Diritto privato romano e fondamenti del diritto...

26
1 Diritto privato romano e fondamenti del diritto europeo R. Cardilli Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” 1. Introduzione Con il Sistema del diritto romano attuale di Savigny e con i grandi trattati di Pandette della scuola Pandettistica tedesca si ha un sviluppo delle tendenze già abbozzate nel giusnaturalismo che possiamo qualificare di generalizzazione, astrazione ed individualismo. A differenza però dei giusnaturalisti, che spesso con piena consapevolezza si contrappongono alle interpretazioni preesistenti maggiormente aderenti alle fonti romane, la forte rilettura individualistica (diritto romano borghese) del diritto privato operata nel XIX sec. in Germania è ancorata ad un rapporto diretto con le fonti romane, senza una vera mediazione delle interpretazioni medievali di tale tradizione. Il sistema che ne risulta è fondato su quattro pilastri fondamentali: il soggetto di diritto (sia esso persona umana o personificazione di una realtà diversa a fini giuridici); l’oggetto di diritto (che assume la veste di tutto ciò che può essere fatto oggetto di una relazione giuridica); il dogma della volontà come motore del diritto privato e la sua più raffinata rappresentazione, cioè il negozio giuridico, dove gli effetti giuridici sono coerenti alla volontà che sostiene l’atto; il rapporto giuridico, che generalizza i diversi tipi di doveri (obblighi, rapporti complessi; obbligazioni) presenti nel diritto privato. La struttura sistematica che viene realizzata è dotata di una astrazione e generalizzazione molto grandi, e tende ad estrapolare regole maturate per il singolo istituto giuridico ed a quello acconce, ed a farne regole giuridiche generali idonee ad applicarsi anche ad altri istituti giuridici. Fondamentali e poderose da questo punto di vista, ad es.: 1) la costruzione di una parte generale della nullità e dell’annullabilità del negozio giuridico, rispetto alla variegata realtà di regole che nella tradizione romana erano state elaborate all’interno di ciascun contratto tipico; 2) l’eliminazione della differenza di struttura e di funzione degli effetti giuridici prodotti dai diversi tipi atti compiuti, attraverso la generalizzazione del ‘rapporto giuridico’. In particolare, si segnala un ampio sforzo astrattizzante nella concezione delle persone quali soggetti di diritto e delle cose quali oggetto del diritto. A ciò si affianca una forte razionalizzazione generalizzante nell’àmbito della categoria del negozio giuridico, nell’individuazione di regole comuni da valere per ogni negozio giuridico (unilaterale o bilaterale o plurilaterale; inter vivos o mortis causa), spingendo i codificatori a selezionare tra più regole giuridiche che la tradizione tramandava rispetto ad uno stesso problema giuridico, a seconda esso andasse risolto ad esempio in un certo tipo di contratto piuttosto che in un altro, o in un contratto piuttosto che nel testamento. Ciò portò spesso come

Transcript of Diritto privato romano e fondamenti del diritto...

1

Diritto privato romano e fondamenti del diritto europeo

R. Cardilli

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

1.Introduzione

Con il Sistema del diritto romano attuale di Savigny e con i grandi trattati di Pandette della scuola

Pandettistica tedesca si ha un sviluppo delle tendenze già abbozzate nel giusnaturalismo che possiamo

qualificare di generalizzazione, astrazione ed individualismo. A differenza però dei giusnaturalisti, che

spesso con piena consapevolezza si contrappongono alle interpretazioni preesistenti maggiormente

aderenti alle fonti romane, la forte rilettura individualistica (diritto romano borghese) del diritto privato

operata nel XIX sec. in Germania è ancorata ad un rapporto diretto con le fonti romane, senza una vera

mediazione delle interpretazioni medievali di tale tradizione.

Il sistema che ne risulta è fondato su quattro pilastri fondamentali: il soggetto di diritto (sia esso

persona umana o personificazione di una realtà diversa a fini giuridici); l’oggetto di diritto (che assume

la veste di tutto ciò che può essere fatto oggetto di una relazione giuridica); il dogma della volontà come

motore del diritto privato e la sua più raffinata rappresentazione, cioè il negozio giuridico, dove gli

effetti giuridici sono coerenti alla volontà che sostiene l’atto; il rapporto giuridico, che generalizza i

diversi tipi di doveri (obblighi, rapporti complessi; obbligazioni) presenti nel diritto privato.

La struttura sistematica che viene realizzata è dotata di una astrazione e generalizzazione molto

grandi, e tende ad estrapolare regole maturate per il singolo istituto giuridico ed a quello acconce, ed a

farne regole giuridiche generali idonee ad applicarsi anche ad altri istituti giuridici. Fondamentali e

poderose da questo punto di vista, ad es.: 1) la costruzione di una parte generale della nullità e

dell’annullabilità del negozio giuridico, rispetto alla variegata realtà di regole che nella tradizione romana

erano state elaborate all’interno di ciascun contratto tipico; 2) l’eliminazione della differenza di struttura

e di funzione degli effetti giuridici prodotti dai diversi tipi atti compiuti, attraverso la generalizzazione

del ‘rapporto giuridico’.

In particolare, si segnala un ampio sforzo astrattizzante nella concezione delle persone quali

soggetti di diritto e delle cose quali oggetto del diritto. A ciò si affianca una forte razionalizzazione

generalizzante nell’àmbito della categoria del negozio giuridico, nell’individuazione di regole comuni da

valere per ogni negozio giuridico (unilaterale o bilaterale o plurilaterale; inter vivos o mortis causa),

spingendo i codificatori a selezionare tra più regole giuridiche che la tradizione tramandava rispetto ad

uno stesso problema giuridico, a seconda esso andasse risolto ad esempio in un certo tipo di contratto

piuttosto che in un altro, o in un contratto piuttosto che nel testamento. Ciò portò spesso come

2

conseguenza principale l’appiattimento e la semplificazione delle soluzioni differenziate che al contrario

la tradizione giuridica romanistica tramandava, optandosi per una semplificazione rispetto alla

complessità.

La ricerca di senso e l’àncora di semplificazione della complessità della realtà giuridica di cui la

‘parte generale’ del codice è espressione, hanno proiettato il BGB in una dimensione di edulcorata

gestione nel tempo della realtà sociale ed economica in mutazione. Ciò ha comportato la sottoposizione

della forma Codice civile (e ciò valga anche per quei codici civili però non dotati di una ‘parte generale’

propriamente detta, come il Codice civile francese ed il Codice civile italiano) ad uno stress di criticità

nel tempo, stress che si è espresso soprattutto nella maggiore o minore vis attrattiva di àmbiti di

contenuto speciale che mano a mano nel tempo avevano richiesto una regolamentazione specifica ad

hoc, e che talvolta venivano ad assumere la veste di veri e propri microsistemi estranei al codice civile.

2. Diritto delle persone e della famiglia nel diritto privato romano e nel diritto privato individualista nei moderni

A. La prospettiva comunitaria della ‘persona-essere umano’ nel diritto romano e la prospettiva

individualista del diritto moderno.

Nei codici civili dell’Europa si è codificato un modello di diritto delle persone in una

prospettiva ‘individuale’, attraverso la quale la persona fisica è presa in considerazione in modo

astratto, come singolo individuo, del quale è qualificante l’aspetto giuridico della ‘capacità’

individuale di essere titolare di diritti e di doveri (c.d. capacità giuridica) e della ‘capacità’

individuale di compiere atti che producono effetti giuridici in quanto sostenuti da una volontà del

soggetto che ha superato un grado di maturità intellettuale (c.d. capacità di agire).

La costruzione ‘individualista’ ha trovato massima espressione nel System des heutigen römischen

Recht di Savigny (1840-1847), ove tutto il diritto privato è compiuto a sistema su il ‘soggetto di

diritto’ (persona fisica e persona giuridica), atto giuridico/negozio giuridico e rapporto giuridico.

Da questa prospettiva unilaterale, era inevitabile la concentrazione dei profili rilevanti della persona

per il diritto sulla capacità individuale della stessa di essere titolare di diritti e di doveri (capacità

giuridica) e di compiere atti rilevanti per il diritto (capacità di agire).

Anche a leggere, poi, il contenuto dei libri dei codici civili europei dedicati al diritto delle

persone e a volte titolati anche ‘della famiglia’ non si avrà difficoltà a scorgere questa prospettiva

individualista nella quale il ruolo della persona-uomo nella famiglia assume un significato marginale

rispetto al ruolo della persona-uomo come soggetto individuale del diritto.

È una eredità dogmatica che il diritto codificato del modello francese (Code Napoléon

1804) ha preso dal giusnaturalismo del XVII sec. ed il diritto codificato del modello tedesco (BGB

3

1900) dalla Pandettistica del XIX sec., scuole nelle quali tutto il diritto privato è costruito grazie ad

un poderoso processo di astrazione.

Al contrario, nel diritto romano la persona-homo non è mai percepita nel diritto in modo

astratto, come singolo individuo, ma sempre come parte di un tutto, evidenziandosi un ruolo della

persona nei gruppi sociali, dal più piccolo gruppo al più grande, in posizioni giuridiche

differenziate. In diritto romano, cioè, i concetti moderni di capacità giuridica e capacità di agire

come prospettive di rilevanza del singolo individuo per il diritto sarebbero fuorvianti, in quanto la

persona-homo è sempre percepita all’interno di specifici e concreti status, quali differenziate sfere di

personalità giuridica. Le differenti condizioni giuridiche che la persona assume nella famiglia

(familia), nella città-cittadinanza (civitas) e nella comunità di tutti gli uomini liberi (libertas) possono

essere realmente comprese soltanto se si rinuncia a guardare a questa realtà con l’occhiale

deformante dell’unilaterale concetto di capacità dell’individuo.

È chiaro che in un sistema giuridico come quello romano, la persona dovrà essere sempre

valutata all’interno di ogni singolo status ed anche l’eguaglianza nel diritto (importante la definizione

romana del diritto come ars boni et aequi data dal giurista classico Celso ed ora in Digesto 1, 1, 1

principium) ha senso per i romani non come concetto astratto e formale (eguaglianza di tutti gli

uomini davanti al diritto), ma come concreta nozione di eguaglianza del diritto per ogni specifico

status, per ogni specifica sfera di personalità. Un diritto eguale dei patres familias tra loro ed un diritto

eguale degli schiavi tra loro.

Va sottolineato, in un discorso sul ruolo della famiglia nel diritto delle persone, quanto la

dottrina latinoamericana ha da tempo evidenziato, che i codici civili dell’America Latina dimostrano

proprio nell’àmbito della famiglia un elemento di resistenza al modello più individualista sopra

segnalato. È questa caratteristica un elemento differenziante segnalato in dottrina del diritto

latinoamericano rispetto al diritto europeo ed anche a quello anglo-americano. Da questo punto di

vista la maggiore ‘romanità’ del ruolo della famiglia nel diritto latinoamericano è un elemento da

difendere.

B. La storiografia (modello politico ed economico). – La familia è struttura giuridica preesistente alla

fondazione della città di Roma ed al suo diritto. La conseguenza fondamentale è che la distinzione

tra personae sui iuris e personae alieni iuris è propria del sistema giuridico-religioso ‘latino’ preromano

(Filippo Gallo) e che la nascita politica della città di Roma innesta dinamiche tra il concetto di

persona nella famiglia (pater familias, filius familias, uxor in manu etc.) e quello di civis nella cittadinanza.

La constatazione del fondamento politico originario della ‘famiglia’ è stato evidenziato in

dottrina dal contributo di Pietro Bonfante, secondo il quale la struttura patriarcale e la natura del

4

potere (potestas) del pater familias su tutte le persone nella famiglia nella Roma alto repubblicana,

sarebbe un’eredità del carattere politico delle antiche gentes nelle quali la morte del pater gentis non

determinava lo scioglimento del gruppo. Un fossile di tale regime si avrebbe anche nella famiglia

romana nell’arcaico istituto del consortium ercto non cito nel quale è evidente la tenuta unitaria della

famiglia tra i figli alla morte del pater, rispetto, invece, al suo dissolvimento in tante famiglie quanti

sono i figli.

Al modello politico della famiglia nella storiografia romanistica si contrappone un modello

economico, secondo la tesi di Arangio Ruiz, nel quale emerge l’importanza della famiglia e del suo

patrimonio come struttura unitaria a fini economici di sfruttamento della terra.

Si tratta di letture che colgono aspetti reali della disciplina giuridica e dell’immagine arcaica

della famiglia quale ci viene rappresentata dalle fonti in nostro possesso.

B. Le fonti. – In un discorso sulla famiglia quale struttura pre-statuale e naturale fondante la

società umana, il diritto romano segna un momento di riflessione alta, col quale ritengo si debba

fare i conti in un’età, la nostra, fortemente tesa ad una percezione astratta e non concreta dei

rapporti tra gli esseri umani, quasi esterna alla realtà dello spazio e del tempo.

Una prima riflessione significativa è

Cic. de off. I, 17, 53-57: [53] Gradus autem plures sunt societatis hominum. Ut enim ab illa infinita discedatur, propior est eiusdem gentis, nationis, linguae, qua maxime homines coniunguntur; interius etiam est eiusdem esse civitatis; multa enim sunt civibus inter se communia: forum, fana, porticus, viae, leges, iura, iudicia, suffragia, consuetudines praeterea et familiaritates multisque cum multis res rationesque contractae. Artior vero colligatio est societatis propinquorum; ab illa enim inmensa societate humani generis in exiguum angustumque concluditur. [54] Nam cum sit hoc natura commune animantium, ut habeant lbidinem procreandi, prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus, communia omnia; id autem est principium urbis et quasi seminarium rei publicae. Sequuntur fratruum coniunctiones, post consobrinorum sobrinorumque, qui cum una domo iam capi non possunt, in alias domos tamquam in colonias exeunt. Sequuntur conubia et affinitates, ex quibus etim plures propinqui; quae propagatio et suboles origo est rerum publicarum. [55] Sanguinis autem coniunctio et benivolentia devincit homines et caritate; magnum est enim eadem habere monumenta maiorum, eisdem uti sacris, sepulchra habere communia … [57] Sed cum omnia ratione animoque lustraris, omnium societatum nulla est gravior, nulla carior quam ea, quae cum re publica est uni cuique nostrum… trad. it.: Molti sono i gradi della società degli uomini. E per tralasciare quella infinita [v.g. di tutti gli uomini con tutti], più vicino a noi è quella che stringe gli uomini, dell’identità della gente, della nazione, della lingua. Più ristretta ancora è quella dell’identità della cittadinanza; perché molte cose sono comuni ai concittadini: il foro, i templi, i portici, le vie, le leggi, il diritto, i tribunali, il voto in assemblea, ed inoltre le consuetudini e le conoscenze e i rapporti ed interessi per molti con molti altri. Ma più vincolante è il rapporto di parentela, che riduce in un àmbito esiguo ed angusto la sconfinata società del genere umano. Infatti essendo per natura comune a tutti gli animali l’istinto della procreazione, la prima società è quella coniugale [i.e. marito e moglie], la seconda della prole, quindi l’unità della casa

5

e la comunanza di tutte le altre cose; questo è il nucleo primigenio cioè il principio dell’Urbe e quasi il semenzaio della Repubblica. Seguono i rapporti tra fratelli, poi quelli tra cugini di primo e secondo grado, che non potendo essere contenuti in un’unica casa, ne creano altre quasi come le colonie. Seguono le nozze e le affinità, per cui sempre più numerosi diventano i parenti; e questo propagarsi della discendenza è l’origine delle Repubbliche. La consanguineità lega gli uomini grazie alla benevolenza e all’amore, poiché è grande cosa avere gli stessi ricordi degli antenati, partecipare ad identici culti, avere in comune i sepolcri. … Ma a ben considerare tutto con l’intelletto e la ragione, fra tutte quante le forme di società umana, nessuna è più seria e più cara di quella che ciascuno di noi ha con la Repubblica.

La fonte letta è essenziale per cogliere quella dimensione della persona umana nella

comunità a cerchi concentrici propria della cultura romana, nella quale la famiglia assume per

natura un ruolo principale a fondamento stesso della comunità più ampia che si viene a formare

quale res publica che fonda una città.

Il richiamo ciceroniano ad un fondamento naturale (natura commune hominum et animantium) ed

una origine precittadina della famiglia (principium urbis et seminarium rei publicae) echeggia in un famoso

testo del giurista Ulpiano, nella enucleazione del difficile concetto di ius naturale.

D. 1, 1, 1, 3 Ulpianus l. 1 instit.: [D. 1, 1, 1,3] Il diritto naturale è quello che la natura ha insegnato a tutti gli animali: infatti questo diritto non è proprio del genere umano, ma è comune a tutti gli animali che nascono in terra, in mare, ed è comune anche agli uccelli. Da qui deriva l'unione del maschio e della femmina, la quale unione noi chiamiamo matrimonio; da qui deriva la procreazione dei figli; da qui l'educazione. Vediamo infatti che anche tutti gli altri animali, comprese le fiere, sono valutati in base alla esperienza <che abbiano> di questo diritto.

Anche il giurista Ulpiano colloca la coniunctio maris et feminae e la liberorum procreatio nel ius

naturale. Si ha una linea di continuità forte nel pensiero giuridico romano che evidenzia con forza un

ruolo primigenio e prestatuale della famiglia come prima società di uomini, la quale è la struttura

sociale fondativa della res publica . Ma la costituzione politica di una forma organizzativo-

amministrativa più ampia e tesa al perseguimento di un’utilità comune e col consenso del diritto,

secondo la nota definizione ciceroniana di ‘popolo’ e di res publica come res populi, non porta mai al

dissolvimento della famiglia come naturale società primigenia, la quale è fattore di resistenza e di

stimolo alla vita della societas volontaria costituita tra i cives.

L’elemento giuridico di struttura che qualifica in modo unitario la vera e propria famiglia

romana (familia proprio iure delle fonti) è l’unicità del potere del pater familias sui membri della

comunità familiare, la patria potestas che ha acarettristiche peculiari rispetto ai costumi giuridici delle

altre culture antiche, e che fa della famiglia romana anche agli occhi dei romani stessi una peculiare

struttura giuridica con funzioni importanti sul piano politico, sociale ed economico (sulla

6

distinzione tra familia proprio iure e familia communi iure vd. D. 50,16,195 Ulpianus XLVI ad edictum).

La famiglia, istituzione più antica delle città, e molto più antica dello Stato, è istituto

giuridico resistente al dissolvimento del modello statuale, conservando al suo interno un forte ruolo

giuridico-politico ed economico che assume la natura di costituzione materiale anche della società

post-statalista.

La spesso richiamata società umana naturale della famiglia è un dato giuridico che deve far

riflettere il giurista del sistema romanistico, al fine di conservare una pietra fondamentale della

struttura sociale umana anche in epoche nelle quali la struttura statuale è in lenta erosione. La felice

immagine di un romanista italiano che pose al centro della sua riflessione la persona umana e la

famiglia, Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, parlava di famiglia come ‘sorgente di vita’ ed è grazie

al suo sforzo di giurista impegnato che la Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 all’art. 29

primo comma ha sancito “La Repubblica riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.

3. Le cose e il diritto A. La concezione concreta dei romani Fonti: Institutiones Iustiniani 2, 1 pr.-3

LIB. II, TIT. I.

DE RERUM DIVISIONE.

Superiore libro de iure personarum euimus: modo videamus de rebus. quae vel in nostro patrimonio vel extra nostrum patrimonium habentur. quaedam enim naturali iure communia sunt omnium, quaedam publica, quaedam universitatis, quaedam nullius, pleraque singulorum, quae variis ex causis cuique adquiruntur, sicut ex subiectis apparebit.

Trad.it.: Nel libro precedente abbiamo trattato il diritto delle persone; in questo vediamo il diritto sulle cose. Le cose si hanno nel nostro patrimonio o fuori del nostro patrimonio. Alcune cose, infatti, sono per diritto naturale comuni di tutti gli esseri umani, alcune cose sono pubbliche, alcune cose sono di un insieme di persone, alcune non sono di nessuno, la maggior parte sono di singoli, le quali si acquistano in base a varie cause, come sarà chiaro nel prosieguo della trattazione.

Et quidem naturali iure communia sunt omnium haec: aer et aqua profluens et mare et per hoc litora maris. nemo igitur ad litus maris accedere prohibetur, dum tamen villis et monumentis et aedificiis abstineat, quia non sunt iuris gentium, sicut et mare.

E le cose che per diritto naturale sono comuni a tutti sono: l’aria e l’acqua in movimento e il mare e per questo i lidi del mare. A nessuno perciò sia impedito di accedere ai lidi del mare, come invece alle ville e ai monumenti e agli edificii, perché non sono di diritto delle genti, così come il mare stesso.

7

Flumina autem omnia et portus publica sunt: ideoque ius piscandi omnibus commune est in portibus fluminibusque. …

I fiumi e i porti sono invece pubblici: perciò il diritto di pescare nei porti e nei fiumi è comune a tutti.

Universitatis sunt, non singulorum, veluti quae in civitatibus sunt theatra, stadia et similia et si qua alia sunt communia civitatium.

Sono di un insieme di persone e non dei singoli, ad esempio i teatri che si trovano nella città, gli stadi e cose simili e tutte le cose che sono comuni dei cittadini.

Nullius autem sunt res sacrae et religiosae et sanctae: quod enim divini iuris est, id nullius in bonis est. Sacra sunt, quae rite et per pontifices Deo consecrata sunt, veluti aedes sacrae et dona quae rite ad ministerium Dei dedicata sunt,...

Religiosum locum unusquisque sua voluntate facit, dum mortuum infert in locum suum. …

Sanctae quoque res, veluti muri et portae, quodammodo divini iuris sunt et ideo nullius in bonis sunt.

Le cose sacre, religiose e sante non sono di nessuno: ciò infatti che è di diritto divino non è nel patrimonio di alcuno. Sacre sono quelle che ritualmente e attraverso il collegio sacerdotale dei pontefici sono consacrate alla divinità [in Giustiniano a Dio], come gli edifici di culto e i doni che con rito sono dedicati al ministero della divinità [in Giustiniano a Dio]…

Il luogo religioso può essere costituito per volontà di ciascuno, come quando si seppellisce un morto in un luogo che ci appartiene…

Anche le cose sante, come i muri e le porte della città, fino a quando sono di diritto divino e perciò non sono nel patrimonio di qualcuno.

Singulorum autem hominum multis modis res fiunt: quarundam enim rerum dominium nanciscimur iure naturali, quod, sicut diximus, appellatur ius gentium, quarundam iure civili.

Invece le cose diventano dei singoli esseri umani in molti modi: di alcune cose acquistiamo il dominio/la proprietà per diritto naturale, che come dicemmo è chiamato diritto delle genti, di altre per diritto civile.

B. La concezione astratta dei moderni: proprietà (privata) e diritti reali su cosa altrui

[SCHEMI DELLE LEZIONI] Modello del Codice civile francese 1804 Art. 544: La proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose della maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso proibito della e leggi o dai regolamenti. Art. 578: L’usufrutto è il diritto di godere delle cose di cui un'altra persona ha la proprietà, come il proprietario stesso, ma ha il dovere di conservarne la sostanza. Modello del Codice civile tedesco 1900 § 903: Il proprietario di una cosa può, fino a che la legge o un diritto di un terzo non vi si contrappongano, usare della cosa a suo piacimento ed escludere gli altri da ogni interferenza.

8

Savigny (1840): Herrschaft sulla unfreie Natur Importanza del cambio di prospettiva dalle cose e la natura all’oggetto di diritto.

4. Forme di appartenenza: la prospettiva comunitaria dei romani e l’individualismo dei moderni

[SCHEMA LEZIONI] A. Forme di appartenenza del diritto romano e della tradizione romanistica Ager gentilicius, ager publicus, ager privatus B. Meum esse ex iure Quiritium: importanza dell’interazione tra privato e pubblico nel dominium romano. C. La forte selezione delle forme di appartenenza nel diritto privato dal giusnaturalismo alle codificazioni. [LETTURE]

Tradizione civilistica e schemi giuridici dell’appartenenza della terra. – Gli studiosi di diritto romano e

di storia del diritto hanno da tempo svelato la carica ideologica del paradigma borghese della

‘proprietà’ fissatosi nei codici civili di tradizione romanistica. In particolare, la ripulitura concettuale

ha investito la presunta natura ‘individualistica’ ed ‘unitaria’ dello schema giuridico della proprietà

romana, a favore di un quadro concettuale che ne imponga una contestualizzazione nei modelli

sociali dell’antichità, del medio evo e dell’età moderna, facendone risaltare la complessità di schemi

tra loro interagenti nei quali le forme giuridiche dell’appartenenza non sarebbero riducibili ad unum,

ma dimostrerebbero, oltre che sul piano dei nomina iuris anche sul piano dei regimi giuridici,

differenze e particolarità1.

D’altronde, non è casuale che il nazionalsocialismo tedesco, nel suo attacco al diritto romano

come diritto straniero2, imputasse alla proprietà romana un eccesso di individualismo che in realtà

1 Vd. M. KASER, Die Typen der römischen Bodenrechte in der späteren Republik, in Zeitschr. Sav. Stift. 62, 1942, 1 ss.; IDEM, Eigentum und Besitz im älteren römischen Recht, Köln-Graz, 1956, 228 ss.; G. GROSSO, Schemi giuridici e società nella storia del diritto privato romano, Torino, 1970, 146 ss.; A. CORBINO, Schemi giuridici dell’appartenenza nell’esperienza romana arcaica, in La proprietà e le proprietà, a cura di E. CORTESE, Milano, 1988, 3 ss.; L. CAPOGROSSI COLOGNESI, ‘Dominium’ e ‘possessio’ nell’Italia romana, in La proprietà e le proprietà cit., 141 ss.; M. TALAMANCA, Considerazioni conclusive, in La proprietà e le proprietà cit., 183 ss. 2 Programma del Partito nazionalsocialista dei lavoratori (1920), art. 19: “Vogliamo la sostituzione del diritto romano, orientato verso un ordinamento materialistico del mondo, con un comune diritto germanico”.

9

non era romano, ma caratteristica propria del paradigma proprietario della pandettistica tedesca

dell’ottocento che si era contrapposta ai dominia medievali3.

La critica condizionò delle reazioni importanti, come quella di Francesco De Martino, in un

celebre lavoro del 1941, orientato a criticare con argomenti seri il presunto ‘individualismo’ del

diritto romano4.

Al contrario, la critica mossa da Karl Marx alla proprietà individuale come paradigma dei

codici civili borghesi, non è condizionata da una proiezione del modello borgese sulle forme di

appartenenza romane su cui quello era stato costruito per astrazione5.

Il paradigma proprietario del modello codificato nell’art. 544 del Codice Francese del 1804

(“La propriété est le droit de jouir et disposer des choses de la manière la plus absolue…”) sembra ancora non

liberarsi della duale interpretazione dell’istituto, da un lato quella ereditata dall’età medievale, tutta

costruita sulle utilitates della res frugifera e, dall’altro lato, quella indotta dalla rottura dell’antico regime

e tutta rivolta verso l’assolutezza del dominio, rispondendo in pieno alle esigenze di circolazione e

di libera destinazione dell’uso economico dei beni produttivi della società borghese6.

Maggiore astrazione e assolutizzazione è espressa nello schema pandettistico della proprietà,

che trova espressione nel par. 903 del BGB tedesco del 1900 (“Der Eigentümer einer Sache kann, soweit

nicht das Gesetz oder Rechte Dritter entgegenstehen, mit der Sache nach belieben verfahren und Andere von jeder

Einwirkung ausschließen”).

Il diritto romano, al contrario, esprime una differenziazione terminologica e di regime

nell’àmbito degli schemi giuridici dell’appartenenza: la possessio dell’ager publicus, il meum esse ex iure

Quiritium, l’in bonis esse, gli iura in re aliena, la possessio vel ususfructus sui fondi provinciali, l’enfiteusi, la

superficie. I giuristi romani parlano altresì di duplex dominium, di proprietas e di possessiones.

La tradizione romanistica dell’età medievale vi aggiunge nuove forme di appartenenza, come

ad es. il feudum, non rompendo la gabbia concettuale di tradizione romanistica per dominare la

3 Sul punto vd. P. GROSSI, La proprietà e le proprietà nell’officina dello storico, in La proprietà e le proprietà cit., 205 ss., in particolare 270 ss. Il paradigma pandettistico della proprietà codificato nel del BGB fu sottoposto ad una interpetazione in chiave sociale negli anni trenta da F. WIEACKER, Wandlungen der Eigentumsverfassung (Hamburg, 1935) in Zivilistische Schriften (1934-1942), Frankfurt am Main, 2000, 9 ss., senza fondare tale interpretazione nel diritto romano. D’altronde, la lettura fascista del modello proprietario codificato in Italia nel 1865 seguendo il modello francese, spinge alla considerazione valoriale della ‘funzione sociale’ della proprietà individuale; sul punto vd. P. RESCIGNO, Introduzione al Codice civile, Bari-Roma, 1991, 8 s.;101 ss. Cfr. ora, sul problema storico TH. KEISER, Eigentumsrecht in Nationalsozialismus und ‘Fascismo’, Tübingen, 2005, 55 ss., 73 ss., 167 ss. 4 Individualismo e diritto privato romano, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, 1941; cito da ristampa Torino, 1999, 21 ss. 5 Vd. al riguardo l’attenta lettura fattane da P. CATALANO, Populus Romanus Quirites, Torino, (1970) 1974, 120 ss.; 152 ss.; IDEM, Droit naturel, ‘ius Quiritium: observations sur l’anti-individualisme de la conception romaine de la propriété, in Le nuove leggi cinesi e la codificazione. La legge sui diritti reali, Roma, 2009, 121 ss., in relazione al sintagma meum esse ex iure Quiritium della legis actio sacramento in rem, dove l’affermazione d’appartenenza della cosa è fondata sulla appartenenza alla comunità di cives. Sul punto, lucide precisazioni anche in A. MALENICA, L’idea di Marx sulla proprietà, in Index 16, 1988, 15 ss. 6 P. GROSSI, La proprietà e le proprietà cit., 248-254.

10

nuova realtà dell’appartenenza della terra7, ma innova al suo interno distinguendo tra dominium

directum e dominium utile o allargando l’elenco degli iura in re aliena. Si tratta di un quadro ricchissimo

di costruzioni concettuali attraverso le quali i giuristi della tradizione civilistica fondata sul diritto

romano non operano sempre dallo stesso angolo di visuale, a volte partendo dalla natura delle res,

che per così dire detta la funzione economica di uso (foreste per legnatico, campi per agricoltura,

pascoli per i prati, cave per estrazione materiali ecc.), accentuando la varietà delle utilitates rerum,

altre volte proiettando il paradigma soggettivo del ‘potere’ dell’uomo sulla cosa, che può imprimere,

con maggiore o minore intensità, la destinazione d’uso della cosa. Si potrebbe al riguardo parlare di

modello ‘cosale’ per la prima prospettiva e di modello ‘potestativo’ per la seconda.

I codici civili dell’ottocento, ed in primis il Codice civile francese del 1804 e il Bürgerliches

Gesetzbuch tedesco del 1900, hanno determinato una forte selezione semplificatrice di questa

ricchissima tradizione concettuale, consegnando al futuro un modello paradigmatico della proprietà

individuale, attraverso il quale rileggere tutta questa realtà della tradizione civilistica precedente,

conservando quegli schemi giuridici dell’appartenenza che potevano con tale modello coordinarsi

ed escludendo quelli che ne confliggevano irrimediabilmente per la loro natura irriducibile in una

prospettiva di potere assoluto sulla cosa.

Questo, però, non significa l’estinzione di questi schemi giuridici dell’appartenenza che non

sono stati inclusi nei Codici civili, o il loro oblio, in quanto proprio la resistenza di filoni

consuetudinari del diritto civile post-codificato ha conservato – con profonde difficoltà di

inquadramento da parte dei giuspositivisti – la loro vigenza nel diritto attuale, come corpi estranei al

paradigma proprietario oppure ad esso comunque riannodati, con una certa forzatura

interpretativa8. La nostra tradizione giuridica ha spesso dovuto fare i conti con queste realtà, alle

quali non si adatta la prospettiva del dominium e più in generale quella del ‘mio’. Per fare alcuni

esempi, a Roma antica, l’ager gentilicius e l’ager compascuus 9 ; oggi, si potrebbe menzionare la

problematica degli usi civici10.

D’altra parte, quando per queste realtà e le altre, di diversa struttura e funzione, nelle quali si

venne affermando una titolarità giuridica separata da un potere amplissimo esercitato dal singolo

sul bene (l’ager vectigalis del popolo o dei municipi o la possessio vel ususfructus sulle terre provinciali),

7 M. MONTORZI, Diritto feudale nel basso medioevo, Torino, 1991; IDEM, Processi istituzionali. Episodi di formalizzazione giuridica ed evenienze d’aggregazione istituzionale attorno e oltre il feudo, Padova, 2005. 8 Per una considerazione approfondita degli ‘usi civici’ in confronto al paradigma proprietario vd. U. PETRONIO, Usi e demani civici fra tradizione storica e dogmatica giuridica, in La proprietà e le proprietà cit., 491 ss., in particolare 514 ss. In rapporto alla proprietà pubblica ed alla c.d. proprietà collettiva vd. V. CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, Padova, 1983. 9 Vd. su questi problemi L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Proprietà e signoria in Roma antica, I, Roma, 19882; IDEM, Cittadini e territorio, Roma, 2000,185 ss. 10. Vd. supra n. 11.

11

emergendo la necessità di dare un contenuto al potere del singolo sul bene, l’unica alternativa valida

al non liquet si dimostrò quella di elencare le diverse facoltà esercitate sulla cosa. Si pensi ad esempio

all’uti frui habere possidere delle terre provinciali, reso ancora da Gaio in termini di possessio vel

ususfructus (Gai. II,7)11.

[APPENDICE] Tradizione romanistica dell’appartenenza in Brasile e Russia

Questa ricca e complessa tradizione concettuale degli schemi giuridici dell’appartenenza

penetra con forza e si arricchisce a sua volta con la storia giuridica del Brasile, della Russia e della

Cina. Gli schemi giuridici dell’appartenenza romani e della tradizione romanistica vengono assunti

come chiave interpretativa della realtà dei rapporti con la terra sia nel nuovo mondo, dove i titoli

acquisitivi (scoperta ed occupazione) 12 e le forme di appartenenza vengono a loro volta

riconsiderate criticamente in base alla realtà dei popoli indigeni ed a nuove forme di destinazione e

di sfruttamento (individuale o collettivo) della terra, sia nell’Impero Russo, dove la resistenza della

servitù della gleba e la forza della titolarità della terra allo Czar impongono soluzioni e forme di

appartenenza adeguate alle particolarità imperiali e feudali degli strumenti di concessione.

Si pensi nella tradizione romano-lusitana alla fortuna della distinctio medievale tra dominium

directum e dominium utile, ed al ricorso delle concessioni delle sesmarias anche in Brasile13, oppure nella

tradizione romano-russa la distinzione tra titolarità formale e diritto d’uso , e l’introduzione di una

forma di appartenenza collettiva dei contadini nella Riforma rurale del 1861 con l’abolizione della

servitù della gleba14.

Tradizione civilistica e diritto russo post-sovietico. - Si potrebbe erroneamente pensare che l’apertura

dei Paesi socialisti, in primis la Russia, al modello economico capitalistico15, abbia determinato, nel

nuovo diritto russo codificato, un netto superamento degli schemi giuridici della appartenenza della

fase socialista ed una recezione acritica degli schemi dell’appartenenza dei modelli codificati

esistenti, schemi che in molti ordinamenti giuridici afferenti sia al sistema romanistico sia a quello di

11 «Sed in provinciali solo placet plerisque solum religiosum non fieri, quia in eo solo dominium populi Romani est vel Caesaris, nos autem possessionem tantum vel usumfructum habere videmur….». 12 Su cui pesa la concezione della proprietà della seconda scolastica; vd. P. GROSSI, La proprietà nel sistema privatistico della Seconda Scolastica, in La Seconda Scolastica nella formazione del diritto privato moderno, Atti Firenze ottobre 1972, Milano, 1973, 117 ss. 13 Vd. puntuale, H. MACIEL FRANÇA MADEIRA, História da propriedade territorial brasileira: das ‘sesmarias’ ao agrarismo, in questi Atti. 14 N. DUNAEVA, Эволющшя лрав на Землю в Россуу в XVII-XX вв, in questi Atti. 15 Sulla nuova fase post-socialista del diritto russo vd. G. AJANI, Diritto dell’Europa Orientale, in Trattato di Diritto Comparato, dir. da R. Sacco, Torino, 1996, 264 ss.; IDEM, Il modello post-socialista, Torino, 1999.

12

common law si sono dimostrati idonei a regolare lo sfruttamento della terra come bene produttivo

nella forma della proprietà individuale16.

In realtà, se si segue l’ampio dibattito della dottrina giuridica russa nella fase sovietica, non si

avrà difficoltà a scorgere la resistenza concettuale delle categorie della tradizione romanistica ed una

loro riconsiderazione critica rispetto al nuovo modello della cd. ‘proprietà’ socialista 17 . In

particolare, il momento di tensione indotto da una forma di appartenenza caratterizzata dalla

titolarità esclusiva al “popolo intero dell’URSS” dei beni produttivi e dalla centralità nel diritto civile

sovietico dalla cd. proprietà socialista, ha innestato una feconda discussione nella dottrina sovietica

sulla nozione di ‘proprietà’, al fine di approfondire le particolarità di regime che rendessero la

nuova forma di appartenenza irriducibile al paradigma proprietario della tradizione

prerivoluzionaria. Il dibattito russo in materia nel cinquantennio postrivoluzionario assume

connotazioni arricchenti per le prospettive dogmatiche della tradizione civilistica, sebbene nelle

intenzioni di parte della dottrina giuridica russa con esso si voleva realizzare una insanabile rottura

proprio con tale tradizione.

È stato ben evidenziato in dottrina che àmbito proficuo di questa discussione è rappresentato

dalla forma giuridica di appartenenza all’impresa dei beni produttivi, ed in primis della terra, rispetto

alla titolarità della stessa alla proprietà dello Stato. Le diverse posizioni chiarificatrici di tale

complessa questione hanno evidenziato nella dottrina russa il ricorso alle categorie della proprietà

pubblica (intesa come proprietà dello Stato) e diritto d’uso (dell’impresa), o proprietà pubblica dello

Stato e diritto di amministrazione operativa dell’impresa, o di trust inglese (la cui particolarità

sovietica, sarebbe data dalla instabilità e subordinazione del trest sovietico nei confronti dello Stato

[Martynov]), del duplex dominium, ‘eminente’ dello Stato ed ‘utile’ dell’impresa (Martynov,

Magaziner), un dominium sui generis (Gincburg, Pasukanis), possesso18.

Dal punto di vista storico, mi sembra significativo che la maturazione all’interno di questo

dibattito di una forte critica al paradigma individualistico della proprietà quale codificato nei diritti

borghesi, parta dal presupposto concettuale che “il diritto di proprietà socialista dello Stato non

16 Il che imporrebbe di verificare in concreto la fondatezza della affermazione di Max Weber, secondo cui “il capitalismo moderno prospera nello stesso modo, e presenta anche caratteri economici essenzialmente simili, sotto ordinamenti giuridici che considerati dal punto di vista tecnico-giuridico, posseggono norme e istituzioni estremamente eterogenei. - ... - e divergono tra loro profondamente anche negli stessi ultimi principi formali di struttura”, M. WEBER, Economia e società III. Sociologia del diritto, Milano, 1981, 196. Al riguardo, vd. L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Le radici della modernità. Max Weber 1891-1909, Roma, 19972, 100 ss., e 103 e n. 27. 17 Per una riconsiderazione approfondita di questo ampio dibattito, anche in relazione alle categorie concettuali del diritto russo preivoluzionario, si vd. G. CRESPI REGHIZZI, L’impresa nel diritto sovietico, Padova, 1969, 249 ss.; ed ora G. AJANI, Diritto dell’Europa Orientale cit., 281 ss. 18 Una dettagliata disamina si ha in G. CRESPI REGHIZZI, L’impresa nel diritto sovietico cit., 249 ss., il quale sottolinea a p. 313-314 “Dall’analisi delle differenti concezioni è emerso un diritto soggettivo nuovo, di diverso e variabile contenuto, difficilmente inquadrabile nelle categorie romanistiche, ma che la communis opinio […] vuole prevalentemente di natura reale e comunque a contenuto minore rispetto al diritto di proprietà”.

13

può ridursi alle facoltà di possedere, usare e disporre, in quanto diritto ‘indecomponibile e

invariabile’ ” (Karass)19.

Come si è visto nel precedente paragrafo, si tratta di problemi ben presenti allo storico del

diritto che ha, oramai da tempo, acquisito un occhiale più ampio del problema della ‘proprietà’,

nell’ottica del rapporto tra paradigma unitario ed astratto e forme giuridiche dell’appartenenza con

esso interagenti che talvolta vi sono attratte come forme di dominia, ed altre forme giuridiche

dell’appartenenza che non subiscono questa attrazione, rientrando nello schema degli iura in re aliena

oppure in forme di possessiones. Tale ipotizzata terzietà, rispetto ai dominia da una parte e agli iura in re

aliena dall’altra, si riscontra nel dibattito storiografico sulle forme di appartenenza in relazione a

quelle forme collettivistiche di sfruttamento della terra nelle quali è assente qualsiasi facoltà

dispositiva. Qui si potrebbe porre in discussione la stessa congruità di espandere il paradigma

proprietario in termini di ‘proprietà collettiva’, in quanto – ed è notazione già presente in Karl Marx

– qui vi è un ribaltamento della prospettiva soggettivistica (sono proprietario perché la cosa è mia),

in favore dell’appartenenza del soggetto alla comunità a cui spetta il bene produttivo (sono civis

Romanus e quindi rivendico il meum esse ex iure Quiritium su una porzione di ager Romanus)20.

Il dato più significativo nel diritto sovietico, in relazione allo schema giuridico della

appartenenza e gestione dei beni produttivi dello Stato da parte dell’impresa, è la questione – come

abbiamo visto – se esso rappresenti uno schema giuridico nuovo, non facilmente inquadrabile

nelle categorie romanistiche, a contenuto minore rispetto al diritto di proprietà, oppure se esso non

incarni un nuovo tipo di ius in re aliena.

Storicamente, quindi, la caduta dell’URSS e la nuova codificazione civile della Federazione

Russa (1994-2008) ed il nuovo Codice fondiario (2002) non sembrano realizzare una netta cesura

concettuale, idonea a cancellare dal punto di vista degli schemi giuridici dell’appartenenza la storia

giuridica del periodo sovietico delle forme di appartenenza, sebbene in essa sia indubitabile una

rinnovata vitalità della ‘proprietà individuale’, rispetto alla proprietà pubblica e municipale.

A leggere gli artt. 209 ss. del nuovo CcFed.Rus. si ha quindi l’impressione che la scelta politica

non sia quella di ricollocare il paradigma della ‘proprietà individuale’ al centro degli schemi di

appartenenza dotati di maggiore intensità, ma quella di ricollocarla in chiave, quanto meno paritaria,

rispetto alle forme della proprietà pubblica (intesa dello Stato) e municipale. Si ha cioè una forte

interpretazione unificante sul piano del paradigma proprietario degli schemi di appartenenza senza

però annullarne le diverse forme che, nella odierna società russa, sono caratterizzate da regimi

giuridici non unitari.

19 Vd. G. CRESPI REGHIZZI, L’impresa nel diritto sovietico cit., 295. 20 Sul punto fondamentale P. CATALANO, Populus Romanus Quirites cit., 151 ss. che sviluppa intuizioni marxiane.

14

Questo processo indotto dalla codificazione iniziata nel 1994, nell’àmbito dei rapporti di

appartenenza, ha coinvolto non soltanto lo schema giuridico fondamentale della proprietà

individuale, ma anche un altro schema giuridico fondamentale, cioè gli iura in re aliena21. Si deve,

infatti, segnalare il ricorso, anche quantitativamente significativo, allo schema giuridico del diritto

reale su cosa altrui, al fine di dare veste a tutta una serie di rapporti sia della realtà urbana che di

quella agricola della Russia. Si pensi: al possesso vitalizio ereditario di un lotto di terreno di

proprietà pubblica o municipale (art. 265-267 CcRus), che ai sensi dell’art. 21 del Cod. Fond. del

2002 è tutelato nelle forme preesistenti al Codice fondiario, ma non è più permesso per il futuro; al

diritto d’uso perpetuo di lotti di terreno ai sensi degli artt. 268-269 del CcRus. e al diritto d’uso del

lotto di terreno da parte del proprietario dell’immobile costruito sullo stesso (art. 271 CcRus.) . Tali

schemi di appartenenza giuridica della terra sono attratti negli iura in re aliena, con la

caratterizzazione comune della esclusione ai titolari di essi di qualsiasi potere dispositivo sul lotto di

terreno (art. 264 co.3 CcRus.).

Questa operazione comporta conseguenze non meramente qualificatorie e formali, ma anche

sostanziali e solleva questioni non esclusivamente dogmatiche, ma anche di impatto di tali schemi

nella realtà.

La prospettiva descrittiva del contenuto del potere sulla cosa con la tecnica degli elenchi,

evoca al giurista abituato alle categorie proprie della tradizione civilistica fondata dal diritto romano,

una scelta di campo operata dal legislatore russo a favore dello schema giuridico del paradigma

proprietario e degli iura in re aliena22.

21 Sull’origine dello schema, esplicitato nell’età medievale in termini di iura in re aliena, vd. G. PUGLIESE, Diritti soggettivi b) Diritti reali, in Enc. del Dir. XII, 1964, 755 ss.; R. FEENSTRA, Les origins du ‘dominium utile’ chez les glossateurs (avec un appendice concernant l’opinion des ultramontani), in Flores legum H.J. Scheltema oblati, Groningen, 1971, 49 ss.; IDEM, ‘Dominium’ and ‘ius in re aliena’: The Origins of a Civil Law Distinction, in New Perspectives in the Roman Law of Property. Essays for Barry Nicholas, ed. by P. BIRKS, Oxford, 1989, 111 ss.; approfondendone il rapporto con la categoria medievale del dominium utile, importante P. GROSSI, La proprietà e le proprietà nell’officina dello storico, in Quaderni fiorentini 17, 1988, 359 ss., in particolare, 399-405 = in La proprietà e le proprietà, a cura di E. CORTESE, Milano, 1988, 205 ss., in particolare 248-254; IDEM, ‘Dominia’ e ‘servitutes’ (Invenzioni sistematiche del diritto comune in tema di servitù), in Quaderni fiorentini 18, 1989, 331 ss. [ = Il dominio e le cose, Milano, 1992, 57 ss.]; E. CORTESE, Il diritto nella storia medievale II. Il basso medioevo, Roma, 1995, 172. Sul fondamento sostanziale della categoria già nel diritto romano vd. G. GROSSO, Le servitù prediali nel diritto romano, Torino, 1969, 3; critico G. PUGLIESE, op. ult. cit., 757-759. Qualora si ammetta la presenza del concetto, già nel diritto romano, a prescindere dalla ricorrenza alla terminologia del ius in re aliena, si pone il problema delle ragioni della sua maturazione, venendosi a porre in relazione ai profili di superamento del modello potestativo (unitario o meno) in capo al pater familias. Sullo schema del ius in rem proprio della cultura giuridica maturata nel sistema di common law vd. G. PUGLIESE, Diritti reali cit., 756 ; R. FEENSTRA, ‘Dominium’ cit., 111-112 e n.3. 22 Sulla nascita della terminologia vd. supra n. precedente. Per la nascita sostanziale di tale schema giuridico nella nostra tradizione e l’importanza che le servitù prediali urbane ebbero su di essa, vd. per tutti, G. GROSSO, Le servitù prediali nel diritto romano cit., 49 ss.; IDEM, Schemi giuridici e società nella storia del diritto privato romano, Torino, 1970, 243 ss.; F. GALLO, Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto, Torino, 1993 (edizione completata), in particolare 107 ss. Sull’importanza delle servitù prediali urbane per la rottura del modello ‘potestativo’, sebbene esso non debba necessariamente essere considerato come unitario, vd. anche L. CAPOGROSSI COLOGNESI, La struttura della proprietà e la formazione dei “iura praediorum” nell’età repubblicana, II, Milano, 1976, in particolare pp. 271 ss. La possibilità di un tale collegamento, evidenziato in dottrina, potrebbe perdere molta della sua forza, qualora si aderisca

15

È da evidenziare innanzitutto l’angolo di visuale che tradisce l’evidente prospettiva

proprietaria (dello Stato, del municipio o del privato) che nella Costituzione Russa, nel nuovo

Codice Civile russo e nel Codice fondiario russo trova unitaria espressione in termine di facoltà

elencate come contenuto del potere del proprietario (diritto di possedere, usare, percepire i frutti e

diritto di disporre). Nel diritto russo post-sovietico sembrerebbe, quindi, prevalere un paradigma

proprietario coerente alla prospettiva del modello codificato nell’art. 544 Codice Napoleone del

1804.

Arrestarsi a questo dato, però, significherebbe tradire il senso e lo sforzo di una

interpretazione del diritto russo come calato in un rapporto di dialogo costruttivo con la tradizione

civilistica fondata sul diritto romano. In primis, in quanto proprio la netta divergenza che nel diritto

di gestione dei fondi agricoli emerge in relazione allo schema della titolarità delle terre in godimento

rispetto ad altri diritti di godimento su cosa altrui, deve già mettere in guardia da facili e pericolosi

accostamenti.

È quindi, a mio avviso, necessario ponderare con attenzione la disciplina di alcuni istituti

dell’appartenenza della terra in Russia, al fine di evidenziare profili di essa che possano permetterci

di cogliere con maggiore concretezza la struttura e la funzione di questi diritti. In tal modo, si potrà,

a mio avviso, con maggior senso realistico cogliere l’adeguatezza dello schema giuridico prescelto

dal codificatore russo nella sua scelta di guardare al fenomeno non esclusivamente attraverso un

paradigma unitario della proprietà.

5. Obbligazione dei moderni e obbligazione dei Romani A. L’obbligazione come «Herrschaft über eine einzelne Handlung» in Savigny e la scissione ‘Handlung’ - ‘Freiheit’.

– L’approfondimento in chiave dialettica tra obbligazione e libertà si deve soprattutto al

giusnaturalismo23 . La preoccupazione che ne sta alla base non lascia però trasparire alcuna

consapevolezza storica del radicamento di un tale rapporto nella Urstruktur dello schema giuridico

ed esprime, piuttosto, un condizionamento interno alla costruzione del sistema giusnaturalistico24.

Esso peraltro porta essenzialmente a una svalutazione delle caratteristiche della nozione, in altri

termini un indebolimento di una adeguata consapevolezza dogmatica, a favore di una più ampia

visione dei rapporti tra gli uomini. In questa prospettiva, il giusnaturalismo sembra quasi ribaltare i

alla tesi di A. CORBINO, Ricerche sulla configurazione originaria delle servitù, I, Milano, 1981; IDEM, Servitù a) Diritto romano, in Enc. del Dir. XLII, 1990, 243 ss., che critica la differenziazione, sul piano della struttura giuridica degli antichi iter via actus aquaeductus come res mancipi, tra questi e i primi iura praediorum urbanorum. 23 Puntuale L. LANTELLA, Note semantiche sulle definizioni di «obligatio», in Studi in onore di G.Grosso, IV, 1971, 168 n.4. Importanti le pagine di F. WIEACKER, Die vertragliche Obligation bei den Klassikern des Vernunftrechts, in Festschr. Welzel, Berlin - New York, 1974, 7 ss. 24 Vd. S. PUFENDORF, De iure naturae et gentium, Francofurti et Lipsiae, 1759 [Rist. Frankfurt a.M., 1967], 357 ss.

16

termini storici nei quali si era concretamente posto il rapporto tra obbligazione naturale e civile,

accentuando la caratterizzazione della categoria in base alla prima piuttosto che alla seconda25.

In particolare, per la sua importanza in rapporto alla costruzione di Savigny, si deve

evidenziare la costruzione di Grozio sugli effetti della promissa faciendi come alienatio particulae nostrae

libertatis, da tenere distinta dalla promissa dandi quale via ad alienationem rei26.

Ma è sicuramente con la scuola storica che ed in particolare con Savigny che il rapporto tra

obbligazione e libertà viene colto e risolto in una chiave nuova, con uno sforzo costruttivo

concettuale possente, condizionando il sapere giuridico successivo fino ad oggi.

Seguiamone da vicino alcuni passaggi:

Savigny, Pandektenvorlesung (1824/25), 279 [= 201] «Vom Begriff der Obligatio... Hier wird eine Person der Willkür einer andern partiell beschränkt unterworfen, so daß ihre Freiheit nicht aufhört... Ein Verhältnis zwischen zwei bestimmten Individuen, worin eine einzelne Handlung des einen der Willkür des andern unterworfen wird, ist das Wesen der Obligatio.»27 Savigny, System I (1840), 338-339 «Nicht so einfach sind diejenige Rechtverhältnisse, deren Gegenstände fremde Personen sind, da wir zu solchen in zwei ganz ungleichartigen Beziehungen stehen können. – Die erste mögliche Beziehung zu einer fremden Person ist die, worin dieselbe, auf ähnliche Weise wie eine Sache, in das Gebiet unserer Willkür herein gezogen, also unserer Herrschaft unterworfen wird. Wäre nun diese Herrschaft eine absolute, so würde dadurch in dem Andern der Begriff der Freiheit und Persönlichkeit aufgehoben; wir würden nicht über eine Person herrschen, sondern über eine Sache , unser Recht wäre Eigentum an einem Menschen,[/] so wie es das Römische Sklavenverhältnis in der Tat ist. Soll dieses nicht sein, wollen wir uns vielmehr ein besonderes Rechtverhältnis denken, welches in der Herrschaft über eine fremde Person, o h n e Z e r s t ö r u n g i h r e r F r e i h e i t b e s t e h t , so dass es dem Eigentum ähnlich, und doch von ihm verschieden ist, so m u s s d i e H e r r s c h a f t n i c h t a u f d i e f r e m d e P e r s o n i m G a n z e n , s o n d e r n n u r a u f e i n e e i n z e l n e H a n d l u n g d e r s e l b e n b e z o g e n w e r d e n ; diese Handlung wird dann, als aus der Freiheit des Handelnden a u s g e s c h i e d e n , und unserem Willen unterworfen gedacht. Ein solches Verhältnis der Herrschaft über eine einzelne Handlung der fremden Person nennen wir Obligation.».28

25 A riguardo, vd. H. HATTENHAUER, Grundbegriffe des Bürgerlichen Rechts. Historisch-dogmatische Einführung, München, 1982, 79-81; F. WIEACKER, Die vertragliche Obligation bei den Klassikern des Vernunftrechts cit., 11 ss. (Grotius, Hobbes, Pufendorf); vd. anche K. LUIG, Die Pflichtenlehre des Privatrechts in der Naturrechtsphilosophie von Christian Wolff, in Libertas (Symposion 80. G. F. Wieacker), Hrsg. O. BEHRENDS – M. DIESSELHORST, Ebelsbach, 1991, 209 ss., che approfondisce il contributo di Christian Wolff. In generale, sopra Pufendorf, si veda ora lo studio di G. HARTUNG, Die Naturrechtsdebatte. Geschichte der Obligatio vom 17. bis 20. Jahrhundert, München, 19992, 34 ss. [Un approfondimento sul giusnaturalismo si trova ora anche in F. DORN, Begriff des Schuldverhältinisses cit., 148-151.]. 26 H. GROTIUS, De jure belli ac pacis. Libri tres in quibus ius naturae et gentium item iuris publici praecipua explicantur, Neudruck Aalen, 1993 editionis anni 1939 curavit B. J. A. DE KANTER - VAN HETTINGA TROMP, II, 11 § 4.1, 329. Sopra i presupposti di questa immagine, vd. F. WIEACKER, Die vertragliche Obligation bei den Klassikern des Vernunftrechts cit., 148-151. 27 «Sul concetto di obligatio... In questo caso una persona è limitata parzialmente sottoposta alla volontà di un’altra, così che la sua libertà non cessi... Un rapporto tra due determinati individui, in base al quale una singola prestazione di uno è sottoposta alla volontà dell’altro, <ciò> è la sostanza dell’obligatio». 28 «Non così semplici sono quei rapporti di diritto, che hanno per oggetto persone, imperocché noi possiamo trovarci con una persona, si è quella in cui essa è sottoposta, in modo simile alle cose, alla nostra volontà, ed è quindi soggetta al nostro dominio. Se questo dominio fosse assoluto, non sarebbe più concepibile, in colui che vi soggiace, la esistenza della libertà e della personalità; questo nostro dominio non cadrebbe più sopra una persona, ma sopra una cosa, il nostro diritto sarebbe proprietà sopra un uomo, tale quale era in realtà il rapporto di schiavitù nel diritto romano. Ma se così non deve essere, se anzi noi vogliamo che si tratti di un rapporto giuridico particolare, che consista nel dominio sopra una persona senza che ne

17

Savigny, Obligationenrecht I (1851), 4-7 «Sie [die Obligation] besteht in der Herrschaft über eine fremde Person; jedoch nicht über diese Person im Ganzen (wodurch deren Persönlichkeit aufgehoben sein würde), sondern über einzelne Handlungen derselben, die als aus ihrer Freiheit ausscheidend, und unserem Willen unterworfen, gedacht werden müssen. ... In jeder Obligation finden wir zwei Personen, die einander in u n g l e i c h e m V e r h ä l t n i s gegenüber stehen. [/5] Auf der einen Seite erscheint die persönliche Freiheit erweitert über ihre natürliche Grenze hinaus, als Herrschaft über eine fremde Person; auf der anderen Seite erscheint die natürliche Freiheit eingeschränkt, als ein Zustand der Unfreiheit oder Notwendigkeit. ... [6] Die Handlungen, deren Notwendigkeit das Wesen der Obligation bildet, wurden bezeichnet als einzelne, im Gegensatz der persönliche Freiheit im Ganzen, und als ausscheidend aus der eigenen Freiheit des Handelnden. ... Die Bezeichnung der Handlungen als einzelner ist nicht so zu beschränken, als ob durch jede Obligation stets nur eine einzige Handlung notwendig werden könnte; sie kann vielmehr auch auf mehrere einzelne gerichtet sein, ja auch auf solche die eine fortgesetzte, zusammenhängende Tätigkeit darstellen. Nur müssen sie stets im Verhältnis zum ganzen Umkreis der Freiheit des Schuldners als ein minimum erscheinen, weil nur durch dieses Verhältnis die in der Obligation enthaltene Unfreiheit gedacht werden kann, ohne die Persönlichkeit des Schuldners selbst aufzuheben. ... Dann durch ihre Dauer, indem meist die Erfüllung der Obligation ihre augenblickliche Auflösung herbeiführt, in welchen Fällen es augenscheinliche ist, dass das Ziel der Obligation nicht die Unfreiheit der Person an sich, sondern nur die Gewissheit des Erfolges ihrer Tätigkeit sein soll.»29. La strada intrapresa dal rinnovato interesse su Savigny 30 , condizionato anche dalla

pubblicazione di nuovo materiale, mi sembra che si colleghi - precisandola e demitizzandone alcune

derive - efficacemente al quadro delineato nei primi decenni postbellici da alcuni importanti studi31.

rimanga annientata la sua libertà, sicché esso sia simile alla proprietà e tuttavia differente, questo dominio non potrà necessariamente estendersi alla totalità della persona, ma sarà limitato solamente ad un singolo atto della medesima; questo atto viene allora ad essere come sottratto alla libertà dell’agente e considerato come sottoposto alla nostra volontà. Un tale rapporto di dominio sopra un singolo atto di una persona vien chiamato obbligazione»; da F.C. DI SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, Trad. dall’originale tedesco da V. SCIALOJA, I, Torino, 1886, 341-342. 29 «Il concetto dell’obbligazione venne già da noi altrove definito (a) come una signoria sopra una persona; ma non sulla sua totalità (poiché in questo caso ne resterebbe soppressa la personalità), ma sopra singoli atti della medesima che vengono concepiti come sottratti alla sua libertà e assoggettati al nostro volere. ... In ogni obbligazione figurano almeno due persone che si trovano l’una di fronte all’altra in un rapporto di ineguaglianza. Da una parte la libertà personale del creditore resta allargata oltre i suoi confini naturali, trasformandosi in una signoria sulla persona del debitore; dall’altra parte, per contro, la libertà naturale del debitore resta ristretta, venendo egli a trovarsi in uno stato di soggezione o necessità. ... Gli atti, la necessità dei quali costituisce l’essenza dell’obbligazione, vennero da noi indicati come atti singoli (in contrapposto alla libertà personale considerata come un tutto), e come sottratti alla libertà propria dell’agente.

... Dall’aver noi indicati gli atti che il debitore deve compiere come atti singoli, non deve trarsi l’illazione che ad ogni obbligazione debba corrispondere un solo atto; al contrario ogni obbligazione può essere rivolta a più atti e tali da costituire una attività continuata e complessa. Ma di fronte alla complessiva sfera della libertà del debitore, essi devono consistere in un minimum, giacché solo a tale condizione si può concepire quella soggezione che costituisce l’essenza della obbligazione, senza distruggere la personalità del debitore»; da F. C. DI SAVIGNY, Le obbligazioni, Trad. dall’originale ted. con Appendici di G. PACCHIONI, I, Torino, 1912, 4; 6. 30 Particolarmente ricco di suggestioni, il seminario internazionale Su Federico Carlo di Savigny, promosso da P. GROSSI, i cui Atti sono in Quaderni fiorentini 9, 1980. Da segnalare poi, almeno, A. MAZZACANE, Savigny e la storiografia giuridica tra storia e sistema, Napoli, 1976; ID., Jurisprudenz als Wissenschaft, in F. C. VON SAVIGNY, Vorlesungen über juristische Methodologie (1801-1842), Frankfurt am Main, 2004, 1-56; J. RÜCKERT, Idealismus, Jurisprudenz und Politik bei Friedrich Carl von Savigny, Ebelsbach, 1984; D. NÖRR, Savignys philosophische Lehrjahre. Ein Versuch, Frankfurt am Main, 1994; su cui vd. le letture di K. LUIG, in T. LXV, 1997, 189 ss.; e di A. MANTELLO, Ancora su Savigny, in BIDR. C, 1997 [pubbl.2003], 361 ss.

18

Il punto che emerge con evidenza è la problematicità, agli occhi di Savigny, nel «rapporto

giuridico» con altre persone (diverso quindi dal «rapporto giuridico» con sé medesimo e da quello

con porzioni limitate della «unfreie Natur», cioè con le cose), della dialettica Herrschaft-Freiheit. Il nodo

si pone già nella Pandektenvorlesung del 1824-25, sebbene la sua più compiuta verifica va riconosciuta

nel System, con importanti e ulteriori precisazioni nel Obligationenrecht.

L’oscillazione negli accenti che attraversa l’uso di parole chiave come «Willkür», «Herrschaft» e

«Freiheit» nelle tre opere, abbisogna - come momento dialettico fondamentale - un

approfondimento attraverso la nozione di «persönliches Recht» di Kant delle Metaphysische Anfangsgründe

der Rechtslehre del 1797:

«[96] Vom persönlichen Recht. Der Besitz der Willkür eines Anderen, als Vermögen sie, durch meine, nach Freiheitsgesetzen zu einer gewissen Tat zu bestimmen /[97] ist ein Recht. ... [101] Was ist aber das Äußere, das ich durch den Vertrag erwerbe ? Da es nur die Kausalität der Willkür der Anderen in Ansehung einer mir versprochene Leistung ist... Durch den Vertrag also erwerbe ich das Versprechen eines Anderen (nicht das versprochene) und doch kommt etwas zu meiner äußeren Habe hinzu; ich bin vermögender (locupletior) geworden, durch Erwerbung eine a c t i v e n O b l i g a t i o n a u f d i e F r e i h e i t , u n d d a s V e r m ö g e n d e s A n d e r e n . D i e s e s m e i n R e c h t a b e r i s t n u r e i n p e r s ö n l i c h e s , n ä m l i c h g e g e n e i n e b e s t i m m t e p h y s i s c h e P e r s o n u n d z w a r a u f i h r e K a u s a l i t ä t ( i h r e W i l l k ü r ) z u w i r k e n , m i r e t w a s z u l e i s t e n , n i c h t e i n S a c h e n r e c h t , g e g e n d i e j e n i g e m o r a l i s c h e P e r s o n . . . » 32.

Da un lato è stato evidenziato come la costruzione kantiana sia tutta incentrata sulla «volontà

dell’individuo», mentre il System savigniano, costruito sul Rechtsverhältnis, accentua il (aggiungerei

naturale) «vincolo sociale della persona»33. Da questo punto di vista, le due posizioni sono distanti.

Si può però andare oltre e cercare di cogliere alcune sfumature, come il rapporto Besitz (Kant) –

Herrschaft (Savigny), l’identità dell’importanza per entrambi della limitazione dell’altrui «libero

arbitrio» e il suo coordinamento con la «libertà», la scissione kantiana tra «persona fisica» e «persona

morale» in rapporto alla distinzione savignyana tra «natürliche Freiheit» e la «Persönlichkeit».

31 Mi riferisco soprattutto a F. WIEACKER, Gründer und Bewahrer, Göttingen, 1959, 107 ss.; E. WOLF, Grosse Rechtsdenker der deutschen Geistesgeschichte, Tübingen, 1963, 467 ss.; G. MARINI, Savigny e il metodo della scienza giuridica, Milano, 1966. 32 «Del diritto personale. Il possesso dell’arbitrio di un altro, come facoltà di determinarlo, per mezzo del mio proprio arbitrio e secondo le leggi della libertà, a una certa azione (...) è un diritto. ... Che cosa è ora l’esterno, che io acquisto per mezzo di contratto ? Siccome non si tratta qui che della causalità dell’arbitrio di un altro relativamente a una promessa che mi è fatta... Per mezzo del contratto, dunque, io acquisto soltanto la promessa di un altro (non la cosa promessa), e perciò si aggiunge qualche cosa al mio avere esterno; io sono diventato più ricco (locupletior) in forza dell’acquisto di un’obbligazione attiva, che io posso imporre alla libertà e alle facoltà di un altro»; da I. KANT, Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Trad. di G. SOLARI – G. VIDARI, ed. postuma a cura di N. BOBBIO – L. FIRPO – V. MATHIEU, Torino s.d., 452; 455. [Ora, F. DORN, Begriff des Schuldverhältnisses cit., 151-152, vede in Kant il punti di partenza della costruzione di Savigny]. 33 H. HATTENHAUER, Grundbegriffe des Bürgerlichen Rechts cit.,82 e 84. [F. DORN, Begriff des Schuldverhältnisses cit., 152 parla invece di «relazione (di convivenza) da persona a persona, determinata da una regola giuridica»].

19

Un dato mi sembra indubitabile: Kant vede l’obbligazione come estensione della volontà dal

punto di vista del creditore, mentre Savigny è coerente alla linea tradizionale radicata nel diritto

romano che tende a guardare la cosa, almeno nel suo campo di incidenza, dal lato del debitore.

Kant è proiettato sulla estensione del mio, e quindi è proiettato verso una lettura in positivo del

rapporto in termini di «possesso dell’altrui libero arbitrio» allo scopo di determinarne una condotta.

Ma le conseguenze di ciò non sfuggono al filosofo, che precisa come ciò comporterà per me

l’acquisto di «una obbligazione sulla libertà di un altra persona». La natura personale del diritto si

caratterizzerebbe, per Kant, nel limitare la persona nella sua fisicità impossessandosi del suo libero

arbitrio limitatamente ad un singolo comportamento, e non un diritto reale incidente sulla persona

intesa nella sua dimensione morale.

Savigny, sebbene si trovi, direi per vocazione, proiettato a guardare al rapporto giuridico in

esame da una prospettiva debitoria, viene condizionato dal modello kantiano e quasi guidato da una

analoga linea dalla combinazione tra diritti reali e obbligazioni entro il Vermögensrecht del System, i

quali «appaiono come forme diverse di estensione del potere..., la cui creazione e modificazione

può essere diretta dalla volontà»34. Besitz e Herrschaft sono espressione, quindi, di due diverse

risposte ad una medesima esigenza, che ha condizionamenti in parte verificabili.

La prospettiva debitoria che caratterizza l’impostazione di Savigny, sembra condurlo ad

accentuare non l’estensione della volontà del creditore (che si impossessa di quella del debitore

relativamente ad una specifica prestazione), ma la limitazione della volontà del debitore. Il nodo

della questione, intuito già da Kant, quando scinde limitazione del libero arbitrio della persona

fisica del debitore e conservazione integerrima della persona dello stesso nella sua accezione

morale, trova quindi pieno risalto in Savigny nel rapporto problematico tra Herrschaft del creditore e

Freiheit del debitore. E qui, credo, emerga il sottile filo che lega debolmente il discorso intessuto da

Savigny con la diversa costruzione di Kant. La via seguita dal giurista ha un che di minore finezza,

rispetto al rigore della distinzione kantiana tra persona nella sua fisicità e persona nella sua identità

morale, ma ne è in qualche modo condizionata: si distingue cioè la libertà fisica della persona che

potrà subire una limitazione quantitativamente limitata (ad es. vd. l’accentuazione del minimum nel

Obligationenrecht) attraverso l’incidenza su una determinata prestazione, ma che non intacca

qualitativamente la «personalità» del debitore. Direi che emerge a riguardo una cosciente

maturazione del pensiero savignyano dalla Pandektenvorlesung del 1824-25, attraverso il primo tomo

del System del 1840, fino al Obligationenrecht del 1851.

34 M. BRUTTI, La sovranità del volere nel sistema di Savigny, in Su Federico Carlo da Savigny, cit., 265 ss. in particolare p.281.

20

La via aperta dal criterio quantitativo attinge, consapevolemente35, alla distinzione di Hegel

tra concessioni di singole produzioni e usi limitati nel tempo della propria attività, che non

inciderebbero sulla «personalità», caratterizzata dalla «totalità» e dalla «generalità»36. L’elemento

quantitativo permetterebbe di escludere una disposizione di sé, nella propria totalità di essere

umano. Al di là dell’importanza che la costruzione hegeliana ha in rapporto al riconoscimento della

coerenza del contratto di lavoro subordinato in rapporto alla salvaguardia della libertà del

lavoratore - a differenza del rapporto padrone-schiavo -37 essa permette di coordinare, nel disegno

di Savigny, il momento della «signoria» con quello della «libertà», eludendo, attraverso il rilievo

quantitativo, la contraddizione evidente sul piano ontologico.

Cosa questa definizione dell’obbligazione rappresenta storicamente per il nostro sapere

giuridico ? Essa sembra aver nascosto, velato, risolvendolo in un modo coerente ai presupposti da

cui essa partiva, ma storicamente contestualizzabili, la questione di fondo, il nodo problematico che

aveva mosso fin dal giusnaturalismo l’approfondimento del rapporto tra libertà del debitore e

contenuto del potere del creditore. La soluzione, quella di astrarre la libertà dalla persona e limitarla,

in modo quantitativamente accettabile, attraverso il concetto di libertà alla prestazione, sembra

idonea a salvaguardare la libertà della persona nella sua accezione morale soltanto, però, se si parte

dai presupposti filosofici kantiani. In ogni caso, coniugata ad una concezione del diritto privato tra

uomini formalmente liberi ed eguali, essa ha trovato un sostanziale accoglimento.

La critica postsavignyana, infatti, che stigmatizza l’incoerenza e l’irrealtà di una «signoria su

una prestazione»38 (critiche confermate anche nella variante del «diritto ad una prestazione» del

Puchta)39, sostanzialmente non intacca le linee di fondo della soluzione data. Essa inciderà solo

sull’oggetto, che nella variante del Windscheid non sarà più la prestazione, ma la «volontà» del

debitore ad eseguire la prestazione, variante che condizionerà indirettamente il § 241 del BGB, che

35 F.C. SAVIGNY, Das Obligationenrecht cit., 6 n.d. 36 G. W. F. HEGEL, Grundlinien der Philosophie des Rechts, in Werke [Auf der Grundalge der Werke von 1832-1845], Frankfurt a.M., 2000, 7, § 67, 144-145: «Von meinem besonderen, körperlichen und geistigen Geschicklichkeiten und Möglichkeiten der Tätigkeit kann ich einzelne Produktionen und einen in der Zeit beschränkten Gebrauch von einem anderen veraüßern [ d.h. den ein anderer davon machen kann], weil sie nach dieser Beschränkung ein äußerliches Verhältnis zu meiner Totalität und Allgemeinheit erhalten. Durch die Veräußerung meiner ganzen durch die Arbeit konkreten Zeit und der Totalität meiner Produktion würde ich das Substantielle derselben, meine allgemeine Tätigkeit und Wirklichkeit, meine Persnlichkeit zum Eigentum eines anderen machen. Es ist dasselbe Verhältnis wie... zwischen der Substanz der Sache und ihrer Benutzung; wie diese, nur insofern sie beschränkt ist, von jener verschieden ist, so ist auch der gebrauch meiner Kräfte von ihnen selbst und damit von mir nur unterschieden, insofern er quantitativ beschränkt ist; - die Totalität der Äußerungen einer Kraft ist die Kraft selbst - ... – der Besonderungen das Allgemeine». 37 A riguardo è significativa la diversa impostazione, più radicata a mio avviso nella realtà delle cose, che emerge dalla regola maturata nella scuola dei Glossatori di un divieto di locare operas in perpetuum, ne inutilis esset libertas; sul punto vd. l’insegnamento di Irnerio ricordato da Accursio, nella gl. ‘reverti’ a D.7, 1, 3, 2, su cui T. REPGEN, Vertragstreue und Erfüllungszwang in der mittelalterlichen Rechtswissenschaft, Paderborn, 1994, 52-53. 38 A. BRINZ, Begriff der Obligation, in Kritische Blätter civilistischen Inhalts, n.3, Erlangen, 1853, 3-11. 39 Vd. l’ironia sulla nozione puchtiana di obligatio in R. V. JHERING, Scherz und Ernst in der Jurisprudenz, Leipzig, 1885, 10 e 261.

21

non definisce l’obbligazione ma, come la dottrina tedesca ha puntualizzato, semmai il rapporto

obbligatorio40:

«Kraft des Schuldverhältnisses ist der Gläubiger berechtigt, von dem Schuldner eine Leistung zu fordern..»

B. La costruzione romana dell’obbligazione. – Le definizioni romane dell’obbligazione, quelle di:

I. 3, 13 pr. Obligatio est iuris vinculum, quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura. [L’obbligazione è il vincolo di diritto, attraverso il quale noi siamo costretti per necessità al pagamento di una qualche cosa secondo i diritti della nostra città].

e di: D. 44, 7, 3 pr. Paulus libro secundo institutionum: Obligationum substantiam non in eo consistit ut aliquod corpus nostrum aut servitutem nostram faciat sed ut alium nobis obstringat ad dandum aliquid vel faciendum vel praestandum. [Digesto giustininaeo libro 44, titolo 7, terzo frammento tratto dal giurista Paolo, nel libro secondo delle Istituzioni: L’essenza delle obbligazioni non consiste in questo che diventi nostro un qualche bene corporale o un diritto reale di godimento, ma che un’altra persona sia costretta a dare o a fare o a garantire qualcosa a noi.]

sulle quali è stata misurata fino alla scuola storica la nozione 41 , veicolano un’immagine

«sproporzionata» della struttura dello schema giuridico42. In sostanza, sebbene l’elemento del

dovere ad una prestazione sia presente in entrambe - con caratterizzazioni diverse - esse sembrano

rappresentare uno sbilanciamento a favore della responsabilità rispetto al debito (iuris vinculum quo

necessitate adstringimur / obligationum substantiam ... consistit ... ut alium nobis obstringat). La stonatura,

puntualmente colta in dottrina, rappresenta un protagonismo dell’elemento della ‘responsabilità’

che è il sintomo non necessariamente di un originario ‘vincolo’ effettivo, materiale del debitore,

costruzione che così tanto ha pesato nelle ipotesi ricostruttive della scienza romanistica sui

prodromi della obbligazione43, quanto della difficoltà originaria che i pontifices, come custodi e

elementi guida del ius arcaico, ebbero nell’elaborare uno schema giuridico che permettesse di

imporre un dovere alla prestazione a chi godeva della pienezza degli status, cioè il pater familias, senza

40 Si veda per altro la discussione sull’opportunità di una definizione codicistica della obbligazione già nel c.d.«Progetto di Dresda», sopra n.4. 41 Sulle due definizioni romane di obligatio si segnalano nella dottrina più recente in particolare G. SCHERILLO, Le definizioni romane delle obbligazioni, in Studi in onore di G. Grosso, IV, (1971), 95 ss.; L. LANTELLA, Note semantiche sulle definizioni di «obligatio» cit., 165 ss.; C. A. CANNATA, Le definizioni romane dell’«obligatio». Premesse per uno studio della nozione di obbligazione, in Studi in memoria di G. D’Amelio, I, Milano, 1978, 131 ss.; M. TALAMANCA, Obbligazioni (dir. rom.), in ED. XXIX, 1 ss. in particolare 18-20; B. ALBANESE, Papiniano e la definizione di ‘obligatio’ in J. 3, 13 pr., in SDHI. L, 1984, 167 ss.; A. GUARINO, Obligatio est iuris vinculum, in SDHI. LXVI, 2000, 263 ss. = in Iuris vincula. Studi in onore M. Talamanca, IV, 343 ss.; e ora la monografia di G. FALCONE, Obligatio est iuris vinculum, Torino, 2004. 42 Sebbene l’indubbia «sproporzione tra prestazione e sanzione» non deve necessariamente condurre al disconoscimento della natura di obbligo allo schema giuridico in favore dell’onere; vd. G. PUGLIESE, Actio e diritto subiettivo, Milano, 1939, 208-209; P. RESCIGNO, Obbligazioni (diritto privato) a) Nozioni generali, in ED. XXIX, 1979, 133 ss., in particolare 142. 43 Per un ridimensionamento della lettura ‘materiale’ e per una caratterizzazione, per opposizione, dell’obligatio come iuris vinculum, rispetto, invece, a «situazioni vincolanti riconducibili all’àmbito dell’officium», vd. ora G. FALCONE, Obligatio est iuris vinculum cit., 99 ss.

22

in alcun modo intaccare tale pienezza. La indicata sproporzione non ha mai comportato nel diritto

romano e poi nella tradizione civilistica su esso maturata la scissione tra i due elementi strutturali

del ‘debito’ e della ‘responsabilità’ - a differenza dell’antico diritto germanico – e conserva in ogni

caso con nettezza la intima interconnessione tra essi44.

Potrebbe, altresì, non essere corretto insistere sulla autonomia degli elementi del debito e

della responsabilità nella struttura della obbligazione, in quanto la loro intima connessione ha in sé

anche una coloritura funzionale 45 . La responsabilità ha lo scopo di spingere il debitore ad

adempiere, cioè, nelle obbligazioni da contratto, a rispettare il dovere di prestazione assunto. Essa,

però, in qualche modo assume adeguato senso all’interno di meccanismi di coazione indiretta che

partano dal necessario rispetto della piena indipendenza e libertà del soggetto passivo. Tanto più

sentita è la posizione di autonomia e di – per così dire – ‘sovranità’ della persona che deve prestare

qualcosa, quanto più la responsabilità è sproporzionata al debito al quale si connette

indissolubilmente.

A riguardo, la definizione delle Institutiones Iustiniani, quasi una «definizione autobiografica

formulata dai debitori»46, esprime in pieno questa unicità e compattezza della persona del debitore

(<nos> adstringimur). Ma anche nella prospettiva creditoria emergente in Paolo il dato è sicuro (u t

a l i um n o b i s o b s t r i n g a t ). Ciò è conforme con quanto emerge a livello strutturale da quello che

potremmo ritenere l’archetipo dell’obbligazione che, meglio di altri, ne ha caratterizzato lo schema

nella nostra tradizione giuridica: cioè l’oportere ex sponsione47.

Pesando gli elementi di struttura dello schema giuridico qui in esame in una dimensione

storica, si scorge come essi abbiano subito trasformazioni, cambiamenti e precisazioni nei numerosi

secoli da esso attraversati, fino a noi. In particolare sia per quanto riguarda i tipi di prestazione

dovuta (dal certum dare al dare facere praestare), sia per quanto attiene al tipo di responsabilità

minacciata (personale [manus iniectio; prigionia ecc.], patrimoniale [bonorum venditio; esecuzione

patrimoniale ecc.]; responsabilità sproporzionata o proporzionata al valore della prestazione dovuta

ecc. ecc.). Mai, però, si incontra una frattura reale dello schema giuridico della «obbligazione» nella

44 Vd. E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni. II. Struttura dei rapporti di obbligazione, Milano, 1953, 59-60; M. TALAMANCA, Obbligazioni cit., 20-21. 45 Puntuale F. HINESTROSA, Tratatdo de las Obligaciones. Concepto estructura vicisitudines, Bogotà, 2002, 73-74: «Débito y responsabilidad, debitum y actio, Schuld und Haftung, momentos de la obligaciÒn, sin los cuales el concepto no sería completo ni su funcionamento se podría entender a cabalidad». 46 L. LANTELLA, Note semantiche cit., 180. 47 Fondamentale, a riguardo, M. TALAMANCA, Obbligazioni cit., 8-11, in particolare, cogliendo la differenza degli effetti della sponsio col fenomeno dei vades e dei praedes: «L’aspetto religioso serve ad un determinato momento, per superare le difficoltà di ordine eminentemente pratico offerte, per l’appunto, dall’immediato asservimento materiale, e per creare un vincolo che sia esclusivamente potenziale, destinato ad attuarsi quando l’aspettativa creditoria sia frustrata» (p.11).

23

sua essenza prima, o tale da ritenere di non potersi parlare di «continuità»48. La intima connessione

tra responsabilità e debito (almeno per comodità di immagine così possiamo rappresentarcela)

rimane elemento caratterizzante la nozione, e dimostra come il «colpo d’ali» della giurisprudenza

pontificale nella società agricola e aristocratica della Roma del VI-V sec. a.C.49, rappresentato dalla

creazione di un certum dari oportere ex sponsione, conserva intatta un’esigenza attualissima, quella di

disporre di uno schema giuridico idoneo a creare tra due persone, che per definizione si pongono

su un piano di parità ed eguaglianza formale, un rapporto giuridico che impone ad una di esse un

comportamento in favore dell’altra avente un contenuto patrimonialmente valutabile, senza

intaccarne la condizione giuridica, senza quindi in sostanza mai sfociare nell’a s sogge t t amen to .

Si tratta, come è stato autorevolmente ribadito, di un «rapporto tra soggetti di diritto che stanno,

l’uno di fronte all’altro, su piede di eguaglianza: un rapporto tra pari»50. Questa esigenza, sorta in

rapporto alla salvaguardia della pienezza degli status dei patresfamilias della Roma arcaica, per i quali,

per così dire, la ontologica eguaglianza giuridica di posizioni nella civitas emergeva in re ipsa, ha poi

dimostrato una grande vocazione universalista nei rapporti tra tutti gli uomini, tanto più entro una

concezione di eguaglianza formale tra essi, come quella ereditata dai diritti codificati dal

giusnaturalismo. Con un’immagine provocatoria, potremmo dire che la storia dell’obbligazione

riflette una partecipazione di tutti gli uomini ad un diritto che era esclusivo dei rapporti aristocratici

tra patres familias nel ius civile arcaico51. Un’assimilazione in melius per tutti noi, per così dire.

Una tendenza contraria potrebbe dimostrarsi, invece, quella relativa agli attuali processi di

unificazione del diritto, coerenti a spinte di globalizzazione. Essi sembrano segnare una tensione

48 La diversa conclusione di A. M. HESPANHA, Panorama histórico da cultura jurídica europeia, Lisbõa, 19992 = cito da trad. it. Introduzione alla storia del diritto europeo, Bologna, 1999, 13 n.1, mi sembra condizionata da una sopravvalutazione delle dottrine romanistiche sui prodromi della obbligazione nel diritto arcaico e, in ogni caso, anche se la si volesse seguire segnerebbe una discontinuità non tanto tra diritto odierno e diritto romano, quanto tra diritto romano arcaico e diritto romano classico, quando la nozione di obbligazione mostra oramai strutturalmente e funzionalmente la caratterizzazione poi consueta. 49 «Il diritto romano acquistò ali con l’introduzione della nozione di obbligazione. Quello dell’obbligazione è uno schema da diritto altamente scientificizzato: i diritti consuetudinari medievali, precedenti la recezione del diritto romano, soffriranno ancora della grande lacuna del diritto delle obbligazioni, conoscendo praticamente solo schemi di responsabilità» C. A. CANNATA, Obbligazioni nel diritto romano, medievale e moderno, in Digesto IV, Disc. Civ., 1995, 409 ss., le parole riportate sono a 416. Lo stesso studioso colloca nel secolo precedente della Legge delle XII Tavole l’«invenzione» pontificale della obbligazione, Corso di istituzioni di diritto romano, II, 1, Torino, 2003, 61 ss. 50 E. BETTI, La struttura dell’obbligazione romana e il problema della sua genesi, Milano, 1955 (Rist. dell’edizione del 1919), 55 (più estesamente sul punto 53 ss.); ID., Diritto romano I. Parte generale, Padova, 1935, 471-472. Rapidi spunti anche in L. MITTEIS, Römisches Privatrecht bis auf die Zeit Diokletians, I, Leipzig, 1908, 74 (in rapporto alla potestas unitaria arcaica del pater familias, precisa che «Natürlich kann diese einheitliche Herrschaftsgewalt nur dort eine ausreichende Grundlage des Rechtssystem bilden, wo es an Beziehungen zwischen gleichberechtigten Individuen – Obligationen – fehlt; denn der Begriff der Verpflichtung findet in jenem Gewaltverhältnis keine Unterkunft» e in G. GROSSO, I problemi dei diritti reali nell’impostazione romana (Lezioni universitarie), Torino (s.d. ma 1944), 218 (che parla di una «posizione di indipendenza»). 51 Va notato, per altro, che tali tendenze ‘assimilatrici’ di partecipazione sempre più ampie ad un diritto in origine esclusivo non è cosa scontata e nasconde, lo si voglia o meno riconoscere, una certa vocazione universalista di quel diritto, vocazione che da un lato può essere insita già nel tipo di schema giuridico interessato da tale processo, e d’altro lato può derivare dall’uso che di esso viene fatto nell’attuazione concreta di quel diritto. Un esempio anche altamente significativo in rapporto al diritto romano delle obbligazioni è quello dell’oportere ex fide bona; vd. ora F. GALLO, Bona fides e ius gentium, in AA.VV., Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, Atti del Convegno internazionale di studi in onore di A. Burdese, a cura di L. GAROFALO, II, Padova, 2003, 115 ss., in particolare 137 ss.

24

che potrebbe sfociare in un indebolimento del legame strettissimo tra schema giuridico

(obbligazione) e sua fonte (contratto), indebolimento che fa del contratto atto giuridico ad efficacia

variabile, ma accentuando di quest’ultima solo la coercibilità per le parti. Pacta sunt servanda prevale

sulla caratterizzazione dello schema giuridico nato dal contratto e sulla autonomia che esso avrà dal

contratto stesso.

Il contratto, quindi, che nel modello giusnaturalistico penetrato ampiamente nel processo di

codificazione, si limita a porre in risalto dei suoi elementi quello dell’accordo e tende a svalutare

quello della causa52, può riempirsi dei più svariati contenuti che vanno in ogni caso rispettati, anche

quando essi concretizzerebbero forme di assoggettamento. Si assiste, quindi, ad un possibile

snaturamento della vera funzione del contratto.

Ciò ha conseguenze dirette anche sul ruolo della buona fede, sebbene ad essa venga nei

moderni progetti di unificazione retoricamente riconosciuto il rango di principio, in quanto una

volta separata dall’obbligazione essa perde la sua capacità non solo di guidare le parti nella

realizzazione di quanto promesso, buona fede come regola di condotta, ma altresì di integrare il

contenuto dell’obbligazione nata dal contratto53.

La generalizzazione – che include anche una astrazione – individuante modelli tipici di

prestazione, permette a livello teorico di isolare aspetti di una realtà complessa, concretamente

realizzatasi con la conclusione di un determinato contratto54. Questa realtà complessa è stata

ricostruita dalla scienza giuridica, soprattutto nel XX secolo, svilendo il momento caratterizzante

dello schema giuridico (l’obbligazione) sul quale si impiantava e accentuandone - su un piano più

alto d’astrazione - il momento di «rapporto giuridico». In questo modo, se da un lato questa lettura

è riuscita a superare un’analisi di tipo per così dire unilaterale del rapporto tra debitore e creditore,

recuperando il significativo intreccio di obbligazioni al quale dànno vita la maggior parte dei

contratti, d’altro lato essa sembra intaccare alle fondamenta lo statuto speciale di questo particolare

rapporto giuridico, ben caratterizzato dal suo nascere nella struttura e nella funzione, sì da non

permetterne, salvo lo snaturamento, una contaminazione con altri schemi giuridici.

Fin quando, ad esempio, la prestazione oggetto dell’oportere restò delimitata ad un certum dare,

la tensione tra creditore e debitore finalizzata all’adempimento si caratterizzò nella istantaneità della

soddisfazione creditoria con l’adempimento. La distanza coi rapporti di natura reale era

concretamente marcata. Ma l’estensione a prestazioni continuative, come il facere, ma soprattutto il

52 Puntuale F. GALLO, Contratto e atto secondo Labeone: una dottrina da riconsiderare, in Roma e America. Diritto romano comune 7, 1999, 17 ss. in particolare 44 ss. 53 Per il mio punto di vista, vd. «Bona fides» tra storia e sistema, Torino, 2004, 26 ss. 54 Fondamentale G. B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, 225 ss.

25

non facere e il praestare, oscurò - come è stato auterovelmente detto - «anche il rilievo che

l’obbligazione è destinata ad estinguersi e si estingue coll’adempimento, che ne realizza lo scopo»55.

Ciò si intreccia con l’importanza del principio di buona fede nel nostro sistema giuridico.

L’invenzione che risale con alta probabilità al III-II sec. a.C., «che aveva dalla sua il futuro»56, di

agganciare la clausola ex fide bona all’oportere (OPORTERE EX FIDE BONA) è espressione di concepta verba

elaborati dalla iurisprudentia. Essa è frutto della trasposizione del solemne verbum, che indicava

l’obbligazione tra romani nella tradizione delle legis actiones, in un àmbito, quello delle contrattazioni

commerciali tra stranieri e romani, al quale questo schema giuridico è ritenuto dai giuristi romani

del III-II sec. a.C. sostanzialmente consono, sebbene sentano la necessità di richiamarne il

collegamento con la fides bona. Soltanto una iurisprudentia di livello poteva, a fronte di accordi (pacta

conventa) tra romani e peregrini, che venivano nel traffico commerciale a tipizzarsi in emptiones,

venditiones, locationes, conductiones, mandata, societates, maturare una tutela tipica in termini di formulae di

azioni in ius conceptae (abbandonando o forse mai tentando la strada della formula in factum)57, nelle

quali la pretesa si considera omogenea (sempre QUIDQUID DARE FACERE OPORTET EX FIDE BONA)

sebbene connessa ai diversi tipi negoziali attraverso la demonstratio.

È da precisare che la costruzione consapevole (databile intorno al III-II secolo a.C.) dello

schema giuridico dell’oportere ex fide bona è un momento fondamentale nella storia della

obbligazione, tanto quanto la costruzione pontificale di un oportere ex sponsione. Considerare, infatti,

idoneo lo schema dell’oportere, connesso alla fides bona, ai rapporti tra gli uomini senza delimitazione

di civitas, significa applicare universalmente uno schema giuridico caratterizzato per definizione della

parità giuridica dei soggetti coinvolti (in origine appunto, nel ius civile arcaico, le personae sui iuris).

Con l’accentuazione da parte dei giuristi nel XX secolo della complessità unitaria del

fenomeno dell’obbligazione se ne è colto, nuovamente, con più sensibilità il momento dinamico

(obbligazione come processo), che pone in risalto la funzione e che presenta sicuramente anche

riflessi di struttura. In particolare il trattarsi di un rapporto giuridico finalizzato per vocazione

all’adempimento e alla sua conseguente estinzione, caratterizza strutturalmente la sua

configurazione di «stato eccezionale di tensione tra due soggetti»58, sebbene poi sia necessario

rileggere le obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni di durata come processi ad intensificazione

differenziata, maggiore nei momenti di adempimento della prestazione nel tempo.

55 G. GROSSO, I problemi dei diritti reali cit., 222; ; su questo punto di vista vd. anche P. RESCIGNO, Obbligazioni cit., 192-193. 56 D. NÖRR, Die ‘fides’ im römischen Völkerrecht, Heidelberg, 1991, 44. 57 Convergono su questo risultato, ora, F. GALLO, Bona fides e ius gentium, in AA.VV., Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di A. Burdese, II, Padova, 2003, 115 ss., in particolare 146 ss.; e R. FIORI, Ea res agatur. I due modelli del processo formulare repubblicano, Milano, 2003, 221-222, sebbene da presupposti e svolgimenti differenziati. 58 G. GROSSO, I problemi dei diritti reali cit., 218.

26

6. Il sistema romano dei contratti tipici e la nozione generale del contratto come accordo

nel diritto moderno

[LETTURA DEL MATERIALE IN DIDATTICA WEB]

7. L’act io dei romani e l’azione dei moderni

[LETTURA DEL MATERIALE IN DIDATTICA WEB]