Le agenzie di viaggio che comprano posti a bordo hanno spesso acquisito una reputazione di instabilità finanziaria: questo perché in alcuni casi i turisti hanno lamentato voli cancellati con scarso preavviso (e a volte perdendo l'intero pacchetto della vacanza senza risarcimento) o non sono potuti tornare indietro a causa del fallimento della compagnia. Per limitare al massimo questi tipi di danno vengono stipulate assicurazioni obbligatorie.

In Italia i viaggiatori sono coperti anche dalle obbligatorie fidejussioni rilasciate dalle singole agenzie di viaggio nei confronti della provincia in cui operano, nonché da una assicurazione istituita negli ultimi anni dalla ASTOI (Associazione Tour Operator Italiani). È inoltre importante tener presente che la legislazione internazionale prevede che l'orario operativo dei voli charter possa variare fino a 48 ore prima della partenza prevista.