Diritto commerciale II - Michele Faggion | Politica ... · LEZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE II a cura...

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LEZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE II a cura di Michele Faggion Capitolo I IL FINANZIAMENTO NELLE SOCIETA’ DI CAPITALI C’è un unico codice per tutta la materia privatistica che copre la parte sulla famiglia (diritti reali, ecco), il diritto del lavoro e una parte commercialistica (attività economiche e attività d’impresa). In altri ordinamenti i codici di diritto privato sono due (Francia, Germania): codice di diritto civile e codice di diritto commerciale. Il diritto commerciale comprende tutto ciò che attiene all’attività d’impresa (individuale e collettiva) e alla materia dei titoli di credito (cambiale, assegno), oltre che una serie di contratti speciali legati alle attività economiche, come il contratto di leasing o di sub-fornitura. I confini sono quindi labili. Un’altra parte è d’approfondimento di nozioni già apprese nel Commerciale I, ossia le operazioni societarie straordinarie = (termine non usato nella legge, ma nel gergo) operazioni di fusione, scissione e trasformazione, la liquidazione delle società (secondo alcuni). Terza parte sarà di tipo monografico, dedicata a un tema che attraversa vari istituti, ovvero il finanziamento dell’impresa societaria nelle società di capitali (spa e srl). E’ un percorso trasversale, che attiene al finanziamento dell’impresa: i conferimenti (nella fase di avvio), delle azioni, obbligazioni (istituto per cui le spa possono emettere prestiti obbligazionari = strumenti di massa rappresentativi di un credito, tipico strumento di raccolta di massa di capitale di credito), gli finanziari partecipativi, dei patrimoni destinati e delle operazioni di aumento di capitale (procacciamento di capitale di rischio). In riferimento al srl, conferimenti, quote (non azioni), aumenti di capitale ed, infine, istituti caratteristici della srl che non sono contemplati nella spa: i titoli di debito e la disciplina di finanziamento dei soci nella srl. Vi sarà un incursione per il finanziamento nei gruppi di società, disciplinato per rinvio alla disciplina di finanziamento della srl. 1.1 Il finanziamento dell’impresa societaria nell’ambito del spa e del srl Va fatta una distinzione. Prima della riforma del 2003 la disciplina della srl era ricalcata per rinvio a quella della spa, e di fatto si diceva che la srl era una “piccola società per azioni”, senza azioni, ma per tutto il resto la disciplina coincideva. A seguito della riforma non è più così: uno degli elementi caratteristici della spa è la distinzione e separazione fra le disciplina di spa e srl. E’ un processo di automizzazione della srl dalla spa, con l’obiettivo dichiarato di avere due strumenti per usi diversi; spa per la medio-grande iniziativa economica e l’srl destinata alla copertura della veste giuridica di iniziative economiche più limitate, che non necessitano di raccolta di capitale nei mercati, e composta maggiormente da soci che alla vita della società e dell’impresa. Nella spa invece è indifferente chi sia il titolare delle azioni, ciò che rileva è il dato del capitale, mentre la srl si concentra più sul profilo soggettivo sui rapporti fra i soci che intraprendo all’attività economica, dando maggior rilievo alla persona del socio. Diversi sono pure i profili di finanziamento della società. 1. 2 Il finanziamento dell’impresa nelle società per azioni Introduzione Sono tre le caratteristiche fondanti il finanziamento dell’impresa: Prima caratteristica Moltiplicazione degli strumenti per raccogliere risorse finanziarie e una deregolamentazione nell’ambito dei singoli strumenti passaggio dal vecchio sistema (codice 1942 aggiornato), con lo strumento del regolamento comunitario la disciplina è direttamente applicabile all’interno degli stati membri, senza filtro dei legislatori; la direttiva invece è uno strumento legislativo con il quale il legislatore comunitario si rivolge ai legislatori nazionali affinché adeguino la loro disciplina interna alle regola dettate nella 1 Il diritto commerciale I due tipi: Spa e Srl Moltiplicazione degli strumenti e deregolamenta- zione

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LEZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE II a cura di Michele Faggion

Capitolo IIL FINANZIAMENTO NELLE SOCIETA’ DI CAPITALI

C’è un unico codice per tutta la materia privatistica che copre la parte sulla famiglia (diritti reali, ecco), il diritto del lavoro e una parte commercialistica (attività economiche e attività d’impresa).In altri ordinamenti i codici di diritto privato sono due (Francia, Germania): codice di diritto civile e codice di diritto commerciale.Il diritto commerciale comprende tutto ciò che attiene all’attività d’impresa (individuale e collettiva) e alla materia dei titoli di credito (cambiale, assegno), oltre che una serie di contratti speciali legati alle attività economiche, come il contratto di leasing o di sub-fornitura.I confini sono quindi labili.

Un’altra parte è d’approfondimento di nozioni già apprese nel Commerciale I, ossia le operazioni societarie straordinarie = (termine non usato nella legge, ma nel gergo) operazioni di fusione, scissione e trasformazione, la liquidazione delle società (secondo alcuni).

Terza parte sarà di tipo monografico, dedicata a un tema che attraversa vari istituti, ovvero il finanziamento dell’impresa societaria nelle società di capitali (spa e srl). E’ un percorso trasversale, che attiene al finanziamento dell’impresa: i conferimenti (nella fase di avvio), delle azioni, obbligazioni (istituto per cui le spa possono emettere prestiti obbligazionari = strumenti di massa rappresentativi di un credito, tipico strumento di raccolta di massa di capitale di credito), gli finanziari partecipativi, dei patrimoni destinati e delle operazioni di aumento di capitale (procacciamento di capitale di rischio). In riferimento al srl, conferimenti, quote (non azioni), aumenti di capitale ed, infine, istituti caratteristici della srl che non sono contemplati nella spa: i titoli di debito e la disciplina di finanziamento dei soci nella srl.Vi sarà un incursione per il finanziamento nei gruppi di società, disciplinato per rinvio alla disciplina di finanziamento della srl.

1.1 Il finanziamento dell’impresa societaria nell’ambito del spa e del srl

Va fatta una distinzione. Prima della riforma del 2003 la disciplina della srl era ricalcata per rinvio a quella della spa, e di fatto si diceva che la srl era una “piccola società per azioni”, senza azioni, ma per tutto il resto la disciplina coincideva. A seguito della riforma non è più così: uno degli elementi caratteristici della spa è la distinzione e separazione fra le disciplina di spa e srl. E’ un processo di automizzazione della srl dalla spa, con l’obiettivo dichiarato di avere due strumenti per usi diversi; spa per la medio-grande iniziativa economica e l’srl destinata alla copertura della veste giuridica di iniziative economiche più limitate, che non necessitano di raccolta di capitale nei mercati, e composta maggiormente da soci che alla vita della società e dell’impresa.Nella spa invece è indifferente chi sia il titolare delle azioni, ciò che rileva è il dato del capitale, mentre la srl si concentra più sul profilo soggettivo sui rapporti fra i soci che intraprendo all’attività economica, dando maggior rilievo alla persona del socio. Diversi sono pure i profili di finanziamento della società.

1. 2 Il finanziamento dell’impresa nelle società per azioni

IntroduzioneSono tre le caratteristiche fondanti il finanziamento dell’impresa:

Prima caratteristicaMoltiplicazione degli strumenti per raccogliere risorse finanziarie e una deregolamentazione nell’ambito dei singoli strumentipassaggio dal vecchio sistema (codice 1942 aggiornato), con lo strumento del regolamento comunitario la disciplina è direttamente applicabile all’interno degli stati membri, senza filtro dei legislatori; la direttiva invece è uno strumento legislativo con il quale il legislatore comunitario si rivolge ai legislatori nazionali affinché adeguino la loro disciplina interna alle regola dettate nella

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Il diritto commerciale

I due tipi: Spa e Srl

Moltiplicazione degli strumenti e deregolamenta-zione

direttiva (da uniformare all’interno degli stati membri). Ogni stato ha l’obbligo di aggiornare le proprie leggi in relazione alle direttive.Con la riforma organica della materia nel 2003, oggi assistiamo alla moltiplicazione degli strumenti per raccogliere risorse finanziarie e una deregolamentazione nell’ambito dei singoli strumenti, ovvero un peso molto importante dato all’autonomia statutaria, lasciando margini più ampi alla capacità di autoregolamentazione di privati. L’ultimo aspetto è evidente guardando gli strumenti principali per raccogliere capitale: le azioni e le obbligazioni.

Per le azioni si assiste al definitivo tramonto (come per le azioni risparmio delle quotate) del principio della tipicità della categoria di azioni. In generale, le azioni sono tutte uguali di valore, ma soprattutto, le azioni danno ai loro titolari i medesimi diritti, sia sul piano dei diritti patrimoniale (partecipazioni agli utili e quote di liquidazione) e amministrativi (voto, intervento in assembla, impugnazione delle delibere assembleari). Già in passato era possibile diversificare in categorie le azioni. Con “categorie diverse” s’intende categorie di azioni munite di diritti diversi rispetto alle altre, secondo parametri rigidi previsti dalla legge.

Prima della riforma, si poteva prevedere cha una categoria di azioni avesse un privilegio nella distribuzione degli utili, o che avessero una limitazione nel diritto di voto (ovvero i titolari della azioni di quella categoria potevano votare solamente nelle assemblee straordinarie, ma obbligatoriamente bisognava munire questa categorie di diritti patrimoniali privilegiati!).

Oggi questo non è più così, ed è possibile creare categorie di azioni con diritti amministravi diversificati, senza necessità di bilanciare questa compressine dei diritti amministrativi con un incremento dei diritti patrimoniali: significa che possiamo limitare o eliminare il diritto di voto in tutte le società per azioni (prima solo per le società quotate con emissioni di azioni di risparmio), oggi invece è possibile in tutte le assemblee. Oltre a questa ipotesi, il diritto di voto si può modulare secondo le disposizioni statutarie.

Art. 2351. Diritto di voto.

1. Ogni azione attribuisce il diritto di voto.2. Salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamente superare la metà del capitale sociale.3. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o disporne scaglionamenti.4. Non possono emettersi azioni a voto plurimo.5. Gli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto comma, e 2349, secondo comma, possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si applicano le medesime norme previste per gli altri componenti dell'organo cui partecipano.

L’art. 2351: al primo comma si dice che “ogni azione attribuisce il diritto di voto”, ma al secondo comma, si precisa che può essere eliminato a partecipare argomenti o al subordinarsi di particolari condizioni.Si può stabilire che:1) una categoria di azioni non abbia un voto;2) solo per determinati argomenti;3) o che il diritto di voto sia “condizionato”: ad es. una categoria di azioni che normalmente non

vota, ma che acquista il diritto di voto se in tre anni la società non distribuisce dividendi. 4) addirittura (c. 3) si può prevedere solo per le società che non fanno ricorso al capitale di rischio

è possibile prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o sia scaglionato. Si può ovvero prevedere che, se un socio ha più di 100 azioni, vota comunque solo con 100 voti; oppure con scaglioni: fino a 100 azioni solo 1 voto, da 100 a 200 50 voti, ecc. Sono meccanismi per garantire una dialettica attiva all’interno dell’assemblea.

E’ rimasto il divieto (c. 4) di emettere azioni a voto plurimo, anche se specularmente ciò si può fare emettendo azioni senza diritto di voto.

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Le azioni

Art. 2348. Categorie di azioni.

1. Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti.2. Si possono tuttavia creare, con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie.3. Tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti.

Ex art. 2348 si esordisce che le azioni devono essere di uguale valore e con uguale diritti, ma poi si aggiunge (c. 2) che si possono formare categorie di azioni con caratteristiche diverse e la società può liberamente determinare il contenuto delle varie categorie, anche se i limiti sono sfuggenti: non c’è può il bilanciamento della compressione dei diritti amministrativi con quelli patrimoniali privilegiati. Ancora, possono esserci azioni ex. 2348, c. 2 dotate di diritti diversi per quanto concerne la partecipazione alle perdite: oggi è possibile creare una categoria di azioni che sia postergata ad altre categorie di azioni nella partecipazione alle perdite (ad esempio, per effetto di una riduzione di capitale, che in tal modo non si ripercuote più su tutte le azioni, che invece vanno a toccare una determinata categoria di azioni; le azioni postergate vengono toccate solo una volta erose il valore delle precedenti azioni).

Art. 2350. Diritto agli utili e alla quota di liquidazione.

1. Ogni azione attribuisce il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni.2. Fuori dai casi di cui all'articolo 2447-bis, la società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore. Lo statuto stabilisce i criteri di individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché le eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria.3. Non possono essere pagati dividendi ai possessori delle azioni previste dal precedente comma se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio della società.

Oggi inoltre si può emettere (ex. art. 2350) una categoria di azioni correlate, ossia fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati di una determinata sezione, di un settore di un attività (come un ramo d’azienda).

L’unico limite in realtà è quello generalissimo del divieto del patto leonino, quel patto in forza del quale un socio, o ha diritto ad avere tutti gli utili o non partecipa alle perdite. Ovvio che questo limite continua a valere anche con questa deregulation, altrimenti vi sarebbe uno stravolgimento del capitale, da capitale di rischio a capitale di credito (per il quale il rischio si riduce).

Si possono quindi creare categorie di azioni, ma non trattare in modo diverso una sola azione: l’uguaglianza delle azioni si riproduce all’interno di una singola categoria (art. 2348, c.3).

E’ rimasto inoltre un altro divieto: non si può mai cambiare il valore delle azioni: si possono creare azioni senza valore nominale, o meglio senza “indicazione” del valore nominale (ma per determinarlo basta dividere capitale/n. azioni). Nel srl invece le quote possono essere, anzi quasi sempre sono, di diverso valore: le quote sono tante quante i soci: ogni quota rappresenta un socio. Nella società per azioni, anche se le azioni sono di proprietà di un unico socio, rimangono comunque tali (plurime).

Una società può raccogliere denaro richiedendo un mutuo, ma vi è anche uno strumento particolare di raccolta di capitale di credito, rivolgendosi ai risparmiatori, attraverso l’emissione di titoli che rappresentano un unico grande credito e cercando di piazzarle (di farle sottoscrivere attraverso le banche). Anche per le obbligazioni, vi è stato un processo di neutralizzazione di questo strumento (per le banche, processo già avviato con gli strumenti ibridi di patrimonializzazione tramite, ad esempio, prestiti irridimibili ossia fra l’altro conteggiati nel capitale delle società). Oggi questo fenomeno è generalizzato.

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Le obbligazioni

Art. 2411. Diritti degli obbligazionisti.

1. Il diritto degli obbligazionisti alla restituzione del capitale ed agli interessi può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società.2. I tempi e l'entità del pagamento degli interessi possono variare in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all'andamento economico della società.3. La disciplina della presente sezione si applica inoltre agli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l'entità del rimborso del capitale all'andamento economico della società.

Ex art. 2411 cc. si prevede la possibilità di emettere obbligazioni subordinate: si può stabilire di emettere un prestito obbligazionario per il quale rimane un obbligo di restituire il capitale alla scadenza, ma ciò potrà avvenire solo se “la società avrà restituito il credito a tutti gli altri creditori della società”, in tal caso il rischio aumenta. L’obbligazionista “subordinato” è sempre privilegiato rispetto all’azionista, ma partecipa comunque all’andamento della società, perché se il patrimonio di questa non è sufficiente a pagare gli altri creditori, rimarrebbe con nulla (1). Oppure si può stabilire che può essere data una remunerazione al capitale (interessi) solo se la società produce utili, altrimenti non vi saranno interessi (2).Oppure, ancora, (c. 3) si può prevedere una forma di prestiti irridimibili (3) ossia la restituzione si ha solo se il patrimonio sociale è sufficiente alla restituzione.L’operazione sottostante è cioè atipica.

Oggi la distinzione azione = capitale di rischio; obbligazione = capitale di credito, ha mille varianti.Vi è inoltre la possibilità di creare nuovi strumenti finanziari partecipativi (ex. art. 2346): è una terza specie di strumenti nuova (fra azioni e obbligazioni), come l’apporto di servizi che normalmente nella spa sono vietati (non possono mai essere di fare), possono essere riconducibili a beni o crediti, differentemente dalle società di persone.

Vi sono altri strumenti di raccolta di risorse, quali i patrimoni destinati: la possibilità della legge di separare una parte del patrimonio, destinando tale parte allo svolgimento di determinate operazioni economiche con la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione allo specifico patrimonio destinato.Altra forma è il finanziamento destinato, possibilità di concludere un contratto con un finanziatore, al quale viene spiegato un affare lucroso, e “in cambio del suo prestito, tutti i proventi ottenuti dallo svolgimento dell’affare saranno destinati a rimborsare il suo finanziamento” ovvero in assenza di fideiussione, di ipoteche o pegni.

Più strumenti sono presenti nella disciplina italiana, maggiore è la concorrenzialità del nostro ordinamento rispetto agli altri.

Seconda caratteristicaIl peso sempre maggiore che in tema di finanziamento va assumendo l’organo amministrativo rispetto ai soci e all’assemblea, ovvero le competenze a decidere sui mezzi finanziari si spostano dai soci agli organi di gestione.

Com’è per i patrimoni destinati, le decisioni vanno all’organo amministrativo (o meglio detto organo di gestione). Fino al 2003 la decisione di emettere obbligazioni era riservata all’assemblea straordinaria dei soci; oggi, salvo diversa disposizione, la decisione di emissione è presa dagli organi di gestione; soltanto per obbligazioni convertibili rimane la decisione all’assemblea dei soci. Vale inoltre anche per gli strumenti finanziari partecipativi: per essi, non vi è indicazione del legislatore, è ragionevole aspettarci, quindi, che la decisione vada all’organi di gestione.Gli amministratori possono avere il potere di aumentare il capitale, coprendo anche la possibilità di aumentare il capitale con esclusione del diritto di opzione dei soci attuali.

C’è una dislocazione del potere di decidere sul come, quando e che cosa raccogliere in merito a mezzi finanziari, dall’assemblea dei soci all’organo di gestione, che per altri versi è titolare esclusivo della gestione ex. 2281. Oggi l’assemblea (è rimasto un residuo) ha un potere di dare autorizzazioni, ma non decide in merito.

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Il peso crescente dell’organo amministrativo

Terza caratteristicaSi cerca di dare spazio anche ai così detti conferimenti atipici. Oggi lavoro, opera e servizi non possono essere oggetto di conferimento di capitale.

Oggi, tuttavia, possono esserci attività molto utili per la società. In passato, l’unica strada era creare azioni con prestazioni accessorie, tramite le quali accanto al conferimento del denaro, ci si impregna a sottoscrivere anche un apporto (tutt’ora hanno disciplina molto rigida).Mentre i conferimenti atipici trovano un riconoscimento tramite altri sistemi: - l’emissione di strumenti finanziari partecipativi;- con un maggior riconoscimento formale, la possibilità è data dal fatto che la legge prevede la

possibilità che vi sia un partecipazione non proporzionale al capitale, vi è la possibilità dell’assegnazione non proporzionale di azioni (a fronte di un capitale di 100, un socio possa avere azioni per 120: specularmente qualcuno deve avere meno azioni, fermo restando che la somma dei conferimenti deve rimanere pari alla somma del valore del capitale). La funzione tipica di questo strumento è un riconoscimento formale a chi si impegna a svolgere la propria attività di consulente finanziario per la società (oltre all’apporto di capitale conferito).

1.2 Le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio

Art. 2325-bis. Societa' che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

1. Ai fini dell'applicazione del presente titolo (1), sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio le società emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante.2. Le norme di questo titolo si applicano alle società con azioni (2) quotate in mercati regolamentati in quanto non sia diversamente disposto da altre norme di questo codice o di leggi speciali.

Occorre fare una distinzione circa il ricorso che la società fa al mercato del capitale rischio.L’ art. 2325 bis dovrebbe dare la definizione di “società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio ossia” ovvero “le società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante”; a seconda che la società cerchi capitale di rischio sul mercato o meno (si parla di società “chiusa”), la distinzione rileva perché all’interno della disciplina generale delle spa:1) vi sono una serie di norme che si applicano a tutte le società per azioni, la cui applicazione

discende soltanto dal fatto che si è scelto tale tipo di società lucrative (= non cooperative o consortili, il cui scopo è produrre utili e distribuirli). Nella spa, viene creato un patrimonio separato rispetto a quello dei soci, anche rispetto ai terzi: la forza di tale contratto è opponibile ai terzi; può trattarsi di norme dispositive, vincolanti, ma anche derogabili dall’autonomia statutaria;

2) insieme normativi applicabili solamente alle società faccia ricorso al capitale di rischio; ad esempio, per le società chiuse si applicano delle norme ad hoc solo per le società chiuse (ad esempio, l’art. 2351 in tema di diritto di voto: lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio). Per quelle che invece ne fanno ricorso, oltre alla disciplina della spa, altre norme speciali: ad esempio, quando la società decide di acquistare azioni proprie, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, è possibile acquistare azioni proprie solamente fino ad un quinto del capitale della società (per quelle chiuse, invece, non vi è alcun limite).

Man mano che si entra nel mercato del capitale di rischio, la disciplina si irrigidisce e si accentuano le norme che tutelano le minoranze, aumentano i controlli sulla gestione della società e gli obblighi di trasparenza, in una prospettiva di tutela del mercato, diversa da quella delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

“accedere al mercato del capitale di rischio”: si tratta delle società quotate, per definizione, ma anche quelle che hanno azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante.Molte norme “speciali” sono contenute anche nel Testo unico della Finanza.

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Lo spazio ai conferimenti atipici

Definizione dei due modelli

Nell’ambito di questi due modelli contrapposti.1) Non fanno ricorso 2) Fanno ricorso:

a) quotateb) azioni diffuse

All’interno delle Società per azioni abbiamo situazioni diverse a seconda di come la scelta contrattuale viene concretamente attuata. Il fatto che una società rimanga chiusa o che faccia ricorso al capitale di rischio: tale “scelta” è data dal concreto operato della società, è una situazione di fatto. Non è una scelta contrattuale, ma siamo di fronte a discipline diverse, a seconda di come concretamente si sviluppa la volontà della società.

C’è una scelta diversa fra i tipi (spa, srl, ecc.) e fra i modelli (ricorso al mercato di rischio o meno).

Le Spa (che fa ricorso al mercato del capitale di rischio) con azioni diffuseE’ interessante occuparsi del modello di società che sia non quotata, ma che abbia azioni diffuse. L’art. 2325 bis non ci aiuta, ma parla di “società con azioni diffuse”.In fondo al codice, vi sono le norme transitorie. L’art. 111 bis delle disposizioni di attuazione del Codice civile: bisogna far riferimento al TUF, e in particolare, all’art. 116.L’art. 116 (strumenti finanziari diffusi fra il pubblico) dice che è la CONSOB a stabilire i criteri utili ad individuare e definire un’emittente che “abbia gli strumenti finanziari diffusi fra il pubblico”.Il “Regolamento Emittenti”, modificato alla fine del 2003, contiene la definizione di “strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante”; i criteri sono fondati:- da un lato, sul numero di azionisti (sono società “con azioni diffuse”, le società che hanno

azionisti diversi dai soci di controllo in misura superiore a 200, quando detengono una % di capitale sociale pari ad almeno il 5%);

- queste società non devono avere la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata;

Il fatto che una società faccia o meno ricorso può dipendere da fatti del tutto accidentali, rispetto alle previsioni statutarie. Per il solo fatto che un socio abbia ceduto delle azioni, si può passare da un regime all’altro.Ci sono disposizioni diverse fra i due modelli, inoltre alcune clausole statutarie rischierebbero di diventare nulle.

La ratio del legislatore per le società con azioni diffuseL’intenzione del legislatore era quella di partire dalla considerazione dell’endemica sotto-capitalizzazione delle società italiane e dalla ritrosia che hanno sempre avuto verso la quotazione in borsa. Oggi il nostro mercato è ancora asfittico, il cui flottante è ancora sviluppato in “misura ridicola”.Essere quotati in borsa significa essere sottoposti a controlli più pesanti, basti pensare alla CONSOB; vi sono numerosi adempimenti e misure di trasparenza.In tal senso, inventando il gradino delle società che pur non essendo quotate, fanno ricorso al mercato di rischio e comunque vengono applicate le stesse disposizioni per le quotate, il legislatore ha voluto spingere la società verso la quotazione. E’ rimasta un’intenzione.

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Società con azioni diffuse fra il pubblico

La scelta di fatto del modello

Capitolo III CONFERIMENTI NELLE SOCIETA’ PER AZIONI

2.1 Introduzione ai conferimentiArt. 2342.

Conferimenti.1. Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro.2. Alla sottoscrizione dell'atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare.3. Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le azioni corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione.4. Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati entro novanta giorni.5. Non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi.

I conferimenti nella società per azioni, come nelle altre società, sono le prestazioni che i contraenti (i soci, coloro che costituiscono la società) si impegnano ad effettuare quando concludono il contratto sociale.

Art. 2247. Contratto di società.

1. Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili.

E’ ciò che i contraenti si impegnano di portare in società; sono le prestazioni.Comunemente si afferma che caratteristica dei conferimenti è che essi “vanno” a costituire il capitale di una società, affermazione sottoposta a critica perché non diventi fuoriviante. Ma per “capitale”, nello stesso codice si parla in accezioni diverse fra loro:- “capitale”, inteso come la cifra espressa in moneta corrente fissata nell’atto costitutivo e destinata

ad esser iscritta nel passivo del bilancio.- “capitale”, usato anche come frazione ideale del patrimonio sociale composta in origine dai

conferimenti dei soci e che potrà essere incrementata o diminuita con aumenti o diminuzione di capitale; solo in questo momento, il capitale reale (quello in attivo) corrispondente al capitale sociale nominale.

Ad esempio, per le norme sulla riduzione del capitale 2446-7 cc. “quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo... e se permane oltre l’esercizio in cui si è verificato, bisogna ridurlo in misura pari alle perdite”. Nel primo riferimento al termine, si parla di “capitale reale”, perché il capitale sociale nominale è rigido e si può modificare solo con modificazione assembleare dello statuto. Ciò che va diminuito è solo il capitale reale, non quello statutario. Il capitale reale può essere “mangiato” da perdite.

Un’altra affermazione non è del tutto esatta e va presa con le dovute cautele. La cifra espressa dal capitale nominale, che rappresenta in termini monetari il valore dei conferimenti dei soci.Quando i conferimenti sono “in natura”, diversi dal denaro, la coincidenza fra beni e conferimenti non è più certa; la legge tollera una certa discrepanza fra valore effettivo del conferimento e valore appostato a capitale. Normalmente è nominato un esperto dal Tributale che attesti che il valore del valore del bene non sia inferiore al valore iscritto a capitale. Se fosse superiore, la legge ammette che anche in sede di costituzione di società, non tutto il valore di conferimento vada a capitale: è cioè ammesso che si crei una riserva in sovrapprezzo. L’art. 2343: “l’esperto deve attestare che il valore dei conferimenti deve essere pari almeno al valore del capitale iscritto al bilancio e la riserva di sovrapprezzo”.Una parte del conferimento può andare a patrimonio e, un’altra, costituire una riserva. L’eccesso del valore è tollerato; ciò che non è tollerato è che valga meno, oltre 1/5. Se gli amministratori accertano che la differenza di valore è superiore al quinto, il socio dovrà integrare in denaro o ridurre il capitale; viceversa, se la differenza è inferiore al quinto, non si deve fare nulla. Vi è quindi un margine di tolleranza.

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Definizione

Le due accezioni del termine “capitale”

Il capitale nominale

In tema di conferimenti, di ciò che si può conferire, è necessario stabilire la funzione del capitale sociale nominale. La cifra appostata a passivo di bilancio, perché in questo modo si trattengono all’attivo valori almeno corrispondenti.- In passato si diceva che il capitale servisse in funzione di garanzia dei creditori sociali; “dei

creditori sociali risponde solo la società con il suo patrimonio”. - In realtà questa posizione è abbandonata dai giuristi, in favore di una tesi che vede il capitale

sociale in funzione produttivistica, cioè serve a trattenere all’attivo quegli elementi che i soci hanno stabilito essere necessari per svolgere quell’attività economica oggetto assegnata alla società. Tale tesi trova conferma nella disciplina comunitaria.

Scegliere una funzione o un’altra cambia, già da subito si limita di molto ciò che si può conferire. Le entità possono essere aggredite dai creditori e devono essere cioè entità espropriabili, di cui il creditore possa agire passivamente. Un conferimento di un bene attribuito in mero godimento ad una società, rappresenta un’utilità per la società (la proprietà rimane al socio), però è un conferimento che non può fungere da garanzia per i creditori, perché essi non possono esigere la vendita del bene del socio per soddisfarsi.

I limiti comunitari ai conferimentiLa materia dei conferimenti è stata oggetto di provvedimenti comunitari: una direttiva (n.2) del 1976 e una del 2006, recepita nel 2008 (artt. 2342-2345).Laddove una certa materia sia oggetto di interventi dal legislatore comunitario, la disciplina interna va interpretata alla luce dei principi sanciti dal legislatore comunitario. Qualora vi fossero dubbi interpretativi, la fonte comunitaria è sovra l’Italia.

La direttiva del ’76: “il capitale sottoscritto può essere costituito da elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica e che questi non possono essere costituiti da impegni di prestazione di lavoro o di servizi”;Secondo la direttiva del ’76, quindi il capitale:- può essere composto da elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica;- con l’unico limite che le prestazioni devono essere di dare, e non di fare; nelle società di

persone invece un socio può conferire una prestazione di fare.

Nella legge delega di riforma del 2001, si diceva che i conferimenti dovevano essere tali da consentire l’acquisizione nella società di ogni elemento utile per perseguire l’oggetto della società, con limite che non si trattasse di capitale fittizio.

Con la direttiva del 2006, la previsione che i conferimenti devono essere elementi dell’attivo non fu tradotto in legge italiana, perché si ritenne che tale principio fosse già presente nella legislazione italiana. Tuttora non si dice nulla.L’art. 2342 non da una definizione di che cosa si possa conferire. Si individuano una serie di beni o servizi, ma non si da una definizione globale.Ciò che è certo che vige il divieto di conferire di prestazioni di fare: divieto che vigeva anche per le srl prima della riforma, ma che oggi invece non c’è più.

Tenendo conto della direttiva e delle previsioni della legge delega (funzione produttivistica, non di garanzia), allora “in astratto” ogni entità che rappresenta per l’impresa un’utilità economica dovrebbe essere conferita in una società per azioni, e la stessa funzione di una spa dovrebbe essere individuata come una funzione produttivistica. Ma ci sono dei limiti?

La direttiva ci dice che ciò che si conferisce deve essere dell’attivo suscettibile di valutazione economica, e che non sia una prestazione di fare. Ciò significa che le prestazioni d’opera o di servizi, se non ci fosse il divieto espresso dalla direttiva, sarebbero suscettibili di valutazione economica.Questo è importante perché ci fa capire che l’inammissibilità di questi conferimenti non dipende dalla possibilità di valorizzare questi conferimenti e di iscrivere nell’attivo di bilancio il valore di questi conferimenti, ne per la difficoltà di farne una stima, l’unica ragione è derivante da un divieto espresso dalla legge comunitaria.

Per quanto riguarda gli “elementi dell’attivo”; secondo alcuni significherebbe solamente “quelli inscrivibili a bilancio”, ma tale ragionamento è errato. La conclusione è che, gli elementi dell’attivo per il legislatore comunitario, significa che l’entità deve avere un “valore attivo” e non

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La funzione del capitale sociale

Le direttive comunitarie

La “suscettibilità alla valutazione economica”

Gli “elementi dell’attivo”

un “valore passivo”. Un esempio di conferimento può essere un’azienda (= “gli strumenti materiali attraverso cui un’attività viene svolta”), essa (come bene o universalità di beni) può avere un valore positivo, come pure un valore negativo. Il legislatore comunitario prescrive l’obbligo quindi che l’apporto sia di valore positivo, e mai negativo.

Quindi l’unico limite dal punto di vista comunitario:- entità valutabili economicamente- deve essere di valore positivo;

I limiti dal punto di vista della disciplina internaEx. art. 2342, con la definizione civilistica di “beni” si parla di beni e di crediti: così non è, perché altrimenti sarebbero esclusi i beni immateriali, che invece possono essere oggetto di trasferimento (brevetti, segni distintivi dell’imprenditore, know how). Con la riforma della legge sui marchi, il marchio si più trasferire anche a prescindere dal trasferimento dell’azione: quindi stabilito che un marchio ha un valore di scambio autonomo, arricchisce la società (ha un valore positivo), dunque non vi sono ragioni perché non possano essere trasferiti.Allo stesso modo i brevetti (invenzioni brevettate) sono entità utili alla società e sono tutelabili giuridicamente, oltre che avere un valore economico, seppure immateriali sono qualificabili come beni conferibili.Stessa cosa vale per il “know how” (insieme di conoscenze e tecniche di cui un soggetto è depositario, ma non brevettate), ivi compresa spesso una prestazione di fare, esso comunque si ritiene essere difendibile da parte di tutti, e di conseguenza, può essere oggetto di conferimento.Il riferimento ai beni è in termini generici, non si parla della definizione del codice, in quanto i “beni conferibili” possono essere anche beni immateriali, come pure il “Know how”.

Il conferimento di beni in natura o in crediti

Un secondo punto da analizzare deriva dal fatto che ex art. 2342, c. 3 “quando si tratti di conferire beni in natura o in crediti, le azioni devono essere interamente liberate al momento della sottoscrizione”.Con sottoscrizione s’intende il momento in cui i soci firmano l’atto costitutivo presso un notaio sotto forma di atto pubblico, poiché la costituzione delle società di capitali va fatta sotto forma di atto pubblico, anzi atto solenne.Ad esempio, nell’aumento di capitale, si ha un procedimento complesso che porta ad un aumento. Abbiamo una deliberazione di aumento di capitale, l’assemblea approva una proposta di aumento di capitale che deve incontrare le sottoscrizioni da parte dei soci (che si avvalgono del diritto di opzione) o di terzi. Questi comunque devono dichiarare di voler sottoscrivere le azioni in denaro, in beni o in crediti. L’iter di sottoscrizione è individuale.

Quando i conferimenti siano da effettuarsi in beni o in crediti, le azioni corrispondenti ai conferimenti devono essere interamente liberate al momento della sottoscrizione.

La disciplina comunitariaLa direttiva comunitaria diceva che le azioni corrispondenti “in beni o in crediti” devono essere liberate in 5 anni. La questione è che il legislatore comunitario si è scontrato in una realtà con ordinamenti che dal punto di vista della formazione del contratto hanno prospettive diverse:- nel sistema latino (francese ed italiano), nella materia contrattuale, per il contratto sociale, domina

il principio consensualistico ovvero “salvo casi espressamente previsti, qualunque contratto si perfeziona per il fatto che le parti manifestano il consenso alla conclusione”. Ad esempio, la vendita è un contratto per cui vi è lo scambio di una prestazione di dare contro il pagamento di un prezzo: il contratto si perfeziona oralmente nel momento in cui “ci si accorda” e ci stringe la mano, a tal punto il contratto è perfetto e concluso; la consegna del bene non fa parte del momento formativo, ma esecutivo del contratto. Nel momento del perfezionamento ci si assume un obbligo.

- nei sistemi di tipo germanico, la regola è invece che i contratti, salvo deroghe espresse, si perfezionano non con la manifestazione del consenso, ma con la consegna e l’effettuazione della prestazione oggetto del contratto. Ad esempio, la vendita si perfeziona si ha quando il venditore consegna il bene al compratore. Nel nostro ordinamento, anche ci sono contratti reali, come il

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Il principio consensualistico

mutuo, ma è espressamente la legge che lo prevede, altrimenti la regola è che il contratto è consensuale.

L’effettuazione dei conferimenti si riferisce all’esecuzione del contratto; il legislatore italiano allora, dispetto alla volontà del comunitario, ha previsto che la liberazione delle azioni (l’effettuazione della prestazione corrispondente alle azioni che sottoscriviamo) deve avvenire interamente ed immediatamente.Per i conferimenti “diversi dal denaro”, la liberazione deve essere intera e immediata. A tal punto, l’entità oggetto del conferimento deve essere messa a disposizione della società al momento della sottoscrizione: quindi l’entità dell’oggetto deve essere tale da permettere l’esecuzione integrale e immediata. Ciò significa che i conferimenti possono essere solamente quelli disponibili con un atto, e ciò porterebbe ad escludere come lecito conferimento una prestazione che consiste nel attribuire un diritto di godimento su un bene.

I beni in godimentoUn bene si può conferire anche in semplice godimento; un socio mantiene la proprietà del bene ma attribuisce alla società il diritto di godere di quel bene. Il godimento può essere:- reale, si ottiene l’usufrutto o l’uso di un bene; è un diritto opponibile verso tutti. Il proprietario

trasferisce l’usufrutto di un bene, mantenendo la nuda proprietà del bene. Ad esempio, i genitori hanno l’usufrutto legale sui beni dei minori.

- obbligatorio: come l’affitto;

Il conferimento in godimento reale è riconosciuto possibile anche da parte dei rigoristi; questi non sono più d’accordo quando il godimento è obbligatorio, che non sarebbe possibile per le società per azioni perché comporterebbero la collaborazione del socio anche in momenti successivi. Questa tesi risulta però minoritaria, perchè lo stesso art. 2342 dice che per i conferimenti in credito si osservano le disposizioni contenute negli art. 2354 o 2355, che dicono che quando il godimento è obbligatorio, si applica le disciplina prevista dalla legge per la locazione. Oltretutto se si assumesse un atteggiamento rigido sulle entità conferibili, si verificherebbe il fenomeno della sotto-capitalizzazione della società.La conclusione è secondo la maggior parte degli interpreti il conferimento anche sotto forma di godimento obbligatorio, oltre che reale, è possibile.

I limiti alle entità conferibiliCiò che non si può conferire sono: - in riferimento a cose generiche o non individuabili;- oppure cose future o altrui, nonché di prestazioni periodiche di beni. Il conferimento deve avere un effettività immediata.Questi sono gli unici limiti, salvo ciò che rappresenta prestazioni di fare (opere e servizi) poiché siamo in presenza di divieti espressi, anche con vincolo del diritto comunitario (possibilità prevista invece per le società di persone e per le società a responsabilità limitata).

I conferimenti in denaro

La legge ci dice che all’atto della sottoscrizione devono essere liberate le azioni che corrispondono ai beni o servizi, e ancora, se il conferimento è in denaro, al momento della sottoscrizione, deve essere versato alla banca almeno il 25% dei conferimenti in denaro. Se il socio è unico il versamento deve invece essere integrale.

Contratto reale o consensuale?Ma allora il contratto sociale della Società per azioni è diventato un contratto reale (e non più consensuale) che si perfeziona con l’effettuazione delle prestazioni promesse? Poiché quando si sottoscrive il contratto sociale, si deve dare tutto o il 25% della somma in denaro, allora l’elemento del versamento o della messa a disposizione del bene o del credito sia da considerare un elemento della formazione del contratto. In realtà, dottrina e giurisprudenza ritengono che il contratto della Spa rimane un contratto consensuale e cioè l’effettuazione o il versamento dei conferimenti appartiene alla fase esecutiva,

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I beni in godimento obbligatorio: le due tesi

Limiti ai conferimenti non in denaro

Il versamento come momento esecutivo del contratto sociale

anche se la legge per ragioni varie impone di effettuare le sottoscrizioni nel momento della formazione dell’atto. I motivi di tale orientamento sono i seguenti:- questo perché vige per tutti i contratti, come regola, il principio consensualistico, mentre la

realità del contratto deve essere espressamente prevista dalla legge;- nei casi in cui l’effettuazione della prestazione è elemento fondante del contratto, tale elemento è

considerato sempre un “evento”, e nel contratto di società invece è previsto come “obbligo” e non come evento.

- non c’è alcun contratto reale che si perfeziona con l’effettuazione parziale della sottoscrizione promessa;

E’ confermato che nonostante questi obblighi, il contratto sociale rimane un contratto consensuale. Infatti, anche con la violazione dell’obbligo di sottoscrizione, il contratto rimane perfetto ed esiste.

Le discipline dei conferimenti in denaro o in beni e creditiI conferimenti in denaro e in beni o in crediti (il legislatore comunitario li chiama conferimenti “diversi dal denaro”) hanno discipline diverse. La legge li considera in parallelo. Il credito è trattato come fosse un bene, ma dal punto di vista del regime dei conferimenti, tale credito è accumunato al conferimento di beni. La differenza deriva dal fatto che la sottoscrizione in denaro dichiara già da se il suo valore.Per gli altri conferimenti invece non sappiamo quanto valgono questi beni ed è quindi necessaria una valutazione, sia per i beni che per i crediti (dipende da quanto scadrà, dalle condizioni del debitore).Per i conferimenti in denaro non si pone un problema di valutazione, per gli altri conferimenti si. Questa è la differenza principale, i due regimi inoltre sono diversi.

2.2 I conferimenti in denaro

La disciplina generaleLa legge preferisce i conferimenti in denaro: se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in denaro. C’è il primato del conferimento in denaro. Solo con la previsione dell’atto costitutivo è possibile il conferimento diverso dal denaro. Nel silenzio, è possibile solo il conferimento in denaro.I motivi del primato dei conferimenti in denaro:1) secondo una prima tesi, lo scopo della norma sarebbe quello di tutelare i terzi, perché si

tratterebbe di un conferimento più sicuro, mentre quello diverse dal denaro è più fluttuante (posizione che risente della funzione del capitale come garanzia);

2) il conferimento in denaro ha una funzione gestionale, perché il denaro è fungibile, elastico, ha maggiore utilizzo.

Nella realtà ci portiamo dietro un retaggio storico. Tale previsione infatti è del tutto inutile, perché la previsione nell’atto costitutivo c’è sempre. E’ diventata una “clausola di stile”.

Per i conferimenti di beni e di crediti c’è l’obbligo di integrare effettuazione, mentre per il denaro il legislatore offre versamenti dilazionali, perché all’atto della sottoscrizione è necessario versare solamente il 25% del conferimento, soglia minima prevista della legislatore comunitario. Nulla impedisce, comunque, che il contratto stabilisca il versamento integrale in denaro o ad una soglia superiore. Il 25% è la soglia minima di legge, ma convenzionalmente può essere stabilito una soglia superiore o un versamento integrale.

Il versamento deve essere effettuato verso una qualunque banca (una volta solo presso la Banca d’Italia), perché nel momento in cui viene versata la somma, la società non esiste ancora, perché la società di capitale nasce alla fine dell’iter con il deposito dell’atto del notaio e l’iscrizione nel Registro delle imprese competente: in quel momento nasce la società. Prima le casse sociali o gli amministratori non ci sono.La banca non può versare questi denari agli amministratori, se questi non dimostrano che la società è venuta ad esistenza con l’iscrizione al Registro delle impresa. Da quel momento, la banca svincola quel deposito (prima era vincolato) e lo mette a disposizione della società.

Il fatto che l’unico socio non versi integralmente il conferimento fa si che il socio non possa godere della responsabilità limitata. L’effetto del mancato versamento è l’unico socio sarà chiamato a

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Il primato dei conferimenti in denaro

La soglia del 25%

Il versamento presso un c/c vincolato di una banca

L’unico socio e il mancato versamento

rispondere personalmente delle obbligazioni sorte. L’effetto quindi non è l’invalidità del contratto. Così il socio non godrebbe della responsabilità limitata.

Quando del 25% del denaro? La legge considera il versamento una delle condizioni di costituzione della società (art. 2329). Le condizioni sono:- che sia sottoscritto per intero il capitale sociale;- che siano rispettate per intero le previsioni relative ai conferimenti (integralmente per beni o

crediti e 25% per il denaro);- che siano presenti le varie autorizzazioni.Senza l’avverarsi di queste condizioni non si potrà precedere all’iscrizione del Registro delle imprese, il quale verifica il verificarsi di queste condizioni.La legge dice che sono condizioni per la costituzione! E’ sufficiente che il versamento avvenga prima dell’iscrizione della società nel Registro delle Imprese: ma non è così nella prassi! Il notaio richiede anche le ricevute bancarie dei versamenti del 25%, altrimenti non stipula il contratto di società.Nel passato fra la stipula del contratto e l’iscrizione del Registro delle Imprese, fino al 2000, c’era un controllo giudiziario del contratto (giudizio di omologazione davanti al Tribunale). Oggi, invece, il notaio deve controllare che ci siano le condizioni per l’iscrizione al Registro delle imprese.

Il mancato pagamento delle quoteArt. 2344.

Mancato pagamento delle quote.1. Se il socio non esegue i pagamenti dovuti, decorsi quindici giorni dalla pubblicazione di una diffida nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, gli amministratori, se non ritengono utile promuovere azione per l'esecuzione del conferimento, offrono le azioni agli altri soci, in proporzione alla loro partecipazione, per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti. In mancanza di offerte possono far vendere le azioni a rischio e per conto del socio, a mezzo di una banca o di un intermediario autorizzato alla negoziazione in mercati regolamentati.2. Qualora la vendita non possa aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo le somme riscosse, salvo il risarcimento dei maggiori danni.3. Le azioni non vendute, se non possono essere rimesse in circolazione entro l'esercizio in cui fu pronunziata la decadenza del socio moroso, devono essere estinte con la corrispondente riduzione del capitale.4. Il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto.

Nel momento in cui la legge dice che c’è l’obbligo di versare solo il 25%, e il 75% quando verrà versato? E’ lo stesso atto costituito a prevedere i tempi entro cui i soci devono completare il versamento. Nel silenzio dell’atto costitutivo, sono gli amministratori, una volta costituita la società che possono richiamare i centesimi ancora mancanti da parte dei soci. C’è la discrezionalità degli amministratori nel richiederli. Potrebbero poi non richiedere mai nulla. Ma non attivandosi gli amministratori si assumono pure un rischio personale. Certo se gli amministratori non hanno richiesto ai soci di completare ed effettuare i versamenti, gli amministratori potrebbero essere chiamati dai creditori sociali a rispondere personalmente, perché non abbiano usato la dovuta diligenza nel richiamare i decimi mancanti. La discrezionalità è limitata, perché devono essere “diligenti” nel richiamare i decimi mancanti.

Se il socio non voglia pagare e si rende inadempiente ai suoi obblighi di completamento del versamento. E’ l’ipotesi del socio moroso. La legge predispone un meccanismo speciale e preferisce individuare un meccanismo specifico ex. l’art. 2344; il meccanismo formalizzato prevede che dopo che gli amministratori abbiano sollecitato il pagamento nelle casse sociali della somma mancante, se l’avvertimento non ha esito, la legge stabilisce che gli amministratori devono pubblicare una diffida nella Gazzetta Ufficiale. Questa previsione è arcaica. Ma il legislatore ha voluto mantenere questa ipotesi, ma di fatto un socio dovrebbe essere attento.

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Il momento del versamento e le condizioni per la costituzione

I centesimi mancanti e la diligenza degli amministratori

La disciplina delsocio moroso

Passati i 15 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, gli amministratori possono:1. procedere esecutivamente in tribunale nei confronti del socio moroso, se credono d’avere la

possibilità di ottenere qualcosa dal socio moroso.2. oppure offrire la azioni non coperte agli altri soci in proporzione alla azioni possedute, per un

corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti.

In quest’ultimo caso:- Qualora non ci siano offerte da parte dei soci, gli amministratori possono tentare di vendere la

azioni sul mercato, a mezzo di una banca o di un intermediario qualificato ad accedere ai mercati regolamentati.

- Se la vendita ha successo, il problema è risolto. Se però, nemmeno terzi subentrassero, la legge prevede che quando la vendita non può aver luogo, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio moroso, salvo risarcimento dei danni. Questa è l’unica ipotesi di “cacciata” (o esclusione) del socio da una società per azioni (l’esclusione è invece prevista nelle società di persone). La società trattiene il 25% già versato (i conferimenti già versarti), salvo il risarcimento di maggiori danni per il socio.

- Queste azioni però, per mantenere l’integrità del capitale, non vengono annullate. Le azioni possono essere messe in circolazione entro l’esercizio dal momento in cui è stato dichiarata la decadenza del socio.

- A questo punto, se neanche tale tentativo va a buon fine, le azioni vengono estinte e cancellate e per il valore corrispondente deve essere ridotto il capitale sociale, altrimenti vi sarebbe capitale fittizio.

Un ulteriore sanzione che può spingere il socio moroso ad effettuare i conferimenti: il socio in mora dei versamenti non può esercitare il diritto di voto; il socio è “in mora” già quando non paga entro i termini previsti, prima della diffida in Gazzetta Ufficiale.

E’ dubbio che questa disciplina si applichi solo ai conferimenti in denaro, o anche a quelli in beni e crediti.Secondo alcuni, siccome i conferimenti non in denaro devono essere effettuati immediatamente e integralmente, non è un ipotesi realistica perché la società non dovrebbe neppure nascere (in mancanza di essi).Ma se la società sorgesse per errore del notaio e del Registro delle imprese (che nascerebbe comunque, ipotesi astratta), anche in tal caso non si applica la disciplina dell’art. 2344, perché non è chiaro come i conferimenti farebbero a trasformarsi in denaro secondo gli obblighi precedenti ed è complesso.Poi l’art. 2344, inoltre, parla di “pagamenti da eseguire”. I rimedi contrattuali allora saranno quelli tipici e gli amministratori potranno sciogliere il rapporto sociale e chiedere risarcimento dei danni.

2.3 I conferimenti in beni o in crediti

Per questi è prevista l’integrale e immediata effettuazione dei conferimenti, anche se il conferimento “dilazionato” sarebbe astrattamente possibile.I conferimenti che non consistano in denaro hanno la necessità di una valutazione: come e da chi devono essere valutati? L’obiettivo è una valutazione oggettiva e veritiera di tali conferimenti.E’ materia coperta dalla seconda direttiva comunitaria del 1976, integrata poi da un’altra direttiva del 2006, integrata/recepita nel 2008 con gli articoli 2343 ter e quater.

Il sistema tradizionale

I conferimenti non in denaro devono subire un duplice controllo del valore. Un’attribuzione di valore dal carattere provvisorio avviene da parte di un esperto nominato da parte del Tribunale nel cui circondario ha sede la società, ex art. 2343, “esperto designato dal tribunale”. Il socio che conferisce un bene, deve attivarsi per ottenere una stima provvisoria (una relazione giurata di stima); nella seconda fase, il controllo, che può sfociare nella revisione della stima, da parte degli amministratori della società, dopo l’iscrizione dell’atto costitutivo nel Registro delle Imprese.

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L’integrale ed immediata effettuazione dei conferimenti

Introduzione

Nella prima fase, l’esperto deve essere indipendente dai soggetti coinvolti, a discrezionalità dei Tribunali.

Tale procedimento mira:a) secondo un interpretazione del passato, a tutelare gli interessi del soci conferenti ad avere una

valutazione equa, o degli altri soci che conferiscono in denaro per evitare che sia sopravvalutato;b) altri ritengono che gli interessi da tutelare siano dei creditori e dei terzi: tesi migliore

(principio dell’effettività del capitale).

L’obbligo della stima c’è anche quando tutti i soci abbiano dichiarato il loro assenso alla dichiarazione dell’esperto.L’articolo parla di esperto “persona fisica” ma può trattarsi anche di una società di capitali, nei casi di difficoltà, che sia nominata una società di revisione o un’entità collettiva (studio associato, ecc.).

L’esperto, secondo la legge, deve stendere una relazione giurata (e quindi si assume responsabilità penali in caso di falso) con la descrizione di beni o crediti, e deve attestare che il valore dei beni o dei crediti deve essere almeno pari a quello ad essi attribuito a fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo.L’esperto non deve dire quanto vale, ma attestare che valga almeno quel valore per il quale è stato assegnato a capitale, considerando anche l’eventuale sovrapprezzo.E’ tollerata un’eventuale sovra-valutazione, mente non è tollerata la sotto-valutazione. Non sarebbe necessario indicare una stima. Ciò viene fatto per ridurre la disponibilità dell’esperto, come nel caso in cui sia un’azienda ad essere conferita.

E’ stato anche risolto il tema della legittimità del sovrapprezzo azioni anche in sede di costituzione della società. Quindi anche in sede di costituzione di società, come previsto espressamente, la società può appostare a capitale solo una parte del valore dei conferimenti e l’altra parte inserirla in una riserva sovrapprezzo azioni.

1) La relazione giurata di stima dell’esperto nominato dal TribunaleCi sono sistemi alternativi per la valutazione di questi conferimenti, introdotti nel 2008, dopo l’attuazione della direttiva comunitaria emanata dal Legislatore Comunitario nel 2006.

Secondo il sistema tradizionale, per la valutazione dei conferimenti in natura, ci sono due passaggi.

In primo luogo è necessaria la stima da parte di un esperto nominato del Tribunale, con carattere meramente provvisorio; la relazione è giurata ed espone l’esperto a responsabilità anche di carattere penale. La caratteristica di questa relazione deve dichiarare che il valore del bene è almeno pari a quello attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale più l’eventuale sovrapprezzo; la legge non chiede di dichiarare quanto vale quel bene, ma che quest’ultimo non sia inferiore al valore per il quale verrebbe conferito: quota capitale più riserva di sovrapprezzo. Le sovravalutazioni sono comunque tollerate.

L’esperto deve indicare anche:- quali criteri ha adottato per giungere alla sua valutazione; a seconda dell’oggetto da valutare, i

criteri di valutazione possono essere pienamente legittimi, comunque molto diversi. - la valutazione deve essere ancorata a dati oggettivi ed esprimere il più possibile il valore

corrente, quindi a valori reali (non secondo le regole ragioneristiche);- nella valutazione dovranno entrare il valore implicito dell’avviamento nel caso di conferimento

di un’azienda, sia il goodwill sia il badwill (valore negativo);

E’ colui che conferisce beni in natura o crediti a dover presentare tale relazione, che dovrà essere allegata all’atto costitutivo e depositata presso l’Ufficio del Registro delle imprese.L’eventuale omissione della presentazione della relazione non comporta né la nullità della società, ne quella (secondo opinione consolidata) del singolo conferimento. Resta comunque la necessità di una fase successiva di controllo.

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La legittimità del sovrapprezzo azioni

Il primo passaggio: la stima dell’esperto

Mancata presentazione della relazione

Nel caso di sottovalutazione del bene, in sede di appostazione a bilancio, ci possono essere due tipi di sottovalutazione:1- convenzionale: l’esperto ha dato al bene una valutazione “x”, mentre i soci hanno appostato a capitale un valore diverso da quest’ultimo. Se tutti i soci sono d’accordo, si può procedere ad una sottovalutazione;2- sottovalutazione prodotta dall’esperto. In tal caso, gli amministratori non dovranno riportare il valore del bene stimato dall’esperto, altrimenti si creerebbe una riserva occulta. Se è l’esperto che ha sottovalutato quel bene, gli amministratori, nella valutazione ai fini dell’appostazione a bilancio, dovranno abbandonare il valore fornito dall’esperto e indicare quello maggiore da loro ritenuto.Dunque, bisogna distinguere la valutazione del bene ai fini del capitale sociale, e quella che deve risultare a bilancio.

Oggi, non c’è dubbio che la valutazione deve essere presentata nel momento della stipula davanti il notaio. Il notaio ha il dovere di controllare anche la stima; il controllo effettuato del Registro delle Imprese presso le Camere del Commercio è puramente formale che può solo verificare che ci siano tutti i documenti per la costituzione della società, regolari dal punto di vista formale e fiscale. Il notaio è l’unico soggetto che deve controllare la legittimità sostanziale degli atti predisposti ai fini della costituzione della società.Il controllo di legittimità sostanziale da parte del notaio, non può sconfinare nel merito, nella valutazione quantitativa effettuata dall’esperto.

Il momento in cui si deve valutare il bene è quello in cui viene conferito. Tutte le variazioni che si potrebbero determinare del valore del bene dopo quel momento, non possono portare ad una variazione del valore ai fini della determinazione del capitale iniziale.Un bene, può darsi nei mesi successivi, potrebbe cambiare di valore, che diminuisca. Potrebbe subire un incendio, essere danneggiato e il valore è inferiore ma nel controllo che fanno gli amministratori non possono considerare questi eventi successivi, non inficiano la valutazione del bene a capitale. Il rischio successivo grava sulla società, non sul socio conferente.

2) Il secondo passaggio, successivo all’iscrizione nel Registro delle imprese,La stima effettuata dall’esperto ha carattere meramente provvisorio (primo passaggio), infatti, ex art. 2343, entro 180 giorni gli amministratori devono controllare le valutazioni contenute nella relazione e, se sussistono fondati motivi, procedere alla revisione della stima.

L’attività di controllo è obbligatoria da parte degli amministratori (prima della riforma, l’obbligo gravava su amministratori e sindaci): è chiaro comunque che i sindaci hanno sempre un obbligo di vigilanza sugli amministratori e in mancanza potrebbero essere chiamati a risponderne personalmente per la mancata diligenza.L’eventuale altra e nuova valutazione, si discute se debba essere fatta dagli amministratori o debba essere nuovamente nominato un esperto. La tesi migliore è quella che debbano essere gli amministratori a procedere con una nuova stima, visto anche il termine entro cui devono procedere di 180 giorni. Ciò non esclude che essi non possano farsi assistere da un loro consulente, in mancanza di competenza.

Ogni sovra-valutazione del bene effettuata dall’esperto non è detto sia rilevante. L’art. 2343 dice che se dalla revisione effettuata dagli amministratori risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti è inferiore di oltre un quinto rispetto a quello per cui avviene il conferimento sono previste delle conseguenze. Le eventuali sovra valutazioni entro il quinto rimangono valide: è un margine tollerato, ci può essere una parziale sovra valutazione.

Ma se la sovra valutazione è superiore a un quinto, (la revisione da parte degli amministratori deve essere fatta sul bene nel momento della costituzione, non attuale) la conseguenza (principale) di legge è che la società debba ridurre proporzionalmente il capitale sociale, annullando le azioni che risultano scoperte.

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Il momento di presentazione della valutazionee il controllo notarile

La revisione della stima da parte degli amministratori

Differenza di oltre un quinto il valore e conseguenza

La sottovalutazione del bene

Ma, allo stesso tempo, la legge fa si che sia confermato il capitale attribuito in sede di costituzione, allora lascia due possibili alternative al socio conferente per evitare la riduzione del capitale:1) questo infatti, può decidere di versare la differenza in denaro, confermando il capitale sociale

com’era stato determinano e mantenendo inalterato il numero di azioni sottoscritte;2) il socio può avere un’altra alternativa: recedere dalla società. Il recesso è quell’atto attraverso il

quale un socio può sciogliere il suo rapporto, cessa di essere socio per sua volontà. Questo dovrà decidere cosa fare entro due settimane o un mese.

Le azioni che corrispondono ai conferimenti oggetto di valutazione sono inalienabili e devono restare depositate presso la sede della società fino a che non viene completato l’iter di valutazione: la legge non vuole che vengano messe in circolazione delle azioni il cui valore effettivo non è ancora conosciuto, o che rischierebbe addirittura di venire annullate.

Il socio recedente ha diritto alla restituzione in natura del proprio conferimento o alla liquidazione delle azioni corrispondenti. Il problema è sapere se il valore della partecipazione è ex tunc o ex nunc ovvero il valore attuale del conferimento o quello iniziale. Il patrimonio sociale infatti potrebbe essersi arricchito e il valore della partecipazione del socio potrebbe essere cresciuto o diminuito.La regola generale è il diritto di restituzione del valore attuale della quota. Quando invece il recesso avviene nella fase iniziale, il valore della quota che spetta al socio deve essere calcolato nel momento in cui si recede.

La legge, inoltre, dov’è possibile in tutto o in parte, prevede che la società restituisca il bene stesso (restituzione in natura):- impossibile, perché il bene non c’è più;- impossibile, perché il valore della partecipazione è inferiore a quello del bene.Potrebbero essere necessari conguagli in denaro per pareggiare il valore del bene con il valore di liquidazione della partecipzione. La società non ha comunque alcun obbligo infatti di conservare i beni oggetto di conferimento.

In mancanza, sarà restituito il valore attuale della sua quota (verrà liquidata la partecipazione). Si seguono le regole della riduzione per perdite (in parte).

I sistemi di valutazione alternativi

Il legislatore comunitario ha voluto rendere questo procedimento più agevole e meno costoso, sempre come facoltà, individuando sistemi alternativi per arrivare alla valutazione, in una logica di salvaguardia del valore della azioni. Si dà maggior peso alla velocità e flessibilità rispetto al principio dell’effettività.Questo si può fare quando esiste già un parametro di riferimento che consenta comunque una valutazione di quel bene. Gli art. di riferimento sono 2343 ter e quater cc.

L’art. 2343 ter prevede tre fattispecie per evitare la procedura dell’art 2343 cc.:

Prima ipotesiCaso in cui vengano conferiti valori mobiliari o strumenti del mercato monetario (ex art. 1 TUF ovvero i valori negoziati del mercato regolamentato, azioni, a, bot, cct trattati in un mercato regolamentato, quest’ultimo, è la Borsa italiana o straniera), quando la valutazione sia pari o inferiore al prezzo medio ponderato al quale questi valori mobiliari sono stati negoziati in un mercato regolamentato nei sei mesi che precedono il conferimento. Ad esempio, se si conferiscono azioni per un valore pari o inferiore al valore medio ponderato degli ultimi sei mesi di negoziazione, la legge ritiene esaurito il problema di valutazione, senza incorrere in un esperto: si può saltare la fase della stima da parte dell’esperto.

Nella fase pre-costituzione della società, la decisione del sistema di valutazione da adottare spetta al socio conferente la scelta o ai contraenti.

Altro dubbio che lascia la legge riguarda la libertà di scelta solo fra usare il valore medio ponderato negli ultimi sei mesi o si potrebbero eventualmente usare anche i sistemi descritti dopo. Stando alla lettera della legge, non è richiesta la relazione dell’esperto in altri casi quando si conferiscano

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Il recesso del socio e la valutazione della partecipazione

Valori mobiliari o strumenti del mercato monetario

Rimedi per il socio

Inalienabilità dei conferimenti oggetto di valutazione

beni in natura o crediti diversi da quelli al primo comma (valori mobiliari). Su questo però c’è un interpretazione che nulla impedisce di adottare anche gli altri criteri.

Entrambi i casi si basano sulla determinazione di una valore equo anche se ricavata in due modalità diverse, quando bene in natura o crediti i valori siano ricavati da un bilancio, purchè sia sottoposto a revisione legale o il revisione non abbia espresso rilievi in relazione all’oggetto del conferimento.

Seconda ipotesiIl caso è un bene già inserito o valutato nel bilancio della società conferente e tale bilancio viene sottoposto a revisione legale, senza rilievi da parte del revisore sulla consistenza di quel cespite.

Problemi da risolvere:- “valore equo” che richiamerebbe il fair value o i principi IAS. Ma è più probabile ricondurlo ad

una cattiva traduzione, altrimenti i beni inscrivibili (quelli valutati a fari value) sarebbero pochi e diventerebbe improbabile l’uso di questo sistema, e sembra emergere una tendenza per cui “valore equo” non vada inteso in senso tecnico, ma “contabilmente ricavato in maniera corretta”.

- il bilancio deve essere sottoposto a “revisione legale”; ma nel nostro ordinamento revisione legale non è un concetto noto, allora andrebbe inteso come un “controllo contabile anche interno da parte del Collegio sindacale”, oltre che da un revisore esterno o società di revisione, purché i revisioni non abbiano sollevato rilievi in merito all’oggetto del conferimento.

- il bilancio non deve essere approvato da non oltre un anno, secondo la legge italiana; mentre la direttiva usa la formulazione dei “conti dell’ultimo esercizio”.

Terza ipotesiTerza ed ultima ipotesi riguarda il conferimento di un valore equo di un bene o di un credito che risulti da una valutazione precedente, non oltre i sei mesi del conferimento e conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione oggetto del conferimento, effettuata da un esperto dotato di adeguata e comprovata professionalità.

E’ il caso di un soggetto che per evitare che venga redatta una relazione giurata o di stima produce un valutazione di quel bene fatta da non oltre sei mesi, il cui esperto deve essere indipendente e professionalmente qualificato.- anche qui valore equo si intende un “valore corretto dal punto di vista della valutazione di

mercato”;- nulla esclude che questa valutazione sia provocata ad hoc al fine di effettuare il conferimento

saltando la valutazione dell’esperto del tribunale.- non c’è bisogno di una relazione giurata, non c’è controllo e revisione della stima da parte degli

amministratori e l’esperto è scelto dal socio;- per valutare l’indipendenza dell’esperto, si utilizzano criteri simili a quelli dei sindaci, rapporti

diretti o indiretti con i soci. La professionalità andrà valutata caso per caso.

Qualcuno ha detto che nessuno avrebbe più usato il sistema tradizionale in favore di quest’ultimo.Non sarà così perché, si è vero si riducono i costi, ma usare questo sistema è più pericoloso: si accentua di molto la responsabilità degli amministratori, i quali qualora rilevino delle differenze significative di valore hanno come unica strada andare in Tribunale per chiedere la nomina di un esperto.

Quando si segue la strada alternativa, ex. 2343 ter, la legge stabilisce che chi conferisce beni o crediti deve presentare al notaio una documentazione dalla quale risulti il valore attribuito ai conferimenti e la sussistenza delle condizioni per evitare l’applicazione dell’art. 2343 e questa documentazione deve essere allegata all’atto costitutivo. Il notaio, ancora, esercita un controllo.

Gli amministratori, una volta venuta ad esistenza la società, nel termine di 30 giorni dall’iscrizione al Registro delle imprese devono verificare se si siano realizzati fatti nuovi che possono aver inciso sensibilmente sul valore equo. Il compito degli amministratori è diverso dal sistema tradizionale: essi dovevano controllare che la valutazione dell’esperto e se ritenessero che vi sia sovra valutazione, procedere alla revisione.

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Bene o credito già valutati precedentemente

L’iter per i sistemi alternativi e il ruolo degli amministratori

L’ipotesi di revisione della stima e riduzione del capitale

Beni già presenti in un bilancio revisionato

Diverso è il compito per gli amministratori con questo meccanismo, essi controllano che non siano intervenuti fatti straordinari o eccezionali che abbino alterato il valore così riconosciuto.

Nel caso in cui le verifiche degli amministratori avessero esito positivo, essi dovrebbero redigere una relazione che conferma l’utilizzabilità dei criteri alternativi e procedere all’iscrizione del Registro delle imprese della loro valutazione. Se invece ritengono che siano intervenuti fatti nuovi od eccezionali, ecco allora che la legge impone loro di partire da zero, ricorrere in tribunale e far partire la procedura dell’art. 2343, con un allungamento dei tempi.

L’art. 2343 prevede anche qualora si sia dovuto procedere ad una revisione della stima con conseguente riduzione del capitale e annullamento delle azioni: l’atto costitutivo può prevedere che, per effetto dell’annullamento delle azioni, si può riequilibrare il peso delle partecipazioni e ripartire fra i soci.

E’ un principio di generale applicazione nelle Spa e anche nella Srl: non è più necessario che ci sia corrispondenza fra valore del conferimento e della partecipazione che ciascun socio ottiene.Fino alla riforma c’era una necessaria corrispondenza biunivoca fra conferimenti e capitale; oggi con l’art. 2346 si prevede una regola come quella del passato, ma la legge aggiunge che lo statuto può prevedere una diversa assegnazione delle azioni. Comunque il valore attribuito al capitale non può mai essere complessivo della somma dei conferimenti: significa necessariamente che ci saranno altri soci che avranno proporzionalmente meno azioni rispetto al valore dei loro conferimenti.Garantito questo a livello complessivo, all’interno del capitale c’è libertà di attribuzione delle azioni. Oggi la corrispondenza non è più vista a livello della singola partecipazioni, ma al complesso delle partecipazioni.

Le ragioni per usare questo strumento è dare un riconoscimento rilevante al socio che effettui dei conferimenti atipici, come una prestazione di fare (opera o servizi). Un socio, ad esempio, può svolgere una attività professionale gratuitamente per la società e tramite la ridistribuzione non proporzionale delle azioni, si può dare riconoscimento all’impegno da lui assunto (e gli altri rinunciano alla parte cui aspetterebbe).

Ma ci sono dei limiti all’assegnazione non proporzionale? Si possono individuare due estremi opposti:1) il caso di chi non conferisce nulla, ma ottiene comunque una parte del capitale;2) oppure il caso in cui, nel contratto sociale, un socio si impegna per un certo conferimento, ma

non ottiene alcuna azione;Si è sempre discusso: c’è una tendenza maggioritaria nel riconoscere validità anche a questi casi estremi; ma la fattispecie prevista dalla legge è quella di una distribuzione non proporzionale di azioni, ma comunque fra soci.Si presentano alcuni problemi applicativi: chi deve completare i conferimenti in denaro per il socio che non ha conferito nulla? A chi sarà chiesto di completare il versamento? A chi ha ottenuto le azioni o a chi ha promesso un conferimento? Normalmente si dice che i denari vanno richiesti a chi ha promesso il conferimento, anche se non ha ottenuto azioni.

2.4 Gli acquisti pericolosi

Art. 2343-bis. Acquisto della società da promotori, fondatori, soci e amministratori.

1. L'acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, di beni o di crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci o degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese, deve essere autorizzato dall'assemblea ordinaria.2. L'alienante deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società contenente la descrizione dei beni o dei crediti, il valore a ciascuno di essi attribuito, i criteri di valutazione seguiti, nonché l'attestazione che tale valore non è inferiore al corrispettivo, che deve comunque essere indicato.

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La non corrispondenza fra partecipa-zioni e capitale

Limiti alla non proporzionalità

3. La relazione deve essere depositata nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea. I soci possono prenderne visione. Entro trenta giorni dall'autorizzazione il verbale dell'assemblea, corredato dalla relazione dell'esperto designato dal tribunale, deve essere depositato a cura degli amministratori presso l'ufficio del registro delle imprese.4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli acquisti che siano effettuati a condizioni normali nell'àmbito delle operazioni correnti della società né a quelli che avvengono nei mercati regolamentati o sotto il controllo dell'autorità giudiziaria o amministrativa.5. In caso di violazione delle disposizioni del presente articolo gli amministratori e l'alienante sono solidalmente responsabili per i danni causati alla società, ai soci ed ai terzi.

L’art. 2343 - bis prevede che l’acquisto da parte della società per un corrispettivo pari o superiore a un decimo del capitale sociale di beni o crediti dei promotori o dei sociattuali o degli amministratori deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria.

Una società per azioni, nei due anni dalla sua costituzione (iscrizione nel Registro delle imprese), può decidere di acquistare beni o crediti da parte di soggetti che hanno a che fare con la società (per pubblica sottoscrizione da parte di soggetti detti promotori). E’ il caso in cui i promotori lanciano un progetto di società per azioni e promuovono una pubblica sottoscrizione, fanno un invito al pubblico affinché chi è interessato può sottoscrivere azioni della società. I soggetti interessati a tale norma sono dunque:- soci fondatori- soci non fondatori- amministratori

Gli acquisti fatti da queste persone, se fatti per un importo pari o superiore al decimo del capitale, devono essere autorizzati dall’assemblea ordinaria della società.

L’alienante deve presentare la relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale, contenente la descrizione di beni o dei crediti, il valore a ciascuno di essi attribuito, i criteri di valutazione seguiti, nonché l’attestazione che tale valore non è inferiore al corrispettivo, che deve comunque essere indicato.La legge detta per questa fattispecie, la stessa disciplina che la legge applica per i conferimenti diversi dal denaro (si applica la disciplina propria del sistema tradizionale dei conferimenti): la legge però non prevede un successivo controllo o una revisione della stima da parte degli amministratori.

Lo scopo è parificare gli acquisti fatti dalla società a quelli del conferimento diverso dal denaro, perché attraverso questa tecnica si potrebbe altrimenti aggirare i vincoli posti a tutela del capitale dall’art. 2343: la società viene conferita con un capitale minimo di 120.000, e con versamento del 25%; poi, dopo averla iscritta al Registro delle Imprese, fingiamo di acquistare un bene da un socio, è come se sopra-valutassimo un conferimento.La legge vuole evitare un aggiramento, un elusione dei versamenti diversi dal denaro, una sopra- valutazione dei beni diversi dal denaro: sono acquisti che potrebbero deprimere la consistenza patrimoniale della società.Che sia questo lo scopo è dubbio, perché è previsto solo per i primi due anni.

I soggetti che sono considerati critici da questo punto di vista: soci e amministratori attuali, i fondatori anche se non sono più soci, e i fondatori che non siano più soci, i promotori.

L’ambito oggettivo presuppone due limiti per: a) le operazioni compiute entro due anni dall’iscrizione della società nel Registro delle imprese. Se

una società di persone si trasforma in società per azioni: la disciplina si applicherà allora dal momento della trasformazione in Spa, è come se nascesse ex novo una Spa.

b) la legge, inoltre, non considera operazioni di scarso valore, parlando di operazioni avveute“per un corrispettivo pari o superiore ad un decimo del capitale sociale”: bisogna guardare all’effettività; ci possono essere acquisti frazionati, e quindi bisogna guardare la somma di quest’ultimi.

Con il termine “acquisti” va inteso in senso generico: effettuati dalla società per effetto di un contratto con effetto traslativo e a carattere oneroso, non solo per i contratti di compravendita. Il fenomeno della depressione del capitale potrebbe verificarsi anche con un fenomeno di permuta.

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Obblighi per l’alienante

Soggetti critici

Le operazioni regolate

La legge prevede un obbligo di autorizzazione da parte dell’assemblea ordinaria. I soci hanno diritto di prendere visione della relazione di stima e la delibera di autorizzazione è soggetta a pubblicità legale.

Queste operazioni di acquisto sono decise dagli amministratori. La gestione appartiene agli amministratori e in modo esclusivo: acquistare un bene è una tipica operazione di gestione.Un’analoga operazione di gestione autorizzata dall’assemblea è l’operazione di acquisto di azioni proprie. Può avvenire solo nelle società azionarie, la società può decidere di acquistare proprie azioni. Tale operazione è particolarmente delicata e pericolosa.Non è che la decisione o il potere di decidere passa all’assemblea, rimane agli amministratori. E’ solamente un potere condizionato, è l’elemento dell’autorizzazione dell’assemblea.Infatti, in ipotesi, è possibile che l’assemblea l’abbia concessa, ma che gli amministratori decidano di non compiere più l’operazione. L’assemblea non vincola gli amministratori, altrimenti vi sarebbe un’ingerenza nella gestione, cosa che la legge non tollera, dopo la riforma.

La norma è eludibile perché è sufficiente, affinché fondare una nuova società, acquistare le azioni di una società già esistenti. Se un soggetto vuole acquistare un immobile e non acquistarlo come persona fisica, può andare da un commercialista e tramite una srl già fondata, acquista una quota della società e poi l’immobile.

Cosa succede se questo acquisto viene deciso dagli amministratori, non viene chiesta l’autorizzazione o senza effettuare la stima?La sanzione per questa violazione della legge, ci dice che in caso di violazione delle disposizione del presente articolo, gli amministratori sono responsabili per i danni causati alla società, ai soci e ai terzi. La sanzione non è la nullità dell’atto o dell’operazione, che rimane valida ed efficace; il trasferimento del bene produce i suoi effetti: scatta solo una responsabilità personale dei soggetti coinvolti: gli amministratori e dall’altra parte chi ha venduto quel bene (l’alienante) per i danni che possono essere derivati dalla società per l’operazione, ad esempio, per la perdita di patrimonio, se il bene è stato stimato al doppio del suo valore.

La legge introduce però delle esenzioni a tutto ciò (comma 4, 2343 bis); le disposizioni dell’articolo non si applicano:- agli acquisti che si applicano in condizioni normali nell’ambito di operazioni correnti della

società;- o per quelle che avvengono nei mercati regolamentati o sotto il controllo della società giudiziaria

o amministrativa.Se tali materie prime vengono acquistate a condizioni normali, cioè alle medesime condizioni a cui un terzo avrebbe contrattato, con prezzo di mercato, scadenza di pagamento, ecc.: non ci sarebbe ragione di partire con tale procedimento (autorizzazione e nomina dell’esperto dal Tribunale);Allo stesso modo, se l’amministratore acquista delle azioni in borsa (mercato regolamentato), ma il prezzo non è individualmente stabilito, ma è dato dalla domanda offerta complessiva in quel momento dal mercato.- quando l’acquisto è effettuato dall’autorità giudiziaria o amministrativa; quando un

amministratore, ad esempio, acquista un bene dal fallimento, ma anche in tal caso il prezzo viene definito dall’autorità giudiziaria.

2.5 Il fenomeno delle prestazioni accessorie

Art. 2345. Prestazioni accessorie.

1. Oltre l'obbligo dei conferimenti, l'atto costitutivo può stabilire l'obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in danaro, determinandone il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, e stabilendo particolari sanzioni per il caso di inadempimento. Nella determinazione del compenso devono essere osservate le norme applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse prestazioni.2. Le azioni alle quali è connesso l'obbligo delle prestazioni anzidette devono essere nominative e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori.3. Se non è diversamente disposto dall'atto costitutivo, gli obblighi previsti in questo articolo non possono essere modificati senza il consenso di tutti i soci.

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L’autorizzazionedell’assembleaordinaria

Sanzione per la violazione della disciplina

Esenzioni

Oltre l’obbligo dei conferimenti, l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in denaro, determinando contenuto, durata, modalità, compenso e sanzioni per inadempimento.

E’ possibile prevedere a carico dei soci l’obbligo di effettuare prestazioni ulteriori, oltre i conferimenti. Ovvero che un socio, oltre che conferire denaro, si impegni ad effettuare prestazioni di lavoro per la società. Ad esempio, l’obbligo del socio di prestare la propria attività lavorativa o professionale nella società, o quello di effettuare forniture periodiche di materie prime o merci.

In tal caso, le azioni con prestazioni accessorie devono essere nominative e non trasferibili senza il consenso degli amministratori. Tali azioni accessorie non sono imposte al socio: si può istituire delle azioni a cui è connesso quest’obbligo; chi è titolare di tali azioni dovrà adempiere a quell’obbligo.Tale obbligo inerisce all’azione e non al titolare della azioni. Mentre nella Srl, con forte caratterizzazione personale, gli atti costitutivi possono stabilire che determinati soci abbiano certi diritti particolari diversi da quelli che spettano alla generalità dei soci, mentre nella Spa, per attribuire diritto o obblighi particolari, si deve farlo sulle azioni. Ovviamente chi è titolare della azioni avrà determinati diritti particolari.La differenza è fatta sul piano delle azioni, non sul piano del soggetto.

Tali prestazioni accessorie sono una particolare specie di azioni.La legge dice che tali prestazioni sono diverse dal denaro, che non potrebbero essere oggetto di conferimento. In realtà questo istituto veniva utilizzato nella società per inserire apporti di fare qualcosa, che sono vietati.

Oggi l’utilità di un istituto come questo è venuta scemando, perché ci sono altri strumenti per dare ingresso ufficiale agli apporti di prestazioni di fare; - la non proporzionalità della azioni;- l’emissione di strumenti finanziari partecipativi, a fronte della promessa di determinante

prestazioni d’opera o di servizi;Queste ultime sono tecniche agevole rispetto all’emissione di prestazioni accessorie.

All’ultimo comma infatti ci sono dei vincoli:- le azioni non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori; non tutti i soggetti sanno

adempiere allo stesso obbligo, se le azioni vengono vendute ad un soggetto non idoneo, allora il socio deve ottenere il consenso degli amministratori.

- al terzo comma, le prestazioni accessorie non possono essere modificate senza il consenso di tutti i soci, con una decisione unanime dei soci. Questo è l’unico caso in cui in una spa è prevista una decisione unanime dei soci. Infatti, caratteristica fondante di una società per azioni è quella per cui, per tutte le decisioni anche per le più radicali, vige sempre il principio maggioritario. Questa è una grossa complicazione.

Queste azioni con prestazioni accessorie sono un meccanismo troppo rigido.

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Elemento personalistico

Modalità di riconoscimento alternative

Vincoli alla disciplina

L’oggetto

Capitolo IIILE AZIONI

3.1 Nozione e caratteriArt. 2346.

Emissione delle azioni.1. La partecipazione sociale è rappresentata da azioni; salvo diversa disposizione di leggi speciali lo statuto può escludere l'emissione dei relativi titoli o prevedere l'utilizzazione di diverse tecniche di legittimazione e circolazione.2.Se determinato nello statuto, il valore nominale di ciascuna azione corrisponde ad una frazione del capitale sociale; tale determinazione deve riferirsi senza eccezioni a tutte le azioni emesse dalla società.3. In mancanza di indicazione del valore nominale delle azioni, le disposizioni che ad esso si riferiscono si applicano con riguardo al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse.4. A ciascun socio è assegnato un numero di azioni proporzionale alla parte del capitale sociale sottoscritta e per un valore non superiore a quello del suo conferimento. Lo statuto può prevedere una diversa assegnazione delle azioni.5. In nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all'ammontare globale del capitale sociale.6. Resta salva la possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione.

Caratteristica principale della spa sono le azioni.La partecipazione sociale è rappresentata da azioni. C’è pure nella sapa, ma non nella Srl, dove vige invece il divieto di rappresentare le partecipazioni sociali tramite le azioni.

Il termine azioni assume tre possibili significati:1) intesa come frazione del capitale sociale; il capitale sociale è diviso in azioni, tutte del

medesimo valore, questo a prescindere che siano emesse azioni senza valore nominale;2) intesa come termine sintetico per esprimere il complesso di posizioni giuridiche attive e passive

della partecipazione sociale, quindi azione come partecipazione sociale. Ogni azione rappresenta una rappresentazione sociale, ovvero un complesso posizioni attive, di diritti e di doveri, ma anche di posizioni passive, come l’obbligo di completare i conferimenti. Tutto ciò che significa partecipazione sociale, diritti, obblighi e poteri.

3) azione come titolo azionario, documento che incorpora e menziona la partecipazione sociale e abbia natura di titolo di credito. Quest’ultima non trova sempre riscontro in una società per azioni, dove si può prevedere la non emissione dei titoli azionari. L’ a r t . 2 3 4 6 a l c . 1 : l a partecipazione sociale è rappresentata da azioni, salvo che lo statuto può escludere l’emissione dei relativi titoli. In passato previsto con deliberazione della assemblea straordinaria, oggi invece è lo statuto che prevede la non emissione dei titoli. Anche se non sono emessi i titoli azionari, la società esiste comunque. Ci sono differenze sul piano della circolazione dell’azienda sociale. La qualità di socio generalmente si trasferisce col trasferimento del titolo azionario, secondo le regole dei titoli di credito. Se le azioni non sono emesse, la cessione della posizione di socio dovrà avvenire attraverso tecniche diverse.

3.2 Caratteristiche delle azioni

L’azioni sono tutte di uguale valore e devono rappresentare un’identica frazione del capitale sociale.

Art. 2347. Indivisibilità delle azioni.

1. Le azioni sono indivisibili. Nel caso di comproprietà di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106.2. Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti.3. I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da essa derivanti.

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Nozione

Indivisibilità delle azioni

Le azioni sono indivisibili. L’uguaglianza del valore delle azioni è principio inderogabile in quanto l’azione è unità minima di partecipazione e ad essa corrisponde un complesso unitario e non frazionabile di diritti e poteri.

Mente in una società non azionaria, le quote di partecipazioni sono ragguardate al valore del conferimento, nella Spa ogni azione è il minimo comune denominatore, sotto essa è indivisibile. Ciascun socio diventa titolare non già di un’unica ed unitaria quota di partecipazione, bensì di tante quote di partecipazione quante sono le azioni sottoscritte.La singola partecipazione rappresenta quindi l’unità minima di partecipazione al capitale sociale (oltre che l’unità di misura dei diritti sociali).In caso di comproprietà di un azione è necessario un rappresentante comune.

Ogni azione quindi rappresenta un complesso standardizzato di posizioni giuridiche attive e passive; ogni azione è una partecipazione sociale pro quota.“complesso standardizzato” perché tutte le azioni attribuiscono medesimi diritti e medesimi obblighi, si parla di emissione in serie. Ogni azione costituisce infatti una partecipazione sociale ed attribuisce al suo titolare un complesso unitario di diritti e poteri di natura amministrativa (ad esempio, diritto di intervento in assemblea, di impugnare le delibere invalide, di esaminare i libri sociali) e di natura patrimoniale (diritto agli utili, diritto alla quota di liquidazione), ed anche a contenuto complesso amministrativo e patrimoniale (diritto di opzione, diritto all’assegnazione di azioni gratuite, diritto di recesso).

Le azioni “conferiscono ai loro possessori uguali diritti” (art. 2348, c.1), principio che si ricollega all’altro dell’uguaglianza del valore delle azioni: identico è l’apporto alla formazione del capitale sociale espresso da ciascuna azione, identici sono di conseguenza i diritti e i poteri che ciascuna conferisce.E’ però si possibile creare categorie di azioni fornite di diritti diversi, ma anche in tal caso l’uguaglianza delle azioni si riproduce all’interno della singola categoria: è un’uguaglianza relativa.

Ogni azione rappresenta una partecipazione sociale autonoma e distinta rispetto alle altre. L’azionista può sottoscrivere o acquistare più azioni ed in tal caso diventa titolare di una pluralità di partecipazioni azionarie (principio di autonomia delle azioni). Ne consegue che l’azionista può disporre in modo autonomo e separato delle azioni possedute. Il socio titolare di più azioni può cioè esercitare i diritti delle azioni in modo parziale, e può decidere di presentarsi in assemblea e votare per solo metà delle azioni possedute.Ci sono solo casi relativi ove non è possibile esercitate i diritti in modo parziale, come il recesso dalla società. Un esercizio necessariamente unitario è quindi inevitabile per quei diritti che spettano all’azionista in quanto tale indipendentemente dal numero di azioni possedute (come ad esempio il diritto di intervento in assemblea).

Emerge allora il voto divergente: si può votare con 50 azioni e con 50 contro l’approvazione del bilancio? Oppure, caso pratico tipico, è il caso dell’intestazione fiduciaria delle azioni, non è infrequente che un soggetto titolare delle azioni non voglia apparire come socio della società e allora è previsto un meccanismo di intestazione ad una società fiduciaria; si trasferiscono azioni alle società fiduciaria, sulla fiducia, e questa si impegna a gestire le azioni secondo le direttive del fiduciante.Una medesima società fiduciaria può ottenere due pacchetti d’azione di due soci della medesima società (50 di un socio, 50 di un altro): Caio dà direttiva alla società fiduciaria di votare a favore, l’altro contrario. La società fiduciaria dovrà quindi esprimere voto divergente. Questo è un caso in cui si ritiene lecito il voto divergente.

Uguali sono i diritti che ciascuna azione attribuisce, ma vi sono diritti che tengono però conto anche del numero di azioni di cui ciascuno è titolare. Vi sono però diritti e doveri che però richiedono un determinato possesso azionario. L’art. 2377, ad esempio, prevede che per poter impugnare la deliberazione dell’assemblea invalida, sia necessario che i soci debbano possedere tante azioni quanti i diritti di voto che rappresentano l‘1 per mille nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio, o del 5% nelle altre. Oggi la legge ha creato questa previsione per evitare il rischio dei disturbatori di assemblea, questi ottenevano una monetizzazione della minaccia purché non impugnassero il bilancio. Così sono

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Autonomia delle partecipazioni azionarie

Uguaglianza dei diritti

Uguaglianza oggettiva delle azioni

stabilite soglie minime per impugnare le delibere assembleari. Qui conta la % del capitale posseduta, non il numero delle azioni.Normalmente ogni azioni attribuisce il complesso di diritti o poteri, mentre altri necessitano di un determinato possesso azionario e non basta la singola azione.

Partecipazione sociale non significa essere “proprietari” del patrimonio sociale: è importante perché quando si vendono le azioni (partecipazioni sociali), non patrimonio della società: importante per capire i vizi legati alla vendita.La partecipazione sociale è un insieme di diritti, di poteri e di obblighi e non è un bene la partecipazione sociale in quanto tale, lo diventa nel momento in cui la partecipazione viene incorporata in un titolo, in un documento (così si diventa proprietari dell’azione come documento e non proprietari della partecipazione). Inoltre i soci non sono proprietari, neppure pro-quota, dei beni che compongono il patrimonio sociale dell’azienda. Solo la società è titolare del suo patrimonio, mentre il socio non è comproprietario del patrimonio sociale. Questo può, secondo alcuni, valere per le società di persone, ma sicuramente non può valere per le società di capitali, per le S.p.A. in particolare, che è oltretutto dotata di una propria personalità giuridica. Tutto questo ha delle conseguenze molto rilevanti nel caso di vendita di pacchetti azionari, soprattutto se di maggioranza. Nel caso di vendita, per stabilire il prezzo del pacchetto azionario si tiene conto del patrimonio della società (un criterio fondamentale per stabilire il valore del pacchetto è riferirsi al patrimonio sociale). Per questo motivo quando si comprano o si vendono azioni viene prevista una particolare garanzia per cui il venditore (socio) garantisce al compratore (futuro socio) il valore del patrimonio sociale. Questa clausola di garanzia obbliga il venditore a tenere indenne il compratore da eventuali minusvalenze del patrimonio sociale. Ed è proprio per questo motivo che i contratti di trasferimento di partecipazioni sociali, soprattutto se di controllo e quindi di maggioranza, molto spesso sono alquanto consistenti (in termini di lunghezza del contratto stesso, e di quantità di informazioni contenute) - l’acquirente vuole essere garantito dal venditore in merito alla effettiva consistenza patrimoniale della società.

3.3 Azioni e titoli di credito

I titoli azionari (o certificati azionari) sono i documenti che rappresentano le quote di partecipazione nelle Spa non quotate, ne diffuse fra il pubblico in maniera rilevante e che ne consentono il trasferimento secondo le regole proprie dei titoli di credito.La loro emissione nelle società non quotate è normale, ma non essenziale.

Secondo l’art. 2346, c. 1 si può decidere di non emettere le azioni o l’utilizzazione di tecniche diverse di legittimazione o circolazione delle azioni. L’art. 2346 consacra il principio della libertà della forma di partecipazione: oggi è solo una delle possibili forme per rappresentare la partecipazione sociale. L’azione è la forma tipica, solo lo statuto può stabilire diversamente.

Se le azioni sono emesse, allora sono titoli di credito.I titoli di credito si caratterizzano per il fatto di rappresentare una somma in modo tale che la circolazione del documento vale come circolazione del diritto. I titoli azionari costituiscono infatti veicolo necessario per il trasferimento della partecipazione sociale e pertanto ad essi è applicabile il principio dell’autonomia in sede di circolazione dei titoli di credito (art. 1994).Ad esempio, quando si trasferisce una cambiale, titolo all’ordine, si trasferisce il diritto (ad esempio di riscuotere una somma) con una facilitazione della circolazione perché non occorre fare un contratto di trasferimento. Consegnando un documento, colui che ne entra in possesso diviene soggetto legittimato ad esercitare il diritto assegnato dal documento.

Altra caratteristica di un titolo di credito è la non opponibilità delle eccezioni del precedente possessore. Se quando una cambiale, magari girata, viene a scadenza, il titolare della cambiale non può opporre a quest’ultimo (il giratario) le eccezioni personali sollevate nei confronti del primo, il girante, rivelatosi inadempiente. Questo è il principio dell’obbligazione cartolare.I crediti normali invece, anche se ceduti, sono invece opponibili, perché l’acquisto del credito è a titolo derivativo, acquisto “tutta la storia” del credito, comprese le eccezioni verso il primo cessionario. Questo per un’esigenza dei salvaguardia dell’integrità del capitale.

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Principio della libera forma

Strumento di circolazione del titolo azionario

Non opponibilità

I titoli azionari

Anche quando le azioni sono emesse, sono titoli di credito un po’ particolari, perché sono a letteralità incompleta: sono titoli letterali. Il diritto è quello che sta scritto nel titolo, e circolano sulla base delle regole di circolazione dei diritti di credito. In tal caso invece, un titolo azionario non attribuisce un titolo letterale, un diritto cioè il cui contenuto è determinato esclusivamente da quanto è scritto sul documento.

In particolare, le azioni possono essere nominative o al portatore, a scelta dell’azionista, del socio. Ma si aggiunge “se lo statuto o le legge speciali non stabiliscono diversamente”: una legge speciale 1148/1941 stabilisce la nominalità obbligatoria dei titoli azionari, norma dettata da ragioni speciali. Ancor oggi vige il divieto di emettere azioni al portatore, salvo casi espressamente regolati, come le azioni di risparmio.Il sistema vigente è perciò il seguente: tutte le azioni devono essere nominative, salvo che le azioni di risparmio (e quelle emesse dalle sicav, purché interamente liberate) che possono essere nominative o al portatore a scelta dell’azionista.

La differenza: le azioni al portatore circolano soltanto con la consegna, e con la consegna (e presentazione del titolo) si trasferisce la legittimazione del diritto ad essere socio.

Nel caso di azioni nominative, il meccanismo è diverso. L’ipotesi tipica di circolazione è la circolazione mediante girata (= al posto mio “pagate” al signor. X), ma è una girata autenticata da un notaio, da un agente di cambio o da quant’altro. Inoltre, la regola è che ci vuole una doppia intestazione: è necessario risultare titolari sul titolo, ma anche sul Registro dell’emittente (la società, dove sono registrati i titolari dei titoli, è il libro soci). Ma, per favorire la circolazione delle azioni, la legge non prevede la doppia intestazione, ma basta avere la girata e sarà poi la società che modificherà il libro soci, indicando il nome del nuovo socio, e può essere fatta a posteriori (eccezione fatta per le azioni).

La legge prevede anche la possibilità di non emettere i titoli azionari, così che la partecipazione risulta solo dal libro soci. La circolazione avverrà secondo le regole proprie del contratto e non nelle forme facilitate della circolazione del titolo di credito. In tal caso, non è un titolo di credito.Lo statuto può infatti escludere l’emissione di titoli azionari: in tal caso il trasferimento resta assoggettato alla disciplina delle cessione del contratto in quanto compatibile ed ha effetto nei confronti della società del momento dell’iscrizione nel libro dei soci.

Una cosa è la scelta di non emettere i titoli azionari, altra scelta è quella di non materializzare i titoli. La riforma del 2003 prevede anche una dematerializzazione facoltativa per le società non quotate, obbligatoria per le quotate dal 1998.E’ un sistema basato su semplici registrazioni contabili. Sono ipotesi diverse. Il fatto di dematerializzazione significa che i titoli sono emessi in modo diverso dalla forma cartacea, la cui circolazione è informatica.La scelta di emettere o non emettere i titoli deve essere fatta per tutte le azioni.

La legge parla anche di diverse tecniche di rappresentazione e circolazione delle azioni. Non è chiaro quali siano, ma allo stato le ipotesi disponibili, parlando delle società non quotate:- emissione cartacea dei titoli;- emissione dematerializzata dei titoli;- opzione per la non emissione dei titoli; Al comma 2, si prevede inoltre la possibilità di omettere il valore nominale delle azioni.

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Le azioni dematerializzate

Nominalità obbligatoria dei titoli azionari

Letteralità incompleta

Azioni nominative e girata

Azioni al portatore

Non emissione dei titoli azionari

Azioni nominative e al portatore

Altre tecniche di rappresentazione

3.4 Il valore delle azioni

Le azioni devono essere tutte di uguale valore (art. 2348, c. 1); devono cioè rappresentare un’identica frazione del capitale sociale nominale. Si definisce valore nominale delle azioni la parte di capitale sociale da ciascuna rappresentata espressa in cifra monetaria. Lo statuto deve indicare il capitale sottoscritto, il valore nominale delle azioni e il numero delle azioni emesse.Il valore nominale è inscindibile anch’esso e rimane invariato nel tempo: può essere modificato solo attraverso una modifica dell’atto costitutivo, dando luogo al frazionamento e al raggruppamento delle azioni.

Oggi esiste la una facoltà di emettere azioni senza valore nominale: è più corretto però parlare di azioni senza indicazione del valore nominale, il cui valore è comunque facilmente determinabile con una divisione del capitale sociale nominale / azioni. Non è comunque consentito emettere contemporaneamente emettere azioni con e senza valore nominale.Lo statuto dovrà indicare solo il capitale sottoscritto e il numero di azioni emesse.

L’utilità è quella per cui con le operazioni di aumento o diminuzione del capitale, se questo non è indicato nelle azioni, non serve ritirare le azioni per emetterne di nuove con il nuovo valore: non occorre cambiare il titolo.Il valore nominale c’è comunque, quello che si può omettere è l’indicazione del valore nominale.Ad esempio, l’art. 2442 prevede l’aumento gratuito del capitale, non ha come presupposto nuovi conferimenti, ma si realizza per il passaggio di riserve a capitale. E’ una pura operazione contabile; la società ha riserve disponibili e decide di aumentarle a capitale.Questa operazione si realizza:- o tramite l’emissione di nuove azioni;- o l’aumento del valore nominale delle azioni;- c’è una terza possibilità: non facendo nulla con le azioni senza valore nominale, aumentando il

capitale, ogni azione cambia naturalmente valore. Stranamente il legislatore che non ha aggiornato la disciplina sull’aumento del capitale.

Quindi le azioni hanno un valore nominale, espresso o implicito. Accanto al valore nominale, ogni azione ha un suo valore patrimoniale. Ogni azione, infatti, se rappresenta una frazione del capitale sociale, rappresenta anche idealmente una frazione del patrimonio sociale.I due valori corrispondono solo al momento della costituzione della società, poi quest’ultimo fluttua: aumenta se si realizzano utile e poi riserve, o si distrugge con le perdite. Accanto a un valore nominale ogni azione ha un contenuto patrimoniale che può essere un valore molte volte superiore al valore nominale.La tendenza italiana è la sotto-capitalizzazione della società.Poi per le quotate, c’è anche un valore di mercato, che tendenzialmente seguirà il valore patrimoniale. Quando le azioni quotate hanno un flottante ridotto. Ciò può dipendere anche dal fatto che viene conteso il controllo, che assume anch’esso un valore.

3.5 Altre particolarità delle azioni

L’azione è l’unità minima di una partecipazione sociale, tant’è che tutte le azioni devono avere uguale valore nominale, che sia espresso o implicito.Le operazioni di frazionamento o di raggruppamento delle azioni sono possibili, ma soltanto con una modificazione dello statuto e solo quando riguardi tutte le azioni, soprattutto con le quotate. Quando le quotazioni in borsa di una società acquisiscono un valore elevato e si ritiene che si opportuno frazionarle per dar accesso al mercato anche ad investitori “minori”. In ogni caso è un operazione che non può che riguardare tutte le azioni e deve essere modificato lo statuto.

La legge disciplina l’ipotesi in cui un azione finisca in comproprietà di più soggetti: in una Srl si potrebbe fare un divisione della proprietà e ognuno avrebbe una quota. Nella spa non è possibile e quando un azione è intestata a due soggetti, è necessario nominare un rappresentante comune.

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Frazionamento e raggruppamento

Comproprietàindivisa

Azioni senza valore nominale

Valore patrimoniale e valore di mercato

Il valore nominale delle azioni

All’art. 2347 si stabilisce la previsione per la comproprietà: qualora ci fosse la proprietà di una o più azione, i diritti che aspettano a queste azioni devono essere esercitati da un rappresentante comune; in mancanza della nomina di quest’ultimo da parte dei titolari, ogni comunicazione effettuata a uno dei due comproprietari, è efficace per entrambi (si veda più avanti).

3.6 La partecipazione azionaria

La legge stabilisce espressamente la regola dell’indivisibilità; accanto a questo principio se ne affianca un altro, che non è disciplinato dalla legge, ma è connaturato alla natura dell’azione: il principio di inscindibilità dell’azione.Mentre l’indivisibilità attiene all’impossibilità (divieto) di intervenire da parte dei singoli sul valore dell’azione, con l’inscindibilità si attiene all’insieme di posizioni giuridiche che ogni singola azione attribuisce a chi ne è titolare.Non si possono attribuire ai soggetti diversi i diversi diritti e poteri che l’azione attribuisce:- partecipazione all’assemblea;- percepire gli utili, ecc.;

Non si può attribuire ad un soggetto una serie di diritti e ad un altro altri diritti: non si possono separare; è la stessa legge, invece, che in una serie determinata di casi, prevede delle deroghe a questi principi.Ad esempio, quando vengono costituiti diritti reali particolari. E’ possibile costituire un usufrutto (= diritto reale limitato per cui un soggetto proprietario di un bene attribuisce ad un altro soggetto il diritto di godere di un bene per un certo periodo, è un diritto opponibile), un pegno, o possono essere oggetto di sequestro. L’art. 2352 prevede una divisione.Anche l’azione è prevista il diritto di usufrutto.

Oggi c’è una tendenza ad ammettere anche deroghe convenzionali a questo principio (si veda di seguito).Ad esempio, il fenomeno della vendita del diritto di voto, possibile in alcuni ordinamenti degli Stati Uniti, non è possibile in Italia.I diritti di opzione, invece espressamente previsti, hanno un proprio mercato ed è lecito scambiarli.

3.7 Le categorie di azioni

E’ possibile diversificare altri diritti e creare categorie di azioni diverse sulla base di attribuzione di diritti diversi: sempre mediante categorie di azioni, non singole azioni. L’uguaglianza dei diritti deve riprodursi all’intero della categoria di azioni, quindi è un uguaglianza delle azioni relativa. Deve essere lo statuto a determinare nuove categorie di azioni, è possibile, ad esempio, modificare lo statuto per rispondere a questa esigenza.Si parla sempre di azioni con diritti diversi, non di soci con diritti diversi. Nella Srl invece non esistono le categorie di quote, ma soci muniti di diritti diversi, di privilegi diversi rispetto agli altri. Nella Spa ciò sarebbe vietato, perché bisogna sempre far riferimento al dato reale delle azioni.

Art. 2348. Categorie di azioni.

1. Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti.2. Si possono tuttavia creare, con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie.3. Tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti.

L’art. 2348 prevede il diritto di creare categorie di azioni.Al primo comma, è previsto il principio generale che le azioni sono di uguali diritti e che attribuiscono medesimi diritti. Ma al secondo comma, è prevista una deroga.Al terzo comma si ribadisce il principio di uguaglianza relativa, perché le azioni all’interno di una categoria conferiscono medesimi diritti.

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Il principio dell’inscindibilità dei diritti

Deroghe

Nozione e disciplina

E’ importante stabilire se vi sono più categorie di azioni, perché l’art. 2376 in tema d’assemblea ha previsto che quando esistano diverse categorie di azioni o di strumenti finanziari, le deliberazioni che pregiudicano i diritti di una categoria, devono essere approvate anche dall’assemblea speciale della categoria dei diritti pregiudicati.Con più categorie di azioni, ogni qual volta l’assemblea deliberi un provvedimento che arrechi pregiudizio ad una categoria, questo deve aver conforto da una delibera d’approvazione dell’assemblea speciale della categoria di azioni pregiudicata (si veda di seguito).

Non è un problema banale perché non tutte le differenze attribuite alle azioni, danno vita a a categorie di azioni.

Possiamo diversificarle:- per conferimento: diritti diversi, sia amministrativi che patrimoniali;- per differenze per quanto riguarda il modo in cui circolano. Astrattamente le azioni di una

società potrebbero essere, in parte, al portatore, in parte, nominative, che quindi circolano secondo regole diverse. Ma quest’ultima non è una differenza che fa nascere categorie diverse: quello che cambia è un fatto esterno, è un modo in cui si trasferiscono le azioni. Con diverse categorie, si parla di azioni munite di diritti diversi. Nel caso della possibile coesistenza di azioni al portatore e azioni nominative, non avremo l’applicazione dell’art. 2376 e neppure la creazione di categorie differenti.

- ci possono essere differenze nel modo in cui sono state emesse: un emissione di azioni offerte ai dipendenti e non ai soci, a volte rappresentano una categoria, ma nulla esclude che siano offerte azioni privilegiate ai dipendenti, ma se non sono privilegiate, non è detto che venga creata una nuova categoria.

Di conseguenza, c’è una categoria solamente quando sono attribuiti diritti diversi rispetto alle altre azioni.

La legge stabilisce la più ampia libertà dello statuto nella creazione di categorie di azioni diverse: è possibile liberamente creare il contenuto delle azioni (art. 2348), salvo i limiti previsti dalla legge o desumibili dal sistema (c. 2)Oggi c’è una convivenza di azioni tipiche e poi c’è un numero “n” di possibili categorie atipiche: è rimesso alla fantasie degli operatori quali diritti possono essere attribuiti ad una categoria di azioni.

Oggi questi limiti siano estremamente labili, l’unico limite da rispettare è il divieto di patto leonino, patto in forza del quale un socio si accaparra di tutti gli utili, mentre alle altre categorie non è assegnata alcuna partecipazione agli utili; oppure che una categoria di azione goda di un’esenzione di partecipazione alle perdite.

La creazione di categorie diverse può riguardare anche la partecipazione alle perdite, fermo restando il divieto di patto leonino: ovvero la creazione di azioni postergate alla partecipazione alle perdite. Dopo che queste vengono assorbite da tutte le riserve, l’incidenza sul capitale viene registrato solo sulle azioni ordinarie: le azioni ordinarie verranno aggredite dalle perdite e, in un secondo momento, su quelle postergate: non c’è un esclusione, ma una postergazione.

Art. 2351. Diritto di voto.

1. Ogni azione attribuisce il diritto di voto.2. Salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamente superare la metà del capitale sociale.3. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o disporne scaglionamenti.4. Non possono emettersi azioni a voto plurimo.

Secondo l’art. 2351 si può giocare sul diritto di voto fino alla sua completa eliminazione. Rimangono come limiti:- il divieto di emettere azioni a voto plurimo (art. 2351, c. 4); è un divieto assurdo perché

limitando il diritto di voto o completamente o ad argomenti (in passato era possibile solo per le

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L’individuazione delle categorie di azioni

La libertà dello statuto

Divieto del patto leonino

Postergazione alle perdite

Limiti alla diversificazione del diritto di voto

quotate con le azioni di risparmio), si può ottenere il medesimo effetto: in concreto, quindi, attribuendo più voti ad una categoria di azioni invece che ad un altra.

- le azioni che sulle quali si viene ad incidere il diritto di voto (o limitandolo o condizionandolo) devono al massimo rappresentare il 50% del capitale, ovviamente sommando tutte le categorie. Questo perché si vuole che non ci possa essere il controllo della società con una percentuale troppo bassa del capitale. Se si potesse emettere il 98% delle azioni con diritto di voto e il 2% col voto, sarebbe sufficiente avere 1,1% del capitale per avere il controllo della società.

Non esiste invece più il limite del necessario bilanciamento di limitazione del diritto di voto con l’attribuzione di privilegi sul piano patrimoniale. Oggi non è più necessario ed è concepibile che sia una categoria senza diritto di voto e senza alcun privilegio dal carattere patrimoniale.

Il regime delle assemblee speciali

Art. 2376. Assemblee speciali.

1. Se esistono diverse categorie di azioni o strumenti finanziari che conferiscono diritti amministrativi, le deliberazioni dell'assemblea, che pregiudicano i diritti di una di esse, devono essere approvate anche dall'assemblea speciale degli appartenenti alla categoria interessata.2. Alle assemblee speciali si applicano le disposizioni relative alle assemblee straordinarie.

Quando ci sono categorie diverse, ciò comporta l’applicazione del regime delle assemblee speciali.

Alle assemblee speciali si applica la disciplina delle assemblee straordinarie, se le azioni speciali non sono quotate (art. 2376). Se invece sono quotate, si applica la disciplina dell’organizzazione degli azionisti di risparmio, che prevede quorum assembleari meno elevati e la nomina di un rappresentante degli azionisti speciali (art. 147-bis TUF).

Ogni qual volta una deliberazione dell’assemblea (generale) pregiudichi i diritti di una categoria di azioni (non quando vengono pregiudicati i diritti di tutti gli azionisti, ad esempio, con l’esclusione del diritto di opzione), allora tale deliberazione deve essere approvata anche dall’assemblea speciale della categoria interessata.

Il “pregiudizio” di cui si parla deve essere di diritto: una categoria dotata di un certo privilegio, questo viene in quale misura ridotto, e si tratterebbe di un pregiudizio di diritto. L’assemblea speciale della categoria potrebbe approvarlo o bocciarlo.Il pregiudizio deve essere solo diretto o può anche essere indiretto? Ad esempio, viene introdotta una nuova categoria di azioni con privilegio per cui quella categoria ha diritto ad avere una maggiorazione del 2% del dividendo dato alle ordinarie; poi si crea una categoria di azioni con un privilegio patrimoniale sugli utili, per cui prima devono essere soddisfatte quelle nuove azioni, e poi le altre. La precedente categoria in tal caso viene pregiudicata in modo indiretto, in quando soddisfatta patrimonialmente dopo la prima: è indiretto. Si ritiene, secondo i più, che anche tale delibera deve passare dall’assemblea speciale della categoria.

Il rapporto fra l’assemblea generale e quella speciale: l’orientamento maggioritario è tale per cui l’approvazione da parte dell’assemblea speciale è condizione legale d’efficacia: della delibera dell’assemblea generale: solo se interviene una delibera conforme della categoria speciale, il provvedimento avrà effetto.

Inoltre, gli azionisti speciali che non hanno concorso alla relativa deliberazione hanno diritto di recesso, se la modificazione incide sui loro diritti di voto o di partecipazione (art. 2437, c.1).

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La disciplina

Il pregiudizio diretto ed indiretto

Condizione d’efficacia

Diritto di recesso

Le categorie di azioni tipicheCi possono essere categorie di azioni tipiche e atipiche. Le categorie di azioni tipiche sono:- azioni correlate;- azioni di godimento;- azioni di risparmio (solo per la società quotate in borsa e disciplinate dal TUF);

3.8 Le azioni correlateArt. 2350.

Diritto agli utili e alla quota di liquidazione.1. Ogni azione attribuisce il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni.2. Fuori dai casi di cui all'articolo 2447-bis, la società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore. Lo statuto stabilisce i criteri di individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché le eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria.3. Non possono essere pagati dividendi ai possessori delle azioni previste dal precedente comma se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio della società.

Le azioni correlate sono disciplinate all’art. 2350 al secondo comma. La società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati all’andamento di un determinato settore dell’attività sociale. Queste azioni non partecipano ai risultati positivi di tutta l’attività sociale, ma solo di quella di un determinato settore dell’attività sociale.

Lo statuto deve tuttavia stabilire i criteri di individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicondazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché le eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria (art. 2350, c.2).

Ma cosa vuol dire “settore” (ad esempio, un ramo d’azienda)? N.B. Patrimoni destinati: è possibile che una Spa destini parte del patrimonio allo svolgimento di un determinato affare: creare un patrimonio separato a svolgere un affare di cui solo quest’ultimo godrà dei risultati di quell’affare. I due patrimoni sono insensibili l’uno rispetto all’altro.Ma è diverso dalle azioni correlate: settore e affare sono due fattispecie diverse. “settore” è inteso come ramo d’azienda, “affare” invece è un concetto giuridicamente contrapposto ad “impresa”.Nulla, però, impedisce di creare una categoria di azioni correlate ad un affare, pure limitato nel tempo. E’ possibile creare anche una categoria di azioni se collegate ad un ramo d’azienda, fino alla fine della vita della società (se prevista); mentre con la conclusione dell’affare si deve prevedere un meccanismo di conversione delle azioni della categoria in azioni ordinarie, o annullarle, o di rimborso, concluso l’affare.

Queste azioni forniscono quindi “diritti correlati”, ma se il settore produce delle perdite anziché utili? Non ci sarà una distribuzione di dividendi alla particolare categoria di azioni. E’ possibile prevedere che le perdite, se rilevanti, siano imputate da prima per intero alle azioni correlate al particolare settore e, solo dopo, alle altre? Ragionevolmente è possibile: questo sarebbe un caso particolare di postergazione alle perdite: se quest’ultime vanno ad incidere su un determinato settore e, quindi, vanno ad incidere sulle azioni della categoria, e, solo dopo sulle altre azioni ordinarie o di altre categorie.

La legge però prevede un meccanismo affinché non si vada oltre i limiti. Ai possessori di azioni correlate non possono essere pagati dividendi, “se non nei limiti degli utili risultanti del bilancio generale della società”, ovvero in misura superiore agli utili risultanti dal bilancio generale della società (art. 2350, c. 2). Ad esempio, se il settore produce utili di 1 milione, ma nel contempo la società chiude il bilancio complessivo (compreso quel settore) con un utile di 500.000: a tal punto gli utili distribuibili alle azioni correlate sono solo 500.000 altrimenti si realizzerebbe un indebita distribuzione del patrimonio non di utile, si distruggerebbe patrimonio.

La legge parla anche di diritti patrimoniali correlati a questo settore, ma potrebbero essere anche diritti amministrativi? Si ritiene che vi possano essere particolari diritti amministrativi correlati ad un certo settore, ma ci debba essere un’autorizzazione dell’assemblea speciale degli azionisti o un controllore del settore. Servono anche per diversificare il rischio.

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Definizione e indicazioni dello statuto

Settore ed affare

Presenza di perdite nel settore e ipotesi di potergazione

Limiti

Diritti amministrativi “correlati”

3.9 Le azioni di godimentoArt. 2353.

Azioni di godimento.1. Salvo diversa disposizione dello statuto, le azioni di godimento attribuite ai possessori delle azioni rimborsate non danno diritto di voto nell'assemblea. Esse concorrono nella ripartizione degli utili che residuano dopo il pagamento delle azioni non rimborsate di un dividendo pari all'interesse legale e, nel caso di liquidazione, nella ripartizione del patrimonio sociale residuo dopo il rimborso delle altre azioni al loro valore nominale.

Altra categoria tipica di azioni, seppure poco utilizzata.Le azioni di godimento sono una categoria di azioni speciali la cui funzione è assicurare la parità di trattamento degli azionisti in occasione di una particolare operazione: la riduzione reale del capitale sociale (art. 2445) attuata mediate sorteggio ed annullamento di un numero di azioni dietro il rimborso del solo valore nominale delle azioni stesse.Secondo l’art. 2353, sono azioni che possono essere attribuite a coloro che si vedono rimborsare le loro azioni ordinarie. Una società può ridurre il capitale, oltre che per perdite, anche in termini reali, restituendo parte dei conferimenti ai soci ex art. 2445.Spesso succede che l’operazione venga realizzata addirittura tramite sorteggio delle azioni da rimborsare a qualche socio. Si determina quindi una sorta di disparità di trattamento, chi viene sorteggiato è in svantaggio: tutte le riserve verranno ripartite, in ipotesi di scioglimento, fra meno soci.

In casi come questi si dovrebbe creare la categoria delle azioni di godimento, che sono azioni che dovrebbero essere date in cambio di quelle annullate con la riduzione di capitale.La azioni di godimento:- concorrono nella ripartizione degli utili che residuano dopo il pagamento delle altre azioni (non

rimborsate) di un dividendo pari all’interesse legale sul valore nominale (sono quindi postergate);- se una società si scioglie, partecipano alla ripartizione del saldo attivo di liquidazione, solo

dopo che alle altre azioni sia stata rimborsato il valore nominale (somma che i titolari delle azioni di godimento hanno già riscosso nel momento del rimborso).

Salvo che lo statuto non disponga diversamente, le azioni di godimento non attribuiscono diritto di voto, e conseguentemente, nemmeno i collegati diritti di intervento in assemblea e di impugnare le delibere di assemblea invalide.Se previsto dallo statuto però, tali azioni possono avere anche il diritto di voto, ma si avrebbero delle azioni senza capitale con diritto di voto. Si vogliono tutelare i soci che si vedono rimborsate i soci con valore nominale in seguito di una riduzione reale. Rimangono comunque problemi aperti, ma con scarso impatto pratico.

Nulla è previsto per gli altri diritti sociali, in particolare per il diritto di opzione (che oggi parte della dottrina tende a riconoscere).

Le pseudo-categorie di azioniCi sono altre categorie di azioni disciplinate dalla legge, ma che non costituiscono attribuzione di diritti diversi, per questo dette pseudo-categorie:- azioni attribuite ai prestatori di lavoro ex art. 2349;- azioni riscattabili ex 2437 sexies.

3.10 Le azioni a favore dei prestatori di lavoroArt. 2349.

Azioni e strumenti finanziari a favore dei prestatori di lavoro.1. Se lo statuto lo prevede, l'assemblea straordinaria può deliberare l'assegnazione di utili ai prestatori di lavoro dipendenti delle società o di società controllate mediante l'emissione, per un ammontare corrispondente agli utili stessi, di speciali categorie di azioni da assegnare individualmente ai prestatori di lavoro, con norme particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento ed ai diritti spettanti agli azionisti. 2. Il capitale sociale deve essere aumentato in misura corrispondente.3. L'assemblea straordinaria può altresì deliberare l'assegnazione ai prestatori di lavoro dipendenti della società o di società controllate di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso possono essere previste norme particolari riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti attribuiti, alla possibilità di trasferimento ed alle eventuali cause di decadenza o riscatto.

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La funzione

Diritti patrimoniali

Diritti amministrativi

Sono previsti dei meccanismi di favore nei confronti dell’azionariato dei dipendenti. Sono previste due possibilità.

Azioni attribuite gratuitamente ai dipendenti: si parla di appostazione a capitale di quote di utile della società che invece d’essere distribuite o messe in riserva, vengono utilizzate per essere “regalate” ai dipendenti; sono utili passati a capitale; si consente quindi l’assegnazione straordinaria di utile ai dipendenti della società o di sue controllate da attuarsi mediante il seguente procedimento: gli utili sono imputati a capitale e, per l’importo corrispettivo, la società emette sociali categorie di azioni che vengono assegnate gratuitamente ai prestatori di lavoro. Per tali categorie, la società può stabilire norme particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento e ai diritti spettanti agli azionisti.

Ex art. 2441, oppure in caso di aumento di capitale a pagamento: si può decidere di riservare un’aumento di capitale in sottoscrizione ai dipendenti, escludendo il diritto di opzione ai soci; in questo caso i dipendenti devono sottoscriverle ed effettuare il conferimento. La società quindi può limitare o escludere il diritto di opzione degli azionisti sulle azioni a pagamento di nuova emissione, per offrire le stesse in sottoscrizione ai dipendenti della società, di controllate o controllanti (art. 2441, c.3 e art. 134, c.2 TUF). Per la quota riservata alla sottoscrizione dei dipendenti possono essere stabilite delle ipotesi di favore: - per la quota loro riservata, queste azioni possono essere emesse al valore nominale; infatti, si

stabilisce un divieto di alienazione delle azioni per un certo arco di tempo.- altra ipotesi di favore consiste nel fatto che normalmente non è consentito alla società concedere

prestiti o fornire garanzie ad un terzo, ma questi prestiti possono essere erogati ai dipendenti affinché questi sottoscrivano azioni della società; le somme impiegare e le garanzie prestate devono però essere contenute “nei limiti degli utili distribuibili regolarmente accertati e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato” (art. 2358, c.3).

La società, quindi, può decidere di far passare a capitale una quota di utile e con le azioni che si possono emettere, le azioni vengono date ai dipendenti. Queste categorie di azioni la legge le chiama pseudo categorie, che potrebbero però essere uguali a tutte le altre azioni. E’ il modo in cui vengono emesse che è particolare: potrebbero dunque non formare una categorie speciali.La legge prevede invece che possano avere forma o modo di trasferimento differente oppure con riguardo ai diritti spettanti gli azionisti. Se fossero stabiliti diritti diversi in capo a queste azioni, si sarebbe formata una nuova categoria di azioni.Questo passaggio da utile e capitale è consentito solo con una apposita previsione statutaria, altrimenti è necessaria una modificazione dello statuto.

3.11 Le azioni riscattabiliArt. 2437-sexies.

Azioni riscattabili.1. Le disposizioni degli articoli 2437-ter e 2437-quater si applicano, in quanto compatibili, alle azioni o categorie di azioni per le quali lo statuto prevede un potere di riscatto da parte della società o dei soci. Resta salva in tal caso l'applicazione della disciplina degli articoli 2357 e 2357-bis.

Le azioni riscattabili sono caratterizzate dal fatto di essere assoggettate al potere di riscatto, cioè di acquisto verso il pagamento di un prezzo, riservato alla società stessa o ai soci.In tal caso, fermo i limiti d’acquisto previsti per le azioni proprie, la legge impone che il corrispettivo dovuto ai titolari delle azioni riscattate venga determinato in conformità delle stesse norme dettate in materia di recesso.Il riscatto delle azioni viene calcolato come quota, come se vi fosse un recesso della società.E’ una possibilità che lasciava la seconda direttiva comunitaria: la caratteristica che le azioni possano essere riscattabili. Il riscatto può essere in favore di una società o in favore di altri soci. Le disposizioni degli articoli 2437 ter e quater prevedono l’ipotesi di riscatto:- in capo alla società: la società acquista proprie azioni, a condizioni e limiti ben precisi; il potere di

riscatto rimane in capo all’organo amministrativo.- in capo ai soci;

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Azioni gratuite

Azioni a pagamento

Concessione di prestiti o garanzie

Disciplina

3.12 Le categorie atipiche di azioni

Sono fornite da diritti diversi dalle categorie tipiche, sia sul piano dei diritti patrimoniali che sul piano dei diritti amministrativi. L’art. 2350: ogni azione attribuisce gli stessi diritti patrimoniali, salvo i diritti stabiliti in favore di particolari categoria di azioni. Con diritti patrimoniali s’intendono diritti agli utili e alla quota di liquidazione.Nella società di capitale, è l’assemblea che decide sulla destinazione degli utili: non bisogna confondere il diritto astratto al percepimento di una quota degli utili e la decisione di che cosa degli utili verrà distribuito: l’assemblea potrà decidere di ripartire fra i soci solo una parte degli utili distribuiti.Certamente una politica di dividendi la legge la permette. Non c’è un diritto intangibile del socio ad avere una quota di utili e una quota nella ripartizione finale del patrimonio che risulta in sede di liquidazione.Una società può sciogliersi: vi sono varie cause di scioglimento che si possono verificare, durante la quale si inserisce una fase di liquidazione, e solo al termine della fase di liquidazione la società si scioglierà. In quella fase vengono soddisfatti i creditori sociali e, sul residuo attivo, si fa la ripartizione fra tutti i soci.Sia sul versante della distribuzione degli utili che su quello della quota di liquidazione, si possono creare categorie di azioni diverse. I diritti diversi possono assumere varie conformazioni.

Le azioni che appartengono ad una categoria di azioni privilegiate o di preferenza sono azioni che attribuiscono ai loro titolari il diritto di preferenza nella distribuzione degli utili e/o nel rimborso del capitale al momento dello scioglimento della società.E’ cioè il diritto ad avere una quota di utili maggiori rispetto alle altre, ad esempio una maggiorazione di utili del 2% rispetto alle azioni ordinarie.Nessuna disciplina è dettata per natura o misura del privilegio, salvo il divieto del patto leonino (art. 2265).

Le categorie di azioni di priorità, dove non c’è un diritto ad avere un utile maggiorato, ma ad avere una certa quantità di dividendo, prima che partecipano agli utili le altre azioni. Se l’utile non è sufficiente a soddisfare tutti, queste azioni hanno diritto a ricevere gli utili in anticipo rispetto alle altre categorie. Il privilegio si realizza nei “periodi di magra”.

Ulteriore variante delle azioni di priorità. L’assemblea potrebbe decidere di non distribuire utili, ma si può prevedere un privilegio che preveda la distribuzione di un dividendo, eliminando la mediazione dell’assemblea. Si può eliminare l’ultimo passaggio della distribuzione degli utili, l’unico presupposto è la presenza di utili distribuibili sufficienti a dare dividendi a queste azioni.

Ci può essere un privilegio nella ripartizione finale: si va a stabilire un privilegio sulla ripartizione delle perdite in sede di liquidazione delle società. In tal caso, concluse le operazioni di liquidazione, prima dovranno essere soddisfatte (rimborsate) le azioni privilegiate: questo significa una postergazione delle azioni nella ripartizione finale. E’ un vantaggio alla partecipazione alle perdite in sede di liquidazione, lecitamente introducibile.

Un privilegio sulla ripartizione finale può essere stabilito anche durante la vita della società (art. 2348, c.2). Le azioni postergate hanno il privilegio di subire la riduzione del capitale per perdite dopo le altre categorie di azioni, anche sino al totale annullamento delle azioni non postergate.In tal caso, il divieto del patto leolino non viene violato, in quanto anche le azioni postergare partecipano alle perdite, seppur subordinatamente all’estinzione delle altre azioni.Si può cioè prevedere una categoria di azioni, il cui valore nominale non venga toccato finchè, dalle perdite, non venga toccato il valore nominale delle altre azioni. E’ una categoria di azioni postergato alla partecipazione alle perdite. Si può fare, ma alla fine dell’operazione di riduzione di capitale si finirà per avere azioni con diverso valore nominale, è inevitabile. Ma tutte le azioni devono avere lo stesso valore nominale: l’unica soluzione è quello di operare per raggruppamento o frazionamento delle azioni affinché tutte le azioni abbiano lo stesso valore nominale.

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Caratteri generali

Azioni privilegiate

Azioni di priorità

Azioni postergate

...alla partecipazione alle perdite

3.13 La differenza di diritti sul piano amministrativo

Eventuali limitazioni fra diritti amministrativi e patrimoniali sono indipendenti. L’art. 2351 prevede come regola generale “ogni azione attribuisce il diritto di voto”.

Ma anche tale diritto è derogabile. E’ un diritto di voto, non un dovere. Mentre gli amministratori hanno l’obbligo di perseguire l’interesse sociale o un suo interesse personale, ma non devono venirsi a trovare in una situazione di conflitto d’interessi.Le deliberazioni non devono essere stata approvate con voto determinante con il socio in conflitto di interessi, altrimenti sarebbe annullabile qualora qualcuno la impugni.

Oggi si possono introdurre: a) si possono avere azioni senza diritto di voto (in passato solo per le azioni risparmio);b) oppure può essere stabilito un diritto di voto limitato a particolari argomenti (non

necessariamente di esclusiva competenza dell’assemblea straordinaria); in passato era possibile, per categorie di azioni, esercitare il diritto di voto solo per l’assemblea straordinaria e non per quella ordinaria. E la limitazione può riguardare il contenuto della delibera, solo per determinati argomenti (come l’approvazione del bilancio e non la nomina degli amministratori);

c) si possono prevedere azioni con voto condizionato (“ovvero con diritto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative”). L’unico limite è che la condizione debba essere meramente potestativa, cioè deve essere ancorata a dati oggettivi, quindi qualora si verifichi o meno una determinata condizione. Ad esempio, si prevede che le azioni senza diritto di voto acquistano tale diritto, qualora non venga assegnato loro per tre esercizi i dividendi (categoria tipizzata in Francia).

Restano fermi i seguenti limiti:a) il divieto di emettere azioni a voto plurimo (art. 2351, c.4);b) altro limite che pone la legge è che tutte le azioni sulle quali si è andato ad incidere sul diritto di

voto pieno, non possono mai superare la metà del capitale sociale: ci devono essere almeno il 50% delle azioni a voto pieno. Serve per evitare l’eccessiva concentrazione del potere nelle mani degli azionisti a voto pieno.

Può capitare che vi siano azioni che hanno una limitazione del diritto di voto e contemporaneamente siano privilegiate sul piano patrimoniale, e il privilegio consiste nella postergazione nella partecipazione alle perdite. La conseguenza di una riduzione di capitale potrebbe essere la riduzione del valore delle azioni ordinarie e quindi si scenderebbe sotto la quota del 50%. L’unica possibilità è applicare la norma in tema di azioni di risparmio: si prevede un meccanismo per cui diventa obbligatorio un aumento del capitale riservato solo alle azioni ordinarie, in misura tale da riportare i valori al 50-50: se non si volesse o potesse fare, unica conseguenza è lo scioglimento della società, oppure le azioni a diritto limitato diventano azioni a diritto pieno, se prima fosse stato previsto nello statuto.

La legge consente anche ex art. 2351, c.3 per le Spa che non facciano ricorso al mercato del capitale di rischio è inoltre possibile prevedere che, in relazione alle azioni possedute da un dato soggetto:a) delle limitazioni al diritto di voto sulla base del possesso azionario. Il diritto di voto viene cioè

limitato ad una misura massima. Ad esempio, “qualunque sia il numero di azioni che possiede un soggetto, a questo vengono assegnate metà dei diritti di voto”;

b) oppure può essere previsto uno scaglionamento di voto (voto scalare): ad esempio, fino al 10% del capitale spetta un voto per azione, dal 10 al 20% un voto ogni due azioni e così via).

Questo intervento, però, non va a creare una categoria di azioni, ma va a toccare il possesso del diritto di voto.

Nel contempo, con l’attuale disciplina come si ricordava, è venuto meno per le non quotate il principio in base al quale era necessario bilanciare una limitazione del diritto di voto con dei privilegi patrimoniali.

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Categorie di azioni e diritto di voto

Fattispecie per tutte le società

Limiti

Superamento della soglia della metà del capitale con diritto pieno

Fattispecie per le società che non fanno ricorso al mercato di capitale di rischio

3.14 Deroghe al principio dell’inscindibilità delle azioni

Le azioni sono indivisibili e i diritti che le azioni attribuiscono sono inscindibili.Questo principio subisce una deroga anche dal punto di vista della legge. C’è un caso in cui sulle azioni venga costituito un diritto reale limitato (pegno o usufrutto) o siano soggette a sequestro. C’è una dissociazione ex lege dei soggetti a cui spettano alcuni diritti.

Il pegno è una variante dell’usufrutto a scopo di garanzia (che si costituisce sui beni mobili, mentre l’ipoteca sui beni immobili). Mentre con l’ipoteca l’immobile rimane nelle disponibilità dell’ipotecario, con il pegno si realizza con la consegna al creditore del bene, lo custodisce il creditore, e quest’ultimo non può venderlo se il debitore sia inadempiente.Un sequestro:- giudiziario: due soggetti litigano sulla proprietà di un bene e il giudice dispone i sequestro del

bene, viene affidato ad un custode e terminato il giudizio il proprietario si riapproprierò del bene;- conservativo: in una disputa legale, in attesa di una vittoria per ottenere soddisfazione del credito,

per evitare che i debitori faccia sparire i beni, si può chiedere o durante o prima di iniziare la causa che venga sequestrato del bene; l’obiettivo è conservare il bene affinché il debitore non lo faccia sparire.

Art. 2352. Pegno, usufrutto e sequestro delle azioni.

1. Nel caso di pegno o usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all'usufruttuario. Nel caso di sequestro delle azioni il diritto di voto è esercitato dal custode.2. Se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio ed al medesimo sono attribuite le azioni in base ad esso sottoscritte. Qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della scadenza al versamento delle somme necessarie per l'esercizio del diritto di opzione e qualora gli altri soci non si offrano di acquistarlo, questo deve essere alienato per suo conto a mezzo banca od intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati.3. Nel caso di aumento del capitale sociale ai sensi dell'articolo 2442, il pegno, l'usufrutto o il sequestro si estendono alle azioni di nuova emissione .4. Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il socio deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza; in mancanza il creditore pignoratizio può vendere le azioni nel modo stabilito dal secondo comma del presente articolo. Nel caso di usufrutto, l'usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto.5. Se l'usufrutto spetta a più persone, si applica il secondo comma dell'articolo 2347.6. Salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo spettano, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o all'usufruttuario; nel caso di sequestro sono esercitati dal custode.

Art. 2352: la legge stabilisce che il voto spetta a chi abbia il diritto reale (usufruttuario, creditore pignoratizio o custode), oppure si può stabilire convenzionalmente che vada al nudo proprietario. Questi devono comunque sempre votare senza ledere i diritti del socio, pena essere chiami a risarcire il danno.Per quanto riguarda il diritto patrimoniale, spetta all’usufruttuario o al creditore pignoratizio. Dubbio è che vada a chi ha disposto il sequestro.

Per quanto riguarda il diritto di opzione, ossia le azioni devono essere in primo luogo offerte ai soci e solo in mancanza di sottoscrizione possono essere collocate presso terzi. Il diritto di opzione spetta al socio, e le nuove azioni non sono soggette al vincolo: qualora il socio non provveda a versare le somme necessarie per versare il diritto di opzione, entro 3 giorni, questo diritto di opzione deve essere alienato per suo conto per mezzo banca o autorizzato alla negoziazione dei mercati regolamentati.

Qualora l’aumento del capitale sia gratuito (e non a pagamento), va a vantaggio del creditore pignoratizio o dell’usufruttuario, sulle eventuali nuove azioni emesse dall’aumento gratuito.

Il diritto di recesso spetta a chi è dissenziente, se c’è stato voto a favore, il diritto non potrà essere esercitato.

Per uno studio completo, si veda l’art. 2352 cc.

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I diritti dissociabili

3.15 Il contenuto minimo dei titoli azionari e i certificati multipli

Le azioni possono essere emesse o non emesse; l’emissione delle azioni ha la variante dell’emissione materiale dei titoli azionari o della dematerializzazione dei titoli.L’art. 2354 stabilisce come devono essere i titoli azionari nel caso in cui vi sia stato l’emissione dei titoli; i titoli possono essere nominativi o al portatore, in astratto, a scelta del socio. Ma una legge speciale prevede per ragioni fiscali l’obbligatorietà dell’emissione delle azioni nominative per le società non quotate.Anche qualora fosse possibile la scelta della circolazione al portatore, essa non può realizzarsi fino a quando le azioni non siano completamente liberate.

La legge prevede un contenuto minimo dei titoli azionari ex art. 2354.Art. 2354.

Titoli azionari.1. I titoli possono essere nominativi o al portatore, a scelta del socio, se lo statuto o le leggi speciali non stabiliscono diversamente.2. Finché le azioni non siano interamente liberate, non possono essere emessi titoli al portatore.3. I titoli azionari devono indicare:1) la denominazione e la sede della società;2) la data dell'atto costitutivo e della sua iscrizione e l'ufficio del registro delle imprese dove la società è iscritta;3) il loro valore nominale o, se si tratta di azioni senza valore nominale, il numero complessivo delle azioni emesse, nonché l'ammontare del capitale sociale;4) l'ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate ;5) i diritti e gli obblighi particolari ad essi inerenti.4. I titoli azionari devono essere sottoscritti da uno degli amministratori. È valida la sottoscrizione mediante riproduzione meccanica della firma.5. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche ai certificati provvisori che si distribuiscono ai soci prima dell'emissione dei titoli definitivi.6. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali in tema di strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati regolamentati.7. Lo statuto può assoggettare le azioni alla disciplina prevista dalle leggi speciali di cui al precedente comma.

La società a richiesta del socio può emettere anche dei certificati multipli che rappresentano più azioni, ma questa prassi di creare certificati multipli non significa che si siano creati raggruppamenti, rappresenta solo una questione di comodo.

3.16 La circolazione delle azioni

Art. 2355. Circolazione delle azioni.

1. Nel caso di mancata emissione dei titoli azionari il trasferimento delle azioni ha effetto nei confronti della società dal momento dell'iscrizione nel libro dei soci.2. Le azioni al portatore si trasferiscono con la consegna del titolo.3. Il trasferimento delle azioni nominative si opera mediante girata autenticata da un notaio o da altro soggetto secondo quanto previsto dalle leggi speciali. Il giratario che si dimostra possessore in base a una serie continua di girate ha diritto di ottenere l'annotazione del trasferimento nel libro dei soci, ed è comunque legittimato ad esercitare i diritti sociali; resta salvo l'obbligo della società, previsto dalle leggi speciali, di aggiornare il libro dei soci.4. Il trasferimento delle azioni nominative con mezzo diverso dalla girata si opera a norma dell'articolo 2022.5. Nei casi previsti ai commi sesto e settimo dell'articolo 2354, il trasferimento si opera mediante scritturazione sui conti destinati a registrare i movimenti degli strumenti finanziari; in tal caso, se le azioni sono nominative, si applica il terzo comma e la scritturazione sul conto equivale alla girata.

Le azioni sono naturalmente destinate alla circolazione; le principali caratteristiche principali della Spa:- il fatto di suddividere il capitale in frazioni minime, le azioni;- rendere facilmente circolabili le azioni;- la responsabilità limitata del socio;

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Il contenuto minimo dei titoli azionari

I certificati multipli

La spa si caratterizza proprio per il fatto che è destinata a circolare.Se si fa una scelta di non emissione dei titoli, la circolazione è meno facile, in tal caso nei confronti della società il trasferimento avrà luogo solo con l’iscrizione nel libro dei soci il nuovo nome del titolare delle azioni. Nei rapporti fra le parti, il trasferimento ha luogo solo con l’incontro dei consensi: non essendoci l’emissione dei titoli, esiste solo il diritto all’iscrizione nel libro dei soci.Nella Srl è stato abolito il libro soci.

Se sono stati emessi i titoli, l’efficacia del trasferimento fra le parti è affidata alla consegna dei titoli di credito.

Nei confronti della società è necessario il possesso del titolo e, quindi, il fatto che il titolo sia stato consegnato all’acquirente. Per poter opporre alla società la proprietà, è necessario avere il possesso del titolo. Questo basta per i titoli al portatore, basta l’esibizione del titolo.

Se invece i titoli sono nominativi, è sempre necessario, oltre alla consegna del titolo, anche effettuare la girata: sul titolo viene scritto che il titolare è “_”. La girata deve essere autenticata e “in pieno”: è necessario che la firma sia autenticata da una “Sim” (società di intermediazione immobiliare) o da un notaio; “in pieno” invece significa che deve contenere il nome dell’acquirente.La legge vuol favorire la circolazione delle azioni: a differenza dei titoli nominativi (generici), per i titoli azionari bisogna aver ottenuto l’annotazione nel libro dell’emittente: ma per le azioni non è richiesta l’iscrizione al libro soci a priori; se un soggetto si presenza all’assemblea con titolo e girata, ma senza iscrizione nel libro soci, può lecitamente votare. Questo è pensato proprio per le società quotate.La società, successivamente, provvede ad annotare il cambiamento del titolare.

Per le azioni dematerializzate, il trasferimento si realizza con un operazione di giro che viene fatta con un operazione di tipo telematico, che però ha lo stesso valore della consegna e della girata: riproduce virtualmente ciò che accade per i titoli cartacei.

In ogni caso, ci potrebbe essere un conflitto fra più acquirenti delle azioni, perchè alla base della circolazione delle azioni e registrazione del trasferimento ci sono sempre contratti di vendita.

E’ possibile che ci siano più acquirenti di un unico pacchetto azionario: se non c’è stata emissione di azioni si ritiene che vale il principio per cui “chi prima ha acquistato ha efficacia”. Il libro soci, attenzione, non ha efficacia dichiarativa.Chi riesce a dimostrare d’aver concluso il contratto d’acquisto prima dell’altro ha diritto ad essere iscritto a libro soci.

Nel caso di titoli emessi al portatore cambia, nel caso di più acquirenti prevale il primo che abbia conseguito, in buona fede, il possesso. Quando ci sono dei titoli al portatore ci si legittima con il possesso e il trasferimento si realizza mediante la consegna del titolo.

Se i titoli sono nominativi, e il trasferimento del titolo avviene mediante girata, è legittimato chi abbia avuto la girata a suo favore e abbia avuto il possesso del titolo. Quando si parla di titoli di credito, comunque il possesso del titolo è sempre un elemento fondamentale per legittimarsi.

Se si parla di azioni dematerializzate prevale colui che per primo in buona fede abbia ottenuto la registrazione sul proprio conto. Esistono dei sistemi telematici per cui vengono registrati i trasferimenti.

Parlando di azioni di società per azioni, esse possono circolare anche a causa di morte, mentre nelle società di persone, la morte del socio determina naturalmente lo scioglimento del rapporto sociale: non c’è un trasferimento delle partecipazioni agli eredi del socio, la legge però ammette che i soci prevedano nel contratto sociale delle clausole che consentono la continuazione società. La conseguenza di legge è che quando muore il socio, il suo rapporto sociale si estingue e gli eredi hanno diritto ad ottenere in denaro il valore della quota che di partecipazione del scio defunto.

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Non emissione dei titoli

Emissione dei titoli

Conflitto fra più acquirenti

Successione mortis causa

Nelle spa la regola è che naturalmente con la morte del socio, le sue azioni si trasferiscono agli eredi o legatari (chi succede a quel rapporto). Cioè la regola generale della spa è che le azioni circolino liberamente anche a causa di morte, oltre che per atto tra vivi.

3.15 Limiti alla circolazione delle azioni

Le azioni sono in via di principio liberamente trasferibili. L’art. 2355 stabilisce la possibilità di porre dei limiti alla circolazione delle azioni, ma partendo dal presupposto che la circolazione della partecipazione sociale della spa è libera, non è cosi in tutte le società di capitali, perché nella Srl è possibile, nonostante viga il principio della libera trasferibilità delle quote, prevedere una clausola statutaria la totale intrasferibilità delle quote.Una clausola di questo genere, in una Spa sarebbe nulla, in quanto andrebbe contro uno dei principi ispiratori della spa. La legge però consente in vario modo di limitare o condizionare questa libera circolazione delle azioni. Quando parliamo della possibilità che hanno gli statuti di condizionare o limitare la libera circolazione delle azioni, parliamo di limiti convenzionali, introdotti cioè nell’ambito della autonomia delle parti. Altra cosa sono gli eventuali limiti legali alla circolazione delle azioni: ad esempio, quando ci sono azioni che sono liberate con conferimenti in natura e finché non si è provveduto da parte degli amministratori dopo la costituzione della società a revisionare la stima, fino a quel momento le azioni non possono essere alienate. A noi però interessano limiti che i soci possono introdurre in uno statuto di una spa e ci riferiamo all’art. 2355 bis.

Altra cosa sono i limiti legali alla circolazione delle azioni, ad esempio:- se ci sono azioni liberate con conferimenti in natura (diversi dal denaro), fino a quando non si

è proceduto alla costituzione della società e al controllo o alla revisione della stima, fino a quel momento le azioni non possono essere alienate: è un limite di legge (art. 2343, c. 3).

- le azioni con prestazioni accessorie non sono trasferibili senza il consenso del Consiglio di amministrazione;

- anche le azioni delle società fiduciarie e di revisione sono intraferibili senza il consenso del Consiglio di amministrazione;

- ulteriori limiti sono previsti quando il trasferimento riguardi partecipazioni rilevanti o di controllo.

A noi interessano i limiti convenzionali ex 2355 bis, cioè quelli determinati da accordi intercorsi fra i soci.

Art. 2355-bis. Limiti alla circolazione delle azioni.

1. Nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento.2. Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell'alienante; resta ferma l'applicazione dell'articolo 2357. Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'articolo 2437-ter.3. La disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso.4. Le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo .

Vige il principio della libertà dello statuto di limitare o condizionare la libertà di circolazione delle azioni fra le parti.- sui limiti convenzionali, la legge ci pone già un limite: possono essere previsti limiti

convenzionali in statuto soltanto con riferimento alle azioni nominative o al caso in cui si sia stata statuariamente prevista la non emissione dei titoli. Questa previsione perché se le azioni

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Libera trasferibilità e circolazione delle azioni

Limiti legali

Limiti convenzionali

sono al portatore, esse per definizione circolano liberamente, e non è possibile stabilire limiti statutari alla circolazione: non avrebbe alcun senso inserire questi limiti, che sarebbero ingestibili;

- per quanto riguarda le azioni dematerializzate: questi limiti li ricaviamo dal Regolamento per la Consob, che prevede che non possono essere immesse nel sistema della circolazione telematica azioni che abbiano in sé dei limiti alla circolazione. Questo in base ad un regolamento della Consob, non in base alla legge.

In definitiva, limiti convenzionali possano essere stabiliti:- nei casi di azioni nominativi;- e nel caso di non emissione dei titoli azionari;

Si va ad incidere su uno dei principi fondativi della spa: nel passato, anche se la legge non diceva nulla, c’era un orientamento pacifico della giurisprudenza nell’affermare che i limiti alla circolazione delle azioni potevano essere introdotti o modificati dallo statuto soltanto con decisione unanime da tutti i soci, salvo non fosse previsto diversamente con l’atto costitutivo in sede di costituzione (momento in cui non vige il principio maggioritario, ma è richiesta l’unanimità per la conclusione del contratto sociale).

Questa posizione giurisprudenziale è stata superata dal legislatore della riforma del 2003: oggi sappiamo che per disposizione di legge, l’introduzione di clausole che limitino la circolazione della azioni può essere decisa con delibera di assemblea straordinaria (quindi anche durante la vita della società), quindi a maggioranza, in presenza anche di una minoranza contraria.Questa informazione la ricaviamo dalla disciplina di recesso del socio: l’art 2437. Il recesso è il diritto di sciogliere il suo rapporto sociale e ottenere la liquidazione della quota: fra le varie ipotesi di scioglimento vi è quella dovuta all’introduzione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari: chi ha diritto di recedere è solo il socio assente, astenuto o che ha votato contro (non ha approvata la suddetta delibera), ovvero che non ha concorso all’approvazione della delibera.Non è quindi necessaria l’unanimità dei consensi. Con questa previsione è stata eliminata il precedente orientamento giurisprudenziale.

Dei limiti convenzionali (ovvero frutto delle scelte contrattuali) possono aversi due prospettive:1) limiti statutari alla circolazione della azioni, ossia risultanti dall’atto costitutivo della società;2) limiti previsti fuori dallo statuto nei così detti patti parasociali;

Molte volte, i patti parasociali sono contratti che tutti o alcuni soci concludono a latere del contratto di società: accanto a quest’ultimo si prevedono ulteriori regole che riguardano la vita della società, ma che non vengono inserite nello statuto. Esistono vari tipi di patti parasociali: come i sindacati di voto: accordi fra alcuni soci che si impegnano reciprocamente a disciplinare il modo in cui questi soci andranno a votare in assemblea. Ad esempio, prima di ogni assemblea, questi si trovano in una loro assemblea di sindacato e in quella sede decidere come tutti loro andranno a votare in assemblea: serve per tenere insieme un gruppo di comando della società. Prevedendo l’obbligo di riunirsi prima è chiaro che la maggioranza delle azioni sindacate avranno lo stesso orientamento di voto.Altro tipo sono i sindacati di blocco: accordo fra i soci che si impegnano reciprocamente a non cedere le proprie azioni a terzi. Hanno lo scopo di evitare l’ingresso in società di terzi non graditi.Essi sono soggetti ai limiti di durata e agli specifici obblighi previsti per i sindacati di voto. Ovviamente i sindacati di blocco vincolano solo le parti contraenti.

E’ diversa la forza dell’accordo fra i due casi. In genere, un contratto della società si distingue perché ha una forza di legge tale per cui le previsioni dei contratti si impongono anche nei confronti dei terzi. L’autonomia patrimoniale che si crea nella società è opponibile anche ai terzi. Il comune contratto, come quello parasociale, invece ha valore di legge fra le parti, ma è irrilevante rispetto ai terzi. Il limite statutario, invece, è opponibile anche nei confronti dei terzi, sia per i soci attuali che per quelli futuri (efficacia reale). Tale limite vincola la circolazione delle azioni, è sempre opponibile alla società, così come anche ad un terzo che acquista le azioni per effetto di una violazione nel limite delle circolazione. Se il limite è infranto in un contratto parasociale (che ha meno forza del contratto sociale), l’atto che viene compiuto violando tale contratto è perfettamente valido ed efficace. L’unica

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Competenza dell’assemblea straordinaria

Sindacati di blocco

Diversa forza dei limiti statuari e parasociali

Limiti statuari e non

conseguenza è che gli altri contraenti del patto potranno agire nei confronti del socio inadempiente e chiedergli il risarcimento dei danni (stessa cosa per i sindacati di voto).

I limiti convenzionali statuari - Le clausole contenute nello StatutoVi sono varie tipologie di limiti che possono essere inseriti.

3.16 Divieti temporaneo di circolazione

E’ un primo limite (art. 2355-bis) introdotto della riforma che prima sarebbe stato nullo: si può prevedere nello statuto un divieto assoluto di trasferire le azioni per un periodo che non può essere superiore ai 5 anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto; se fosse stabilito in numero superiore, verrebbe ridotto ex lege a 5 anni.Lo scopo è garantire una stabilità della compagine sociale della società start-up, dell’avvio della società: il divieto temporaneo può essere stabilito non soltanto in sede di costituzione, ma anche con modifica statutaria e il limite di 5 anni varrebbe sempre.

E’ un divieto temporaneo di trasferimento delle azioni: ogni trasferimento che si realizzasse sarebbe inefficace nei confronti della società. Mentre fra il socio che ha venduto ignorando il divieto e il nuovo socio: - qualcuno dice che l’inefficacia vi sarebbe anche fra le parti;- altri sostengono che l’efficacia è sospesa fino a quando saranno passati i cinque anni.Nei confronti della società, invece, è come se la vendita non si fosse mai realizzata.Scaduto il limite, deve esserci un intervallo di tempo, altrimenti non può essere rinnovabile e vi altrimenti sarebbe un divieto perpetuo. E’ un limite non molto usato.

Altri limiti/clausole che nella pratica sono usate sono la clausola di prelazione, oppure clausole che preselezionano i soggetti che possono diventare soci, e vi sono poi clausole di gradimento ed infine le clausole di riscatto in caso di morte di un socio.

3.17 La clausola di prelazione

E’ una clausola tipica nelle società a ristretta base azionaria. Si prevede che quando un socio abbia l’intenzione di trasferire in tutto o in parte le sue azioni, nel trasferimento devono essere preferiti gli altri soci, che hanno diritto di prelazione.Quando un socio intende vendere le proprie azioni, deve preferire gli altri soci, prima di poter vendere ai terzi.Il meccanismo di preferenza prevede che il socio che intende trasferire le proprie azioni abbia l’obbligo di effettuare una comunicazione (una proposta d’acquisto), cioè una dichiarazione in cui dice “intendo vendere le 100 azioni a Tizio per 100 euro ciascuna”: una dichiarazione che permette agli altri soci di essere preferiti al terzo nella vendita, nel quale sono da specificare il prezzo, nonché le modalità rilevanti del contratto che si intende concludere.Più che un limite è una condizione alla circolazione. Il socio non è libero di decidere a chi vendere, devo offrire le azioni ai soci.

Gli elementi minimi della dichiarazione del socio:- l’obbligo di comunicazione;- il prezzo e le modalità rilevanti di conclusione del contratto.- l’indicazione dell’organo a cui è rivolta: nella maggioranza dei casi va fatta all’organi di gestione;- i tempi entro cui il tale organo comunichi agli altri soci la possibilità di esercitare la prelazione: è

posto un limite di tempo; scaduto il termine, il socio è libero di far circolare le azioni con il socio accordato.

Ci sono dei problemi:- quali soci: il diritto prelazione può essere esercitato da tutti o da parte dei soci: si deve prevedere

un meccanismo di prelazione da parte dei soci. L’unico limite è un possesso azionario, cioè le azioni andranno ai soci che hanno esercitato prelazione in proporzione alle azioni possedute.

- a quali negozi di trasferimento di applica la clausola di prelazione. Tipicamente il trasferimento avviene attraverso la vendita, ma si possono trasferire azioni anche attraverso una permuta, si può

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La proposta di acquisto

Problemi applicativi

Disciplina

Disciplina

Violazione del divieto

donare le azioni; si possono conferire le azioni in una terza società (è sempre un contratto di trasferimento): le azioni diventano di proprietà della società B. A quali tipi di contratti può essere applicata questa clausola?

Le regole del diritto di prelazione, in generale, si dice che c’è il diritto di essere preferito al terzo in forza di un accordo alle stesse condizioni a cui avrebbe stabilito al terzo. Sia il prezzo, sia i tempi di pagamento devono essere i medesimi: parità di condizioni.Se dovessimo applicare la clausola di prelazione ai possibili contratti, se ad esempio decido di conferire le mie azioni ad un altra società, la parità di condizioni è possibile da esercitare: conferendo ad una società non ottengo in cambio una somma, ma altre azioni che non possono essermi offerte dagli altri soci; o la stessa la permuta con altre azioni; oppure con la donazione, gli altri soci avrebbero il diritto di averle a titolo gratuito.Secondo alcuni, solamente in caso di vendita varrebbe la parità di condizioni (e quindi il diritto di prelazione): ma si potrebbe aggirare facilmente: basterebbe creare una srl a cui conferisco le azioni e avrei aggirato il diritto di prelazione. Il giorno dopo faccio cedere le azioni al Tizio a cui volevo cederle precedentemente, oppure gli cedo direttamente le quote della società appena costituita. L’opinione maggioritaria è che la parità di condizioni non sarebbe requisito essenziale, e quindi la clausola di prelazione sarebbe applicabile anche ad altri tipi di contratti.Ma se si vogliono coprire tutti i contratti di trasferimento, non si deve scrivere “vendita” nella clausola ma “in ogni ipotesi di trasferimento”.

Affinché la clausola produca effetti, inoltre, bisogna prevedere un meccanismo per la determinazione del prezzo che i soci devono pagare un prezzo per esercitare la prelazione.Oppure, sempre nei casi non di vendita, si può prevedere che il valore delle azioni (e quindi quanto i soci dovranno dare al socio che intende vendere) venga stabilito da un terzo arbitro scelto dalle parti o in caso di disaccordo dal tribunale: bisogna trovare un meccanismo neutrale per determinare il valore da pagare: viene detta prelazione impropria, ma è ritenuta legittima.

Altro dubbio è se la clausola si applichi ai trasferimenti interni della società o anche verso soggetti terzi della società: bisogna dire se il blocca vale anche fra i soci o fra i terzi.Se la clausola di prelazione è mantenere il rapporto nella compagnie sociale, anche le vendite fra soci hanno importanza; se invece lo scopo è controllare l’accesso di terzi in società, le eventuali operazioni interne non avrebbero rilievo.

Se viene violata la clausola o il socio non effettua la denuntiatio e vende le sue azioni ai terzi: la clausola di prelazione ha efficacia reale: significa che la violazione della clausola di prelazione comporta l’inefficacia del trasferimento: sia nei confronti della società (che potrà rifiutare l’iscrizione dell’acquirente nel libro dei soci), sia in confronto dei soci che sono stati messi da parte, beneficiari del diritto di prelazione. La vendita non avrebbe effetti. [A quest’ultimi verrebbe riconosciuto il diritto di riscattare dal terzo acquirente le relative azioni].Altri parlano di nullità di negozio di trasferimento, ma questo riguarderebbe tutti: società soci e rapporti fra venditore e compratori.

3.17 Le clausole di gradimento

Le clausole di gradimento possono essere distinte in due sotto-categorie:a) clausole di gradimento predeterminato: clausole di gradimento che richiedono il possesso di

determinati requisiti da parte dell’acquirente (ad esempio, cittadinanza italiana, appartenenza a determinate categorie professionali);

b) clausole di mero gradimento: clausole che subordinano il trasferimento delle azioni al consenso (placet) di un organo sociale, quasi sempre costituito dal Consiglio di amministrazione;

Nel primo caso si tratta di è una clausola che delimita a priori le categorie di soggetti che possono entrare in società: ad esempio, solo una certa categoria di imprenditori “solo calzaturieri”. Queste clausole sono ritenute valide: una cessione nei confronti di un soggetto non provvisto delle caratteristiche indicate nella clausola non ha efficacia nei confronti della società e probabilmente anche nei confronti del compratore.La clausola viene chiamata di gradimento predeterminato.

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Prelazione impropria

Violazione della clausola o non effettuazione della denuntiazio

Parità di condizioni

Clausola di gradimento predeterminato

Alta cosa è stabilire una clausola in cui si dica che quando un socio vende una partecipazione ad un altro soggetto, su questo soggetto deve esprimersi un organo sociale, normalmente un organo amministrativo, e deve esprimere il suo gradimento oppure il suo non gradimento.Lo scopo è impedire l’ingresso in società a soggetti sgraditi. Il gradimento è rimesso alla valutazione di un organo sociale.Per molti anni, si è sempre interpretato con libertà queste clausole, anche quando la clausola diceva che “in caso di cessione delle azioni, sul gradimento dell’acquirente deve esprimersi il consiglio d’amministrazione”: senza alcuna motivazione, con pura discrezionalità, senza indicare nello statuto a quali criteri deve essere espresso o no il gradimento.Tale clausole potevano costituire strumento di abuso a danno sei soci estranei al gruppo di comando, rendendoli prigionieri nella società. In un primo momento, il legislatore era intervenuto decretando l’inefficacia delle clausole di mero gradimento (art. 22 legge 281/1985).Ad un certo punto, la Corte di Cassazione, con una sentenza del 1995, ha mutato opinione sulle clausole di mero gradimento: esse sarebbero nulle quando “non sono indicati i criteri attraverso cui l’organo deputato dovesse esprimersi”. A questo punto, intervenne il legislatore è intervenuto con una norma che stabiliva l’inefficacia di tutte le clausole dette di mero gradimento, recependo l’orientamento della Cassazione, con la differenza che il legislatore dice essere inefficaci, mente la Cassazione nullità: in ogni caso da quel momento non potevano più operare tali clausole.

La Cassazione stabiliva, tramite una sua interpretazione estensiva della legge, che secondo il legislatore, il socio non deve rimanere prigioniero della società e non riuscire a vendere la azioni: se il Consiglio di Amministrazione dice sempre “no”, il socio non riuscirebbe a vendere le sue azioni.La Cassazione disse: se l’obiettivo del legislatore è impedire che il socio rimanga prigioniero, si possono ritenere valide le clausole di mero gradimento, purché la clausola preveda che il Consiglio di Amministrazione sia obbligato ad indicare al socio (che intende vendere) un acquirente gradito a cui vendere le azioni della società: non venderà a tizio, ma a Caio. Il diniego di gradimento è possibile solo se si indica un altro nome. Tale previsione è contenuta anche nell’ordinamento francese.

Nel 2003 la riforma ha introdotto nel codice una disciplina delle clausole di gradimento ex art. 2355 bis.Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni (anche a causa di morte) al mero gradimento del Consiglio di Amministrazione o altri organi (o altri soci) sono inefficaci se non prevedono, in caso di rifiuto del gradimento, un obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci, oppure il diritto di recesso dell’alienante.La legge recepisce l’ordinamento della Cassazione del 1995. La clausola precede che quando venga negato il trasferimento, il socio può recedere dalla società, ottenendo il medesimo effetto della vendita.

La legge prevede inoltre che resta fermo l’ art. 2357 che disciplina la possibilità della società di acquistare proprie azioni. I limiti e condizioni devono essere rispettati anche se all’acquirente viene negato il gradimento. La società infatti non è sempre libra di acquistare azioni proprie, allora alternativamente è previsto la possibilità del recesso o quella di acquisto delle azioni da parte degli altri soci.

Per determinare il corrispettivo dell’acquisto o la quota di liquidazione si applica la disciplina dettata per il recesso (art. 2355-bis, c. 2). Quindi sia in caso di acquisto da parte della società o dei soci, sia in caso di recesso sia se determinati nella modalità prevista del 2437 ter, le modalità sono identici. Alla domanda di come quantificare la quota di liquidazione del socio che recede: dal punto di vista del socio le alternative sono indifferenti.Ed identica disciplina si applica per tutte le clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento delle azioni a causa di morte, salvo che sia previsto il gradimento e che sia concesso.

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Clausole di mero gradimento

Evoluzione della normativa e della giurisprudenza

La disciplina post riforma

Il corrispettivo per l’acquisto o la quota di liquidazione

Secondo i più, anche la clausola di gradimento alla francese è efficace anche in presenza di un gradimento mero.In definitiva, oggi si può dire che sono efficaci le clausole di mero gradimento, purché contengano un meccanismo che garantisca l’uscita del socio da parte della società.

Se un socio vende, ignorando l’esistenza della clausola o nonostante il non gradimento espresso dell’organo deputato, la traslazione sarà inefficace nei confronti della società; dubbi possano essere nei rapporti fra le parti: - per i più è inefficace anche fra le parti;- altri sostengono che chi acquista ha diritto di riavere il prezzo e restituire le azioni.

Il potere di esprimere il gradimento è espresso dall’organo amministrativo: può essere stabilito tuttavia anche ad altri soci, ad esempio, una categoria di azioni, oppure da un terzo estraneo alla società.

Quasi sempre la clausola di prelazione e gradimento sono previste entrambe, per blindare la compagine societaria. Abbinandole se non c’è prelazione, scatta il gradimento e potrebbe venire il recesso, bloccando l’ingresso in società di un soggetto sgradito.Il soggetto che vende, può anche mutare idea e non recedere o rifiutare l’acquisto delle azioni proprie da parte della società.

Storicamente altro problema della clausola era la sua applicabilità anche nell’ipotesi di successione. I soci azionisti diverrebbero anche suoi eredi, ma un problema si potrebbe porre anche per gli eredi, sui quali potrebbe essere espresso un non gradimento: nel passato si dubitava che una clausola simile potesse applicarsi anche ai trasferimenti in caso di morte, ma in tal caso si avrebbero azioni senza titolari. Si diceva che le clausole di gradimento non si applicano nella successine in caso di morte.Oggi il legislatore invece, con il terzo comma, prevede che la clausola si applichi anche nei trasferimento a causa di morte. Il concetto è: si può introdurre una clausola di gradimento che copra i trasferimenti in caso di morte, ma anche in questa ipotesi la clausola dovrà prevedere un correttivo in caso di diniego dell’erede: l’obbligo di acquisto delle azioni da parte della società e/o da parte dei soci o il recesso.Ma, mentre nell’ipotesi di atto fra vivi, chi recede è il venditore (il socio), in questo caso il socio è morto, agli eredi viene liquidata la quota come se fossimo in una situazione di recesso del socio: non è l’erede che recede, ma a questo viene liquidata la quota.Per evitare debbi interpretativi, è meglio inserire questa “interpretazione” nella clausola.

3.18 Le clausole di riscatto

Nella pratica, si possono prevedere le clausole di riscatto, che prevedono l’introduzione un potere di riscatto delle azioni da parte della società o dei soci al verificarsi di determinati eventi (art. 2437-sexies). Ad esempio, in caso di morte dell’azionista al fine di evitare che subentrino gli eredi, o di mancata esecuzione delle prestazioni accessorie cui il socio si è obbligato. In caso di morte di un socio, gli altri soci hanno diritto di riscattare le azioni che sono pervenute agli eredi, ovvero entro un certo termine, i soci superstiti hanno diritto di imporre agli eredi di cedere loro le azioni che sono pervenute in forza della successione del socio defunto.E’ una clausola valida, ma meno utilizzata.Nel nostro sistema vige, infatti, il divieto dei patti successori secondo cui un soggetto si impegna a destinare il patrimonio a un soggetto: nel nostro ordinamento un patto simile è nullo. Vale invece la scelta successoria, le ultime volontà che devono essere “ultime”. Con questa clausola, gli eredi diventano soci, ma le azioni possono essere riscattate dai superstiti.

Il valore del rimborso di tali azioni è determinato applicando le disposizioni in tema di diritto di recesso, oltre che per il relativo procedimento di liquidazione. In caso di riscatto a favore della società, trova applicazione inoltre la disciplina di acquisto delle azioni proprie.

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Violazione delle clausola

Organi deputati ad esprimere il gradimento

Gradimento sui trasferimenti mortis causa

Il valore del rimborso

Potere di riscatto

3.19 La circolazione di azioni il cui conferimento non è completato

Art. 2356. Responsabilità in caso di trasferimento di azioni non liberate.

1. Coloro che hanno trasferito azioni non liberate sono obbligati in solido con gli acquirenti per l'ammontare dei versamenti ancora dovuti, per il periodo di tre anni dall'annotazione del trasferimento nel libro dei soci.2. Il pagamento non può essere ad essi domandato se non nel caso in cui la richiesta al possessore dell'azione sia rimasta infruttuosa.

All’atto di costituzione della società, il conferimento promesso può essere versato solamente nella misura del 25%, rinviando il versamento del restante 75% a quando gli amministratori richiameranno i decimi mancanti.L’art. 2356 prevede che possono circolare le azioni con conferimento in denaro. Ma la legge prevede però un meccanismo di tutela della società: il divieto legale alla circolazione è previsto per le azioni che devono ancora essere integralmente liberate in natura.L’art. 2356 prevede che colui che cede azioni che non siano integralmente liberate rimane obbligato in solido con colui che le acquisite, dal momento del trasferimento della titolarità nel libro di soci.

E’ una norma in favore della società. Raddoppia i soggetti che entrano in obbligo con la società: ogni alienante rimarrà obbligato in solido con gli altri alienanti. Tutti coloro che si sono succeduti si assumono la responsabilità solidale (= quando c’è più di un debitore e il creditore può chiedere il pagamento integrale ad ogni debitore, salvo diritto di rivalsa).

Il pagamento non può essere chiesto a chi ha ceduto le azioni, se non nel caso in cui la richiesta delle azioni al nuovo acquirente sia rimasta infruttuosa: si instaura un meccanismo di responsabilità solidale: ma la società deve richiedere il pagamento a chi è titolare delle azioni, e solo in un secondo momento può richiederlo a chi era stato titolare delle azioni (il cedente).

Questa responsabilità solidale dura per un periodo massimo di tre anni dal momento (prima della riforma tale punto non era chiaro) non dall’atto del trasferimento, ma dal momento dell’annotazione del nuovo titolare del libro dei soci della società.

Questo è un incentivo a completare il prima possibile i versamenti, altrimenti chi è intenzionato a cedere le azioni non ancora liberate, si troverebbe il fardello della responsabilità solidale per un triennio.

3.20 La disciplina delle azioni proprie

Le Spa e le Sapa (le società azionarie) hanno la possibilità di acquistare le proprie azioni. E’ un fenomeno straordinario perché è come se la società venisse proprietaria di parte di se stessa. Le azioni sono frazione del capitale sociale, ma idealmente anche del patrimonio della società: la società diviene titolare di proprie azioni; la società acquista sè stessa e questo non si giustifica, se non nel fatto che nelle società azionarie vi sia una oggettivazione della partecipazione, che diventa un bene in sé a prescindere da chi ne sia titolare.

E’ una disciplina eccezionale quella dell’acquisto delle azioni proprie secondo gli art. 2357 e seguenti.E’ un’operazione che presenta due ordini di rischi:1) nel momento che la società acquista delle azioni dai soci paga un prezzo, c’è quindi un’uscita

del patrimonio della somma necessaria per l’acquisto delle azioni. Se fosse libera di acquistare queste azioni e potesse acquistare azioni non integralmente liberate, l’effetto sarebbe che nessuno completerebbe il conferimento, perché sarebbe la società a dover versare e completare il proprio conferimento. Il rischio è quello di annacquare il capitale.

2) interazione dei rapporti fra maggioranza e minoranza e su un possibile affrancamento degli amministratori dal controllo assembleare: dal momento in cui la società è libera di acquistare azioni proprie, queste sarebbero gestite dall’organo amministrativo che deciderebbe come comportarsi con questa partecipazione: se non ci fossero limiti o condizioni per l’acquisto, gli amministratori potrebbero arrivare a conquistare la maggioranza assembleare, e ad auto-perpetuarsi come amministratori, si rinnoverebbero sempre.

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Disciplina della responsabilità solidale

Durata

La legge, di conseguenza, da un lato ammette queste operazioni, ma le circonda di cautele particolari e pone dei limiti e condizioni a questo possibile acquisto di azioni proprie.

3.21 La disciplina dell’acquisto delle azioni proprie

Art. 2357. Acquisto delle proprie azioni.

1. La società non può acquistare azioni proprie se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate.2. L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea, la quale ne fissa le modalità, indicando in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non superiore ai diciotto mesi, per la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo.3. Il valore nominale delle azioni acquistate a norma del primo e secondo comma dalle societa' che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non puo' eccedere la decima parte del capitale sociale, tenendosi conto a tale fine anche delle azioni possedute da societa' controllate. (1)4. Le azioni acquistate in violazione dei commi precedenti debbono essere alienate secondo modalità da determinarsi dall'assemblea, entro un anno dal loro acquisto. In mancanza, deve procedersi senza indugio al loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale. Qualora l'assemblea non provveda, gli amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione sia disposta dal tribunale secondo il procedimento previsto dall'articolo 2446, secondo comma.5. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli acquisti fatti per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.

Disciplina riformata dalla riforma del 2003, ma per effetto dell’attuazione della seconda direttiva comunitaria del 2006.

Ad eccezione per le sicav, l’acquisto delle azioni proprie non è vietato. L’operazione è consentita ma la società deve rispettare quattro condizioni:

1) l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria;2) le somme impiegate nell’acquisto non possono eccedere l’ammontare degli utili distribuibili

e delle riserve disponibili risultati dall’ultimo bilancio approvato;3) le azioni da acquistare devono essere interamente liberate;4) il valore nominale delle azioni acquistate non può eccedere la decima parte del capitale

sociale, tenuto conto anche delle azioni possedute da società controllate.

Quando una società vuole acquistare azioni proprie: di per se l’acquisto è una scelta gestionale (la gestione appartiene esclusivamente agli amministratori). La legge prevede che questa operazione sia compiuta e decisa dagli amministratori, ma che richieda un’autorizzazione assembleare: l’acquisto deve essere autorizzato (non deciso) dall’assemblea. Rimane all’organo di gestione la scelta di decidere o meno se effettuare l’acquisto delle azioni. L’autorizzazione quindi non è vincolante.

La legge, inoltre, non chiede una semplice autorizzazione, ma la delibera deve indicare:1) le condizioni e modalità di acquisto delle azioni proprie;2) il numero massimo di azioni che gli amministratori sono autorizzati ad acquistare;3) quanto dura l’autorizzazione, salvo il limite per cui la legge dispone che non può durare oltre 18

mesi.4) deve essere indicato il corrispettivo minimo e massimo, il range di prezzo entro il quale gli

amministratori sono obbligati a compiere l’operazione;E’ un’autorizzazione a termine!

La legge non specifica quale assemblea deve autorizzare, s’intende quindi che sia l’assemblea ordinaria che autorizza le operazioni di acquisto.

La legge aggiunge che l’acquisto può essere fatto nei limiti degli utili distribuibili e dalle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato. La legge vuole cioè evitare l’annacquamento del capitale, una riduzione di fatto: il capitale verrebbe dato come pagamento del prezzo ai soci per il pagamento delle loro azioni.

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I condizione: l’autorizzazione dell’assemblea

Contento della delibera di autorizzazione

II condizione: il limite delle azioni acquistabili

Il limite è dato dalla somma degli utili distribuiti e dalle riserve disponibili. Ci possono essere riserve disponibili per operazioni societarie, ma che non possono essere distribuite ai soci, come ex art. 2431: la riserva sovrapprezzo azioni non può essere distribuita ai soci, fino a che la riserva legale non abbia raggiunto un quinto del capitale sociale.Ciò non toglie che la riserva sia una riserva sovrapprezzo azioni disponibile, perché può essere utilizzata per un aumento di capitale sociale o per acquistare azioni proprie.

Ci possono essere riserve statutarie vincolate per un certo uso, ma si può procedere con delibera dell’assemblea straordinaria che le svincoli e che quindi possano essere utilizzate per acquistare le azioni proprie.

Le riserve e utili devono “risultare dall’ultimo bilancio regolarmente approvato”: è l’ultimo bilancio precedente all’acquisto delle azioni proprie.

Ciò non significa che gli amministratori possono lavarsi le mani: l’utilizzo delle riserve dipende anche dalla diligenza degli amministratori per verificare che la riserva sia ancora esistente e che non sia stata erosa dalle perdite.

Altro limite: si possono acquistare da parte della società solo azioni interamente liberate, per evitare che la società rimanga senza completamento dei versamenti. In caso contrario, la società diverrebbe creditrice verso se stessa per i conferimenti ancora dovuti e resterebbe preclusa l’effettiva acquisizione degli stessi.

Fino al 2008 queste previsioni erano presenti nella disciplina precedente: con la nuova è stata introdotta una variante molto significativa. La legge prevedeva che le azioni proprie non potevano mai superare ill 10% del capitale sociale, considerando tutte le operazioni di acquisto. Con l’attuazione della direttiva 2006, è stato mantenuto un limite quantitativo, ma con riferimento solo alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Il limite invece è stato eliminato per le altre società. Per quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il limite era stato mantenuto al 10% e nel 2009 è stato portato al 20%, ora ad un quinto del capitale.Oggi quindi, il valore nominale delle azioni acquistate non può eccedere la decima parte del capitale sociale, tenuto conto anche delle azioni possedute da società controllate.In teoria, quindi, una società che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio potrebbe rendersi proprietaria del 100% del capitale. E’ ipotesi accademica. Non c’è un limite alle società chiuse.Se il limite c’è, e solo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio: inoltre, si deve tener conto anche della azioni possedute da società controllate.

C’è un’unica eccezione del mercato del capitale di rischio: il limite può essere superato se un socio può recedere.

Inoltre per le società quotate, gli acquisti di azioni proprie da parte di queste società devono essere effettuati secondo le modalità a tal fine stabilire dalla Consob.

Se gli amministratori violano questi limiti? La sanzione non è la nullità dell’acquisto; sicuramente le norme di cui abbiamo parlato sono imperative (non possono essere violate = la cui sanzione è normalmente la nullità del negozio); ma in tal caso non è così, la sanzione non è l’ invalidità dell’atto, ma da un obbligo di rivendere le azioni acquistate in eccesso, secondo le modalità fissate dall’assemblea.Le azioni devono essere alienate entro un anno dal loro acquisto.Gli amministratori sono inoltre esposti a sanzioni penali.

In mancanza, la società deve procedere senza indugio alla riduzione del capitale e al corrispondente annullamento delle azioni. Cioè non si può accettare questa situazione. La stessa regola vale per l’acquisto di azioni in eccesso o non usando utili o riserve disponibili. Se non si riesce a venderle si deve annullarle e ridurre il capitale.

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Riserve utilizzabili

III condizione: le azioni devono essere interamente liberate

IV condizione: non superamento della decima parte del capitale

Limite per le quotate

Violazione dei limiti di cui sopra e sanzioni

Nell’inerzia dell’assemblea, la riduzione di capitale sociale deve essere disposta d’ufficio dal tribunale, su richiesta degli amministratori e dei sindaci (art. 2357, c. 4). Infatti, tale obbligo è così vincolante che gli amministratori o i sindaci, essa deve essere disposta dal tribunale, se non vi abbia provveduto all’assemblea.

Inoltre, bisogna che siano cedute secondo modalità che garantiscono il ritorno alla situazione precedente (ovvero deve realizzarsi una riduzione nominale, non reale).

L’ultimo comma dice che “le disposizioni del presente articolo si applicano anche per le società fiduciarie o per interposta persona”. Quindi la disciplina fin qui esposta si applica anche quando la società procede all’acquisto di azioni proprie per tramite di società fiduciaria o per interposta persona (art. 2357, c. 5)Anche se fatta in questo modo, l’operazione non può eccedere i limiti di legge.

Casi speciali di acquisto delle azioni proprie

Art. 2357-bis. Casi speciali di acquisto delle proprie azioni.

1. Le limitazioni contenute nell'articolo 2357 non si applicano quando l'acquisto di azioni proprie avvenga:1) in esecuzione di una deliberazione dell'assemblea di riduzione del capitale, da attuarsi mediante riscatto e annullamento di azioni;2) a titolo gratuito, sempre che si tratti di azioni interamente liberate;3) per effetto di successione universale o di fusione o scissione;4) in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della società, sempre che si tratti di azioni interamente liberate.2. Se il valore nominale delle azioni proprie supera il limite della decima parte del capitale per effetto di acquisti avvenuti a norma dei numeri 2), 3) e 4) del primo comma del presente articolo, si applica per l'eccedenza il penultimo comma dell'articolo 2357, ma il termine entro il quale deve avvenire l'alienazione è di tre anni (1).

L’art. 2357 bis indica quattro ipotesi che la legge non considera pericolose in cui le limitazioni dell’art. 2357 non si applicano nell’acquisto di azioni proprie:1) quando l’acquisto si è effettuato in esecuzione di una delibera dell’assemblea di riduzione di

capitale sociale da attuarsi mediante riscatto ed annullamento delle azioni, nessuna delle precedenti limitazioni è applicabile. Se si fa un’operazione di riduzione del capitale effettiva con restituzione dei conferimenti e la modalità è il riscatto delle azioni della società per annullarle, non c’è alcun rischio. Le azioni sono acquistate della società e si non presentano i rischi che dicevamo prima. La società dovrà però rispettare le procedure per la riduzione reale del capitale sociale.

2) quando l’acquisto sia fatto a titolo gratuito, sempre che si tratti di azioni interamente liberate; non essendoci stato alcun esborso da parte della società, è un operazione in guadagno da parte della società. Se le azioni pervengono da una società a titolo gratuito l’operazione non soffre i limiti e condizioni di cui sopra.

3) ipotesi di successione universale: se qualcuno morendo lascia come erede la società; la società ci guadagna e riceve azioni a tutolo gratuito;

4) può capitare nella fusione, o fusione per incorporazione. Se la società A incorpora la società B e questa aveva azioni della B, alla fine dell’operazione, nel patrimonio che riceve ci sono anche le azioni che A aveva di B. Stessa cosa può avvenire anche in caso di scissione.

5) ultima ipotesi è quando l’acquisto sia fatto in occasione di esecuzione forzata in soddisfacimento di un credito della società verso un socio, sempre che si tratti di azioni interamente liberate. E’ il cado in cui il socio non ha pagato. La società agisce esecutivamente nei confronti del socio e fra questi beni del socio ci sono le azioni che il socio ha. L’esecuzione forzata può riguardare il pacchetto di azioni che ha il socio. La società in tal modo si rifà su un credito: sempre meglio prendere azioni proprie che non prendere nulla.

Nei casi di acquisto a titolo gratuito, successione, fusione o scissione e di esecuzione forzata (negli ultimi quattro casi), deve essere però rispettato il limite del dieci per cento del capitale sociale.Se però questi casi sono fatti in misura superiore alla quinta parte del capitale, la legge stabilisce che c’è un obbligo di rivendere le azioni in eccesso. In questa situazione la legge però

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Acquisti indiretti

Riduzione del capitale

Altri casi speciali

Superamento del limite del 10% del capitale

concede un termine più ampio: in tal caso le azioni non devono essere alienate/rivendute tento un anno, ma entro tre anni. Se non si trovasse un compratore, si dovrà procedere all’annullamento e riduzione del capitale per la parte eccedente un quinto del capitale.

La gestione delle azioni proprieSe le società ha acquistato (legittimamente) le azioni proprie, nel portafoglio titoli si torva le sue azioni.

Art. 2357-ter. Disciplina delle proprie azioni.

1. Gli amministratori non possono disporre delle azioni acquistate a norma dei due articoli precedenti se non previa autorizzazione dell'assemblea, la quale deve stabilire le relative modalità. A tal fine possono essere previste, nei limiti stabiliti dal primo e secondo comma dell'articolo 2357, operazioni successive di acquisto ed alienazione.2. Finché le azioni restano in proprietà della società, il diritto agli utili e il diritto di opzione sono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni; l'assemblea può tuttavia, alle condizioni previste dal primo e secondo comma dell'articolo 2357, autorizzare l'esercizio totale o parziale del diritto di opzione. Il diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie sono tuttavia computate nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell'assemblea.3. Una riserva indisponibile pari all'importo delle azioni proprie iscritto all'attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni non siano trasferite o annullate.

Così come per l’acquisto è necessaria l’autorizza assembleare, anche per la disposizione delle azioni proprie (ad esempio per vendere le azioni), gli amministratori devono ottenere un’autorizzazione dell’assemblea. Rimane un atto di gestione che spetta esclusivamente agli amministratori.L’autorizzazione, in maniera più generica, ma deve indicare le modalità con cui gli amministratori possono soddisfarsi. L’autorizzazione è meno pregnante: si dicono solo le modalità, ad esempio, se tali azioni possono essere cedute sono a titolo oneroso.

A tal fine, possono essere previste, nei limiti stabiliti dall’art. 2357, “operazioni successive di acquisto ed alienazione”: ovvero il trading di azioni proprie (acquisto e rivendita successive), quando si tratta di una società quotata. Ovvio che sarebbe impossibile fare ciò se gli amministratori dovessero chiedere ogni volta l’autorizzazione dell’assemblea: c’è quindi un’autorizzazione una tantum che gli autorizzi al trading delle azioni proprie.

Ci sono conseguenze che riguardano i diritti: come ad esempio i diritti ai dividendi. I diritti sociali relative alle azioni proprie sono sterilizzati.

Il diritto agli utili è attribuito proporzionalmente alle altre azioni.

Riguarda anche il diritto di opzione ovvero il diritto che dà al titolare d’essere preferito in caso di aumento di capitale. Mentre sul diritto agli utili non c’è problema, con quello di opzione è prevista una deroga: il diritto di opzione è attribuito proporzionalmente, ma l’assemblea deve autorizzare l’esercizio totale o parziale del diritto di opzione. Le azioni proprie, ordinariamente, possono non dare diritto di opzione, ma può essere autorizzato l’esercizio parziale o totale del diritto di opzione. La società infatti deve liberare subito e interamente le azioni sottoscritte.Certamente, in questo caso, non c’è nessuno che conferisce: vero è che tale operazione è possibile solo qualora vi siano utili e riserve disponibili in misure sufficiente; l’operazione diventa un aumento del capitale: è un operazione che può lasciare qualche perplessità.

Uno dei pericoli che si corrono con l’acquisto delle azioni proprie consta nel fatto che gli amministratori potrebbero rendersi indipendenti dall’assembla: una cosa è quando l’amministratore con proprie risorse acquista azioni, altra cosa è che utilizzi denaro della società attraverso l’acquisto delle azioni proprie. Per tutto il tempo in cui le azioni restano nel patrimonio della società, il diritto di voto è sospeso: è solo una sospensione nel diritto di voto, che altrimenti c’è. Il voto è sospeso, ma le azioni proprie continuano ad essere computare nel capitale al fine di stabilire il quorum costitutivo e deliberativo dell’assemblea: di conseguenza, è più difficile arrivare al quorum, è più complicato raggiungerlo.

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Autorizzazione dell’assemblea

I diritti delle azioni proprie

In definitiva, il diritto agli utili è attribuito proporzionalmente alle altre azioni; lo stesso vale per il diritto di opzione (con autorizzazione dell’assemblea); il diritto di voto è sospeso, ma le azioni sono computate nel quorum.Se c’è un aumento gratuito del capitale, a questa operazione partecipa anche la società con le sue azioni.

Ulteriore conseguenza del possesso di azioni proprie è che per tutto il tempo che le azioni proprie restano in proprietà della società deve essere mantenuta e costituita una riserva indisponibile pari all’importo delle azioni proprie iscritte all’attivo del bilancio.Anche le azioni proprie vanno iscritte all’attivo del bilancio, ma a differenza di una normale riserva di pari importo al valore di iscrizione all’attivo, tale riserva deve essere costituita e mantenuta per tutto il tempo del possesso azionario. E’ difficile considerarla una riserva, ma, per definizione, è sempre qualcosa che può essere aggredito dalle parti: in questo caso però la riserva non può essere toccata dalle perdite perché la riserva deve essere mantenuta finché le azioni sono nel portafoglio (verranno prima erose le altre riserve ed eventualmente il capitale sociale).In realtà è una posta rettificativa dell’attivo, secondo i più. Ma il bilancio ha una funzione informativa che deve essere garantita e l’informazione è importante che venga data soci e terzi.

Va corretta al passivo per evitare di rappresentare due volte lo stesso patrimonio dell’attivo. Le azioni proprie esprimono una parte idea del patrimonio che è già rappresentato per le stesse voci. Se non correggessi al passivo questa voce si avrebbe una duplicazione dei valori dell’attivo anche se la partecipazione ha un suo valore.

3.22 Il divieto di sottoscrizione delle azioni proprie

Art. 2357-quater. Divieto di sottoscrizione delle proprie azioni.

1. Salvo quanto previsto dall'articolo 2357-ter, secondo comma, la società non può sottoscrivere azioni proprie.2. Le azioni sottoscritte in violazione del divieto stabilito nel precedente comma si intendono sottoscritte e devono essere liberate dai promotori e dai soci fondatori o, in caso di aumento del capitale sociale, dagli amministratori. La presente disposizione non si applica a chi dimostri di essere esente da colpa.3. Chiunque abbia sottoscritto in nome proprio, ma per conto della società, azioni di quest'ultima è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Della liberazione delle azioni rispondono solidalmente, a meno che dimostrino di essere esenti da colpa, i promotori, i soci fondatori e, nel caso di aumento del capitale sociale, gli amministratori.

In conclusione, a parte il caso eccezionale per cui l’assemblea può consentire agli amministratori di esercitare il diritto di opzione sulle azioni proprie: la regola generale è il divieto di sottoscrivere proprie azioni. Il divieto ha carattere assoluto e soffre una sola parziale deroga per l’esercizio del diritto di opzione sulle azioni proprie detenute dalla società. Salvo tale deroga, quindi, il divieto opera sia in sede di costituzione della società, sia in sede di aumento del capitale sociale.Salvo quanto previsto dall’art. 2357 ter, la società non può sottoscrivere azioni proprie: si creerebbe capitale nominale contro il quale non ci sarebbe conferimento (dato che la società diverrebbe creditrice per i conferimenti propri). Prima, l’operazione si giustificava perché c’è un passaggio di riserve a capitale.Se invece la società sottoscrive azioni proprie, senza già averne (azioni proprie), vi sarebbe capitale fittizio. Tale divieto colpisce sia la sottoscrizione diretta (compiuta cioè in nome della società), sia la sottoscrizione indiretta (compiuta cioè da terzi in nome proprio ma per conto della società)

Ma in caso di violazione del divieto di sottoscrizione diretta, la legge a fronte di una norma imperativa non stabilisce la nullità dell’azione, ma l’art. 2357 quater c.2 stabilisce che le azioni sottoscritte in violazione del divieto si intendono sottoscritte e devono essere liberate dai promotori, soci fondatori o, in caso di aumento del capitale sociale, dagli amministratori. Ovvero dai soggetti che hanno violato tale divieto: ciò al fine di consentire comunque

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La necessità di costituire una riserva disponibile

Sottoscrizione diretta

l’acquisizione dei relativi conferimenti.Gli amministratori, ad esempio, in caso di aumento, fanno sottoscrivere parte dell’aumento alla società: ma chi è responsabile e deve sottoscrivere le azioni sono gli amministratori, i quali risponderanno di eventuali danni provocati alla società.Questi soggetti diverranno quindi titolari a tutti gli effetti delle azioni sottoscritte in nome della società: a questa conseguenza può sottrarsi chi dimostri di essere esente da colpe.

In caso invece di violazione del divieto di sottoscrizione indiretta è il terzo che ha sottoscritto le azioni, in nome proprio ma per conto della società, che è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio, divenendo titolare delle azioni ed essendo obbligato ad effettuare i conferimenti.La probabilità di effettiva acquisizione dei conferimenti sono inoltre rafforzate per ciò che della liberazione delle azioni rispondono, solidalmente col terzo, anche i promotori e i soci fondatori, ovvero, in caso di aumento di capitale, anche gli amministratori della società, salvo non dimostrino di essere esenti da colpa (art. 2357-quater). Vale a dire, il solo debito di conferiemento, non la titolarità della azioni, è imputato ex lege a titolo di responsabilità per colpa anche ai soggetti che presumibilmente contribuiscono col terzo alla violazione del divieto.

3.23 Altre operazioni

C’è una sorta di sostituzione soggettiva: applicazione simile si trova allo stesso modo per la sottoscrizione delle azioni della controllante effettuato dalla controllata.

Art. 2359-quinquies. Sottoscrizione di azioni o quote della società controllante.

1. La società controllata non può sottoscrivere azioni o quote della società controllante.2. Le azioni o quote sottoscritte in violazione del comma precedente si intendono sottoscritte e devono essere liberate dagli amministratori, che non dimostrino di essere esenti da colpa.3. Chiunque abbia sottoscritto in nome proprio, ma per conto della società controllata, azioni o quote della società controllante è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Della liberazione delle azioni o quote rispondono solidalmente gli amministratori della società controllata che non dimostrino di essere esenti da colpa.

Art. 2359 quinquies: la società controllata non può sottoscrivere azioni o quote della controllante: viene considerata un’operazione di annacquamento del capitale. La sanzione non è la nullità, ma le azioni o quote devono essere sottoscritte e liberate dagli amministratori della controllante, salvo non dimostrino di essere esenti da colpa.Entrambe le operazioni sono vietate, “ma se vengono fatte, rimangono fatte e si sostituiscono il soggetto che si sottoscrive”.Inoltre, si dice al terzo comma, che chiunque abbia sottoscritto in nome proprio, ma per conto della società controllata, azioni o quote della società controllante è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Della liberazione delle azioni o quote rispondono solidalmente gli amministratori della società controllata che non dimostrino di essere esenti da colpa.

La società può sottoscrivere solo quando ha già azioni proprie o senza azioni proprie (in caso d’esercizio del diritto di opzione), con delibera autorizzativa. Il divieto di sottoscrizione vale quando la società non possiede azioni proprie.Come non è mai possibile che la controllata può sottoscrivere azioni della controllante, anche se per ipotesi ne detenesse già.

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Sottoscrizione indiretta

Divieto di sottoscrizioni di azioni in controllate

Articolo 2358. (c.1 e 2)Altre operazioni sulle proprie azioni.

1. La societa' non puo', direttamente o indirettamente, accordare prestiti, ne' fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, se non alle condizioni previste dal presente articolo.2. Tali operazioni sono preventivamente autorizzate dall'assemblea straordinaria.3. Gli amministratori della societa' predispongono una relazione che illustri, sotto il profilo giuridico ed economico, l'operazione, descrivendone le condizioni, evidenziando le ragioni e gli obiettivi imprenditoriali che la giustificano, lo specifico interesse che l'operazione presenta per la societa', i rischi che essa comporta per la liquidita' e la solvibilita' della societa' ed indicando il prezzo al quale il terzo acquisira' le azioni. Nella relazione gli amministratori attestano altresi' che l'operazione ha luogo a condizioni di mercato, in particolare per quanto riguarda le garanzie prestate e il tasso di interesse praticato per il rimborso del finanziamento, e che il merito di credito della controparte e' stato debitamente valutato. La relazione e' depositata presso la sede della societa' durante i trenta giorni che precedono l'assemblea. Il verbale dell'assemblea, corredato dalla relazione degli amministratori, e' depositato entro trenta giorni per l'iscrizione nel registro delle imprese.4. In deroga all'articolo 2357-ter, quando le somme o le garanzie fornite ai sensi del presente articolo sono utilizzate per l'acquisto di azioni detenute dalla societa' ai sensi dell'articolo 2357 e 2357-bis l'assemblea straordinaria autorizza gli amministratori a disporre di tali azioni con la delibera di cui al secondo comma. Il prezzo di acquisto delle azioni e' determinato secondo i criteri di cui all'articolo 2437-ter, secondo comma. 5. Nel caso di azioni negoziate in un mercato regolamentato il prezzo di acquisto e' pari almeno al prezzo medio ponderato al quale le azioni sono state negoziate nei sei mesi che precedono la pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea.6. Qualora la societa' accordi prestiti o fornisca garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni proprie a singoli amministratori della societa' o della controllante o alla stessa controllante ovvero a terzi che agiscono in nome proprio e per conto dei predetti soggetti, la relazione di cui al terzo comma attesta altresi' che l'operazione realizza al meglio l'interesse della societa'.7. L'importo complessivo delle somme impiegate e delle garanzie fornite ai sensi del presente articolo non puo' eccedere il limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato, tenuto conto anche dell'eventuale acquisto di proprie azioni ai sensi dell'articolo 2357. Una riserva indisponibile pari all'importo complessivo delle somme impiegate e delle garanzie fornite e' iscritta al passivo del bilancio.8. La societa' non puo', neppure per tramite di societa' fiduciaria, o per interposta persona, accettare azioni proprie in garanzia.9. Salvo quanto previsto dal comma sesto, le disposizioni del presente articolo non si applicano alle operazioni effettuate per favorire l'acquisto di azioni da parte di dipendenti della societa' o di quelli di societa' controllanti o controllate.10. Resta salvo quanto previsto dagli articoli 2391-bis e 2501-bis.

Fino al 2008 la legge vietava alla società di fare una serie di operazioni in relazione alle azioni proprie, come, ad esempio, accordare prestiti o fornire garanzie (come una fideiussione) per la sottoscrizione delle azioni proprie a un soggetto che aveva intenzione di acquistare azioni proprie della propria società. In passato, tali operazioni erano consentite solo quando venivano concessi prestiti o fornite garanzie perché questi sottoscrivessero proprie azioni. Con il 2008, l’art. 2358, che vietata queste operazioni, è stato stravolto.

La legge all’art. 2358, comma 1 dice che è vietato concedere prestiti o fornire garanzie di qualsiasi tipo per la sottoscrizione di azioni proprie, se non alle condizioni previste nei successivi commi (con tutte le deroghe). Si vuole evitare che gli amministratori e/o il gruppo di comando provochino, con denaro della società, mutamenti nella composizione della compagine azionaria finalizzata ad accrescere le loro posizioni di potere.

Al secondo comma si prevede poi che queste operazioni devono essere autorizzate dall’assemblea straordinaria. In tal caso la legge prevede che l’autorizzazione deve provenire dall’assemblea straordinaria (con quorum più rafforzati): si tratta sempre di autorizzazione, mentre la decisione rimane agli amministratori.La legge anche per queste operazioni richiede l’autorizzazione assembleare: a differenza dall’art. 2357, deve essere data dall’assemblea in sede straordinaria.

Gli amministratori devono poi redigere una relazione descrivendone l’operazione ed individuando gli obiettivi che la giustificano, l’impatto finanziario sul patrimonio della società e qual’è l’interesse sociale che attraverso questa operazione si intende realizzare. In particolare, la relazione deve descrivere “le condizioni, evidenziando le ragioni e gli obiettivi imprenditoriali che la

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Prestiti e garanzie

Autorizzazione dell’assemblea

La relazione degli amministratori

giustificano, lo specifico interesse che l'operazione presenta per la societa', i rischi che essa comporta per la liquidita' e la solvibilita' della societa' ed indicando il prezzo al quale il terzo acquisira' le azioni”. Gli amministratori devono giustificare o motivare perché si forniscono garanzie o prestiti in cambio dell’acquisto di azioni, dando conto dell’interesse sociale che si persegue.Non solo, l’articolo continua, essi devono anche attestare che l’operazione ha luogo a condizioni di mercato. Sono condizioni che gli amministratori devono valutare prima di accordare prestiti o finire garanzie.

Inoltre, nel caso in cui la società accordi prestiti o fornisca garanzie per l’acquisto di azioni proprie nei confronti di amministratori della società o della controllante o di controllate (o di terzi che agiscano in nome proprio e per conto di essi), si prevede che la relazione degli amministratori non solo deve giustificare che c’è un interesse sociale, ma anche che l’operazione realizza “al meglio” interesse sociale: l’operazione deve avere una particolare convenienza per la società (comma 6).

Tale relazione deve essere depositata nei trenta giorni che precedono l’assemblea. Questo fa si che il termine sia maggiore per quello di convocazione dell’assemblea. Per cui si ritiene che per queste operazioni, anche il termine per la convocazione dei soci diventi di 30 giorni.Se lo scopo è far si che i soci ne prendano visione, bisogna che siano avvisati della convocazione con analogo termine.Inoltre, il verbale dell’assemblea deve essere depositato presso il Registro delle imprese entro 30 giorni.

La legge prevede un’ulteriore operazione consentita. Al quarto comma si disciplina l’ipotesi in cui l’operazione sia effettuata con oggetto azioni proprie già in possesso della società: questa è un’operazione considerata meno pericolosa e meno desiderata. La legge contempla rischi minori perché sul piano del patrimonio della società, è un operazione neutra. Ci vuole pur sempre un’autorizzazione dell’assemblea e il prezzo d’acquisto di tali azioni deve essere determinato secondo i criteri e i paramenti che la legge prevede per la liquidazione del socio che abbia receduto dalla società (art. 2437 ter).La legge favorisce tale operazione, perché con tale operazione la società si disfa di azioni proprie.

Siamo di fonte ad un limite stabilito dalla legge per l’esercizio dei poteri degli amministratori. Se l’autorizzazione assembleare è un limite, la mancanza dell’autorizzazione assembleare dovrebbe comportare l’inefficacia dell’atto nei confronti del terzo: si ritiene che i limiti legali ai poteri degli amministratori siano opponibili ai terzi. Si ritiene che il terzo non poteva ignorare tali limiti.

Nel caso manchi la presentazione o il deposito della relazione illustrativa, ciò comporta la possibilità che sia annullata la delibera di autorizzazione.

La legge ritiene che non sia possibile per la società accettare azioni proprie in garanzia: qui l’operazione è speculare (è consentito fornire garanzie per l’acquisto da parte di terzi di azioni proprie della società): in tal caso invece la società che concede un prestito a qualcuno chiede una garanzia. Non è consentito che la garanzia sia data da azioni proprie della società. Questa è un operazione che non è consentita e si ritiene sia nulla (comma 8)

Rimane l’esenzione per il caso in cui l’operazione sia finalizzata a favore l’acquisto di azioni della società da parte dei dipendenti diretti della società o di quelli della controllante o della controllata (comma 9).In tal caso la norma consente non solo la concessione di prestiti o di garanzia, ma anche l’accettazione di prestiti in garanzia, in ossequio ad operazioni che tendono a favorire l’azionariato dei dipendenti.

Si è molto discusso se questo divieto di concedere prestiti o fornire garanzie dovesse essere un segnale di illegittimità di una certa operazione economica che si ritrova spesso, ovvero del lavarage byout = nella sua configurazione più semplice, è un operazione per cui ci sono soggetti che tentano d’aggredire una società per acquisirne il controllo (sono spesso amministratori o terzi): questi costituiscono una newco con un ridotto capitale, al quale va da un finanziatore a chiedere un prestito. Quando la newco avrà acquisito il controllo, le due società saranno fuse e la

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Deroga sulle azioni proprie detenute della società

Sanzione per la mancata autorizzazione o relazione

Prestiti e garanzie in favore di amministratori

Divieto di accettare azioni proprie in garanzia

Esenzione in favore dei dipendenti

Lavarage byout

Termini

garanzia della restituzione del prestito è dato dal patrimonio della società bersaglio. In questo modo non ho garanzie da offrire alla banca.Prima della riforma alcuni dubitavano che dal punto di vista giuridico fosse vietata ex art. 2358: è un modo con cui una società offre garanzie a terzi per offrire un finanziamento. E’ il patrimonio che viene usato come garanzia. In realtà, alcune sentenze del Tribunale di Milano sanciscono che se l’operazione portasse benefici sul piano economico, insieme alla dottrina, tende a permettere tali operazione.

La riforma, inoltre, ha introdotto una norma ex 2301 bis “Fusione per incorporazione”. In seguito, inoltre, vi sono state altre modifiche dell’art. 2358 dati derivanti dalle direttive europee.Oggi si può dire certamente che operazioni di questo tipo sono lecite nel nostro sistema con determinati limiti.

Con questa riforma della seconda direttiva comunitaria che, da un lato ha consentito di valutare i conferimenti in natura con metodi tradizionali di minor rigore e dall’altro ha consentito operazioni di questo tipo, assistiamo ad un ridimensionamento della tutela della certezza del capitale e la garanzia della sua conservazione. Il disegno ha come sbocco finale l’eliminazione del capitale sociale minimo e di una verifica periodica continua del capitale: la tutela dei creditori è affidata ad altri parametri.

Art. 2360. Divieto di sottoscrizione reciproca di azioni.

1. È vietato alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.

Oggi è vietato comunque e sempre che due società sottoscrivano reciprocamente azioni. Con un’operazione simile, il patrimonio complessivo delle due società non muta, nonostante sia aumentato il capitale nominale di entrambe: è una tecnica per creare capitale fittizio.

Anche qui la legge non prevede una sanzione per la violazione di questo divieto, e l’unica conseguenza non può che essere la nullità delle reciproche operazioni. Non ci sono deroghe al divieto assoluto.

Art. 2361. Partecipazioni.

1. L'assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente nello statuto, non è consentita, se per la misura e per l'oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale determinato dallo statuto.2. L'assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime deve essere deliberata dall'assemblea; di tali partecipazioni gli amministratori danno specifica informazione nella nota integrativa del bilancio.

La società può anche acquisire partecipazioni in altre società o in altre imprese.Prima della riforma, c’era una norma che si limitava a dire che l’assunzione di partecipazioni era (ed è rimasta) vietata quando per misura ed oggetto della partecipazione, ne risulta sostanzialmente modificato l’oggetto sociale determinato dallo statuto.

Dopo la riforma, si è aggiunto un secondo comma: l’assunzione di partecipazioni di altre imprese che comporti una responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali che si acquista deve essere deliberata dall’assemblea e di tali informazioni deve essere data informazioni nella nota integrativa del bilancio.

L’art 2361, quindi, disciplina due ipotesi:1) il limite alla possibilità della società di assumere partecipazioni in un altra, ed in seguito a tale

operazione, per natura ed entità della partecipazioni non ne risulti modificato l’oggetto sociale, elemento molto importante per una società di capitale.

La modifica dell’oggetto sociale implica il diritto di recesso del socio della società: si potrebbe aggirare la tutela data dall’aumento del quorum deliberativo o dal recesso del socio, non facendo la deliberazione di modifica dell’oggetto sociale, ma acquisendo un altra società che possa mutare l’oggetto sociale o il rischio che ne deriva. Il rischio è corso dalla società acquisita. La legge

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Divieto di sottoscrizione reciproca di azioni

Modifica dell’oggetto sociale

Assunzione di partecipazioni

inoltre precisa che deve trattarsi di un operazione che per la misura e natura l’oggetto sociale è modificato in modo sostanziale: tali operazioni sono vietate.

Questo limite non riguarda tutte le società (se la società è una finanziaria il limite non si applica); come non si applica se lo statuto non consenta l’acquisizione un’altra società.

La valutazione del superamento o meno del limite è discrezionale e comporta valutazioni di merito. In caso di violazione del divieto non è prevista una nullità dell’operazione d’acquisto, ma una responsabilità degli amministratori per tutti i danni derivanti da essa. Si ritiene quindi dai più che l’acquisizione rimanga valida, ma che comporti responsabilità degli amministratori.

2) La seconda operazione: prima della riforma vi era un orientamento forte nella giurisprudenza che considerava vietata l’acquisizione da parte di una spa di una partecipazione in un’altra società che comportasse per la spa i rischi propri della società che si andava a partecipare. Le uniche partecipazioni che si potevano assumere erano in altre società di capitali, mai in società di persone. Questo perché si riteneva venisse meno la responsabilità limitata derivante dalla forma giuridica della spa: ciò non vero perché la spa rispondeva illimitatamente con il limite del patrimonio della società stessa, non dei soci. Inoltre la Cassazione diceva che nella società di persone ci sono meno garanzie e, di conseguenza, ne risulterebbe annacquata la disciplina prevista per la società di capitali. La Cassazione considerava vietata anche la spa che diventata accomandante.

Il legislatore è intervenuto e ha sancito la liceità di queste operazioni, seppure con l’obbligo che siano deliberate dall’assemblea e che di tale operazioni sia data informazione nella nota integrativa del bilancio. La legge usa in tal caso il termine “approvazione”, non autorizzazione: i più ritengono che per “approvazione” si intende “autorizzazione”, sempre in virtù del principio per cui gli atti di gestione siano di competenza dell’organo amministrativo.

3.24 Il socio unico nella Spa

Prima della riforma, non era possibile possibile costituire una società per azioni con un unico socio. Con la riforma anche la spa, come la srl, possono costituirsi anche tramite atto unilaterale. L’unica possibilità, prima della riforma, era la situazione in cui una società finisse per avere un unico socio.Nelle società di persone quando viene meno l’ultimo socio, l’unica possibilità trovare in sei mesi un altro socio, pena lo scioglimento della società. Nella società di persone non è possibile la continuazione di una società con un solo socio.Prima della riforma, per la spa invece era possibile continuare una società con un socio unico, ma nella spa l’unico azionista in caso di insolvenza della società rispondeva illimitatamente per le obbligazioni della società sorte mentre era unico socio.

Con la riforma è divenuto possibile costituire una spa con atto unilaterale: inoltre l’unico socio non incorre nella responsabilità limitata, nel rispetto di determinate condizioni.

Stabilire la disciplina complessiva è complicato, in quanto essa è sparpagliata in varie norme:- art. 2325: prima norma in tema di spa: al comma 2, si aggiunge che “in caso di insolvenza della

societa', per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni sono appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall'articolo 2342 o fin quando non sia stata attuata la pubblicita' prescritta dall'articolo 2362”

- art. 2331: gli effetti delle iscrizione della società per azioni nel registro delle imprese;- art. 2342: in tema di conferimenti, nel c. 2 si stabilisce che alla sottoscrizione dell’atto

costitutivo, se viene costitutiva con atto unilaterale, deve essere versato il 100% del conferimento in denaro.

- al c. 4, continua, si prevede che quando viene meno la pluralità dei soci durante la vita della società, se ci sono ancora versamenti dovuti, questi devono essere versati entro 90 giorni.

- l’ultima norma è l’art. 2362 dove si stabilisce gli adempimenti e le regole che si devono seguire anche qualora le azioni siano di una persona sola.

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Partecipazione che comporti responsabilità illimitata

Limiti

Violazione della norma

Disciplina pre riforma

Disciplina attuale

L’unicità del socio: in senso formale o sostanziale? Magari un unico soggetto ha 999 azioni e l’altra un suo parente. Ci sono scuole diverse, la posizione maggioritaria è che sia da considerare la condizione formale: la responsabilità eventuale personale del socio è un fatto del tutto eccezionale e quindi le norme eccezionali vanno interpretate dal punto di vista restrittivo e non ammettono interpretazioni analogiche.Il dato deve essere formale. Anche se c’è un azione intestata a qualcun altro, essa non fa scattare la disciplina del socio unico.

Prima della riforma si discuteva se il socio unico di una spa dovesse fallire anche lui personalmente. Nel caso di società con responsabilità illimitata, il fallimento della società comporta in automatico anche il fallimento automatico dei soci in responsabilità illimitata.Oggi la nuova formulazione dell’art. 147 della legge fallimentare ci chiarisce che tale previsione vale solo nel caso del fallimento di società che istituzionalmente hanno uno o più soci a responsabilità illimitata: non vale nel caso in cui non ci sono soci a responsabilità illimitata.La responsabilità illimitata è solo una sanzione in caso di violazione di certe regole. Oggi è certo che pure un socio unico di spa (limitatamente responsabile) non fallisce insieme alla società, qualora sia dichiarata fallita.

Adempimenti che riguardano obblighi di tipo pubblicitario

Art. 2362. Unico azionista.

1. Quando le azioni risultano appartenere ad una sola persona o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio.2. Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel registro delle imprese.3. L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.4. Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti commi devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di iscrizione.5. I contratti della società con l'unico socio o le operazioni a favore dell'unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.

Secondo l’art. 2362, per consentire l’agevole identificazione dell’unico socio, quando muta la persona di un unico socio, gli amministratori devono depositare presso il Registro delle imprese una dichiarazione contente cognome e nome (“della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio”): deve essere identificato l’unico socio e tale dichiarazione deve essere nota a tutti attraverso la diffusione di questi dati al Registro delle imprese.

Analoga comunicazione va data quando si costituisca (in caso di unipersonalità originaria) o si ricostituisca la pluralità di soci.

Tale pubblicità dovrebbe essere fatta dagli amministratori, ma può provvedervi anche l’unico socio (o la pluralità ricostituita).Questi dati vanno anche trascritti nel libro soci.

Se si costituisce una spa con un unico socio non c’è bisogno di procedere con questi adempimenti. Già l’atto di costituzione è oggetto di pubblicità nel registro delle imprese: semmai l’unico onere si produce quando è necessario depositare una dichiarazione che attesti il passaggio da una situazione di unico socio a pluralità di soci.

Inoltre, per consentire ai terzi di conoscere agevolmente se la società è unipersonale, negli atti e nella corrispondenza (ma non nella denominazione sociale) della società deve essere indicato se questa ha un socio unico (art. 2250, c. 4).

Inoltre, i contratti intercorsi fra una società e socio unico o comunque le operazioni in favore del socio unico (ad esempio, il rilascio di una fideiussione) sono opponibili ai creditori della società, solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o

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Unicità del socio formale e sostanziale

Mutamento della persona del socio e ricostruzione della pluralità

Contratti fra società e socio unico

Menzione negli atti e nella corrispondenza

da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento (art. 2362, c. 5). La situazione è delicata. La struttura organizzativa della spa con socio unico rimane quella tradizionale.Si potrebbero fare delle operazioni che depauperano il patrimonio dei creditori. La legge non vieta le operazioni fra il socio unico e società e rimangono validi i contratti conclusi fra società e socio unico, ma questi atti, pur validi, sono opponibili ai terzi solo se di questi si da una certa forma:- tali contratti sono opponibili ai creditori solo se risultano dal libro delle adunanze e delle

deliberazioni del Consiglio di amministrazione;- o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento. La legge immagina un creditore che

cerca di pignorare i beni della società e non trova un cespite perché è stato venduto. Tale atto deve avere data certa. Queste operazioni sono anche opponibili ai creditori sociali.

In mancanza di data certa o se non risultassero da libro soci o atto scritto, tali contratti sono inopponibili e nei confronti dei creditori sociali non sono efficaci, se non si è provvisto con gli adempimenti dovuti.

Adempimenti relativi ai conferimenti

Art. 2342Conferimenti

1. Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro.2. Alla sottoscrizione dell'atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare.3. Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le azioni corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione.4. Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati entro novanta giorni. Non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi.

Gli obblighi sono due:- vige un obbligo di conferimento integrale in denaro all’atto della sottoscrizione;- un obbligo di completare il versamento entro 90 giorni quando, durante la vita della società,

venga meno la pluralità di soci: l’unico socio a tal punto deve completare i versamenti ancora dovuti.

Non è chiaro da che momento decorrono i 90 giorni previsti, forse dall’iscrizione nel libro soci dell’unico socio.

Violazione degli obblighi di pubblicità o di conferimento

L’eventuale responsabilità limitata dell’unico socio si riflette normalmente come nella pluralità di soci. Tuttavia se la società diviene insolvente e se vi è la violazione degli art. 2342 o 2362, scatta la responsabilità illimitata del socio. Le due eccezioni sono infatti:

1) per gli obblighi di pubblicità previsti dall’art. 2362, si dice che l’unico socio risponde illimitatamente fino a quando non sia stata effettuata la pubblicità prevista dall’art. 2362. C’è una responsabilità limitata che viene meno per effetto di un mancato adempimento degli obblighi pubblicitari, seppur tardivi.Se si adempie scaduto il termine, la conseguenza è che per le obbligazioni sorte nel periodo precedente rimane la responsabilità illimitata, mentre continua la responsabilità limitata per il periodo successivo. L’adempimento tardivo è sufficiente a recuperare la responsabilità limitata solo per il futuro.

2) Mentre gli obblighi connessi ai conferimenti ex art. 2342, si determinano una situazione di responsabilità limitata nel caso di mancata liberazione integrale dei conferimenti in denaro. Il termine che la legge concede nei 30 gironi.

In entrambi i casi però la responsabilità illimitata dell’unico azionista ha carattere sussidiario, in quanto può essere fatta valere dai creditori solo in caso di insolvenza della società ovvero solo dopo che sia stato infruttuosamente escusso il patrimonio sociale o comunque risulti oggettivamente l’insufficienza dello stesso (la formula rimane ambigua).Inoltre la responsabilità illimitata viene meno per le obbligazioni sociali sorte dopo che i conferimenti siano stati eseguiti o dopo che la pubblicità sia stata effettuata.

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Conferimenti in denaro e obblighi di versamento

Responsabilità illimitata in caso di violazione degli obblighi

Ancora, per le operazioni compiute prima della costituzione (iscrizione nel Registro delle imprese), per tali operazioni rispondono in generale coloro che hanno agito in nome e per conto della società, ma, in più, se c’è socio unico risponde anch’esso in solido con quest’ultimi. E’ una responsabilità da posizione, non da inadempimento.

3.25 Il controllo di una societàArt. 2359.

Società controllate e società collegate.1. Sono considerate società controllate:1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.2. Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi.3. Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

Non c’è coincidenza nella situazione di controllo. Il gruppo presuppone che chi ha il controllo svolga un’attività di direzione unitaria all’interno di una società. Una norma dice che quando c’è una situazione di controllo: questo fa presumere in capo alla controllante lo svolgimento un attività di direzione e coordinamento. C’è una presunzione, un inversione dell’onere dalla prova: è al società che deve dimostrare di non svolgere tale attività. Sono due cose diverse. Normalmente alla base del gruppo c’è una situazione di controllo.

Una società è controllata da un altra secondo tre fattispecie di controllo:1) sono controllate le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti (non del

capitale, potrebbero esserci azioni senza diritto di voto ad esempio) esercitabili in assemblea straordinaria: è il controllo di diritto. Il controllante può approvare il bilancio e nomina gli amministratori. Se il 50% del capitale è azioni senza diritto di voto, basta avere il 25% del capitale più un azione con diritto di voto per avere il controllo.

2) seconda fattispecie è il controllo di fatto: si realizza quando si dispone di voti sufficienti per esercitare un influenza dominante nell’assemblea ordinaria. Non c’è un controllo di diritto, ma per varie ragioni, ad esempio in presenza di capitale polverizzato, per dominare la gestione è sufficiente avere una quota minoritaria. In questo caso il capitale di fatto si accerta è in grado di far passare le sue posizioni per effetto della polverizzazione. Inoltre deve esserci la maggioranza della azioni presenti.

3) terza ipotesi, è quando la società è sotto l’influenza dominante di un’altra in virtù di particolari vincoli contrattuali che rende l’una soggiogata all’altra. In Germania la legge riferimento ai contratti di dominazione: è lecito che una società si sottometta volontariamente per contratto alla direzione di un’altra società. In Italia invece è un’operazione illecita. L’ipotesi è diversa: l’una dipenda per le sue fortune dall’altra, magari perché dipende dall’indotto: formalmente sono entità indipendenti ma di fatto sono dipendenti, magari perché lavora in esclusiva.

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La presunzione relativa

Controllo di diritto, di fatto e per vincoli contrattuali

Operazioni compiute prima della costituzione

Capitolo IVLE OBBLIGAZIONI

Prestito obbligazionario: tipico strumento di raccolta di massa del capitale di credito, a differenza delle azioni che sono lo strumento tipico del capitale di rischio. Capitale di rischio e quindi rischio di impresa: essendo che chi investe rischia il capitale, il rischio del capitale di credito, tipico di qualsiasi creditore, è dell’insolvenza del debitore, debito che dovrebbe prescindere dall’andamento economico della società creditrice.

Il prestito obbligazionario è un istituto riservato unicamente alle società azionarie. Le Srl non possono emettere obbligazioni, anche se dopo la riforma si sono accentuate altre differenze, ma su questo versante si assiste ad avvicinamento: è vero che rimane il divieto per le società a responsabilità limitata di emettere obbligazioni, ma contestualmente la legge introduce un nuovo istituto tipico, e cioè i titoli di debito che consentono anche alle Srl di raccogliere tra il pubblico capitale di rischio.

Si definiscono le obbligazioni come titoli di credito (nominativi o al portatore) che rappresentano frazioni di uguale valore nominale e con uguali diritti di un’unitaria operazione di finanziamento a titolo di mutuo.Le obbligazioni sono un tipico strumento di raccolta di massa del capitale di credito. La tipicità di questo strumento è data dal fatto che sia una raccolta di massa, cioè il prestito obbligazionario viene visto economicamente come operazione unica, ma si fraziona in un numero x di titoli: il credito verso la società è rappresentato da un titolo al portatore o nominativo.I titoli obbligazionari documentano quindi un credito verso la società.È un prestito di massa perché il prestito obbligazionario di 1 milione di euro è suddiviso in 100mila obbligazioni da 10euro ciascuna: c’è un’unica operazione economica. L’operazione sottostante è un mutuo che viene frazionato dal creditore in numero x di titoli.Il prestito viene fatto alla società con alcune varianti viene frazionato in un numero x di titoli.

L’obbligazione ed attribuisce al suo titolare a qualità di creditore, diversamente dall’azione che attribuisce al suo titolare la qualità di socio e quindi di partecipare ai risultati dell’attività d’impresa. L’obbligazionista ha invece diritto ad una remunerazione periodica fissa (interessi), normalmente svincolata dall’andamento economico della società; inoltre, ha diritto al rimborso del valore nominale del capitale prestato alla scadenza pattuita; l’azionista ha invece tale diritto solo in sede di liquidazione della società, sempre vi sia un residuo attivo netto dopo che siano stati soddisfatti tutti i creditori, compresi gli obbligazionisti; quota di liquidazione che potrebbe essere uguale, superiore o inferiore al suo valore nominale.

Il prestito obbligazionario è stato molto spinto dalla riforma: tradizionalmente c’era un limite molto rigido al quantum della delibera di emissione di prestiti obbligazionari. Oggi invece c’è un limite all’emissione che è più permissivo rispetto al passato. La competenza a decidere sull’emissione, tipicamente riservato all’assemblea straordinaria, è invece passata all’organo di gestione. “Competenza naturale dell’organo amministrativo” perché prevista dalla legge, salvo diversa disposizione dello statuto.Infine, vi è stato un esplicito riconoscimento della piena legittimità di alcuni tipi speciali di obbligazioni, indicizzate e subordinate, di cui in passato di dubitava quanto alla legittimità della loro emissione.

La disciplina delle obbligazioni ex art. 2410-2420 ter.

4.1 L’emissione delle obbligazioniArt. 2410. Emissione.

1. Se la legge o lo statuto non dispongono diversamente, l'emissione di obbligazioni è deliberata dagli amministratori.2. In ogni caso la deliberazione di emissione deve risultare da verbale redatto da notaio ed è depositata ed iscritta a norma dell'articolo 2436.

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Introduzione

Nozione

Azioni ed obbligazioni

Se la legge o lo statuto non dispongono diversamente, l’emissione delle obbligazioni è deliberata dagli amministratori (art. 2410). Con la riforma, cessa quindi di essere materia di competenza dell’assemblea straordinaria.Prima della riforma vi erano già delle deroghe settoriali, come nel settore bancario. L’art. 2410 e’ una norma dispositiva (= salva diversa disposizione). Già il TU Bancario del 1993 all’art. 12 disciplinava un’ipotesi diversa.L’art. 2420 bis infatti disciplina l’ipotesi delle obbligazioni convertibili in azioni: competenza a deliberare il prestito obbligazionario convertibile è riservata all’assemblea straordinaria, con l’unica possibile variante che la competenza può essere delegata agli amministratori, con precisi limiti quantitativi e di tempo.La decisione di emettere un prestito obbligazionario è un’operazione di gestione.

“salvo diversa disposizione”Il settore bancario è stato il primo settore che spostava agli amministratori la competenza, ma in tal caso non è possibile stabilire diversamente!

Se l’emissione di un prestito obbligazionario è un’attività di gestione, dobbiamo tenere presente e confrontare la disposizione dell’art. 2410 con la previsione dell’art. 2480 bis dettato in tema d’amministrazione, dove si ribadisce che la gestione è di competenza esclusiva degli amministratori. Se è così e, non si può derogare alla competenza esclusiva, secondo i più la “diversa disposizione” dello statuto non potrebbe spostare la competenza in capo all’assemblea ordinaria, se non nei limiti di un obbligo degli amministratori di ottenere un’autorizzazione all’emissione di un prestito: questo è sempre possibile.

Contemporaneamente, se si vuol mantenere un senso a questa disposizione ovvero “che si possa statuariamente prevedere una competenza diversa” l’unica possibilità è che lo statuto ritorni al regime pre riforma ovvero che sia competente l’assemblea straordinaria, parificando la decisione alle modifiche dello statuto.

“amministratori”Competenti sono gli “amministratori”: l’articolo ne parla genericamente. Ci si potrebbe chiedere se la competenza è collegiale o delegabile. Quando si prevede un’amministrazione pluripersonale, la legge prevede che più amministratori vadano a formare un collegio e che le decisioni vengano prese collegialmente. Al tempo stesso, quando vi sia un consiglio di amministrazione, è prevista la possibilità di delegare le funzioni dell’organo (collegiale) a singoli amministratori o a un comitato più ristretto. Non tutte le funzioni sono però delegabili, come, ad esempio, l’approvazione del progetto di bilancio d’esercizio, la cui approvazione deve essere collegiale.La decisione di emettere prestiti obbligazionari non è presente fra le materie non delegabili ex art. 2381, quindi non c’è motivo di escludere che tale decisione sia attribuita a singoli amministratori delagati o al comitato esecutivo.

Art. 2420-bis, c. 1 e 2Obbligazioni convertibili in azioni.

1. L'assemblea straordinaria può deliberare l'emissione di obbligazioni convertibili in azioni, determinando il rapporto di cambio e il periodo e le modalità della conversione. La deliberazione non può essere adottata se il capitale sociale non sia stato interamente versato.2. Contestualmente la società deve deliberare l'aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente alle azioni da attribuire in conversione. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del secondo, terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 2346.

Altro problema che si pone: la competenza per le obbligazioni convertibili rimane in capo all’assemblea straordinaria. Articoli 2410-2420 bis (norma eccezionale): qual’è la connessione fra questi articoli?Consideriamo la previsione dell’art. 2420 bis rappresenti una norma eccezionale che deroga alla norma generale dell’art. 2410 (le obbligazioni convertibili sono uno speciale tipo di obbligazioni che partecipano comunque alla disciplina generali sulle obbligazioni, salvo deroghe).Le obbligazioni convertibili hanno in se di speciale che consentono a chi ne è titolare, in certi margini di tempo, di decidere di convertire quel titolo in azioni della società, tramutando un credito in un conferimento (da capitale di credito a capitale di rischio): è un opzione.

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Competenza

“salvo diversa disposizione”: le deroghe

“amministratori”

La competenza per l’emissione delle obbligazioni convertibili

Ma la legge per garantire questa facoltà di conversione prevede che obbligatoriamente quando si deliberi un’emissione di prestito obbligazionario convertibile, venga deliberato anche un aumento di capitale al servizio di coloro fra gli obbligazionisti convertibili vogliano convertire le obbligazioni in azioni, affinché vi siano azioni disponibili. Quindi l’emissione delle obbligazioni convertibili è accompagnata da una delibera di modifica dello statuto (per procedere con l’aumento del capitale): per questo motivo si è mantenuta la competenza all’assemblea straordinaria.

Per tutti gli altri tipi di obbligazioni, la competenza torna all’organo amministrativo.

Pur non essendo una modifica statutaria, l’emissione di un prestito obbligazionario (tale possibilità esiste per legge, non occorre che lo statuto preveda questa possibilità), la legge, forse per la delicatezza dell’operazione, prevede al c.2 dell’art. 2410 che qualsiasi sia la competenza (organo amministrativo o assemblea straordinaria disposta per statuto), la delibera di emissione di un prestito obbligazionario deve risultare dal verbale redatto dal notaio ed è soggetto al controllo di legalità da parte dello stesso; inoltre, si deve seguire il procedimento di deposito ed iscrizione del Registro delle imprese, tipico del procedimento di modifica statutaria. Essa produce effetti e può essere eseguita solo dopo l’iscrizione (art. 2410, c. 2).La delibera quindi è trattata come le delibere di modifica statutaria, e l’efficacia si ha solo con l’iscrizione nel Registro delle imprese: l’efficacia è dunque costitutiva.

Alla sottoscrizione dei titoli che possono essere nominativi o al portatore, essi devono contenere le informazioni previste dall’art. 2414.Il prezzo di emissione delle obbligazioni può essere inferiore al valore nominale, salvo che per le obbligazioni convertibili.

L’ammontare delle obbligazioni deve risultare da apposito libro delle obbligazioni (art. 2421, n. 2), ove devono essere annotati l’ammontare delle obbligazioni via via estinte, il cognome e il nome dei titolari delle obbligazioni nominative, i trasferimenti e i vincoli relativi alle stesse.

Tipi speciali di obbligazioni

Con la riforma vengono disciplinati tipi speciali di obbligazioni che prima della riforma non trovavano posto nella legge. L‘art. 2411, che impropriamente il legislatore rubrica come “diritti degli obbligazionisti”, stabilisce la disciplina delle speciali categorie di obbligazioni.

Art. 2411. Diritti degli obbligazionisti.

1. Il diritto degli obbligazionisti alla restituzione del capitale ed agli interessi può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società.2. I tempi e l'entità del pagamento degli interessi possono variare in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all'andamento economico della società.3. La disciplina della presente sezione si applica inoltre agli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l'entità del rimborso del capitale all'andamento economico della società.

Le obbligazioni hanno perso la caratteristica di contratto di mutuo ad interesse classico, perché sono diventate uno strumento finanziario, il cui contenuto può essere vario fino a toccare la soglia del capitale di rischio. Oggi si riconosce spazio a questi tipi, in particolare alle obbligazioni subordinate e indicizzate, che pur mantenendo la funzione di finanziamento, in qualche modo legano di più gli obbligazionisti al rischio di impresa.

Ciò che resta incompatibile con lo strumento obbligazionario è l’attribuzione al titolare delle obbligazioni di diritti di natura amministrativa; è l’unico limite: la partecipazione alle decisioni rimane incompatibile con lo strumento obbligazionario.

Sul piano dei diritti patrimoniali oggi è possibile un’amplissima gamma di opzioni.

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La competenza per altri tipi di obbligazioni

La forma, l’iscrizione e l’efficacia

Libro delle obbligazioni

Limite

4.2 Le obbligazioni subordinate

Il primo comma dell’art. 2411 dice che i diritti degli obbligazionisti possono essere in tutto o in parte subordinati ai diritti di altri creditori della società. Si parla delle obbligazioni subordinate per le quali il pagamento del capitale, degli interessi o di entrambi possono essere contrattualmente postergati al soddisfacimento di uno o più o tutti gli altri creditori della società. Le obbligazioni subordinate erano già previste per le banche dall’art. 12 del Testo unico bancario del 1993, ma nulla diceva per le altre società per azioni.In pratica, le obbligazioni subordinate sono rimborsabili solo dopo l’integrale soddisfacimento degli altri creditori (ma prima delle azioni), in caso di liquidazione volontaria o di assoggettamento a procedura concorsuale della società emittente.

Con la clausola di subordinazione, si comporta dal punto di vista giuridico l’apposizione di una condizione sospensiva dell’esigibilità: “io sono creditore, ma questo credito non lo si può esigere liberamente quando scade l’obbligazione” ovvero il diritto è subordinato alla soddisfazione che la società è in grado di dare agli altri suoi debiti. Il problema si pone solo quando la società diviene insolvente.Quando il patrimonio della società non è più in grado di onorare i suoi debiti, le obbligazioni subordinate saranno le ultime ad essere pagate se e quando, pagati tutti gli altri creditori, qualora residuasse qualcosa del patrimonio sociale. Dal punto di vista pratico, il problema emerge solo quando la società è insolvente o è sottoposta/sottoponibile ad una procedura concorsuale. Finché non c’è insolvenza, evidentemente la suboridinazione non interessa.

Questa clausola non muta il rapporto che rimane di credito/debito di obbligazionisti. Il prestito obbligazionario non diventa capitale proprio, rimane capitale di credito dal punto di vista bilancistico, anche se comporta un rischio maggiore.

La subordinazione può essere totale o parziale ovvero rispetto a tutti i creditori o a uno o più categorie di creditori (ad esempio, i debiti della società nei confronti dei dipendenti o delle banche). Così come la subordinazione può riguardare solo la correspensione degli interessi, ovvero per il capitale.Nonostante questo, gli obbligazionisti subordinati sono considerati come tutti gli altri creditori della società.

Dal punto di vista dell’insolvenza, il fallimento e le altre procedure concorsuali sono riservate sono agli imprenditori commerciali. Quando un soggetto diviene insolvente si azzerano tutti i termini di pagamento e tutti i crediti diventano esigibili in quel momento.Nel fallimento, i crediti degli obbligazionisti saranno trattati come crediti condizionali ovvero crediti sottoposti a condizione, che partecipano al concorso, anche se ovviamente si realizza la condizione, ovvero se l’attivo fallimentare sarà sufficiente a pagare i debiti.

C’è comunque un limite invaricabile alla possibilità di subordinare le obbligazioni. La postergazione può essere parziale o totale, ma non può mai essere una postergazione rispetto alle pretese dei soci in sede di liquidazione. Comunque gli obbligazionisti postergati hanno diritto ad essere postergati prima che si faccia una ripartizione fra i soci, altrimenti si perderebbe la caratteristica del capitale di credito.

Allo stesso modo sarebbe inammissibile una clausola che collocasse queste obbligazioni sullo stesso piano o in concorrenza con i soci. Tale prestito diverrebbe capitale di rischio. Il limite logico e giuridico è dato dal fatto che gli obbligazionisti devono essere pagati prima dei soci.

4.3 Le obbligazioni indicizzate

Una tipologia di obbligazioni speciali individuate dalla legge sono le obbligazioni indicizzate: i tempi e le entità del pagamento egli interessi possono variare in dipendenza a parametri oggettivi, anche relativi all’andamento economico della società (art. 2411, c. 2).

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Nozione

Totale o parziale

Limiti

Clausola sospensiva dell’esigibilità

Sono obbligazioni indicizzate quanto agli interessi, l’obbligo di restituzione del capitale rimane fisso.La strutturazione dell’interesse, in generale, può essere vario: periodico, alla fine, tutto all’inizio. Siccome non è vietato emettere obbligazioni sotto la pari (zero-coupon, non c’è una cedola per gli interessi), sopra la pari o alla pari.

Quando invece viene emessa un’obbligazione indicizzata: rimane fisso l’obbligo di restituzione il capitale, mentre l’interesse da corrispondere può essere indicizzato a parametri oggettivi (ossia non devono dipendere dalla volontà della società).La legge dice che tali “indici” possono anche relativi all’andamento economico della società (è un parametro interno):- sia esterni (come un paniere di titoli, indici azionari o valute, si parla in tal caso di obbligazioni

strutturate);- sia parametri interni alla società: un parametro interno può essere fissato sulla base, ad esempio,

della produzione di utili della società.

Attenzione che l’indicizzazione riguarda l’entità del pagamento degli interessi, ma può essere legato anche i tempi: ad esempio, può essere stabilito un parametro che stabilisca quando viene pagato un interesse fisso.

Altri tipi di obbligazioni sono le “partecipanti”: una cosa è che si preveda che l’interesse sia parametrato agli utili della società emittente, altra cosa è prevedere che le obbligazioni partecipino direttamente agli utili delle società! Una cosa è che gli interesse è pari al tasso di % di utili prodotta in una società. Altra cosa è dire che le obbligazioni partecipano agli utili della società, quando l’utile funziona come indice, siamo di fronte comunque ad un costo per la società; se le obbligazioni partecipano direttamente all’utile, questo non è un costo, ma un utilizzo dell’utile.Si dicono obbligazioni partecipanti, dunque, quelle per cui i tempi e l’entità del pagamento degli interessi variano in dipendenza dell’andamento economico della società.

Fra gli altri tipi speciali di obbligazioni possono essere ricordati:a) le obbligazioni a premio, che prevedono l’attribuzione agli obbligazionisti di utilità aleatorie (in

denaro o in natura) da assegnare mediante sorteggio o con altro sistema;b) le obbligazioni in valuta estera, che rispondono al medesimo scopo delle obbligazioni

indicizzate;c) le obbligazioni convertibili in azioni e le obbligazioni con warrant che vedremo in seguito.

4.3 Obbligazioni e strumenti finanziari partecipativi

La disciplina della seguente sezione (settima) ovvero tutta la disciplina delle obbligazioni si applica anche agli strumenti finanziari comunque denominati che condizionano tempi e entità di rimborso del capitale all’andamento economico della società (art. 2411, c. 3).Tali strumenti hanno in comune la caratteristica di essere emessi a fronte di un apporto non imputato a capitale.

La legge consente di individuare degli strumenti indicizzati anche in linea di capitale. Parlando del secondo comma, l’indicizzazione dell’interesse delle obbligazioni deve essere legata a parametri oggettivi anche relativi all’andamento economico della società sia interni che esterni. Quando parliamo invece della specie del terzo comma, la legge non prevede un’indicizzazione in linea di capitale legata a parametri esterni della società, ma deve necessariamente basarsi su un parametro interno.C’è solo il limite: mentre per quanto riguarda gli interessi è sempre possibile che il parametro a cui agganciare il quanto o il tempo sia sia esterno che interno, in caso di indicizzazione del capitale, il parametro può essere solo l’andamento economico della società (interno) per evitare che si crei uno stress finanziario della società. In questo modo invece si garantiscono gli obbligazionisti.

La disciplina delle obbligazioni si applica anche ad una speciale categoria di obbligazioni che prevede un’indicizzazione dell’obbligo di restituzione del capitale, che varia all’andamento

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Indici esterni ed interni

Tempi ed entità

Obbligazioni partecipanti

Altri tipi speciali

Subordinazione del rimborso del capitale

Limite: l’andamento economico della società

Applicabilità della disciplina delle obbligazionia tali strumenti

economico della società. La disciplina non cambia. E’ un inserimento di questi titoli fra le obbligazione, c’è una disciplina analogica.

Storicamente, c’è sempre stata un’obiezione sulla possibilità di indicizzare il capitale di un prestito obbligazionario. Il capitale doveva rimanere fisso, perché la legge fissa dei limiti quantitativi all’emissione di un prestito obbligazionario. Un limite alla quantità di un prestito obbligazionario sarebbe di ostacolo al fatto di indicizzare il capitale: facendo ciò non sarebbe possibile prevedere a priori quanto dovrebbe essere rimborsato agli obbligazionisti.Si dice che questo può far si che ciò che dovrà essere restituito in misura superiore di quello che è il tetto all’emissione dell’obbligazione.Certamente dalla riforma risulta confermata la tesi pre-riforma, che fosse già possibile emettere obbligazioni indicizzate in linea di capitale. La legge pone dei limiti all’emissione per evitare che ci sia squilibrio fra capitale proprio e capitale di credito.

L’ambito è quindi più ampio dell’indicizzazione del capitale e può riguardare anche altri strumenti finanziari che non hanno tutte le caratteristiche proprie delle obbligazioni: tali strumenti potrebbero essere dotati anche di diritto di tipo partecipativo o associativo.

Art. 2346, c. 6Emissione delle azioni.

6. Resta salva la possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione.

Art. 2346, c. 6Resta salva la possibilità che la società, a seguito dell’apporto anche di opera o servizi, emetta degli strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o amministrativi.Questi strumenti vanno messi in confronto con la forma dell’art. 2411, ovvero strumenti che prevedono un indicizzazione in linea di capitale. Su questo rapporto per capire se siamo di fronte ad obbligazioni o strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346 lo analizzeremo in seguito.Gli strumenti finanziari partecipativi sono quindi “genericamente formati di diritti patrimoniali o anche amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti”.

Essi rappresentano quindi una categoria residuale, atta a ricomprendere tutti gli strumenti finanziari emessi dalla società non altrimenti qualificati e disciplinati dalla legge.Più in particolare, rispetto alle obbligazioni, potrebbero attribuire ai titolari dei diritti amministrativi, come il voto su materie specifiche (previsione vietata in tema di obbligazioni).Inoltre potrebbero essere emessi anche, non in base ad un’operazione di mutuo, ma in base ad un rapporto di diversa natura: associazione in partecipazione, negozio atipico di apporto di capitale di rischio.

Art. 2411, c. 3Il problema: tale previsione può farci dire che una società per azioni possa emettere obbligazioni irredimibili, strumenti noti nella disciplina bancaria.L’art. 12 TUB per le banche: sono prestiti per i quali la correspensione di interessi può essere sospesa in caso di difficoltà economica dell’emittente; ovvero si può prevedere a chiamare queste obbligazioni a coprire perdite di esercizio. Spesso hanno durata perpetua o a lunghissima scadenza con la sola possibilità dell’emittente di rimborsarli in anticipo. Questi nella disciplina bancaria vengono chiamati strumenti finanziari ibridi: dal punto di vista bancario vanno a costituire capitale proprio o di garanzia.

Questa possibilità rimane dubbia se in forza dell’art. 2411 c. 3 possa essere ritenta un opzione per le spa. Se li ammettiamo, come bisogna ammetterli, fino a precedere la Ia non restituzione o con una restituzione a lungo termine, si pongono problemi di contabilizzazione fra capitale netto o passività.

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Particolarità degli strumenti finanziari partecipativi

Obbligazioni irridimibili

In definitiva, possiamo avere obbligazioni:- ordinarie: interesse e capitali fissi stabiliti nel regolamento del prestito, documento da redigere

ogni volta che viene emesso un prestito obbligazionario;- convertibili- indicizzate, sia per capitale che per interessi.

4.4 Limiti all’emissione di obbligazioni

La riforma è intervenuta nel senso di incrementare le ipotesi per derogare il limite quantitativo, rendendole più omogenee e accrescendole.I limiti che la legge pone sono indicati nell’art. 2412.

Art. 2412.Limiti all'emissione.

1. La società può emettere obbligazioni al portatore o nominative per somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato. I sindaci attestano il rispetto del suddetto limite.2. Il limite di cui al primo comma può essere superato se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso di successiva circolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali.3. Non è soggetta al limite di cui al primo comma, e non rientra nel calcolo al fine del medesimo, l'emissione di obbligazioni garantite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore degli immobili medesimi.4. Al computo del limite di cui al primo comma concorrono gli importi relativi a garanzie comunque prestate dalla società per obbligazioni emesse da altre società, anche estere.5. Il primo e il secondo comma non si applicano all'emissione di obbligazioni effettuata da società con azioni quotate in mercati regolamentati, limitatamente alle obbligazioni destinate ad essere quotate negli stessi o in altri mercati regolamentati.6. Quando ricorrono particolari ragioni che interessano l'economia nazionale, la società può essere autorizzata con provvedimento dell'autorità governativa, ad emettere obbligazioni per somma superiore a quanto previsto nel presente articolo, con l'osservanza dei limiti, delle modalità e delle cautele stabilite nel provvedimento stesso.7. Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società e alle riserve di attività.

La società può emettere obbligazioni al portatore o nominative per una somma non eccedente il doppio del capitale sociale della riserva legale e della riserva disponibile dell’ultimo bilancio.Mentre prima della riforma, il limite era molto stretto, era dato solo dal capitale versato ed esistente entro cui si doveva rimanere. Con “esistente” s’intende che si dovevano contare eventuali perdite. Oggi il limite raddoppia: il doppio del capitale sociale e si aggiungono anche le riserve legali e disponibili.

“doppio del capitale sociale”Quando la legge non aggiunge alcun aggettivo al termine capitale, il riferimento è al capitale sottoscritto. Bisogna aver presente il doppio del capitale sottoscritto.Se il capitale non fosse tutto sottoscritto, non potrebbe essere indicato nello statuto. Il capitale non è indicabile nello statuto: sarà solo quando ci saranno sottoscrizioni corrispondenti che quella somma diverrà capitale. Quello che è detto capitale deliberato è una proposta; capitale sottoscritto = capitale nominale, perché nello statuto si trova il capitale sottoscritto. Mentre prima la legge era il capitale versato ed esistente, che poteva essere meno del sottoscritto, oggi si parla del doppio del capitale sottoscritto.

“il doppio della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio”E’ chiaro che dalla somma del capitale sottoscritto e riserva, andranno sottratte le eventuali perdite, che comunque mangiano le poste. C’è la necessità di verificare la sussistenza del capitale netto (se vi sono perdite), anche se formalmente non si è deciso in quale riserve allocare le perdite finora maturate.Non è spiegabile perché la legge parli di riserva legali e di “riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio”. Nel senso che sarebbe stato più opportuno parlare del doppio del patrimonio netto: non si vede perché solo le riserve disponibili devono entrare nel tetto delle obbligazioni, ma

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Il “capitale sociale”

Il limite del capitale sociale e riserve

Le “riserve disponibili” e il capitale netto

se si deve conteggiare anche la riserva legale, è evidente che sfugge il senso dell’affermazione del legislatore, tant’è che il calcolo va fatto tenendo conto delle sole riserve disponibili.“Riserve disponibili”, come già detto, non è lo stesso di “riserva distribuibile”. “Distribuibile” deve essere per forza disponibile. Ma riserva disponibile può non essere distribuitibile (come quella sovra-prezzo azioni, che è indistribuibile fino a a quando la riserva legale non ha raggiungo il tetto previsto dalla legge).

“ultimo bilancio approvato” Non vuol dire che una spa non può emettere obbligazioni nel corso del primo anno. La legge dice così, perché vuole che ci sia un bilancio approvato ove risulti la consistenza di capitale e riserve, ma, eventualmente (ad esempio per conteggiare un aumento di capitale a pagamento attuato dopo l’approvazione dell’ultimo bilancio d’esercizio), e in mancanza si può redigere un bilancio infrannaule straordinario.

Oggi la legge parla di “doppio di capitale sociale più riserve” vuol dire che non è in funzione di garanzia questo parametro.

4.5 Le deroghe al limite sull’emissione

La prima deroga, che prima non esisteva, è al secondo comma secondo cui tale limite può essere superato, se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate ad essere sottoposte ad investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale, a norma di leggi speciali (art. 2412, c.2). In tal caso non occorre rispettare alcun limite quando non vengono offerte sul mercato di risparmiatori, ma vengono collocati presso investitori professionali (banche, sim, intermediari finanziari previsti dal TUF o previsti nel TUB).Nel TUB è stato introdotto un ulteriore limite per gli investitori professionali: essi devono rispettare idonei requisiti patrimoniali stabiliti dall’autorità di vigilanza, limiti di soglie patrimoniali per poter essere considerati “investitori sottoposta a vigilanza prudenziale”.

Si può superare il limite, ma la legge aggiunge al secondo comma, “in caso di successivo trasferimento di obbligazioni, chi le trasferisce si assume la responsabilità se vengono trasferiti a investitori non professionali (Cirio, Parmalat): se questi investitori professionali rivendono queste obbligazioni ad investitori non istituzionali, a questo punto l’intermediario cedente assume le responsabilità per la solvenza della società.

Dipende anche come si identificano le obbligazioni emesse in eccedenza: tali limiti valgono solo per le azioni emesse in eccedenza. Ciò è facile se in eccedenza è un unico prestito obbligazionario.Ma se invece è così solo in parte, se l’eccedenza c’è solo per una percentuale della nuova emissione (soprattutto se le obbligazioni sono al portatore). La legge non dice come risolvere questo problema: la soluzione vale quindi che l’assunzione di responsabilità vale per tutto il prestito obbligazionario; per esso valgono le regole per 2412 , c.2: per cui l’investitori professionale se ne assume responsabilità per l’intero prestito, anche se è ovvio che basta avere un po’ di accortezza.

Altro problema può sorgere per identificare gli investitori responsabili: nulla esclude che un investitore professionale le ceda ad un’altro investitore professionale e quest’ultimo ad un non professionale: se le obbligazioni sono al portatore, la storia non è tracciabile! La soluzione è che la responsabilità ricada solidalmente su tutti gli sottoscrittori del prestito, su coloro che non riescono a dimostrare di non essere stati loro a cedere le obbligazioni ad investitori non professionali.Se le obbligazioni sono nominative, la tracciabilità è possibile e, ricostruita la storia, consente di identificare in relazione a quali ricada la responsabilità che risponde dell’insolvenza della società.

Altra deroga: se le obbligazioni sono destinate ad essere quotate da parte di una società che abbia già azioni quotate (art. 2412, c. 5): per queste non si applica il primo e il secondo comma.La quotazione comporta una serie di controlli che non richiedano più la necessità di mantenere quei limiti rigorosi di cui sopra.I requisiti quindi sono due:

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L’ “ultimo bilancio approvato”

1) Obbligazioni in eccedenza per investitori professionali

2) Obbligazioni in eccedenza per investitori professionali

- l’emittente è già quotate;- le obbligazioni sono destinate alla quotazione;

Quest’ultime sono due deroghe nuove.

Deroghe ai limiti già presenti in passato

Una prima deroga è quando l’emissione di obbligazioni sia garantita da un’ipoteca di primo grado su beni immobili di proprietà della società fino a due terzi del valore (di bilancio) di questi: in tal caso non c’è necessità di rispettare i limiti (art. 2412, c. 3).(I gradi delle ipoteche: su un bene ci può essere un soggetto garantito con ipoteca di primo grado, e un altro soggetto può fare una seconda ipoteca).

La legge dice che l’ipoteca deve calcolarsi sui due terzi del valore degli immobili. Ma al valore di mercato o contabile degli immobili?Prima della riforma la maggior degli interpreti sosteneva che si doveva far riferimento ai valori di bilancio, ma è dubbio il problema, e la legge non risolve espressamente il problema.

Seconda deroga: questi limiti possono essere superati quando ricorrano particolari ragioni che interessano l’economia nazionale: la società può essere autorizzata con provvedimento dell’autorità governativa a superare il limite (art. 2423, c. 6).

Terza derogaLa legge, infine, aggiunge disposizioni particolari per le banche, per le società di cartolarizzazione di beni immobili dello stato, per singole categorie o tipologie di interesse, per le quali tale limite non si applica

4.6 Tutele per gli obbligazionisti dopo l’emissione del prestito

Art. 2413. Riduzione del capitale.

1. Salvo i casi previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 2412, la società che ha emesso obbligazioni non può ridurre volontariamente il capitale sociale o distribuire riserve se rispetto all'ammontare delle obbligazioni ancora in circolazione il limite di cui al primo comma dell'articolo medesimo non risulta più rispettato.2. Se la riduzione del capitale sociale è obbligatoria, o le riserve diminuiscono in conseguenza di perdite, non possono distribuirsi utili sinché l'ammontare del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili non eguagli la metà dell'ammontare delle obbligazioni in circolazione.

L’art. 1413 disciplina ciò che la società può fare del suo capitale di rischio, mentre è in corso un prestito obbligazionario: la società non può ridurre volontariamente il capitale sociale o restituire riserve, se rispetto all’ammontare del prestito obbligazionario, il limite non risulta rispettato. La legge, quindi, stabilisce una modalità per rimediare a possibili sbilanciamenti successivi con un divieto a ridurre il capitale sociale o di distribuzione di riserve in forma di dividendi, fino a quando non è rispettato il limite all’emissione. Non si fa distinzione fra le cause che possono aver determinato lo sbilanciamento successivo. Legare i tempi o il quanto della restituzione del capitale non vuol dire altro che indicizzare in linea dei capitale delle obbligazioni.

La legge ha dedicato l’art. 2413 dove si dice che, salvi i casi previsti dal 3 e 4 art. 2412, la società che ha emesso obbligazioni, non può ridurre volontariamente capitale sociale o distribuire riserve, se il limite al primo comma non risulta rispettato.La società deve rispettare i limiti all’emissione, ma dopo non si può ridurre o distribuire il capitale, aggirando la norma sui limiti. Sono vietate per tutta la durata del prestito tutte le operazioni di riduzione del capitale o distribuzione delle riserve, sempre che i limiti non vengano mantenuti.Ma se vengo superati i limiti, le operazioni sono vietate.

Se la riduzione (per perdite) è obbligatoria (art. 2446 e 2447), o quando le riserve diminuiscono in conseguenza di perdite, la riduzione del capitale si deve fare: le riserve diminuiscono per forza, ma non possono distribuirsi utili finché l’ammontare del capitale sociale non raggiunga i

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3) Obbligazioni garantite da ipoteca su beni della società

4) Obbligazioni garantite da ipoteca su beni della società

5) Obbligazioni emesse da parte di società bancarie

Permanenza del rapporto

Riduzione obbligatoria per perdite

limiti di cui sopra, ovvero non venga ripristinato il rapporto fra obbligazioni e capitali e riserve dall’altro.

Anche la riduzioni per perdite facoltative sono vietate: la legge ci impone di ridurre il capirle per perdite, solo, non quando si registrano perdite superiori a un terzo, ma quando alla fine dell’esercizio successivo, la perdita si è mantenuta.Se una società volesse invece ridurre subito il capitale, questa operazione non la si può fare se vengono superati i limiti.Il problema è la riduzione obbligatoria o facoltativa.

Se viene violata questa prescrizione, la conseguenza è la nullità della delibera di riduzione del capitale facoltativa.

4.7 Gli obbligazionisti e la loro organizzazione

Art. 2415. Assemblea degli obbligazionisti.

1. L'assemblea degli obbligazionisti delibera:1) sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune;2) sulle modificazioni delle condizioni del prestito;3) sulla proposta di amministrazione controllata e di concordato;4) sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul rendiconto relativo;5) sugli altri oggetti d'interesse comune degli obbligazionisti.2. L'assemblea è convocata dagli amministratori o dal rappresentante degli obbligazionisti, quando lo ritengono necessario, o quando ne è fatta richiesta da tanti obbligazionisti che rappresentino il ventesimo dei titoli emessi e non estinti.3. Si applicano all'assemblea degli obbligazionisti le disposizioni relative all'assemblea straordinaria dei soci e le sue deliberazioni sono iscritte, a cura del notaio che ha redatto il verbale, nel registro delle imprese. Per la validità delle deliberazioni sull'oggetto indicato nel primo comma, numero 2, è necessario anche in seconda convocazione il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentino la metà delle obbligazioni emesse e non estinte.4. La società, per le obbligazioni da essa eventualmente possedute, non può partecipare alle deliberazioni.5. All'assemblea degli obbligazionisti possono assistere gli amministratori ed i sindaci.

L’organizzazione del gruppo di obbligazionisti si articola ex lege in due organi:1) l’assemblea;2) i rappresentante comune;

Gli obbligazionisti si organizzano ex lege nell’assemblea degli obbligazionisti. L’assemblea degli obbligazionisti riunisce tutti coloro che sono titolari o possessori di obbligazioni al portatore o nominative di un’autonoma organizzazione. L’assemblea ha una serie di attribuzioni: a) nomina e revoca di un rappresentante comune; b) modificazioni delle condizioni del prestito;c) sulle proposte di amministrazione controllata e di concordato preventivo e fallimentare;d) sulla costituzione di un fondo spese necessarie alla tutela degli interessi comuni e sul relativo

rendiconto;e) sugli altri oggetti di intere comune degli obbligazionisti (art. 2415);

La funzione più importante al numero 2: è chiamata a deliberare sulle modificazioni delle condizioni del prestito. Se non ci fosse questa previsione, tutte le volte che la società volesse modificare le condizioni del prestito dovrebbe ottenere l’approvazione di tutti gli obbligazionisti, perché concluso il contratto, la società non può modificare le condizioni, che possono essere modificate solo con il consenso di entrambi i contraenti. Nel caso del prestito obbligazionario, è l’assemblea a maggioranza a decidere se approvare o meno modifiche alle condizioni del prestito obbligazioni. Per le delibere di modificazioni delle condizioni del prestito, è necessaria anche in seconda convocazione, il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentano metà delle obbligazioni emesse e non estinte.

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Riduzione facoltativa per perdite

L’assemblea degli obbligazionisti e sue competenze

Modificazioni delle condizioni del prestito

Le condizioni del prestito possono essere modificate concordamente durante la vita del prestito: cambiare la natura del prestito non è concepibile, ad esempio, trasformazione un prestito obbligazionario convertibile con uno ordinario.Si intende modificabile a maggioranza qualsiasi modalità del prestito, purchè la modifica sia giustificata da una situazione oggettiva della società che la rende necessaria per gli interessi degli obbligazionisti.Resta invece sottratta al potere dispositivo della maggioranza, l’alterazione dei caratteri strutturali di quel determinato prestito obbligazionario.

Si riunisce e approva con le previsioni dell’assemblea straordinaria dei soci (art. 2415, c. 3), quindi a maggioranza.L’assemblea è convocata o dagli amministratori della società o dal rappresentante comune. La convocazione è obbligatoria quando ne è fatta richiesta da tanti obbligazionisti che rappresentano un ventesimo dei titoli emessi non estinti. All’assemblea possono assistere amministratori e sindaci.Le deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti sono iscritte nel Registro delle imprese a cura del notaio che ha redatto il verbale. Devono inoltre essere trascritte in un apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti, tenuto a cura del rappresentante comune, che deve sempre rimanere a disposizione degli obbligazionisti.

Art. 2417. Rappresentante comune.

1. Il rappresentante comune può essere scelto al di fuori degli obbligazionisti e possono essere nominate anche le persone giuridiche autorizzate all'esercizio dei servizi di investimento nonché le società fiduciarie. 2. Non possono essere nominati rappresentanti comuni degli obbligazionisti e, se nominati, decadono dall'ufficio, gli amministratori, i sindaci, i dipendenti della società debitrice e coloro che si trovano nelle condizioni indicate nell'articolo 2399.3. Se non è nominato dall'assemblea a norma dell'articolo 2415, il rappresentante comune è nominato con decreto dal tribunale su domanda di uno o più obbligazionisti o degli amministratori della società.4. Il rappresentante comune dura in carica per un periodo non superiore a tre esercizi sociali e può essere rieletto. L'assemblea degli obbligazionisti ne fissa il compenso. Entro trenta giorni dalla notizia della sua nomina il rappresentante comune deve richiederne l'iscrizione nel registro delle imprese .

Art. 2418. Obblighi e poteri del rappresentante comune.

1. Il rappresentante comune deve provvedere all'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti, tutelare gli interessi comuni di questi nei rapporti con la società e assistere alle operazioni di sorteggio delle obbligazioni. Egli ha diritto di assistere all'assemblea dei soci.2. Per la tutela degli interessi comuni ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti anche nell'amministrazione controllata, nel concordato preventivo, nel fallimento, nella liquidazione coatta amministrativa e nell'amministrazione straordinaria della società debitrice.

Il rappresentante comune che può essere sia un persona fisica che un ente collettivo, o una società fiduciaria o di gestione del risparmio, purchè autorizzata alla prestazione di servizi di investimento o ancora una società fiduciaria.Il rappresentante comune è nominato dall’assemblea degli obbligazionisti. La nomina è soggetta a iscrizione nel Registro delle imprese.Il rappresentante comune, inoltre, può essere scelto al di fuori degli obbligazionisti. Il limite: non può fungere un amministratore, sindaco o dipendente dalla società.

Il rappresentante comune è un organo necessario, perché se non viene nominato dall’assemblea, magari perché non viene raggiunto del quorum, allora può essere nominato dal presidente del Tribunale, su domanda di uno o più obbligazionisti, o dagli amministratori della società.E’ in carica per tre mandati e si applicano le regole proprie degli amministratori.

Il rappresentante dura in carica per un periodo non superiore a tre anni ed è rieleggibile. Può essere revocato dall’assemblea anche senza giusta causa, e salvo in tal caso il risarcimento dei danni.

Il rappresentante comune ha diritto ad un compenso fissato dall’assemblea e deve ritenersi a carico della stessa organizzazione degli obbligazionisti e non dalla società (art. 2417, c. 3)

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Funzionamento

Il rappresentante comune

Il compenso

Cessazione

Il rappresentante comune tutela gli interessi degli obbligazionisti ed in particolare:1) esegue le deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti;2) assiste alle operazioni per l’estinzione a sorteggio delle obbligazioni, altrimenti nulle in sua

assenza e del notaio;3) ha diritto ad assistere alle assemblee dei soci;4) ha diritto ad esaminare il libro delle obbligazioni, nonchè quello delle adunanze e delle

deliberazioni dell’assemblea dei soci e di ottenerne estratti (art. 2422, c. 2);5) ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti, anche nelle procedure concorsuali;

C’è un organizzazione per l’assemblea e un rappresentante comune: l’associazione decide sugli oggetti di interesse comuni.

Art. 2419. Azione individuale degli obbligazionisti.

1. Le disposizioni degli articoli precedenti non precludono le azioni individuali degli obbligazionisti, salvo che queste siano incompatibili con le deliberazioni dell'assemblea previste dall'articolo 2415 .

La legge fa salva anche un’azione individuale da parte degli obbligazionisti ex art. 2419. Le disposizioni degli articoli precedenti quindi non precludono le azioni individuali degli obbligazioni, “salvo non siano compatibili con le altre deliberazioni dell’assemblea previste dall’art. 2415”.Qualora l’asse degli obbligazioni si sia già espressa sul punto, il singolo non può agire contro la decisione dell’assemblea, ovvero quando il loro accoglimento porterebbe a risultati contrastanti con le azioni promosse dall’organizzazione per la tutela degli interessi comuni.

4. 8 Le obbligazioni convertibili in azioni

A questo punto ci resta da dire della particolare specie di obbligazioni che sono le obbligazioni convertibili in azioni ex articoli 2420 bis e 2420 ter.E’ una disciplina di relativamente introduzione al codice. All’inizio il codice non la prevedeva: è stata introdotta per la prima volta nel 1974, con il regolamento della CONSOB.Venivano create in un vuoto di diritto.Si tratta di un prestito obbligazionario, a cui si applica la disciplina generale sulle obbligazioni, salvo deroghe espresse, ed è un prestito obbligazionario che oltre a rappresentare un credito verso la società, attribuiscono anche la facoltà a chi le ha sottoscritte di: 1. rimanere obbligazionisti fino alla scadenza del prestito;2. o in alternativa di optare per una conversione delle obbligazioni in azioni, in scadenza

predeterminate.

Si definiscono quindi obbligazioni che attribuiscono il diritto di sottoscrivere azioni della società stessa, in base ad un prefissato rapporto di cambio, utilizzando come conferimento le somme già versate al momento dell’acquisto delle obbligazioni. Chi esercita il diritto di conversione, cessa perciò di essere obbligazionista e diventa azionista della società.Nell’ipotesi tipica, nel programma del prestito si prevede che ogni anno c’è una finestra nella quale gli obbligazionisti possono dichiarare di voler convertire le loro obbligazioni in azioni.L’obbligazionista può scegliere se rimanere creditore fino al termine o trasformarsi in socio. L’operazione può favorire l’accesso al capitale di rischio anche a soggetti che ne siano interessati.

Attenzione perché la legge disciplina solo una possibile tipologia di obbligazioni convertibili cioè in azioni della medesima società che emette il prestito obbligazionario. Si può pensare che la società ad emettere obbligazioni sia quella per cui le obbligazioni li sono convertibili in azioni della stessa società (procedimento diretto di emissione).Nella pratica si verificano anche altre ipotesi: - ovvero che le obbligazioni siano convertibili in azioni proprie che detiene in portafoglio;- altra ipotesi (procedimento indiretto di emissione): il prestito prevede la conversione delle

obbligazioni in azioni di una società diversa con due sottospecie:1) o di altra società le cui azioni sono già possedute nel portafoglio della società emittente;2) o di un’altra società, le cui azioni si impegna ad emettere a servizio del prestito. Si

presuppone un accordo fra le due società. E facile che ciò avvenga all’interno di un gruppo.Queste ultime due ipotesi di procedimento indiretto non sono disciplinate dalla legge e può essere creato qualche problema.La legge nell’art. 2420 bis disciplina solo l’ipotesi di emissione di prestito obbligazioni convertibili in azioni della stessa società emittente e di nuova emissione.

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Funzioni

Azioni individuali

Nozione

Tre procedimenti di conversione

Prima bisogna fare una distinzione con un istituto che ha qualche tratto di analogica: obbligazioni con warrant o con opzione di sottoscrizione.E’ frequente, nella pratica, che la società emetta delle obbligazioni munite di questo diritto di opzione su azioni, di sottoscrizione o di acquisto di azioni della società emittente o di altre società. In tal caso, il sottoscrittore ha, oltre ai normali diritti di obbligazionisti, anche un diritto agganciato all’obbligazione di sottoscrivere o acquistare azioni, ferma restando la posizione di creditore per le obbligazioni possedute.Nel prestito obbligazionario convertibile, l’obbligazionario ha due scelte, restare obbligazionista o diventare socio. Mentre nelle obbligazioni con warrant i due diritti si cumulano, si può continuare ad essere obbligazionista ed anche socio.

4.9 L’emissione delle obbligazioni convertibili

Art. 2420-bis. Obbligazioni convertibili in azioni.

1. L'assemblea straordinaria può deliberare l'emissione di obbligazioni convertibili in azioni, determinando il rapporto di cambio e il periodo e le modalità della conversione. La deliberazione non può essere adottata se il capitale sociale non sia stato interamente versato.2. Contestualmente la società deve deliberare l'aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente alle azioni da attribuire in conversione. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del secondo, terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 2346.3. Nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono all'emissione delle azioni spettanti agli obbligazionisti che hanno chiesto la conversione nel semestre precedente. Entro il mese successivo gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione dell'aumento del capitale sociale in misura corrispondente al valore nominale delle azioni emesse. Si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo 2444.4. Fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, la società non può deliberare né la riduzione volontaria del capitale sociale, né la modificazione delle disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili, salvo che ai possessori di obbligazioni convertibili sia stata data la facoltà, mediante avviso depositato presso l'ufficio del registro delle imprese almeno novanta giorni prima della convocazione dell'assemblea, di esercitare il diritto di conversione nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione.5. Nei casi di aumento del capitale mediante imputazione di riserve e di riduzione del capitale per perdite, il rapporto di cambio è modificato in proporzione alla misura dell'aumento o della riduzione.6. Le obbligazioni convertibili in azioni devono indicare in aggiunta a quanto stabilito nell'articolo 2414, il rapporto di cambio e le modalità della conversione.

Art. 2420-ter. Delega agli amministratori.

1. Lo statuto può attribuire agli amministratori la facoltà di emettere in una o più volte obbligazioni convertibili, fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data di iscrizione della società nel registro delle imprese. In tal caso la delega comprende anche quella relativa al corrispondente aumento del capitale sociale.2. Tale facoltà può essere attribuita anche mediante modificazione dello statuto, per il periodo massimo di cinque anni dalla data della deliberazione.3. Si applica il secondo comma dell'articolo 2410.

Mentre l’emissione di un prestito obbligazionario ordinario può essere deliberata, salva diversa previsione, dagli amministratori, la delibera di emissione delle obbligazioni convertibili è di competenza dell’assemblea straordinaria, salva possibilità di delega agli amministratori.

La delibera ha un contenuto specifico: la legge dice che la delibera deve obbligatoriamente prevedere:- la determinazione del rapporto di cambio;- il periodo e modalità di conversione. Colui che sottoscrive deve sapere la convenienza dell’obbligazione, data non solo da tasso di interesse, ma anche dal rapporto di cambio.L’assemblea, come si dirà di seguito, deve inoltre contestualmente deliberare l’aumento del capitale sociale, per un ammontare corrispondente al valore nominale delle azioni da attribuire in conversione.

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Obbligazioni con warrant

Competenza

Contenuto della delibera

Si è voluto prevenire il pericolo che la futura emissione delle azioni avvenga violando le norme poste a salvaguardia dell’effettività del capitale sociale. A tal fine sono state previste delle condizioni.

La delibera di emissione di obbligazioni può essere adottata, solo se il capitale esistente (precedentemente sottoscritto) è già stato integralmente versato. Altrimenti è vietata. Se ci sono azioni non interamente liberate, non si può emettere il prestito.In generale, la legge non dice che è vietato deliberare un aumento di capitale quando ci sono azioni da liberare, ma dice che non si può eseguire una delibera di aumento di capitale. Questa è adottabile legittimamente, anche con azioni non liberate. Quello che non si può fare è dare esecuzione alla delibera, ovvero distribuzione di azioni.Mentre nel caso di emissione di prestito obbligazionario convertibile, invece, la delibera sarebbe già nulla.

La legge stabilisce che contestualmente all’emissione di un prestito obbligazionale convertibile, bisogna anche deliberare un aumento del capitale per un ammontare corrisponde alle obbligazioni da convertire in azioni.Tale aumento di capitale è un aumento di capitale ad esecuzione differita, proporzionale e progressiva. Quando ci saranno le finestre temporali entro cui potranno essere convertite le azioni, l’aumento del capitale sarà progressivo.L’aumento di capitale sarà così sottoscritto, anche parzialmente, via via che gli obbligazionisti eserciteranno il diritto di conversione.

In passato, poteva accadere che quando arrivava il momento di convertire le obbligazioni, non c’erano azioni. Oggi invece, nella stessa assemblea bisogna deliberare un aumento di capitale tale da coprire l’ipotesi per cui tutti gli obbligazioni decidano di convertire. L’obbligazionista deve avere la garanzie che le azioni di conversione ci saranno. E’ un aumento di captale sui generis, per il quale istituzionalmente è escluso il diritto di opzione dei soci.E’ un aumento a servizio dell’emissione del prestito. I soci invece hanno diritto di opzione sulle obbligazioni convertibili stesse! Quindi altra condizione è che le obbligazioni convertibili devono essere offerte in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili precedentemente emesse (art. 2441, c. 1), secondo le modalità stabilite dal diritto di opzione.

Se non è diversamente stabilito, ogni aumento di capitale a pagamento è inscindibile. O vengono sottoscritte le obbligazioni convertite, o l’aumento cade. Solo con una previsione di scindibilità, l’aumento di capitale può avere successo in entrambi i casi, qualunque sia la quota di obbligazioni che verrà deciso di convertire. In caso in cui l’aumento di capitale sia a servizio, l’inscindibiità è fissa.

Rispetto alla disciplina pre riforma, è scomparso il divieto di emettere le obbligazioni convertibili con disaggio, cioè sotto la pari.Altra condizione è che le obbligazioni convertibili non possono essere emesse per somma complessivamente inferiore al loro valore nominale, trovando applicazione, in quanto compatibili, il secondo, il terzo e il quarto comma dell’art. 2346 (art. 2420-bis).Si richiede cioè che siano rispettate già in sede di emissione delle obbligazioni, le condizioni richieste per l’emissione di nuove azioni e che a rigore dovrebbero acquistare rilievo solo in sede di conversione.Il capitale deve essere sempre coperto ed è vietato emettere azioni sotto la pari, salvo che complessivamente il capitale deve essere coperto dal valore complessivo dei conferimenti.Si deve cioè determinare un rapporto di cambio per cui ciò che chiedo agli obbligazioni copra l’aumento di capitale a cui darò corso, altrimenti si creerebbe capitale fittizio.

Anche le obbligazioni convertibili, inoltre, non possono essere emesse per ammontare superiore al limite generale fissato dall’art. 2412,

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Condizioni per l’emissione

I condizione

II condizione

III condizione

IV condizione

Limiti all’emissione

L’inscindibilità dell’aumento di capitale

E’ chiaro che, pendente il termine entro cui gli obbligazionisti hanno diritto di convertire, può succedere che ci siano situazioni che alternano il diritto degli obbligazionisti di ottenere la conversione, con operazioni pregiudizievoli sul capitale. La legge allora tutela gli obbligazionisti che hanno diritto a diventare soci.

Sono state fissate tre distinte regole:1) l’art. 2441 prevede che il diritto di opzione sull’aumento di capitale a pagamento e su

nuove emissione di obbligazioni convertibili che la società dovesse approvare durante la vigenza di un prestito obbligazionale convertibile, su tali operazioni gli obbligazionisti convertibili hanno diritto di opzione sulle azioni di nuova emissione, in concorso con i soci attuali, sulla base del rapporto di cambio. Si permette così agli obbligazionisti di mantenere inalterata la proporzione della loro futura partecipazione azionaria.

2) Ex art 2420 bis, fin quando non sono scaduti i termini di esercizio di conversione, la società non può deliberare la riduzione volontaria di capitale sociale, le modificazioni dell’atto costitutivo concernenti le proporzioni alla ripartizione agli utili, la fusione o la scissione fin quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, salvo agli obbligazionisti convertibili sia data la facoltà di esercitare e il diritto di conversione anticipata entro 30 giorni dalla pubblicazione di questi documenti. Si rendi possibile agli obbligazioni partecipare all’assemblea di cambiare tali modifiche future, allora questi hanno diritto alla conversione anticipata.

3) Se la società vuole aumentare il capitale gratuitamente mediane imputazione di riserve o ridurre il capitale per perdite, in questo caso il rapporto di cambio è automaticamente modificato in proporzione alla misura dell’aumento di capitale o della riduzione di capitale (variazioni nominali del capitale: va aggiustato in proporzione il rapporto di cambio).

In caso di fusione o scissione della società che ha emesso prestito obbligazionario, ex art. 2503 bis e art. 2503 ter prevede che è il possessore di obbligazioni convertibili deve essere data facoltà dopo la pubblicazione in gazzetta ufficiale, di esercitare il diritto di conversione anticipata (per votare poi contro la fusione).Inoltre, in caso di fusione, ai possessori di obbligazioni convertibili che non si avvalgono del diritto di conversione anticipata, devono essere assicurati diritti equivalenti a quelli loro spettanti prima della fusione o della scissione, salvo che la modifica dei loro diritti non sia stata approvata dall’assemblea degli obbligazionisti (art. 2503 bis).

Si ricorda che, in sede di riduzione del capitale per perdite, la società si scioglie almeno che non si provveda a ricostruire il capitale sociale ai minimi previsti.

Non si capisce se il diritto degli obbligazionisti si ricostituisce come diritto di opzione sul capitale sociale.Il diritto alla conversione anticipata è una tutela per modo di dire, proprio perché ha avuto un lungo tempo per valutare se rimanere obbligazionista o diventare socio.

Iniziando il discorso sulle obbligazioni convertibili, la legge disciplina solo il procedimento diretto con diritto di conversione delle azioni della medesima società che emette il prestito obbligazionario o con azioni di nuova emissione.Anche nella pratica si sono venuti a creare altri metodi.

Il primo caso è quello del procedimento diretto. Non c’è alcuna necessità di una contestuale deliberazione di aumento di capitale nel caso in cui il procedimento si avvalga delle azioni proprie: si può deliberare l’emissione senza la contestuale aumento del capitale.

Per il resto, si ritiene applicabile la disciplina generale delle obbligazioni: finché pende ancora la possibilità di convertire, tutte le cautele valgono anche in questo caso.

Ma poiché in questo caso non si crea nuovo capitale e non si vanno a ledere i diritti degli azionisti, le azioni ci sono già nel portafoglio della società, torna competente a deliberare lo statuto l’organo amministrativo.

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Pendenza del periodo di conversione

Procedimenti di conversione non disciplinati

Procedimento indiretto con azioni proprie

Poi c’è l’altra tecnica non considerata dalla legge del procedimento indiretto, ovvero del prestito obbligazionario convertibile con azioni di una società terza: di una società del gruppo o di una società terza, previo accordo. Potrebbero trattarsi sia di azioni già emesse e detenute nel portafoglio della società (1) che lancia il prestito, sia di azioni di futura emissione (2).

L’aumento del capitale diventerebbe per quest’ultima un aumento di capitale riservato agli obbligazionisti. E’ necessario quindi un accordo preventivo perché ci sia una adeguata tutela del diritto di conversione degli obbligazionisti.Anche per questo tipo di operazione, la competenza è degli amministratori, semmai nell’altra società l’aumento di capitale deve essere deliberato dall’assemblea straordinaria.

Come previsto per gli aumenti di capitale, l’atto costitutivo o una sua successiva modifica possono attribuire agli amministratori la facoltà di emettere obbligazioni convertibili, fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni.La delega comprende anche quella relativa al corrispondente aumento di capitale sociale.

La legge prevede quindi che l’emissione di un prestito obbligazionario convertibile che è di competenza dell’assemblea straordinaria può essere delegato all’organo amministrativo.Allo stesso modo, questa delega può prevedere l’attribuzione una delega per l’emissione del prestito obbligazionario convertibile. Questa delega non può però essere indeterminata: può essere previsto dallo statuto (in sede di costituzione di società) fino ad un ammontare predeterminato e per un amassimo di cinque anni e in questo caso la delega, comprende anche la delega per l’aumento del capitale sociale.La delega non può mai superare i cinque anni, se per caso fosse previsto un periodo maggiore ci sarebbe una riduzione automatica a cinque anni.

Per tale delega non è necessario sia contenuta nello statuto originario, ma può essere attribuita tramite modificazioni dello statuto, ma per un periodo di cinque anni da quando viene deliberata la modifica.Anche se decide l’organo amministrativo, il procedimento di iscrizione di delibera è lo stesso, perché la legge prescrive per le modifiche dello statuto.

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Procedimento indiretto con azioni di una società terza

Delega agli amministratori

Capitolo VGLI STRUMENTI FINANZIARI PARTECIPATIVI E I PATRIMONI DESTINATI

5.1 Gli strumenti finanziari partecipativi

E’ una novità della riforma, suo oggetto misterioso, di difficile inquadramento e collocazione.Pur essendo nominati in varie parti del codice, la disciplina è demandata quasi interamente all’autonomia statutaria.

Il quadro normativo è farraginoso.L’art. 2346, c. 6 è il primo articolo dedicato all’emissione delle azioni: resta salva la possibilità che la società a seguito dell’apporto da parte di soci o di terzi anche di opera o servizi emetta strumenti finanziari muniti di diritti patrimoniali o amministrativi. Accanto alle azioni possono essere emessi altri strumenti, emessi a fronte di un apporto che può consistere anche in opera o servizi, che normalmente non sarebbero oggetto di conferimento in una società per azioni e che perciò non sono imputabili a capitale sociale, nonché come alternativa alle azioni a favore dei prestatori di lavoro (art. 2349, c.2).

A differenza delle azioni però, gli strumenti finanziari partecipativi non sono parte del capitale sociale, e quindi gli apporti con cui sono liberati non sono assoggettati alla disciplina sui conferimenti in quanto non sono imputati a capitale sociale (pur contribuendo ad incrementare il patrimonio sociale).

Questi strumenti finanziari si caratterizzano per il fatto che attribuiscono diritti patrimoniali o anche diritti amministrativi, che l’art. 2346 si occupa di limitare.

E’ riconosciuto ampio spazio all’autonomia statutaria. L’ultimo comma dell’art. 2346, infine, prevede che lo statuto ne disciplina le modalità di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione, che può anche essere identica a quella delle azioni.I diritti attribuiti sono demandati in toto all’autonomia statutaria e anche la circolazione viene ammessa.

Si potrebbero avere titoli al portatore o nominativi, ma si potrebbero avere anche degli strumenti finanziari non incorporati in titoli, che dovranno essere ceduti come le azioni in caso di non emissione delle stesse.

Strumenti finanziari del genere si trovano anche nell’art. 2349 (la possibilità di emettere azioni in favore dei prestatori di lavoro). Possono essere emessi in favore di quest’ultimi anche gli strumenti finanziari. E’ un applicazione generale dell’art. 2346: anche in sede di attribuzione di utili ai dipendenti è possibile utilizzare questi utili come apporti figurativi con l’emissione di strumenti finanziari partecipativi.

Quando la società crea più categorie di azioni viene istituita un’assemblea speciale: tale regola è estesa anche in presenza di strumenti finanziari partecipativi.Solo agli strumenti finanziari partecipativi che conferiscono diritti amministrativi si applica la disciplina sulle assemblee speciali (art. 2376).Se esistono diverse categorie di azioni o strumenti finanziari partecipativi, ma solo con accanto diritti amministrativi. Anche se quando cita “strumenti finanziari” sembrerebbe necessaria la creazione di categorie diverse di strumenti finanziari. In realtà, non dovrebbe essere così, però la lettera della legge non è chiara.

Di strumenti finanziari si parla nell’art. 2411, di tipologie di obbligazioni: la disciplina delle obbligazioni si applica anche agli strumenti finanziari che riconoscono (o anche condizionano in relazione a tempi ed entità all’andamento economico della società) il rimborso del capitale.Per i dettagli sul rapporto e disciplina degli strumenti finanziari e partecipazioni si deve di seguito.

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Emissione

Strumenti finanziari ed azioni

Libertà dello statuto nel determinarne la disciplina

Strumenti in favore dei prestatori di lavoro

Disciplina sulle assemblee speciali

Applicazione della disciplina sulle obbligazioni

L’art. 2447 bis e seguenti disciplinano i patrimoni destinati: nella delibera che istituisce un patrimonio destinato è possibile l’emissione di strumenti finanziari con specifica indicazione dei diritti che attribuiscono la partecipazione all’affare del patrimonio destinato.Tra l’altro, mentre in generale per gli strumenti ex art. 2376 ultimo comma si demanda all’autonoma statutaria, qui invece si stabiliscono delle regole: qualora siano emessi tal strumenti, la società deve tenere un libro speciale (...): la società quando crea strumenti finanziari partecipativi al patrimonio destinato, deve creare un libro sociale in più.

Art. 2447 octies: per ogni categoria di strumenti finanziari, l’assemblea dei possessori delibera una serie di attribuzioni prevista per l’assemblea degli azionisti.

Traccia di questi strumenti la troviamo in sede di bilancio della società. La norma al n. 19 ex art. 2417 prevede che debbano essere indicati il numero e le caratteristiche, i diritti attribuiti: ciò in nota integrativa.La terminologia è poco rigorosa: il termine “diritto partecipativo” è usato come sinonimo di “amministrativo”.

Con il consenso unanime dei soci e degli altri strumenti finanziari, l’organo amministrativo può in caso di scissione ex art. 2506 ter.

In tema di società cooperative, è stata nominata una commissione ministeriale per la redazione della riforma. Nell’art. 2526 si rinvia per la loro disciplina per quanto previsto per gli analoghi strumenti della società per azioni: ma qui non c’è alcuna disposizione! Anzi la disciplina nella società cooperativa è più ricca.

La fonte principale di disciplina rimane comunque per legge lo statuto.Questi apporti possono essere? Questi strumenti prevedono apporti che vanno ad integrare il patrimonio della società.Quanto durano questi strumenti? O per tutto il tempo di vita della società, o con una durata limitata.

Bisogna avere la prestazione com’è disciplinata, come dev’essere prestata quest’opera o servizio. Altro problema emerge circa la trasferibilità di questi strumenti, a seconda delle prestazioni oggetto degli strumenti.

C’è una miriade di situazioni che gli statuti dovrebbero disciplinare.

La legge neppure sceglie quale organo abbia il potere di emettere tali strumenti. E’ sorto un contrasto fra interpreti: - fra chi ritiene che spetti all’assemblea straordinaria, perché potrebbero ledere i diritti dei soci;- l’emissione di questi strumenti è pur sempre un atto di gestione, quindi all’organo amministrativo.

C’è anche un argomento testuale in favore di questa tesi: la costituzione di un patrimonio destinato è di competenza dell’organo amministrativo e siccome l’emissione di strumenti finanziari partecipativi deve essere contenuta nella deliberazione di emissione, spetterebbe agli amministratori emettere questi strumenti finanziari.

E’ lo statuto comunque ad indicare l’organo deputato.

Inoltre, in base alla tipologia d’apporto:- se sono apporti che vanno ad integrare il patrimonio sociale, verrà creata una riserva;- se sono apporti di opera o servizi, non saranno iscritti fra le poste del netto, ma rimarranno come

arricchimento della società non contabile;- se addirittura si ammette che questi apporti sono di capitale di credito, allora andranno a costituire

una posta del passivo reale.

E’ evidente che questi strumenti potranno rappresentare un’utile alternativa al fenomeno dei versamenti dei soci in conto capitale ovvero quei versamenti a fondo perduto che vanno a costituire una riserva della società, preferendo mantenere un capitale ridotto, creandosi una riserva comunque disponibile con vincolo ridotto rispetto al capitale.

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Strumenti finanziari e patrimoni destinati

Altre disposizioni

Problemi d’applicazione dell’istituto

Questi strumenti, inoltre, devono essere dotati di diritti patrimoniali: la legge demanda agli statuti la definizione di questi diritti:- diritto a partecipare alla distribuzione degli utili;- a partecipare alla liquidazione in caso di scioglimento;Potrebbe essere l’attribuzione di un diritto ragguagliato alla misura degli utili.

Eventuali diritti amministrativi, salvo l’art. 2346 che prevede il divieto di attribuzione del diritto di voto nell’assemblea generale, potrebbero essere simili a quelli delle azioni:- di esercitare un controllo sull’operato degli organi sociali;- di impugnare le delibere sociali;- di attribuire ai titolare di questi strumenti di autorizzar determinate situazioni della società;

Il punto più delicato è il voto.E’ prevista un’esclusione del diritto di voto, fra i diritti attribuibili agli strumenti finanziari partecipativi. Contemporaneamente, l’art. 2351 dedicato al diritto di voto per le azioni, si aggiunge una norma che strude con il 2346: “gli strumenti finanziari del possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati”. Questa disposizione va quindi coordinata con quella dell’art. 2346 dove si esclude il voto nell’assemblea generale.

Questo eventuale diritto di voto su argomenti specificamente indicati, secondo le modalità previste dallo statuto, esso si esercita:- nel senso di nominare un amministratore o di un membro del Consiglio di sorveglianza un

sindaco: siccome è prevista l’assemblea speciale, questa provvederà secondo le previsioni dell’assemblea straordinaria, a nominare amministratore o sindaco.

- se invece la previsione del diritto di voto riguarda specifici argomenti, che sono di competenza dell’assemblea dei soci. Se l’argomento particolare è “approvazione del bilancio”, l’assemblea degli strumenti finanziari voterebbe contro? Se si applicassero le disposizioni dell’assemblea speciale degli azionisti, essi avrebbero un diritto di veto sul bilancio.

Per quest’ultimo problema, ci sono allora solo due possibili soluzioni da adottare nello statuto:- stabilendo quanto vale il voto rispetto alla maggioranza dell’assemblea generale. Bisogna stabilire

un rapporto, parametrare il peso del voto degli strumenti rispetto all’assemblea ordinaria. In tema di cooperativa è previsto che il voto degli strumenti finanziari partecipativi non può mai superare il terzo rispetto a quello dei soci.

- il legislatore avrebbe voluto dire che il diritto di voto non può mai avere una portata generale, ma che sia specifico di determinati argomenti. Ma se lo specifico argomento è l’approvazione del bilancio, votano anche i possessori degli strumenti finanziari partecipativi.

La legge non dispone neppure una proporzione massima fra strumenti partecipativi e quantità di azioni. Questo è grave perché potrebbe essere d’aiuto al fenomeno della sotto-capitalizzazione. Potrebbero trovare più comodo trovare apporti di patrimonio senza capitalizzarli, piuttosto che ricorrere alla capitalizzazione vera e propria.Questo è un buco nella legge perché un tetto forse andava previsto.

Altro problema è la tutela dei possessori di questi strumenti: solo la costituzione di un’assemblea speciale che ha come funzione unica che la sua deliberazione deve essere conforme alla deliberazione dell’assemblea dei soci che deliberi pregiudicando i diritti dei possessori dei strumenti finanziari.Manca una previsione, come accade per le obbligazioni, una previsione contro le modifiche alle condizioni del prestito; perché ci sono una serie di operazioni che la società potrebbe fare. L’assemblea speciale decide sulla codificazioni dei diritti finanziari.Soprattutto ci possono essere una serie di pregiudizi indiretti che non trovano tutela all’approvazione di diritti speciali che possono venire ad alterare nei fatti i diritti a favore degli strumenti finanziari.Ad esempio, un aumento a capitale gratuito che di fatto porta alla compressione dei diritti di strumenti: aumenta la distruzione di utili a capitale a discapito degli strumenti finanziari.

Non è previsto un diritto di recesso, anche in casi gravi, alla codificazione dell’oggetto sociale. Casi in cui i soci dissenzienti hanno diritto di recesso.

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Assenza di limiti all’emissione

Diritti patrimoniali

Diritti amministrativi

Il diritto di voto

Tutele per i possessori di tali strumenti

Ci possono essere pregiudizi che possono arrivare agli strumenti finanziari per effetto della gestione rovinosa da parte degli amministratori. Mentre i soci possono revocarli, i possessori di strumenti finanziari non hanno modo di incidere sugli amministratori.

Problema ultimo che va ripreso riguarda il rapporto fra la previsione dell’ultimo comma dell’art. 2356 e l’ultimo comma dell’art. 2311: bisogna isolare la fattispecie strumenti finanziari partecipativi dalla fattispecie azioni ed obbligazioni.

La distinzione sarebbe sterile: con l’elasticità che c’è con le categorie di azioni avrebbero più forti sul piano amministrativo o patrimoniale, o viceversa.L’unica possibilità per recuperare questa distinzione è far si che gli strumenti finanziari aperti dotati o meno diritti amministratori siano sempre emessi con apporto di rischio, con nessuna garanzia di restituzione dell’apporto, o meglio qualora si sia conservato.

Forse ci sono elementi ricavabili dalla legge per sostenere questa soluzione. Non c’è mai l’indicazione che lo statuto deve precedere la disciplina del ricorso;- si usa il termine “apporto” anziché prestito. E’ qualcosa che va a finire a patrimonio;- gli strumenti finanziari trovano la loro disciplina insieme alle azioni.Se questo quadro ha un senso allora la distinzione rispetto alle azioni è chiara.

Le obbligazioni, infatti, danno sempre restituzione all’apporto, anche se condizionata o subordinata. Sono trattati come i soci, non come gli obbligazionisti.Per distinguerli dalle azioni c’è solo un dato esteriore, cioè si tratterebbe di apporti che anche quando lo potrebbero essere non sono mai capitalizzati, perché sono strumenti e non capitale.La differenza sarebbe quindi solo esteriore.

In questa prospettiva con l’art. 2411 ultimo comma, questi prevedono comunque la restituzione di un rimborso.C’è una bella differenza fra obbligazioni e strumenti finanziari. Ma per limiti e altre previsioni dispone lo statuto:1) si cerca una ricostruzione del rapporto di tipo diverso: si arriva a dire che quando si creano

strumenti privi di poteri amministrativi e che attribuiscono (e magari condizionano) il diritto pieno al rimborso, si applica la disciplina sulle obbligazioni (art. 2411, c.3).

a. In questo caso bisognerebbe comunque stabilire un tetto all’emissione. Anche se non considerate obbligazioni con queste previsioni, bisogna applicare la norma sui tetti all’emissione ex art. 2412.

b. In tal caso deve essere inoltre costituita un’organizzazione di categoria dei titolari degli strumenti partecipativi, composta dall’assemblea e dal rappresentante comune.

2) se invece vi sono strumenti che non attribuiscono il diritto al rimborso, allora si applicherebbero le regole degli strumenti finanziari partecipativi.

In realtà, la pure moltiplicazione degli strumenti può causare confusione.

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La distinzione fra strumenti finanziari, azioni ed obbligazioni

Strumenti finanziari ed obbligazioni

5.2 Il patrimonio destinatoVi sono due modelli di patrimonio destinato.

Primo modello - Patrimonio destinato in senso proprio o modello operativo o organizzativoAll’interno del patrimonio complessivo della società, se ne isola una parte che viene separata e destinata in via esclusiva a svolgere uno specifico affare (una specifica operazione economica): un’operazione simile può servire come strumento di finanziamento, perché è possibile, quando si costituisce un patrimonio destinato, prevedere che questo patrimonio possa essere arricchito anche da apporti di terzi (società con propria soggettività o persone fisiche), con la possibile emissione a fronte di questi apporti di strumenti finanziaria partecipativi, come già accennato.Oltre che come strumento di finanziamento, esso può essere, assieme o in alternativa, uno strumento di collaborazione fra più società perchè ad esempio due società che si mettono d’accordo di costituire entrambe patrimoni destinati, è possibile creare un intreccio di partecipazioni reciproche (come strumento di collaborazione), una sorta di joint venture; oppure nell’ipotesi più semplice può essere un mezzo per compartimentare i rischi all’interno di una semplice società, in tal modo ciò può determinare una situazione per cui una certa operazione economica più rischiosa, la società destinando e separando una parte del patrimonio, al massimo rischia quella parte del patrimonio per quell’operazione e non risponde con il resto del patrimonio. Quindi presenta una molteplicità di opzioni:- strumento di finanziamento;- strumento di collaborazione;- strumento di limitazione di rischi.

Secondo modello - I finanziamenti destinatiAlla lettera b), si dice che la società può convenire che nel contratto operativo al finanziamento di uno specifico affare, al rimborso totale o parziale del finanziamento siano destinati i proventi dell’affare stesso.La fattispecie è molto semplice: la società ha bisogno di essere finanziata e adotta un finanziatore a cui dico: “ho un operazione in mente con buone prospettive di reddito”, ma nessuna garanzia: l’unica garanzia sono le prospettive di guadagno: “tutti i proventi che si realizzeranno dall’affare saranno in primo luogo destinato a rimborsarsi, sari preferito a tutti gli altri creditori. Non c’è alcuna separazione patrimoniale.E’ un modello finanziario, in cui non c’è all’inizio una destinazione di un patrimonio, ma c’è un’affare che viene finanziato da un terzo e sui proventi dell’affare si crea un patrimonio separato per garantire al terzo la restituzione del prestito. E’ quindi uno strumento pensato per facilitare l’accesso al credito per società che non sono in grado di offrire altri tipi di garanzie.

Nel primo caso, nel modello operativo, la separazione patrimoniale riguarda il patrimonio della società ed è una scissione entro societaria. La scissione è quel fenomeno opposto alla fusione per cui una società isola parte del suo patrimonio e la trasferisce ad un altra società di nuova costituzione o già esistente, in cui quindi si scorpora una parte del patrimonio.Il patrimonio destinato è analogo, ma con la differenza che il patrimonio destinato rimane all’interno della società e rimane in capo dello stesso soggetto che ha fatto l’operazione.Nel caso del modello finanziario, la separazione patrimoniale non riguarda il patrimoniale della società in quanto tale ma i proventi dell’operazione che non vanno a confondersi con il patrimonio della società.

5.3 I patrimoni destinati c.d. “operativi”

Nel senso proprio, la società costituisce una o più patrimoni destinati. Tale fenomeno di separazione del patrimonio è già ben noto prima della riforma. Storicamente fenomeni simili si sono trovati sempre nell’ambito del diritto civile, ad esempio per la famiglia, con un fondo patrimoniale della famiglia. Oppure in tema di successione, basti pensare al caso in cui il soggetto muore e il figlio accetta l’eredità con beneficio d’inventario. Se uno accetta l’eredità con beneficio, accetta l’eredità, ma risponde dei debiti solo col patrimonio attivo che mi arriva, e si mantiene separato il patrimonio del defunto rispetto al mio patrimonio.

Fenomeni di separazione patrimoniali si ritrovano in settori più vicini a noi, come nel TUF, con molti esempi di questi tipo, come l’art. 22, “nella prestazione dei servizi d’investimento

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Patrimoni destinati operativi - la ratio

Evoluzione storica del fenomeno

costituiscono patrimonio destinato a tutti gli effetti da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti: tutto viene raccolto dai clienti va a costituire patrimoni separati rispetto a quelli dell’intermediario e degli altri clienti: viene fatto per impermeabilizzare le singole operazioni, affinché non vengano travolte tutte.Nel caso di società costituite per la cartolarizzazione dei debiti: ogni cartolarizzazione va a costituire un patrimonio separato dagli altri.

La novità fondamentale della riforma è che la possibilità di creare patrimoni separati è diventato una possibilità concessa a tutte le società per azioni, e si caratterizza da una separazione patrimoniale che si fonda su un vincolo di destinazione. Qui c’è una destinazione patrimoniale in funzione dello svolgimento di una certa attività.

E’ importante, perché chiude un cerchio storicamente perché nell’ultimo tassello di un lungo cammino che era iniziato quando per la prima volta alle società azionarie era stata concessa la limitazione della responsabilità.In origine, il fenomeno della responsabilità limitata sorge con la Compagnia delle Indie (1600) nasce l’Società per azioni: si afferma la limitazione integrale della responsabilità e la società risponde delle sue obbligazioni sociali solo con il loro patrimonio, i soci non rispondevano, se non rischiando ciò che avevano conferito. Era un concessione fatta dal sovrano, che garantiva loro la responsabilità limitata.Il secondo passaggio del fenomeno è quando la responsabilità limitata non è più concessione straordinaria del sovrano, diventa un fatto ordinario e divengono ammesse le società anonime (chiamate così fino all’800) che godevano di per se della responsabilità limitata.Il passaggio successivo è la possibilità di costituire una spa con socio unico con responsabilità limitata.

Art. 2447-bis. Patrimoni destinati ad uno specifico affare.

1. La società può: a) costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare; b) convenire che nel contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo siano destinati i proventi dell'affare stesso, o parte di essi.2. Salvo quanto disposto in leggi speciali, i patrimoni destinati ai sensi della lettera a) del primo comma non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società e non possono comunque essere costituiti per l'esercizio di affari attinenti ad attività riservate in base alle leggi speciali.

La società per azioni può costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare (sia pur entro determinati limiti, c. 2).All’interno stesso della società è possibile creare un’ulteriore separazione patrimoniale. Il soggetto è diviso. In questo modo la società rende impermeabili le due parti del suo patrimonio indistintamente. Se viene destinato parte del patrimonio per una certa attività economica, di queste obbligazioni risponderà la società, ma solo con la parte del patrimonio destinata per quel specifico affare. Per le restanti obbligazioni, risponderà il patrimonio residuo.Nel caso l’affare vada male, i creditori dello stesso potranno aggredire solo quel patrimonio destinato: è il fenomeno della separazione patrimoniale. Allo stesso modo, gli altri creditori della società non potranno aggredire il patrimonio destinato.

“specifico affare” “specifico” perché l’operazione deve essere individuata, e potersi distinguere dalla residua attività della società.“affare” = è un termine già usato nell’ordinamento, ad esempio, quando la legge disciplina l’associazione in partecipazione: contratto con il quale soggetto attribuisce ad un altro soggetto una partecipazione agli utili; o ancora, “affare” si ritrova anche nella mediazione: il mediatore ha diritto ad una provvigione per gli affari che mette in moto.“affare” individua un’insieme coordinato di atti giuridici (operazione economica) tali da rendere possibile la produzione di un utile. Si distingue l’ “impresa” da un “affare”, perché l’affare è un operazione economica in se conclusa che ha un inizio e una fine. E’ un’attività coordinata.

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La disciplina

“specifico affare”

Il problema è capire se la legge per il patrimonio destinato ha inteso “affare” in quest’ultimo senso. Ritorna il problema delle azioni correlate: particolare categorie di azioni che la legge consente di introdurre nello statuto della società, secondo cui queste azioni partecipano ai risultati di un settore dell’attività svolta dalla società.La legge ha voluto riservare quella separazione contabile quando si fanno azioni correlate ad un settore, o quando si vuole destinare una componente patrimonio ad un affare: sono interscambiabili “settore” e “affare”?

Il legislatore ha dato vita a questa fattispecie di patrimonio destinato perché vuol favorire la creazione di patrimoni impermeabili senza necessità di costituire nuove società, forse il legislatore ha voluto l’uso più largo possibile di questo strumento.Questo vuol dire, secondo alcuni, che si può destinare parte del patrimonio non solo in ragione di un affare, ma anche di un ramo d’azienda: questa posizione è dubbia.

Si dice che l’istituto del patrimonio destinato non è alternativo alla creazione di una spa. In passato era possibile costituire una nuova società o deliberare una scissione: quindi con questo strumento c’è un favor legis verso questo istituto per non moltiplicare il numero di società per limitare il rischio d’impresa.

Il limite che rimane sempre è l’oggetto sociale. Siccome non creiamo nuovi soggetti e rimane la società: è necessario che l’attività che si vuol esercitare col patrimonio destinato sia qualcosa che sia entro l’oggetto sociale della società, non si possono superare i limiti dell’oggetto sociale. Altrimenti l’unica possibilità per uscire dall’oggetto sociale è cambiare l’oggetto sociale con modifica statutaria, o costituire una nuova società.

Questa possibilità di dar vita a patrimoni destinati ha due limiti:- un limite quantitativo;- un limite che concerne l’oggetto dell’attività.

Il limite quantitativo

Art. 2447 bis, c. 2: salvo quanto disposto da leggi speciali, il patrimonio destinato ai sensi della lettera a) (modello operativo) non può essere costituito per un valore complessivamente superiore al 10% del patrimonio netto della società [...].

C’è un limite che è dato dal 10% del patrimonio della società che riguarda solo la prima ipotesi dell’operazione. Tale limite non è ben compreso, in quanto costituisce un freno allo sviluppo di questo strumento. Per il patrimonio destinato del secondo tipo non ci sono limiti, perché non c’è nessuna separazione iniziale del patrimonio della società, riguarderà solo ciò che si guadagna con l’affare. L’unico dubbio potrebbe riguardare il momento in cui calcolare il valore del patrimonio netto per determinare il 10%: è l’ultimo bilancio approvato (come per l’emissione delle obbligazioni) o il momento in cui viene costituito il patrimonio destinato? Inoltre non è prevista alcuna relazione patrimoniale prima di effettuare l’operazione. La soluzione è che devono essere gli amministratori a stabilire il momento.

Al patrimonio destinato si possono trasferire passività o anche attività? La soluzione cambia radicalmente ciò che si può trasferire. Se si possono spostare anche passività, ipotizzando una società che ha un patrimonio di 100 con debiti di 900, si potrebbe stabilire un valore di patrimonio separato con 10 di PN e 900 di debiti: di fatto ho spostato tutti i debiti al patrimonio destinato. Se invece si possono destinare solo attività al patrimonio separato, si potrà spostare solo 10. Sono situazioni radicalmente diverse.Entrambe queste tesi hanno argomenti a loro favore:

1. L’assegnazione anche di passività viene giustificata con i seguenti argomenti: se l’obiettivo è rappresentare un’alternativa alla costituzione della nuova società è chiaro si possono conferire anche debiti, purché il saldo sia sempre attivo; e ancora, altro argomento, è che nell’art. 2347 ter dove si indica il contenuto della deliberazione del patrimonio destinato, fra le deliberazioni, si parla di indicazione di beni e di rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinato. Un

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Il limite quantitativo

Cespiti (attivi o passivi) trasferibili

rapporto giuridico può essere sia passivo che attivo: nulla impedirebbe che venissero assegnate anche passività e non solo attività.

2. I sostenitori ella tesi più rigorosa: l’effetto dell’ammettere passività al patrimonio destinato sarebbe che alcuni creditori si vedrebbero restringere la loro garanzia solo al patrimonio destinato (1) e verrebbe svuotato il limite del 10% del capitale che la legge che potuto prevedere (2): di fatto di potrebbe destinare la totalità delle passività.

3. Qualcuno ha posizioni intermedie, ossia che il limite del 10% vada calcolato solo sulle attività e non sulle passività.

Questo rapporto 1 a 10 viene imposto dalla legge solo all’atto di costituzione del patrimonio destinato: non è previsto nulla nel caso in cui il rapporto muti successivamente. Il caso è diverso dal capitale sociale, dove la legge ex art. 2413 predispone dei meccanismi di riduzione del patrimonio per perdite: sono meccanismi di tutela del rapporto sociale.Nel patrimonio destinato il vincolo c’è nel momento della costituzione, ma poi le vicende successive potrebbero mutare il rapporto.

Il rapporto di 1 a 10 va comunque valutato complessivamente, sull’insieme dei patrimoni destinati costituiti successivamente: la società infatti può costituire uno o più patrimoni destinati. Il limite va rapportato all’insieme dei patrimoni destinati. L’ultimo patrimonio netto destinato costituito deve rimanere all’interno del rapporto 1 a 10. Si dovrà tener conto del netto della società, scontando i patrimoni già costituiti: dovrà sottrarre al PN della società le componenti già destinati e sul residuo calcolare il 10%;I patrimoni inoltre vanno calcolati sul valore attuale e non su quello contabile. Nel momento in cui si costituisce un nuovo patrimonio si dovrà valutare, per restare entro il 10%, ai valori reali del patrimonio della società e dei patrimoni destinati.

Il primo limite è quello quantitativo ed è molto rigoroso, se si ritiene che non si possano assegnare anche passività.

Il limite che concerne l’oggetto dell’attività

L’art. 2347 bis c.2 (secondo limite): non possono comunque essere costituiti per l'esercizio di affari attinenti ad attività riservate in base alle leggi speciali.L’attività bancaria è riservata a determinati soggetti con precise autorizzazioni. La creazione di patrimonio destinato non può essere costituito per aggirare queste riserve di legge. Inoltre, rimanendo sempre unico il soggetto, l’affare non può mai essere fuori dall’oggetto sociale. Se non è l’oggetto sociale svolgere attività bancaria, non si potrà svolgerla con un patrimonio destinato.In questo caso la costituzione del patrimonio destinato sarebbe nulla, per violazione di legge di modifica dell’oggetto sociale.

La costituzione del patrimonio destinato

Tutti questi articoli sono destinati al primo modello di patrimonio destinato, salvo l’ultimo comma decies.

Art. 2447-ter. Deliberazione costitutiva del patrimonio destinato.

1. La deliberazione che ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 2447-bis destina un patrimonio ad uno specifico affare deve indicare:a) l'affare al quale è destinato il patrimonio; b) i beni e i rapporti giuridici compresi in tale patrimonio;c) il piano economico-finanziario da cui risulti la congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell'affare, le modalità e le regole relative al suo impiego, il risultato che si intende perseguire e le eventuali garanzie offerte ai terzi;d) gli eventuali apporti di terzi, le modalità di controllo sulla gestione e di partecipazione ai risultati dell'affare;e) la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione all'affare, con la specifica indicazione dei diritti che attribuiscono;

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Modifiche successive del limite

Il limite sull’oggetto dell’affare

f) la nomina di un revisore legale o di una società di revisione legale per la revisione dei conti dell'affare, quando la società non è già assoggettata alla revisione legale ;(1)g) le regole di rendicontazione dello specifico affare.2. Salvo diversa disposizione dello statuto, la deliberazione di cui al presente articolo è adottata dall'organo amministrativo a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

Ex art. 2447 ter, c.2, salvo diverse disposizioni dello statuto, la deliberazione di costituzione di patrimonio destinato è adottata dall’organo amministrativo a maggioranza assoluta dei suoi componenti: c’è la competenza naturale dell’organo amministrativo.

Quando c’è un Consiglio di amministrazione ed è costituito con la maggioranza dei componenti, ma vota a maggioranza semplice: questa è la regola generale; mentre in questo caso è necessaria la maggioranza assoluta: si richiede una maggioranza rafforzata rispetto a quella ordinaria.

La legge poi non richiede che la possibilità di costituire patrimoni destinati sia presente in statuto: il regime è lo stesso per l’emissione di obbligazioni: anche se lo statuto non dispone nulla. Mentre per gli strumenti finanziari partecipativi è possibile emetterli, solo se previsto dallo statuto.Si accentua anche per questa via la centralità dell’organo amministrativo nella gestione della società.

La legge fa salva la possibilità di una diversa previsione dello statuto e sarà possibile prevedere che la competenza sia assegnata all’assemblea, sia ordinaria che straordinaria, anche se si può discutere. Ciò che non si può prevedere statuariamente, è modificare i quorum previsti. E’ pacifico che quell’espressione “salvo diversa previsione” non può riguardare la decisione in Consiglio di amministrazione secondo un quorum ordinario, non sarebbe lecito.

Art. 2447-quater.Pubblicità della costituzione del patrimonio destinato.

1. La deliberazione prevista dal precedente articolo deve essere depositata e iscritta a norma dell'articolo 2436.2. Nel termine di sessanta giorni dall'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese i creditori sociali anteriori all'iscrizione possono fare opposizione. Il tribunale, nonostante l'opposizione, può disporre che la deliberazione sia eseguita previa prestazione da parte della società di idonea garanzia.

La deliberazione deve avere un contenuto che la legge dettaglia in modo complesso. Questa deliberazione in forza dell’art. 2447 quater impone che la deliberazione sia depositata ed iscritta nel Registro delle imprese: a legge applica alla costituzione di un patrimonio destinato lo stesso iter le modificazioni statutarie. La delibera va verbalizzata da un notaio, questo verifica le condizioni di legge e poi iscrive la delibera nel Registro delle imprese. Il verbale è redatto al notaio e anche il controllo che egli fa è lo stesso per la modifica dello statuto: vi è un’integrale applicazione dell’art. 2436. Anche il controllo della legittimità della deliberazione è in capo al notaio, in modo che sia conforme all’art. 2447 ter. Il notaio deve controllare “che siano state rispettate le previsioni di legge”: che abbia i contenuti di legge, rispettati i limiti.

La separazione patrimoniale diventa produttiva di effetti solo dopo che siano decorsi 60 giorni.L’effetto che si vuole raggiungere dalla costituzione del patrimonio destinato, la sia ha con il passaggio di due mesi dal momento in cui la deliberazione viene iscritta nel Registro delle imprese, e questo ritardo nella produzione degli effetti (normalmente le delibere prendono effetto dal momento dell’iscrizione nel Registro delle imprese) deriva dal fatto che per delibere più delicate, l’effetto è differito. Ad esempio, la delibera di riduzione effettiva del capitale sociale non diviene efficace e non può venire eseguita. Tale previsione è giustificata poiché la legge concede un termine superiore (60 giorni) ai creditori anteriori per opporsi al tribunale alla costituzione. Il tribunale potrà disporne l’esecuzione previa prestazione da parte della società di un’idonea garanzia.Anche in casi di delibera di fusione e scissione bisogna lasciare un margine di tempo per l’opposizione dei creditori sociali.

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La competenza

Forma, iscrizione nel RdI e controllo della delibera

“maggioranza assoluta”

Previsione dello statuto

Diversa previsione dello statuto in merito alla competenza

Effetto differito

L’art. 2447-ter, c. 1 prevede inoltre in seguente contenuto della delibera:

a) nella lettera a) si indica l’affare al quale è destinato il patrimonio;

b) beni e rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinato (che fa pensare che anche passività possano passare al patrimonio destinato): non devono avere particolari qualità, non è necessario che ciò che viene separato debba essere utilizzato per l’affare specifico. L’affare può comunque essere realizzato utilizzando i beni della società. La legge parla di beni e di rapporti giuridici senza parlare di beni organizzati!La genericità di ogni bene o rapporti giuridici è trasferibile, non c’è alcun limite salvo per quanto già detto per le passività.

c) deve essere contenuto il piano economico finanziario “da cui risulti la congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell'affare, le modalità e le regole relative al suo impiego, il risultato che si intende perseguire e le eventuali garanzie offerte ai terzi”.

Tale piano finanziario va allegato alla delibera di costituzione.Bisogna che ci sia una relazione, un piano economico finanziario che individui i risultati economici che si attende dallo svolgimento dell’affare.

Il rapporto di congruità delle risorse: concetto introdotto solo in tal caso, ma non quando si costituisce una società (eccetto il limite minimo dei capitali). In tal caso è necessario dimostrare che i mezzi siano congrui: questo perché il patrimonio destinato non ha un capitale minimo, mentre nella società c’è un meccanismo di tutela di integrità del capitale. Nulla di tutto questo c’è per il patrimonio destinato. Non è necessaria un stima di un terzo, è un operazione che si svolge all’interno della società.Questa valutazione va fatta all’inizio e non c’è alcun strumento di controllo, almeno che, quando l’affare diventi impossibile, la legge stabilisce le regole per la cessazione della destinazione patrimoniale. La legge non impone nessun controllo del mantenimento del rapporto di congruità fra risorse.

Per “le modalità e le regole per l’impiego di questo patrimonio”: disposizione strana perché il patrimonio destinato deve essere utilizzato in via esclusiva per la realizzazione dell’affare. E’ una disposizione sovrabbondante.

Infine, deve contenere eventuali garanzie offerte ai terzi.

d) nella deliberazione devono essere indicati gli eventuali apporti di terzi, le modalità di controllo sulla gestione e di partecipazione ai risultati dell'affare; l’affare può essere perseguito solo con i mezzi della società, ma si può prevedere che anche terzi apportano mezzi a riguardo e ciò può avvenire in una sorta di “associazione in partecipazione”: operazione per cui a qualcuno in cambio di un apporto viene attribuito una partecipazione agli utili.

e) la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione all'affare, con la specifica indicazione dei diritti che attribuiscono;

L’apporto di terzi non deve rimanere nel limite del 10% del patrimonio netto della società. Per agevolare la raccolta di fondi di terzi, è anche possibile l’emissione di strumenti finanziari di partecipazione destinati allo specifico affare, con indicazione dei diritti che attribuiscono.Inoltre, deve essere nominato un revisore legale o una società di revisione legale, quando la società non è assoggettata a revisione legale.

Questo apporto di terzi deve essere documentato come con l’emissione di strumenti finanziari partecipativi, a fronte di apporti che possono essere conferiti anche apporti di opera o servizi. La legge può prevedere che a fronte di questi apporti vengano emessi strumenti finanziari parteciparti.E’ possibile un conferimento al patrimonio destinato che riguarda solo il patrimonio destinato e quell’operazione.Gl amministratori costituiscono il patrimonio destinato e possono contrattare che i terzi possano apportare qualcosa a fronte di una partecipazione agli utili con una remunerazione di rischio: non è necessario alcuna modifica dello statuto.Gli apporti di terzi non si devono conteggiare nel calcolo del limite del 10%.

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Il piano economico finanziario

Strumenti finanziari partecipativi

Il contenuto della delibera

La legge è oscura sui diritti che possono essere attribuiti a questi strumenti. Quando ci sono strumenti finanziari partecipativi devono essere previsti degli apporti.Non si parla di diritti amministrativi, ma si dice nella lettera d) che si debbano indicare le modalità di controllo sulla gestione affidata ai terzi: oltre a questi eventuali potere di controllo, qualcuno sostiene che i diritti amministrativi sarebbero attribuibili solo in ragione all’affare, ad esempio, per determinate autorizzazioni in relazione a operazioni particolari nell’ambito della gestione dell’affare.

La legge prevede in maniera più dettagliata una disciplina di questi strumenti: prevede un’organizzazione della categoria, prevedendo un’assemblea speciale e un rappresentante comune. Viene copiata la disciplina delle obbligazioni da questo punto di vista. Quando vengano emessi strumenti di partecipazione all’affare, si prevede che venga emesso un nuovo libro sociale.

Ci siamo chiesti se accanto ai diritti patrimoniali, se gli strumenti finanziari possano essere dotati anche di diritti amministrativi. Quando una legge parla di strumenti finanziari rappresentativi, la legge dice che sono dotati di diritti patrimoniali o amministrativi, nel l’art. 2347 ter, si parla di strumenti partecipativi, senza parlare di altri diritti amministrativi, che devono comunque riguardare soltanto lo svolgimento dell’affare specifico e non l’intera vita della società in quanto tale.

Siccome la legge prevede alla lettera d) che si debbano prevedere le modalità di controllo della gestione di terzi, è ovvio che se siano emessi strumenti finanziari, il possessore avrà diritto di esercitare questi poteri di controllo nei confronti dei terzi che abbiano effettuato apporti.La legge prevede anche un’organizzazione particolare di categoria e un libro per gli strumenti finanziari di partecipazione.

f) la nomina di un revisore legale o di una società di revisione legale per la revisione dei conti dell'affare, quando la società non è già assoggettata alla revisione legale;

Nella delibera deve essere contenuta la nomina di un revisione legale o di una società di revisione legale, quando la società non sia sottoposta a revisione legale. Se la società non è sottoposta ad un regime di revisione legale, se si costituisce un patrimonio destinato, è necessario comunque individuare un revisione sterno, che sia una persone fisica o una società di revisione. C’è un obbligo nel caso la società non sia già sottoposta alla regime di revisione.

g) le regole di rendicontazione dello specifico affare.

Alla lettera g), devono essere poi indicare le regole di rendicondazione dello specifico affare. Si parla dell’aspetto sulla contabilità del patrimonio destinato. Questo è il contenuto obbligatorio o eventuale (nel caso siano emessi strumenti finanziari partecipativi).

E’ l’organo di gestione, quindi incaricato ad emettere tali strumenti finanziari partecipativi, con maggioranza assoluta dei componenti e non dei presenti, come prevede la regola generale.

L’atto di delibera ha la funzione di tutela dei creditori sociali: quando si delibera l’istituzione del patrimonio destinato, si separa una parte del patrimonio sulla quale i creditori sociali non potranno più rivalersi: è evidente che i possessori sono pregiudicati, perché nel momento in cui si consolida il patrimonio destinato, la garanzia diminuisce. Non c’è molta differenza rispetto a quanto accade quando la società riduce il capitale in modo effettivo. Dato 100 in patrimonio, dopo l’operazione sarà inferiore. Lo stesso effetto si determina nei confronti dei creditori quando si costituisce un patrimonio destinato.

Ecco allora che la legge prevede in primo luogo che la deliberazione deve essere depositata a norma di quanto previsto per le modifiche statutarie, anche se tale istituzione non è una modificazione statutaria: la delibera deve essere verbalizzata dal notaio, subire controllo notarile e iscrizione della deliberazione nel Registro delle imprese (pubblicità legale necessaria).

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Nomina di un revisore o società di revisione legale

Regole di rendicontazione

Diritti attribuibili ai titolari di tali strumenti

Tutela per i creditori anteriori

Al secondo comma, entro il termine dei 60 giorni, i creditori sociali anteriori all’iscrizione della delibera nel Registro delle imprese, i creditori sociali possono fare opposizione al tribunale: la delibera è sospesa nella sua efficacia perché si deve dare tempo ai creditori sociali di fare opposizione; stessa cosa accade nell’ipotesi di delibera di riduzione del capitale effettivo, per dar modo anche in tal caso ai creditori di fare opposizione. In tal senso sono solo i creditori anteriori a dover fare opposizione. Evidentemente un creditore che diventi tale dopo l’iscrizione nel Registro dell’imprese, si presume essere a conoscenza (o fosse conoscibile) il fatto nuovo dell’istituzione del patrimonio destinato, quindi sulla base di un patrimonio già decurtato. L’esigenza di tutela quindi c’è solo per i creditori anteriori.

La legge aggiunge ancora che, nonostante l’opposizione, il tribunale può disporre che sia data esecuzione all’operazione, previa reale garanzia prestata dalla società nei confronti dei creditori oppositori.L’opposizione non blocca l’operazione, perché se la società presta reali garanzie nei confronti dei creditori oppositori, il tribunale può reputare tale garanzia idonea, e dar corso all’operazione, al di la se l’operazione in sè sia o meno idonea.

Ex art. 2445, invece, il tribunale può dar corso all’operazione non solo quando la società abbia prestato idonea garanzia, ma anche quando non esista il fumus di un pericolo di pregiudizio.In caso di istituzione di patrimonio, Il tribunale invece dovrà valutare solo se vi sia o no pregiudizio per i creditori, e non il fumus.

Il tribunale verificherà l’idoneità della garanzia offerta dalla società, che riguarda i soli creditori che fanno opposizione, mentre quelli che non fanno opposizione si ritiene si sentano sufficientemente tutelati.

Art. 2447-quinquiesDiritti dei creditori.

1. Decorso il termine di cui al secondo comma del precedente articolo ovvero dopo l'iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento del tribunale ivi previsto, i creditori della società non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare né, salvo che per la parte spettante alla società, sui frutti o proventi da esso derivanti.2. Qualora nel patrimonio siano compresi immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, la disposizione del precedente comma non si applica fin quando la destinazione allo specifico affare non è trascritta nei rispettivi registri.3. Qualora la deliberazione prevista dall'articolo 2447-ter non disponga diversamente, per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato. 4. Resta salva tuttavia la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito.5. Gli atti compiuti in relazione allo specifico affare debbono recare espressa menzione del vincolo di destinazione; in mancanza ne risponde la società con il suo patrimonio residuo.

Superato questo ostacolo e solo una volta superato questo ostacolo (la sospensione di 60 giorni o anche per un tempo più a lungo nell’attesa si pronunci il giudizio di opposizione), solo dopo si determinano gli effetti della costituzione del patrimonio destinato, disciplinati nell’art. 2447 quinques. La separazione patrimoniale si sostanzia in due aspetti speculari:

1) da un lato nella regola che i creditori generali della società non possono far valere più alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare, ne sui beni ne sui proventi cui si riferisce al patrimonio destinato, ne sui frutti o proventi da esso derivanti, salvo tali proventi spettino alla società. I creditori sociali per la soddisfazione dei loro crediti avranno soddisfazione solamente sulla parte restante del patrimonio, e neppure sui proventi maturati dal patrimoni destinato, salvo per la parte dei proventi destinati alla società stessa. Tale vincolo di destinazione riguardante beni immobili o mobili registrati deve però essere trascritto nei rispettivi registri, e non opera prima della realizzazione di tale pubblicità.

2) specularmente a questo, c’è la regola che i creditori particolari possono rivalersi dei loro creditori unicamente nel limite di ciò che va a istituire il patrimonio destinato, salvo la delibera di costituzione non stabilisca diversamente.

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La decisione del tribunale

Separazione patrimoniale

Perchè la separazione patrimoniale operi, è necessario però che gli atti compiuti in relazione allo specifico affare rechino espressa menzione del vincolo di destinazione. In mancanza, ne risponde la società con il suo patrimonio generale.

L’effetto è creare un’impermeabilità fra due patrimoni, ma la differenza avviene all’interno di un unico soggetto: nell’ambito di un unico soggetto si possono avere due patrimoni, i creditori maturati nell’esercizio dell’affare specifico potranno rivolgersi solo al patrimonio dell’affare.

Vi sono però delle eccezioni importanti:

a) eccezione convenzionale a questa permeabilità ex 2447 quinquies, è possibile che la stessa deliberazione di istituzione del patrimonio destinato preveda una responsabilità della società anche nella parte restante del patrimonio per tutte o per alcune delle operazioni svolte nella gestione dello specifico affare: c’è una responsabilità sussidiaria della società rispetto a tutte o una parte delle obbligazioni svolte nell’esercizio dell’affare speciale. Tale responsabilità sussidiaria opera solamente a favore dei creditori sorti nell’esercizio del patrimonio destinato: se questo è stabilito nella delibera del patrimonio destinato. Dall’altra parte, i creditori sociali continueranno a poter soddisfarsi solo sul restante patrimonio, avendo in più la concorrenza anche dei creditori particolari: saranno quindi più pregiudicati. Ciò è vero, si ribadisce, solo nell’eventualità che vi sia una specifica previsione in tal senso nella delibera del patrimonio destinato.

b) in ogni caso, infatti, non può mai essere esclusa la responsabilità illimitata della società con tutto il suo patrimonio per le obbligazioni derivanti da fatto illecito, ovvero quelle che derivano dalla violazione dell’art. 2043 e seguenti (un dipendente della società investe un passante e fa sorgere una responsabilità extra contrattuale da fatto illecito e fa nascere un credito): questo credito che deriva da fatto illecito, la responsabilità della società è generale con tutto il suo patrimonio. Siamo di fronte a creditori involontari. Se un soggetto fa un mutuo nei confronti del patrimonio destinato della società, è gusto che basti la responsabilità del patrimonio destinato, ma quando la responsabilità sorge da fatto involontario, in tal caso è giusto che la società risponda con tutto quanto abbia a disposizione. Questa è una regola di generale applicazione, soprattutto nell’ordinamento americano. La regola per cui creditori che nascono da fato illecito e ci sarebbero altre ipotesi sorte non da obbligazioni da fatto illecito, ma che comportano un’involontarietà nell’assunzione del creditori: ma è dubbio se tale responsabilità generale opera che per quest’ultime.

c) ancora, può esserci responsabilità generale della società se negli atti compiuti nello specifico affare non si fa menzione del vincolo di destinazione. C’è si la pubblicità nel Registro dell’imprese, ma la legge rinforza la pubblicità. Se la società conclude un contratto relativo allo svolgimento dello specifico affare, deve sempre dichiarare e menzionarlo nel contratto il vincolo di destinazione, rendendo edotto il terzo con cui sto concludendo il contratto, che le obbligazioni non saranno garantite da tutto il patrimonio, ma solo dal particolare patrimonio destinato. Non basta l’indicazione nel Registro delle imprese, ma non si può scaricare nel terzo capire se quello specifico contratto riguarda l’affare destinato o l’attività generale della società.

d) Sull’altro versante del diritto esclusivo dei creditori particolari di soddisfarsi sui beni del patrimonio destinato, la legge prevede che nell’ambito della separazione patrimoniale, se nella separatezza patrimoniale siano compresi beni immobili o beni mobili registrati, la legge prevede che la separazione operi solo quando il vincolo di destinazione venga trasferito nei registri pubblici (registri immobiliari), altrimenti tale vincolo non sarebbe opponibile per il creditore in buona fede. La legge dice che questo vincolo per cui questi beni vanno a costituire un patrimonio destinato è vero solo quando si è fatta un’adeguata pubblicità nei registri pubblici, perché altrimenti non si può opporre al terzo, quindi il creditore potrebbe presumere faccia parte della società generale.

e) I creditori generali non solo non possono rivalersi sulla parte del patrimonio destinato allo specifico affare, ma neppure sui proventi dello specifico affare, “se non i proventi non siano destinati allo specifico affare”. Se non c’è specificazione, si presume tutti i proventi vadano allo specifico affare, come l’assegnazione degli utili. Soltanto nell’eventuale eccedenza ritornerà in favore della società. Bisogna verificare cosa prevedere la delibera di istituzione del patrimonio destinato, perché può anche essere previsto che gli utili che spetterebbero agli affare della società una volta soddisfatti i terzi, devono essere rinvestiti nel patrimonio destinato. Anzi, secondo alcuni, fino alla realizzazione dell’affare tutti gli utili andrebbero reinvestiti nel patrimonio destinato. E’ bene che sia la delibera a decidere la destinazione dei proventi.

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Menzione del vincolo negli atti

Eccezioni alla separazione patrimoniale

f) Si possono determinare varie situazioni: nel caso in cui la società generale abbia avuto utili, e l’affare perdite. L’utile prodotto della società non sarà ridotto dall’affare, e potrà essere distribuito. Le perdite del patrimoni destinato, a sua volta, rimarranno all’interno del patrimonio destinato.

Art. 2447-sexies. Libri obbligatori e altre scritture contabili.

1. Con riferimento allo specifico affare cui un patrimonio è destinato ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 2447-bis, gli amministratori tengono separatamente i libri e le scritture contabili prescritti dagli articoli 2214 e seguenti. Qualora siano emessi strumenti finanziari, la società deve altresì tenere un libro indicante le loro caratteristiche, l'ammontare di quelli emessi e di quelli estinti, le generalità dei titolari degli strumenti nominativi e i trasferimenti e i vincoli ad essi relativi.

Abbiamo più volte citato che l’istituzione del patrimonio destinato ha implicazioni sul piano contabile della società: articoli 2447 sexies e septies.La legge stabilisce che gli amministratori della società quando sia istituito un patrimonio destinato, devono tenere separatamente libri e scritture obbligatorie e nel bilancio della società dovranno essere distintamente indicati i beni e i rapporti compresi in ciascun patrimonio: c’è una duplicazione delle scritture contabili obbligatorie che devono essere tenute separate fra l’attività generale e l’affare specifico. Ciò significa che per ogni singolo patrimonio destinato, vi sarà un libro specifico, ecc.Quindi c’è un notevole appesantimento, perché tante scritture conta il obbligatorie. E’ necessario tenere tante scritture contabili, quanti sono i patrimoni destinati. Se la legge voleva attraverso l’introduzione dei patrimoni destinati consentire un strumento più semplice, non c’è alcun vantaggio.

Rispetto al libro degli inventari del patrimonio destinato, i beni dovranno essere valorizzati con lo stesso criterio dei quelli dell’attività generale, e il patrimonio destinato non può divenire un mezzo di rivalutazione dei beni. Essi dovranno comunque essere indicati in nota integrativa.

Inoltre, continua il secondo comma, qualora siano emessi strumenti finanziari, la società deve altresì tenere un libro indicante le loro caratteristiche, l'ammontare di quelli emessi e di quelli estinti, le generalità dei titolari degli strumenti nominativi e i trasferimenti e i vincoli ad essi relativi.

Art. 2447-septies. Bilancio.

1. I beni e i rapporti compresi nei patrimoni destinati ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 2447-bis sono distintamente indicati nello stato patrimoniale della società.2. Per ciascun patrimonio destinato gli amministratori redigono un separato rendiconto, allegato al bilancio, secondo quanto previsto dagli articoli 2423 e seguenti.3. Nella nota integrativa del bilancio della società gli amministratori devono illustrare il valore e la tipologia dei beni e dei rapporti giuridici compresi in ciascun patrimonio destinato, ivi inclusi quelli apportati da terzi, i criteri adottati per la imputazione degli elementi comuni di costo e di ricavo, nonché il corrispondente regime della responsabilità.4. Qualora la deliberazione costitutiva del patrimonio destinato preveda una responsabilità illimitata della società per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare, l'impegno da ciò derivante deve risultare in calce allo stato patrimoniale e formare oggetto di valutazione secondo criteri da illustrare nella nota integrativa.

E’ pur vero tuttavia che il soggetto titolare rimane unico, e i dati della contabilità separata dovranno confluire in quella generale.Nella nota integrativa del bilancio della società, gli amministratori devono illustrare il valore e la tipologia dei beni e dei rapporti giuridici compresi in ciascun patrimonio destinato, ivi inclusi quelli apportati da terzi, i criteri adottati per la imputazione degli elementi comuni di costo e di ricavo, nonché il corrispondente regime della responsabilità (comma 3).

Un problema importante è l’imputazione dei costi comuni: è probabile che molti dei costi siano sostenuti nello svolgimento dell’attività generale che nell’affare specifico. Ad esempio, i servizi amministrativi: ma come vengono imputati? Ex art. 2447 septies, c. 3 si prevede che gli amministratori, nella nota integrativa, devono mostrare i criteri d’imputazione dei costi comuni.

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Libri contabili e scritture separati

Libro per gli strumenti finanziari

Costi comuni

In qualche modo, le somme destinate a patrimonio destinato, e concorrerà in qualche modo anche all’attività generale. Quindi fra questi costi sorgerebbe una sorta di “credito” fra i due patrimoni e per queste voci la società concorre per avere indietro le spese sostenute.Altrimenti i conti non tornerebbero.

La legge poi non si ferma a questo e prevede, al secondo comma che, per ciascun patrimonio destinato, gli amministratori redigono un separato rendiconto, allegato al bilancio, secondo gli art. 2423 e seguenti (comma 2). Il rendiconto per ogni patrimonio, è un vero e proprio bilancio relativo all’affare specifico, e deve essere composto quanto meno da Stato patrimoniale e Conto economico; non occorre una distinta Nota integrativa per il patrimonio destinato, perché al 2447 septies al c.3 è previsto che nella nota integrativa del bilancio generale gli amministratori devono mostrare e beni e rapporti, crediti, regime di responsabilità ecc: le notizie contenute nella nota integrativa sono già contenute nella nota integrativa generale e non c’è necessità di un’ulteriore nota integrativa specifica. Altro peso ulteriore.

Nello stato patrimoniale del bilancio generale, i beni e i rapporti (cespiti e i crediti o altro)nell’attivo dello Stato patrimoniale devono essere indicati quali, fra queste voci, sono compresi nel patrimonio destinato (comma 1).

Problemi specifici si pongono quanto alla contabilizzazione degli apporti di terzi: si tratterà di considerare la natura degli apporti e il titolo di quest’ultimi. - vi potrebbero essere apporti in denaro, di beni e proprietà e, in tal caso, avremmo che questi beni

vanno ad integrare la componente attiva della società e al passivo andrà costituita una riserva corrispondente;

- potrebbero essere beni in puro godimento: all’attivo andrà solo al capitalizzazione del bene del terzo attribuito alla società.

- siccome questi apporti non vanno a capitale, possono trattarsi di prestazione di opera o servizi (non c’è il limite come nell’art. 2242).

Ma si potrebbe anche ipotizzare che in realtà gli apporti di terzi non siano a patrimonio della società, ma che siano apporti con diritto alla restituzione, ovvero apporti di capitale di credito e non di rischio: molti sostengono che nulla escluderebbe un apporto con diritto alla restituzione “come fossero obbligazionisti”. In tal caso, al passivo, c’è una posta di diritto reale ala restituzione. Se invece l’apporto va ad integrare l’attivo, va inserita una specifica riserva.

La legge prevede che va data indicazione separata nello Stato patrimoniale, indicazione di beni e rapporti separati, ma non parla del conto economico. Ma in quest’ultimo potrebbe essere inserito solo un saldo attivo e passivo dello specifico affare, oppure anche per quanto riguarda il Conto economico andrebbe inserita una specifica voce per ogni componenti.

Il problema che si deve porre sull’istituzione del patrimonio destinato è in relazione alla conservazione del patrimonio sociale. Nel momento in cui viene costituito il patrimonio destinato, la legge prescrive soltanto che il patrimonio destinato non superi il 10% del patrimonio della società, senza una distinzione fra capitale e riserve e, quindi in teoria nulla impedirebbe che sia destinata a patrimonio destinato appunto, una parte del capitale sociale: potremmo avere una società che come netto ha solo capitale sociale, e non riserve e che tuttavia questi 10% del capitale sociale a patrimonio destinato, con l’effetto che una parte del capitale verrebbe sottratta ai creditori sociali: ragion per cui qualcuno ha sostenuto che il limite del 10% sarebbe stato meglio parametrarlo sulle voci di netto diverse dal capitale sociale. Ma questo non crea particolari problemi.

E’ nel corso della vita della società che può creare qualche problema in relazione al capitale sociale, soprattutto nel caso di perdite della società. Se il capitale sociale risulta intaccato, assorbito dalle perdite per oltre un terzo del suo valore, la legge impone di ridurre obbligatoriamente il capitale sociale in ragione delle perdite.Se c’è un patrimonio destinato, qual’è la soglia che determina l’obbligo di riduzione? Ad esempio, abbiamo un capitale di 1000 di cui 100 a patrimonio destinato; e c’è una perdita di 320 con

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Rendiconto separato

Beni e rapporti per il patrimonio destinato

L’imputazione degli apporti dei terzi

L’apporto dei terzi a titolo di credito

Il calcolo del limite del 10% del capitale

patrimonio destinato che rimane intatto. Siamo nella fattispecie che obbliga a ridurre il capitale sociale di un terzo? Quindi 320 non saremo ancora nell’ipotesi di riduzione obbligatoria del capitale: ma dobbiamo considerare il patrimonio al netto del patrimonio destinato o al lordo? Perché consideriamo l’ipotesi che fosse al netto, dovremmo ridurre il capitale obbligatoriamente.Sarebbe più grave, se addirittura con la perdita si andrebbe al di sotto del limite legale.

Dall’altro lato, il patrimonio destinato è comunque parte del capitale della società, ma è altrettanto vero che le perdite del patrimonio destinato non vanno a toccare l’altro patrimonio, e che le perdite della società non possono assorbire quel patrimonio.

Comunque il problema è aperto e la tesi prevalente è che per valutare se siamo nell’art. 2446 o nell’art. 2447, bisogna tenere sommato patrimonio generale o patrimoni destinato.E’ un problema di cui la legge non tiene conto.

Art. 2447-octies Assemblee speciali.

1. Per ogni categoria di strumenti finanziari previsti dalla lettera e) del primo comma dell'articolo 2447-ter l'assemblea dei possessori delibera:1) sulla nomina e sulla revoca dei rappresentanti comuni di ciascuna categoria, con funzione di controllo sul regolare andamento dello specifico affare, e sull'azione di responsabilità nei loro confronti;2) sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi dei possessori degli strumenti finanziari e sul rendiconto relativo;3) sulle modificazioni dei diritti attribuiti dagli strumenti finanziari;4) sulle controversie con la società e sulle relative transazioni e rinunce;5) sugli altri oggetti di interesse comune a ciascuna categoria di strumenti finanziari.2. Alle assemblee speciali si applicano le disposizioni contenute negli articoli 2415, secondo, terzo, quarto e quinto comma, 2416 e 2419.3. Al rappresentante comune si applicano gli articoli 2417 e 2418.

Se la società ha emesso strumenti finanziari di partecipazione all’affare, deve tenere, come già detto, un libro indicandone le caratteristiche, i possessori (se nominative) ed i vincoli ad esse relativi (art. 2447 - sexies). E’ prevista inoltre un’apposita organizzazione per gli strumenti finanziari per la tutela degli interessi comuni: è criticato perché in tal caso vi sono maggiori previsioni per l’organizzazione in caso di emissione in corrispondenza di un patrimonio destinato, ma non per l’emissione e l’organizzazione degli strumenti partecipativi generali. L’organizzazione si articola infatti:- nell’assemblea speciale;- nel rappresentante comune;

Principale competenza dell’assemblea speciale è deliberare in ordine alle modificazioni dei diritti attribuiti dagli strumenti finanziari di partecipazione all’affare, nonché sulle controversie con la società e sulle relative transazioni e rinunce.L’assemblea nomina e revoca il rappresentante comune, con funzione di controllo sul regolare andamento dello specifico affare, e delibera sull’azione di responsabilità nei suoi confronti.Delibera inoltre sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dell’interesse comuni e sul relativo rendiconto.Per il resto, la disciplina all’ 2447 octies è ricalcata su quella degli obbligazionisti.

5.4 La cessazione del patrimonio destinatoArt. 2447-nonies. Rendiconto finale.

1. Quando si realizza ovvero è divenuto impossibile l'affare cui è stato destinato un patrimonio ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 2447-bis, gli amministratori redigono un rendiconto finale che, accompagnato da una relazione dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, deve essere depositato presso l'ufficio del registro delle imprese.2. Nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare cui era destinato il patrimonio, i relativi creditori possono chiederne la liquidazione mediante lettera raccomandata da inviare alla società entro novanta giorni dal deposito di cui al comma precedente. In tale caso, si applicano esclusivamente le disposizioni sulla liquidazione delle società di cui al capo VIII del presente titolo, in quanto compatibili.3. Sono comunque salvi, con riferimento ai beni e rapporti compresi nel patrimonio destinato, i diritti dei creditori previsti dall'articolo 2447-quinquies.

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Strumenti finanziari di partecipazione all’affare

4. La deliberazione costitutiva del patrimonio destinato può prevedere anche altri casi di cessazione della destinazione del patrimonio allo specifico affare. In tali ipotesi ed in quella di fallimento della società si applicano le disposizioni del presente articolo.

L’art. 2447 novies, impropriamente rubricato “rendiconto finale”, non è altro che la fine del patrimonio destinato. Si distinguono i casi in cui il patrimonio destinato alla fine dell’affare risulti sufficiente per parare integralmente tutti i creditori particolari, da quello più complesso se risulti insufficiente.

Il patrimonio destinato cessa; le principali cause di cessazione del patrimonio destinato sono:1) la realizzazione dell’affare;2) l’affare cui è destinato il patrimonio quando diventi impossibile;3) il fallimento della società;4) altri casi di cessazione del vincolo di destinazione previsti dalla delibera costitutiva.

La legge prevede che anche la delibera costitutiva possa prevedere ulteriori ipotesi di cessazione, rispetto a queste legali; poi precisa che causa di cessazione è il fallimento della società: se la società fallisce, cessa il patrimonio destinato, e su questo aspetto è intervenuta anche la nuova legge fallimentare agli art. 155 e 156 che disciplinano il fallimento di una società che abbia costituito patrimoni destinati.

Prima causa di cessazione è la realizzazione dell’affare: se non c’è più la ragione per la destinazione del patrimonio, non ha più ragione d’esserci l‘esistenza del patrimonio stesso. L’affare è concluso e non c’è ragione che rimanga in vita. E’ una separazione patrimoniale in funzione di una destinazione. Da questa previsione, qualcuno, rispetto al problema se si possa costituire un patrimonio non solo in ragione della compimento di un affare, ma anche se possa essere concepito in ragione di un settore dell’attività che ciclicamente potrebbe riprodursi. Secondo alcuni, poiché la legge dice che cessa la separazione, quando si realizza l’affare, “ecco vedete la legge intente solo l’affare e non il settore”. In realtà questo non sembra un argomento forte, anche osservando le cause di scioglimento della società in generale, fra le altre cause vi è il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, e quindi non è affatto detto che l’oggetto sociale debba avere una fine di un’attività che può essere continuamente esercitata.

2) Altra causa legale di cessazione è l’impossibilità di realizzazione dell’oggetto sociale, sia materiale o giuridica (ad esempio se c’è un divieto all’esecuzione dell’effetto sociale).

Quando si verifica una causa di cessazione, all’art. 2447 novies, gli amministratori redigono un rendiconto finale che accompagnata la revisione di sindacale effettuata da un revisione esterno che deve essere iscritta e depositata nel Registro delle imprese: scatta l’obbligo per gli amministratori di rendiconto finale, sarebbe il bilancio di chiusura (art. 2447- novies).

Nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni, i creditori possono chiedere mediante lettera raccomandata (da inviare entro 90 giorni dal deposito) la liquidazione del patrimonio destinato: in tal caso, si applicano esclusivamente le disposizioni per la liquidazione della società di capitali, in quanto compatibili.

Nel momento in cui cessa la separazione patrimoniale (primo effetto), in funzione di una destinazione patrimoniale: si tratta di un patrimonio che deve essere utilizzato per l’esecuzione di un determinato affare, ha uno scopo e solo per questo deve essere eseguito.Quando viene compiuto l’affare, con il rendiconto finale, cessa sicuramente la destinazione del patrimonio, e il patrimonio non ha più una destinazione specifica e rimane ancora la separazione del patrimonio, anche se non più destinato.

Anche se leggiamo al terzo comma: ancora si devono sistemare le cose e c’è ancora la separazione. La società potrà utilizzare quei beni. Se c’è l’impossibilità di pagare integralmente tutti i creditori particolari, ovvio che non c’è problema e tutto ciò che residua andrà a confondersi nell’alveo del generale patrimonio della società.

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Rendiconto finale

Cause di cessazione del patrimonio destinato

1) La realizzazione dell’affare

2) L’impossibilità di realizzare l’oggetto sociale

La fine del patrimonio destinato

Creditori insoddisfatti

Cessazione della destinazione patrimoniale

Non cesserà la separazione patrimoniale fino a quando non verrano pagati tutti i creditori integralmente. Se non c’è la possibilità di pagare integralmente dei creditori particolari, che non trovano nel patrimonio separato ciò che serve al loro pagamento. Al secondo comma, si dice che ferma la destinazione, se il patrimonio fosse insufficiente, il patrimonio deve essere liquidato su richiesta dei creditori particolari, e sul residuo si soddisferanno i creditori particolari.

La cosa un po’ singolare è che la legge dice che i creditori possono chiedere la liquidazione del patrimonio, ma non potrebbero fare altro! La liquidazione deve essere fatta su richiesta dei creditori, altrimenti il patrimonio continuerebbe a rimanere separato e su questo potranno agire esecutivamente, ma ragionevolmente chiederanno la liquidazione.

In conclusione, quando si determina una causa di cessazione del patrimoni destinato:1) primo obbligo: rendiconto degli amministratori, sindaci e revisore;2) con il suo deposito, cessa il vincolo di destinazione;3) mentre permane la separazione patrimoniale che durerà fino a quando siano soddisfatti i

creditori se possibile; e una volta soddisfatti tutti i creditori, si avrà solo una ricostituzione del patrimonio nella sua integrità.

4) se invece il patrimonio residuo non è sufficiente a soddisfare i creditori, questi chiederanno la liquidazione del patrimonio destinato, ancora separato e sul frutto di questa liquidazione (vendita dei beni separati) si soddisferanno.

Se invece nessun creditore chiede la liquidazione del patrimonio dopo il deposito del rendiconto finale, cessa il vincolo di destinazione e i beni e i rapporti del patrimonio destinato confluiscono in quello generale, fermo restando però che su di essi, i creditori insoddisfatti del patrimonio destinato conservano inalterati i propri diritti (art. 2447 novies, c. 3).

Il punto delicato è la causa del fallimento ella società. La cessazione di un patrimonio a causa del fallimento della società.

Stando alla disciplina dell’art. 2447 novies, su questo aspetto è intervenuta anche la legge fallimentare. Ci sono due articoli 155 e 156 che sono destinati a disciplinare gli effetti sul patrimonio destinato della dichiarazione del fallimento della società che ha istituito un patrimonio destinato.Le ipotesi sono due:a) nel caso in cui il patrimonio destinato sia capiente: il patrimonio destinato è sufficiente per

pagare tutti i creditori particolari;b) ipotesi in cui il patrimonio destinato destinato non sia capiente.

L’art. 155 prevede che, se dichiarato il fallimento del patrimonio della società, la liquidazione é attribuita al curatore che vi provvede con gestione separata. Il curatore subentra nella gestione del patrimonio destinato, per tutto il tempo in cui dura il fallimento: egli non può compiere alcun atto relativamente al suo patrimonio. Il patrimonio destinato è normale vada sotto la gestione del curatore.“gestione separata” s’intende rispetto alla gestione del restante patrimonio.

Il curatore, in base all’art. 155, sembra avere due alternative:- il curatore provvede, a norma dell’art. 107, a cedere a terzi, come procedere alle vendite, una

volta accertato il passivo, si procede alla vendita del patrimonio in blocco.

Le vendite vanno fatte secondo certe modalità e usando certi criteri: si deve privilegiare la vendita in blocco dell’azienda, piuttosto che i singoli beni per garantire la conservazione del surplus di valore dell’insieme organizzato dei beni che potrebbe avere. Allo stesso modo deve fare il curatore.

- altrimenti se non vi fosse il compratore dell’intero patrimonio, ovvero non vi fosse possibile la cessione, il curatore provvedere alla liquidazione del patrimonio, secondo le regole di liquidazione della società di capitali in quanto compatibili, non secondo le regole della legge fallimentare. Si procede si alla vendita, ma secondo le regole proprie della liquidazione volontaria della società, del codice civile.

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Cessazione della separazione patrimoniale

3) Il fallimento della società

Nessuna richiesta di liquidazione dei creditori

Il curatore

Due ipotesi: capienza o meno del patrimonio destinato

Primo caso: patrimonio destinato capienteCon il ricavato della vendita o della liquidazione dei beni o dell’azienda, il curatore deve soddisfare i creditori particolari del patrimoni destinato.Al terzo comma, i corrispettivi della gestione sono acquisiti dal curatore fallimentare. Quindi, con il ricavato della vendita o della gestione, in primo luogo il curatore deve pagare i creditori particolari, che non sono considerati creditori concorsuali (pur essendo creditori di una società fallita), perché godendo loro della separazione del patrimonio, è come se fossero creditori di una società che sta bene: da questo punto di vista non fanno concorso. I creditori particolari saranno soddisfatti secondo le regole della soddisfazione di un creditore di un soggetto non fallito.

Soddisfare i creditori particolare, per poi detrarre ciò che spetta ai terzi, in presenza di apporti di terzi (secondo le regole della delibera).Ciò che residua, detratto ciò che spetta ai terzi, è acquisito all’attivo fallimentare: finisce la separazione. Tutto ciò che rimane, torna nel patrimonio della società e sarà trattato come attivo fallimentare.

Secondo caso: patrimonio destinato non capiente. L’art. 156 disciplina l’ipotesi in cui il patrimonio destinato non sia capiente.Al primo comma, se al seguito del fallimento della società o durante la gestione della prima ipotesi, il curatore rileva che il patrimonio destinato è incapiente, provvede alla liquidazione del patrimonio secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili. Anche in tal caso, quindi, la liquidazione avviene secondo le regole della liquidazione volontaria.

Al secondo comma, i creditori particolari possono rappresentare domanda di insinuazione del passivo. Nella delibera del patrimonio destinato, inoltre, è possibile prevedere una responsabilità sussidiaria della società per le obbligazioni. Per la parte non soddisfatta dei creditori particolari, se è stata prevista una responsabilità sussidiaria, essi potranno a loro volta insinuarsi nel fallimento.

La scelta è quella di non sottoporre a fallimento il patrimonio destinato: esso viene estinto come se la società non fosse in buono stato, non è influenzato dal fallimento della società.

Il fallimento del patrimonio destinato

La legge però non contempla l’ipotesi in cui sia il patrimonio destinato ad essere insolvente (o incapiente) e la società vada bene: tale fattispecie non è contemplata dalla legge e, in generale, la legge ex art. 2447 novies consente solo di chiedere la liquidazione del patrimonio. C’è solo il diritto per i creditori di ottenere la liquidazione del patrimonio destinato: ci sta dicendo che il patrimonio destinato non fallisce.Qualcuno voleva prevedere la fallibilità del patrimonio destinato. Nel nostro sistema chi fallisce è sempre il soggetto imprenditore, sia esso persona fisica o società.Certamente questa è stata la scelta del legislatore e non esiste la possibilità di fare istanza di fallimento del patrimonio destinato. Si è determinata una disparità di trattamento grave. In tal caso, tutte le azioni non sono possibili, come le azioni revocatorie fallimentari, salvo l’azione revocatoria ordinaria: ma questa è difficile da esercitare, mentre quella l’azione revocatoria fallimentare è più facile da esercitare. Questo perché non può essere dichiarato il fallimento.

5.5 I finanziamenti destinati

Art. 2447-decies.Finanziamento destinato ad uno specifico affare.

1. Il contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare ai sensi della lettera b) del primo comma dell'articolo 2447- bis può prevedere che al rimborso totale o parziale del finanziamento siano destinati, in via esclusiva, tutti o parte dei proventi dell'affare stesso.2. Il contratto deve contenere:a) una descrizione dell'operazione che consenta di individuarne lo specifico oggetto; le modalità ed i tempi di realizzazione; i costi previsti ed i ricavi attesi;b) il piano finanziario dell'operazione, indicando la parte coperta dal finanziamento e quella a carico della

società; c) i beni strumentali necessari alla realizzazione dell'operazione;

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I caso: patrimonio destinata capiente

II caso: patrimonio destinato non capiente

Il fallimento del patrimonio destinato

d) le specifiche garanzie che la società offre in ordine all'obbligo di esecuzione del contratto e di corretta e tempestiva realizzazione dell'operazione;e) i controlli che il finanziatore, o soggetto da lui delegato, può effettuare sull'esecuzione dell'operazione; f) la parte dei proventi destinati al rimborso del finanziamento e le modalità per determinarli; g) le eventuali garanzie che la società presta per il rimborso di parte del finanziamento; h) il tempo massimo di rimborso, decorso il quale nulla più è dovuto al finanziatore.3. I proventi dell'operazione costituiscono patrimonio separato da quello della società, e da quello relativo ad ogni altra operazione di finanziamento effettuata ai sensi della presente disposizione, a condizione:a) che copia del contratto sia depositata per l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese;b) che la società adotti sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei ad individuare in ogni momento i proventi dell'affare ed a tenerli separati dal restante patrimonio della società.4. Alle condizioni di cui al comma precedente, sui proventi, sui frutti di essi e degli investimenti eventualmente effettuati in attesa del rimborso al finanziatore, non sono ammesse azioni da parte dei creditori sociali; alle medesime condizioni, delle obbligazioni nei confronti del finanziatore risponde esclusivamente il patrimonio separato, salva l'ipotesi di garanzia parziale di cui al secondo comma, lettera g).5. I creditori della società, sino al rimborso del finanziamento, o alla scadenza del termine di cui al secondo comma, lettera h) sui beni strumentali destinati alla realizzazione dell'operazione possono esercitare esclusivamente azioni conservative a tutela dei loro diritti.6. Se il fallimento della società impedisce la realizzazione o la continuazione dell'operazione cessano le limitazioni di cui al comma precedente, ed il finanziatore ha diritto di insinuazione al passivo per il suo credito, al netto delle somme di cui ai commi terzo e quarto.7. Fuori dall'ipotesi di cartolarizzazione previste dalle leggi vigenti, il finanziamento non può essere rappresentato da titoli destinati alla circolazione.8. La nota integrativa alle voci di bilancio relative ai proventi di cui al terzo comma, ed ai beni di cui al quarto comma, deve contenere l'indicazione della destinazione dei proventi e dei vincoli relativi ai beni.

Tale modello si distingue radicalmente dall’altro. Prima c’era una costituzione unilaterale attraverso una delibera di un patrimonio destinato: una separazione di un patrimonio destinato allo svolgimento di un affare specifico, a cui si può aggiungere la partecipazione di terzi con contraltare l’emissione di strumenti finanziari.Il secondo tipo è una cosa diversa: è una particolare forma di finanziamento che ha come obiettivo di ricorrere al credito fornendo come garanzie al finanziatore i proventi derivanti dallo svolgimento di un affare specifico: i proventi sono in primo luogo vincolati alla soddisfazione del finanziatore.

E’ un contratto fra l’organo amministrativo e il finanziatore. La fattispecie si realizza tramite un contratto di finanziamento di uno specifico affare, con previsione che al rimborso totale o parziale del finanziamento sono destinati, in via esclusiva, tutti o parte dei proventi dell’affare stesso (art. 2447 decies).

La separazione patrimoniale concerne solo i futuri proventi derivanti dall’affare, destinati in primo luogo dai finanziatori.La legge dice che, nel secondo modello, la società può convenire con il contratto che siano destinati tutti i proventi dell’affare stesso o parte di essi.

Non è chiaro a cosa deve riferirsi questo finanziamento: sembra riferirsi ad un determinato investimento nuovo che, quando viene realizzato, produrrà proventi che saranno utilizzati per restituire il prestito ottenuto dal finanziatore; quindi non sembra che l’operazione possa essere utilizzata per coprire generiche necessità della società.Nella disciplina si fa spesso riferimento all’esecuzione dell’operazione, alla realizzazione dell’operazione e il legislatore sembra riferirsi al finanziamento che viene destinato ad un determinato investimento nuovo che intende fare la società, che quando viene realizzato produrrà proventi per restituire il prestito ottenuto dal finanziatore. Non sembra, anche se su questo c’è incertezza, che l’operazione possa essere utilizzata per generiche necessità finanziarie della società, prevedendo soltanto come garanzia i proventi dello specifico affare.

Il finanziamento di per sé non avrebbe una destinazione. Su questo punto c’è incertezza. Ma la tesi maggioritaria è che anche il finanziamento che deve avere un suo vincolo di destinazione, cioè deve essere usato per realizzare quell’operazione sui cui proventi si soddisferà il finanziatore.

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La ratio

Il contratto di finanziamento destinato

Il vincolo di destinazione dei proventi dell’affare

Su questo punto c’è qualche incertezza: il finanziamento deve essere utilizzato per quell’operazione, c’è un vincolo di destinazione del provento, ma su questo punto la legge non è chiara fino in fondo.

Se il finanziamento deve essere diretto a svolgere una determinata operazione, saremmo di fronte a quello che in diritto si chiama mutuo di scopo.Chi riceve i denari ha un altro vincolo: l’obbligo di impiegare il denaro in un certo modo o per fare certe cose: uso frequente nei finanziamenti pubblici per determinate attività economiche.Anche in tal caso, se intendiamo che ci sia un vincolo di destinazione, c’è l’obbligo di impiegare il denaro in una cera direzione, è un mutuo di scopo.

L’art. 2447 decies, c. 2 disciplina questo contratto di finanziamento con questo vincolo sui proventi dell’affare. La legge anche qui dettaglia in maniera molto analitica, come per il patrimonio destinato, il contenuto che deve avere il contratto di finanziamento:a) devono essere descritti glie elementi essenziali dell’operazione, che consenta di svolgere

l’operazione e di individuare qual’è l’oggetto dell’operazione, che per essere lecito deve rientrare nell’ambito complessivo dell’oggetto della società. Può essere anche generico, come la trasformazione e vendita di un bene. Deve inoltre specificare le modalità e i tempi di realizzazione, nonché i costi previsti ed i ricavi attesi.

b) inoltre, è necessario che vi sia un piano finanziario che indichi la parte dei costi coperti dalla società e dal finanziamento. Il finanziamento potrebbe non coprire interamente le necessità e i costi dell’operazione, e che la società concorra con sue risorse alla realizzazione dell’operazione. In questo secondo caso, la probabilità di ottenere il finanziamento dell’operazione è derivate dalla bontà dell’operazione.

c) bisogna indicare i beni strumentali necessari alla realizzazione dell’operazione: su questi beni si crea non una propria separazione patrimoniale, ma un vincolo in modo che tali beni non siano dispersi finché l’operazione non è in corso.

d) è poi consentito (nonché raccomandato) indicare le specifiche garanzie che la società offre nell’esecuzione del contratto e alla corretta e tempestiva realizzazione dell’operazione. E’ l’aspetto centrale dell’operazione. Evidentemente tutto funziona se la società esegue nei termini e correttamente lo svolgimento dell’affare. L’operazione bisogna farla. La società deve offrire specifiche garanzie. Anche qui il finanziamento affida alla società lo svolgimento dell’operazione.

e) è anche possibile riconosce al finanziatore la facoltà di esercitare controlli sul corretto svolgimento dell’operazione, personalmente o tramite un soggetto da lui delegato.

f) devono essere indicati la parte dei proventi destinati al rimborso del finanziamento e le modalità per determinarli. La legge usa sempre il termine “proventi”, per consentire un qualche liberà per stabilire su che “cosa” vada ad insistere la garanzia dei finanziatori. E’ quindi possibile accentuare il rischio dell’operazione, stabilendo che solo una parte dei proventi sia destinato al rimborso, e in tal caso il contratto deve prevedere le modalità per determinarli.

g) ancora nel contratto, possono essere indicate le eventuali garanzie che la società presta per il rimborso di una parte del finanziamento. La legge precede anche la possibilità che si stabilisca una garanzia vera e propria per il rimborso di parte del finanziamento. Ma se fosse garantito tutto il rimborso saremmo nell’ipotesi del prestito ordinario: tale ipotesi infatti vale solo per il rimborso di parte del finanziamento. Questa garanzia è possibile solo prevedendo che copra una parte dell’obbligo di rimborso in capo alla società.

h) poi c’è una previsione che lascia stupiti. Il contratto deve indicare il tempo massimo del rimborso, decorso il quale, nulla più si deve al finanziatore. E’ un rischio cui il finanziatore cercherà di premunirsi. E’ una previsione singolare perché introduce in elemento di incertezza.

Anche qui si realizza un fenomeno di separazione patrimoniale che ha ad oggetto i proventi dell’affare, dai relativi frutti e dagli investimenti eventualmente effettuati in attesa del rimborso del finanziatore.Quindi, non solo i proventi in senso stretto, ma anche i frutti di questi proventi. E tutto ciò che frutta sulla base dei proventi spetta in primo luogo al finanziatore e su questo si realizza una separazione patrimoniale.

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Il contenuto del contratto di finanziamento

La separazione patrimoniale

Qui non c’è un doppio patrimonio, c’è solo una separazione patrimoniale di questi proventi, che sono sempre della società. I proventi sono separati nel senso che su questi non possono agire gli altri creditori. Non c’è una contabilità separata.

Attenzione, la legge non lo dice ma è chiaro che il finanziatore, potrà aggredire il patrimonio della società, tutte le volte che si sia resa inadempiente agli obblighi del contratto.

La separazione patrimoniale che investe i proventi o ciò che si acquista con i proventi, è sottoposta ad una doppia condizione dalla legge:

1) il contratto di finanziamento deve essere depositato ed iscritto nel Registro delle imprese;2) la società adottati sistemi di incasso e di contabilizzazione tali da consentire in ogni

momento l’individuazione di ciò che effettivamente è provento di quell’affare e a tenerli speratati dal restante patrimonio della società. Ma non ci sono bilanci separati: ci deve essere un sistema tale che consenta di individuare cos’è il guadagno dell’operazione;

Adempiuti i requisiti pubblicitari e contabili, i creditori della società non possono più esercitare azioni sui beni oggetto di separazione patrimoniale. Inoltre, non possono aggredire i beni strumentali alla realizzazione dell’operazione, ma esclusivamente esercitare sugli stessi azioni conservative, sino al rimborso del finanziamento o alla scadenza del termine massimo fissato dal contratto.

Il finanziatore, a sua volta, non ha azione sul residuo patrimoniale della società, salva l’ipotesi di garanzia parziale di rimborso offerta dalla società stessa.

Inoltre, come già detto, bisogna stabilire anche quali sono i beni strumentali necessari alla realizzazione dell’operazione, questo serve per quanto ci dice il quinto comma del 2447 decies: “I creditori della società, sino al rimborso del finanziamento, o alla scadenza del termine di cui al secondo comma, lettera h) sui beni strumentali destinati alla realizzazione dell'operazione possono esercitare esclusivamente azioni conservative a tutela dei loro diritti”.Non è che sui beni strumentali si crea una separazione patrimoniale, rimangono confusi nell’ambito del patrimonio della società, ma siccome la legge vuole che vada in porto l’affare che viene finanziato, se sui beni strumentali destinati al compimento dell’operazione, fosse possibile da parte dei creditori generali della società azioni esecutive, in questo modo si renderebbe impossibile la realizzazione dell’operazione. Per tale ragioni, non è possibile esperire azioni esecutive su di essi.Essi potranno semmai effettuare azioni conservative, cioè potrebbero chiedere e ottenere da giudice un sequestro conservativo di questi beni (i beni restano a disposizione della società, che continua ad usarli, ma questi non possono essere alienati o ceduti e se ceduti, la cessione è opponibile al terzo che li avesse acquistati). Questo effetto si realizza su quei beni strumentali a priori indicati sul contratto di finanziamento e fino a quando rimangono beni strumentali.

Il fallimento della società

Anche per il patrimonio destinato (secondo modello) sorge un problema di fallimento della società. C’è una previsione normativa del codice e una della nuova legge fallimentare. L’art. 2447 decies, c. 6 dice che: “se il fallimento della società impedisce la realizzazione o la continuazione dell'operazione, cessano le limitazioni di cui al comma precedente, ed il finanziatore ha diritto di insinuazione al passivo per il suo credito, al netto delle somme di cui ai commi terzo e quarto.” (già incassate)I proventi dell’affare se li accaparra il finanziatore come da rimborso e in più, se la società fallisce prima della realizzazione dell’affare, ha diritto di insinuarsi al fallimento come ogni altro creditore della società per le somme non riscosse.

Nulla dice l’art. 2447 decies per l’ipotesi per cui il fallimento non determini di per sé l’impossibilità di realizzare l’affare: se ne potrebbe ricavare la conclusione che tutto continua con il trattamento sempre di separazione dei proventi. Su questo è intervenuta la legge fallimentare con una norma ad hoc: l’art. 72 ter della legge fallimentare.

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Azioni esercitabili dai creditori e dal finanziatore

Duplice condizione per l’efficacia

Il fallimento della società

Con il fallimento, la legge detta una serie di norme per quanto riguarda i rapporti giuridici pendenti in capo all’imprenditore che fallisce. La regola generale è che c’è una sospensione per riguardo ai contratti, che rimangono sospesi in un limbo finché il curatore non decide cosa farne. Esso può continuare nel contratto o decidere di sciogliere il contratto. La legge prevede che l’altra parte del contratto, di fronte al silenzio del curatore, possa chiedere al giudice di fissare un termine entro cui il curatore deve decidere se continuare o se sciogliere. Poi ci sono dei contratti che si sciolgono automaticamente per effetto della dichiarazione di fallimento del debitore e altri che continuano senza necessità di scelta da parte del curatore.

Anche in tal caso non c’è una scelta del curatore, il fallimento della società determina lo scioglimento del contratto di finanziamento, quando impedisce la realizzazione o la continuazione dell’operazione.

Nel caso in cui astrattamente la realizzazione dell’operazione non sarebbe impedita dal fallimento della società, dice il secondo comma dell’art. 72 ter: “il curatore, sentito il parere del comitato dei creditori, può decidere di subentrare nel contratto in luogo della società, assumendone gli obblighi relativi”. Il curatore “può”: è una scelta discrezionale del curatore. È una sorta di esercizio provvisorio dell’affare.

Il fallimento di per sé blocca l’attività economica dell’imprenditore, ma sino al momento della dichiarazione di fallimento o in momento successivo è possibile dar vita ad un esercizio provvisorio dell’impresa, che sarà gestito dal curatore, che potrà servirsi di ausiliari.

Qualcosa di simile per l’operazione cui è connesso un patrimonio destinato. Sembrerebbe una facoltà, non un obbligo.

Il comma terzo spiega che “ove il curatore non subentri nel contratto, il finanziatore può chiedere al giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, di realizzare o continuare lui l’operazione in proprio o affidandolo a terzi e, in tali ipotesi, il finanziatore può insinuarsi al passivo del fallimento in via chirografaria per l’eventuale credito residuo.”

Il curatore, quindi, è vero che ha questa facoltà, ma è limitata perché può ritenere preferibile non continuare l’attività, ma solo a condizione che ci sia la disponibilità del finanziatore a proseguire lui. Se entrambi non vogliono continuare, il curatore può appunto approfittare di questa situazione, stabilendo di sciogliere quel contratto. Altra lettura è che questo “può”, significa che “deve”, a meno che non ci sia l’intervento del finanziatore che gli chiede di proseguire. Non è chiaro.

Oscuri sono gli ultimi due commi. “Nei casi previsti nel secondo, terzo comma (dove non c’è lo scioglimento automatico) resta ferma la disciplina prevista dall’art. 2447 terzo (di fronte ad una separazione che continua sui proventi se operazione continua), quarto quinto comma del c.c.”.Cioè continua tutta la disciplina generale del patrimonio destinato. Rimane il regime proprio del patrimonio.

Oscuro è anche l’ultimo comma che dice “qualora nel caso di cui al primo comma, non si verifichi alcuna delle ipotesi previste dal secondo e terzo comma si applica l’art. 2447 decies sesto comma”. C’è un circolo vizioso. Si fa confusione con il necessario scioglimento per impedimento della realizzazione del contratto, con la continuazione dell’operazione al secondo e terzo comma. È incomprensibile. Questa norma è rimasta così scritta anche dopo il decreto correttivo del 2007.

Quindi in caso di fallimento, è previsto lo scioglimento del contratto di finanziamento, ma solo in caso di impossibilità concreta di portare avanti l’operazione, altrimenti il curatore che gestisce come se fosse una sorta di esercizio provvisorio dell’impresa oppure ingresso del finanziatore, il quale può subentrare. Fermo restando che il regime del finanziamento è lo stesso di come quando la società non era fallita.

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Lo scioglimento del contratto di finanziamento

Il subentro del curatore

L’insinuazione del finanziatore

Facoltà “limitata” e condizione

Capitolo VILE MODIFICAZIONI DELLO STATUTO. L’AUMENTO DI CAPITALE

NELLA SOCIETA’ PER AZIONI

6.1 Aumento di capitale come modifica dello statuto

Fin ora si è visto quelli che sono l’acquisizione di mezzi all’inizio della società: i conferimenti ovvero altre forme per procacciare risorse della società che non modificano il capitale.Ora invece vediamo come, durante la vita della società, la società possa reperire nuovo capitale di rischio con operazioni da farsi sul capitale di rischio stesso della società.Sono interventi di modifica dello statuto della società, con tutte le conseguenze che esso comporta.

La prima classificazione riguarda:- operazione di aumento: apportano nuove risorse o modificano il regime di patrimonio già

esistente;- operazioni di riduzione di capitale;

Un’altra classificazione riguarda:- operazioni meramente nominali: o in aumento o in diminuzione del capitale, per effetto o

dell’aumento o della diminuzione; non c’è alcuna modifica del capitale della società. C’è uno spostamento di determinate poste del patrimonio prima qualificate come riserve, che entrano a far parte del capitale sociale; in diminuzione si ha una riduzione nominale quando c’è una riduzione volontaria o obbligatoria, o comunque un’operazione meramente nominale: registro qualcosa già avvenuto nella società, ma è nominale perché quanto avevo di patrimonio prima, è lo stesso di quanto ho dopo.

- ci può essere invece una modifica effettiva o sostanziale: in aumento o in diminuzione del capitale sociale della società.

Altra classificazione:a) si potrà avere un aumento a pagamento del capitale sociale da liberarsi con nuovi conferimenti

da parte di nuovi o di terzi, con diritto di opzione. b) riduzione effettiva del capitale sociale, che si realizza restituendo parte dei conferimenti ai

soci, o con la liberazione dei soci dall’effettuazione dei versamenti ancora dovuti.Non sempre la riduzione del capitale (non per perdite) comporta una riduzione del patrimonio, perché la riduzione effettiva può avvenire anche senza restituzione parte dei conferimenti ai soci. Ciò che si libera, va a costituire una riserva: è un operazione speculare rispetto all’ipotesi di aumento gratuito: è riduzione effettiva senza riduzione ai soci che va a costituire una riserva. Altrimenti sarebbe facile aggirare la legge.

Di qualunque natura e specie siano le operazione sul capitale, tutte le volte vi si interviene lo si fa tramite una modificazione dello statuto. Tali modifiche sono deliberazioni di modifica statutaria, disciplinate nell’art. 2236 del cc.Costituisce modificazione dello statuto di una società per azioni, ogni mutamento del contenuto oggettivo del contratto sociale (atto costitutivo e statuto). La differenza principale delle società di persone è che la variazione delle persone degli azionisti non sono tuttavia trattate come modificazioni dello statuto (benché comportino anch’esse una modifica della clausola originaria dell’atto costitutivo).

La competenza è, per regola generale, dell’assemblea statutaria (art. 2365) e con le maggioranze previste per quell’assemblea.L’aumento di capitale può essere delegato dallo statuto sua successiva modificazione all’organo amministrativo e non si tratta di una delega in bianco, ferma restando l’applicazione delle regole sul controllo notarile. Altro caso in cui c’è una delega è il caso di riduzione obbligatoria del capitale laddove la legge prevede che la competenza a ridurre il capitale sia attribuita all’organo amministrativo. Altro caso di deroga alla competenza dell’assemblea straordinaria, nel caso di riduzione obbligatoria: ciò può

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Introduzione

Classificazioni delle diverse operazioni

Il procedimento di modificazione dello statuto

Competenza dell’assemblea straordinaria e deroga

esser fatto dalla stessa assemblea ordinaria, nell’esercizio successivo da quello in cui si sia registrata la perdita per oltre un terzo del capitale sociale.

La deliberazione di modificazione dello statuto va verbalizzata dal notaio, e su questa c’è il controllo di legittimità sostanziale del notaio.Oggi, in fase costitutiva, non c’è più il controllo preventivo di omologazione (del tribunale) e rimane invece il controllo successivo affidato al notaio per il caso di aumento o dal capitale. In tal fase, il notaio non esprime alcun giudizio e fa solo da testimone: solo in casi estremi il notaio può rifiutarsi di verbalizzare l’assemblea. Il notaio deve controllare che la delibera sia conforme alle disposizioni di legge. Quindi il suo operato si sostanzia:- nella verbalizzazione;- nel controllo di legittimità sostanziale (non di merito), di corrispondenza fra la delibera statutaria

e le previsioni di legge.

Entro 30 giorni, il notaio ne chiede iscrizione nel Registro delle imprese, contestualmente al deposito del verbale della delibera. C’è poi il controllo formale della documentazione o “burocratico” da parte del Registro delle imprese.

In presenza di irregolarità della delibera rispetto alle condizioni di legge, il notaio potrebbe rifiutarsi di iscrivere la delibera nel Registro delle imprese o di verbalizzarla e ne darà comunicazione tempestiva agli amministratori.In tal caso, gli amministratori nei 30 giorni successivi possono:a) far convocare all’assemblea per gli opportuni provvedimenti, per integrare le delibere per

correggere eventuali problemi di legittimità;b) oppure possono ricorrere il tribunale, affinché lo stesso, verificate l’adempimento alle

condizioni stabilite dalla legge, renda legittima la delibera e ordini con proprio decreto (soggetto a reclamo) l’iscrizione (omologazione facoltativa).

Le delibere hanno efficacia e producono effetti soltanto con l’iscrizione nel Registro delle imprese: l’effetto si determina non per la deliberazione, ma quando si è completata l’iscrizione (efficacia costitutiva).

L’aumento del capitale costituisce una modificazione del capitale sociale e può essere:- reale (o a pagamento): si ha un aumento del capitale sociale nominale e del patrimonio della

società per effetto di nuovi conferimenti;- nominale (o gratuito): si incrementa solo il capitale nominale, e il patrimonio della società resta

invariato.

6.2 L’aumento reale del capitale socialeArt. 2438.

Aumento di capitale.1. Un aumento di capitale non può essere eseguito fino a che le azioni precedentemente emesse non siano interamente liberate.2. In caso di violazione del precedente comma, gli amministratori sono solidalmente responsabili per i danni arrecati ai soci ed ai terzi. Restano in ogni caso salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni emesse in violazione del precedente comma.

Con l’aumento di capitale reale, la società intende procurarsi nuovi messi finanziari (strumento di finanziamento) a titolo di capitale di rischio: nuovi conferimenti.L’aumento reale dà luogo perciò all’emissione di nuove azioni a pagamento, che vengono sottoscritte dai soci attuali, cui per legge è riconosciuto il diritto di opzione, ovvero ai terzi che diventano nuovi soci.

Primo comma (art. 2438) - La deliberazione con cui si decide di emettere obbligazioni convertibili non può essere adottata se il capitale non è stato interamente versato: fino a tal momento non si possono deliberare emissione di obbligazioni convertibili (dal 1974): così si riteneva che il divieto per l’aumento di capitale veniva collocato alla stessa altezza dell’emissione di obbligazioni convertibili.

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Forma e controllo notarile

Regolarità formale e iscrizione nel RdI

Convocazione dell’assemblea o omologazione facoltativa

Efficacia

L’aumento del capitale: due tipi

Condizioni

Ora la legge risolve il problema, ma in senso opposto, perché sancisce che l’aumento del capitale non può essere eseguito fino a che le azioni precedentemente emesse non siano interamente liberate (ovvero in mancanza del versamento integrale dei conferimenti in denaro): si fa riferimento all’esecuzione, e non alla delibera. Il legislatore preferisce la tesi in cui l’intero versamento delle azioni emesse è condizione per l’eseguibilità, e non l’adottabilità delle delibera: quest’ultima infatti può essere approvata anche in assenza del limite di cui sopra; però gli amministratori non vi possono dare esecuzione.Non si è risolto il problema del “perché” per le obbligazioni convertibili sia rimasta la precedente forma, ovvero in tal caso è ancora necessario per la sola deliberazione l’intero versamento del capitale. Molti si sono chiesti il perché di questo limite e avrebbero preferito una cancellazione del precedente articolo. Questa questione è risolta.

L’art. 2438 è la prima norma della disciplina dell’aumento e poi di riduzione del capitale e si presume sia una norma di generale applicazione per le modifiche di capitale sociale. La norma che vieta l’esecuzione di aumento di capitale, se non è stato interamente versato il capitale deve valere per tutte le operazioni di aumento di capitale o solo, ad esempio, per quelle a pagamento? Le opinioni si dividono tutt’ora:

1) chi dice che, se la ragione del divieto continui a vivere con un capitale formato da crediti verso soci, tale ratio ci porta a ritenere che tale divieto vale solo per gli aumenti a pagamento, e in tal caso non c’è più la formazione di nuovo credito verso soci;

2) altri dicono che lo scopo della legge è più generico e spinge la società a far completare i versamenti (a discrezionalità e responsabilità degli amministratori).

Nei casi in cui la società voglia procedere con un aumento il capitale, deve completare i versamenti.

Altro punto non chiarito dalla riforma è se acconto a questo divieto vi siano altri divieti impliciti, ma tuttavia ricavabili implicitamente dal sistema. Il tema è se si possa effettuare un’operazione di aumento del capitale in presenza di perdite di capitale.

1) c’è un orientamento per cui tutte le volte che vi siano delle perdite, anche non rilevanti, prima di procedere all’aumento, dovrebbe procedere a coprire le perdite; e solo una volta coperte, potrebbe deliberare ed eseguire un’aumento di capitale;

2) c’è un altro orientamento, preferibile, che dice che tutto questo ha senso solo in presenza di una perdita in misura tale da render obbligatoria una riduzione del capitale. Si badi, la legge non obbliga a ridurre subito il capitale: gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea non per ridurre il capitale, ma per gli opportuni provvedimenti: in questa fase non è necessario ridurre il capitale, ma assumere gli opportuni provvedimenti. La riduzione di capitale è obbligatoria, solo quando nell’esercizio successivo tale perdita ancora sussiste. Secondo il professore, solo in quest’ultima ipotesi non è possibile aumentare il capitale, se non sono state coperte le perdite o se non è stato ridotto il capitale in misura corrispondente alla perdita. Finché siamo nell’ambito di una riduzione volontaria, non si vede perché non sia possibile aumentare il capitale.

La tesi più diffusa è comunque quella per cui si ritiene impedita un’operazione di aumento di capitale in presenza di una perdita di oltre un terzo di capitale, anche se siamo nel primo esercizio in cui si presenti.

Oggi, comunque, la legge ci vieta di eseguire l’aumento di capitale: è cioè un divieto che la legge rivolge agli amministratori della società.

La delibera è assumibile ed efficace, ma non eseguibile.Si può discutere su cosa vuol dire “esecuzione” di aumento di capitale:- una volta conosciuta la delibera, gli amministratori devono pubblicare un’offerta di opzione ai

soci?- possono gli amministratori accettare le eventuali sottoscrizioni che provengono?Da quale momento scatta il divieto? Probabilmente a monte, dal primo momento, dopo la deliberazione. Non è chiaro.

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Liberazione integrale delle azioni già emesse

Aumento di capitale in presenza di perdite

Divieto agli amministratori e momento dell’eseguibilità

Secondo comma - In caso di violazione del precedente comma, la delibera rimane valida ed efficace (non è quindi prevista la nullità): ma gli amministratori sono solidalmente responsabili per danni a soci e terzi. La responsabilità è nei confronti dei soci o dei terzi. E’ una violazione della legge, che ha voluto rimarcare la responsabilità degli amministratori: il divieto è rivolto a loro.Non è neppure chiaro quali siano i danni che potrebbero essere arrecati a soci e a terzi: si presuppone sempre che ci sia un danno in presenza di responsabilità. Fino a quando non c’è un danno, o in capo alla società, o in capo a terzi o soci, non c’è responsabilità. La violazione di legge è il presupposto, ma non basta per essere condannati. Deve esserci il danno. In tal caso non è chiaro quale sia il danno: forse si può immaginare che soci o terzi si facciano convinti che il capitale è già interamente versato e si convincono di versare nuovo capitale perché il resto è già versato.

Sempre il secondo comma dell’art. 2438 conclude con un’altra prescrizione non chiarissima: “restano in ogni caso salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni emesse in violazione del precedente comma”. La violazione, da parte degli amministratori del divieto di dar esecuzione all’aumento di capitale, non rende nulli gli atti di esecuzione dell’aumento.Gli obblighi di assunzione sono gli obblighi di versamento. L’operazione anche se illecitamente compiuta dagli amministratori non è nulla: se c’è qualcuno che ha sottoscritto le azioni, rimane obbligato al versamento: l’operazione di versamento rimane in piedi, anche se illecita.Non c’è altra spiegazione per questa frase, salvo non pensare che rimangono fermi solo gli obblighi assunti con la sottoscrizione, ma non i diritti: una posizione di questo tipo sarebbe aberrante. E’ quindi opinione consolidata che la legge abbia voluto dire che, pur se illecitamente realizzata, l’operazione rimane valida ed efficace, e quindi chi ha sottoscritto deve fare i versamenti, e ha diritti e poteri di chi è socio. L’aumento di capitale andrebbe a buon fine, salvo responsabilità degli amministratori.

6.3 La sottoscrizione e i conferimentiL’aumento di capitale a pagamento è disciplinato dagli art. 2439, 2440, 2440 bis e 2441.

Art. 2439. Sottoscrizione e versamenti.

1. Salvo quanto previsto nel quarto comma dell'articolo 2342, i sottoscrittori delle azioni di nuova emissione devono, all'atto della sottoscrizione, versare alla società almeno il venticinque per cento del valore nominale delle azioni sottoscritte. Se è previsto un soprapprezzo, questo deve essere interamente versato all'atto della sottoscrizione.2. Se l'aumento di capitale non è integralmente sottoscritto entro il termine che, nell'osservanza di quelli stabiliti dall'articolo 2441, secondo e terzo comma, deve risultare dalla deliberazione, il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione medesima lo abbia espressamente previsto.

Primo comma - Salvo quanto previsto nel quarto comma dell’art. 2342 (dice che se viene meno la pluralità di soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati entro 90 giorni), nella sottoscrizione di azioni di nuova emissione, i sottoscrittori devono versare alla società almeno il 25% delle azioni sottoscritte. Se l’aumento di capitale deve essere liberato in denaro, anche qui è sufficiente il versamento del solo 25%.In sede di costituzione, il versamento del 25% va effettuato presso una banca indicata nell’atto costitutivo, mentre in sede di aumento di capitale quando la società esiste già (e si dice che si deve versare alla società almeno il 25%), il versamento viene effettuato direttamente alla società, e non presso una banca (si ricorda che il mancato versamento del 25% non comporta la nullità della sottoscrizione, essendo in presenza di un contratto reale).

Se è previsto un sovrapprezzo in sede di aumento di capitale (lecito anche in sede di costituzione), il versamento del sovrapprezzo deve essere comunque integrale ed immediato al momento della sottoscrizione dell’aumento del capitale.

Nulla impedisce che convenzionalmente si stabiliscono regole diverse per il versamento, ma non si può mai andare sotto la soglia del 25% e la stessa deliberazione di aumento di capitale può

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Violazione della condizione legale

Obblighi assunti

I conferimenti in denaro e i versamenti

Sovrapprezzo

prevedere un versamento in misura maggiore, o che sia necessario il versamento integrale o immediato da parte di chi vuole sottoscrivere.

E’ scontato, come sappiamo, che in sede di costituzione, se la società nasce con un unico socio non c’è più la possibilità del versamento parziale del 25%, ma quest’ultimo deve effettuare integralmente il versamento: è ovvio che, anche se non richiamato esplicitamente, questo valga anche in caso di aumento di capitale. Se la società ha un unico socio e si voglia aumentare il capitale, l’unico socio dovrà versare all’atto della sottoscrizione tutto ciò che ha sottoscritto. Ovvio che, invece, in una situazione di unico socio, se la sottoscrizione viene sottoscritta da due soggetti, cade la situazione di unicità del socio e si riapplicheranno le regole ordinarie con il versamento del 25% e con gli obblighi pubblicitari, quando viene meno la situazione di unicità dell’unico socio.

Art. 2440. Conferimenti di beni in natura e di crediti.

1. Se l'aumento di capitale avviene mediante conferimento di beni in natura o di crediti si applicano le disposizioni degli articoli 2342, terzo e quinto comma, 2343, 2343-ter, e 2343-quater. 2. La dichiarazione di cui all'articolo 2343-quater e' allegata all'attestazione di cui all'articolo 2444.

Per quanto riguarda i beni in natura o crediti, per l’art. 2440 “si applicano le disposizioni dell’art. 2342, 2343 bis, ter e quater”, cioè tutta la disciplina propria dei conferimenti in natura, che ha un regime ordinario (della stima effettuata da un esperto nominato dal tribunale) oppure con l’applicazione dei regimi alternativi previsti dall’art. 2343 ter.

Altra questione che si apre, abbastanza frequente in sede di aumento di capitale a pagamento. Il socio che sottoscrive l’aumento di capitale possa evitare il versamento di quanto si è impegnato a versare, eccependo la compensazione del suo debito, con un credito che vanta nei confronti della società.E’ il caso in cui il socio abbia effettuato un finanziamento in favore della società o fornito materie prime e non sia stato ancora pagato.Viene deliberato un aumento di capitale a pagamento, il socio sottoscrive la sua parte e dice alla società: “non ti do niente e compensiamo il mio debito contro il mio credito”. La compensazione è un istituto generale nel nostro ordinamento che serve ad evitare diseconomie nei rapporti giuridici. Se c’è un rapporto di credito debito fra due soggetti, è inutile il pagamento reciproco e si fa la compensazione.La compensazione è comunque una modalità di estinzione dell’obbligazione dal carattere satisfativo, non è una rinuncia ad un credito, non si riceve nulla ma viene cancellato un debito.La compensazione non è che operi sempre, c’è una compensazione di diritto che opera automaticamente, solo a certe condizioni:- che i due crediti o debiti contrapposti devono essere omogenei (= riguardare la medesima

prestazione, in genere si realizza quando entrambe le prestazioni sono di dar denaro); - il carattere di omogeneità di ciò che si deve, secondo se si tratti di crediti certi (c’è certezza sulla

sua esistenza) e liquidi (è definito già il suo ammontare esatto), esigibili (non c’è più un termine, è scaduto).

Con questi caratteri, si realizza la compensazione. Può funzionare in ambito societario?L’obbligo di conferire in denaro è omogeneo, certo, liquido ed esigibile. Quindi ci sarebbero tutti i requisiti per la compensazione. Ma ci sono dei contrasti in giurisprudenza.

Nell’ultimi anni, si è venuta riconoscere una posizione favorevole alla compensabilità, ma c’è stata una sentenza della Cassazione (il cui orientamento riemerge ciclicamente in altre sentenze) che ritenne illecita un’operazione di questo tipo. Gli argomenti usati dalla Cassazione del 1992 furono che il socio non poteva pretendere la compensazione e comunque effettuare il conferimento poichè:

1) un primo argomento, figlio della convinzione che capitale è funzione dei creditori: consentire una compensazione in qualche modo rappresenterebbe fraporre un qualcosa fra sottoscrizione e versamento. Non si garantirebbe un entità sulla quale i terzi potrebbero soddisfarsi. La compensazione serve proprio ad evitare il versamento. In verità, la compensazione è una modalità diversa dalla quale si estingue un obbligo, è una modalità altrettanto sattisfativa. Comunque si assolve un obbligo di conferimento, e con la compensazione viene cancellata una posta del passivo e c’è comunque un arricchimento della società, non in forma di cassa, ma di eliminazione di una posta del passivo.

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Socio unico

Conferimenti in natura e di crediti

L’ipotesi di compensazione

2) “questo non sarebbe altro che conferire un credito verso la società”: ma non è così perché quando eccepisco una compensazione, non conferisco un credito. Il mio conferimento è in denaro, ma evito da adempiere all’obbligo perché ho un credito. Quindi siamo sempre nell’ambito di un conferimento in denaro;

3) “si verificherebbe un elusione del rischio tipico dell’apporto di capitale”: tal socio non subirebbe ne il rischio ordinario presente nella gestione dell’impresa, ne quello dell’insolvenza perché con la compensazione, il socio si libera integralmente dall’obbligo di conferimento. Se la società fallisce, invece, il mio credito della società sarebbe pagato in moneta fallimentare e non riuscirebbe a prendere il credito. E’ vero che i socio che compensa è favorito, ma la Cassazione dimentica che la stessa legge fallimentare prevede la possibilità di compensare nel fallimento: “i creditori hanno diritto di compensare i debiti verso il fallito con i crediti verso o stesso”. La regola della compensabilità c’è anche nel fallimento: ovvio che essa rappresenta un’eccezione alla par condicio creditorum, ed è avvantaggiato dal fallimento perché riesce a soddisfarsi integralmente. Mentre nel fallimento i crediti chirografari sono pagati al 30%, lui sarà pagato al 100%.

4) ancora, qualcuno sostiene che si prende per buono il credito del socio verso la società. Certo ci può essere questo rischio, ma al di là di questo se la compensazione la si fa sulla base di quanto esposto al bilancio, annullo una posta del passivo che elimino e che faccio emergere.

Nonostante tale orientamento che ritorna, anche in ambito societario è possibile la compensazione.

Tale operazione potrebbe ipotizzarsi anche in sede di costituzione, ma non potrebbe mai riguardare il 25% iniziale, perché questo va effettuato al momento della sottoscrizione, in quel momento non c’è ancora una società e tanto meno ci può essere un credito del socio verso la società, mentre potrebbe riguardare il versamento dei centesimi mancanti.

Si ripropone in sede di aumento di capitale il fatto che se anche la legge prevede di versare integralmente il 25%, in sede di aumento di capitale, tale negozio mantiene natura consensuale e non ha natura reale, questo per le ragioni che abbiamo già visto in sede di costituzione di società:- perché nel nostro ordinamento, i contratti sono reali sono eccezionali; la regola è la

consensualità. - inoltre nei contratti reali, l’effettuazione della prestazione deve essere integrale e non parziale.

La sottoscrizione poi è valida, a prescindere che ci sia anche il versamento integrale e rappresenta un obbligo. Se per qualche motivo non fosse effettuato il versamento e la società avrebbe titolo per pretendere il versamento: il contratto si sarebbe comunque perfezionato.Addirittura ci sono sentenze che vietano che si possono trasformare contratti da consensuali a reali.

Comma 2 - Quando e se abbia buon fine un operazione di aumento di capitale.Se un aumento di capitale non è integralmente sottoscritto, il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte, solo se la deliberazione lo abbia previsto. E’ l’affermazione del principio della naturale inscindibilità dell’aumento di capitale.Se la delibera dice solo che aumentiamo il capitale di 100.00 euro, significa che tale operazione andrà a buon fine, solo se raggiungeremo il 100% delle sottoscrizioni, solo se l’aumento andrà integralmente sottoscritto, ossia della necessità dell’integrale sottoscrizione. Basta che un’azione non sia sottoscritta che tutta l’operazione cade.In tal caso la sottoscrizione parziale non vincola nè la società ne i sottoscrittori: quest’ultimi saranno liberati dall’obbligo di conferimento assunto ed hanno diritto alla restituzione delle somme già versate.

“naturale” perché la legge invece prevede che l’aumento del capitale sia scindibile, ma il capitale è aumentato di importo pari alle sottoscrizioni raccolte, soltanto se è stato espressamente previsto nella delibera di aumento di capitale (art. 2439, c. 2), ossia che “questa avrà successo qualunque sia la quota di capitale sottoscritta”.

La delibera può dire varie cose: “qualunque sia la quota”, l’operazione va buon fine per la parte sottoscritta; oppure può dire “se sarà sottoscritta almeno il 50%”, si possono fissare soglie minime sotto le quali l’operazione non è ritenuta utile. Ma nel silenzio della delibera, l’aumento di capitale nel silenzio della deliberazione è inscindibile.

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L’inscindibilità dell’aumento di capitale

Sottoscrizione parziale e previsione di scindibilità

Il problema è quando l’aumento sia stato dichiarato scindibile: quando diventino efficaci le singole sottoscrizioni che sono effettuate. Quando si diventa soci, compresa la quota di aumento di capitale sottoscritto? Ma quando l’aumento è scindibile e viene dichiarato con successo, qualunque sia la percentuale di sottoscrizione; ma quando il sottoscrittore diventa socio? Quando sottoscrive o quando scade il termine finale?Le incertezze sono molte, sia in giurisprudenza, sia in dottrina: prevale la tesi dell’efficacia progressiva delle varie sottoscrizioni: permane in capo ai soci un onere per cui le singole sottoscrizioni diventano efficaci man mano siano sottoscritte. Ciò però potrebbe essere pericoloso.

Per evitare che tutto questo significhi rimanere nell’incertezza per molto tempo e lasciare nell’incertezza chi ha effettuato le sottoscrizioni. La legge stabilisce che nella delibera di aumento di capitale bisogna indicare più termini: - il termine entro cui si può esercitare il diritto di opzione, se possibile;- e un termine finale dell’operazione, che quando scade, “si deve vedere a che punto siamo!”. Se

alla fine dei sei mesi non saranno raccolte tutte le sottoscrizioni, a questo punto a chi ha già effettuata le sottoscrizione dovrà essere restituito quanto versato, e l’operazione cade. Tale termine è essenziale. Tale termine non può essere inferiore a 30 giorni dalla pubblicazione dell’offerta, entro cui le sottoscrizioni devono essere raccolte.

Nell’art. 2440 bis, articolo introdotto nel 2008 con il decreto 242/2008 in attuazione della riforma della seconda direttiva comunitaria. Si prevede la possibilità di aumento delegato degli amministratori.

6.4 Il diritto di opzione

Il punto centrale, sempre in tema di aumento a pagamento, riguarda il diritto di opzione dei soci: la legge stabilisce la regola per tutte le volte viene deliberato una aumento a pagamento.Nel aumento gratuito il problema non si pone perché quando si aumenta il capitale o ci si limita ad aumentare il valore nominale delle azioni già in circolazione, o se emesse di nuove, esse devono essere assegnate ai soci attuali in proporzione delle azioni già possedute; l’aumento di capitale gratuito è sempre a vantaggio dei soci attuali. Quando l’aumento è a pagamento, la regola (anche se soffre qualche eccezione) è che devono essere riconosciuti ai soci attuali il diritto di opzione ovvero il diritto dei soci attuali di essere preferito ai terzi nella sottoscrizione dell’aumento di capitale a pagamento.Le azioni di nuova emissione devono essere preventivamente offerte ai soci, prima d’essere offerte ai terzi.Questa è la regola che soffre alcune eccezioni. Le azioni di nuova emissione, di qualunque categoria esse siano, devono essere offerte ai soci attuali e agli eventuali obbligazioni con diritti di conversione.Proprio perché l’aumento del capitale è a servizio del prestito, il diritto di opzione si trasferisce dall’aumento del capitale a servizio del prestito alla stessa emissioni di obbligazioni convertibili.

Art. 2441Diritto di opzione.

1. Le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili il diritto di opzione spetta anche ai possessori di queste, in concorso con i soci, sulla base del rapporto di cambio.2. L'offerta di opzione deve essere depositata presso l'ufficio del registro delle imprese. Salvo quanto previsto dalle leggi speciali per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dalla pubblicazione dell'offerta.3. Coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell'acquisto delle azioni e delle obbligazioni convertibili in azioni che siano rimaste non optate. 4. Se le azioni sono quotate in mercati regolamentati, i diritti di opzione non esercitati devono essere offerti nel mercato regolamentato dagli amministratori, per conto della società, per almeno cinque riunioni, entro il mese successivo alla scadenza del termine stabilito a norma del secondo comma.5. Il diritto di opzione non spetta per le azioni di nuova emissione che, secondo la deliberazione di aumento del capitale, devono essere liberate mediante conferimenti in natura. Nelle società con azioni quotate in mercati regolamentati lo statuto può altresì escludere il diritto di opzione nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione dal revisore legale o dalla società di revisione legale.

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I termini indicati nella delibera

Problemi d’interpretazione

Nozione

6. Quando l'interesse della società lo esige, il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la deliberazione di aumento di capitale, approvata da tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale, anche se la deliberazione è presa in assemblea di convocazione successiva alla prima.7. Le proposte di aumento di capitale sociale con esclusione o limitazione del diritto di opzione, ai sensi del primo periodo del quarto comma o del quinto comma del presente articolo, devono essere illustrate dagli amministratori con apposita relazione, dalla quale devono risultare le ragioni dell'esclusione o della limitazione, ovvero, qualora l'esclusione derivi da un conferimento in natura, le ragioni di questo e in ogni caso i criteri adottati per la determinazione del prezzo di emissione. La relazione deve essere comunicata dagli amministratori al collegio sindacale o al consiglio di sorveglianza e al soggetto incaricato della revisione legale dei conti almeno trenta giorni prima di quello fissato per l'assemblea. Entro quindici giorni il collegio sindacale deve esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni. Il parere del collegio sindacale e la relazione giurata dell'esperto designato dal tribunale nell'ipotesi prevista dal quarto comma devono restare depositati nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e finché questa non abbia deliberato; i soci possono prenderne visione. La deliberazione determina il prezzo di emissione delle azioni in base al valore del patrimonio netto, tenendo conto, per le azioni quotate in mercati regolamentati, anche dell'andamento delle quotazioni nell'ultimo semestre.8. Non si considera escluso né limitato il diritto di opzione qualora la deliberazione di aumento di capitale preveda che le azioni di nuova emissione siano sottoscritte da banche, da enti o società finanziarie soggetti al controllo della Commissione nazionale per le società e la borsa ovvero da altri soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività di collocamento di strumenti finanziari, con obbligo di offrirle agli azionisti della società, con operazioni di qualsiasi tipo, in conformità con i primi tre commi del presente articolo. Nel periodo di detenzione delle azioni offerte agli azionisti e comunque fino a quando non sia stato esercitato il diritto di opzione, i medesimi soggetti non possono esercitare il diritto di voto. Le spese dell'operazione sono a carico della società e la deliberazione di aumento del capitale deve indicarne l'ammontare.9. Con deliberazione dell'assemblea presa con la maggioranza richiesta per le assemblee straordinarie può essere escluso il diritto di opzione limitatamente a un quarto delle azioni di nuova emissione, se queste sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o di società che la controllano o che sono da essa controllate. L'esclusione dell'opzione in misura superiore al quarto deve essere approvata con la maggioranza prescritta nel quinto comma.

La disciplina del diritto di opzione è diventata un romanzo. E’ il diritto che i soci hanno, salvo il diritto di escluderlo e limitarlo, i soci della società di essere preferiti ai terzi nella sottoscrizione di nuove azioni che vengono emesse o non emesse, comunque di diventare titolari delle nuove azioni che risultano dall’aumento di capitale a pagamento.Il problema del diritto di opzione non si pone per gli aumenti gratuiti: in questi casi o si aumenta il valore nominale delle azioni, o a ciascuno dei soci già esistenti in proporzione delle azioni possedute vengono date le nuove azioni emesse per effetto dell’aumento gratuito ossia del passaggio da riserve a capitale. Mentre nel diritto a pagamento, il problema si pone. Tale diritto viene compresso solo in casi particolari: attraverso l’esercizio del diritto di opzione, ciascun socio ha il dritto di mantenere inalterato il suo rango, la sua posizione generica all’interno del capitale.Se non ho diritto a sottoscrivere il 30% del nuovo capitale e quindi gli amministratori fossero liberi di piazzare le nuove azioni io mi ritroverei ad avere il 15% del capitale e ciò potrebbe arrecare pregiudizio, sia sul versante patrimoniale (perché la fetta del patrimonio di mio apparteneva passa dal 30 al 15%) e sotto il profilo amministrativo (ipotizzando una società a voto pieno, se prima avevo una potenza da esprimere in assemblea del 30%, poi passa al 15%). Tutto ciò cambia radicalmente la mia posizione all’interno della società.

Il diritto di opzione, spetta tutte le volte che si ha un aumento a pagamento del capitale o quando c’è un emissione di obbligazioni convertibili. In quest’ultimo caso, specularmente il diritto di opzione, qualora ci sia in essere un prestito obbligazionario convertibile, spetta anche agli obbligazionisti con diritti di conversione.il diritto di opzione spetta a prescindere dalle categorie di azioni emesse in sede di aumento di capitale. L’aumento però potrebbe creare una nuova categoria di azioni, se prevista nello statuto, cosa non possibile in caso di aumento gratuito di capitale: in tal caso le azioni di nuova emissione devono essere identiche di quelle già emesse, non possono essere emesse nuove categorie ne alterare quelle già emesse.

Il diritto di opzione si esercita su qualche tipo di categorie di azioni emesse.

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Funzione

Il diritto di opzione viene considerato così connaturato alla posizione del socio e dell’azionista che prescinde correttamente dalla sua previsione dell’aumento di aumento di capitale, o dalla sua previsione in statuto: anche se lo statuto nulla prevede, il diritto di opzione spetta per legge, anche se la delibera di aumento non lo prevede: il diritto spetta comunque. Non necessita di essere richiamato.

E’ un diritto che può avere un suo valore economico e una sua circolazione, anche separata della circolazione dell’azione. Nelle azioni cartacee ci sono delle cedole staccabili che servono o a intascare il dividendo o come esercizio del diritto di opzione.Il diritto di opzione mi da il diritto di essere preferito, ma non mi assegna le azioni gratis, il socio deve comunque impegnarsi a conferire. Il socio potrebbe quindi cedere il suo diritto di opzione, che ha un suo potenziale mercato: nella realtà funziona solo con società quotate, nelle altre teoricamente è possibile, in cui è molto raro se non assente, nelle società a ristretta base azionaria.Il diritto di opzione tendenzialmente cresce quanto più l’emissione delle nuove azioni avviene senza o con basso sovrapprezzo. Se ho una società con capitale di 100 e patrimonio di 10.000 e dovessi emettere nuove azioni a valore nominale, è chiaro che il diritto di opzione varrà tantissimo, perché avrò la possibilità di sottoscrivere azioni al valore nominale a fronte di un elevato valore patrimoniale.Man mano invece che attraverso l’emissione con sovrapprezzo si tende a far pagare quello che è il valore patrimoniale delle azioni, evidentemente il valore del diritto di opzione tenderà a 0. Comunque ci sono andamenti di borsa autonomi da queste considerazioni. Comunque è liberamente trasferibile il diritto di opzione, separatamente dall’azione.

Il diritto di opzione è un diritto del socio che può essere limitato ed escluso solo nei casi espressamente previsti dalla legge. Sarebbe invalida una deliberazione dell’aumento di pagamento, che escludesse o limitasse il diritto di opzione in un caso non previsto dalla legge: secondo alcuni nulla, secondo altri annullabile.

Il diritto di opzione viene attribuito a ciascun azionista e ai possessori di obbligazioni convertibili (su tutte le azioni di nuova emissione) in proporzione al numero di azioni già possedute.Il diritto di opzione ha ad oggetto le azioni di nuova emissione di qualsiasi categoria e le obbligazioni convertibili in azioni emesse dalla società.Un problema che si può porre è il seguente: può capitare che l’aumento di capitale nelle sue proporzione non rispetti la proporzione delle categorie già presenti nella società, addirittura in sede di aumento si potrebbe emettere una nuova categoria di azioni.Esempio: una società ha più categorie di azioni, ma viene deliberata una aumento di capitale (da liberarsi mediante emissione di azioni di una sola delle categorie esistenti) che non rispecchi la proporzione fra le categorie già esistenti. Ci si regola nel senso che non c’è una norma che disciplini su quali azioni preventivamente si eserciti il diritto di opzione: non c’è una regola nella legge.

In realtà c’è una regola del TUF (D.lgs. 58/1998) in riferimento solo alle azioni di risparmio, all’art. 145 si stabilisce che ciascuna categoria di azioni attribuisce il diritto di opzione prioritariamente su azioni di nuova emissione della stessa categoria e poi (solo se non vengoro rispettate le proporzioni fra categorie) progressivamente su azioni di diversa categorie, partendo da quelle più vicine come diritti che attribuiscono (secondo ordine di prossimità).Ad esempio, c’è una quotata con azioni ordinarie e risparmio al 50%; l’aumento di capitale è suddiviso fra 70% ordinarie e 30% risparmio. Ipotizziamo che tutti i soci esercitano il diritto di opzione.La legge dice che se tutti esercitano il diritto di opzione (non tutti i soci potranno avere chiaramente in ugual misura le stesse azioni che già possiedono): la soluzione è che finché è possibile bisogna siano assegnate azioni di nuova emissione della medesima categoria, e in mancanza vengono assegnate azioni di altre categorie, partendo dalle più vicine.Questo criterio dettato solo espressamente a proposito delle azioni di risparmio viene ritenuto analogicamente applicabile a tutte le operazioni di aumento di capitale in una spa.Fermo restando che non c’è alcun obbligo di emettere azioni della medesima categoria di quelle già esistenti e neppure nella medesima proporzione.

105

Valore economico e circolazione del diritto

Oggetto del diritto

Alla società è lasciato un margine di discrezionalità nella determinazione dell’ammontare del sovrapprezzo (ove la società abbia accumulato utili, ovvero il patrimonio della società abbia un valore maggiore di quanto risulti dai prudenziali criteri di valutazione del bilancio). Nei casi di esclusione del diritto di opzione, è stabilito infatti che la delibera di aumento di capitale determina un prezzo di emissione delle azioni in base al valore del patrimonio netto, tenendo conto per le azioni quotate in mercati regolamentati, anche dell’andamento delle quotazioni nell’ultimo semestre (art. 2441, c. 6).Se e in che misura è lecito il fatto che la delibera di aumento fissi un sovrapprezzo nell’emissione? Ciclicamente azionisti si rivolgono al tribunale perché ritengono che ciò ledi il loro diritti di opzione. La giurisprudenza ha sempre negato che la fissazione del sovrapprezzo sia un elemento che neghi il diritto di opzione, ed è sempre lecito, anche se deve essere un sovrapprezzo con una sua razionalità: il valore massimo del sovrapprezzo deve esser quello tale da (al massimo) coprire il valore patrimoniale (reale) delle azioni, non quindi un sovrapprezzo che giustifichi in base alla qualità e alle quantità di riserve che una società ha in un certo momento. Altrimenti si configurerebbe come uno strumento della maggioranza per espellere la minoranza.Poiché ci sono delle situazioni in cui alcuni diritti che possono essere esercitati solo con un data percentuale, sono attributi soltanto a chi abbia un determinato possesso azionario. Con il sovrapprezzo si potrebbe cercare di portare il socio di minoranza di portalo sotto a percentuale del 10% o del %% per toglierli una serie di diritti. Una delibera che introduca un sovrapprezzo troppo elevato potrebbe quindi essere annullata.Sempre nei casi di esclusione del diritto di opzione, il collegio sindacale deve esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione. Nelle società con azioni quotate, tale parere è invece espresso dalla società incaricata alla revisione contabile (art. 158 TUF).

L’offerta di opzione deve essere depositata nell’Ufficio del Registro delle imprese. Una volta deliberato l’aumento di capitale, gli amministratori devono depositare presso l’ufficio del Registro delle imprese l’offerta di opzione rivolta a soci (art. 2441, c.2).Salvo per quanto previsto per le società di azioni quotate in un mercato regolamentato (è previsto un termine inferiore), per l’esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a 30 giorni dalla pubblicazione dell’offerta. Entro tale termine, i soci possono dichiarare o meno l’intenzione di esercitare il diritto di opzione.Per l’aumento di capitale obbligatoriamente deve essere fissato un termine finale dell’operazione, quindi normalmente nella delibera ci sono due termini:- un termine entro il quale i soci possono esercitare il diritto di opzione, non inferiore a 30 giorni

dalla pubblicazione dell’offerta di opzione;- un termine finale di compimento dell’operazione che non può essere inferiore al precedente

(ovvero sempre di 30 giorni): la legge non dice quanto lungo debba essere, mentre fissa un termine minimo precedente, che potrebbe essere più lungo.

E’ dubbio se la delibera assembleare possa rimettere agli amministratori la fissazione del termine. La soluzione permissiva sembra preferibile (Campobasso, 2006).

Il primo termine può essere però rinunciato: è frequente che nel momento in cui tutti i soci partecipino all’assemblea si rinunci alla pubblicazione nel registro delle imprese dell’offerta di opzione, si libera gli amministratori da questo obbligo. Tutti devono essere d’accordo per rinunciare alla pubblicazione nell’ufficio del registro l’avviso del diritto di opzione: se i soci si dichiarano già informati è richiesta l’unanimità dei soci, è un informazione riservata ai soci non ai terzi.

6.5 Le azioni non optate

Il diritto di opzione è un diritto, non c’è nessun obbligo di esercitare il diritto di opzione.Il diritto di opzione spetta in proporzione alle azioni possedute sulle nuove azioni, in base alla percentuale di capitale che un socio ha a disposizione.Ci possono essere uno o più soci che non esercitano il diritto di opzione.

Gli amministratori non sono liberi di collocare le azioni rimaste inoptate a loro piacimento. La disciplina varia a seconda che del azioni che siano offerte in un mercato regolamentato, quindi con azioni già quotate in borsa, ovvero che sia una società che non abbia azioni quotate.

106

Offerta di opzione e termine

Rinuncia del termine di opzione

Sovrapprezzo

Le ipotesi quindi sono:a) se si tratta di azioni quotate, i diritti di opzione non esercitati devono essere offerti nel

medesimo mercato regolamentato dagli amministratori per almeno cinque riunioni entro il mese successivo dalla scadenza del termine.

b) se le azioni non sono quotate, la legge stabilisce che coloro che hanno esercitato il diritto di opzione hanno diritto di prelazione nella sottoscrizione di azioni o di obbligazioni convertibili che siano rimaste inoptate, purché ne abbiano fatto contestuale richiesta all’atto di esercizio del diritto di opzione.

Prima che gli amministratori possano collocare azioni presso terzi, c’è una sorta di “secondo giro” per gli altri soci, non in opzione, ma in prelazione, purché ne abbiano fatto richiesta contestale nel momento dell’esercizio del diritto di opzione “se rimangono azioni inoptate, è possibile esercitare il diritto di prelazione sulle altre, è una facoltà che devo esercitare a priori, nel momento in cui esercito il diritto di opzione.La legge dice che il diritto di prelazione deve essere esercitato contestualmente a quello di opzione. Il concetto di “contestualità” deve interpretarsi in maniera elastica, possano esserci anche comunicazioni separate; una sentenza dice che devono essere nello stesso giorno; la contestualità non deve comunque intendersi in senso rigoroso; fra l’altro, ci sono anche dibattute sentenze che dicono che la delibera di aumento di capitale potrebbe prevedere un termine di esercizio di prelazione diverso da quello entro cui è possibile esercitare il diritto di opzione.

Il dubbio più grosso è un altro: che natura ha il secondo diritto di prelazione? 1) c’è che dice che è un vero e proprio diritto di prelazione (= diritto per legge o per

convenzione che un soggetto ha di essere preferito a chiunque altro in una determinata operazione a parità di condizione). Il socio che esercita questo diritto ha diritto ad essere preferito a parità delle condizioni rispetto ai terzo (che gli amministratori offrirebbero ai terzi);

2) per altri è considerato un secondo giro d’esercizio del diritto di opzione, ossia un’opzione di secondo livello.

Le conseguenze dell’accogliere una tesi o l’altra sono diverse. - se esercitando la prelazione, ho diritto ad essere trattato come un terzo (come verrebbe trattato il

terzo) allora è possibile che ci sia un prezzo di sottoscrizione delle azioni offerte in prelazione, diverso da quello delle azioni offerte in opzione. Se devo essere trattare come come sarebbe un terzo, e’ lecito che la delibera di aumento di capitale preveda che le azioni siano ammesse a 1000 più soprapprezzo di 500, se sottoscritte dai soci esercitando il diritto di opzione, e con sovrapprezzo di 1000, se sottoscritte ai terzi. Se è un diritto ad essere preferito alle stesse condizioni che lo sarebbe il terzo, allora il soci avrebbe due prezzi diversi: 1500 per la parte di cui ha optato e di 2000 per la parte in cui ha esercitato la prelazione.

- se invece è un opzione di secondo grado, il socio avrebbe diritto a sottoscrivere le azioni alle stesse condizioni a cui ha sottoscritto le azioni nel primo giro di opzione.

C’è una sentenza della Cassazione nel primo senso: un diritto ad essere preferito a parità di condizioni, mentre il secondo giro può avvenire ad un prezzo diverso.

Altro problema che sorge e che la legge non disciplina espressamente è se ciascun socio che esercita l’opzione può dichiarare di voler esercitare il diritto può dichiarare la prelazione sull’intero inoptato. Tale ipotesi sembra possibile.Ma se fossero più di uno i soci che abbiano manifestato tale intenzione, si ritiene che, nel caso di richieste di prelazione che superino le richieste dell’inoptato, l’assegnazione vada effettuata in proporzione al possesso azionario attuale di ciascun richiedente. Ma non tutti sono d’accordo su questo: secondo alcuni debba essere fatto in proporzione a ciò che si è optato, secondo altri ancora dividendo pro quota in base al numero di richieste.La più seguita è quella per cui debba essere rispettata la proporzionalità del capitale attuale, del capitale posseduto pre aumento di capitale, quindi in base alla partecipazione sociale di ciascun socio richiedente.

Solo se gli azionisti non si avvalgono per l’intero del diritto di prelazione o i diritti offerti nel mercato regolamentato restano invenduti, le azioni di nuova emissione potranno essere liberamente collocate.

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Le due ipotesi

Il diritto di prelazione

La “contestualità”

La natura del diritto

Altri problemi interpretativi sull’inoptato

Collocamento delle azioni inoptate

6.6 L’esclusione del diritto di opzione

Il diritto di opzione degli azionisti e dei possessori di obbligazioni convertibili può essere limitato o escluso in tutto o in parte solo nei casi previsti dalla legge, rispondenti ad un concreto interesse della società:

1) il diritto di opzione è escluso per legge quando le azioni devono essere liberate mediante conferimenti in natura: se deliberiamo un aumento in natura mediante conferimento di uno o più beni, l’operazione può avere fine solamente con una previsione specifica del socio che dovrà conferire quel bene. L’operazione può aver senso solamente con esclusione del diritto di opzione dei soci. Anche se fossero ben fungibili, il diritto può essere sempre escluso. Quest’ipotesi deriva dalla necessità di pescare il bene laddove si trova. Proprio perché la ratio dell’esclusione che è ex lege, andare a prendere il bene dove sta da molti si ritiene che l’esclusione non valga quando l’aumento di capitale prevede il conferimento mediante crediti: in tal senso non ha senso prevedere il diritto di opzione. Per il conferimento dei credito, con questa ratio, non è prevista l’esclusione legale del diritto di opzione. Escluso il diritto di opzione per il socio, gli vengono attribuiti come altri diritti. E’ previsto inoltre:

i) non solo, nelle delibere che portano l’esclusione del diritto di opzione, gli amministratori devono illustrare con un apposita relazione, allegata alla proposta di aumento di capitale, specificare le ragioni e qual’è interesse della società che giustifica la librazione dei un conferimento in natura, sebbene sia la legge prevede che è sempre escluso il diritto di opzione, oltre che i criteri adottati nella determinazione del prezzo di emissione. Devono giustificare il perché si è scelto un conferimento del capitale in natura, anziché in denaro.

ii) inoltre, sempre per consentire una maggiore informazioni ai soci, il parere del collegio sindacale sulla congruità del prezzo e la relazione giurata di stima del conferimento deve essere redatta prima che l’assemblea deliberi sull’aumento di capitale e deve restare depositata nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l’assemblea e fintanto questa non abbia deliberato. I soci possono prenderne visione (art. 2441, c. 6).

2) il secondo caso è l’ipotesi più delicata e si presta a manovra a danno dei soci di minoranza. La legge dice che il diritto di opzione può essere escluso quando l’interesse della società lo esige (art. 2441, c. 5). Il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la (medesima) deliberazione di aumento di capitale: c’è un interesse della società che esige l’esclusone del diritto di opzione. Cosa vuol dire “interesse generale”? La giurisprudenza tende ad una lettura abbastanza elastica, nel senso che non si ritiene che sia possibile escludere il diritto di opzione solo quando vi sia un’assoluta necessità di sacrificare il diritto dei soci, ma a seconda dei casi: si è detto che è sufficiente “un interesse che faccia apparire ragionevolmente più conveniente per la società il sacrificio dei soci in favore di un terzo, quando ci sia un interesse effettivo, motivato e riconoscibile, che faccia pensare sia conveniente compiere in tal modo questa operazione”. L’ipotesi tipica è quella in cui l’operazione di aumento di capitale viene fatta per ottenere nuove risorse, per fare entrare in società un socio ritenuto strategico. Per lanciarmi alla conquista di un mercato estero è trovare un socio in loco. C’è un interesse della società d’avere un socio del loco per entrare nel mercato apposito del loco. Il giudice deve valutare se la motivazione data nella delibera “tenga”, egli non sindaca il merito “del paese” ad esempio, ma certamente non è una valutazione/esame di pure legittimità formale, si guarda a sostanza e le la motivazione regge ed esprime un interesse serio della società. E’ previsto che:

i) la legge impone che la delibera sia approvata da più della metà del capitale sociale anche nelle convocazioni successive alla prima: la legge vuole maggioranze ultra rafforzate proprio per la delicatezza dell’operazione e del diritto di opzione.

ii) ance in tal caso, gli amministratori devono illustrare con un apposita relazione, allegata alla proposta di aumento di capitale, specificare le ragioni dell’esclusione o della limitazioni del diritti di opzione.

iii) si ritiene, inoltre, che l’assenza della prova determini la nullità della deliberazione.

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Esclusione del diritto di opzione

1) Conferimenti in natura

2) Interesse della società

3) terza ipotesi: il diritto di opzione può essere escluso, con delibera di assemblea straordinaria, quando le azioni di nuova emissione vengano offerte in parte alla sottoscrizione dei dipendenti della società o di controllate o controllanti: l’ultimo comma dell’art. 2441 si prevede che con delibera di assemblea presa con la maggioranza richiesta per assemblea straordinaria, il diritto di opzione può essere escluso limitatamente ad un quarto dell’aumento, se queste sono offerte ai dipendenti della società o ai dipendenti delle società controllanti o controllate della società che compie l’operazione. Questo caso è quello che riserva un aumento di capitale ai propri dipendenti. L’esclusione dell’opzione in misura superiore ad un quarto deve essere invece essere approvata con maggioranza prevista dal quinto comma ovvero con le maggioranza assoluta del capitale anche nelle convocazione successive alla prima. Abbiamo visto, inoltre, il capo in cui la società può prestare garanzie in favore dei dipendenti che sottoscrivano un aumento di capitale.Per le società quotate, si applicano invece le normali maggioranze dell’assemblea straordinaria, se l’aumento non eccede l’uno per cento del capitale sociale (art. 134, c. 2 TUF).

4) c’è una quarta ipotesi, novità della riforma, che riguarda solo le società con azioni quotate in borsa: si prevede la possibilità che lo statuto possa escludere il diritto di opzione nei limiti del 10% del capitale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione dal revisore legale o dalla società di revisione legale. Tale parte dell’aumento di capitale potrà collocarsi direttamente nel mercato di borsa regolamentato: per ogni operazione di aumento di capitale un 10% può non essere offerto ai soci, ma direttamente al mercato regolamentato. E’ un tentativo di far circolare in borsa di una parte degli amenti. Lo statuto potrebbe rimandare all’assemblea straordinaria che delibera l’aumento di capitale di prevedere o non precedere questa riserva da offrire: la legge sembra parlare di un obbligo in questo senso. In quest’ultimo caso, come sancito dal 4° comma, lo statuto dice che il prezzo di emissione per le azioni nuove corrisponde al valore di mercato delle azioni e che sia confermato in azioni del revisione legale o di società di revisione: la legge detta il criterio di mercato (del giorno in cui sono offerte).

In quest’ultimo caso, la legge individua un criterio di fissazione del prezzo che è diverso da quello degli altri casi di esclusone del diritti di opzione. Nel primo o nel terzo caso, è obbligatoria l’emissione di nuove azioni con sovrapprezzo, ove la società abbia accumulato utili, in modo da ridimensionare il pregiudizio patrimoniale degli azionisti attuali.Alla discrezionalità degli amministratori nel determinare il prezzo di emissione, la legge usa un’altra formula: “la deliberazione deve fissare il prezzo di emissione delle azioni in base al valore del patrimonio netto, e per le quotate, tenendo conto anche dell’andamento delle quotazioni dell’ultimo semestre” (art. 2441, c.6). nel quarto caso quindi non è il prezzo del giorno, ma quello dell’ultimo semestre.

Inoltre, il collegio sindacale deve esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione.Nelle società con azioni quotate, tale parare è invece espresso dalla società incaricata alla revisione contabile (art. 158 TUF).

Quindi, nel caso in cui ci sia il conferimento in natura il prezzo deve essere corrispondente al valore patrimoniale delle azioni: quindi normalmente l’emissione avverrà con un sovrapprezzo. Su questo deve esprimersi anche il collegio sindacale, che sia congruo. La legge richiede anche un parere del collegio sindacale sulla congruità del prezzo nei casi di conferimento in natura.

La legge invece non dice nulla sul prezzo per l’emissione destinata ai dipendenti, e questa mancanza è a favore dei dipendenti che potrebbero essere offerte anche al valore nominale. Tutto questo non c’è, si ribadisce, quando è riservata una parte della sottoscrizione ai dipendenti.

La legge quindi limita a queste ipotesi i casi di esclusione o limitazione del diritto di opzione dei soci.

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3) Azioni in favore dei dipendenti

4) 10% del capitale delle società quotate

Il prezzo di emissione nelle ipotesi di esclusione 1) e 2)

Il prezzo di emissione nell’ ipotesi di esclusione 3)

Il parere sulla congruità del prezzo

6.7 L’opzione indiretta e i warrant di sottoscrizione

C’è poi un caso che non si considera di esclusione o limitazione del diritto di opzione, ma che la legge ci tiene a precisarlo “che non è un esclusone o limitazione del diritto di opzione”. Il penultimo comma dell’art. 2441 precisa che non si considera escluso ne limitato il diritto di opzione, qualora la deliberazione di aumento di capitale preveda che le azioni di nuova emissione siano sottoscritte da banche, da enti o da società finanziarie soggette al controllo delle Consob o da altri soggetti autorizzati all’attività di collocamento di strumenti finanziari (ad esempio, sim), con l’obbligo di offrire successivamente agli azionisti della società con un operazione di qualunque tipo in conformità con i primi commi del presente articolo. Questo fenomeno viene comunemente chiamato opzione indiretta, molto frequente soprattutto per le società quotate. Molto spesso piuttosto che cercare di condurre l’operazione per contro proprio, affida l’operazione ad una banca o a pull di banche in modo che la società mettendosi d’accordo con un pull di banche si garantisce che il suo aumento di capitale verrà sottoscritto, perchè secondo questo contratto si dice “Tu banca ti impegni a sottoscrivere capitale per 10 milioni di euro completamente, ma ti prendi l’impegno di offrirlo in opzione tu ai miei azionisti”: il vantaggio che ha la banca è che ovviamente la banca spunterà un prezzo di sottoscrizione più basso rispetto a quello che sarà offerto dagli azionisti: c’è uno sconto che la società fa alla banca che è la remunerazione del rischio della banca, che sottoscrive tutto, e poi se non riesce a piazzarlo se lo tiene nel suo patrimonio quel capitale.C’è comunque un interesse reciproco dal fatto che per la banca la sottoscrizione va a buon fine al 100% rivolgendosi alla banca, mentre per la banca allunga il differenziale fra il prezzo per cui paga le azioni e il prezzo che poi le mette in circolazione.

Questa operazione è legittima e non rappresenta un caso di limitazione del diritto di opzione, solo nella misura in cui ci sia un’impegno espresso da parte dell’intermediario di offrire tali azioni agli azionisti nella delibera di aumento di capitale: è chiaro che se non c’è questa previsione, si finirebbe in un’ipotesi di esclusione indebita del diritto di opzione.

Le spese per l’operazione sono per legge a carico della società e la delibera di aumento deve indicarne l’ammontare.

E’ fatto divieto all’intermediario, titolare medio tempore delle azioni sottoscritte, di esercitare il diritto di voto durante la detenzione delle azioni da offrire agli azionisti e comunque finquando non sia stato esercitato il diritto di opzione.

Altra tecnica per differire o diluire nel tempo un aumento di capitale sociale è quella di emettere obbligazioni con warrant di sottoscrizione di acquisto, o di emettere gli stessi buoni di sottoscrizione, che attribuiscono al titolare il diritto di sottoscrivere le azioni di nuova emissione a condizioni predeterminate.Molte volte, la società vuole fare un aumento di capitale ingente però ha paura delle ripercussioni del mercato di borsa, allora approva l’aumento di captale e abbina a questo anche un warrant ovvero un buono di sottoscrizione di un secondo aumento di capitale, che verrà fatto successivamente: in questo modo chi sottoscrive le azioni diventa socio per la parte che sottoscrive e ha che un buono da esercitare anche quando verranno emesse le nuove azioni. E’ un modo per diluire nel tempo una complessivo aumento del capitale.

I warrant di sottoscrizione, di regola rappresentati da titoli di credito al portatore, devono essere emessi rispettando la disciplina del diritto di opzione, in quanto attribuiscono un’opzione contrattuale che sostituisce quella ex lege. Devono perciò essere offerti ai soci attuali, salvo ipotesi di esclusione.Il vantaggio per la società è che, scaduto il termine entro cui i soci possono richiederne l’assegnazione, la società è libera di collocare subito sul mercato i warrant rimasti inoptati.

Anche i warrant, quindi, circolano separatamente, come per i diritti di opzione.

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Opzione indiretta

Warrant di sottoscrizione

Condizione

Spese per l’operazione

Sospensione del diritto di voto

Disciplina e circolazione

6.8 L’aumento di capitale gratuito

Art. 2442. Passaggio di riserve a capitale.

1. L'assemblea può aumentare il capitale, imputando a capitale le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili.2. In questo caso le azioni di nuova emissione devono avere le stesse caratteristiche di quelle in circolazione, e devono essere assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle da essi già possedute .3. L'aumento di capitale può attuarsi anche mediante aumento del valore nominale delle azioni in circolazione.

L’aumento di capitale nominale o gratuito è un’operazione che non dà luogo a nuovi conferimenti e non determina perciò alcun incremento del patrimonio sociale.L’aumento di capitale, oltre che a pagamento, può essere anche gratuito, ma non ne parla la legge. Si parla invece di “passaggio di riserve a capitale”, a rubrica dell’art. 2442.

La norma dice che l’assemblea può aumentare il capitale, imputando a capitale le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili.

Sempre di aumento di capitale sociale si parla, quindi sempre di una modifica dello statuto si tratta, quindi la deliberazione di modificazione del capitale sociale va comunque sempre assunta in assemblea straordinaria e secondo le regole proprie delle modifiche statutarie.

La riforma non ha innovato granché, soltanto si è tolto la formula precedente “imputando a riserve e i fondi speciali in quanto disponibili”. L’aggettivo “speciali” è stato eliminato, in quanto si erano costruire una serie di elaborazioni. C’era una tesi in passato si diceva che i fondi utilizzabili per aumentare il capitale gratuitamente dovevano essere fondi speciali in quanto originati dall’applicazione di leggi speciali che introducevano l’obbligo o la facoltà, ad esempio, di incrementare il valore dei cespiti, appostando una riserva di rivalutazione. L’eliminazione oggi del termine speciale toglie ogni peso ad una modificazione di questo tipo.

L’aumento gratuito si risolve sostanzialmente in un’operazione contabile. Se per la consistenza patrimoniale non cambia nulla, quel patrimonio prima dell’operazione continua ad avere il medesimo valore, solo cambia etichetta una parte del patrimonio, che invece a riserva o fondo diventa capitale.

E’ evidente che dal punto di vista giuridico, le conseguenze sono riverse. Dal momento in cui una determinata posta disponibile del netto passa a capitale, cambia il regime di quelle poste: il capitale infatti è un’entità rigida che può essere modificato solamente con un’altra modifica statutaria. Nel momento in cui volessi liberare di nuovo quelle poste portate a capitale, devo applicare nuovamente l’art. 2445 e cioè devo liberare i creditori sociali e non posso restituire ai creditori quelle poste, ma devo aspettare 60 giorni entro i quali i creditori associati potranno fare opposizione all’operazione, se si ritengono pregiudicati da quell’operazione.

Quindi cambia molto il regime, pur essendo un’operazione neutra, dal punto di vista giuridico le cose sono profondamente diverse. Non solo, ma aumentando il capitale gratuitamente, aumenta anche il livello a cui devo portare la riserva legale.Aumento il capitale per quanto gratuitamente, aumenta anche il livello a cui devo portare la riserva legale, che deve essere alimentata con quote di utili fino anche non raggiunga un quinto del capitale sociale.Ovvio che se io raddoppio il capitale seppure gratuitamente, raddoppia anche l’entità che deve avere la riserva legale e questo significa che per gli esercizi successivi dovrò trattenere una part di utili per portare al nuovo tetto la riserva legale.

C’è un operazione speciale di aumento gratuito di capitale prevista nell’art. 2349, cioè quando si fa un’assegnazione straordinaria di utili ai dipendenti, è un’operazione gratuita perché si fanno transitare direttamente una quota di utile e fronte di questa aumento gratuito di capitale, vengono offerte azioni ai dipendenti.

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Disciplina pre riforma

Competenza

Il capitale come entità rigida

Variazione della riserva legale

Aumento gratuito in favore dei dipendenti

Quali poste posso utilizzare per realizzare un operazione di aumento gratuito di capitale. Si parla di poste “disponibili”, ma la disponibilità di una riserva non equivale a distribuibilità della stessa, anche se le riserve distribuibili sono per forza disponibili, ma le riserve disponibili non sono necessariamente distribuitibili.

Esempio tipico è la riserva sovrapprezzo azioni, art. 2431, non è distribuitile fra i soci finchè la riserva legale non abbia raggiunto il suo tetto, ma è comunque una riserva disponibile.Quindi “riserve disponibili” sono riserve non vincolate a qualche destinazione specifica.

Ci possono essere, inoltre, riserve statuarie che possono essere a destinazione specifica o a destinazione generica, e in quest’ultimo caso, se non costituite per uno scopo determinato, possono essere utilizzare per aumentare il capitale sociale (fra i possibili usi).

Se invece sono a destinazione specifica: dai più si ritiene che per fare questa operazione di transizione a capitale, sarebbe necessaria una doppia deliberazione:- una con la quale si elimina la destinazione specifica alla riserva;- quella con cui tale riserva, ormai non più a destinazione specifica, transita a capitale. Anche se c’è un’altra tesi autorevole che dice non occorra fare questo: una cosa è eliminare una riserva con destinazione specifica, altra cosa è utilizzare quello che c’è attualmente dentro una riserva a destinazione specifica per aumentare il capitale. Questi sostengono che la società può mantenere questa riserva a destinazione specifica, ma la svuota in tutto o in parte che decide che ciò che c’è dentro quella riserva vada a capitale: il che non significa eliminare la destinazione di quella riserva, tale riserva rimane, andrà rimpolpata fino a quando non raggiunge una certa cifra o una certe percentuale rispetto al capitale, quindi secondo questa tesi, sarebbe possibile mantenere statutariamente la riserva, ma è altrettanto possibile che l’assemblea straordinaria utilizzi ciò che c’è dentro quella riserva per il passaggio a capitale, senza un ulteriore modifica statutaria.

Un problema delicato riguarda la riserva legale, che è la più indisponibile delle riserve, è un quasi capitale. Ma c’è un opinione, fondata, che gli aumenti gratuiti di capitale dovrebbero essere favoriti, perché dal punto di vista della consistenza patrimoniale di una società, il fatto che una riserva transiti a capitale, laddove il regime è molto più rigido, rende ancora più ferma e stabile la consistenza del patrimonio, ma non solo. Se si potesse passare a capitale tutta la riserva legale, si aumenterebbe ulteriormente la garanzia dei terzi, ma negli esercizi successivi non si potrebbero distribuire i dividendi perché andrebbe ricostituita la riserva legale. Quindi qualcuno ritiene che sulla base di questo anche la riserva legale, potrebbe essere utilizzata. Ma è opinione minoritaria.

Se invece accade che la riserva legale continui ad essere alimentata oltre il quinto del capitale (il venti percento del capitale sociale), quella parte in eccedenza, potrebbe essere utilizzata per l’aumento gratuito del capitale.

Parlando di riserve, c’è una particolare riserva, che non tutte le società hanno, che deve essere istituita quando la società o per obbligo o per libera scelta decida di usare il bilancio secondo gli IAS. Perché la legge prevede che quando, per effetto di questo, si effettuano delle rivalutazioni dei cespiti della società, la differenza tra valore precedentemente indicato e il valore nuovo che viene indicato per l’importo corrispondente deve essere annotato al passivo una riserva. È una riserva con regime molto particolare, sono riserve da patrimonio netto costituite come dice l’art. 6 del D.lgs. 38/2005: “le riserve di patrimonio netto costituite e movimentate in contropartita diretta della valutazione al valore equo di strumenti finanziari e”. In questo caso, queste riserve sono indisponibili: dice art. 6 anche ai fini dell’imputazione a capitale. Non è possibile usare queste riserve ai fini dell’aumento gratuito di capitale oltre per altre operazioni (come l’acquisto di azioni proprie).

Ci sono una serie di divieti che la legge pone. Sono super riserve, con regime più rigido di quello del capitale. Possono essere usate per coprire perdite, ma sono aggredite dalle perdite solo dopo la riserva legale. C’è un vincolo addirittura superiore di quello della riserva legale.

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Le riserve “disponibili”

La riserva sovrapprezzo azioni

Riserve statuarie a destinazione generica

Riserve statuarie a destinazione specifica

La riserva legale

Riserve di rivalutazione in base ai principi IAS

Altrettanto vale per la riserva azioni proprie che secondo quasi tutti gli interpreti non è nemmeno riserva: non può essere usata proprio per la sua peculiare funzione e natura. La legge dice che la riserva azioni proprie deve essere costituita e mantenuta per tutto il tempo in cui la società rimane proprietaria di parte del suo capitale e addirittura certamente non potrebbe essere usata per la copertura di perdite. Si ritiene che sia semplicemente una posta correttiva dell’attivo.

Per quanto riguarda la seconda voce “fondi”: i fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili. Essi sono usati quelli che la società può creare a seguito di accantonamenti per esigenze specifiche: la loro funzione può ad un certo punto venire meno e quelle poste diventano disponibili per una aumento gratuito del capitale e una distribuzione ai soci. Esempi sono i fondi speciali disponibili costituiti con utili o corrispondenti a plusvalenze dell’attivo patrimoniale, i fondi per saldi attivi di rivalutazione monetaria risultanti dall’applicazione di leggi speciali.

C’è chi sostiene che l’effettiva sussistenza delle riserve e dei i fondi destinati a realizzare l’aumento gratuito dovrebbe essere accertata attraverso la relazione di un bilancio straordinario, ove l’operazione potesse essere deliberata a distanza di tempo dalla data di riferimento dell’ultimo bilanci o di un esercizio approvato. In realtà, ed è opinione prevalente, non sembra esserci questa necessità: si ritiene che sia sufficiente un’attestazione da parte degli amministratori che quelle poste previste nell’ultimo bilancio approvato, sono tutt’ora esistenti, nel sono che non sono state intaccate da eventuali perdite. Questo perché si dice, ed è coretto, che quando la legge ha voluto imporre alle società di capitali, in particolare spa, la reazione di un bilancio straordinario, l’ha previsto espressamente. Ad esempio, in tema di riduzione del captale per perdite, ex art. 2446, la legge dice che quando gli amministratori accertano una perdita di oltre un terzo del capitale per più di un esercizio devono predisporre una relazione sulla situazione patrimoniale: dai più è considerato un bilancio infra-annuale, da presentare all’assemblea che va convocata senza indugio. La giurisprudenza, inoltre, ritiene che questo bilancio infra-annuale può essere sostituito dal bilancio d’esercizio, qualora sia in occasione dell’approvazione del bilancio d’esercizio stesso che si accerta la sussistenza della riduzione.Non avendolo detto nulla per il caso dell’aumento gratuito, non si vede perché sia necessario. Anche se c’è più di una corrente di pensiero che ritiene necessaria la redazione di una relazione straordinaria.

6.9 Le modalità dell’esecuzione dell’aumento di capitale gratuito

Le modalità di attuazione dell’aumento gratuito sono due:1) mediante l’emissione di nuove azioni;2) aumentando il valore nominale delle azioni già esistenti;

Al secondo comma dell’art. 2442 si dice che le azioni di nuova emissione devono avere le stesse caratteristiche di quelle in circolazione e devono essere assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle da esse già possedute. Il terzo comma aggiunge che l’aumento di capitale può attuarsi anche mediante aumento del valore nominale delle azioni in circolazione.

In breve l’aumento deve essere attuato in modo da non alterare le preesistenti posizioni reciproche degli azionisti.

Per un difetto di coordinamento in sede di riforma, il legislatore non ha adeguato la norma dell’art. 2442 alla nuova possibilità che oggi c’è di emettere le azioni senza valore nominale. Se la società decide statuariamente di emettere le azioni senza valore nominale, è evidente che un’operazione di aumento gratuito in realtà non interverrebbe nessun intervento sulle azioni. La legge si è fermata sulle uniche due modalità possibili prima della riforma quando non c’era possibilità di emettere senza valore nominale.

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La riserva azioni proprie

I fondi disponibili

L’attestazione degli amministratori sull’esistenza di fondi e riserve

Modalità di attuazione

Quali sono queste due modalità? 1) o la creazione di nuove azioni che però devono avere le medesime caratteristiche di quelle

già in circolazione e devono essere assegnate in modo gratuito agli azionisti attuali in proporzione ovviamente al capitale che già possiede;

2) e l’altra modalità è di non emettere nuove azioni, ma di ritirare le vecchie azioni con valore nominale 10 e assegnazione per ogni azione vecchia di valore 10 di nuove azioni di valore 20.

Qualcuno ritiene che ci sia si la libera scelta di questa modalità, ma sia una libertà limitata: cioè quando l’emissione di nuove azioni non garantisce la conservazione esatta della proporzionalità tra le partecipazioni, in questo caso sarebbe necessario passare per l’aumento del valore nominale delle azioni per garantire la parità di trattamento tra tutti i soci.

Mentre è stato previsto che per l’aumento a pagamento, la società che fosse titolare di azioni proprie non partecipa: ci sarebbe il divieto di sottoscrizione anche se è superabile perché si può prevedere anche che la società partecipi all’aumento di capitale eccezionalmente seppure mantenendo i requisiti o caratteri propri dell’acquisto di azioni proprie. Certamente all’aumento gratuito di capitale la società partecipa. Se la società ha azioni proprie anche alla società sono assegnate in proporzione le azioni di nuova emissione, come aumentare il valore nominale delle azioni di proprietà della società.

6.10 I versamenti dei soci in conto capitale

È opportuno ragionare sul tipo di operazione, che non tocca il capitale, ma molto frequente come strumento per patrimonializzare la società nelle società, soprattutto nelle società a ristretta base azionaria. Quel fenomeno etichettato come versamenti in conto capitale che i soci possono effettuare a favore della società.

I soci, quando effettuano versamenti a favore della società, lo possono fare a diverso titolo, nel senso che ci può essere un finanziamento dei soci a favore della società, la quale ha l’obbligo di restituirlo a determinate scadenze e questo prestito può far maturare interessi a favore dei soci che lo effettuano. Evidentemente questi fondi comportano un debito di restituzione da parte della società e andranno a integrare una posta nel passivo reale della società. Nulla impedisce che i soci facciano una sorta di quasi conferimento, cioè versamenti senza obbligo di restituzione. Sono somme date alla società senza obbligo di restituzione, che entrano nel patrimonio della società.

Molte volte, invece, i soci preferiscono la strada dei versamenti in conto capitale, rispetto all’aumento di capitale a pagamento, perché in questo modo l’operazione necessità di meno formalità e quando “cambia il vento” questi somme possono tornare disponibili senza bisogno di modifiche statutarie, di dare tutela ai creditori. Questi sono i versamenti dei soci in conto capitale. Essi presentano il problema di capire a che titolo questi versamenti sono effettuati; se a titolo di prestito/mutuo o di versamenti a fondo perduto.

Questa questione era molto dibattuta nel passato, perché i bilanci delle spa nel passato erano un oggetto misterioso, ragion per cui dalla lettura del bilancio non era facile capire l’imputazione che avevano di questi versamenti. Questo tipo di problematica è venuta meno con il bilancio comunitario, in più è intervenuta la Cassazione che ha stabilito che quando ci sia incertezza sul titolo per cui vengono versati dai soci dei denari dalla società, si dice che spetta al socio che chieda la restituzione dei versamenti, dimostrare la natura di mutuo del versamento, che altrimenti si reputa a fondo perduto a favore della società. Se il socio non riesce a dimostrare che l’operazione è un mutuo, la società si tiene i denari.

Questo non ha esaurito tutti i problemi.Scontato che un certo versamento sia a fondo perduto, si tratta di vedere che tipo di trattamento debba avere. Il problema non sussiste se tutti i soci effettuano questi versamenti in maniera

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Società con azioni proprie

Libertà di scelta “limitata” della modalità

Introduzione

Natura dei versamenti

Pretesa della restituzione dei versamenti

proporzionale alla loro partecipazione della società. Cosa succede se sono solo alcuni soci che effettuano i versamenti a favore della società? Non è infrequente!

C’è una tesi molto autorevole che afferma che quando il versamento in conto capitale sia effettuato da alcuni soci soltanto o da tutti i soci in misura non proporzionale alla misura della quota di capitale che ciascuno possiede, si dice che certo, questo versamento va a integrare il patrimonio della società, va a costituire riserva, ma si dice che questa riserva è una riserva targata, porta dietro il nome e cognome di chi ha effettuato il versamento. Cosa vuol dire?Non è solo una questione terminologica, ha delle conseguenze rilevanti quando la società intenda usare queste riserve per aumentare il capitale. Se diciamo che chiunque dei soci effettui questi versamenti e questi versamenti vanno a costituire una riserva al pari delle altre (senza che sia “targata”), nel momento in cui aumento il capitale utilizzando questa riserve, è come se fosse un aumento gratuito, di cui godrebbero proporzionalmente alla loro partecipazione sociale tutti i soci a prescindere che abbiano contribuito o meno a riempire quella riserva. Se invece la riserva è targata, in caso di aumento di capitale, certo che questa risorsa è utilizzabile, ma questo diventerebbe aumento di pagamento a capitale sociale. Verrebbe usata come se fosse stato un versamento anticipato di un aumento di capitale ancora da deliberare, con l’obbligo degli altri soci, se vogliono mantenere la loro proporzione del capitale di sottoscrivere e fare nuovi versamenti, di sottoscrivere quote di aumento di capitale.

Se questa riserva non è targata e ad un certo punto si decide di liberarla, la redistribuzione non avverrebbe in proporzione a come sono stati fatti i versamenti, ma in proporzione della partecipazione sociale di ciascuno.

Questa tesi ha in sé un equivoco. Il problema diventa di distinguere nei versamenti a patrimonio due tipologie diverse di questi versamenti. Può capitare che effettivamente i soci decidano di anticipare alla società che sarà un versamento di un futuro aumento di capitale. Si potrebbero chiamare versamenti in conto futuro aumento di capitale. Qui è un’operazione diversa, nel senso noi anticipiamo dei soldi alla società, ma li anticipiamo condizionatamente, perché la società deve fare quell’operazione programmata, e se non l’avrà fatta dovrà restituire quei soldi. È un anticipo condizionato all’operazione di aumento di capitale.

Altro è se questi versamenti non sono legati ad una specifica operazione di aumento. In questo secondo caso, anche se i versamenti non sono fatti in modo proporzionale, comunque ne dovrebbero godere tutti i soci. Molte volte i soci per evitare di ridurre il capitale per perdite, i soci decidono di coprire le perdite fuori da un’operazione sul capitale e una delle tecniche è quella di effettuare dei versamenti che in questo caso non vanno a costituire una riserva perché vengono riassorbite dalle perdite che vengono coperte. È chiaro comunque che è un qualcosa che va a vantaggio degli altri soci, una sorta di donazione indiretta agli altri soci, però non c’è nulla di vietato.

C’è un’interessante sentenza della Cassazione che dice che va interpretato a che scopo va fatto il versamento, cioè:- se è finalizzato ad una specifica operazione di aumento del capitale, allora si i versamenti sono

solo anticipazioni di una sottoscrizione del versamento di un aumento a pagamento del capitale, quindi se fatti in modo non proporzionale, ciascuno ne godrà in base a quanto ha versato.

- ma se c’è non un legame diretto con specifica operazione programmata, allora sono versamenti a fondo perduto e vanno a integrare in maniera indistinta il patrimonio della società, senza nessuna targa.

Le formule usate in pratica per qualificare questi versamenti sono le più svariate.

6.11 L’aumento misto

Capita non infrequentemente che nella medesima assemblea, si decida di deliberare un aumento misto, in parte gratuito e in parte a pagamento per ragioni pratiche, nel senso di economizzare le spese.

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Prima tesi: versamenti non proporzionali e riserve targate

Controdeduzioni

Orientamento della Cassazione

Qui è sorto un problema sull’ordine con cui vanno deliberate queste cose e si ritiene che in caso di aumento misto, sia necessario prima deliberare l’aumento gratuito e poi solo dopo l’aumento a pagamento. Fermo restando che, con la riforma, le modifiche statutarie hanno effetto solo con l’iscrizione nel Registro delle imprese, ma sappiamo che questa previsione viene bypassata prevedendo che si possano fare delibere concatenate purché le seconde, terze e quarte siano condizionate alla positiva iscrizione presso il Registro delle imprese.

Perché prima quello gratuito e poi quello a pagamento?Perché altrimenti questa operazione potrebbe rappresentare operazione in danno ai soci di minoranza. Se facessimo un aumento a pagamento con l’esclusione del diritto di opzione, finiremmo per avere che chi sottoscrive l’aumento a pagamento parteciperebbe a quello gratuito, cioè godrebbe indirettamente di riserve costituite senza il suo contributo.

6.12 La delega dell’aumento agli amministratori

Art. 2443. Delega agli amministratori.

1. Lo statuto può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare in una o più volte il capitale fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data dell'iscrizione della società nel registro delle imprese. Tale facoltà può prevedere anche l'adozione delle deliberazioni di cui al quarto e quinto comma dell'articolo 2441; in questo caso si applica in quanto compatibile il sesto comma dell'articolo 2441 e lo statuto determina i criteri cui gli amministratori devono attenersi.2. La facoltà di cui al secondo periodo del precedente comma può essere attribuita anche mediante modificazione dello statuto, approvata con la maggioranza prevista dal quinto comma dell'articolo 2441, per il periodo massimo di cinque anni dalla data della deliberazione.3. Il verbale della deliberazione degli amministratori di aumentare il capitale deve essere redatto da un notaio e deve essere depositato e iscritto a norma dall'articolo 2436.

Abbiamo già accennato che l’aumento di capitale, come tutte le principali modifiche statutarie, è di competenza della assemblea straordinaria. La legge prevede in generale la possibilità che la decisione di aumento di capitale sia delegata all’organo amministrativo: l’art. 2443 e poi il nuovo 2440 bis disciplinano questa ipotesi.Lo statuto può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare, in una o più volte, il capitale fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data dell'iscrizione della società nel registro delle imprese.E al secondo comma, prevede che tutto ciò può essere anche frutto di una modifica statutaria. Cioè è possibile che, in sede di costituzione della società o modifica statutaria, il capitale possa essere aumentato con deliberazione degli amministratori.

Fra l’altro, la riforma è intervenuta prevedendo che questa possibilità di delegare l’aumento di capitale agli amministratori possa prevedere anche l’adozione delle deliberazioni di cui al quarto e quinto comma dell’art. 2441. Può essere delegato agli amministratori il potere di escludere o limitare il diritto di opzione. Prima della riforma era una cosa non chiarita e c’erano dubbi se nei poteri degli amministratori quando ricevevano una delega, c’era anche quella di fare un aumento di capitale con esclusione o limitazione del diritto di opzione. Oggi questa è espressamente prevista come possibilità.

Oggi, quando parliamo di delega ad organo amministrativo (o meglio “agli amministratori”) di aumentare il capitale, questo non vuol dire che i soci si siano spogliati del potere di aumentare il capitale. Quando c’è un aumento delegato, si crea un potere concorrente. Dunque, possono aumentare capitale gli amministratori, ma accanto a questo potere comunque permane il potere dell’assemblea.

Le legge prevede di limiti alla delega:a) deve essere predeterminato l’ammontare massimo entro cui gli amministratori possono

aumentare il capitale;b) la delega può essere concessa per un periodo massimo di cinque anni, che decorrono dalla

data dell’iscrizione della società nel Registro delle imprese o da quella di iscrizione della delibera assembleare di delega. La delega è però rinnovabile.

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L’ordine di deliberazione

La ratio

La delega agli amministratori

Potere concorrente con l’assemblea

I limiti della delega

Perché si dice che è opportuno in alcuni casi prevedere statutariamente una delega agli amministratori? Perché l’organo amministrativo si può riunire con molta più celerità e ci possono essere dei momenti in cui è necessario “cogliere l’attimo” per compiere determinate operazioni. Si attaglierebbe per aumento a pagamento, perché per passare delle riserve a capitale non c’è nessun attimo da cogliere.

Un altro punto non chiarito dalla riforma, è se la possibilità di delega riguardi solo l’aumento a pagamento o anche l’aumento gratuito. L’opinione è nel senso che copra entrambi i tipi, proprio perché la legge non distingue, anche se la spiegazione che si da comunemente per la delega agli amministratori sembrerebbe più attagliarsi per gli aumenti a pagamento L’opinione prevalente è che la delega possa riguardare sia gli aumenti a pagamento che di aumento gratuito. Semmai il problema è che nel silenzio della delega, cioè se non specifica quali operazioni di aumento possono compiere gli amministratori: allora qui la concordia tra gli interpreti cessa, perché qualcuno ritiene che se la delega non specifica quali operazioni, si può delegare agli amministratori solo l’aumento a pagamento.

Il secondo comma dice (ma qui c’è un’improprietà della legge), dice che: “la facoltà di cui al secondo periodo del precedente comma (si riferisce alla possibilità nuova che la delega possa prevedere la possibilità di escludere o limitare il diritto di opzione) può essere attribuita anche mediante modificazione dello statuto; tale delega però:

1) deve approvata, anche mediante modificazione dello statuto, con la maggioranza prevista dal quinto comma dell'articolo 2441 (maggioranza qualificata prevista per l’esclusione del diritto di opzione);

2) per il periodo massimo di cinque anni dalla data della deliberazione.3) inoltre lo statuto deve determinare i criteri cui gli amministratori devono attenersi.

In realtà non è solo la facoltà di cui al secondo periodo, è la delega stessa che in generale può essere attribuita anche con modifica statutaria. Ovviamente comunque vale al massimo 5 anni.

Altri problemi che pone l’aumento delegato è se rientri nei poteri che ha l’organo amministrativo quello di fissare eventualmente un sovrapprezzo nel caso di aumento di capitale, anche quando non ci sia in questo senso una espressa previsione della delega. Qui l’opinione è abbastanza consolidata, nel senso che rientri nei poteri degli amministratori anche la fissazione del sovrapprezzo, anche nell’ipotesi in cui il sovrapprezzo non è necessario. Sappiamo che quando si esclude il diritto di opzione, perché l’aumento di capitale deve essere liberato in natura, o c’è un interesse della società che lo esige, sappiamo che gli amministratori possono avere anche questa facoltà e in questo caso il sovrapprezzo è obbligatorio. Anche nel caso in cui ci sia il diritto di opzione, si ritiene che gli amministratori possano comunque fissare il sovrapprezzo.

Altro problema è sempre con riferimento ai limiti sui poteri degli amministratori, se la delega possa riguardare anche un aumento che preveda l’emissione per esempio delle nuove categorie di azioni o se questo sia un potere che invece deve rimanere sempre in capo solo ai soci.Qualcuno ritiene che in assenza di una previsione espressa, gli amministratori potrebbero si scegliere quale categoria di azioni emettere o non emettere azioni della stessa proporzione attualmente del capitale, ma solo con riferimento alle categorie già esistenti. Non possono creare di loro iniziativa, se non c’è un’espressa previsione, di emettere azioni di nuova categoria. Recentemente sempre in base al D.lgs 148/2008, questo problema, così come si pone in sede di costituzione, si può porre anche in sede di aumento del capitale e ovviamente si può porre anche qualora l’aumento di capitale risulti delegato agli amministratori e allora la legge ha introdotto il 2440 bis: ovvio che se la competenza è normalmente dell’assemblea, si applicano le stesse regole della fase costitutiva.

Con la tecnica dell’aumento per delega, sarà la successiva delibera del consiglio di amministrazione a procedere all’aumento del capitale sociale. Perciò il relativo verbale dovrà essere redatto da un notaio e la delibera consigliare è soggetta al controllo di legittimità dello stesso, nonchè ad iscrizione nel Registro delle imprese (art. 2443 c. 3).Alla delibera vanno poi riferite le condizioni richieste per l’aumento di capitale.

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La ratio

Tipo d’aumento delegabile

Delega per l’esclusione del diritto di opzione

Delega per la fissazione del sovrapprezzo

Delega per l’emissione di nuove categorie di azioni

Deliberazione del Consiglio di amministrazione

6.13 Aumento di capitale mediante conferimenti in natura e di crediti senza relazione di stima

Articolo 2440-bisAumento di capitale delegato liberato mediante conferimenti di beni in natura e di crediti senza

relazione di stima.1. Nel caso sia attribuita agli amministratori la facolta' di cui all'articolo 2443, secondo comma, e sia deliberato il conferimento di beni in natura o crediti valutati in conformita' dell'articolo 2343-ter, gli amministratori, espletata la verifica di cui all'articolo 2343-quater, primo comma, depositano per l'iscrizione nel registro delle imprese, in allegato al verbale della deliberazione di aumento del capitale, una dichiarazione con i contenuti di cui all'articolo 2343-quater, terzo comma, dalla quale risulti la data della delibera di aumento del capitale.2. Entro trenta giorni dall'iscrizione della dichiarazione di cui al primo comma i soci che rappresentano, e che rappresentavano alla data della delibera di aumento del capitale, almeno il ventesimo del capitale sociale, nell'ammontare precedente l'aumento medesimo, possono richiedere la presentazione di una nuova valutazione. Si applica in tal caso l'articolo 2343. Il conferimento non puo' essere eseguito fino al decorso del predetto termine e, se del caso, alla presentazione della nuova valutazione.3. Qualora non sia richiesta la nuova valutazione, gli amministratori depositano per l'iscrizione nel registro delle imprese congiuntamente all'attestazione di cui all'articolo 2444 la dichiarazione che non sono intervenuti, successivamente alla data della dichiarazione di cui al secondo comma, i fatti o le circostanze di cui all'articolo 2343-quater, primo comma.

Se però si tratta di aumento deliberato dagli amministratori, la legge dice nell’art. 2440 bis che, se la valutazione dei conferimenti diversi dal denaro deve essere fatta in conformità all’art. 2343 ter e cioè senza la relazione giurata di stima, gli amministratori devono fare la verifica richiesta dal 2343 quater, ma in seguito, depositano per l'iscrizione nel Registro delle Imprese, in allegato al verbale della deliberazione di aumento del capitale, una dichiarazione con i contenuti di cui all'articolo 2343 quater, terzo comma, dalla quale risulti la data della delibera di aumento del capitale.

L’unica cosa che cambia è nel comma successivo: entro trenta giorni dall'iscrizione della dichiarazione di cui al primo comma i soci che rappresentano, e che rappresentavano alla data della delibera di aumento del capitale, almeno il ventesimo del capitale sociale, nell'ammontare precedente l'aumento medesimo, possono richiedere la presentazione di una nuova valutazione. Si applica in tal caso l'articolo 2343.

Questa è una variante che c’è in sede di aumento di capitale, ma non in sede di costituzione.Comunque, sia quando c’è un aumento delegato agli amministratori, la legge prevede all’ultimo comma dell’art. 2443: il verbale della deliberazione degli amministratori di aumentare il capitale deve essere redatto da un notaio e deve essere depositato e iscritto a norma dall'articolo 2436. L’assemblea delega agli amministratori solo la delibera di aumento, ma la decisione di aumentare il capitale può essere assunta dagli amministratori solo sulla base di una previsione statutaria, che può essere introdotto anche attraverso una modifica dello statuto, ma non è una deliberazione assembleare che delega. Essa introduce in statuto la delega agli amministratori.

La legge attribuisce ai soci che abbiano almeno un ventesimo del capitale sociale, la possibilità di chiedere, anche quando gli amministratori hanno attestato che la valutazione è corretta, che si proceda comunque una valutazione seguendo l’art. 2343.

6.14 L’attestazione

Art. 2444Iscrizione nel registro delle imprese

1. Nei trenta giorni dall'avvenuta sottoscrizione delle azioni di nuova emissione gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione che l'aumento del capitale è stato eseguito.2. Fino a che l'iscrizione nel registro non sia avvenuta, l'aumento del capitale non può essere menzionato negli atti della società.

Quando si fa un aumento di capitale a pagamento l’art. 2444 ci dice: “nei trenta giorni dall'avvenuta sottoscrizione delle azioni di nuova emissione gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione che l'aumento del capitale è stato eseguito”.

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Richiesta di nuova valutazione dei conferimenti

Questa è la previsione che chiude il cerchio. Noi sappiamo che l’aumento di capitale a pagamento, differisce da tutte le altre modifiche statutarie, perché non è sufficiente una deliberazione per determinare una modifica. La modifica si realizza per l’incontro tra la deliberazione ovviamente e la sottoscrizione dell’aumento da parte dei soci o dei terzi. Se manca la sottoscrizione non si completa l’operazione. Lo statuto si modifica solo quando l’operazione si completa con l’incontro delle volontà di chi sottoscrive. Questo comporta che siccome quando deliberiamo non sappiamo ancora se la modifica avverrà o meno e in che misura avverrà, tra l’altro noi sappiamo che, se la delibera non prevede diversamente, l’aumento si intende sempre inscindibile e vuol dire che anche se manca la sottoscrizione di una azione di nuova emissione, cade tutta l’operazione. Questo spiega perché successivamente alla avvenuta sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, entro 30 giorni sono gli amministratori che devono depositare per l’iscrizione nel Registro delle imprese un’attestazione che l’aumento di capitale è stato eseguito (anche parzialmente). E solo con questo il cerchio dell’operazione si chiude.

Nei trenta giorni dal completamento delle sottoscrizione per cui può essere il termine finale dell’operazione (quando l’aumento è inscindibile è sempre il termine finale, ma anche prima se le sottoscrizioni si completano prima del termine). Il problema è quando l’aumento è scindibile, c’è chi dice che l’aumento scindibile (che ha successo qualunque sia il livello delle sottoscrizioni), in questo caso secondo alcuni, le sottoscrizioni producono effetto man mano che sono effettuate, altri dicono che bisognerebbe aspettare comunque il termine finale. Se, ed è la tesi prevalente, le sottoscrizioni hanno effetto man mano che si realizzano, è chiaro che qui evidentemente le attestazioni da parte dell’organo amministrativo possono essere più di una.

C’è un caso dove si ritiene che non sia necessario questa attività degli amministratori di depositare la loro attestazione e questo accade quando e, capita di frequente nelle società a ristretta base azionaria, che i soci dichiarino di sottoscrivere l’aumento di capitale già direttamente in assemblea. In questo caso si ritiene necessario che gli amministratori non facciano questa attestazione, perché nel caso sarà lo stesso verbale in assemblea redatto dal notaio, dove dirà seduta stante i soci hanno dichiarato di sottoscrivere integralmente l’aumento di capitale e hanno versato il 25%. Siccome questo verbale di assemblea va depositato presso il Registro delle imprese, la funzione pubblicitaria, che altrimenti dovrebbe essere svolta dall’attestazione degli amministratori, è ovviamente svolta dal verbale assembleare.

La legge dice al secondo comma, che fino a che l’iscrizione nel Registro delle imprese non è avvenuta, l'aumento del capitale non può essere menzionato negli atti della società (art. 2444), dato che non vi è alcuna certezza che lo stesso abbia avuto luogo. Perché altrimenti la società denuncerebbe verso il mondo esterno l’esistenza di un capitale che non esiste e che non si sa se esisterà. C’è quindi questo divieto. Si ammette da qualcuno che si possa riportare negli statuti l’aumento solo deliberato, ma purché si dica che è un aumento solo deliberato. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, a seguito di tale pubblicazione, non è più possibile pronunciare l’invalidità della delibera di aumento di capitale.

6.15 La riduzione per perdite e l’aumento obbligatorio

Un cenno a quella particolare operazione di aumento di capitale e cioè quell’aumento di capitale che può servire per evitare l’aumento della società quando la società abbia registrato perdite tali e abbia portato il suo capitale sotto il minimo di legge. La legge sopporta che il capitale reale scenda sotto il capitale nominale, ma non oltre certi limiti. Se il capitale reale è sotto i due terzi del capitale nominale, impone l’avvio della procedura dell’art. 2446, in forza della quale se alla fine dell’esercizio successivo non si è rimediato alla situazione, diventa obbligatorio ridurre il capitale sociale in proporzione delle perdite subite. Azione che se non viene fatta dalla società, viene fatta dal tribunale.

Questa operazione ha una variante, cioè può essere che per effetto di quella perdita di oltre un terzo addirittura il capitale vada sotto il minimo di legge previsto per la spa, cioè 120.000 euro.

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Attestazione

L’attestazione nell’aumento scindibile

Ipotesi di non deposito dell’attestazione

Menzione dell’aumento negli atti

Riduzione obbligatoria

Se quando la perdita superiore ad un terzo non comporta di andare sotto il minimo legale, c’è quel meccanismo per cui c’è un anno di attesa e si può aspettare. Quando per effetto di questa perdita si va sotto il minimo legale, non si può aspettare. L’art. 2447 ci dice che gli amministratori o il consiglio di gestione devono senza indugio convocare l’assemblea non per gli opportuni provvedimenti come nell’ipotesi normale del l’art.2446, ma devono deliberare la riduzione del capitale per le perdite e, dice la legge, il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al minimo ovvero la trasformazione della società. Se non si aumenta il capitale almeno al minimo o non si trasforma la società, la società è sciolta. È una causa di scioglimento della società. La riduzione è sempre obbligatoria.

Attenzione che 99% delle ipotesi è che non solo il capitale sia ridotto sotto il minimo legale, ma addirittura non esiste più. Non basta neppure azzerare il capitale. Qualcuno diceva che la società in questi casi è sciolta inevitabilmente: oggi si sostiene che si possa rimediare anche a questa situazione, ma non basta rimediare aumentando il capitale al minimo, perché rimarrebbero sempre delle perdite non coperte. Ci sono delle tecniche alternative per rimediare a questa eventualità:- azzerare il capitale e deliberare aumento del capitale almeno al minimo più un sovraprezzo di

entità tale da coprire le perdite residue (ovviamente il sovraprezzo va versato subito come è sempre previsto dalla legge);

- azzerare il capitale, aumentare una prima volta il capitale in misura corrispondente alle perdite residue e riazzerare il capitale e aumentarlo a 120.000 euro.

- azzerare sempre, aumentare il capitale ad una misura che copra il minimo di legge più le perdite residue e si riduce contestualmente il capitale a 120.000 euro per riassorbire le perdite.

Queste sono le tecniche che nella pratica sono state escogitate e hanno avuto supporti giurisprudenziali per consentire anche alle società finite sotto zero di riprendere la vita ordinaria.

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Riduzione a zero del capitale

Capitolo VIILA SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA

7.1 Caratteri distintivi

Prima della riforma, il grosso della disciplina era richiamata per rinvio, il problema era capire come agire ove non era rinviata. Così c’era una sostanziale indifferenza nella scelta dei due tipi, se non solo per ragioni di differenza fiscale, ma alla fine la scelta non era dovuta ne alla numerosità dei soci, ne alla dimensione dell’investimento ne alla natura dell’attività.E’ vero che il capitale della srl era inferiore a quello della spa, ma il capitale minimo della spa era comunque già basso (era di 200 milioni di lire).Uno degli assi della riforma era quella di affrancare la disciplina della srl dalla sudditanza di quella spa. Con una direttiva del 2001, si vuole creare un organico ed autonomo complesso di norme per la srl, modellato sul principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali fra i soci.Se la spa ha come elemento centrale l’azione e il capitale con relativa indifferenza di chi è socio in un certo momento: ciò che conta è il capitale, le persone dei soci sono irrilevanti, salvo introdurre clausole che limitano la circolazione della azioni che possono far diventare importanti le caratteristiche del socio.Nella srl il perno attorno a cui ruota tutto è la persona dei soci e i rapporti contrattuali che si definiscono ed instaurano fra i soci.La prospettiva di affrancare la srl è andare a rivestire la vesta giuridica di imprese medio-piccole, con una scarsa numerosità di soci, con piccole compagini sociali, mentre invece la spa avrebbe dovuto essere destinata a rivestire imprese medio-grandi e con un potenziale numero indefinito di soci.

La srl come società chiusa, c’è una sostanziale immodificabilità della compagine, possibile solo a certe condizioni. In realtà il modello che ne è uscito è molto elastico: nella nuova srl è ampio lo spazio lasciato all’autonomia statutaria, che comunque si riscontra, in misura inferiore nella nuova spa.Quasi tutte le norme di legge sono dispositive (che possono essere derogate dall’autonomia) o integrative (che integrano la disciplina della spa), non imperative.Seppure la destinazione naturale della srl è rivestire la veste per pochi soci o un socio, potrebbe essere ed è usata anche come vestito per imprese non piccole, ma anche di grande dimensioni, ma a ristretta compagine sociale, anche come veste di società capogruppo.Il legislatore ipotizza anche un’ampliamento verso l’alto dell’utilizzo del tipo: nella srl è possibile anche forme di finanziamento diverse da quelle tipiche del finanziamento bancario o da quello soci. E’ possibile anche emettere titoli di debito, che assomigliano alle obbligazioni (non chiamate così solo per omaggiare il vecchio principio per cui solo le spa possono emettere obbligazioni). C’è solo un limite riguardo chi può sottoscrivere questi titoli (solo investitori professionali), ma sono a tutti gli effetti delle obbligazioni. Tanto meno si può fare un’offerta al pubblico.

La srl è anche un tipo sociale molto elastico e plasmabile, appetibile che presenta molti rischi. E’ stato determinato un uso guarlingo. Nella disciplina della srl si dà spazio alla persona del socio, ma si introducono dei poteri in capo al socio così elevati, se c’è un socio dissenziente, nella srl questo socio ha poteri elevatissimi e dirompenti, che possono impedire il funzionamento della società: ciascun singolo socio anche in presenza del collegio sindacale ha un potere individuale di controllo sull’amministrazione, ad esempio poter consultare tutta la documentazione sociale, ciò non è previsto per la spa (se non invitare il collegio ad indagare). Non solo, il singolo socio può esercitare l’azione sociale di responsabilità per le ipotesi in cui gli amministratori abbiano danneggiato la società con un comportamento illecito.

Ci troviamo di fronte ad un modello polifunzionale che può essere concorrente alla spa, e anche nei confronti della società di persone: si possono accentuare gli aspetti personalistici di una srl quasi fosse una società di persone. In molti, infatti, si sono chiesti se una srl sia una società di capitali. Questo dibattito è solo una questione nominalistica e si è spento: può essere disegnata quasi come una società in nome collettivo, o come una società per azioni.

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Introduzione

Ciò è evidente se si scorrono le norme: nella disciplina della srl ci sono alcune regole di carattere capitalistico, che in quanto dispositive o integrative sono modificabili in senso personalistico. Ad esempio, nella spa il conferimento naturale è il conferimento in denaro, e ciò vale anche per la srl: però nella srl non solo è possibile conferire beni o crediti, ma anche prestazioni di fare qualcosa, d’opera o servizi, con un regime particolare, che prima della riforma erano vietati in tutte le società di capitali.

Anche nella srl vige la regola della libera trasferibilità delle quote sociali: però nella srl è possibile prevedere addirittura l’intrasferibilità delle quote sociali, mentre nella spa non è mai possibile, se non limitare o condizionare la trasferibilità delle azioni.Nella srl è possibile introdurre una clausola che vieta per tutta la durata della società il divieto di trasferire le quote: nelle società di persone, infatti, salva diversa previsione, del contratto le quote non sono trasferibili, salvo una modifica unanime di tutti i soci del contratto. E anche quando il socio muore, la quota non si trasferisce agli eredi ed hanno diritto ad avere solo una liquidazione della quota.

Ancora quando si prevede un organo di gestione pluripersonale, si prevede che sia istituito un Consiglio di amministrazione, ma mentre sappiamo che nella spa questo è un limite insuperabile in presenza di più amministratori che sono obbligati a costituire il Cda che opera col metodo collegiale. Questo funziona normalmente anche nella srl nel silenzio dello statuto, ma la legge prevede che in caso di pluralità di amministratori un’apposita clausola possa prevedere un funzionamento secondo le regole dell’amministrazione congiuntiva o disgiuntiva, le formule legali della società di persone. In tali casi, coloro che sono amministratori anche soci, il funzionamento dell’amministrazione non è collegiale, ma l’amministrazione disgiuntiva, ovvero che ciascun amministratore da solo può compiere atti di gestione, salvo la possibilità degli altri soci di bloccare l’iniziativa di un socio: oppure quella congiuntiva che per svolgere la gestione è necessario che tutti gli amministratori le svolgano insieme: entrambi i metodi sono in contraddizione con il metodo collegiale e oggi sono adottabili anche nella srl.

Dall’altro lato ci sono regole dal carattere personalistico, che possono essere mutate in capitalistico dall’autonomia statutaria.Nella spa, gli amministratori possono essere scelti indifferentemente fra soci e non soci (alcuni dicono che nella snc gli amministratori devono essere soci). Nella srl si introduce un elemento personalistico, ma si può prevedere che ex art. 2475 l’amministrazione può essere condotta anche da non soci.

In caso di aumento di capitale a pagamento, nella srl, mentre sappiamo che nella spa è la delibera di aumento di capitale che può, se consentito, escludere il diritto di opzione dei soci. Nella srl gli aumenti di capitale sono destinati naturalmente ai soci e, solo con espressa previsione, l’aumento di capitale può essere offerto a terzi. E’ l’opposto che nella spa.

Nella srl è prevista la possibilità di prevedere diritti particolari di alcuni soci, con riferimento all’amministrazione o alla divisione degli utili: ad esempio, che un socio sia amministratore di diritto: tali diritti sono modificabili solo all’unanimità, regola in contraddizione con l’ordinario funzionamento di una società di capitali.

Anche nella srl ci possono essere problemi di lacune legislative: vuoti di disciplina che fa risorgere il vecchio problema di qual è la norma a cui, per analogia, si deve far riferimento in caso di vuoto normativo per la srl.Se neppure gli statuti dicono nulla, il riferimento sarà, quando il modello è di tipo capitalistico, ì quello della spa, se non incompatibili, e quando assomiglierà a quello di una società di persone, si pescheranno dalla disciplina delle società di persone.

Della disciplina della srl, si parte dai riferimenti corollari e amministrazione.

I principi ispiratori dell’asse capitale-amministrazione: nonostante l’intenzione di diversificare dalla spa, npn c’è riuscito del tutto. Guardando la legge delega, gli obbiettivi erano:

1) consentire la più ampia libertà circa le entità conferibili, senza limiti rispetto alle limitazioni tipiche della spa (vietati quelli di fare);

2) semplificare il regime della valutazione dei conferimenti diversi dal denaro;

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Applicazione per analogia di altre discipline

La legge delega sulle srl

3) ampliare l’autonomia statutaria al massimo sia sul contenuto che alle regole di trasferimento di quote sociale.

Si voleva introdurre maggior elasticità rispetto alla spa.Tale direttiva si è tradotta in concreto in una sorte di compromesso, perdendo l’occasione di diversificare effettivamente dal punto di vista del conferimento, se non con qualche timidezza, soprattutto in tema di effettività e conservazione di capitale: la srl non aveva i vincoli comunitari che invece ha la disciplina della spa, perché la seconda direttiva comunitaria con la variante nel 2006 è applicabile solo alle società per azioni: quindi il legislatore era libero da vincoli comunitari, suggerendo il rompere il tabù del capitale: evitando un vincolo di capitale minimo, di effettività e conservazione del capitale in caso di persone.

Da un lato ci sono norme a tutela dell’integrità del capitale, ma poi si prevedono conferimenti d’opera o servizi che in una logica capitalistica stridono; si prevede l’effettività del capitale, ma poi il regime di valutazione non prevede l’obbligo di nomina di un esperto. Oggi paradossalmente è più semplice la valutazione della spa che nella srl! Poi si prevede che ci sia l’obbligo di sottoscrivere almeno il 25% dei conferimenti in denaro, ma nella srl il versamento è sostituibile da una polizza bancaria. Oggi il socio potrebbe non versare il conferimento in danaro, ma versare una fideiussione o una polizza fideiussoria che garantiscono il versamento non effettuato.Tutto è un po’ compromissorio. Si sarebbe potuto andare verso l’abbandono del capitale minimo.

7.2 I conferimentiArt. 2464.

Conferimenti.1. Il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all'ammontare globale del capitale sociale.2. Possono essere conferiti tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica.3. Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro.4. Alla sottoscrizione dell'atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro e l'intero soprapprezzo o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare. Il versamento può essere sostituito dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; in tal caso il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fideiussione con il versamento del corrispondente importo in danaro.5. Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le quote corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione.6. Il conferimento può anche avvenire mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l'intero valore ad essi assegnato, gli obblighi assunti dal socio aventi per oggetto la prestazione d'opera o di servizi a favore della società. In tal caso, se l'atto costitutivo lo prevede, la polizza o la fideiussione possono essere sostituite dal socio con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in danaro presso la società.7. Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati nei novanta giorni.

La legge usa una formula come principio base per cui “possono essere conferiti tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica” (art. 2464 c. 2).Il dato singolare che è che il legislatore non ha ripetuto questa formula in tema di conferimenti nella società per azioni, ma per la srl che non è coperta dalla direttiva comunitaria. E’ un elemento sorprendente nel senso che gli elementi dell’attivo non può significare “elementi dell’attivo del bilancio”, ma che si devono conferire non solo suscettibili di valutazione economica, ma che rappresentano valori dell’attivo o entità complesse quando il saldo, il valore dell’azienda non sia negativo. Solo questo è il significato da attribuire alla formula che il legislatore avrebbe voluto essere applicata alla spa. Non era mai stata introdotta questa formula, perché si riteneva che tale principio fosse già applicato. Caso strano l’ha introdotto nella srl.

Rispetto alla spa, i conferimenti si riducono a due elementi:1) nella disciplina della Srl non c’è più il divieto di conferimenti di fare previsto dall’art.

2442, espressamente vietati nella spa. Il legislatore ha riconosciuto come entità conferibili anche i conferimenti di fare, d’opera e servizi, seppure utilizzando una strana formula ed ambigua.

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La direttiva comunitaria del 2006

“elementi dell’attivo”

Differenze rispetto al Spa

2) nella srl, a differenza della spa, il versamento del conferimento in denaro è sostituibile con una prestazione di garanzia: offrendo alla società, o una polizza fideiussoria (una polizza data da una compagnia di assicurazione) o una fideiussione bancaria. Eccetto questi due elementi importanti, non c’è nulla che diversifica ciò che si può conferire in spa, rispetto a ciò che si può conferire in srl. Nella srl si è adottata la formula comunitaria per la spa.

3) prima era una diversificazione significativa, oggi meno, è il diverso regime della valutazione dei conferimenti diversi dal denaro.

Come nella Spa, deve essere fatto il versamento presso una banca del venticinque percento dei conferimenti in denaro e dell’intero sovrapprezzo (o dell’intero ammontare se si tratta di società uunipersonale).

Tale versamento può essere può essere però sostituito con la stipula di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria (art. 2464, 4).La legge però dice che questi strumenti non possono essere una qualunque polizza, ma devono avere le caratteristiche del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, mai emanato. E’ quindi inoperante questa disposizione.

Esisteva già una norma del 2001, una legge speciale 283, che aveva previsto qualcosa di simile per la spa: si prevedeva la possibilità di sostituire il conferimento in denaro con una garanzia. Però si diceva che ciò che veniva sostituito era la sottoscrizione: qualcuno parlava di capitale solo garantito: era possibile che tutto il capitale fosse sostituito da una prestazione di garanzia. Questa regola dell’art. 6 però non è mai entrata in vigore perché si demandava ad un successivo regolamento, mai emanato.

Oggi tale norma è ripresa dalla riforma solo per la srl, non in sostituzione della sottoscrizione, ma del versamento, e si ritiene che tale scelta stia un’abrogazione implicita della norma del 2001, ne per la srl ne per la spa.Quel che si dice è che tale formula significa che la stipulazione della garanzia bancaria o della polizza ha un effetto di sostituire integralmente il versamento ed ha un efficacia solutoria: prestando la fideiussione o la polizza, il socio si libera dai suoi obblighi di versamento. E’ un effetto integrale o solo parziale?Sembra pacifico che la sostituibilità del versamento possa riguardare non solo il versamento del 25%, ma anche quello integrale e quello del soprapprezzo. Se si dice che il socio si libera (effetto solutorio integrale), allora l’unico socio prestando questa fideiussione al posto del versamento integrale sarebbe liberato dagli obblighi di conferimento e facendo così non perde la responsabilità limitata. Allora il socio non perde la responsabilità limitata. Allora vuol dire che il socio unico è liberato e rimane anche con la responsabilità limitata. Altra conseguenza: se la prestazione di garanzia sostituisce il versamento significa che il capitale è integralmente versato ed è possibile procedere ad un successivo aumento di capitale (oltre il limite delle quote non integralmente versate).

C’è un problema interpretativo che sorge. C’è una norma dell’art. 2466 che disciplina il socio moroso della srl, all’ultimo comma, si dice che il socio che non ha completato il versamento, la disciplina si applica nel caso siano scadute o siano divenute inefficaci le polizze prestate e resta salva la possibilità del socio di sostituirle con il versamento in denaro. Allora verrebbe naturale ritenere che tale disposizione si applica anche alle polizze: allora sembrerebbe che non ci sia l’effetto solutorio e il socio non è liberato completamente. Se fallisce la banca, la legge dice che se vengono meno, si applicano le norme del socio moroso, come se il socio non si fosse liberato prestando la polizza.Di conseguenza, il socio unico effettivamente rimane a responsabilità limitata, si può attuare un aumento di capitale? Il problema rimane aperto, salvo ritenere che il riferimento della morosità del socio riguarda solo la fideiussione o la polizza che riguarda i conferimenti d’opera o servizi.Non è una garanzia in senso tecnico, ovvero un rafforzamento di un obbligazione.In questo caso invece la fideiussione si sostituisce: l’effetto solutorio c’è! Il problema è capire se sia integrale (prestazione alternativa) o meno (solo garanzia). Sono comunque ragionamenti teorici, perché mancano i regolamenti attuativi.

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Il conferimento in denaro

Sostituzione del versamento con una polizza o una fideiussione

L. 283/2001

Efficacia solutoria

Problema interpretativo

I conferimenti d’opera o servizi

Mai erano stati consentiti in una società di capitali i conferimenti di fare: prestare un opera o fornire un servizio alla società.

Il conferimento può anche avvenire mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l'intero valore ad essi assegnato, gli obblighi assunti dal socio aventi per oggetto la prestazione d'opera o di servizi a favore della società. In tal caso, se l'atto costitutivo lo prevede, la polizza o la fideiussione possono essere sostituite dal socio con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in danaro presso la società (art. 2464, c. 6).

Sorge un problema interpretativo. Le interpretazioni sono diverse l’una dall’altra.Diverso è dire che l’oggetto che si conferisce è o la polizza, o la prestazione.Oppure solo la prestazione, rispetto alla quale la polizza e la fideiussione fungono da garanzia in senso tecnico. Entrambi le tesi sono sostenibili.

1) Secondo una prima tesi oggetto del conferimento è la polizza cui è solo collegata una prestazione di fare qualcosa. In favore di questa tesi è il precedente testo della legge del 2001 ossia la sostituzione della sottoscrizione con una polizza o una fideiussione; altro argomento è quello letterale: si dice “mediante”, sembra che la prestazione sia questa. Chi sostiene questa tesi, ovviamente, dice che gli obblighi di fare, collegati alla polizza, che il socio si assume nel confronti della società rimangono confinati nei rapporti interni e che non riguardano l’integrità del capitale sociale, garantito dalla prestazione di garanzia.

Accettare questa tesi implica delle conseguenze:a) dire così ha la conseguenza è che la società potrà escutere la garanzia (quando colui che è

garantito di fronte al rifiuto del pagamento, chiede il pagamento al garante) quando la prestazione di fare non viene eseguita (si rende inadempiente).I creditori sociali per i quali la prestazione di fare è un fatto interno potranno invece escutere la garanzia nel caso in cui il patrimonio sociale risulti incapiente. La garanzia non saprebbe posta a presidio della prestazione, ma dell’acquisizione integrale dal parte della società del valore del capitale sottoscritto e in parte garantito della polizza o dalla fideiussione. Nel momento in cui fosse escussa la garanzia, è evidente che il socio potrebbe sospendere tale prestazione, perché l’obbligazione sarebbe estinta.

b) altra conseguenza, importante è che: data l’irrilevanza della prestazione di fare, finché la garanzia non è escussa, il capitale è solo garantito: la garanzia del versamento è ancora stato versato.

c) altra conseguenza é che il conferimento allora sarebbe analogo a quello di denaro e sarebbe dato dal valore garantito e il conferimento non richiederebbe nessuna valutazione da parte di un esperto. Non sarebbe necessario quindi valutare il conferimento, ciò che conta è il valore della garanzia prestata.

d) altra conseguenza ancora è che la garanzia dovrebbe rimanere in piedi fino a che o ci sia un’escussione o dura la società. In quest’ottica è chiaro che la scelta del legislatore di collegare la sottoscrizione con una prestazione del socio sarebbe discrezionale del legislatore. Sarebbe una prestazione accessoria rispetto alla garanzia.

2) L’altra tesi, prevalente: non c’è dubbio che il legislatore aveva voluto proprio consentire il conferimento d’opera o servizi. Oggetto del conferimento è quindi prestare un’opera o fornire un servizio, e la garanzia lo sarebbe in senso tecnico dovuta alla normale caducità delle prestazioni di dare rispetto a quelle di fare. E’ un rischio che non c’è sempre: nelle prestazioni di fare può esserci un mancato adempimento anche per impossibilità sopravvenuta della prestazione, non per volontà, ma per incapacità o impossibilità. Allora si dice che la prestazione di fare è più incera, allora è stata ammessa solo con una copertura di una garanzia.

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L’oggetto del conferimento

La polizza come oggetto del conferimento

La prestazione come oggetto del conferimento

Principali conseguenze interpretative di questa tesi:a) in questa logica, il conferimento di fare sarebbe ascrivibile a pieno titolo fra i conferimenti

diversi dal denaro, in relazione al quale è necessaria una stima, perché è quella la prestazione che confluisce nella società e che determina la quota di capitale, quindi deve essere valutato;

b) assumendo questa tesi, nel caso in cui la garanzia sia in senso tecnico, è ovvio che la garanzia è destinata a ridursi fino ad estinguersi fino a che l’obbligo non è concluso. Non ci sarebbe più nulla da garantire, mentre nell’altra ipotesi la garanzia dovrebbe rimanere in piedi.

E’ previsto infine che il socio ha la facoltà di sostituire la polizza o la fideiussione con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in denaro presso la società.

Altre tecniche di riconoscimento delle prestazioni d’opera o servizi

L’uso del nuovo strumento della fideiussione che si è fatto è stato ridotto. Per una serie di ragioni. Su come debba essere inquadrato questo genere di conferimento, in caso di incertezze, gli operatori tengono ad allontanarli.

Ci sono altre questioni che rendono appetibili questi strumenti. Inoltre ci sono anche dei costi: una banca rilascia una garanzia, solo se contro-garantita, come titoli in pegno o altre forme.Le garanzie possono costare dal 3 al 5 %: costi che dovrebbero essere sopportati dal conferente. Questo è un elemento di remora di uno strumento di questo tipo. Altre volte c’è la difficoltà di preferire all’origine entità conferibili più dettagliate nel genere e nel tipo, nella qualità e nella durata del tempo della prestazione.

Infine, perché un risultato analogo può essere ottenuto anche tramite altre vie: anche nella srl si prevede la possibilità di assegnazione non proporzionale di quote rispetto ai conferimenti, attribuendo ad un socio una partecipazione superiore all’apporto conferito (apporto atipico), senza passare per il conferimento d’opera o servizi. Tali prestazioni possono essere invece riconosciute attraverso il meccanismo, meno costoso, dell’attribuzione di una quota più che proporzionale al socio che si impegna in una prestazione.Anche questa clamorosa “novità” della riforma poco inciderà sul piano pratico, della prassi societaria.

7.3 La valutazione dei conferimenti in natura e di crediti

Art. 2465. Stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti.

1. Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un di un revisore legale o di una società di revisione legali iscritti nell'apposito registro. La relazione, che deve contenere la descrizione dei beni o crediti conferiti, l'indicazione dei criteri di valutazione adottati e l'attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale soprapprezzo, deve essere allegata all'atto costitutivo.2. La disposizione del precedente comma si applica in caso di acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, di beni o di crediti dei soci fondatori, dei soci e degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese. In tal caso l'acquisto, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, deve essere autorizzato con decisione dei soci a norma dell'articolo 2479.3. Nei casi previsti dai precedenti commi si applicano il secondo comma dell'articolo 2343 ed il quarto e quinto comma dell'articolo 2343-bis.

Anche nella srl, tutte le volte vi sia un conferimento non in denaro, anche nell’ipotesi del conferimento d’opera e servizi, si pone il problema di stimare il valore di tali conferimenti, altrimenti questo valore va accertato e stimato. La legge ha voluto diversificare e rendere autonoma la disciplina della responsabilità limitata rispetto a quella della spa.

Si era previsto un meccanismo più semplice di stima, anche se oggi meno semplice per effetto dell’iper semplificazione realizzatasi (nel 2008 la disciplina non ha toccato la srl, che si applica solo alla società per azioni).

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Assegnazione non proporzionale delle quote

Le differenze con il regime ordinario di stima della spa:1) la relazione giurata di stima deve essere fatta da un esperto, ma si prescinde dalla nomina

giudiziaria dell’esperto (da parte del Tribunale), lasciata invece alle parti. Si privilegia la rapidità del procedimento rispetto alla garanzia di imparzialità dell’esperto in quanto scelto dal tribunale (alcuni tribunali sono più rigorosi, altri che hanno un elenco dei possibili esperti da nominare random). Inoltre, mentre nella nomina giudiziaria prevista per la spa, ma il tribunale potrebbe nominare chiunque, non è individuata una qualificazione professionale per l’esperto (basta la capacità d’agire), mentre per la srl deve essere un revisore legale o una società di revisione legale iscritta nel registro dei revisori contabili o nell’apposito albo, deve cioè avere una specifica qualificazione professionale. Non garantisce comunque nella correttezza della stima nel valutare determinati beni (come un fondo agricolo).

2) la relazione giurata di stima deve contenere la descrizione dei beni o crediti conferiti, l'indicazione dei criteri di valutazione adottati e l'attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale soprapprezzo. Tale relazione va poi allegata all’atto costitutivo.

3) nei casi previsti dai precedenti commi, si dice, si applica l’art. 2343 che disciplina la stima da parte dell’esperto per la valutazione dei beni diversi dal denaro, ovvero si richiama il secondo comma, ossia che si applicano le norme penali in caso di responsabilità per i periti nominati dal tribunale. Non si richiamano il terzo e il quarto comma in cui si prevede che la stima effettuata dall’esperto abbia solo un valore provvisorio, ove si prevede inoltre che gli amministratori dovranno poi controllare l’esistenza di un’eventuale discrepanza, che se superiore al quanto rispetto al valore del capitale attribuito, dovranno procedere alla revisione della stima (riduzione del capitale, facoltà di integrare per il socio o recedere,ecc.): Tali disposizioni non sono invece richiamate, quindi nella srl non è prevista alcuna revisione della stima da parte degli amministratori ed è immodificabile il valore attribuito dall’esperto: non c’è la seconda fase del controllo degli amministratori. Secondo alcuni la disciplina della spa sarebbe applicabile invece analogicamente, ma la maggior parte degli esperti respingono tale interpretazione analogia e sarebbe non voluto il richiamo degli altri commi. Viene responsabilizzato l’esperto, e il legislatore ha ritenuto che la responsabilità dell’esperto e che quest’ultimo faccia un’attestazione seria e ragionevole. Inoltre, anche se non è previsto il controllo degli amministratori, ciò non deresponsaiblizza gli amministratori che sono comunque tenuti a verificare i valori a bilancio: rimane quindi una responsabilità per l’attestazione a bilancio di beni con valore a bilancio superiore a quello reale. Altra cosa è il valore dei cespiti per l’appostazione a bilancio.

Quindi una disciplina diversa, la cui semplicità è venuta meno con l’applicazione della direttiva per la spa.

Anche nella srl la legge prevede e parifica alla disciplina dei conferimenti diversi dal denaro con la disciplina degli acquisti pericolosi, ovvero “gli acquisti da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, di beni o di crediti dei soci fondatori, dei soci e degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese”.Nella spa c’è una articolo apposito, qui invece nel c. 2 art. 2465 si ricalca la disciplina della spa per tale ipotesi, con l’unica differenza che lo statuto possa escludere la previa autorizzazione dell’assemblea degli acquisti da parte dei soci (ma non la presentazione della stima): ma il regime per il resto è analogo, con necessità di stima da parte dell’ “esperto”, che si prevede per i conferimenti diversi dal denaro.

7.4 La disciplina del socio moroso

Art. 2466. Mancata esecuzione dei conferimenti.

1. Se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni.2. Decorso inutilmente questo termine gli amministratori, qualora non ritengano utile promuovere azione per l'esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere agli altri soci in proporzione alla loro partecipazione la quota del socio moroso. La vendita è effettuata a rischio e pericolo del medesimo per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato. In mancanza di offerte per l'acquisto, se l'atto costitutivo lo consente, la quota è venduta all'incanto .

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L’esperto: il revisore legale o la società di revisione legale

Il contenuto della relazione giurata di stima

Nessuna revisione della stima

Acquisti pericolosi

3. Se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse. Il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente.4. Il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci.5. Le disposizioni dei precedenti commi si applicano anche nel caso in cui per qualsiasi motivo siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la garanzia bancaria prestate ai sensi dell'articolo 2464. Resta salva in tal caso la possibilità del socio di sostituirle con il versamento del corrispondente importo di danaro.

Per i conferimenti in danaro è sufficiente, salvo diverse previsioni, che il socio versi almeno il 25% di quanto sottoscritto.Il fatto che il conferimento in denaro possa essere limitato al 25% porta con se il tema della morosità del socio. Sono arbitri gli amministratori nel richiamare i centesimi mancanti e lo possono fare a loro discrezione, salvo l’ipotesi che sia lo statuto a prevedere un termine entro cui completare i versamenti. Tale richiesta è a discrezione degli amministratori, ma il socio potrebbe non seguire tale direttiva. Il problema sembra riguardare solo i conferimenti di denaro, in quanto gli altri devono essere liberati interamente.

Anche qui il regime è diverso ex art. 2466: se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio entro 30 giorni. Diffida che non è fatta nelle forme previste nella spa, perché in quest’ultima la diffida deve essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale, mentre nella srl deve essere solamente comunicata al socio.Tale diffida è un obbligo.

Se il socio non adempie entro 30 giorni, gli amministratori hanno una doppia strada (c.2):- qualora non ritengono utile promuovere un’azione giudiziaria, possono agire esecutivamente nei

confronti del socio moroso, per soddisfarsi sul ricavato di quanto dovuto alla società: ma è una facoltà, perché è utile economizzare i costi (nel caso il socio fosse nullatenente e l’azione sarebbe inutile)

- alternativamente, gli amministratori possono procedere alla vendita coattiva della quota appartenente al socio moroso agli altri soci. “possono” perché gli amministratori potrebbero valutare che non c’è speranza che alcuno compri per “aspettare tempi migliori”.

Procedimento per la seconda strada:a) la vendita deve essere effettuata in primo luogo in opzione degli altri soci e in proporzione

della partecipazione detenuta per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato. La vendita deve essere fatta a rischio del socio, in un regime penalizzante in quanto è fatta a valori di bilancio, non corrispondenti ai valori effettivi della quota;

b) non è detto che altri soci siano disponibili ad acquistare la quota. Nel caso manchino offerte da parte degli altri soci, se l’atto costitutivo lo consente, la quota è venuta all’incanto (si fa un asta): ma tale ipotesi è possibile, solo se prevista dall’atto costitutivo, perché la legge si preoccupa dell’esigenza dei soci di non fare entrare terzi nella società (emerge il carattere personalistico della spa);

c) se anche l’asta andasse deserta per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio moroso, trattenendo le somme riscosse: in tal caso, il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente (la srl non può mai possedere quote proprie). Le somme riscosse (il 25%) andranno a vantaggio della società.

Inoltre, si prevede che il socio moroso non possa partecipare alle decisioni dei soci, perché nella srl non sempre non è adottato il metodo assembleare. Ci sono anche metodi non assembleare di assunzione delle decisioni dei soci. SI parla del divieto del socio moroso di partecipare alle decisioni dei soci.

C’è poi l’ultimo comma già citato in cui si dice che le disposizioni sul socio moroso si applicano quando siano scadute la polizza assicurativa o la fideiussione bancaria presentata dal socio a garanzia dei conferimenti ex art. 2464, con cui il socio sostituisce il conferimento in denaro, sia la garanzia con cui il socio garantisce il conferimento d’opera e servizi. In base a questo ultimo comma quindi, il socio non si libera: quindi tale disposizioni si applicherebbe solo al sesto comma del 2464, dove si parla della garanzia a garanzia a prestazione d’opera o servizi.

128

Il socio moroso

La diffida

La disciplina

Divieto di partecipare alle decisioni dei soci

Applicazione della disciplina in cado di scadenza delle garanzie

Nell’art. 2467, infine, si disciplina un particolare regime che riguarda i finanziamenti fatti dai soci a favore della società. È una particolare disciplina che viene poi richiamata nell’ambito dei gruppi.

Art. 2467.Finanziamenti dei soci.

1. Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito. 2. Ai fini del precedente comma s’intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

7.5 Il regime delle quote della srl

Art. 2468. Quote di partecipazione.

1. Le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari.2. Salvo quanto disposto dal terzo comma del presente articolo, i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta. Se l'atto costitutivo non prevede diversamente, le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento.3. Resta salva la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili.4. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo e salvo in ogni caso quanto previsto dal primo comma dell'articolo 2473, i diritti previsti dal precedente comma possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci.5. Nel caso di comproprietà di una partecipazione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106.

La legge chiama le partecipazioni sociali quote di partecipazione: le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni (art. 2468, c. 1).

E’ una differenza storica che la quota della partecipazione sociale non può essere incorporata in un’azione e, si aggiunge, che non può costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, ne di sollecitazione all’investimento. Non si può nelle quote di srl fare una sollecitazione all’investimento rivolta al pubblico dei risparmiatori.

C’è una chiusura netta (è una norma imperativa) con riferimento alla srl al mercato del capitale di rischio, non più rispetto al mercato del capitale di credito, in quanto, se previsto dall’atto costitutivo, l’srl può solo emettere titoli di debito.

Un problema che storicamente ha sempre posto dubbi e questioni riguarda la natura da riconoscere alla quota di srl. Secondo la giurisprudenza formata prima della riforma, si era arrivata ad un’orientamento secondo cui la quota andava qualificata come bene mobile immateriale. Se le azioni sono beni mobili materiali, la quota è un bene mobile immateriale o meglio non registrato: ciò era ritenuto dalla giurisprudenza prima della riforma.Una parte della dottrina sosteneva invece che la quota non era un bene, ma un modo sintetico per rappresentare la posizione contrattuale.Per altro, questo tipo di teorie sono venute meno con la riforma nel 1993 quando, con una legge di controllo e lotta al riciclaggio del denaro sporco, si era previsto da un lato l’obbligatorietà dell’iscrizione nel Registro delle imprese dei trasferimenti d’azienda e di quote di responsabilità limitata. A seguito di questa legge del 1993, una parte della dottrina era arrivata alla conclusione che la quota fosse un bene mobile registrato.Con la riforma del 2003, sembra confermare la qualificazione della quota come bene mobile ex art. 2471 bis, si prevede la possibilità che si creino diritti reali limitati, d’essere assogettato a pegno o ad usufrutto. Se si prevede la possibilità di un pegno o usufrutto di quota della srl, questi sono istituti che possono riguardare solo beni.

129

Il principio generale

La chiusura al mercato del capitale di rischio

La natura della quota

Finanziamenti dei soci

Rimane il dubbio se sia un bene mobile registrato o non registrato. Nella prospettiva che sia “registrato” gioca il ruolo dell’iscrizione nel Registro delle imprese e dell’efficacia dichiarativa di tale iscrizione: all’art. 2470 si dice “chi eseguite per prima l’iscrizione ha efficacia...”. Però si prevede che prevale chi per primo ha iscritto, ma si aggiunge anche che prevale solo nei limiti in cui sia in buona fede. Si introduce cioè l’elemento della buona fede che è completamente assente nella vendita di immobili, ove mala o buona fede non rilevano. Qui invece si. Questo è un elemento che sembra inserire nell’orizzonte dei beni mobili non registrati. Non è ancora chiaro.

Ci sono diversità di regime per la disciplina della spa che è tutta modellata sui principi di rilevanza centrale dell’azione, la disciplina della srl è modellata sul principio della rilevanza del socio e dei rapporti reciproci dei soci. Nella spa vi è un oggettivazione dell’azione, invece nella srl constano anche le caratteristiche persona del socio.Su questo principio va riletto l’art. 2468, c.1: non essere rappresentate in azione, implica: a) un divieto di incorporare la partecipazioni in titoli;b) ma più in generale significa che è del tutto estranea al tipo di responsabilità limitata quel

carattere di standardizzazione e fungibilità propria delle partecipazioni in spa. E’ noto infatti che ogni azione è standard, anche quando più azioni confluiscono nelle mani di un unico socio, il quale continuerà a possedere più azioni separate.

Al contrario principio fondamentale della srl è l’unitarietà in capo al socio che ne è titolare. Mentre nella spa le azioni sono plurime e ciò è scritto nello statuto a prescindere dal numero di soci, nella srl ci sono tante quote quanti sono i soci: la singola quota si identifica per il fatto che appartiene ad un unico socio e ciò significa che le quote sono naturalmente di diverso valore l’una dall’altra.

Ogni azione ha il medesimo valore nominale, infatti sono previsti dei meccanismi per tornare all’uguaglianza di valore nel caso venga meno. Nella srl vale il contrario. I confini della quota sono dati dalla proprietà del socio. Il numero di quote è dato da numero di soci perché un socio è sempre titolare di un unica quota che può avere valore diverso dalle quote degli altri soci.Non esistono quindi nella srl le quote standardizzate, come unità del capitale sociale a prescindere dal proprietario: tale elemento tipologico è invaricabile, anche se invece ci sono molti statuti della srl che scimmiottano il meccanismo della spa (ad esempio, quando prevedono “il capitale diviso in 10 quote diverse”).

Se l’atto costitutivo non prevede diversamente, il valore delle quote è determinato in maniera proporzionale al conferimento.Da un lato la partecipazione dei socio è determinata in base al valore del conferimento, ma anche nella srl, così come nella spa, è possibile una deroga, ossia l’atto costitutivo può prevedere un’assegnazione di una quota non proporzionale rispetto a quanto conferito da ciascun socio ex art. 2468.L’atto costitutivo può prevedere che un socio abbia una partecipazione percentualmente superiore a quello che è la percentuale del suo conferimento rispetto alla massa dei conferimenti, dando spazio ad esempio al riconoscimento di prestazioni di fare o per ragioni di liberalità, ecc.

Ovviamente rimane ferma la corrispondenza fra il valore dei conferimenti e il valore del capitale complessivo. In caso di assegnazione non proporzionale, altri soci avranno un’assegnazione meno che proporzionale a quanto conferito. Il valore del capitale può essere inferiore, ma il capitale non può mai essere complessivamente superiore al valore attribuito ai conferimenti. Vige quindi la regola che il valore complessivo dei conferimenti non può essere inferiore all’ammontare globale del capitale (art. 2464, c. 1).

130

Il principio della rilevanza del socio

Diversità di valore delle quote

Criterio personale

Assegnazione non proporzionale delle quote

Bene mobile registrato o non?

7.6 I diritti particolari delle quote

Anche nalla srl, al di la del fatto che le quote possano avere valori diversi, c’è la regola di base che comunque le quote attribuiscono i medesimi diritti e rappresenta un insieme di diritti, doveri e facoltà. Tale regola può essere derogata.

Altra regola che non ha riscontro nella spa: i diritti sociali spettano in misura alla partecipazione posseduta, ma resta salva la possibilità che l’atto costitutivo preveda l’attribuzione a particolari soci di diritti sociali (art. 2468, c.2).Normalmente i diritti sociali spettano in misura uguale alla partecipazione posseduta, “ogni socio avrà potenza di voto pari al peso della sua quota”, ma si prevede anche la deroga per cuiai singoli soci (non a singole quote, qualificati ed identificati nell’atto costituito a prescindere del peso della quota del suo soci) siano attribuiti diritti particolari che possono riguardare due aspetti:- l’amministrazione della società;- la distribuzione degli utili ai soci.

Tale deroga innesta nella srl una variante personalistica: diritti particolari attribuiti alle persone dei soci individuati positivamente.Tali diritti particolari eventualmente riconosciuti ai soci, possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci: meccanismo di decisione all’unanimità (art. 2468, c. 3 e 4)

Però la legge dice salvo diversa disposizione, l’atto costitutivo potrebbe prevedere che tali diritti siano modificati a maggioranza, salvo quanto previsto al primo comma dall’art. 2473, ovvero l’articolo dove è disciplinato il diritto di recesso del socio nella srl.Si dice che il socio ha diritto di recedere quando vi si sono delle decisioni che comportano una rilevante modificazione dei diritti particolari attribuiti ai soci a norma del 2468, c. 4.Ma com’è possibile che sia possibile una decisione unanime, quando poi è possibile il diritto del socio dissenziente di recedere? Ma se la legge ci dice che si può modificare solo all’unanimità, allora non ci sono mai i dissenzienti. O si pensa che tale norma sul recesso operi solo quando sia prevista statuariamente una modificabilità a maggioranza, oppure si può dire, che come dice la maggior parte degli interpreti, che le decisioni prese di modificazione dei diritti particolari riconosciuti ai soci non possono essere che prese all’unanimità, ma ci possono essere modificazioni sociali che possono optare alla modificazione significativa dei diritti particolari dei soci e, in questi casi, il socio non d’accordo avrebbe diritto di recedere, e verrebbe meno questa contraddizione fra la norma dell’art. 2468 e dell’art. 2473. Se diretta, la modifica non può essere presa con decisione di tutti i soci, ma se riflessa da un altra decisione, il socio dissenziente ha diritto di recedere.

Il contenuto dei diritti particolari

“l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili” La prima formula è ambigua: si tratta di valutare se tali diritti possono riguardare l’amministrazione intesa come “gestione della società” o se il riferimento generico all’amministrazione possa essere inteso ai “diritti amministrativi che spettano al singolo socio”.Il diritto diverso può riguardare anche il voto? Oppure se si ha in mente diritti riguardanti la gestione della società?Si tende a dire che attraverso questo strumento non sia possibile modificare le regole sul voto della srl: la norma ostacolo dell’art. 2469 che disciplina le decisioni assembleari, al comma 5 si dice che ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni dell’art. e il suo voto vale in misura proporzionale della partecipazione; si contiene una norma imperativa che ricollega direttamente e in misura proporzionale il peso della partecipazione della decisione del socio al peso della suo quota, quindi almeno il diritto del voto è sempre proporzionale al peso della sua quota rispetto al compreso del capitale sociale.

Quando si parla di diritti particolari non si può avere in mente la modifica dei diritti amministrativi rispetto al socio e quindi “diritti particolari” fa riferimento alla gestione della società e qui c’è la più ampia autonomia statutaria; le ipotesi più comuni sono:- il diritto di essere amministratore di diritto;- che a un certo socio venga riservato i diritto di nominare uno o più amministratori;

131

Diritti spettanti in misura proporzionale alla partecipazione

Deroga e unanimità

Diritto di recesso

“amministrazione della società o la distribuzione degli utili”

Diritti amministrativi

- il diritto riservato ad un socio di porre il veto su determinate operazioni di gestione;- di decidere alcune operazioni sociali. Al singolo socio può essere attribuito il diritto di decidere il

compimento di certe operazioni.

In particolare l’ultima ipotesi, ed è quella che ha fatto più discutere (secondo cui l’attribuzione ad un socio del diritto di decidere sul compimento di certe azioni pur non essendo lui amministratore), perché qualcuno ha sostenuto che in questo caso il socio sarebbe svincolato da ogni responsabilità (che invece è prevista per gli amministratori).Ma, in realtà, non è così perché la norma all’art 2476 c. 6 (Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci) prevede che “sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”

Per quanto riguarda la partecipazione agli utili, si introduce la figura dei soci privilegiati: il privilegio è attributo al socio, non alla quota! L’unico problema riguarda la distribuzione degli utili, o è possibile postergare un socio alla partecipazione alle perdite? Si tende a dire di no, non solo perché la legge parla di distribuzione degli utili, ma perché l’art. 2482 quater in tema di riduzione di capitale per perdite ove si dice che in tutti i casi di riduzione del capitale per perdite è esclusa ogni modificazione delle quote di partecipazione e dei diritti spettanti ai soci. Se un socio fosse postergato alle perdite, questa riduzione sarebbe sopportata da solo dalle quote degli altri soci, con modifica delle quote che la legge vieta in sede di riduzione del capitale, per questo si dice che l’attribuzione di diritti particolari può riguardare solo la distribuzione degli utili, e non la postergazione alle perdite.

Quanto è stato detto prima sulla possibilità del socio di cedere anche parzialmente la sua quota, deriva da un principio che la legge oggi non esplicita, ma che è insito proprio nel fatto che le quote in S.r.l. sono tendenzialmente di diverso valore, perché si commisurano alla persona del loro titolare. È ovvio che la possibilità di cedere parzialmente la quota deriva dal fatto che le quote sono liberamente divisibili. Nella S.p.A. questa possibilità non c’è, in forza del fatto che le partecipazioni sono standardizzate in azioni tutte di ugual valore necessario. Nella S.r.l. invece la quota è liberamente divisibile dato che non c’è il vincolo della parità di valore. Dato che il numero delle quote è legato al numero dei soci, aumentando il numero dei soci aumenta anche il numero delle quote, ma la somma delle quote deve essere sempre uguale al capitale sociale. L’atto costitutivo può tuttavia escludere la divisibilità della quota: se la divisione è vietata o non è possibile e la quota diviene di proprietà comune di più persone, si applica la disciplina generale dell’amministrazione di beni in comproprietà.La legge prevede una disciplina della comunione della quota, così come viene prevista nella S.p.A. una disciplina della comunione dell’azione, nell’art 2468 c. 5. Il caso di comproprietà può accadere nel caso in cui muoia il socio di una società a responsabilità limitata che ha più eredi, quella quota evidentemente va in comunione tra gli eredi, anche se secondo il principio della divisibilità potrà essere sempre divisa poi tra gli eredi.

Nella srl, a differenza della spa, si diceva, la quota di società è e resta unica in modo (mentre nella spa le quote restano tendenzialmente autonome e distinte fra loro): quindi nella srl un socio è tendenzialmente titolare di una sola quota.Si precisa infine che l’acquisto di altre quote di un socio attuale della società non rende il socio titolare di più quote distinte, ma determina solo un’incremento quantitativo dell’originaria quota unica, salvo che si tratti di quote che attribuiscono diritti ed obblighi diversi.

132

Diritti patrimoniali

Divisibilità e comunione della quota

Unicità della quota

7.7 La circolazione delle quote

Nella srl oggi si considera vietata la previsione di categorie di diverse di quote privilegiate rispetto a quote ordinarie. I diritti sono attribuiti invece alla persona.

Quando il titolare di azioni di una certa categoria cede le sue azioni il privilegio si trasferisce a chi acquista: ciò non accade nella srl. Infatti, diverso è il caso in cui un socio ceda le quote il socio che è titolare di particolari diritti riguardanti ‘amministrazione o la ripartizione degli utili. Le quote del socio sono certamente trasferibili liberamente, ma questo non comporta il trasferimento all’acquirente di diritti particolari. I diritti particolari invece non si trasferiscono.Nel caso un socio trasferisca la sua quota, i diritti particolari si estinguono. Il soggetto cessa di essere socio e contemporaneamente i diritti cessano.

Cosa diversa è se il socio ceda una parte della sua quota.Le quote della srl, anche se non previsto espressamente dalla legge, sono divisibili.Se cedo tutto, perdo la mia qualità di socio, se cedo una parte manterrò integralmente tali diritti.

Nulla impedisce invece che l’atto costitutivo possa prevedere la trasferibilità dei diritti con il trasferimento della quota: si pongono però dei problemi che dovranno essere disciplinati in ambito statutario.E’ chiaro che la possibilità prevedibile a livello statutario che con il trasferimento della quota si trasferiscono diritti particolari può crearsi fenomeni paradossali: con il trasferimento della quota si potrebbe vendere che altre persone diventino amministratori, per questo andranno disciplinati in modo che non si creino moltiplicazioni di diritti particolari.Da questo punto, il diritto è sempre relativo alla persona del socio. Questo è un ulteriore elemento che segnala il carattere personalistico di questo tipo.

Art. 2469.Trasferimento delle partecipazioni.

1. Le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo.2. Qualora l'atto costitutivo preveda l'intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 2473. In tali casi l'atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può essere esercitato.

Anche nella srl, come nella spa, vige in linea di principio la regola della libera circolazione delle quote ex art. 2469.Le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto fra viti o successione mortis causa, salvo contraria disposizione nell’atto costitutivo. La regola naturale è la libera trasferibilità della quota.

Anche dalla disciplina pre-riforma si ricavava l’intrasferibilità; ma la riforma ha previsto, nel momento in cui l’atto costitutivo preveda un’intrasferibilità delle quote, un meccanismo che tuteli il socio interessato a cedere la quota. La possibile blindatura della società che avviene attraverso la previsione di una assoluta intrasferibilità delle quote, oggi è mitigata garantendo al socio un diritto di uscita dalla società. La legge di riforma ha voluto contemperare gli interessi coinvolti nella sitauzione: a) quelli dell’insieme dei soci di mantenere inalterata la compagine sociale nel tempo, che si

esprime attraverso l’inserimento si una clausola di intrasferibilità;b) quelli del socio a non rimanere prigioniero a tempo indefinito all’interno della società;c) quelli dei terzi e dei creditori sociali di vedersi garantita comunque la permanenza del capitale

sociale a seguito di tutte queste operazioni.

Si prevede, quindi, sia la possibilità di introdurre clausole di intrasferibilità, sia clausole che subordino il trasferimento di quote ad organi sociali senza poterne condizioni o limiti, che impediscano il trasferimento in caso di morte.

133

Trasferimento di quote al cui titolare sono assegnati diritti particolari

Il principio di libera circolazione della quota

La ratio

“salvo contraria disposizione”C’è una netta differenza dalla previsione dettata nella spa. Nella spa si diceva che lo statuto può dettare condizioni o limitazioni per una durata massima di 5 anni. Qui invece si parla di contraria disposizione e significa al secondo comma che nella srl è possibile che una clausola statutaria prevedeva la completa intrasferibilità delle quote. Tale clausola nella spa sarebbe nulla oltre i cinque anni.Nella srl può essere introdotta per tutta la durata della vita della srl. Anche prima della riforma era possibile grazie al dettato della “disposizione contraria” dell’atto costitutivo.

Oggi invece il legislatore lo dice espressamente e detta una disciplina in caso di intrasferibilità delle quote. Al secondo comma, è previsto che in tal caso, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’art. 2473. La legge pone anche un rimedio all’intrasferibilità assoluta della quota, ovvero un meccanismo per cui il socio può evitare di rimanere prigioniero della società stessa. Ciascuno dei soci ha cioè diritto di recedere secondo le regole del recesso del socio ex 2473.Anche l’erede può recedere: il richiamo del 2473 in tal caso è solo richiamato per determinare come va stabilito il valore della quota, ma l’erede non diventa mai socio per via dell’intrasferibilità. La legge ha voluto prevedere la possibilità di blindare la società, ma garantendo al socio il diritto di exit, contemperando vari interessi attorno a queste clausole.Soltanto in ultima istanza si deve procedere ad una riduzione di capitale per poter liquidare la quota al socio o all’erede.

In sostanza, il socio che vorrebbe vendere, ma non può perché c’è una clausola di intrasferibilità o di gradimento, anche mero; per il solo fatto che c’è questa clausola nell’atto costitutivo il socio ha diritto a recedere, ottenendo lo stesso effetto che avrebbe potuto avere, cedendo a terzi la sua quota. Attenzione perché se se ne va il socio di minoranza non accade nulla; ma se ad andarsene è il socio di maggioranza si crea qualche problema. Il recesso segue le regole previste per il recesso del socio nell’art 2473 e si stabilisce:

1) che i soci che recedono, hanno diritto di ottenere in rimborso della partecipazione in proporzione del patrimonio sociale e che questo patrimonio sociale va determinato tenendo conto del suo valore di mercato;

2) si prevede che il rimborso delle partecipazioni deve essere eseguito entro 180 giorni e questa liquidazione può essere ottenuta attraverso:

1) l’acquisto della quota del socio recedente da parte degli altri soci; 2) utilizzando riserve della società; 3) o se non ci sono riserve riducendo il capitale sociale. Se si deve ridurre il capitale,

per rimborsare il socio che recede, si applica la norma dell’art 2482 c.2.

La legge prevede sia l’intrasferibilità assoluta delle quote, sia clausole di mero gradimento, che prevedano l’attribuzione ad altri soci o a terzi di negare il trasferimento senza che ci siano condizioni o limiti particolari. O clausole che pongano condizioni o limiti ma che nel caso concreto impediscano il trasferimento a causa di morte.

Da come è formulata la norma, la legge non dice che viene negato il gradimento, allora è possibile recedere. E’ possibile recedere per i soci solo per il fatto che sia prevista una clausola di intrasferibilità o mero gradimento.Meccanismi di questo tipo possono creare anche shock finanziari da cui non è in grado d’uscire, perché se non fosse in grado di liquidare, sarebbe previsto lo scioglimento della società.Se il trasferimento è sottoposto a condizioni o limiti, diventa importante stabilire quando c’è un gradimento non sottoposto a condizioni o limiti. Il criterio guida è di vedere in che condizioni si viene a trovare il socio: tutte le volte che il socio in forza di una clausola sia in grado di ottenere il medesimo effetto per il recesso, è ovvio che quel tipo di clausola non attribuisce il diritto di recesso.Ma non tutte le clausole di gradimento hanno la conseguenza del diritto del socio a recedere, perché questo avviene solo quando la clausola non preveda condizioni o limiti. Si tratta di capire quando la clausola preveda condizioni o limiti e quindi non faccia scattare il diritto di recesso del socio. Per trovare un criterio e quindi per stabilire un confine bisogna pensare alla ratio cioè alla giustificazione della norma; e allora si può concludere in via generale che tutte le volte che il socio,

134

Intrasferibilità assoluta delle quote

Il diritto di recesso

Le clausole di gradimento

in forza della clausola, sia comunque in grado di ottenere il medesimo effetto che otterrebbe con il recesso, cioè quello di uscire dalla società vedendosi pagata la sua quota, allora non si avrà diritto di recesso.

Dell’art. 2469, si vede che il gradimento può essere espresso da organi sociali, dai soci o da terzi senza prevedere condizioni o limiti (c.d. mero gradimento).In sostanza, si dice che è possibile anche che l’espressione del gradimento sia rimessa ad alcuni dei soci o al limite anche ad uno solo dei soci. Si può nominare anche un terzo come arbitro dell’ espressione del gradimento.

Tutto ciò vale per i trasferimenti per atti tra vivi, ma anche per la successione a causa di morte. Qui la legge si esprime in modo improprio, in forza della clausola di intrasferibilità gli eredi non diventano mai soci, e allora dire che possano esercitare il diritto di recesso è un controsenso. La norma va intesa evidentemente nel senso che: la liquidazione della quota agli eredi, perché gli eredi hanno il diritto alla liquidazione della quota nel caso di intrasferibilità, va fatta con gli stessi criteri che la legge detta nel caso di recesso del socio.

Alcuni piccoli problemi che si pongono in relazioni di queste clausole. La legge dice sulla clausole che darebbero il diritto agli eredi di avere la liquidazione della quota pone dei limiti al trasferimento in causa di morte:- in caso concreto si riferisca al socio che non può avere figli e suo caso concreto c’è una

sostanziale intrasferibilità mortis causa.- oppure una clausola di mero gradimento che impedisce l’ingresso in società di soggetti non aventi

determinate caratteristiche.

Ulteriore problema si pone perché nell’art. 2469 si prevede che in taluni casi l’atto costitutivo può stabilire un termine non superiore a due anni dalla non costituzione della spa, oltre il quale il recesso non può essere esercitato.Per assicurare maggiore stabilità alla compagine societaria, l’atto costitutivo può comunque prevedere che il recesso non possa essere esercitato prima di un certo termine (non maggiore di due anni) dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della quota (art. 2469, c.2).

Sempre a proposito di clausole che limitano la circolazione delle quote, con la riforma nella S.p.A. si è espressamente chiarito che queste clausole sono inseribili, modificabili o sopprimibili con una decisione assunta a maggioranza. Analoga previsione espressa non c’è nella disciplina delle S.r.l., e allora si deve chiedere se nella S.r.l. sia possibile inserire, modificare o sopprimere una clausola di gradimento o di prelazione secondo le regole di maggioranza previste per le modifiche dell’atto costitutivo, oppure se sia necessaria un’unanimità dei consensi. Ci sono due tesi contrapposte:a) qualcuno dice che nella S.r.l. ciò non può essere fatto a maggioranza, ma all’unanimità;b) altri dicono, che nulla impedisce di applicare analogicamente la disciplina della S.p.A. anche alla

S.r.l., visto che non c’è una norma contraria, ma semplicemente manca la norma. Si dice quindi che sarebbe possibile una decisione anche a maggioranza.

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Organi deputati ad esprimere il gradimento

Trasferimenti fra vivi e mortis causa

Maggioranze per l’inserimento di suddette clausole

Divieto di esercizio del diritto di recesso

7.8 Altre previsioni sulla circolazione delle quote e sulla pubblicità

La norma dell’art. 2470 detta le regole, con riferimento al trasferimento delle quote, con riguardo all’efficacia del trasferimento e al regime di pubblicità.

Art. 2470Efficacia e pubblicità.

1. Il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento del deposito di cui al successivo comma.2. L'atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito è effettuato a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni.3. Se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede l'iscrizione nel registro delle imprese è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.4. Quando l'intera partecipazione appartiene ad un solo socio o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio.5. Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel registro delle imprese.6. L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.7. Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti quarto e quinto comma devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di tale iscrizione.

Va detto, innanzitutto, che il contratto con cui si trasferiscono le quote di una srl, è di per sé un contratto a forma libera, cioè la legge non prevede nessuna particolare forma per questo contratto, salvo naturalmente la particolare natura del contratto con cui si trasferiscono le quote. Per cui, ad esempio, se le quote vengono donate, bisogna ricordare che il contratto di donazione è un contratto che richiede la forma solenne (non sarà valido un contratto di trasferimento concluso oralmente).

L'atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale (art. 2470, c. 2). In caso di trasferimento a causa di morte il deposito è effettuato a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni.

Peraltro la legge richiede una forma scritta, anche se non per la validità del contratto, ex l’art. 2470 c.2, ma bensì per poter procedere all’obbligo di iscrivere il trasferimento della quota presso il registro delle imprese; quindi per dare al trasferimento efficacia al di là di quella che ha tra le parti. E’ qualcosa di analogo a quello che vale per il trasferimento d’azienda, che è anche a forma libera di per sé, salvo la natura dei beni che compongono l’azienda. Se un’azienda ha solo beni immobili ci vorrà la forma scritta; ma potrebbe essere costituita anche solo da beni mobili e quindi la forma sarebbe libera. Anche in questo caso la legge prevede l’iscrizione nel registro delle imprese, e si può iscrivere soltanto qualcosa che abbia forma scritta. Sono state introdotte contemporaneamente queste due previsioni, nella logica di controllare i flussi di denaro (legge antimafia).

Quindi è un contratto a forma libera, ma con la necessità della scrittura privata autenticata per completare l’iter di efficacia del trasferimento, che tra le parti è efficace comunque, ma deve esserlo anche nei confronti della società, art. 2470 c.1.Il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento del deposito di cui al successivo comma (c. 2).Le fasi di iscrizione:

1) la conclusione del un contratto di trasferimento; 2) l’iscrizione nel registro delle imprese, che deve essere fatta da un notaio che autentica le

sottoscrizioni delle firme del contratto.

136

Forma del contratto

Efficacia

Un problema delicato che affronta il 2470 è quello del conflitto tra più acquirenti, cioè quando il socio alieni la sua quota a più soggetti. Bisogna stabilire il criterio, per capire chi è l’effettivo acquirente. Se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede l'iscrizione nel registro delle imprese è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore (art. 2470, c.3).

Quindi il criterio per identificare chi vince fra più acquirenti è quello, non della priorità di conclusione del contratto di trasferimento, ma quello della priorità dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché sia in buona fede.È certo che l’elemento della buona fede, per quanto poco rilevante a causa della presunzione di buona fede, introduce degli elementi di incertezza.

Rimane invece, anche a seguito della riforma, un ulteriore problema di conflitto di chi si presenta rispetto a quella quota come titolare di diversi diritti. La soluzione del problema dipende dalla natura che si intende dare alla quota, perché se la consideriamo:

a) un bene mobile registrato, bisogna considerare l’iscrizione del trasferimento o del pignoramento nel registro delle imprese. Chi prima trascrive tra il creditore pignoratizio e l’acquirente prevale sull’altro. Quindi se ha trascritto prima il creditore pignoratizio, chi acquista dopo la quota, la acquista gravata dal pignoramento; mentre se invece trascrive prima chi acquista a questo non può essere opposto il pignoramento della quota.

b) un bene mobile non registrato, si dovrebbero applicare le regole generali dettate dal codice civile in materia di esecuzione forzata, cioè di pignoramento ed espropriazione, e quindi l’art 2914. Questo articolo prevede che non hanno effetto sul pregiudizio del creditore pignorante le alienazioni di beni mobili di cui non sia stato trasferito il possesso anteriormente al pignoramento, salvo che risultino da atti aventi data certa. Qui dovrebbero dunque valere la data degli atti e non quella dell’iscrizione nel registro delle imprese.

È una formula ambigua da argomenti sia a chi sostiene la natura di bene mobile registrato nelle quote di srl, sia a chi contesta la natura di bene mobile registrato. Per il bene mobile ormai nessuno più dubita, ma per il “registrato” si gioca proprio su questa norma, perché se fosse registrato non si dovrebbe dire e invece la legge dice che prevale chi per primo fa iscrizione nel Registro delle imprese solo se è in buona fede. Introduce qualcosa che difficilmente ha a che fare con i beni mobili registrati. Sul piano pratico le differenze si stemperano, perché la buona fede del nostro sistema, in base alle previsioni dell’art. 1147 si presume e non è una presunzione legale, che ammette la prova contraria, ma evidentemente, in questo caso, di fronte a qualcuno che ha depositato per l’iscrizione al Registro delle imprese, l’atto di compravendita di quote prima di un altro che ha un contratto precedente, questo per poter prevalere deve lui dimostrare la mala fede del primo e non è una cosa facile da dimostrare. La presunzione fa si che ci sia inversione dell’onere della prova. Non è chi trascrive per primo che deve provare la sua buona fede, ma è chi trascrive per secondo che deve provare la mala fede di chi ha depositato per primo. Sul piano pratico le differenze comunque si riducono di molto.

Sempre il 2470 detta regole analoghe a quelle già viste in tema di spa, per quanto riguarda l’ipotesi in cui tutte le quote appartengano ad un unico socio. La legge prevede tutta una serie di regole per garantire la pubblicità della situazione dell’unico socio e anche per identificare colui che è unico socio. Cioè si prevede che a questi dati debba essere data notizia attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese, con la conseguenza che, qualora non si eseguano le pubblicità come previsto l’unico socio perde il beneficio della responsabilità limitata (art. 2470, c. 4,5,6,7).

Art. 2471Espropriazione della partecipazione.

1. La partecipazione può formare oggetto di espropriazione. Il pignoramento si esegue mediante notificazione al debitore e alla società e successiva iscrizione nel registro delle imprese.2. L'ordinanza del giudice che dispone la vendita della partecipazione deve essere notificata alla società a cura del creditore.

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Conflitto fra più acquirenti

Problemi aperti

Pubblicità del socio unico

3. Se la partecipazione non è liberamente trasferibile e il creditore, il debitore e la società non si accordano sulla vendita della quota stessa, la vendita ha luogo all'incanto; ma la vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall'aggiudicazione, la società presenta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo.4. Le disposizioni del comma precedente si applicano anche in caso di fallimento di un socio.

La quota proprio perché è un bene mobile (non ci interessa se registrato o meno) è passibile di espropriazione che di costituzione di diritti reali limitati che di sequestro. L’art. 2471 disciplina proprio il fatto che la quota può essere oggetto di espropriazione e quindi di pignoramento, che è quell’atto esecutivo che compie sui beni mobili altrui il creditore che non viene pagato. Qui la legge fa un’eccezione rispetto alle regole ordinarie del pignoramento. Qui c’è un meccanismo in qualche modo accelerato del pignoramento.La partecipazione può formare oggetto di espropriazione. Il pignoramento si esegue mediante notificazione al debitore e alla società e successiva iscrizione nel registro delle imprese. L'ordinanza del giudice che dispone la vendita della partecipazione deve essere notificata alla società a cura del creditore.

Se la quota è liberamente trasferibile, si procede alla vendita all’asta, però:Se la partecipazione non è liberamente trasferibile e il creditore, il debitore e la società non si accordano sulla vendita della quota stessa, la vendita ha luogo all'incanto; ma la vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall'aggiudicazione, la società presenta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo.E al comma successivo si prevede che le disposizioni del comma precedente si applicano anche in caso di fallimento di un socio.

Si cerca di salvaguardare il gradimento. Non si può rinunciare all’espropriazione, perché è un diritto del creditore, però se ci sono clausole limitative o si mettono d’accordo oppure si va all’incanto, ma una volta aggiudicata la vendita all’aggiudicatario e sospesa per 10 giorni, in quei 10 giorni la società potrebbe se riesce procurare un altro acquirente che offra lo stesso prezzo dell’aggiudicatario.Questo sempre per la logica di evitare l’ingresso in società di persone o terzi non graditi.

Art. 2471-bis.Pegno, usufrutto e sequestro della partecipazione.

1. La partecipazione può formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro. Salvo quanto disposto dal terzo comma dell'articolo che precede, si applicano le disposizioni dell'articolo 2352.

Allo stesso modo in base al 2471 bis si prevede che la partecipazione in srl può formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro. Norma importante perché prima della riforma, la legge taceva sul punto e c’erano varie discussioni se si dovesse applicare analogicamente l’articolo 1352, che in tema di spa prevede il pegno, usufrutto e sequestro di azioni oppure se questo tipo di attività non erano possibili sulle quote di srl. Oggi c’è la norma ad hoc ed è possibile. Questa è una norma che ci fa capire chiaramente che la quota è un bene, sì immateriale, perché non si tocca, ma è sempre un bene, perché nel momento in cui si può costituire un diritto reale di garanzia o meno o essere sottoposto a sequestro conservativo o giudiziario.“Salvo quanto disposto dal terzo comma dell'articolo che precede, si applicano le disposizioni dell'articolo 2352”

Art. 2474. Operazioni sulle proprie partecipazioni.

1. In nessun caso la società può acquistare o accettare in garanzia partecipazioni proprie, ovvero accordare prestiti o fornire garanzia per il loro acquisto o la loro sottoscrizione.

A differenza di quanto avviene nella spa, la legge vieta nella srl ogni possibilità per la società di compiere operazioni sulle proprie partecipazioni. Tutte operazioni che in vario modo sono possibili in spa, quanto meno dopo la riforma. Prima della riforma era possibile per la spa l’acquisto di azioni proprie seppure a certi limiti, ma dopo la riforma e in particolare dopo la riforma con il decreto 142/2008 che ha dato attuazione alla seconda direttiva, oggi per la spa sono anche possibili le altre operazioni.Si dice che il fatto che queste operazioni sono vietate alla srl, è ovvio in quanto la giustificazione che c’è nella spa, dove essa può acquistare una parte di se stessa, in quanto le partecipazioni sono incorporate nell’azione, che diventa un bene di secondo grado e su quel bene di secondo grado, la

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Operazioni sulle proprie quote

Espropriazione della quota

Pegno, usufrutto e sequestro della quota

società può vantare una titolarità che invece sarebbe inconcepibile in una srl, dove la quota è si un bene immateriale, ma una parte ideale del patrimonio sociale e sarebbe incompatibile avere la proprietà di se stessa per la società. Nessun tipo di operazione sulle proprie azioni, dall’acquisto alla concessione di prestiti per l’acquisto o la sottoscrizione per poter ricevere in garanzia quote proprie è consentita alla srl.

E’ quindi previsto il divieto assoluto per la società a responsabilità limitata di acquistare quote proprie. Inoltre, in nessun caso la società può accettare in garanzia proprie quote, ovvero accordare prestiti o fornire garanzie per il loro acquisto o la loro sottoscrizione (art. 2474).Si ritiene poi che le conseguenze dell’eventuale sottoscrizione diretta o indiretta di proprie quote siano quelle previste dall’art. 2357-quater per la sottoscrizione di azioni proprie.

7.9 I titoli di debitoArt. 2483

Emissione di titoli di debito.1. Se l'atto costitutivo lo prevede, la società può emettere titoli di debito. In tal caso l'atto costitutivo attribuisce la relativa competenza ai soci o agli amministratori determinando gli eventuali limiti, le modalità e le maggioranze necessarie per la decisione.2. I titoli emessi ai sensi del precedente comma possono essere sottoscritti soltanto da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso di successiva circolazione dei titoli di debito, chi li trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali ovvero soci della società medesima.3. La decisione di emissione dei titoli prevede le condizioni del prestito e le modalità del rimborso ed è iscritta a cura degli amministratori presso il registro delle imprese. Può altresì prevedere che, previo consenso della maggioranza dei possessori dei titoli, la società possa modificare tali condizioni e modalità.4. Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società e alle riserve di attività.

Ora necessario dire qualcosa relativamente al nuovo istituto introdotto dalla riforma, che è dato dalla possibilità per la srl di emettere titoli di debito. Questa è una novità assoluta della riforma, perché semplicemente prima della riforma c’era il divieto per la srl di finanziarsi attraverso prestiti obbligazionari. L’emissione di prestito obbligazionario e obbligazioni è tutt’ora consentita solo alle società azionarie, ma la riforma ha voluto in qualche modo consentire anche alle srl l’accesso al mercato del capitale di credito.In realtà non è una novità assoluta questa prevista dall’art. 2483: perché prima della riforma le srl potevano fare ricorso a certe condizioni al pubblico risparmio. Il TUB prevedeva certe condizioni e dava possibilità alla srl di raccogliere il pubblico risparmio tramite banche ed enti sottoposti a vigilanza prudenziale.Ma erano situazioni molto particolari e condizionate dal punto di vista delle garanzie che dovevano accompagnare questi tipo di operazioni e riguardavi solo determinati settori.Oggi l’art. 2483 apre a tutte le srl la possibilità di attingere al pubblico risparmio in via indiretta.

Una prima differenza rispetto alla possibilità di emettere obbligazioni nelle spa è data dal fatto che questa possibilità nelle srl di emettere titoli di debito, è legata alla necessità di una previsione statutaria.L’emissione di obbligazione è invece svincolata da qualunque previsione statutaria. Nella srl solo se l’atto costitutivo lo prevede la società può emettere titoli di debito.

Titoli di debito in realtà è un modo diverso per dire obbligazioni, cioè l’operazione che sta sotto alla forma titoli di debito è perfettamente analoga a quella che sta sotto all’emissione di obbligazioni.

La decisione di emissione (per la quale non è richiesto l’intervento di un notaio verbalizzante) fissa le condizioni del prestito e le modalità di rimborso ed è iscritta nel registro delle imprese. Può anche prevedere che condizioni e modalità del rimborso possono essere modificate con il consenso della maggioranza dei possessori dei titoli (il cui taglio minimo non può essere inferiore a 50.000 euro, art. 5 Cicr).

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I titoli di debito

Emissione

Natura dei titoli

Ampia è la libertà dell’autonomia statutaria nella determinazione del contenuto dei titoli di debito. La legge però puntualizza che tali titoli sono emessi a fronte di un apporto a titolo di prestito (art. 2483, c. 3). Ne consegue che al pari delle obbligazioni il rimborso del capitale non può essere condizionato all’andamento economico della società, solo la misura degli interessi può esserlo.Nell’ipotesi classica, quindi, è un mutuo, cioè un prestito che la società richiede all’esperto. (Anche nel TUF obbligazioni e titoli di debito sono parificati).

Si tratti di documenti che contengono l’impegno cartolare da parte della società (l’emittente), di restituire a certe scadenze e con certe previsioni di interesse eventualmente una somma di denaro che viene presa a prestito. Il contenuto è analogo alle obbligazioni emesse da spa, ma è diversa la disciplina.

La prima differenza è nel senso che i titoli possono essere emessi da srl, ma solo sulla base di un’espressa previsione statutaria e poi ci sono limiti sostanziosi per quanto riguarda la possibilità di sottoscrizione di questi titoli di debito.Mentre le obbligazioni ovviamente possono essere offerte a chiunque, in qualunque modo, invece per quanto riguarda i titoli di debito, la legge prevede un limite rigoroso, rispetto a chi li può sottoscrivere.

Al secondo comma del 2483 si prevede infatti che i titoli emessi ai sensi del precedente comma possono essere sottoscritti soltanto da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali: è la medesima formula che la legge usa a proposito delle obbligazioni quando la società voglia superare il limite massimo di emissione. Qualunque sia il quantitativo offerto qui non si può passare per un’offerta al pubblico. È soltanto una raccolta indiretta del risparmio verso il pubblico, perché ovvio che poi questi investitori collocheranno verso il pubblico questi titoli di debito, ma questo può avvenire solo tramite l’intermediazione di un intermediario qualificato.

In caso di successiva circolazione dei titoli di debito, chi li trasferisce (investitore professionale) risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali ovvero soci della società medesima (c. 2). L’identità del garante e l’ammontare della garanzia devono essere indicati sul titolo di debito.Si prevede anche qui un meccanismo di successiva circolazione, ma responsabilizzando l’intermediario, il quale risponde della solvenza della società.Se la società non è in grado di restituire il capitale e gli interessi maturati alla scadenza, scatterà la garanzia dell’investitore professionale. Meccanismo inventato per evitare situazioni drammatiche verificate come per Parmalat, Cirio. Nella emissione di obbligazioni sopra il tetto, questo obbligo di fare sottoscrivere i titoli agli investitori professionali si diceva che quando poi gli investitori mettono in circolazione questi titoli, rispondono dell’insolvenza della società salvo che non vengono ceduti questi titoli ad altri investitori con le medesime caratteristiche. Qui non c’è l’assunzione di responsabilità da parte dell’investitore professionale sia quando si cede titoli ad altri investitori professionali, ma anche quando li cede ai soci della società medesima.Qui si dice che in ragione della particolare formazione della srl, un socio della stessa non può non essere informato sulla situazione di solvibilità o meno della sua società. Mentre nella spa può accadere perché il socio al massimo conosce il bilancio, nella srl qualunque socio ha accesso diretto a tutta la documentazione sociale e quindi si dice che è un soggetto necessariamente consapevole dell’evoluzione della situazione della società. Perciò non si giustifica questa garanzia dell’investitore professionale, perché il socio sa con chi ha a che fare, quindi se accetta di acquistare titoli di debito della loro società lo fa a suo rischio e pericolo.

Quello che è certo è che la srl, mettendo insieme la norma sul divieto di offerta al pubblico delle quote (2468) e la norma del 2483, è chiaro che a differenza delle spa, le srl non possono mai emettere titoli partecipativi, cioè che diano diritti amministrativi ai loro titolari. Neppure possono essere emessi titoli di debito convertibili in quote perché sarebbe sempre una sollecitazione all’investimento in capitale di rischio, seppure attraverso lo schermo dei titoli di debito convertibili.

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Limite sui destinatari dei titoli

Divieto di emissione di strumenti partecipativi

Circolazione dei titoli e responsabilità

Con questi limiti che non devono contenere diritti amministrativi, né dare al loro titolare la possibilità di conversione in quote, i titoli di debito possono avere però le più svariate caratteristiche, cioè possono avere tutte quelle caratteristiche che possono essere proprie delle obbligazioni (avere titoli di debito postergati, indicizzati e così via), purchè non vengono riconosciuti diritti di tipo amministrativo ai titolari.

Attenzione che non c’è neppure per quanto riguarda l’emissione del debito, altra differenza con le obbligazioni, nessun limite quantitativo all’emissione, anche se ormai un limite quantitativo per l’emissione è alto ed è difficile superarlo, ma per i titoli di debito non c’è nessun limite quantitativo.

Allo stesso modo la legge non prevede quale sia l’organo deputato a decidere l’emissione di titoli di debito, mentre sappiamo che per le obbligazioni, l’organo titolare è l’organo amministrativo, anche se lo statuto potrebbe stabilire diversamente. Nulla dice la legge per quanto riguarda l’organo in srl deputato a decidere dell’emissione. Anche qui tutto è lasciato all’autonomia statutaria: è l’atto costitutivo infatti a stabilire gli eventuali limiti, le modalità e le maggioranze necessarie.Si tenga conto che c’è una disposizione del Cicr, per cui il taglio minimo degli strumenti di raccolta del capitale di credito diverso dalle obbligazioni, anche per quanto riguarda i titoli di debito è di 50.000 euro. Sono valori elevati, mentre per le obbligazioni siamo anche nell’ordine di 1 euro.Ovviamente questo per quanto riguarda il finanziamento in serie, per quanto riguarda l’emissione di titoli.

7.10 L’aumento di capitale

Un accenno alla disciplina delle operazioni sul capitale della società. Anche qui la legge ha voluto rendere la disciplina della srl decisamente autonoma rispetto a quella della spa.

Art. 2480Modificazioni dell'atto costitutivo.

1. Le modificazioni dell'atto costitutivo sono deliberate dall'assemblea dei soci a norma dell'articolo 2479-bis. Il verbale è redatto da notaio e si applica l'articolo 2436.

Anche qui per entrambe le operazione sul capitale rappresentano sempre modificazioni dell’atto costitutivo, di competenza inderogabile dell’assemblea, approvate con favorevole di almeno la metà del capitale sociale.Si badi che per la spa la legge parla sempre di modifiche dello statuto, per la srl parla di modifiche dell’atto costitutivo. In realtà è solo una differenza di tipo terminologico. Normalmente il contratto di spa è costituito da atto costitutivo e statuto, ma questi potrebbero essere contenuti nello stesso documento. È solo per ragioni di comodo che si fa un atto costitutivo e uno statuto a parte. Entrambi i documenti integrano quello che è il contratto stesso di società. Anche se oggi nella spa, in caso di contrasto tra la previsione di atto costitutivo o di statuto, prevale la previsione dello statuto.Per quanto riguarda la srl, anche nella srl per prassi c’è sempre un atto costitutivo e uno statuto, ma è semplicemente l’uso di un riferimento che è sempre atto costitutivo più statuto.Le modifiche dell’atto costitutivo sono tra quelle decisioni dei soci che devono necessariamente assunte con metodo assembleare, invece altre decisioni possono essere assunte con metodi non assembleari.

Anche per la srl le modifiche dell’atto costitutivo devono essere realizzate attraverso un verbale redatto dal notaio e si applica anche per espressa previsione del 2480 l’art. 2436. Come nella spa, infatti, la modificazione diviene cioè efficace solo dopo l’iscrizione nel Registro delle imprese, su richiesta del notaio verbalizzate, deputato ad effettuare il controllo di legittimità (art. 2480). Contro il rifiuto del notaio di procedere all’iscrizione, gli amministratori possono promuovere il giudizio di omologazione presso il tribunale.

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Organo competente all’emissione

Caratteristiche modulabili

Limite all’emissione

Modificazione dell’atto costitutivo

Detto questo a noi interessano le operazioni di aumento del capitale e anche nella srl sono operazioni di aumento puramente nominale del capitale, ovvero aumento effettivo del capitale.

Art. 2481Aumento di capitale.

1. L'atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale, determinandone i limiti e le modalità di esercizio; la decisione degli amministratori, che deve risultare da verbale redatto senza indugio da notaio, deve essere depositata ed iscritta a norma dell'articolo 2436.2. La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti.

La disciplina però è sostanzialmente diversa rispetto a quella propria di spa. Innanzitutto la legge fa una sorta di rovesciamento logico ed esordisce parlando di aumento del capitale all’art. 2481 prevedendo l’ipotesi della delega agli amministratori dell’aumento di capitale. Si parte dalla coda che dall’inizio.L'atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale, determinandone i limiti e le modalità di esercizio; la decisione degli amministratori, che deve risultare da verbale redatto senza indugio da notaio, deve essere depositata ed iscritta a norma dell'articolo 2436.Inoltre, si continua, la decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti.

Qui si parte dall’aumento delegato e si vede che è possibile anche nella srl la delega all’organo amministrativo. Questo è importante perché, prima della riforma si temeva che non fosse possibile per la srl la delega dell’aumento agli amministratori per il fatto che in precedenza nelle norme di rinvio dalla srl alla spa non vi era il rinvio al 2443, dove è disciplinato l’aumento delegato in spa. C’è però, anche se oggi è previsto, una qualche differenza.Non si pongono limiti alla delega. Nel 2443 si stabilisce che lo statuto può attribuire la deroga per un periodo massimo di cinque anni, invece nella srl non c’è nessun limite temporale. Nella srl non ci sono né limiti quantitativi, né temporali precostituiti dalla legge, il tutto è affidato all’autonomia statutaria. Però la legge dice che devono essere determinati i limiti e le modalità d’esercizio, per cui si ritiene dai più che non sia possibile una delega in bianco, cioè una clausola statutaria che dica semplicemente gli amministratori quando e come vogliono possono aumentare il capitale. Vero che non ci sono limiti di legge, ma i limiti e le condizioni devono però essere indicati nella clausola dell’atto costitutivo.

Le legge tiene comunque fermo l’obbligo che la decisione degli amministratori deve risultare da verbale redatto da notaio e deve essere iscritta nel Registro delle imprese.

La legge nulla dice se sia possibile che per gli amministratori escludere ad esempio il diritto di opzione ai soci. Molti ritengono che non essendoci una previsione espressa in questo senso non sia possibile attribuire nella srl, questo potere agli amministratori e questo lo vedremo per la diversa conformazione di questa possibilità di escludere o limitare il diritto di opzione, che la legge chiama diritto di sottoscrizione dei soci.

L’autonomia statutaria è stata molto enfatizzata dai primi commentatori della riforma.Prima della riforma la disciplina della S.r.l. era una disciplina di richiamo, nel senso che quasi tutte le norme che andavano a comporre la disciplina della S.r.l., erano norme espressamente o interpretativamente richiamate dalla disciplina della S.p.A.Con riferimento all'operazione di aumento del capitale, prima della riforma la disciplina della S.r.l. richiamava espressamente solo il 1° comma dell'art. 2441, che era quello originario del codice del 1942 (non modificato da interventi successivi). Nella nuova disciplina della S.r.l. il legislatore ha fatto un utilizzo scarsissimo del concetto dell’inderogabilità della norma. Quindi sembrerebbe che la disciplina della S.r.l. sia quasi integralmente una disciplina derogabile da parte dell’autonomia statutaria.Quindi come primo principio in materia di S.r.l., potremmo dire che, laddove il legislatore ha dettato norme a tutela dei terzi, in particolare dei creditori, queste norme sono da ritenere inderogabili.Però poi il legislatore ha fatto anche una scelta di tutela individuale del socio prevedendo tutta una serie di norme sui diritti “dei singoli soci” nella S.r.l..

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Delega agli amministratori

Limiti della delega

L’autonomia statutaria nella srl (cenni)

Forma

Altro principio, anche questo da alcuni discusso, che sembrerebbe potersi riaffermare come inderogabile nella S.r.l., è il principio della responsabilità limitata del socio.Il 7° comma dell'art. 2476 dice che “sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei presenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso e autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci, i terzi”. Questa è una responsabilità di carattere eccezionale, che è comunque sempre legata all’agire del socio. All'infuori di questa ipotesi speciale, nella S.r.l. va confermato il principio che il socio risponde limitatamente al proprio conferimento, e quindi non gli possono essere richieste prestazioni ulteriori, salvo il risarcimento del danno nell'ipotesi specifica in cui lui direttamente abbia autorizzato o deciso determinate operazioni sul capitale.Quindi anche se la dottrina parla sempre di derogabilità, in realtà invece ci sono una serie di principi che devono essere tenuti come inderogabili.

Ci sono nella S.r.l. altri problemi di coesistenza di disciplina di norme. Uno è quello che, nella disciplina delle S.r.l., è possibile prevedere statutariamente i cosiddetti diritti particolari dei soci.Il secondo problema è quello del confine fra organi della società. Nel senso che, mentre nella S.p.A. c’è una scelta legislativa decisissima (le operazioni di gestione spettano all'organo amministrativo, e l'assemblea ha solo le competenze che le sono affidate per legge); nella S.r.l. invece c'è una linea di confine che non è delineata chiaramente. C'è una norma, l'art. 2479, che ci fa capire che il socio nella S.r.l. è sovrano, nel senso che può sovrapporsi e sostituirsi all'organo amministrativo nelle scelte gestionali. Infatti l'art. 2479 dice che “i soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall'atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori, o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale, sottopongono alla loro approvazione”. Questo vuol dire che i soci nella S.r.l. possono fare una scelta programmatica. Si può nell'atto costitutivo privare gli amministratori delle loro naturali competenze. Ma si può fare anche una scelta una tantum: se un socio ha più di un terzo del capitale, come partecipazione, può sempre chiedere che un'operazione gestionale venga decisa dai soci piuttosto che dall'organo amministrativo.Il problema è che, secondo parte della dottrina, addirittura può esistere, per scelta statutaria, una S.r.l. dove tutte le operazioni sono decise dai soci e non dall'organo amministrativo. È quindi, nella sostanza, una società dove all'organo amministrativo rimarrebbe solo il potere di rappresentanza, e non il potere di gestione. Questa possibilità che esista una S.r.l. dove i soci decidono tutto, e gli amministratori non decidono praticamente nulla, è uno degli argomenti su cui maggiormente si discute.L'altra cosa è l'art. 2468 in materia di particolari diritti dei soci. In primo luogo diritto particolare del socio vuol dire che, come enuncia la stessa definizione, è un diritto che spetta al singolo socio come tale, e quindi teoricamente non sarebbe una prerogativa, o comunque un accessorio, della partecipazione, ma sarebbe un diritto ad personam, e cioè un diritto che è legato a quel determinato socio. Quindi se c'è un diritto particolare del socio in materia di utili, per norma di carattere generale, nel momento in cui il particolare socio, che ha quel particolare diritto, cede la sua partecipazione, la cede senza che si trasferisca anche il diritto particolare. L'art. 2468 in materia di particolari diritti ci dice “resta salva la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili”. Un orientamento, che ormai è maggioritario, che ritiene che questa norma non sia di carattere tassativo, e cioè l'esemplificazione non sia tassativa, ma sia indicativa. Quindi ci possono essere dei particolari diritti, diversi da quelli di nominare un amministratore, piuttosto che avere una maggiore partecipazione agli utili; e tra questi particolari diritti qualcuno prevede anche un diritto di sottoscrizione rafforzato in sede di aumento delle operazioni di capitale.

L'aumento del capitale nella S.r.l. è espressamente disciplinato da norme particolari. Però anche in questo caso, a partire dalla norma dell’art. 2481, c'è una tendenza ad andare a ricercare nella disciplina della S.p.A., come si faceva prima della riforma, risposte a quesiti che la norma in materia di S.r.l. non dà. La prima norma in materia di aumento del capitale, che è l'art. 2481, nel 2° comma, dice che la decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti. Qui la patch dependence è nella corrispondente norma in materia di S.p.A. Questo perché la disciplina della S.p.A ha un 1° comma dell'art. 2438 che ha sostanza equivalente. Dice infatti che “un aumento di capitale non può essere eseguito fino a che le azioni precedentemente emesse non

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Condizioni per l’aumento

siano state interamente liberate”. Però poi il 2438 ha anche un comma, il 2°, dedicato alle conseguenze della violazione; comma che non c'è invece nelle S.r.l. E quindi si tende a pensare che la conseguenza sia la stessa anche per le S.r.l. Il 2° comma dell’art. 2438 dice: “in caso di violazione del precedente comma gli amministratori sono solidalmente responsabile per i danni arrecati ai soci e ai terzi; restano in ogni caso salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni emesse in violazione del precedente comma”. Non c’è necessità di andare a cercare nella disciplina della S.p.A una norma come quella delle 2° comma del 2438, perché si ha una norma di principio nella S.r.l., che all'art. 2476 1°comma dice che “gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società”.

Ma in realtà oggi l'interpretazione delle norme della S.r.l. non deve essere mai per analogia alle norme in materia della S.p.A., ma deve essere, in primo luogo, sistematica in riferimento alle norme della S.r.l.

L’art. 2481-bis è la norma centrale in tema di aumento del capitale mediante nuovi conferimenti. È una norma strutturata in maniera decisamente diversa dall'art. 2441. Ovviamente anche nella S.r.l. l'aumento di capitale è una modificazione dell'atto costitutivo, e quindi vanno seguite le regole per le modifiche dell'atto costitutivo. In particolare nella S.r.l. oggi non è più necessario, per tutte le decisioni dei soci, l'uso del metodo assembleare; le decisioni possono essere assunte anche in modo diverso. Le modificazioni dell'atto costitutivo invece sono comunque riservate alla decisione assembleare, salvo il caso dell'aumento di capitale delegato agli amministratori.

Si enfatizza nella S.r.l. la personalizzazione della partecipazione. Ed effettivamente il legislatore dà seguito, nella nuova disciplina della S.r.l., a questo principio. Nella S.r.l. l'aumento del capitale è pensato solo come operazione in riferimento ai soci.Mentre nelle S.p.A. il diritto di decidere l’aumento del capitale è un diritto che spetta ai soci, ma poi può spettare anche ai terzi; invece nella nuova disciplina delle Srl, il diritto spetta ai soci, e solo eccezionalmente, e se espressamente previsto nell’atto costitutivo o con delibere, la sottoscrizione può avvenire da parte di terzi. L’aumento del capitale nelle S.r.l. è un aumento naturalmente destinato ai soci, e non anche ai terzi (l’art. 2481-bis)

Art. 2481-bisAumento di capitale mediante nuovi conferimenti.

1. In caso di decisione di aumento del capitale sociale mediante nuovi conferimenti spetta ai soci il diritto di sottoscriverlo in proporzione delle partecipazioni da essi possedute. L'atto costitutivo può prevedere, salvo per il caso di cui all'articolo 2482-ter, che l'aumento di capitale possa essere attuato anche mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi; in tal caso spetta ai soci che non hanno consentito alla decisione il diritto di recesso a norma dell'articolo 2473.2. La decisione di aumento di capitale prevede l'eventuale soprapprezzo e le modalità ed i termini entro i quali può essere esercitato il diritto di sottoscrizione. Tali termini non possono essere inferiori a trenta giorni dal momento in cui viene comunicato ai soci che l'aumento di capitale può essere sottoscritto. La decisione può anche consentire, disciplinandone le modalità, che la parte dell'aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi.3. Se l'aumento di capitale non è integralmente sottoscritto nel termine stabilito dalla decisione, il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione medesima lo abbia espressamente consentito.4. Salvo quanto previsto dal secondo periodo del quarto comma e dal sesto comma dell'articolo 2464, i sottoscrittori dell'aumento di capitale devono, all'atto della sottoscrizione, versare alla società almeno il venticinque per cento della parte di capitale sottoscritta e, se previsto, l'intero soprapprezzo. Per i conferimenti di beni in natura o di crediti si applica quanto disposto dal quinto comma dell'articolo 2464.5. Se l'aumento di capitale è sottoscritto dall'unico socio, il conferimento in danaro deve essere integralmente versato all'atto della sottoscrizione.6. Nei trenta giorni dall'avvenuta sottoscrizione gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione che l'aumento di capitale è stato eseguito.

In prima battuta quindi il legislatore dice che l’aumento è destinato ai soci. Poi dice che, al contrario, laddove l’atto costitutivo non lo preveda espressamente, sembrerebbe che la sottoscrizione da parte di terzi, con l’esclusione del diritto di sottoscrizione dei soci, non sia ammessa.

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Aumento di capitale a pagamento

Diritto di opzione

Riassumendo:- la sottoscrizione spetta ai soci.- si può escludere il diritto di sottoscrizione dei soci solo se questo è previsto nell’atto costitutivo.- non si può mai escludere il diritto di sottoscrizione dei soci in sede di ricostituzione del capitale

(art. 2482-ter)

In caso di decisione di aumento del capitale sociale mediante nuovi conferimenti spetta ai soci il diritto di sottoscriverlo in proporzione delle partecipazioni da essi possedute. L'atto costitutivo può prevedere, salvo per il caso di cui all'articolo 2482-ter, che l'aumento di capitale possa essere attuato anche mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi; in tal caso spetta ai soci che non hanno consentito alla decisione il diritto di recesso a norma dell'articolo 2473 (c. 1).

Anche laddove i soci non sottoscrivano, se la delibera non lo prevede espressamente, non è ammessa la sottoscrizione del non sottoscritto da parte di terzi.E’ evidente la differenza da questo punto di vista rispetto alla S.p.A.: - la possibilità di escludere il diritto di opzione è prevista nella stessa decisione della delibera assembleare che aumenta il capitale. - si è sempre prevista la possibilità che sia un terzo a sottoscrivere.

Sempre nel 1 comma dell’art. 2483-bis si dice che nel caso di esclusione del diritto di sottoscrizione dei soci in sede di aumento, spetta ai soci che non hanno acconsentito alla decisione, il diritto di recesso a norma dell' articolo 2473. Il recesso però non consegue solo alla presenza della regola nell’atto costitutivo, segue all’esecuzione della regola. La ratio della norma è evidente, nel senso che, nel momento in cui c’è un’operazione che esclude il diritto di sottoscrizione dei soci, si modificano sicuramente i rapporti di forza all’interno della società - il socio vede diminuito il suo peso nella società, vede ridotta la sua partecipazione proporzionale al capitale e quindi anche l’esercizio dei diritti connessi. In questa norma è importante sottolineare che il legislatore parla di chi non ha consentito: chi non ha consentito in questo caso è non solo il socio dissenziente, cioè quello che ha votato contro, ma anche chi non ha votato a favore, quindi il socio astenuto e quello assente. Tutti questi soggetti hanno diritto a recedere fatta salva la possibilità, che è norma di carattere generale nella S.r.l., dell’assemblea di ritornare sui suoi passi e di revocare l’operazione che aveva dato origine al recesso. La norma della S.r.l. è una norma profondamente diversa rispetto a quella della S.p.A. La S.p.A. ha delle forme di tutela del socio che la S.r.l. non ha.

Nel 2° comma dell’art. 2481-bis questo eventuale sovrapprezzo è letto dalla dottrina come non necessarietà del sovrapprezzo che sia rimesso comunque alla decisione dei soci e non sia quindi obbligatorio come invece è nel caso di S.p.A.

Le modalità e i termini entro i quali può essere esercitato il diritto di sottoscrizione.Qui il principio è dell’inscindibilità dell’aumento e dell’eccezione della scindibilità.

La decisione di aumento di capitale prevede l'eventuale soprapprezzo e le modalità ed i termini entro i quali può essere esercitato il diritto di sottoscrizione. Tali termini non possono essere inferiori a trenta giorni dal momento in cui viene comunicato ai soci che l'aumento di capitale può essere sottoscritto (c. 2).Il legislatore della riforma precisa per le S.r.l. il termine per sottoscrivere dedicato ai soci non può essere inferiore ai 30 giorni. Il momento iniziale dal quale decorrono i 30 giorni è la comunicazione fatta ai soci. Il problema è come strutturare la comunicazione ai soci. Sicuramente la norma non consentirebbe di far riferimento, né all’iscrizione nel registro delle imprese, né a un’iscrizione nel libro dei soci. E quindi l’interpretazione data alla norma è che in questo caso sia necessaria una comunicazione ad personam, cioè la lettera raccomandata inviata ai soci. Qui però sorge il problema che che tutti i soci abbiano lo stesso termine e che lo stesso termine scada per tutti lo stesso giorno. Questo specie, laddove sia consentito agli altri soci di sottoscrivere l’inoptato.

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Esclusione del diritto di “sottoscrizione”

Sovrapprezzo

Termini per la sottoscrizione e comunicazione

Nella pratica si è detto che effettivamente il termine in sé non può decorrere dall’iscrizione nel registro delle imprese, però forse si potrebbe fare una comunicazione personale, indicando un termine che decorra comunque da un atto comune a tutti i soci, che può essere l’iscrizione nel registro delle imprese.

La decisione può anche consentire, disciplinandone le modalità, che la parte dell'aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi (c. 2).Nella S.r.l. si potrebbe prevedere nella delibera una prelazione a posteriori, mentre nella S.p.A. il diritto di prelazione è preventivo. Normalmente la regolamentazione della prelazione è nello statuto in questo caso, proprio per non lasciarla poi all’arbitrarietà o alla casualità della delibera. La regola è che il termine decorre per tutti dallo stesso giorno.

Un altro interrogativo che ci poniamo riguarda la norma sull’esclusione del diritto di sottoscrizione che fa riferimento solo all’offerta ai terzi. Qui nasce il dubbio se possa esserci una clausola che esclude la sottoscrizione a vantaggio di uno dei soci. Nella diligenza operativa della società si crede che l’interpretazione debba essere, che la norma possa prevedere anche l’esclusione a favore di uno dei soci, in particolari ipotesi dell’aumento del capitale. Eventualmente il socio che viene pregiudicato andrà a cercare la sua giustizia in sede contenziosa, se l’operazione effettivamente è un’operazione di abuso di potere della maggioranza, quindi è un’operazione che non è nell’interesse della società ma è solo un interesse dei soci di maggioranza rispetto ai soci di minoranza.

Invece per l’aumento del capitale, la decisione può anche consentire, disciplinandone le modalità, che la parte dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci, sia sottoscritta da altri soci o da terzi. Qui non è necessario, invece, che ci sia a monte una clausola statutaria: per collocare quello che non è sottoscritto presso gli altri soci e il terzo è sufficiente l’espressa previsione della delibera, ma non è necessaria una regola nei patti sociali a monte nell’atto costitutivo.

Se l'aumento di capitale non è integralmente sottoscritto nel termine stabilito dalla decisione, il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione medesima lo abbia espressamente consentito (c. 3).Il terzo comma prevede il principio della naturale inscindibilità dell’aumento, quindi se non è previsto diversamente nella delibera, o aumenta illegalmente il sottoscritto, o l’aumento parzialmente sottoscritto rimane inefficace. Questo diritto che abbiamo visto caratterizzato, salvo diverse previsioni statutarie, dal suo tendenziale essere riservato ai soci, renderebbe difficile pensare che ci possa essere un mercato del diritto della sottoscrizione simile alla cessione del diritto di opzione nella S.p.A.

Invece la strutturazione dell’aumento del capitale in materia di S.r.l. porta a pensare che, per lo meno, salvo diversa previsione statutaria, il diritto di sottoscrizione personale del socio sia un diritto normalmente incedibile, non trasmissibile quindi a terzi che possano sostituirsi ad un’operazione riservata ai soci e non aperta quindi verso i terzi.

Il regime dei versamenti invece è analogo a quanto previsto per le S.p.A.Salvo quanto previsto dal secondo periodo del quarto comma e dal sesto comma dell'articolo 2464, i sottoscrittori dell'aumento di capitale devono, all'atto della sottoscrizione, versare alla società almeno il venticinque per cento della parte di capitale sottoscritta e, se previsto, l'intero soprapprezzo. Per i conferimenti di beni in natura o di crediti si applica quanto disposto dal quinto comma dell'articolo 2464 (c. 4).Se l'aumento di capitale è sottoscritto dall'unico socio, il conferimento in danaro deve essere integralmente versato all'atto della sottoscrizione (c. 5).

È stato inserita al 4° comma dell’art. 2481-bis la possibilità espressa, anche in sede di aumento del capitale, di fare il conferimento d’opera. Norma che nella versione originaria non c’era per cui era sorto subito il dubbio che siccome era richiamato il conferimento in natura e non era richiamato il conferimento d’opera, allora il conferimento d’opera fosse operazione che si possa fare solo in

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Principio di inscindibilità dell’aumento

Inoptato

Versamenti e conferimenti diversi dal denaro

sede di costituzione della società e per mancato richiamo invece in sede di disciplina di aumento, non fosse possibile. In tutte le ipotesi di conferimento diverso dal denaro, anche in sede di aumento, anche se in alcuni casi non è espressamente prevista, è necessario prevedere la perizia di stima. Qui la perizia di stima è richiesta per i conferimenti di crediti e in natura, non è invece espressamente richiesta per il conferimento d’opera, però molti ritengono che anche nel caso di aumento del capitale con conferimento dell’opera, la perizia di stima è necessaria, anche per motivi di carattere pratico.

Infine, anche nella srl come nella spa va versato il 25% del conferimento in denaro, e integramente quello in natura, salvo il caso dell’unico socio in cui il versamento deve essere integrale.

Nei trenta giorni dall'avvenuta sottoscrizione gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione che l'aumento di capitale è stato eseguito (c. 6).

Art. 2481-terPassaggio di riserve a capitale.

1. La società può aumentare il capitale imputando ad esso le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili.2. In questo caso la quota di partecipazione di ciascun socio resta immutata.

La disciplina per l’aumento di capitale gratuito è sostanzialmente corrispondente con quella per le spa. Si precisa comunque che a seguito di tale operazione, la quota di partecipazione di ciascun socio deve restare immutata.Cambia il meccanismo d’applicazione delle azioni: nella spa o si procede con l’aumento del valore nominale delle azioni o si emettono nuove azioni con le medesime caratteristiche di quelle in circolazione e comunque tutte le azioni fi nuova emissione sono assegnate in opzione ai soci attuali.Nella srl invece la quota di partecipazione di ciascun socio resta immutata. Se c’è una quota del 20% del capitale, si continuerà ad avere una quota sempre del 20% con il capitale aumentato. Nel caso di azioni emesse senza valore nominale, allora le azione rimarrebbe immutate nel valore inespresso, cosa che avviene anche per le quote.

7.11 I finanziamenti dei soci in favore della società

Resta da dire di una nuova particolare regola che disciplina i finanziamenti effettuati dai soci in favore della società. Nel nostro sistema un problema rilevante è la sotto-capitalizzazione delle società. Il legislatore ha inteso intervenire solo per la srl, e non per la spa: questo è stato oggetto di critiche, alcuni hanno tentato un’applicazione analogica.In queste società c’è squilibrio fra mezzi propri e capitale di credito, attraverso tentativi andati a vuoto per tentare di conseguire

Art. 2467Finanziamenti dei soci.

1. Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.2. Ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

Fare prestiti è più vantaggioso per i soci. Nel caso le cose vadano male i soci concorrerebbero con tutti gli altri creditori nella spartizione di ciò che resta, perché per tutta la finanza che hanno fornito alla società, sarebbero creditori al pare degli altri. Quando scade il credito, il socio concorrerà con gli altri soci. Invece se ha investito capitale di rischio, allora il socio sarà postergato nella soddisfazione del suo “credito” sull’attivo residuo.Si sceglie quindi la strada del capitale “piccolo” e il resto viene prestato alla società: il legislatore ha ritenuto di prevedere l’art. 2467, intitolato “Finanziamenti dei soci”.

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Attestazione finale

Aumento di capitale gratuito

Disciplina

La soluzione è postergare il rimborso dei finanziamenti effettuati dai soci alle pretese degli altri creditori. Il primo comma dice, infatti, che il rimborso dei finanziamenti dei soci è postergato alla soddisfazione degli altri creditori. La legge non riqualifica il finanziamento in conferimento, rimane un rapporto credito-debito, però tale poste saranno sempre qualificate come debiti verso soci, cioè rimangono creditori, ma che possono essere soddisfatti solo dopo gli altri creditori, posizione che si avvicina a quella del socio.

Inoltre, se il rimborso di questi finanziamenti è avvenuto nell’anno precedente a quello in cui è avvenuto il fallimento della società deve essere restituito: è una revocatoria di diritto. Quando l’imprenditore fallisce, il curatore ha a disposizione lo strumento dell’azione revocatoria per riportare all’interno ciò che è uscito e ha favorito qualche creditore a danno di altri, come se fatto a condizioni inique o a titolo gratuito: tutto questo è soggetto alla revocatoria di diritto o tramite l’azione revocatoria, per garantire parità di trattamento dei creditori. La revocatoria in tal caso è ex lege, di diritto, il socio deve restituire alla società il rimborso del finanziamento che ha effettuato.

Attenzione perché su questa disciplina è intervenuta una riforma della riforma della Legge fallimentare con il decreto legge 78/2010 è stato introdotto l’art. 182 quater in cui si parla della pre-deducibilità di eventuali crediti sorti nel concordato preventivo o accordi di ristrutturazione di debiti. Tali debiti son pre-deducibili ovvero devono essere pagati prima che si passi al pagamento dei creditori concorsuali. Ciò è in contraddizione con la disciplina dei finanziamenti dei soci, qui si dice che il finanziamento fatto dai soci in esecuzione di un concordato sono pre-deducibili ovvero avvantaggiati rispetto agli altri crediti.

Che cosa s’intende per finanziamenti soci?La legge dice che ai fini del finanziamenti dei soci, s’intendono quelli in qualsiasi forma effettuati concessi in un momento in cui risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento.

“in qualsiasi forma effettuato”La legge vuole abbracciare il più ampio spettro possibile, ovviamente sono esclusi i versamenti in conto capitale: l’elemento discriminante è l’obbligo di restituzione; significa che può essere un normale mutuo, un prestito, un anticipazione, una remissione di un debito. La legge vuole abbracciare lo spettro più ampio possibileDeve essere fatta da un socio nel momento in cui è effettuato (non se lo diventa dopo).Non tutti i finanziamenti sono trattati così ma sono quelli ritenuti dalla legge patologici ovvero frutto di una scelta opportunistica; le ipotesi sono due:

1) quando c’è un eccessivo squilibrio del debito rispetto ai mezzi propri: quand’è che si può considerare eccessivo lo squilibrio? Il rischio è un contenzioso su questo punto, bisogna vedere quale parametro intende il giudice.

2) quando sarebbe stato ragionevole un conferimento. Bisognerebbe verificare se la condizione in cui è stato effettuato il prestito, un terzo avrebbe finanziato la società.

Molti ritengono che le due fattispecie siano due modi per dire sta stessa volta; infatti è irragionevole fare un prestito quando vi è un eccessivo squilibrio nell’indebitamento della società. La fattispecie sarebbe unica spiegata in due modi diversi.

Quando scatta questa postergazione?Bisogna poi stabilire la condizione della società nel momento in cui è effettuato il finanziamento, non in cui si sta valutando.Gli interpreti sono favorevoli nel dire che la postergazione si realizzi solo quando c’è una liquidazione, sia essa volontaria o coattiva, allora in quel caso scatta la postergazione: quando tutti i crediti nella società si considerano scaduti e i creditori sono sullo stesso piano. La società a quel punto non può rimborsare i finanziamenti dei fino a quando non ha rimborsato tutti i soci creditori.

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La postergazione dei finanziamenti

Deroga

La legge fallimentare e il D.L. 78/2010

Capitolo VIIIIL CONTROLLO E I GRUPPI

8.1 L’attività di direzione e coordinamento

La disciplina la detta per la srl e anche a proposito dei gruppi o meglio, la legge non usa mai il termine gruppo, ma di attività e direzione e coordinamento della società. I finanziamenti effettuati in favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento si applica l’art. 2467.Il finanziamento che la capogruppo fa a favore di una società del gruppo è trattato alla stessa stregua che una società fa in favore di una srl. Se la spa è una capogruppo è soggetta alla disciplina della srl per i finanziamenti dei soci, se invece è una società singola non si applica. E’ un meccanismo misterioso, visto che il fenomeno dell’uso opportunistico del finanziamento dei soci al posto di aumentare di capitale si realizza anche nella spa e quindi da parte di molti nonostante il silenzio della legge si tenta di applicare anche alla spa isolata, in verità di un’applicazione analogica.Altri dicono che sia una norma eccezionale, la regola è che tutti i credito sono uguali, salvo ci sia una volontaria postergazione.

Per stabilire quando si applica all’interno dei gruppi.La disciplina dei finanziamenti dei soci della srl. è poi richiamata nella nuova disciplina dei Gruppi di Società. L’art 2467 che disciplina i finanziamenti dei soci in srl. è poi richiamato, quindi si applica la medesima disciplina, anche nel caso di Gruppi, o meglio di società sottoposte a direzione e coordinamento da parte di altre società, come la legge le chiama

Art. 2497-quinquiesFinanziamenti nell'attività di direzione e coordinamento.

1. Ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti si applica l'articolo 2467.

Quando si parlava di S.p.A. si è saltala la parte sul controllo, che la legge colloca proprio nella sezione dedicata alle azioni (anche se il controllo di una società su un’altra si può avere anche a prescindere di un possesso azionario). La definizione di controllo la si trova nell’art. 2359.

Va detto, anzitutto, che il concetto di controllo è diverso dal concetto di gruppo. Si può dire che ci sia un gruppo quando vi è un insieme di società, dove una di queste svolge sulle altre società un’attività di direzione unitaria, cioè quando una società effettivamente dà direttive a società a lei sottoposte in modo che il gruppo si muova, si comporti come se fosse un’unica entità. Il controllo è il presupposto del gruppo, ma non è ancora il gruppo. Quindi la realizzazione di un controllo è prodromica all’esistenza di un gruppo, ma si può dire che c’è un gruppo soltanto quando, sfruttando la situazione di controllo, un soggetto esercita l’attività di direzione unitaria delle società.Nel nostro sistema non esiste una disciplina generale dei gruppi. Partendo dal discorso del controllo, che non equivale all’esistenza del gruppo, anche se con la riforma è stata introdotta una presunzione di esistenza di una attività di direzione e coordinamento tutte le volte che c’è un controllo.

8.1 Il controlloArt. 2359

Società controllate e società collegate.1. Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;

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Nozione e presunzione

3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.2. Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi.Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

Prima bisogna parlare del concetto di controllo. Nella stessa disciplina dell’attività di direzione e coordinamento negli articoli 2497 al 2497 septies. Nella sexies ai fini del precedente capo si presume salvo prova contraria che l’attività di direzione e coordinamento della società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei bilanci o che li controlla ai sensi dell’art. 2459. La dice una cosa importante e che cioè il fatto che una società controlli un’altra società non significa che c’è un gruppo, significa solo che il controllo fa presumere l’esistenza di un gruppo e si può dare la prova contraria, se la partecipazione è inferiore, non per la% implica il controllo, potrebbe esserci un controllo statico e passivo che non dà vita all’attività di direzione e coordinamento, che c’è quando sfruttando il controllo esercito un’attività di direzione sulla controllata.La legge potrebbe non fare questo. Il controllo potrebbe dar vita all’attività di un gruppo, ma non è sempre detto che ci sia attività di direzione e coordinamento. La presenza di controllo fa presumere l’esistenza del coordinamento, ma è solo una presunzione che non è assoluta, perché è prevista prova contraria. L’attività è svolta senza direttiva o guida magari.Oppure negli alti casi in cui è obbligato a consolidate i bilanci delle società.

Non sempre il controllo è azionari, art. 2359. Le situazioni di controllo sono tre:1) la legge considera controllata una società in cui un’altra società dispone della maggioranza

die ovti esercitabili nell’assemblea ordinaria; ciò che conta è il controllo dell’assemblea ordinaria dove si approvano i bilanci e si nominano gli organi sociali. Ciò che conta sono i voti non il numero delle azioni (potrebbero esserci azioni senza voto): ciò che conta è avere la maggioranza dei voti in assemblea ordinaria è il controllo di diritto.

2) controllare un società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria. Siam nel caso del controllo di fatto. Non c’è la maggioranza di voti assoluti nell’assemblea ordinaria, ma in ragione di com’è strutturata la compagine sociale, pur avendo duna % inferiore alla maggioranza assoluta dei voti esercitabili sono in grado di nominare amministratori in assemblea: fenomeno diffuso in caso di capitale diffuso in presenza di endemico assenteismo fra i soci in assemblea. L’assemblea orinai infatti decide qualche sia il numero di soci presenti.

3) controllo contrattuale: è controllata la società sotto l’influenza dominante di un’altra società in verità di particolari vincoli contrattuali con essa. Escluso che nel nostro sistema si possa creare il così detto gruppo contrattuale (fatto da società che volontariamente per contratto si sottopongono alla direzione di un’altra società, è il contratto di dominazione, senza cedere le azioni). La fattispecie qui è diversa: una società può avere un contratto con un altra società che la rende schiava, come nel fenomeno dell’indotto attorno ad un altra società. C’è una situazione di effettiva sottomissione per effetto di un vincolo contrattuale. L’altra società può dare direttive giuridicamente vincolanti.

Quando c’è una di queste situazioni, la legge presume l’esistenza di un’attività di direzione e coordinamento, che però può essere smentita da prova contraria.Fino al 2004 la nostra legislazione societaria non disciplinava il fenomeno dei gruppi. La giustificazione era perché si attendeva una direttiva comunitaria, che non è mai stata emanata per contrasti interni fra il sistema tedesco (dualistico obbligatorio) e il resto. Anzi da parte di molti giuristi si riteneva un illecito l’esercizio un’attività di direzione della società, in contrasto con il fatto che la gestione spetta agli amministratori di quella società. Certamente è sicuramente lodevole il fatto che la legge introducendo la disciplina non chiamata dei ruppi, è una legittimazione definita del fatto fisiologico della strutturione dell’attività d’impresa in società. Da questo possono derivare fenomeni patologici.

Il primo caso viene chiamato controllo di diritto: se un soggetto dispone della maggioranza dei voti in assemblea ordinaria, è in grado di far fare alla società sottoposta al suo controllo quello che vuole, perché l’assemblea ordinaria è l’assemblea in cui si prendono le decisioni fondamentali per la vita e la strategia della società, nel senso che si nominano gli amministratori e si approvano i bilanci. Non si tratta di maggioranza delle azioni, si tratta di maggioranza dei voti esercitabili in

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Le tre fattispecie di controllo

La presunzione relativa

Il controllo di diritto

assemblea (questo è ovvio perché la società può avere un capitale che è composto anche da azioni senza voto, con voto limitato solo all’assemblea straordinaria, con voto condizionato al verificarsi di determinati eventi e tutte quelle possibili eccezioni al principio che ogni azione attribuisce un voto che si possono inserire nello statuto).

Nel secondo punto si aggiunge che una società è controllata anche quando sia sotto l’influenza dominante di un’altra società, quando “una società sia partecipata da un’altra società che disponga di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea straordinaria”, qui siamo di fronte ad un controllo di fatto, non di diritto. In questi casi non è affatto necessario, per dominare la società sottoposta, di disporre della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea, perché si dà per scontato che all’assemblea ordinaria di quella società si presentino, ad esempio, in seconda convocazione soltanto i detentori di azioni per un totale del 40% del capitale; ecco che allora si può dire che c’è un controllo anche di chi pur non possedendo la maggioranza aritmetica dei voti esercitabili, abbia una partecipazione qualificata tale da permettere comunque di vincere le assemblee, proprio giocando sull’assenteismo dei piccoli azionisti. Questo è di più difficile accertamento perché bisogna verificare il concreto della singola società, per verificare effettivamente se i voti a disposizione del socio di maggioranza relativa, non assoluta, siano sufficienti per esercitare l’influenza dominante nell’amministrare la società.

La terza ipotesi di controllo si ha quando una società sia sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali. Questo significa che ci possono essere, e ci sono, molti casi in cui una società dipende per la sua sopravvivenza dal mantenimento in essere di un contratto con un’altra società. In questo caso si può ritenere che ci sono dei vincoli contrattuali che danno ad una società il potere di esercitare l’influenza dominante, anche senza possedere un’azione o quota della società controllata. Questo è un controllo che previene da qualunque possesso azionario.

Poi la legge prevede anche il controllo indiretto, nel secondo comma dell’art 2359 c.2. Ad esempio: è chiaro che io posso essere una società che possiede il 20% di una società, ma a sua volta una mia altra controllata ha il 31% sempre di quella società, nel controllare se io ho il controllo su quella società bisogna contare il mio 20% ma anche il 31% che ha la mia controllata, perché è chiaro che questa fa quello che gli dico io e quindi è come se io detenessi il 51% di quella società.)

La nozione di controllo che viene data dall’art. 2359, in realtà non è l’unica nozione di controllo che troviamo nell’ordinamento. Per settori, fattispecie particolari la legge detta ulteriori nozioni di controllo che riprendono quella data nell’art. 2359, e la estendono in qualche modo. La più importante tra queste si trova nell’ambito della disciplina del bilancio consolidato (D. Lgs. N 127/1991). Nella disciplina del bilancio consolidato, all’art. 26 si dà una nozione di società controllate (agli effetti ovviamente limitati dell’obbligo di redazione del bilancio consolidato da parte della controllante). La società che controlla altre società, oltre al suo bilancio d’esercizio, deve redigere anche il bilancio consolidato di gruppo. In questa nozione di controllo data dall’art. 26 si richiama l’art. 2359, ma poi si aggiunge che, “agli effetti dell’obbligo di redazione del bilancio consolidato, sono considerate controllate anche quelle imprese su cui un’altra abbia il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un’influenza dominante”.

Si specifica però “quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole”. Questo vuol dire che ci troviamo in un sistema nazionale che è inglobato in un sistema più ampio che è il sistema dell’Unione Europea. Le varie leggi nazionali hanno discipline piuttosto diversificate: in particolare in Germania è prevista, accanto al gruppo basato sul possesso azionario (gruppo verticale), la possibilità di altre due modalità di composizione del gruppo dal punto di vista giuridico. In particolare, attraverso un contratto di dominazione, è un contratto in forza del quale una società spontaneamente si pone sotto l’influenza dominante di un’altra. In Italia una situazione di questo tipo è sempre stata considerata illecita perché si è sempre ritenuto, che facendo in questo modo si avrebbe una fuoriuscita dalla società del potere di decidere sulla gestione della società stessa. Infatti in questo modo la gestione della società sottoposta viene affidata alla società controllante.

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La nozione di controllo nella disciplina del bilancio consolidato

Il controllo di fatto

L’influenza dominante

Controllo indiretto

Un altro tipo di contratto da cui può nascere il gruppo, presente in altri ordinamenti, è il fenomeno del cosiddetto gruppo orizzontale. È il caso di più società che spontaneamente, attraverso un contratto, decidono di sottoporsi tutte quante a una direzione unitaria che viene individuata attraverso la creazione di una nuova ulteriore società. A questa società viene affidata la funzione della capogruppo. Si parla di un gruppo orizzontale perché non c’è un rapporto gerarchico tra le società: sono tutte sullo stesso piano e tutte decidono di sottomettersi ad una direzione unitaria. È proprio a questo tipo di contratti che fa riferimento l’art. 26 quando individua altre fattispecie in cui c’è il controllo. La legge ha cura di precisare che questo si ha quando la legge applicabile consenta tali contratti. Un altro modo in cui si può arrivare ad un gruppo fondato su un accordo è che una società inserisca nel suo statuto, che si sottopone alla direzione unitaria di un’altra società. Questo tipo di soluzione prima della riforma era considerato dalla stragrande maggioranza degli interpreti non consentito, illecita. Perché si riteneva che non fosse possibile esternalizzare il centro di comando della società come scelta volontaria.

8.3 La nuova disciplina dei gruppi

Bisogna dire che con la riforma sono state inserite delle nuove norme sui gruppi (anche se la legge non parla mai di gruppi, ma di attività di direzione e coordinamento), in particolare l’art. 2497-sexies.

Art. 2497-sexiesPresunzioni.

1. Ai fini di quanto previsto nel presente capo, si presume salvo prova contraria che l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell'articolo 2359.

Le disposizioni del presente capo si applicano altresì a chi esercita attività di direzione e coordinamento di società sulla base di un contratto con le società medesime o di clausole dei loro statuti.Viene usata la stessa formula della legge sul bilancio consolidato. Ma c’è una differenza: il codice non aggiunge più la formula “quando la legge nazionale lo consente”. Per questa ragione da parte di molti si è vista in questa norma la legittimazione anche nel nostro ordinamento dei gruppi fondati su scelte contrattuali (sia i gruppi orizzontali, sia quelli fondati sui contratti di dominazione).

Oltre all’allargamento della nozione di controllo fin qui illustrato, la legge ne fa un altro. Si dice che al di là dei casi di controllo già previsti dall’art. 2359, sono da considerarsi controllate anche le imprese in cui un’altra, in base ad accordi con altri soci, controlla da sola la maggioranza dei diritti di voto. Il fenomeno a cui fa riferimento la legge è quello dei sindacati di voto. È un fenomeno comunque presente in tutte le S.p.A. di medie-grandi dimensioni.Facciamo l’ipotesi di una società in cui si faccia un sindacato di voto tra tre soci (1 ha il 40%; 2 ha il 10%; 3 ha il 10%), e in questo modo si crea la maggioranza. Quindi i soci sindacati eserciteranno il controllo della società (perché voteranno tutti allo stesso modo, essendo vincolati dal patto parasociale). È ovvio che nell’assemblea del sindacato di voto il socio che possiede il 40% ha la maggioranza, e quindi sarà lui ad imporre agli altri come andare a votare nell’assemblea della società – è come se il socio 1 avesse da solo il controllo di diritto della società. Questa è una delle ragioni per cui in passato si dubitava della legittimità dei sindacati di voto (un socio di minoranza può di fatto diventare un socio di maggioranza). Per il solo fatto che esiste un controllo, anche se la controllante non svolge un’attività di coordinamento, la legge prevede delle conseguenze importanti.

Art. 2359-bisAcquisto di azioni o quote da parte di società controllate.

1. La società controllata non può acquistare azioni o quote della società controllante se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate.2. L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea a norma del secondo comma dell'articolo 2357.

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Disciplina e divieti

3. In nessun caso il valore nominale delle azioni o quote acquistate a norma dei commi precedenti può eccedere la decima parte del capitale della società controllante, tenendosi conto a tal fine delle azioni o quote possedute dalla medesima società controllante e dalle società da essa controllate.4. Una riserva indisponibile, pari all'importo delle azioni o quote della società controllante iscritto all'attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni o quote non siano trasferite.5. La società controllata da altra società non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee di questa.6. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche agli acquisti fatti per il tramite di società fiduciaria o per interposta persona.

Negli art. 2359-bis e seguenti si prevede tutta una serie di conseguenze giuridiche per il fatto che ci sia un rapporto di controllo tra due società. Ad esempio, si prevede che nel caso di società controllante e controllata, la controllata non possa acquistare le azioni della controllante, se non negli stessi limiti che sono previsti per l’acquisto di azioni proprie da parte della società. Allo stesso modo è sancito il divieto per la società controllata di sottoscrivere le azioni della controllante. Praticamente la legge parifica la situazione in cui c’è il controllo alla situazione di una società che fa operazioni sulle proprie azioni.

Fino alla riforma mancava completamente una disciplina organica del fenomeno conseguente al controllo, cioè del fenomeno dei gruppi. Su questo è intervenuta la riforma, anche se non è vero che con la riforma è stata introdotta nel nostro ordinamento una vera è propria disciplina organica dei gruppi (che quindi ancora manca nel nostro sistema). Quella aggiunta è una disciplina ancora del tutto parziale ed è una disciplina che essenzialmente mira a disciplinare solo un aspetto dei tanti, che sarebbero coinvolti nell’esistenza di un gruppo. Si detta tutta quella disciplina volta a tutelare i soci e i creditori sociali delle società che sono sottoposte alla direzione di un’altra società. Quello che è comunque importante è che l’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento è un fenomeno di per sé fisiologico e legittimo. L’intervento del legislatore si dirige verso diversi aspetti: vengono innanzitutto imposti degli obblighi di pubblicità. Questo viene certamente dettato a vantaggio di chi entri in relazione con società che appartengono ad un gruppo.

Art. 2497-bisPubblicità.

1. La società deve indicare la società o l'ente alla cui attività di direzione e coordinamento è soggetta negli atti e nella corrispondenza, nonché mediante iscrizione, a cura degli amministratori, presso la sezione del registro delle imprese di cui al comma successivo.2. È istituita presso il registro delle imprese apposita sezione nella quale sono indicate le società o gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento e quelle che vi sono soggette.3. Gli amministratori che omettono l'indicazione di cui al comma primo ovvero l'iscrizione di cui al comma secondo, o le mantengono quando la soggezione è cessata, sono responsabili dei danni che la mancata conoscenza di tali fatti abbia recato ai soci o ai terzi.4. La società deve esporre, in apposita sezione della nota integrativa, un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio della società o dell'ente che esercita su di essa l'attività di direzione e coordinamento.5. Parimenti, gli amministratori devono indicare nella relazione sulla gestione i rapporti intercorsi con chi esercita l'attività di direzione e coordinamento e con le altre società che vi sono soggette, nonché l'effetto che tale attività ha avuto sull'esercizio dell'impresa sociale e sui suoi risultati.

L’art. 2497-bis prevede tutta una serie di nuovi obblighi di pubblicità quando c’è una situazione per cui una società è sottoposta all’attività di direzione e coordinamento di un’altra. La capogruppo deve iscriversi in una nuova apposita sezione del registro delle imprese. Allo stesso modo, le società che sono sottoposte all’altrui attività di direzione e coordinamento devono anch’esse iscriversi in un’apposita sezione del registro delle imprese. Queste ultime devono anche indicare in tutti i loro atti e in tutta la loro corrispondenza tale situazione di soggezione. Questo ovviamente è fatto a tutela di coloro che entrano in contatto con la società.

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Obblighi di pubblicità

Sono poi previsti degli obblighi di trasparenza di questa situazione.

Art. 2497-terMotivazione delle decisioni.

1. Le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione. Di esse viene dato adeguato conto nella relazione di cui all'articolo 2428.

Nell’art. 2597-ter è previsto che le decisioni delle società che sono sottoposte all’altrui attività di direzione e coordinamento, quando siano decisioni influenzate da questa situazione di soggezione, devono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi, la cui valutazione ha inciso sulla decisione. E di esse deve essere dato adeguato conto nella relazione degli amministratori al bilancio di esercizio. Questo significa che, tutte le volte che le decisioni della società sono prese sotto l’influenza della controllante, esse devono essere analiticamente motivate e devono indicare puntualmente quali sono stati gli interessi e le ragioni che hanno portato a quella decisione. Tornando all’art. 2497-bis, si prevede che la società, sottoposta all’attività di direzione e coordinamento, deve indicare, in un’apposita sezione della nota integrativa del bilancio, un prospetto riepilogativo dei dati essenziali del bilancio della società che su di essa esercita l’attività di direzione e coordinamento. Questa è una norma che sta creando tutta una serie di problemi perché non sempre la capogruppo è una società che è obbligata a dare pubblicità ai suoi bilanci. Quindi può succedere che la società capogruppo non abbia nessuna intenzione di rendere noti i suoi bilanci (non avendo un obbligo legale di pubblicità del bilancio).

A tutela dei soci di minoranza delle società che appartengono al gruppo, si prevede una tutela attraverso una previsione specifica dell’ipotesi in cui il socio può recedere dalla società.

Art. 2497-quaterDiritto di recesso.

1. Il socio di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento può recedere:a) quando la società o l'ente che esercita attività di direzione e coordinamento ha deliberato una trasformazione che implica il mutamento del suo scopo sociale, ovvero ha deliberato una modifica del suo oggetto sociale consentendo l'esercizio di attività che alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta ad attività di direzione e coordinamento;b) quando a favore del socio sia stata pronunciata, con decisione esecutiva, condanna di chi esercita attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'articolo 2497; in tal caso il diritto di recesso può essere esercitato soltanto per l'intera partecipazione del socio;c) all'inizio ed alla cessazione dell'attività di direzione e coordinamento, quando non si tratta di una società con azioni quotate in mercati regolamentati e ne deriva un'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento e non venga promossa un'offerta pubblica di acquisto.2. Si applicano, a seconda dei casi ed in quanto compatibili, le disposizioni previste per il diritto di recesso del socio nella società per azioni o in quella a responsabilità limitata.

Si prevedono quindi nuove ipotesi di recesso rispetto a quelle che ordinariamente sono previste nei vari tipi di società. a) riguardo la lettera a) del primo comma: è chiaro che quando una società fa parte di un gruppo, è

la capogruppo che decide le strategie. Le vicende della capogruppo influenzano inevitabilmente le vicende della società controllata. Se la società capogruppo cambia improvvisamente il suo oggetto sociale, questo inevitabilmente crea dei riflessi sulla società controllata, sia dal punto di vista della stabilità economica e patrimoniale, sia dagli altri punti di vista.

b) riguardo la lettera b) del primo comma: nel momento in cui un socio entra in conflitto radicale con la società capogruppo (fa e vince la causa), questo socio ha il diritto di recedere dalla società.

c) riguardo la lettera c) del primo comma: quando una società che prima era assolutamente “autonoma” entra a far parte di un gruppo, il socio può decidere di uscire dalla società. Lo stesso vale per la situazione in cui la società che prima faceva parte di un gruppo, ne esce.

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Obblighi di trasparenza

Diritto di recesso e tutela dei soci

Art. 2497Responsabilità.

1. Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette (1).2. Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.3. Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento.4. Nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario.

L’aspetto più interessante delle nuove norme sui gruppi è certamente la previsione di un’ipotesi di responsabilità della società capogruppo nei confronti dei soci e dei creditori della società sottoposta alla sua attività di direzione e di coordinamento. L’art. 2497 prevede infatti che le società o gli enti, esercitanti attività di direzione o di coordinamento, che nello svolgere questa attività (in sé lecita) agiscano in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società soggette, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste, per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della loro partecipazione sociale; nonché sono responsabili nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società. È la società capogruppo che impartisce le direttive alla società controllata, e quindi l’organo amministrativo della società controllata deve obbedire alle direttive impartite dalla società capogruppo senza possibilità di discostarsi. Però se questa società capogruppo impartisce delle direttive che comportano una scorretta gestione della società controllata, e da questo derivano dei danni ai soci della controllata o ai creditori della controllata, questi possono agire direttamente per il risarcimento del danno nei confronti della società controllante. Nella versione che in un primo momento era uscita dal Consiglio dei ministri, si diceva non “le società o gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento” ma si diceva “chiunque esercita attività di direzione e di coordinamento”. Il cambiamento apportato prima della pubblicazione nella gazzetta ufficiale, è importante nel senso che tutta questa disciplina si applica solo quando, in veste di capogruppo, ci sia comunque un ente o una società (una persona giuridica). Si intende che per effetto della scorretta gestione della società soggetta, si sia determinato un depauperamento del patrimonio di questa società soggetta, da cui indirettamente deriva una perdita di valore e di redditività delle partecipazioni dei soci di minoranza.

Nell’art. 2497 si dice che “non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento”. Questo è’ l’accoglimento da parte del nostro legislatore, di quella teoria molto diffusa tra coloro che studiano il fenomeno dei gruppi sia dal punto di vista giuridico che economico, dei vantaggi compensativi. Ciò significa che l’appartenenza ad un gruppo per una società, va valutata nel complesso dell’attività del gruppo. Può darsi che ci sia una singola operazione che reca danno alla società soggetta, ma può succedere che questo danno sia compensato dal fatto che, appartenendo al gruppo, la società ottiene per altra via altri vantaggi. Questa è la teoria dei vantaggi compensativi.

In concreto non è facile stabilire quando ci sia questo fenomeno di compensazione. Non è responsabile solo la società capogruppo quando si verifica questa situazione, ma dice la legge, che risponde anche in solido chiunque abbia preso parte al fatto lesivo. Premesso che deve essere accertata la responsabilità della capogruppo, ma accanto alla capogruppo rispondono nei confronti dei soci e dei creditori della società partecipata, anche tutti coloro che hanno preso parte al fatto lesivo e cioè gli amministratori della società soggetta i quali hanno

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La responsabilità

Teoria dei vantaggi compensativi

passivamente aderito alle direttive scorrette della capogruppo; e gli stessi amministratori della capogruppo che hanno impartito queste direttive scorrette. Rispondono anche coloro, che ne abbiano tratto consapevolmente beneficio, seppure soltanto nei limiti del vantaggio conseguito, cioè dall’arricchimento che è stato indotto da quella operazione.

La legge non definisce cosa vuol dire attività di direzione e coordinamento, ma introduce una presunzione molto importante. Nell'art. 2497 si dice che ai fini di quanto previsto nel presente capo (pubblicità, responsabilità, trasparenza) si presume, salvo prova contraria, che l’attività di direzione e coordinamento sia esercitata da quella società o quell’ente che sia tenuto al consolidamento del loro bilancio o che comunque le controlla ai sensi dell’art. 2359. Cioè dal fatto statico del controllo si ricava la presunzione che effettivamente si sfrutta questo controllo per svolgere un'attività di direzione e coordinamento e semmai, è la società che deve dimostrare che non è così. È una presunzione semplice e non assoluta, nel senso che è ammesso dare la prova contraria.

La legge prevede poi, che quando ci sia la situazione di esercizio di una attività di direzione e di controllo, all'articolo 2497-quinquies che ai finanziamenti effettuati a favore della società controllata, da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti, o da altri soggetti ad essa sottoposti si applica l'art. 2467, che è dettato in tema a società a responsabilità limitata. Questo articolo riguarda il finanziamento che i soci fanno a favore della società (NB: si parla di finanziamenti non di versamenti in conto capitale); cioè si parla di prestiti fatti dai soci a favore della società. La norma dice che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, e se questo rimborso è avvenuto nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società deve essere restituito.

Questa disciplina si applica:I) il 2° comma dell'art. 2467 dice che “si intendono finanziamenti dei soci quei finanziamenti che siano stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione dell'attività svolta risulti, un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto” .II) finanziamenti concessi dal socio alla società in una situazione finanziaria della società, nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. Innanzitutto non si capisce se questa seconda ipotesi è diversa dalla prima o sia un altro modo di dire la stessa cosa della prima. Qualcuno dice che sarebbe ragionevole un conferimento quando si intenda, ad esempio, sviluppare una nuova attività aziendale duratura nel tempo, è chiaro che sarebbe più ragionevole fare un investimento di capitale piuttosto che semplicemente ricorrere al prestito dei soci, ma anche qui siamo in un ambito estremamente generico.

L'obiettivo che il legislatore si è proposto con questa disciplina è quello di combattere un fenomeno molto diffuso nel nostro paese, cioè il fenomeno della sotto-capitalizzazione delle società di capitali. Prima di questa norma, i soci per via dei finanziamenti acquisivano la qualità di creditori della società, e quindi concorrevano con gli altri creditori per ottenere la restituzione di quanto prestato; se avessero invece effettuato nuovi conferimenti, erano postergati perché chiaramente i conferimenti sono restituiti ai soci solo quando sono stati pagati tutti i creditori.

Si tratta anche di capire cosa voglia dire postregazione del finanziamento rispetto ai diritti degli altri creditori e quando deve essere valutato il finanziamento.La maggioranza dei primi interpreti dice che la valutazione va fatta al momento in cui questi finanziamenti sono stati concessi, cioè è solo a questo momento che si deve fare riferimento per capire se erano patologici, anomali oppure no, senza che si possa considerare le vicende successive della società. Altri invece dicono che vanno considerate tutte le vicende anche successive, perché può darsi che un finanziamento che non era anomalo nel momento in cui è stato concesso, lo diventi in un momento successivo.

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Definizione di attività di direzione e coordinamento

Finanziamento dei soci e delle società

Altro problema è stabilire quando si realizzi questa postregazione. Si discute molto se questa postergazione operi sempre, il che vorrebbe dire che la società non può mai restituire questi finanziamenti fino a quando non ha soddisfatto i suoi creditori. Ma la tesi che si va affermando è che in realtà la postergazione sarebbe destinata ad operare soltanto o quando la società fosse dichiarata fallita, o quando la società fosse entrata in liquidazione. Questa stessa disciplina dei finanziamenti la legge applica anche all'interno dei gruppi, non sempre, ma solo quando, dice l'art. 2497-quinquies, si tratta di finanziamenti a favore di una società soggetta alla altrui attività di gestione coordinamento (un finanziamento fatto dalla capogruppo ad una società controllata ovvero fatto da un'altra società controllata ad un'altra altrettanto controllata). La cosa singolare alla luce di queste due disposizioni, che da un lato prevedono il regime dei finanziamenti anomali nelle S.r.l. e che poi lo estendono all’ipotesi del gruppo, è che rimane fuori la S.p.A.; o meglio non è che rimanga fuori sempre perché i finanziamenti infragruppo trattati nell'articolo 2497-quinquies, possono riguardare una S.p.A. Si va formando un’interpretazione per cui questa disciplina, anche se mai citata nella disciplina delle S.p.A., sia applicabile analogicamente anche alle S.p.A.

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Capitolo IXLE OPERAZIONI STRAORDINARIE.

TRASFORMAZIONE, FUSIONE E SCISSIONE.

9.1 La trasformazione

Poiché possono guardare tutti i tipi societari, le operazioni straordinarie sono disciplinate in un capo a sé, perché possono riguardare qualunque tipo di società; addirittura la trasformazione supera tutti i tipi di società, essendo disciplinate anche le ipotesi di trasformazioni eterogenee.Si parla di trasformazioni omogenee, restiamo all’interno dei tipi sociali all’interno della legge, eterogenee quando c’è un passaggio da un ente societario a uno non societario o viceversa.La trasformazione di società in altre società, oggi invece può essere eterogenea.La riforma non ha allargato l’istituto della trasformazione, ma ha anche chiarito un altro aspetto: oggi è ritenuta lecita anche la trasformazione regressiva. Prima della riforma il codice disciplinava la trasformazione di un solo tipo: da un tipo di società di persone a capitale (da più semplice a più evoluto); dopo della riforma invece è possibile anche l’ipotesi inversa, quindi anche la trasformazione regressiva è consentiva.

La trasformazione è il cambiamento di tipo della società, o il passaggio da una società di capitali ad altro tipo di ente giuridico o comunque d’azienda, e viceversa.Prima della riforma la trasformazione, quel particolare procedimento attraverso il quale una società modifica il suo tipo unicamente disciplinata era da una società in nome collettivo in una società di capitali. Sostanzialmente oggi in termini più generici la trasformazione è il procedimento riorganizzativo con cui la società o un ente o una fattispecie priva di rilevanza soggettiva adotta la forma organizzativa di un altro tipo sociale ovvero l’inverso.

Art. 2498. Continuità dei rapporti giuridici.

1. Con la trasformazione l'ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione.

Caratteristica dell’istituto è la regola della continuità dei rapporti giuridici. Oggi la legge ci chiarisce che, all’art.2498, con la trasformazione l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione (art. 2498).L’ente rimane il medesimo, semplicemente muta la sua veste, la sua persona giuridica. Tutti i rapporti, diritti ed obblighi, sono conservati in capo alla società, anche i rapporti processuali proseguono in capo della società. Il soggetto è sempre lo stesso, qualunque veste giuridica venga ad assumere per effetto di un trasformazione.Questo era un aspetto pacifico prima della riforma, anche se oggi è espresso. Non c’è nascita o estinzione di nulla, tutto prosegue come prima, muta solamente la veste, il quadro organizzativo con cui viene svolta l’attività.

Art. 2499Limiti alla trasformazione.

1. Può farsi luogo alla trasformazione anche in pendenza di procedura concorsuale, purché non vi siano incompatibilità con le finalità o lo stato della stessa.

Altro aspetto riguarda i limiti alla possibilità di trasformarsi. Secondo l’art. 2499, può farsi luogo alla trasformazione anche in pendenza delle procedure concorsuali, purché non vi siano incompatibilità con la finalità della stessa o lo stato della stessa.Bisogna fare un riscontro della compatibilità delle trasformazione con la finalità e lo stato della stessa.Con la riforma del diritto fallimentare, si può prevedere che il piano di concordato preventivo si realizzi per effetto di operazioni straordinarie. Anche le operazioni straordinarie sono positivamente contemplate come componenti di un piano di concordato preventivo. Ciò può aver anche con il commissariamento straordinario.

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Nozione

Continuità dei rapporti giuridici

Limiti

Il problema si può porre con una procedura con finalità liquidative. In passato, si sosteneva che la trasformazione non fosse possibile durante una procedura di fallimento, poiché avendo questo uno scopo puramente liquidativio, non c’è ragione di fare una trasformazione. Ma questo si diceva solo perché la legge pre-riforma disciplinava la trasformazione progressiva, che non avesse senso. Invece una trasformazione regressiva, oggi certamente possibile, potrebbe avere senso anche in una procedura liquidatoria, fallimentare o non. Potrebbe essere utile, ad esempio, per eliminare i costi del collegio sindacale. La srl ha l’obbligo di costituire il collegio sindacale solo per determinate soglie, allora può essere utile per una miglior liquidazione per evitare spese inutili, a vantaggio dei creditori, si trasforma a fini liquidativi.Oggi non c’è più nessuna incompatibilità.

Oggi l’unico limite può esserci nei confronti della società semplice, perché non può svolge un’attività commerciale. Una società non può trasformarsi in una società semplice, solo quando non svolge un’attività commerciale. Mentre tutti gli altri tipi sociali possono svolgere indifferentemente attività commerciali o non commerciali (anche se nel gergo vengon chiamate società commerciali).

9.2 Il procedimento di trasformazione

Art. 2500Contenuto, pubblicità ed efficacia dell'atto di trasformazione.

1. La trasformazione in società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata deve risultare da atto pubblico, contenente le indicazioni previste dalla legge per l'atto di costituzione del tipo adottato .2. L'atto di trasformazione è soggetto alla disciplina prevista per il tipo adottato ed alle forme di pubblicità relative, nonché alla pubblicità richiesta per la cessazione dell'ente che effettua la trasformazione.3. La trasformazione ha effetto dall'ultimo degli adempimenti pubblicitari di cui al comma precedente.

Per una società di capitali la trasformazione si traduce in una deliberazione assembleare e s’intende di assemblea straordinaria.E’ chiaro che una trasformazione, sia omogenea sia eterogenea, è pur sempre per ogni tipo di società e, anche per società di capitali, è una modifica dello statuto ed, essendo una modifica statutaria, va assunta in assemblea straordinaria con l’osservanza delle relative maggioranze, e secondo il procedimento previsto dall’art. 2436, con la verbalizzazione notarile, con il controllo di legittimità del notaio sul rispetto delle condizioni previste dalla legge, e con l’iscrizione nel Registro delle imprese (art. 2500, c.2), momento in cui la trasformazione si completa e produce i suoi effetti.

I soci che non hanno concorso alla trasformazione hanno diritto di recesso.E’ una delle modifiche più gravi, per cui è previsto che la trasformazione dia diritto al socio non consenziente di recedere della società. E’ un ipotesi ineliminabile del socio dissenziente.

Per le società di persone o per gli enti non societari, la trasformazione quando si realizza verso una società di capitali deve risultare da atto pubblico contenete le indicazioni previste dalla legge per l’atto costitutivo del tipo di società adottato (art. 2500, c.1). Una delle differenze fra società di persone e di capitali è data dal dato che la società di persone nasce da un contratto che però non richiede forme solenni, non richiede un atto pubblico, potrebbe essere un atto orale: deve essere resa forma scritta solo ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese.Le società di persone svolgono in comune un’attività economica ai fini di ripartire gli utili, invece le società di capitali sono società che nascono unicamente attraverso un atto pubblico con iscrizione nel Registro delle Imprese.

La delibera di trasformazione fissa le basi organizzative della società nella nuova veste giuridica. La delibera di trasformazione deve cioè rispondere ai requisiti di forma e contenuto previsti per l’atto costitutivo del tipo prescelto. Devono essere inoltre rispettate le ulteriori regole previste per la costituzione della società che risulta dalla trasformazione.L’art. 2500 disciplina non solo la trasformazione della società di capitali in una società di persone, ma anche l’ipotesi di trasformazione eterogenea da un ente non societario in società di capitali. La legge, al secondo comma, dice che l’atto di trasformazione è soggetto alla disciplina prevista

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Limite rispetto all’oggetto dell’attività sociale

Procedimento per le società di capitali

Procedimento per le società di persone

Diritto di recesso

Forma e contenuto della delibera di trasformazione

del tipo adottato: vuol dire che se trasformazione una snc in una spa, certa, ente devo prevedere un capitale minimo di almeno 120.000 euro.

Anche la pubblicità dell’atto è quella richiesta dell’ente che effettua la trasformazione, nonché alla pubblicità richiesta per la cessazione dell'ente che effettua la trasformazione (art. 2500, c. 2).Sembrerebbe una previsione contro la precedente, essendo lo stesso ente che procede in forma diversa; qui si deve rispettare la pubblicità richiesta per la cessazione dell’ente che effettua la trasformazione. Questa norma grigiastra disciplina le trasformazione eterogenea da ente non societario in società di capitali. Ad esempio, se una fondazione si trasforma in società per azioni. La fondazione è un ente che si iscrive in un apposito registro. E’ chiaro che se trasforma una fondazione in una spa si dovrà procedere alla cancellazione della fondazione dal registro: ma ciò non significa che muore la fondazione e si trasforma in società. Si dovrà procedere a cancellare quello che non è più la fondazione ma che è diventata una società. Tale norma non fa venire meno il principio della continuità dell’ente.

La legge continua dicendo con l’ultimo degli adempimenti pubblicitari la trasformazione ha effetto (art. 2500, c. 3). Si può pensare di una trasformazione di una fondazione in spa, si iscrive la spa nel Registro delle imprese, ma la trasformazione non ha avuto luogo perché ci è dimenticati di cancellare la fondazione dal registro delle fondazioni.Solo con l’ultimo degli adempimenti pubblicitari si può dire efficace la trasformazioni che abbiamo effettuato.

Art. 2500-bisInvalidità della trasformazione.

1. Eseguita la pubblicità di cui all'articolo precedente, l'invalidità dell'atto di trasformazione non può essere pronunciata.2. Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai partecipanti all'ente trasformato ed ai terzi danneggiati dalla trasformazione.

Altra norma nuova che non fa che riprendere una disciplina già esistente in tema di fusione e di scissione è contenuta nell’art 2500 bis dove si afferma l’efficacia sanante della pubblicità della trasformazione. Eseguita la pubblicità di cui all’art. precedente (ci si riferisce ad una trasformazione di un ente non di società a un ente di società), l’invalidità dell’atto di trasformazione non può essere pronunciata.La legge si pone il problema che a distanza di anni possono essere rese annullate per una dichiarazione di nullità, è il problema della certezza delle situazione giuridiche. Qualcuno potrebbe impugnare un atto di trasformazione, va avanti il giudizio e dopo 10 anni il giudice dice che è tutto nullo! Nel frattempo l’ente trasformato ha operato nel mondo esterno. La legge sacrifica il principio di legalità e il diritto di chi ha un interesse ad ottenere l’invalidazione di un atto viziato. Fatta pubblicità diventa intaccabile un atto sanato e rimane fermo: questo è un principio che ha applicazione in trasformazione in scissione e fusione.

Nell’impugnazione delle delibere assembleari, come quella d’approvazione del bilancio non può essere impugnata dopo che è stata approvata il bilancio dell’esercizio successivo. Se dopo 10 anni si dichiara nulla l’approvazione del bilancio di 10 anni prima, venivano travolti tutti i bilanci successivi! E comunque si inserisce tutto questo in un trend nel limitare al massimo i casi in cui si possono invalidare gli atti. Sarebbe un atto nullo, ma a legge dice che l’atto è valido, ma la sanzione è rivendere le azioni entro un anno. L a legge sostituisce la tutela invalidante con altre forme di tutela.

Per non si può lasciar e senza nulla l’opposizione e allora l’art. 2500 bis resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai partecipanti all'ente trasformato ed ai terzi danneggiati dalla trasformazione, anche se rimane ferma la trasformazione.Va ribadito che poiché nel 2500 bis si parla di pubblicità di cui all’articolo precedente, l’effetto sanante si procede solo per trasformazioni in società di capitali, non per trasformazione regressive o per trasformare da società di persone in un altro tipo di società di persone.

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Efficacia

Invalidità della trasformazione

Pubblicità

Il risarcimento del danno

I diversi tipi di trasformazione

Le trasformazioni si potrebbero dividere oggi fra omogenee e eterogenee a seconda se sia coinvolto un ente non societario.Le trasformazioni omogenee vedono un’operazione endosocietaria, cioè il passaggio da un tipo ad un altro dei tipi disciplinata dalla legge di società lucrative, perché altro problema riguarda la trasformazione verso una società cooperativa, che è un altro punto, quest’ultima invece considerata eterogenea perché il discrimine fra omogenea e eterogenea: in quella omogenea c’è solo il mutamente della veste giudici un ente che comunque ha lo stesso oggetto e lo stesso scopo, e la causa, che è sempre quello lucrativo sia nelle società di persone che si di capitali. Se invece si vuole trasforma in una cooperativa o una fondazione in spa o viceversa, in questo caso cambia addirittura lo scopo di lucro, perché la cooperativo ha invece uno scopo mutualistico, sempre di procurare vantaggi ai soci, ma non nelle forme dell’utile , in forme diverse (come risposta di spesa). Se interessa una fondazione do una associazione qui c’è una modifica sostanziale dello scopo, da uno egoistico ad altruistico. Il suo obiettivo è sempre etero-destinare i risultati della società. Può anche volgere un’attività economica, ma mutua lo scopo.

9.3 La trasformazione omogenea da società di persone a società di capitali

E’ la più delicata perché si passa da un tipo sociale in cui non è determinato il capitale e non c’è la garanzia di conservazione del capitale imposto dalla legge: quindi c’è un problema di valutazione del capitale all’esito della trasformazione e c’è il problema della tutela dei creditori sociali, perché nelle società di persone una parte dei soci rispondono illimitatamente delle obbligazioni sociali.

Art. 2500-terTrasformazione di società di persone.

1. Salvo diversa disposizione del contratto sociale, la trasformazione di società di persone in società di capitali è decisa con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili; in ogni caso al socio che non ha concorso alla decisione spetta il diritto di recesso.2. Nei casi previsti dal precedente comma il capitale della società risultante dalla trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell'attivo e del passivo e deve risultare da relazione di stima redatta a norma dell'articolo 2343 o, nel caso di società a responsabilità limitata, dell'articolo 2465. Si applicano altresì, nel caso di società per azioni o in accomandita per azioni, il secondo, terzo e, in quanto compatibile, quarto comma dell'articolo 2343.

Per facilitare la trasformazione, la legge modifica questa previsione e, come previsione legale, salvo diversa disposizione del contratto sociale, prevede una decisione a maggioranza della trasformazione. Questa è una deroga precisa rispetto alla previsione dell’art. 2252 per la modifica del contratto nella società di persone. Quindi, maggioranza calcolata non come maggioranza di capitale, come avviene nelle società di capitale, ma sulla base di ciascuna partecipazione dei soci sugli utili. Questo perché è il meccanismo previsto in generale nelle società di persone tutte le volte ci sia una decisione presa a maggioranza, proprio perché nelle società di persone può mancare il capitale, non è detto sia identificato il capitale: ci possono essere soci anche non di capitale, ma ciascun socio ha certamente una partecipazione agli utili (o determinata nel contratto sociale, o dice la legge, che si presume proporzionale ai conferimenti).

Deroga importante alle norme che disciplina le società di persone con un correttivo (art. 2500, c.1) peraltro: in ogni caso al socio che non ha concorso alla decisione di trasformazione spetta il diritto di recesso. Quindi si deroga all’unanimità e si passa ad una decisione maggioritaria, ma i soci dissenzienti hanno diritto di recedere quando la maggioranza opta per la trasformazione di società di capitali. Questa è una norma eccezionale e si applica sono in questo caso (di trasformazione di società di persone in società di capitale), quindi non si applica, secondo opinione prevalente, quando si passa da società di persone a società di persone: viene meno il favore legislativo e torneranno a valere le regole ordinarie, salvo il contratto non preveda già una decisione a maggioranza per tutte le modifiche statutarie.

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Maggioranze

Diritto di recesso per i soci dissenzienti

Un problema è capire secondo quali regole è disciplinato il recesso del socio dissenziente. Si ritiene che, visto che in una società di persone normalmente la decisione di trasformazione va fatta davanti al notaio (bisogna fare l’atto pubblico, notarile), e quindi siccome l’iscrizione nel Registro delle imprese è telematica e rapida e sapendo che la trasformazione prende effetto in tal momento, è ragionevole pensare che il recesso allora sarà regolato dalla previsione del recesso nelle società di capitali, ex art 3437 se la trasformazione è in spa, o dall’art. 2473 se in srl.

Ovviamente c’è un problema di determinare il capitale della società trasformata, proprio perché non è determinato quello della trasformanda per capire se c’è un minimo di capitale, che è stabilito in spa e srl e non nelle società di persone.Al secondo comma dell’art. 2500 ter si prevede che il capitale della società risultante dalla trasformazione deve essere determinato sulla base di valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo e deve risultare dalla relazione di stima redatta a norma dell’art. 2643 o, nel caso di srl, 2465.

Alla delibera di trasformazione deve quindi essere allegata una relazione giurata di stima del patrimonio sociale, redatta secondo le norme previste per i conferimenti in natura nella spa o nella srl.Bisogna determinare il capitale della società esito della trasformazione. La legge chiarisce espressamente che la determinazione del capitale va fatta sulla base dei valori attuali degli elementi dell’attivo del passivo, non sulla base dei valori storici. Per questa via quindi è possibile lecitamente operare una rivalutazione del patrimonio. Ad esempio, con un bene immobile appostato al costo storico, nel momento in cui si trasforma in società di capitali si fa una rivalutazione del bene, attualizzandolo. Nel passato prima della riforma, si riteneva invece che i valori devono essere quelli di bilancio. Oggi non è più così. Si deve seguire l’iter previsto dagli art. 2343 o dall’art. 2465 se si tratta di srl: la legge qui non ha aggiornato questa disciplina alle nuove previsioni del 2008 che prevedono per la spa quei meccanismi alternativi di determinazione del valore dei beni diversi dal denaro che prescindono dalle valutazione di stima dell’esperto del tribunale. Oppure non è il caso della valutazione di borsa del patrimonio, ma gli altri due elementi degli elementi risultanti da un bilancio revisionato e, soprattutto, della relazione di un esperto fatta nel periodo precedente, ma senza necessità di nomina del tribunale potrebbero applicarsi anche in questo caso. La legge qui comunque si è dimenticata di coordinare questa norma con la nuova disciplina.

Se si segue il sistema tradizionale bisogna seguire l’iter dell’art. 2343 e quindi la nomina dell’esperto del tribunale oltre che la revisione da parte degli amministratori all’esito della trasformazione.Attenzione che non è affatto necessario, ne ovvio, che tutto il valore del patrimonio così stimato della società di persone che si trasformazione in società di capitali vada necessariamente a capitale. Se noi abbiamo una stima del patrimonio della snc che si trasforma in spa di 500.000 euro, non è necessario sia imputato interamente nella spa: raggiunto il minimo necessario, l’eccedenza del patrimonio si potrà appostare a riserva. La legge si preoccupa solo che ci sia una valutazione secondo i criteri posti per i conferimenti, anche se qui tecnicamente non si è in sede di conferimento; ma non è fatto detto che l’intero capitale vada a capitale.

Il capitale sociale della società che risulta dalla trasformazione dovrà essere fissato, quindi, in una cifra non superiore al patrimonio netto risultante dalla relazione di stima, ed in questo caso, non potrà essere inferiore al minimo legale stabilito per la costituzione di quel tipo di società. In caso contrario, i soci dovranno provvedere a nuovi conferimenti, con applicazione della rispettiva disciplina in sede di costituzione, ad esempio per quanto riguarda il versamento minimo del venticinque per cento dei conferimenti in denaro (art. 2342, c.2).

Devono poi sussistere tutte le altre condizioni (ad esempio, autorizzazioni governative) richieste per la costituzione del tipo di società che si vuole adottare.

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Stima del patrimonio

La relazione giurata di stima

Appostazione di parte del patrimonio a riserva

Capitale minimo

Altre condizioni

Art. 2500-quaterAssegnazione di azioni o quote.

1. Nel caso previsto dall'articolo 2500-ter, ciascun socio ha diritto all'assegnazione di un numero di azioni o di una quota proporzionale alla sua partecipazione, salvo quanto disposto dai commi successivi.2. Il socio d'opera ha diritto all'assegnazione di un numero di azioni o di una quota in misura corrispondente alla partecipazione che l'atto costitutivo gli riconosceva precedentemente alla trasformazione o, in mancanza, d'accordo tra i soci ovvero, in difetto di accordo, determinata dal giudice secondo equità.3. Nelle ipotesi di cui al comma precedente, le azioni o quote assegnate agli altri soci si riducono proporzionalmente.

Un altro problema che sorge quando trasformiamo una società di persone in una società di capitali è determinare quante azioni o il valore della quota che a ciascun socio competono all’esito della trasformazione. L’art. 2500 quater è dedicato a questo aspetto.La regola è quella della proporzionalità dell’assegnazione delle azioni o delle quote. Nel caso previsto del 2500 ter, ciascun socio ha diritto all’assegnazione del numero di azioni o di una quota (nella srl) [la legge è precisa: tante azioni o una sola quota nella srl] proporzionale alla sua partecipazione, ma attenzione, salvo quanto disposto nei commi successivi, ossia per le regole specifiche dettate in tema di socio d’opera. Il problema è che nelle società di persone si può aver anche il socio d’opera per il quale può non essere stata fissata una partecipazione precisa nel contratto sociale delle società di persone.Al secondo comma, infatti si dice che il socio d’opera ha diritto all’assegnazione di azioni o di una quota in misura corrispondente alla partecipazione che l’atto costitutivo gli riconosceva precedentemente alla trasformazione o, in mancanza, d’accordo tra i soci o, in difetto di accordo, determinata dal giudice secondo equità (art. 2500-quater, c. 2).In una società di persone, si può avere la non capitalizzazione della partecipazione del socio (non c’è nessun obbligo nella società di persone di capitalizzare la partecipazione del socio, e quella del socio d’opera quasi mai è capitalizzata) e quindi non è immediata la trasformazione di questa partecipazione in tot azioni o in una quota nella srl. La legge allora ci dà i parametri attraverso cui ciascun socio deve essere titolare di una quota del capitale sociale, qualunque sia il tipo di conferimento che aveva effettuato: la partecipazione del socio d’opera non era capitalizzata nella società di persone e all’esito della trasformazione è possibile che le azioni o le quote assegnate agli altri soci si riducano proporzionalmente (art. 2500-quater, c.3) per fare spazio al socio d’opera nel capitale.

La legge introduce allora dei criteri graduali per stabilire il valore della partecipazione del socio d’opera: - se c’era già una previsione nell’atto costitutivo della società di persone e allora evidentemente si

seguirà quel criterio;- o ci vuole un accordo ad hoc fra tutti i soci in sede di trasformazione che assegnano al socio

d’opera una data partecipazione;- ma se non c’è l’accordo fra i soci la decisione è rimessa al giudice così come la partecipazione

agli utili nella disciplina delle società di persone quando nel contratto non è determinata la partecipazione agli utili del socio d’opera la legge dice che in questo caso bisogna ricorrere al giudice che stabilirà il valore della partecipazione. In tal caso il giudice stabilità il valore della partecipazione che spetta al socio d’opera e il giudice normalmente usa un criterio molto elementare: se il socio d’opera è un socio lavoratore, il giudice farà un indagine sulla retribuzione media di quel settore e in base alla durata dell’impegno del socio stabilirà il valore capitalizzabile dell’opera del socio.

9.4 La responsabilità dei soci (da illimitata a limitata)

Problema dedicato in questo passaggio è dato dal fatto che si passa da un socio a responsabilità illimitata, se non tutti, a un società in cui vige il principio della totalità irresponsabilità dei soci delle obbligazioni sociali, nel senso che, delle obbligazioni sociali risponde solo la società.Su questo problema, l’art. 2500 quinquies regola la sorte e la tutela dei creditori sociali in caso di trasformazione in società di capitali.

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Assegnazione proporzionale di quote od azioni

La disciplina per il socio d’opera

Art. 2500-quinquiesResponsabilità dei soci.

1. La trasformazione non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni sociali sorte prima degli adempimenti previsti dal terzo comma dell'articolo 2500, se non risulta che i creditori sociali hanno dato il loro consenso alla trasformazione.2. Il consenso si presume se i creditori, ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata comunicata per raccomandata o con altri mezzi che garantiscano la prova dell'avvenuto ricevimento, non lo hanno espressamente negato nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione.

La regola è: i soci conservano la responsabilità illimitata per le obbligazioni sorte prima del momento in cui la trasformazione ha effetto (l’iscrizione della delibera di trasformazione nel Registro delle imprese), non per quelle successive. Dal momento in cui la società comincia ad operare ed è trasformata, i creditori sono consapevoli (o sono nelle condizioni) che trattano con una società la quale delle obbligazioni sociali risponderà solo con il loro patrimonio. La trasformazione opera solo per il futuro e non può pregiudicare la posizione dei creditori sociali anteriori contro la loro volontà.Chiaramente i creditori anteriori non possono impedire una trasformazione e quindi prima hanno fatto credito nella società perché confidavano in uno o due soci e questo rimane in linea di principio, ma la responsabilità illimitata viene meno anche per le obbligazioni precedenti in cui ha effetto la trasformazione nei confronti dei creditori che abbiano dato il consenso alla trasformazione.

Per favorire la trasformazione, è stata introdotta una disciplina che agevola la liberazione dei soci. E’ infatti stabilito che:a) il consenso dei creditori alla trasformazione vale come consenso alla liberazione di tutti i soci a

responsabilità illimitata (non è quindi necessaria una specifica dichiarazione di liberazione);b) il consenso alla trasformazione (e quindi della liberazione dei soci) si presume, se ai singoli

creditori è stata comunicata per raccomandata (o con altri mezzi che garantiscono la prova del ricevimento) la delibera di trasformazione ed essi non hanno espressamente negato la loro adesione, nel termine di 60 giorni dal ricevimento della comunicazione. Il silenzio vale quindi consenso. E l’eventuale dissenso non impedisce la trasformazione della società.

Il primo comma dice che la trasformazione non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni sociali sorte prima degli adempimenti previsti nel terzo comma dell’art. 2500 (cioè la registrazione della trasformazione nel Registro delle imprese), se non risulta che i creditori sociali hanno dato il loro consenso alla trasformazione. La legge vuole favorire questo passaggio e quindi, in qualche modo, scarica sui creditori l’onere di farsi vivi se non vogliono perdere la responsabilità illimitata, perché è vero che ci vuole il loro consenso affinché i soci perdano la responsabilità illimitata, ma contemporanemente il secondo comma ci dice che il consenso dei creditori si presume, se i creditori ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata comunicata per raccomandata o con altri mezzi che garantiscono prova dell’avvenuto ricevimento, se questi creditori non lo hanno espressamente negato nel termine dei 60 giorni dal ricevimento della comunicazione. La disciplina è che, in teoria rimangono responsabili i soci, salvo consenso manifestato dai creditori alla trasformazione: tale consenso si presume nel senso che c’è un onere della società o anche dei soci che hanno interesse personale per questo, i quali devono comunicare ai creditori sociali la trasformazione o con raccomandata o con mezzo che comunque garantisca la conoscibilità del momento in cui viene ricevuto questa comunicazione, perché dal momento in cui ricevono questa comunicazione, i creditori sociali che vogliono conservare la responsabilità illimitata dei soci nei loro confronti devono farsi vivi, comunicando il loro dissenso dalla trasformazione. Attenzione perché i creditori non possono impedire la trasformazione, cioè non è come il caso di opposizione dei creditori in caso di riduzione del capitale effettiva: nel caso in cui l’opposizione non viene vinta in giudizio, per cui non si può fare la riduzione ed è sospesa per il periodo durante il quale i creditori possono fare opposizione.In tal caso i creditori non possono impedire la trasformazione e il dissenso va inteso nel senso che se manifestano il dissenso si garantiscono dei soci che tali erano per le obbligazioni precedenti alla trasformazione. E’ solo questo l’effetto del dissenso. E nel segno del favore della legge nel passaggio ai tipi più evoluti di società di capitali del fatto che il consenso si presume. Se il creditore sta zitto si intende abbia detto “ok” e che perde la responsabilità illimitata dei soci.

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Soci a responsabilità illimitata

Procedimento di liberazione

Consenso alla trasformazione (e alla liberazione) da parte dei creditori

Comunicazione ai creditori

Si può discutere che (ed è tesi prevalente) il mancato dissenso dei 60 giorni faccia decadere la possibilità che il creditore possa agire nei confronti dei soci a responsabilità illimitata: qualcuno dice che il creditori potrebbero vincere in altro modo la presunzione del consenso; secondo il Prof. De Acutis invece il termine sarebbe di decadenza.

Inoltre, i soci sono liberati solo nei confronti dei creditori che abbiano assentito (siano stati zitti) alla trasformazione, di coloro cioè che non abbiano manifestato la volontà di dissentire.

Il permanere della responsabilità illimitata dei soci comporta il loro assoggettamento a fallimento in base al nuovo art. 147, legge fall., purché l’insolvenza sia dovuta, in tutto o in parte a debiti risalenti al periodo inferiore alla trasformazione.In ogni caso, il fallimento della società può essere esteso ai soci solo se dichiarato entro un anno dalla trasformazione, purchè siano state osservate le formalità (iscrizione nel registro) necessarie per rendere la stessa opponibile ai terzi.

Quindi, i soci nell’anno successivo alla trasformazione che sono rimasti, per il dissenso dei creditori, a responsabilità illimitata potrebbero ancora fallire in caso di fallimento della società.Entro un anno dal momento in cui si è persa la qualità di socio a responsabilità illimitata, ci sarebbe il fallimento per estensione dei soci a responsabilità illimitata. Dopo un anno cessa invece tutto.

9.5 La trasformazione regressiva

L’operazione è così delicata che in passato da parte degli interpreti si riteneva che fosse vietata solo la trasformazione regressiva e non si occupava del passaggio inverso. Oggi invece l’art. 2500 sexies si trova anche la disciplina di questo tipo di passaggio.

Art. 2500-sexiesTrasformazione di società di capitali.

1. Salvo diversa disposizione dello statuto, la deliberazione di trasformazione di società di capitali in società di persone è adottata con le maggioranze previste per le modifiche dello statuto. È comunque richiesto il consenso dei soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata.2. Gli amministratori devono predisporre una relazione che illustri le motivazioni e gli effetti della trasformazione. Copia della relazione deve restare depositata presso la sede sociale durante i trenta giorni che precedono l'assemblea convocata per deliberare la trasformazione; i soci hanno diritto di prenderne visione e di ottenerne gratuitamente copia.3. Ciascun socio ha diritto all'assegnazione di una partecipazione proporzionale al valore della sua quota o delle sue azioni.4. I soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata, rispondono illimitatamente anche per le obbligazioni sociali sorte anteriormente alla trasformazione.

Salvo diversa disposizione dello statuto, la deliberazione di trasformazione di società di capitali in società di persone è adottata con le maggioranze previste per le modifiche dello statuto. La trasformazione da società di capitali a società di persone è trattata come una normale modifica statutaria. Si deve deliberare in assemblea straordinaria con maggioranze previste con le modifiche dello statuto, quindi con maggioranze rafforzate.Il problema è che nel passaggio da società di capitale a società di persone, l’esito è che o tutti i soci o parte dei soci da soci a responsabilità limitata diventano soci a responsabilità illimitata. Per questo, in passato, molti ritenevano che il passaggio richiedesse il consenso unanime dei soci, oggi invece si richiedono le maggioranze ordinarie dell’assemblea straordinaria. Consapevole però che non si può obbligare un socio contro la sua volontà a passare da responsabilità limitata a responsabilità illimitata.

Sempre il comma del l’art. 2500 sexies dice che bastano le maggioranze dell’assemblea straordinaria, ma è comunque necessario che sia richiesto il consenso dei soci che con deliberazione assumono responsabilità illimitata. Inoltre, tale responsabilità opera anche per le obbligazioni anteriori alla trasformazione (art. 2500-sexies, c.1 e 4)Se si passa ad snc ci vuole in consenso unanime dei soci; a sas il consenso dei soci che diverranno accomandatari.

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Termine di decadenza

Fallimento dopo la trasformazione

Competenza e maggioranze richieste

Consenso all’assunzione della responsabilità illimitata

Sono due passaggi diversi. C’è una normale delibera assembleare, in cui si calcola il quorum previsti per l’assemblea straordinaria, e in più in quella sede ma anche fuori dall’assemblea bisognerà raccogliere il consenso personale dei soci che dovranno assumere la responsabilità illimitata.

Sostanzialmente, la delibera di trasformazione dell’assemblea straordinaria non è efficace, ovvero non produrrà l’effetto della trasformazione (che è valida se è assunta a maggioranza), non produrrà l’effetto della trasformazione se non sarà accompagnata anche dalla manifestazione personale di consenso da parte dei soci destinati ad assumere responsabilità illimitata.

In ogni caso, i soci dissenzienti, a prescindere che siano destinati ad assumere responsabilità illimitata o meno, hanno sempre il diritto di recesso. E’ prevista sia nella spa all’art. 2437, sia nell’art. 2473 per la srl, è prevista come causa ineliminabile del recesso del socio non consenziente ad una delibera di trasformazione, qualunque sia il tipo di trasformazione regressiva o progressiva. I soci dissenzienti hanno il diritto di recedere.In più però ci vuole il consenso positivo dei soci destinati ad assumere la responsabilità illimitata.

La legge detta questa disciplina nella trasformazione regressiva, in realtà, anche se la legge non lo dice, è ovvio che la disciplina analogicamente si deve applicare anche nell’ipotesi di trasformazione di una spa o di una srl in una società in accomandatita per azioni, perchè anche nelle sapa ci deve essere almeno un socio accomandatario il quale diventa socio a responsabilità illimitata. Ed è altrettanto ovvio, che oltre alle normali maggioranze assembleari dell’assemblea straordinaria, ci vorrà comunque il consenso di chi nella sapa assumerà responsabilità illimitata.

La legge si preoccupa anche ulteriormente, proprio perché non lo vede con molto favore rispetto all’altro. Nel secondo comma dell’art. 2500 sexies dice che gli amministratori devono predisporre una relazione che illustri le motivazioni e gli effetti della trasformazione, che deve rimanere depositata nei 30 giorni precedenti la data dell’assemblea che deve deliberare la trasformazione, affinché ne possano prendere visione ed ottenere gratuitamente copia.L’ipotesi tipica è quel dell’art. 2447, quando la società ha perso il capitale per effetto delle perdite, sotto il minimo di legge, per salvare la società o la si ricapitalizza fino al minino o la si trasforma in una società dell’altro tipo. L’unica possibilità di trasformazione per una srl sotto il minimo è verso una società di persone dove non c’è minimo di capitale. Deve però essere motivato in una relazione illustrativa degli amministratori.

Dice l’ultimo comma, e’ chiaro che i soci che con la trasformazione assumano responsabilità illimitata, rispondano illimitatamente anche per le obbligazioni sociali sorte anteriormente alla trasformazione. Nella società di persone il socio che entra in società risponde illimitatamente non solo delle obbligazioni future, ma anche di quelle pregresse. Trasformata la società, il socio risponderà illimitatamente di tutte le obbligazioni sociali e non solo di quelle future. Mentre nel passaggio inverso il socio che da responsabilità illimitata diventa socio a responsabilità limitata, per le obbligazioni future non risponde, nel passaggio inverso chi diventa a responsabilità illimitata risponderà anche delle obbligazioni pregresse.

9.5 La trasformazione eterogenea

Accanto alle trasformazione omogenee, c’è la possibilità di effettuare anche trasformazione eterogenee da un’entità non societaria in società di capitali o viceversa, ma sempre con riguardo a società di capitali. Questo non ha una spiegazione logica, se non quella data dal fatto che c’era un problema di rispetto dei limiti della legge delega. La legge delega del 2001 limitava l’ambito di riforma soltanto alla disciplina delle società di capitali non delle società di persone e allora, in ossequio a questo limite segnato dalla delega non è prevista la trasformazione eterogenea da società di persone a enti non societari o viceversa. Ma non c’è una spiegazione che deriva dal sistema o dai principi. Per evitare d’essere accusati d’essere andati oltre i limiti della delega e se ciò fosse avvenuto ci potrebbe essere un ricorso alla Corte costituzionale, il legislatore governativo ha così ritenuto di fissare solo questa possibilità alle società di capitali.

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Efficacia

Diritto di recesso per i soci dissenzienti

Relazione degli amministratori

Responsabilità illimitata anche per le obbligazioni anteriori

Limiti

Trasformazione eterogenea da società di capitali

Art. 2500-septiesTrasformazione eterogenea da società di capitali.

1. Le società disciplinate nei capi V, VI, VII del presente titolo possono trasformarsi in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni.2. Si applica l'articolo 2500-sexies, in quanto compatibile.3. La deliberazione deve essere assunta con il voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto, e comunque con il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata.4. La deliberazione di trasformazione in fondazione produce gli effetti che il capo II del titolo II del Libro primo ricollega all'atto di fondazione o alla volontà del fondatore.

L’art. 2500 septies regola la trasformazione eterogenea da società di capitali (capo V, VI e VIII), le quali possono trasformarsi in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni d’azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni.

Balza agli occhi il fatto che esito della trasformazione è una comunione d’azienda. Tutte le altre entità richiamate sono pur sempre enti che hanno una loro soggettività, piena nel caso di persone giuridiche come le fondazioni, o ridotta quando sono associazioni non riconosciute. Ma sempre un’alterità rispetto a chi ne fa parte. Quando invece si parla di comunione d’azienda si parla di qualcosa priva di qualunque soggettività, la comunione è solo un fatto, una circostanza che un certo bene o un’azienda o un complesso di beni sia di proprietà di una persona. La comunione non ha una soggettività, non ha organi, non ha autonomia patrimoniale, ecc. per essere titolare di rapporti giuridici o di beni immobili o beni mobili registrati, mentre per una comunione non è possibile, la quale si esaurisce solo nei comproprietari.Questo passaggio quindi è anomalo che prevede. Di fatto, per molti il passaggio da società di capitali a comunione d’azienda altro non è che uno scioglimento della società senza liquidazione. Non si liquida il patrimonio per distribuire il residuo fra i soci, ma si mantiene in piedi l’azienda ma di fatto si realizza uno scioglimento della società perché non è che si passa da un ente ad un altro, ma da un ente a un non-ente. Questo è certamente un passaggio anomalo.

Dalla trasformazione di una società di capitali in comunione d’azienda, ne consegue inoltre che ciascun socio diviene comproprietario dei beni aziendali, ed assume nel contempo la responsabilità personale ed illimitata per i debiti, anche se sorti anteriormente alla trasformazione (art. 2500-sexies, c. 4)

Altra cosa curiosa è perché venga collocata qui la trasformazione eterogenea di una società di capitali in una società consortile perché la società consortili hanno i medesimi tipi delle società lucrative. L’art. 2615 ter dove sono disciplinate le società consortili dice semplicemente che il consorzio può assumere la veste di uno qualunque dei tipi sociali previsti dalla legge. Quindi si potrebbe trasformare una spa lucrativa in una spa consortile, ma non viene cambiata vesta o struttura dell’ente, ma lo scopo dell’ente che da scolo lucrativo diventa scopo mutualistico. Quindi anche questo passaggio è anomalo. A mutare non solo le caratteristiche tipologiche dell’ente.

Non è comunque possibile la trasformazione in associazione riconosciuta.

La legge dice che si applica in quanto compatibile l’art. 2500 sexies ossia la disciplina della trasformazione omogenea da società di capitali in società di persone: in molti passaggi ci può essere un problema di cambio della situazione personale del socio.C’è anche una particolarità per quanto riguarda la decisione, la deliberazione deve essere assunta con voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto e, in ogni caso, con il consenso di coloro che sono destinati ad assumere responsabilità illimitata. Si introduce un fatto unico della vita nelle società di capitali, ovvero che una decisione deve essere assunta per teste. Nelle società di capitali le decisioni sono assunte sulla base del peso di capitali che ciascuno ha e nelle società di persone la decisione per teste si realizza solo nel caso di esclusione del socio.

Qui invece ci vuole il voto per teste e si parla di due terzi degli aventi diritto. Il problema è che potrebbe essere possibile addirittura che la decisione potrebbe anche essere assunta anche da una minoranza del capitale.

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Disciplina

La deliberazione

Allora qualcuno ritiene che la maggioranza per testa non sostituisc,a ma si sommi ai quorum necessari per le delibere di assemblea straordinaria e siamo in un’ipotesi di trasformazione. Allora qualcuno dice che ci sono due maggioranze che devono essere calcolate:

1) una maggioranza tipica delle trasformazioni quindi con i quorum previsti per l’assemblea straordinaria (quorum del capitale);

2) e però non basta la maggioranza precedente, ma pure il consenso dei due terzi aventi diritto a votare.

La legge non fa pensare a questa soluzione, ma è quella che più garantisce e tutela.

La legge si preoccupa poi della trasformazione in fondazione perché la fondazione è un ente di natura non associativa, mentre tutti gli altri sono enti associativi (consorzio, associazione non riconosciuta o cooperativa), non ha soci o associati. La fondazione è un patrimonio destinato a un certo scopo. Un personaggio illustre muore e i suoi eredi destinano una somma a costituire una fondazione per svolgere ricerca, ecc. La fondazione avrà un organo dirigente, ma non ci sono assemblee.

La deliberazione di trasformazione in fondazione produce gli effetti che il codice civile ricollega all’atto di fondazione o alla volontà del fondatore. Si segue la regola che “è come se i soci della società decidessero di costituire una fondazione quindi si cancellano come soci e il patrimonio della società andrà a costituire il patrimonio della fondazione, che potrà essere però solo riconosciuta, a seconda del suo raggio d’azione con autorizzazione del Presidente della Repubblica o dal Presidente della Regione.Di fatto quindi la trasformazione da spa a srl in fondazione vorrà dire di fatto cancellazione dell’aspetto associativo della vicenda e destinazione di un patrimonio.

Trasformazione eterogenea in società di capitali

Art. 2500-octiesTrasformazione eterogenea in società di capitali.

1. I consorzi, le società consortili, le comunioni d'azienda, le associazioni riconosciute e le fondazioni possono trasformarsi in una delle società disciplinate nei capi V, VI e VII del presente titolo.2. La deliberazione di trasformazione deve essere assunta, nei consorzi, con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consorziati; nelle comunioni di aziende all'unanimità; nelle società consortili e nelle associazioni con la maggioranza richiesta dalla legge o dall'atto costitutivo per lo scioglimento anticipato.3. La trasformazione di associazioni in società di capitali può essere esclusa dall'atto costitutivo o, per determinate categorie di associazioni, dalla legge; non è comunque ammessa per le associazioni che abbiano ricevuto contributi pubblici oppure liberalità e oblazioni del pubblico. Il capitale sociale della società risultante dalla trasformazione è diviso in parti uguali fra gli associati, salvo diverso accordo tra gli stessi.4. La trasformazione di fondazioni in società di capitali è disposta dall'autorità governativa, su proposta dell'organo competente. Le azioni o quote sono assegnate secondo le disposizioni dell'atto di fondazione o, in mancanza, dell'articolo 31.

L’altro passaggio della trasformazione eterogenea è da un’entità non societaria in una società di capitali. L’art. 2500 opties disciplina questo passaggio.Sono gli stessi enti precedenti in cui si può trasformare una società di capitali, con la differenza però che i consorzi e le società consortili, le comunioni d’azienda, le associazioni riconosciute e le fondazioni possono trasformarsi in società di capitali.

Nella trasformazione eterogenea da società di capitali in un’entità non societaria, invece, per le associazioni si parlava di associazioni non riconosciute, perché mentre le fondazioni devono essere per forza riconosciute, nelle associazioni invece gli associati possono richiedere un riconoscimento successivo all’autorità con effetti sull’autonomia patrimoniale, sulla responsabilità, ecc. ma è evidente che nel momento in cui si trasforma una società di capitali in un associazione, quanto meno in una prima fase è ovvio che la trasformazione è in un associazione non riconosciuta, e la richiesta di riconoscimento avverrà caso mai successivamente. Ciò non è vero per le fondazioni, perché per queste bisogna aspettare il riconoscimento perché la trasformazione possa avere effetto.Nel passaggio inverso, la legge parla invece di trasformazione solo delle associazioni riconosciute e si dice che si spiegherebbe nel fatto che le associazioni non riconosciute non potrebbero trasformarsi in società di capitali perché mancherebbero gli strumenti pubblicitari (negativi, di cancellazione) cui ancorare la tutela dei terzi. Perché se l’associazione è riconosciuta è iscritta in un

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Trasformazione in fondazione

Enti coinvolti

Esclusione per le associazioni non riconosciute

apposito registro e i terzi sono in grado di conoscere il passaggio. Nel caso invece si ipotizzasse una trasformazione in un’associazione non riconosciuta e quindi non iscritta, essa non sarebbe legittima.

Accanto a queste trasformazioni eterogenee disciplinate dall’art. 2500 opties ve ne sono altre seppure settoriali. Ad esempio, nel TUB sono disciplinate all’art. 31 le trasformazioni di banche popolari (cioè cooperative) in società per azioni o fusioni alle quali prendano parte banche popolari. Cioè è un fatto settoriale in un’ulteriore ipotesi.

Il problema è stabilire con quali regole, maggioranze e quorum queste entità non societarie possono decidere la trasformazione in una società di capitali. Si dice che:

1) per quanto riguarda i consorzi, la deliberazione della trasformazione deve essere assunta con voto favorevole della maggioranza assoluta dei consorziati (per teste);

2) nelle comunione d’aziende, all’unanimità, perché la comunione non è un ente, non ha soggettività e quindi non ha una sua struttura organizzazione e non è ipotizzabile un voto a maggioranza del voto d’azienda;

3) nelle società consortili e nelle associazioni con le maggioranze richieste dalla legge o dall’atto costitutivo per lo scioglimento anticipato: non significa comunque che nella trasformazione ci sia lo scioglimento e la nascita di un nuovo soggetto.

4) per le fondazioni, la trasformazione è invece disposta dall’autorità governativa, su proposta dell’organo competente.

Nel caso in cui ci sia la trasformazione di una comunione d’azienda in una società di capitali addirittura più che una trasformazione, nel fatto e nel diritto, c’è una costituzione di una nuova società con un conferimento d’azienda. Uno o più soggetti co-proprietari di un’azienda con questa trasformazione costituiscono una spa o una srl a cui viene conferito l’azienda.

L’atto di trasformazione in società di capitali deve risultare da atto pubblico, e deve contenere le indicazioni previste dalla legge per l’atto di costituzione del tipo adottato (art. 2500, c. 1). In particolare, dovrà contenere l’enunciazione dello scopo lucrativo (o consortile), salvo che la società risultante dalla trasformazione abbia i requisiti per essere qualificata “impresa sociale”.

La trasformazione di associazioni in società di capitali può essere esclusa dall’atto costitutivo o per determinate categorie di associazioni previste dalla legge.E, ancora, la trasformazione in società di capitali, non è comunque ammessa per le associazioni riconosciute, ma non è ammessa per quelle associazioni che abbiano ricevuto contributi pubblici o di liberalità o oblazioni dal pubblico o goduto di agevolazioni fiscali (art. 2500-octies, c. 3). E’ evidente che se viene costituita un’associazione con finanziamenti e donazioni e raccolta una massa di soldi per poi trasformarsi una società per azioni e distribuire dividendi!In questo caso, il capitale da determinarsi dalla società risultante dalla trasformazione è diviso in parti uguali fra gli associati, salvo diverso accordo fra gli stessi. Questo perchè nell’associazione non c’è una divisione del patrimonio fra le parti, gli associati sono l’uno uguali agli altri. Però con la trasformazione se 100 sono gli associati, ogni associati avrà una quota di un centesimo.

Per le fondazioni, c’è il problema che la trasformazione è disposta dall’autorità su proposta dell’organo competente e le azioni o le quote frutto della trasformazione sono assegnate secondo le disposizioni dell’atto di fondazione o in mancanza dall’art. 31. E’ il caso di un ente riconosciuto dall’autorità governativa o da una regione e la trasformazione deve essere decisa dall’autorità governativa che ha riconosciuto la fondazione, su proposta dell’organo direttivo della fondazione, normalmente un Consiglio di amministrazione.Però c’è un problema di a chi dare le quote o le azioni, la fondazione infatti non è un ente associativo. La legge dice allora che quando si scioglie una fondazione (art. 31), il patrimonio della fondazione deve essere assegnato ad enti che svolgano attività analoghe a quelle della fondazione. Se la fondazione si trasforma in spa, le azioni saranno assegnati ad enti o fondazioni che svolgono attività simili.

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La deliberazione

Divieti ed esclusioni alla trasformazione

Trasformazione delle fondazioni

Art. 2500-noniesOpposizione dei creditori.

1. In deroga a quanto disposto dal terzo comma dell'articolo 2500, la trasformazione eterogenea ha effetto dopo sessanta giorni dall'ultimo degli adempimenti pubblicitari previsti dallo stesso articolo, salvo che consti il consenso dei creditori o il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso.2. I creditori possono, nel suddetto termine di sessanta giorni, fare opposizione. Si applica in tal caso l'ultimo comma dell'articolo 2445.

di trasformazione è soggetto sia alla pubblicità richiesta per la cessazione dell’ente che effettua la trasformazione, sia della pubblicità richiesta per la costituzione dell’ente o del tipo societario adottato: ad esempio, la trasformazione da associazione riconosciuta a società per azioni deve essere iscritta nel registro delle persone giuridiche e nel registro delle imprese (art. 2500, c. 2)

Ancora, ultima norma della disciplina della trasformazione, l’art. 2500 novies, si dispone che in deroga a quanto disposto dal terzo comma dell’art. 2500, cioè che la trasformazione ha effetto dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari, la trasformazione eterogenea ha effetto dopo 60 giorni dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari previsti, salvo che consti il consenso dei creditori o il pagamento dei creditori che non abbiano dato il consenso.E continua al secondo comma, i creditori possono, nel suddetto termine di sessanta giorni, fare opposizione. Si applica in tal caso l'ultimo comma dell'articolo 2445.

Potrebbe sorgere un problema di tutela di creditori della società di capitali o dell’ente diverso: c’è il diritto ai creditori di opporsi alla trasformazione: non è lo stesso meccanismo per la trasformazione da società di persone in società di capitali dove l’opposizione vale solo a mantenere la responsabilità illimitata, ma qui è tecnicamente un’opposizione alla trasformazione e per liberarsi da questa o si pagano i creditori dissenzienti o questi danno il consenso.L’ultimo comma dell’art. 2445 si applica in caso di opposizione, che riguarda la riduzione effettiva del capitale sociale in una spa. Il tribunale investito dell’opposizione di uno o più creditori quando ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori o la società abbia prestato idonea garanzia dispone abbia luogo, dispone che l’operazione abbia luogo nonostante l’opposizione.Ma se la società opponente non dà idonea garanzia o il tribunale ritiene sia fondato il pericolo di pregiudizio, i creditori possono bloccare l’operazione di trasformazione ed è una vera e propria opposizione in senso tecnico.

Ultimo problema è disciplina in tema di società cooperativa è quello in cui nella trasformazione siano coinvolte società cooperative.Siamo sempre in ambito di trasformazione eterogenea e all’art. 2545 decies prevede proprio la trasformazione di società cooperative.

Art. 2545-deciesTrasformazione.

1. Le società cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente possono deliberare, con il voto favorevole di almeno la metà dei soci della cooperativa, la trasformazione in una società del tipo previsto dal titolo V, capi II, III, IV, V, VI e VII, o in consorzio.2. Quando i soci sono meno di cinquanta, la deliberazione deve essere approvata con il voto favorevole dei due terzi di essi. Quando i soci sono più di diecimila, l'atto costitutivo può prevedere che la trasformazione sia deliberata con il voto favorevole dei due terzi dei votanti se all'assemblea sono presenti, personalmente o per delega, almeno il venti per cento dei soci.3. All'esito della trasformazione gli strumenti finanziari con diritto di voto sono convertiti in partecipazioni ordinarie, conservando gli eventuali privilegi.

Bisogna prima fare una distinzione per cui l’art. 2545 septies dice che è possibile la trasformazione in cooperativa ma solo di società di capitali ed è comunque una trasformazione considerata eterogenea. Invece, come dice il decies è sempre vietata la trasformazione per le cooperative a mutualità prevalente, solo quelle diverse da quelle a mutualità prevalente possono trasformarsi in una società lucrativa.Con la riforma le cooperative sono state divise in:- società cooperative a mutualità prevalente;- società cooperative a mutualità non prevalente, quelle in cui c’è un elemento capitalistico che

tende a prevalere sull’elemento mutualistico.

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Opposizione dei creditori

Pubblicità dell’atto di trasformazione

La trasformazione in o verso società cooperative

Quelle a mutualità prevalente non possono trasformarsi in società cooperative. Alle altre, quelle a mutualità non prevalente, è consentita la trasformazione in società lucrative ma con precise regole: con determinati quorum, se la società ha meno di 50 soci ci vuole la maggioranza dei due terzi; se i soci sono più di 10.000 l’atto costitutivo può prevedere una delibera con voto favorevole dei due terzi dei votanti, quando sia almeno presente il 20% dei soci.La regola è che le società a mutualità prevalente hanno il divieto di trasformarsi in società lucrative, quelle a mutualità non prevalente possono farlo ma solo con determinati quorum previsti dall’art. 2545 decies.

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