Parte prima: 9 domande - Michele Faggion · di prezzi che vengono detti prezzi o tariffe non...

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Parte prima: 9 domande 10-11: Cap 2 11-12: Cap 2 13-14: Cap 3 14-15: Cap 4 15-16: Cap 4 16-17: Cap 4 17-18: Cap 4 18-19: Cap 6 Cap 2: 2 d Cap 3: 2 d Cap 4: 4 d Cap 5: nessuna d Cap 6: 1 d Seconda parte Cap 1: nessuna d Cap 2: 1 d Cap 3: 1 d Cap 4: 1 d 1

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Parte prima: 9 domande

10-11: Cap 211-12: Cap 2

13-14: Cap 314-15: Cap 415-16: Cap 416-17: Cap 417-18: Cap 418-19: Cap 6

Cap 2: 2 dCap 3: 2 dCap 4: 4 dCap 5: nessuna dCap 6: 1 d

Seconda parte

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Tracce dʼesame

Cap. 2: il monopolio naturale

1) Definite in modo appropriato il concetto di “Monopolio naturale”

La definizione classica di monopolio naturale fornita dalla teoria economica è “un mercato nel quale il numero ottimale di imprese è uguale a uno”. Il monopolio è una situazione in cui unʼimpresa si trova a dover sostenere elevati costi fissi (spesso costi detti irrecuperabili o sunk cost ovvero costi che non possono essere recuperati in altro modo, in quanto specifici per un determinato uso) derivanti dalle caratteristiche tecnologiche di un settore, come le telecomunicazioni o il settore dellʼenergia elettrica.La presenza del monopolio in un mercato si associa spesso alla presenza di rendimenti di scala crescenti o ad economie di scala. In determinati settori sono riscontrabili quindi costi medi decrescenti, direttamente associati alle caratteristiche della tecnologia produttiva di unʼimpresa nella quale, data lʼipotesi di pressi costanti dei fattori, si realizza una riduzione del costo medio unitario del bene prodotto al crescere del suo livello di produzione.

Dallʼanalisi grafica di un monopolio, si può verificare che questʼultimo, avendo lʼobiettivo di massimizzare i profitti, sceglierà di produrre al livello ym a cui corrisponde il prezzo pm, ovvero il monopolista fissa il prezzo Pm dove la curva di ricavo marginale interseca la curv a di costo marginale.A questo prezzo però il prezzo è superiore al costo marginale e si realizza quindi unʼinefficienza allocativa ovvero una perdita di benessere sociale. In altre parole, il monopolio è un caso di fallimento del mercato, in quanto a causa delle caratteristiche tecnologiche presenti in un dato settore, lʼoperare delle forze di mercato non consente di raggiungere, contemporaneamente, lʼefficienza produttiva e lʼefficienza allocativa.Infatti, lʼefficienza allocativa si raggiungerebbe (come nei mercati concorrenziali) se il monopolista fissasse il prezzo pari al costo marginale (situazione di first best): in tale situazione i consumatori disporrebbero di una quantità superiore ad un prezzo inferiore di prodotto rispetto alla situazione di monopolio, traendone il benessere massimo.Ma tale prezzo (=CM) è inferiore al costo medio e lʼimpressa subirebbe delle perdite, in quanto non riuscirebbe ad ottenere un volume di ricavi tale da coprire i costi fissi.(Soluzione alternativa si second best si realizzerebbe se fosse fissato un prezzo sulla funzione di domanda pari al costo medio, riuscendo così a coprire i costi fissi).

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Il Monopolio NaturaleDEF: Si definisce come monopolio naturale un mercato nel quale il numero ottimale di imprese èuno.

Solitamente, l’esistenza del monopolio naturale viene giustificata con la presenza di rendimenti di scala crescenti (o economie di scala).

Es: C(y) = F + m*y AC(y) = C(y)/y = F/y + m

Costi medi decrecenti

Inefficienza del monopolio, potere di mercato, perdita di benessere sociale, first best e second best

NOTA: economie di scala sono condizione sufficiente ma non necessaria per avere un MN

Un impresa è detta MN se, in corrispondenza dell’intervallo rilevante di produzione, la sua funzione di costo è SUBADDITIVA

A) il caso di impresa monoprodotto

il costo di produrre con un’unica impresa il vettore Y è inferiore al costo di produzione complessivo che si avrebbe considerando una qualsiasi suddivisione del vettore stesso tra un numero K diimprese/impianti distinti.NOTA: la presenza SB dipende da caratteristiche della tecnologia, ma anche dalle dimensioni della domanda.

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FIG 3.2. Subadditività ed economie di scala

Negli ultimi ventʼanni però il concetto di monopolio naturale è stato rielaborato, grazie a nuovi spunti teorici che hanno portato ad una nuova definizione di monopolio naturale basata sul concetto di subaddititivà dei costi.La definizione data da Baumol, Panzar e Willig (1982) è “unʼindustria è detta monopolio se, in corrispondenza dellʼintervallo di produzione (o produzioni rilevanti), la funzione di costo dellʼimpresa è subadditiva”.Ciò significa che unʼunica impresa può soddisfare la domanda di mercato al costo più basso, e quindi in modo più economico, rispetto alla situazione in cui vi fossero più imprese; ovvero data la funzione di domanda e lʼandamento dei costi, una sola impresa può fornire il mercato, senza subire perdite, sostenendo un costo più basso di quello che dovrebbe essere sostenuto qualora ci fossero più imprese che operano sul mercato.Eʼ tuttavia vero che la subadditività della funzione di costi dipende, oltre che dalle caratteristiche della tecnologia, anche dalla dimensione della domanda di mercato, e da un analisi del modello degli autori, si può sostenere che il livello di domanda è essenziale per decidere se unʼindustria e subadditiva, perchè definisce lʼintervallo rilevante di produzione.

Nel caso in cui, come si vede dal grafico, la domanda fosse più alta, potrebbe essere più desiderabile far produrre a due imprese e la funzione di costo non sarebbe subadditiva.In definitiva si può dedurre che economie di scala sono condizione sufficiente ma non necessaria allʼesistenza di un monopolio naturale.

Nel caso di unʼimpresa multi-prodotto (tipica del settore delle comunicazioni), il risultato ottenuto da allʼanalisi appena fatta è pressoché identico, se non che è utile sottolineare la presenza di economie di varietà o di differenziazione.

2) Eʼ sempre necessario regolare un monopolio naturale? Possono esistere situazioni in cui il monopolio si autoregolamenta? Discutete.

Una strada per correggere il “fallimento del mercato” derivante dalla presenza di un monopolio può essere data dallʼintervento (di public policy) di un regolatore sulla struttura di mercato. Tuttavia, secondo alcuni autori, sarebbe possibile che il monopolio “si autoregolamenti” ossia che si realizzino dei meccanismi di mercato che prevengano il monopolio dallʼesercitare un potere di mercato”. Secondo questa visione si possono identificare due teorie: la Congettura di Coase e la Teoria dei mercati contendibili.In base a queste teorie, anche in contesto di monopolio, è possibile giungere a un prezzo ottimo vicino a quello di first best.

Secondo la congettura di Coase, un monopolista produttore di un bene durevole (si acquista oggi e si consuma nel tempo) può essere indotto a fissare un prezzo uguale o

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Il Monopolio NaturaleDEF: Si definisce come monopolio naturale un mercato nel quale il numero ottimale di imprese èuno.

Solitamente, l’esistenza del monopolio naturale viene giustificata con la presenza di rendimenti di scala crescenti (o economie di scala).

Es: C(y) = F + m*y AC(y) = C(y)/y = F/y + m

Costi medi decrecenti

Inefficienza del monopolio, potere di mercato, perdita di benessere sociale, first best e second best

NOTA: economie di scala sono condizione sufficiente ma non necessaria per avere un MN

Un impresa è detta MN se, in corrispondenza dell’intervallo rilevante di produzione, la sua funzione di costo è SUBADDITIVA

A) il caso di impresa monoprodotto

il costo di produrre con un’unica impresa il vettore Y è inferiore al costo di produzione complessivo che si avrebbe considerando una qualsiasi suddivisione del vettore stesso tra un numero K diimprese/impianti distinti.NOTA: la presenza SB dipende da caratteristiche della tecnologia, ma anche dalle dimensioni della domanda.

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FIG 3.2. Subadditività ed economie di scala

molto vicino al costo marginale. Questo nellʼipotesi in cui il monopolista segmenti il mercato fra coloro che presentano unʼelevata disponibilità a pagare (per questi sarà fissato un prezzo alto) e altri una disponibilità a pagare più bassa (con prezzo più basso).I consumatori con elevata WTP però potrebbero aspettare “domani” per acquistare il prodotto, ipotizzando che lʼimpresa abbasserà il prezzo (p=CM) per smaltire le scorte: se i consumatori “anticipano” la mossa dellʼimpresa non acquisteranno ad un prezzo > MC.Il monopolista risulta così danneggiato dalla sua scelta e, di conseguenza, è indotto ad abbassare il prezzo anche “oggi” vicino al CM: in tal modo il monopolio si “autoregolamenta” e non sarebbe necessario un intervento regolatorio.Lʼunico problema che si presenta è che la teoria può essere corretta per i beni durevoli, ma non per i servizi.Inoltre, ove fosse lecito, lʼimpresa potrebbe impegnarsi “contrattualmente” a non abbassare il prezzo in entrambi i periodi “oggi e domani”, evitando il problema di perdere il proprio potere di mercato.

Lʼaltra Teoria ritrovabile è quella dei mercati contendibili. Tale teoria è da ascriversi alla Scuola di Chicaco (ʼ80) secondo la quale, basterebbe una minaccia della concorrenza o la concorrenza potenziale da parte di unʼaltra impresa ad indurre il monopolista a non esercitare il suo potere di mercato ed applicare un prezzo di second best, ottenendo risultati socialmente desiderabili (senza alcun intervento regolatorio).

Tale teoria si basa sulle seguenti ipotesi:1) la presenza di una minaccia allʼingresso;2) lʼassenza di costi dʼentrata irrecuperabili (sunk cost) ovvero connessi ad investimenti

che non possono trovare eventualmente alcun impiego alternativo, e quindi la possibilità per le altre imprese ad impiegare la strategia di “entrata-uscita”;

3) la credibilità della minaccia allʼentrata;4) la capacità dei consumatori di poter reagire istantaneamente alle variazioni di prezzo,

permettendo allʼentrante di realizzare un margine di profitto subito.5) il monopolista è lento a reagire, è poco flessibile a mutare i prezzi applicati rispetto

allʼentrante.

Sotto queste ipotesi, lʼincumbent non può praticare un prezzo superiore a AC, perchè unʼaltra impresa potrebbe entrare, offrire la stessa quantità a prezzi più alti e fare comunque profitti, prima che lʼincumbent abbia il tempo di reagire (concorrenza hit and run).

Il prezzo che lʼimpresa è indotta a fissare è detto sostenibile proprio perchè le permette di non subire perdite e di soddisfare lʼintera domanda di mercato, impedendo contemporaneamente ai concorrenti di entrare perchè se questi definissero prezzi inferiori, subirebbero delle perdite.

Vi sono dei problemi presenti in questa teoria:- il monopolista potrebbe reagire subito allʼintresso;- lʼassenza di sunk cost è spesso ipotesi realistica, in quanto lʼentrante spesso deve

riconoscere costi irrecuperabili. Tuttavia, ad esempio, servizi di pubblica utilità tradizionalmente organizzati in forma di monopoli verticalmente integrali, presentano infatti significativi sunk costs nei segmenti di business connessi allʼuso delle infrastrutture; in altri segmenti però connessi alla fornitura del servizio, i costi irrecuperabili sono meno rilevanti o del tutto assenti. Di conseguenza, ogni intervento destinato a superare le diverse fasi di produzione e fornitura del servizio produce maggior contendibilità.

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Inoltre, recenti modelli di economia industriale mostrano che la possibilità che le imprese possano entrare liberamente in un mercato non è sufficiente a far diminuire lo stesso, ovvero la minaccia stand alone non è credibile.

Infine, si può sostenere che a seconda delle caratteristiche di un mercato, la minaccia potrebbe essere concreta e credibile in modo da indurre il monopolista ad applicare un prezzo di second best (ad esempio, nel mercato dei trasporti pubblici su gomma come gli autobus o il settore farmaceutico).

Cap. 3: la teoria della regolazione

3) Che cosa sʼintende per tariffe non lineari? Eʼ vero che rispetto ai prezzi lineari, una regolazione dei prezzi con tariffe non lineari è Pareto-efficiente?

Per raggiungere lʼobiettivo della massimizzazione del surplus dei consumatori, mantenendo lʼequilibrio finanziario dellʼimpresa (senza danneggiare alcune categorie di consumatori come accade con i prezzi di Ramsey la cui discriminazione sulla base dellʼelasticità delle domande, danneggiando i consumatori a domanda rigida con un prezzo più alto, individui tipicamente a basso reddito) è socialmente opportuno discriminare i consumatori in base ai loro livelli di consumo.La non proporzionalità fra la quantità acquistata e il prezzo medio dà il nome a questi tipi di prezzi che vengono detti prezzi o tariffe non lineari (o tariffe a più parti).Il caso più semplice è rappresentato da una tariffa in due parti o binomia, composta da una parte fissa e da una variabile (a seconda della quantità acquistata).Lʼandamento della spesa media o del prezzo medio per unità acquistate è continuamente decrescente allʼaumentare delle unità acquistate.

Nelle tariffe a più parti (multipartI) la forma della funzione di spesa del consumatore (ad esempio a tre parti) è:

Nella figura b, la spesa marginale inoltre assume un andamento tipico, per cui la tariffa viene definita a blocchi: intervalli di consumo ove il prezzo viene mantenuto costante.Questa differenziazione consente di introdurre la distinzione fra prezzo marginale (riferito alle unità che appartengono allʼ”ultimo blocco”) e prezzo inframarginale, riferito a tutti i blocchi che lo precedono. e rappresenta la parte fissa.Spesso infatti si osservano, come nel settore dellʼenergia elettrica, tariffe multiparti o a scaglioni. Oppure si osservano blocchi crescenti: più aumenta il consumo, più aumenta il prezzo (è un incentivo a non sovrautilizzare le risorse scarse).

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Unʼaltra configurazione tipica:E = e + m*y

e rappresenta la parte fissa (utile a coprire i costi fissi dellʼimpresa), mentre m la parte variabile pari al costo marginale.

Le tariffe non lineari aumentano il benessere. Panzar (1977) e Willig (1978) dimostrano che partendo da una tariffa lineare fissata ad un livello superiore al costo marginale per consentire ad un monopolista di non produrre in perdita, è possibile definire una tariffa binomia, che consente ad alcuni consumatori di trarre dei vantaggi, senza danneggiare nessun altro e garantendo lʼequilibrio finanziario dellʼimpresa.Ad esempio, considerando che alla tariffa applicata p1, superiore al costo marginale MC, ciascun consumatore acquista la quantità massima y1.Se viene introdotto un prezzo inferiore al precedente, y2, ma sempre superiore al costo marginale p1>p2>MC, altri consumatori passeranno a livelli di consumo superiori a y1, acquistando le unità aggiuntive ad un prezzo inferiore, mentre gli altri manterranno i livelli di consumo scelti in precedenza.In definitiva, la nuova tariffa non danneggia alcun consumatore, avvantaggia quelli che acquistano delle unità aggiuntive e consente allʼimpresa di aumentare i propri ricavi.La tariffa quindi è Pareto-efficiente, in quanto non danneggia nessuno, ma fa star meglio qualcun altro.

Continuando lʼanalisi, lʼintroduzione di una tariffa bionomia con una quota dʼaccesso F/2 fissata in modo tale da coprire i costi fissi, e un prezzo unitario o dʼuso pari al costo marginale porterebbe allʼeliminazione delle perdite secche e allʼespansione dei consumi fino ai livelli y1A e y2B.

Il problema che può emergere è legato al fatto che il consumatore con livelli di domanda inferiori può trovare troppo onerosa la quota dʼaccesso ed uscire dal mercato.Ciò avverrà certamente quanto la quota dʼaccesso per un consumatore risulti superiore alla somma di tutto il suo surplus (somma delle aree a,b,c). Ossia quando F/2 > a+b+c.Si precisa quindi che:- il prezzo unitario influenza quanto consumare;- il canone fissa influenza se consumare.

Di conseguenza, risulta opportuno non praticare tariffe con la stessa parte fissa e parte variabile, e bilanciare gli elementi delle tariffe con menù di opzioni tariffarie. Il consumatore sarà così indotto a rivelare le proprie preferenze e ad autoselezionarsi.

I prezzi non lineari ottimali

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Poichè la tariffa può essere, scelta nessun consumatore sarà danneggiato e sceglierà la seconda tariffa solo se il suo livello di consumi supera y* che è il livello in corrispondenza del quale il volume di spesa per il consumatore è identico per entrambe le tariffe.Allʼaumentare del numero di tariffe, si realizzerà un miglioramento paretiano poichè la terza categoria di consumatori (con livelli di consumi più alti di tutti), può scegliere di passare ad una nuova tariffa, con un prezzo dʼaccesso più elevato, ma con un prezzo dʼuso superiore a quello precedente.Si deduce quindi che una tariffa n+1 parti è sempre più efficiente che una tariffa n parti, in quanto comporta ad un aumento del benessere. Lʼanalisi condotta ci porta così a dire che lʼaumento della varietà dellʼofferta tariffaria comporta un aumento del benessere per la collettività.

In sintesi si può dire che:a) lʼintroduzione di tariffe non uniformi consente lʼequilibrio finanziario dellʼimpresa e di

migliorare il benessere dei consumatori;b) lʼofferta di un menù tariffario n+1 tariffe binomie comporta miglioramenti di benessere

rispetto ad un menù n parti perchè permette ai consumatori di scegliere liberamente le tariffe più aderenti alle proprie esigenze.

Vale la pena ricordare, infine, che tale forma di discriminazione potrebbe configurarsi, come accade in Italia, come una situazione di abuso di posizione dominante da parte dellʼantitrust, quindi vietata.

4) Che cosa sʼintende per “prezzi di picco”? In presenza di una funzione di produzione caratterizzata da uso di input in proporzioni fisse, mostrate in che modo il costo della capacità si ripartisce fra domanda di picco e fuori picco. Evidenziate il caso detto di “shifting peak”.

Molti settori infrastrutturali sono caratterizzati da fluttuazioni periodiche della domanda, tuttavia le caratteristiche dellʼofferta non consentono di immagazzinare i servizi da fornire ai consumatori, anche ne momenti di domanda più elevata detti “di picco”.Il problema consta dunque nel predisporre la capacità degli impianti in modo da soddisfare la domanda di picco: tuttavia, ciò implica che nei periodi “fuori picco” (quando la domanda è inferiore) vi sarà una capacità produttiva non utilizzata. Sorge il problema di come ripartire il costo della capacità.In tale circostanze, lʼintroduzione di prezzi diversi, più alti per la fornitura nei periodi di picco e più bassi nei periodi fuori picco, si configura come una scelta ottimale per lʼimpresa. Intuitivamente, scoraggiando la domanda nei periodi di picco e favorendo quella fuori picco, si consegue un miglior utilizzo degli impianti. Inoltre lʼimpresa è indotta a compiere delle scelte ottimali anche in termini di dimensione della capacità produttiva.

Il punto cruciale è che unʼunica struttura produttiva deve servire i consumatori in entrambi i periodi e il problema diventa attribuire una quota di costo dellʼimpianto agli utilizzatori nei diversi intervalli di tempo.

Tale situazione può essere rappresentata dalla funzione di Leontief (o a proporzioni fisse), ovvero che richiede la produzione di due fattori, in pratica, senza un minimo di capacità k, per quanto venga utilizzato un altro fattore x, la produzione non può essere aumentata.Eʼ una funzione di produzione che richiede lʼimpiego di fattori in proporzioni fisse e comporta due costi:

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a) costo unitario costante per unità di capacità produttiva, Beta (indipendente dalla capacità richiesta);

b) costo variabile unitario, b, legato allʼeffettiva fornitura del servizio. Viene inoltre fissato un prezzo di picco più alto, e quello fuori picco più basso.Dallʼanalisi del grafico, si evince che la soluzione è che i prezzi di picco coprono integralmente i costi della capacità produttiva, mentre i prezzi fuori picco sono uguali ai costi variabiliI: il risultato conseguito è ottimale e si giunge alla soluzione si second best.

Se fosse applicato un prezzo uniforme fra i due intervalli di tempo si realizzerebbe unʼinefficienza sia allocativa che produttiva:1) si determinerebbe una riduzione della domanda fuori picco2) e si incoraggerebbe una domanda di picco con necessità di ampliare ulteriormente la

capacità produttiva, superiore a quella ottima.In tal caso, inoltre, la collettività subirebbe due perdite secche:a) la prima perdita è associata alla domanda di picco in quanto i consumatori

domanderebbero di più, ma la domanda non sarebbe soddisfatta: inoltre i consumatori non contribuiscono a sufficienza ai costi che generano;

b) la seconda legata alla domanda fuori picco: i consumatori domandano una quantità che non comporta un utilizzo ottimo dellʼimpianto e contribuiscono in maniera superiore ai costi che generano, subendo una perdita di benessere sociale.

In generale, quindi, la discriminazione di prezzo è efficiente anche dal punto di vista sociale.

I risultati del modello sopra non sono più validi in presenza di due nuove ipotesi:1) la continua sostituibilità tra i fattori della funzione di domanda;2) le funzioni di domanda dei due intervalli non siano indipendenti o che siano molto

prossime fra loro e il periodo di picco possa spostarsi.Inoltre, altro problema del modello, è che potrebbe non esserci la perfetta complementarità dei beni fra le due domande. Oltre a questo, se le domande fossero endogene, si realizzerebbe il fenomeno dello shifting peak: la domanda di picco non resta fissa in un periodo, ma si sposta in un altro.

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Graficamente:

Es: b=0 - se p2=0 e p1= y1*<y2* NOTA: - 2 diviene periodo di picco!

- costo di capacità coperto solo fino a y1*

Se si applica alla domanda di picco il prezzo p=Beta e alla domanda fuori picco p=0, si individuano le quantità y1 e y. La soluzione che si otterrebbe in tal caso non sarebbe soddisfacente, in quanto la quantità del periodo fuori picco supera quella di picco e pertanto la dimensione dellʼimpianto risulta determinata dalla domanda di picco. I costi di capacità sono però sostenuti dalla domanda di picco, anche se soltanto per la parte domandata (inferiore a quella totale), e quindi non risulterebbero coperti.La soluzione corretta risulta si ottiene analizzando la domanda aggregata. Questa consente di individuare il livello massimo di produzione y0 uguale in entrambi i periodi. Una volta definiti i livelli produttivi ottimali (in entrambi i periodi viene domandata la stessa quantità) e conoscendo le funzioni di domanda, è possibile ricavare i prezzi p1 e p2 (entrambi maggiori del MC). In questo caso, anche i prezzi fuori picco concorrono a coprire i costi di capacità.

Cap. 4-5: la regolazione dinamica dei prezzi e i suoi aspetti applicativi

5) Ricorrendo anche ad appropriati strumenti teorici, si descriva la regolazione “Rate of Return”. Come viene implementato nella realtà questo meccanismo di regolazione? Cosa si intende per “effetto Averch-Johnson”?

La regolazione “Rate of Return” (o tasso di rendimento del capitale) è una forma di regolazione risalente agli anni ʼ80 e si basa sul regolatore visto come “watch dog” e sullʼidea che vi fosse la necessità di limitare il potere di mercato dellʼimpresa regolata (tipicamente un monopolio), ponendo un vincolo indiretto sui profitti, mediante lʼapplicazione di un limite al tasso di rendimento sul capitale produttivo per lʼattività investita.Il regolatore fissa cioè un limite alla remunerazione per unità di capitale, calcolata come differenza dei ricavi complessivi e costo (remunerazione) del lavoro, divisa per il numero di unità di capitale (K).Si pone dunque un problema di massimizzazione dei profitti, imponendo un vincolo sul rendimento del capitale: si limitano di fatto di profitti dellʼimpresa.

Il regolatore fissa un limite alla remunerazione per unità di capitale calcolata come differenza tra ricavi complessivi e remunerazione del lavoro, divisa per il numero delle unità di capitale utilizzate

Il problema di Massimizzazione:

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Infatti: il vincolo può essere riscritto

Se sul mercato K ottiene una remunerazione al tasso r = 5%, se sviene fissato al 7%,

l’impresa vedrà ammettere profitti pari al 2% del capitale. Se investe cento milioni potrà fare profitti per due milioni

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La regolazione non interviene sui prezzi, lascia allʼimpresa libertà di fissare i prezzi, con il vincolo della remunerazione media massima sul capitale investito. Il parametro regolatorio è s.Questa regolazione non è più in uso in quanto distorce le scelte dellʼimpresa e produce inefficienza produttiva ed allocativa. Se lʼobiettivo del regolatore era stimolare gli investimenti dellʼimpresa (e quindi lʼefficienza produttiva), il risultato è invece la produzione dellʼeffetto opposto ossia lʼottenimento di inefficienza sia produttiva che allocative.

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I problemi della regolazione RoR (Averch & Johnson, 62)

Distorce le scelte dell’impresa e produce inefficienza produttiva e allocativa

In equilibrio, impresa usa (L ,K) tali che:

Senza vincolo:

Da cui si vede che per s>r:

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Al punto E viene massimizzata lʼefficienza produttiva ove il rapporto fra lʼutilità marginale dei fattori produttivi (incontro fra isoquanto e isoprofitto) è uguale al rapporto fra i prezzi.Nella regolazione RoR, in assenza di vincolo lʼimpresa ottimizza il rapporto a -w/r. Con il vincolo è tuttavia possibile dimostrare che, poichè il regolatore permette una remunerazione di K maggiore del costo di mercato, lʼimpresa è indotta ad utilizzare più capitale e meno lavoro rispetto al mix di input che utilizzerebbe se fosse svincolata, per tenere per se maggiori profitti; ossia le sue scelte produttive vengono distorte rispetto alla combinazione di fattori efficiente. Tale fenomeno viene detto effetto Averch/Johnson o sovracapitalizzazione dellʼimpresa. Inoltre viene generato anche un effetto sociale negativo.Lʼinefficienza è insita in questo meccanismo in quanto il regolatore fissa il tetto al saggio di profitto in modo imperfetto a causa dellʼasimmetria informativa. Sarebbe attuabile se conoscesse la funzione di costo, i tassi di remunerazione di w e K.Lʼimpresa produce così meno input; inoltre i prezzi sul mercato saranno diversi da quelli efficienti (efficienza allocativa che produttiva). Tale forma di regolazione è stata così abbandonata.

Applicazione del RoRNella realtà, la regolazione RoR veniva applicata in modo da consentire allʼimpresa da ottenere una remunerazione al capitale investito tale da indurla a continuare la propria attività, con riferimento ai costi sostenuti dallʼimpresa per fornire un servizio.Il metodo consiste nel definire un volume di ricavi uguale alla somma dei costi sostenuti dallʼimpresa e di unʼ “equa” remunerazione del capitale investito, secondo lʼespressione:

RR = OC + rBIl vincolo viene implementato imponendo un vincolo sui ricavi, detti “ricavi obiettivo”, che non possono superare un certo livello massimo.

Nella prima fase lʼimpresa chiede al Regolatore di rivedere i prezzi, sottoponendogli costi operativi, capitale investito e costo del capitale (degli ultimi 12 mesi, test year). Il regolatore esamina e decide quali costi ed investimenti sono inseriti nel vincolo ad essere recuperati e fissa r. In certe varianti è il regolatore stesso a fissare tariffe che garantiscono un terminato r, altrimenti è lʼimpresa che propone delle tariffe che devono essere approvate dal regolatore.Il regolatore deve quindi affrontare il problema della scelta degli investimenti e dei costi da ritenere ammissibili ad essere recuperati.La scelta degli investimenti ammissibili viene effettuata seguendo due criteri: gli investimenti devono essere used and useful (opportunità ex post dellʼinvestimento ovvero

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Graficamente:

rispetto a E,l’impresa utilizzapiù K e meno L

devono essere in uso) e devono essere il risultato di decisioni di investimento prudenti (prudently incurred). Tendenzialmente i criteri tendono ad includere:- impianti funzionanti, investimenti in scorte e depositi bancari;- tende ad escludere gli investimenti in impianti in costruzione o eccessi di capacità

produttiva.Lʼobiettivo di questi criteri è limitare lʼeffetto Averch-Johnson e ottenere una ripartizione del rischio. Infatti, se tutti gli investimenti fossero inclusi nel computo (opportunità ex ante), lʼintero rischio graverebbe sui consumatori.Eʼ un criterio che sposta parte del rischio dellʼinvestimento verso lʼimpresa.

Nella definizione dei costi di esercizio ammissibili vale il principio dei costi “prudentemente sostenuti”, introdotto per risolvere i problemi legati ad un eventuale gonfiamento e/o inutilità dei costi, come quelli di pubblicità.Infine, il fatto dʼentrare continuamente in contrattazione con lʼimpresa potrebbe indurre il rischio per il regolatore dʼessere “catturato” da questʼultima.

In definitiva, gli aspetti positivi e negativi della regolazione RoR sono:- garantisce ai consumatori che lʼimpresa non percepisca profitti eccessivi;- non assicura adeguati incentivi alla minimizzazione dei costi, perchè la loro riduzione si

traduce in una riduzione dei prezzi e non in un aumento dei profitti;- non fornisce incentivi finanziari allʼintroduzione di nuovi servizi;- lo schema può portare alla sovracapitalizzazione quando il costo del capitale è inferiore

a quello riconosciuto, determinando una distorsione dellʼimpiego dei fattori produttivi.

6) Utilizzando uno schema di analisi unitario, definite formalmente ed economicamente questi termini: “cost-plus”, regolazione “price-cup” e “cost-passthrough”.

Poichè il regolatore non dispone delle competenze necessarie (e nemmeno delle informazioni corrette) per imporre un p=Mc e contemporaneamente operare dei trasferimenti allʼimpresa per coprire i relativi i costi fissi, lʼunica strada percorribile per la regolazione si concentra sui prezzi (detta regolazione con inventivi) con lʼobiettivo dichiarato di indurre lʼimpresa ad operare in maniera più efficiente (obiettivo non raggiungibile dal regolatore in presenza di trasferimenti).

La presenza di asimmetria informativa comporta però un trade off fra efficienza allocativa e produttiva, riscontrabile in due sistemi polari:1) secondo lo schema di regolazione cost-plus (sotto lʼipotesi per cui il regolatore conosce

tecnologia dellʼimpresa e impegno del management), il regolatore può fissare un prezzo pari al costo medio osservato, raggiungendo una situazione di second best e di efficienza allocativa. In questa situazione però lʼimpresa non ha alcun incentivo a ridurre i propri costi e quindi ad aumentare la propria efficienza, e pertanto non viene raggiunta lʼefficienza produttiva. Inoltre tale regime regolatorio presenta elevati costi amministrativi (adatto per questo a settori più evoluti). Lʼimpresa riesce si a coprire i costi sostenuti e ad ottenere una remunerazione adeguata del capitale investito, ma non viene perseguito lʼobiettivo dellʼefficienza produttiva.

2) viceversa, secondo lo schema di regolazione di tipo price cup, il regolatore fissa un prezzo ad un livello prefissato (un “tetto”), che è indipendente dal costo osservato, ma che può essere connesso a un livello di costo atteso ed eventualmente modificato nel tempo per tenere conto di spinte inflazionistiche e mutamenti della tecnologia. Il “price cup” è quindi esogeno. Tale presso fissato costituisce un incentivo per lʼimpresa a

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ridurre i costi, perchè diventa beneficiaria in via residuale delle riduzioni di costo effettuata e raggiunge perciò lʼefficienza produttiva (e tecnologica). Il risultato di questi comportamenti è però una deviazione di prezzo dai costi che impedisce di raggiungere lʼefficienza allocativa.

Rees e Vickers (1995) hanno combinato questi sistemi di regolazione:p = c + y(C-c)

dove c = AC, C = price cup, y = parametro regolatorio

Ponendo y=0 si ritrova lo schema regolatorio di cost plus dove p=AC, mentre per y=1 si giunge alla situazione di price cup con p = C.Il paramentro y diventa allora espressione del potere incentivante dello schema regolatorio, che è nullo nel caso di cost plus, e massimo nel caso di price cup. Più elevato è y, più elevato è lʼincentivo ad abbattere i costi.

Riformulando lʼespressione precedente:p = (1 - y)c +yC

Il prezzo può a questo punto essere considerato come una media ponderata del costo sostenuto dallʼimpresa e il costo atteso del regolatore.In particolare il fattore (1-y) rappresenta il peso che viene attribuito ai costi sostenuti e viene indicato come cost passthrough o cost sharing. Si tratta di un valore percentuale che esprime lʼammontare del costo trasferito nel prezzo e che viene quindi posto direttamente a carico dei consumatori.

Nella realtà vengono adottare formulazione ibride o intermedie. Tale parametro non dipende solo dal cost sharing, ma anche dal grado di avversione al rischio da parte dellʼimpresa.Unʼimpresa avversa al rischio preferisce (1-y)=1. Così da trasferire aumenti di costo sul prezzo (ovvero sui consumatori), ma anche da non beneficiare di abbattimenti di costo.

7) Si consideri la regolazione “price cup”. Può questa forma di regolazione ricondurre alla regolazione efficiente (Ramsey)?

Il meccanismo di “price cup” consiste nel porre un tetto alla crescita dei prezzi dei servizi prodotti dallʼimpresa vincolandola nel tempo alle variazioni dellʼindice dei prezzi di un paniere di beni e di una grandezza che esprime lʼefficienza produttiva.In termini pratici, il modello consiste nel fissare i prezzi, a un livello predeterminato, e nel definire un meccanismo di adeguamento nel tempo che tenga conto delle spinte inflazionistiche e delle variazioni di produttività dellʼimpresa, ma anche degli esiti microeconomici di tali effetti, che possono portare a variazioni nei prezzi relativi dei singoli servizi offerti dallʼimpresa.Tale modello non prevede che il regolatore, soggetto ad asimmetria informativa, debba disporre di informazioni dettagliate sulla funzione di costo o di domanda dellʼimrpesa.Piuttosto, tale meccanismo regolatorio garantisce allʼimpresa - come incentivo ad un comportamento efficiente - la possibilità di trattenere per sè i guadagni di produttività, la spinge a far variare i prezzi dei prodotti in modo tale da massimizzare il surplus dei consumatori consentendole di non incorrere in perdite.

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Analizzando uno dei tre modelli di price cup, ovvero quello di Rees e Vickers, si può dimostrare che con questo schema regolatorio è possibile raggiungere lʼefficienza allocativa ricondotta ai prezzi di Ramsey.

Secondo questo modello, lʼimpresa multiprodotto sceglie i prezzi in modo da massimizzare i profitti e da soddisfare un vincolo sul prezzo medio ponderato praticato. Lʼimpresa è cioè libera di scegliere i prezzi per ogni prodotto che desidera, rispettando però il vincolo fissato dal regolatore sotto forma di media ponderata dei prezzi.Il regolatore deve affrontare il problema di come fissare questi pesi da assegnare a ciascun prodotto:1) pesi “endogeni”: sono determinati in funzione della quantità prodotta di ciascun servizio

rispetto alla produzione totale. Il vincolo può così essere assimilato ad un ricavo medio che non può eccedere il cup. Ipotesi applicata a Britisch Telecom in Gran Bretagna.

2) pesi “esogeni”: pesi fissi determinati dal regolatore, indipendenti dallʼoutput. Ipotesi preferita rispetto alla precedente; lʼimpresa ha così incentivo ad utilizzare il vincolo a suo vantaggio. Con i pesi esogeni, lʼimpresa è in grado di ottenere lʼefficienza allocativa e inoltre può condurre ai prezzi alla Ramsey, che raggiungono lʼottimalità sociale (massimizzano il benessere dei consumatori, sotto il vincolo di profitti non nulli). Tuttavia cʼè il rischio che lʼimpresa intraprenda strategie anticompetitive e cambiando y è in grado di modificare i pesi a proprio vantaggio (e a danno dei consumatori).

Lʼarea grigia è composta da tutti i prezzi che soddisfano il vincolo. Il vincolo è infatti rappresentato dalla retta, la cui inclinazione è data dal rapporto tra i pesi wi, mentre la distanza dallʼorigine è data dal valore assunto da P.Se come si è detto in precedenza, i pesi sono scelti in modo da essere proporzionali alle quantità domandate dei due beni, la retta che passa per il punto di tangenza della curva di isoprofitto sotto il vincolo Pcup, posto dal regolatore, equivale a massimizzare il benessere dei consumatori, garantendo lʼequilibrio finanziario dellʼimpresa.In definitiva, la ragione per cui questo tipo di controllo dei prezzi con pesi fissi, determinati in tale modo, porta a un risultato di ottimo vincolato è che la soluzione al problema di massimizzazione del profitto, sotto il vincolo del prezzo, viene a coincidere con la soluzione del problema di minimizzare il costo di acquisto del paniere di consumo ai prezzi di Ramsey, dato il vincolo di equilibrio finanziario.Fissando in modo appropriato P (tale che lʼimpresa ha 0 profitti), lʼimpresa viene così indotta a scegliere i prezzi di Ramsey. Tale risultato non è ottenibile con pesi endogeni.Naturalmente sono necessarie parecchie informazioni per fissare i pesi e P in questo modo: il price cup con pesi esogeni rappresenta così un punto di arrivo del modello di regolazione.

Infine, si precisa che lʼimpresa regolata potrebbe aggirare il vincolo, alzando il P dove cʼè ancora monopolio, e abbassandolo dove cʼè concorrenza anche al di sotto dei costi,

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Se wi fissati in proporzione di y(p*i) efficienza

La pendenza del vincolo è la stessa della funzione di surplus valutata in p*

1,p*2

attuando così politiche anti competitive di sussidi incrociati, generando problemi di efficienza. Si potrebbe ovviare a questi problemi con i così detti “sub-cup”.

8) Si consideri la regolazione “price cup”. Quali sono i principali problemi applicativi a cui un regolatore si trova di fonte nella implementazione di questo meccanismo di regolazione.

La regolazione price cup consiste nel porre un tetto (cup) alla crescita annua dei prezzi di un paniere di servizi, per un periodo prefissato, legandola alla variazione dellʼindice dei prezzi e di una grandezza che tiene conto di guadagni futuri di efficienza dellʼimpresa (X).Nellʼesperienza inglese, lʼindice dei prezzi utilizzati è quello dei prezzi al consumo per le famiglie (RPI).Prima di implementare il modello vi sono di problemi da risolvere:- la lunghezza dellʼintervallo di regolazione;- lʼentità dei costi da trasferire direttamente ai consumatori;- lʼopportunità di inserire nel vincolo un indicatore di qualità dei servizi forniti.

1. Quali prodotti o servizi inserire nel vincolo e individuazione di una grandezza che consenta di esprimerli in modo sintetico.

Le strade sono due:a) Eʼ necessario identificare un paniere di servizi, espresso come indice dei prezzi ponderati per le rispettive quote di produzione o di ricavo rispetto alla produzione o ai ricavi totali del periodo.b) Eʼ individuato il ricavo medio, cioè il ricavo totale dei servizi regolativi diviso per la produzione totale. Questa strada garantisce comunque allʼimpresa maggiore flessibilità e la possibilità di accrescere i propri profitti. Inoltre, per evitare effetti redistribuiti per alcune categorie di consumatori, è utile prevedere dei sub-cup. Il regolatore deve però vigilare che lʼimpresa non adotti pratiche anti competitive.

Di solito, vengono esclusi i servizi aperti alla concorrenza per limitare il rischio di comportamento strategico. Inoltre nella pratica il Regolatore preferisce porre qualche limite alla flessibilità tariffaria dellʼimpresa.Il rischio per lʼimpresa è che il limite sia troppo stretto e condizioni le prospettive di crescita e redditività dellʼimpresa regolata; per contro, un vincolo troppo lento rischia di lasciare allʼimpresa eccessivi profitti e vanificare la regolazione.

2. Scegliere lʼindice dei prezziLa forma più utilizzata è il RIP, anche se alcuni ritengono che non dovrebbe essere utilizzato.Lʼindice di prezzi che pare più adeguato è un indice che tenga conto delle variazione di prezzi dei fattori produttivi del servizio fornito dallʼimpresa regolata (però di difficile e costosa costruzione). Altro contro, un indice firm-specific finirebbe per riproporre gli svantaggi in termini di incentivi propri del modello RoR.Per questo nella prassi regolatoria vengono utilizzati indici più generici. In Italia, per i settor di gas ed elettricità, lʼindice utilizzato è quello dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai ed impiegati ISTAT.

3. Il valore di XX è il parametro incentivante che deve essere calcolato in modo da permettere allʼimpresa:

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- di conseguire un ricavo totale che le consenta di coprire i costi operativi;- di generare una remunerazione adeguata al capitale investito;- di fornire un incentivo agli investimenti;

A tal fine, il regolatore deve stimare la domanda prevista dallʼimpresa, i costi operativi e il costo e il valore del capitale investito.

4. Lʼintervallo di regolazioneUn intervallo di regolazione dura solitamente quattro o cinque anni, consente allʼimrpesa di trattenere per se i guadagni di produttività che riesce a realizzare e quindi la incentiva allʼadozione di comportamenti efficienti.Solitamente i guadagni di efficienza sono maggiori allʼinizio dellʼintervallo di regolazione. Questo atteggiamento è legato anche allʼeffetto Ratchet: prevedendo una possibile revisione del cup, lʼimpresa può rallentare il conseguimento dellʼefficienza allʼavvicinasi della nuova revisione.Il Regolatore potrebbe comunque intervenire con revisioni non programmate (prima della scadenza prevista): tuttavia lʼincertezza legata a questo evento può fornire un disincentivo per lʼimpresa a ridurre i costi (e quindi ad essere più efficiente). Se ciò accade spesso, infine, si pone un problema di credibilità del regolatore (aumenta il disincentivo).

5. “Costi passthrought”Il regolatore può modificare la formula del cup per consentire il trasferimento a carico dei consumatori dei costi sui quali lʼimpresa non esercita un controllo diretto e che sono controllabili dal regolatore (costi passthrough).Si parla ad esempio, di combustibile, materie prime, ecc. (caratterizzati da elevati fluttuazioni e livelli di incertezza).

RPI - X + KBisogna però fare attenzione al fatto che se il trasferimento avviene per intero, lʼimpresa finale finisce per trasferire anche il rischio associato alle variazioni di questi costi e non ha alcun incentivo a stipulare contratti più efficienti o ad effettuare nuovi investimenti.Infine, la presenza di un costo passtrough rende in questi casi meno trasparente la formula del price cup e potrebbe vanificarne lʼefficacia.

6. Il livello di qualitàAl fine di contrastare la possibilità che la caduta dei livelli qualitativi vanifichi il controllo sui prezzi, il modello di regolazione può prevedere degli standard qualitativi che devono essere mantenuti da parte dellʼimpresa nella fornitura dei servizi e che se non vengono rispettati danno luogo a forme di compensazione agli utenti.

RPI - X + QViene cioè introdotto un fattore di correzione che rappresenta lʼincremento del prezzo finale concesse alle imprese regolate che introducono miglioramenti qualitativi del servizio offerto, mentre esprime una riduzione del prezzo nel caso in cui si realizzino dei peggioramenti dei livelli qualitativi.

Circa il problema della qualità dei servizi forniti, sono riscontrabili dei problemi: lʼindividuazione di un indice di qualità rilevante (sintetico di caratteristiche elementari ed

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6. La qualità del servizioBassi prezzi possono andare a scapito della qualità:

al controllo sui prezzi spesso sono affiancati obblighi rispetto a standard sulla qualità

Spesso: RPI – X + Q

Q incremento del prezzo finale concesso a chi introduce miglioramenti qualitativi

Nel settore elettrico: Q valutata con

System Average Interruption Duration IndexK: n. interruzioni, Ni: n consumatori coinvolti, Di: durata, Ntot: totale consumatoriAEEG fissa obbiettivo annuale di SAIDI (Q), premiando chi ottiene qualità maggiore (SAIDI più basso)

tot

K

i ii

N

DNSAIDI 1

osservabili); problema di moral hazard da parte dellʼimpresa che potrebbe operare strategicamente; potrebbe infine verificarsi il fenomeno della “regressione verso la media”: è un meccanismo che premia le imprese che partono da una qualità bassa e punisce quelle che partono da una qualità più elevata.Uno strumento utile a tal fine è la carta dei servizi, che obbliga i gestori a pubblicare periodicamente dei panel di indicatori di qualità decisi dal regolatore, oltre che prevedere meccanismi dʼindennizzo dei consumatori nel caso in cui non fossero raggiunti standard di qualità minimi.

Cap. 6: accesso ed interconnessione

9) Quando si parla di “problema dellʼAccesso”? Perchè è un problema rilevante nella pratica regolatoria? Presentare i prezzi di accesso alla Ramsey e la regola ECPR.

In alcuni settori caratterizzati dalla presenza di infrastrutture ed elevati costi fissi, i regolatori hanno provveduto a separare le fasi diversi della filiera:- nella parte caratterizzata da elevati costi fissi e reti o infrastrutture non duplicabili

(essential facility, senza i quali le imprese entranti non possono operare, ne costruirne di alternative) è rimasto il monopolista regolato, incaricato alla gestione e manutenzione della rete e dellʼinfrastruttura e nellʼoffrire lʼaccesso alle imprese a valle; mercato a monte tipicamente con una sola impresa;

- mentre nella parte caratterizzata da costi fissi nulli o non rilevanti, si è creata concorrenza nella fornitura dei servizi stessi; mercato a valle con più imprese;

Inoltre, spesso accade che lo stesso monopolista integrato verticalmente si occupi oltre che della rete, pure della fornitura dei servizi.Tale situazione viene definita di “accesso one-way” (situazione tipica del settore della telefonia fissa o del ferroviario), che si differenzia da quello “two way o interconnessione” in quanto, in questʼultimo caso ciascuna impresa in un mercato oltre che ad offrire lʼaccesso alla propria infrastruttura, deve anche richiede lʼaccesso ad altre infrastrutture (quindi ad altri concorrenti) per poter operare (situazione tipica nel settore della telefonia mobile).

Lʼintervento regolatorio è necessario in caso di accesso one-way ove lʼincumbent, lʼimpresa monopolista che possiede la rete, offra servizi in concorrenza con quelli forniti dai nuovi entranti. In questo caso infatti, la regolazione delle tariffe dʼaccesso garantisce lʼallocazione efficiente delle risorse, impedendo allʼoperatore dominate di fissare condizioni eccessivamente onerose che blocchino lʼentrata di nuovi concorrenti. Lʼobiettivo del Regolatore è fissare tariffe di accesso che massimizzino il benessere sociale.Comunque, anche nel caso two-way è necessaria una politica regolatoria, ove le imprese offrono servizi che presentano un certo grado di differenziazione su reti interconnesse. In questo caso infatti, non è necessario regolare, ma è comunque necessario utilizzare le normative antitrust per impedire agli operatori interconnessi di concludere accordi collusivi, che determino un aumento dei prezzi nei servizi finali.

La differenza fra accesso one way e interconnessione ha importanti conseguenza sulla politica regolatoria: nel caso one way infatti il monopolista ha incentivo ad utilizzare il controllo sullʼinput essenziale (la rete) a fini anticompetivi.Una prima soluzione al problema potrebbe consistere nella separazione del monopolista in due imprese, una a monte, lʼaltra a valle, facilitando il processo di determinazione delle

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tariffe di accesso. Il motivo principale per cui però non si è scelta questa strada è riconducibile alle forti economie verticali che permettono di ottenere guadagni di efficienza.

Negli ultimi decenni si è provveduto in modi diversi a separare la gestione della rete alla fornitura dei servizi (si pensi il decreto Bersani 79/1999 sulla creazione di un operatore indipendente, gestore della rete, a cui è stata affidata la gestione della rete di trasmissione (che resta di proprietà di ENEL).

Nel caso del monopolio integrato (1), il regolatore può scegliere fra:- fissare i prezzi finali = MC e concedere al monopolista un sussidio per la copertura dei

costi fissi: si determinano però delle inefficienze a causa delle asimmetrie informative;- fissare i prezzi = AC, soluzione preferita.

Quando invece rete e servizi sono separati (separazione strutturale, 2) ove chi gestisce la rete non fornisce servizi finali, la gestione della rete è affidata ad un monopolio, mentre la fornitura è più o meno concorrenziale. Qualora questʼultimi competano alla Bertrand e i servizi siano sostituti, la concorrenza nel segmento assicura che i prezzi al dettaglio riflettano i costi sottostanti, il regolatore fisserà i prezzi di accesso pari al costo marginale dʼaccesso e contemporaneamente sussidia il monopolista consentendogli di recuperare i costi sostenuti, ma si incontrano i problemi del monopolio integrato.Eʼ quindi opportuno fissare una tariffa dʼaccesso pari al costo marginale più un mark-up che può essere determinato con diversi criteri (prezzi di Ramsey o ECPR). Si tratta di una soluzione second best che però presenta numerosi problemi.

Infine la situazione più frequente di integrazione verticale con liberalizzazione (3) si verifica nel caso in cui lʼincumbent possiede la rete cui accedono altri operatori che forniscono servizi al mercato finale. Lʼincumbent è però verticalmente integrato e offre anchʼesso servizi al mercato finale (tipico delle comunicazioni). Questa situazione potrebbe indurre lʼincumbent ad adottare comportamenti di deterrenza allʼentrata, giustificando un duplica intervento regolatorio sia sui prezzi finali che su quelli dʼaccesso.Inoltre potrebbe adottare strategie anticoncorrenziali di sussidi incrociati fra il segmento monopolistico e quello concorrenziale, oppure politiche di prezzi predatori (vendita sottocosto).

Metodi di regolazioneSeguendo il modello di integrazione verticale con liberalizzazione, se fosse fissato un prezzo dʼaccesso pari al costo marginale (first best), non sarebbe consentito al gestore di recuperare i costi fissi; di conseguenza il regolatore può adottare due soluzioni di second best: i prezzi di Ramsey e la regola dellʼECPR.In generale nella rete one-way, la definizione delle condizioni economiche dʼaccesso sʼaccompagna a quelle dei prezzi finali. Lʼobiettivo del regolatore è quello di consentire allʼentrante lʼaccesso allʼessential facility.

Se fosse fissato un prezzo maggiore del costo marginale, si raggiungerebbe lʼefficienza produttiva; ma se la concorrenza a valle non è perfetta (ad esempio perchè i prodotti non sono perfettamente omogenei), la regolazione della tariffa dʼaccesso può essere orientata allʼobiettivo di compensare la maggiorazione sul prezzo finale praticata dalle imprese (doppio mark-up). Ciò spinge il regolatore a ridurre a, potenzialmente anche al di sotto di MC (efficienza allocativa). Si genera così un problema di trade off fra efficienza produttiva ed allocativa.

I prezzi di Ramsey17

Il regolatore deve nel regolare a:1) da un lato minimizzare i costi di produzione, conseguendo lʼefficienza produttiva;2) conseguire lʼefficienza allocativa;Eʼ così necessario giungere ad una soluzione di second best, che massimizzi il benessere sociale, garantendo lʼequilibrio finanziario dellʼimpresa.Con i prezzi di Ramsey, la tariffa dʼaccesso ottimale è data dalla somma del costo marginale sostenuto dallʼincumbent per concedere lʼaccesso più un termine mark-up, il cui valore dipende dallʼelasticità della domanda rispetto al prezzo. Anziché adottare il costo medio, che provocherebbe perdite di benessere sociale, i costi fissi vengono coperti, provocando una minor distorsione possibile, attribuendo un mark-up cui costi tanto più elevato, quanto più è rigida è la domanda rispetto al prezzo.Nel caso dei prezzi dʼaccesso si considera sia lʼelasticità della domanda di accesso da parte dei consumatori, sia lʼelasticità della domanda del servizio finale da perte del consumatore.Tale criterio presenta però dei problemi applicativi dovuti al problema informativo sullʼelasticità della domanda di accesso da parte delle imprese a valle che hanno vantaggio a mentire sullʼelasticità per tenere bassi i prezzi dʼaccesso.

Il criterio ECPRIl criterio dellʼEfficient Component Pricing Rule (ECPR) è utilizzata per fornire una soluzione al caso in cui vi sia un incumbent che controlla unʼessential facility e che contemporaneamente produce od offra servizi in concorrenza con le imprese entranti. Il mercato dei servizi finali è contendibile, ovvero non esistono barriere dʼentrata o dʼuscita dal mercato.La regola ECPR stabilisce che la tariffa dʼaccesso ottimale deve coprire i costi marginali dellʼaccesso e ad un costo costo opportunità (che deriva dallʼeventuale perdita di profitto registrata dal monopolista, le cui vendite sono state ridotte a vantaggio di un nuovo entrante).

Quindi: prezzo accesso = costo marginale dʼaccesso + costo opportunità dellʼincumbentViene definita “componente efficiente” (definisce una tariffa dʼaccesso inferiore a quella di Ramsey) perchè si realizza lʼefficienza produttiva: se gli operatori alternativi sono come o più efficienti dellʼincumbent, allora la regola permette lʼaccesso al mercato, viceversa non lo permette. In altre parole, si tende a preservare il profitto di monopolio.Fissando una tariffa in tal modo, il monopolista è così indifferente alla competizione a valle, perchè anche se perdesse quote di mercato, otterrebbe comunque i profitti per lʼaccesso.Questa regola presenta però dei limiti: è molto complessa da applicare (basti pensare al cas New Zeland); inoltre può non essere sempre vero che escludere un rivale anche meno efficiente dal mercato sia socialmente desiderabile, perchè potrebbe comunque spingere i prezzi ad abbassarsi.

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Seconda parte: Antitrust

Cap 2: Potere di mercato e benessere sociale

10) Definire il concetto di potere di mercato.- Partendo da un contesto oligopolistico con n imprese, determinate analiticamente

lʼindice di concentrazione e discutere (anche criticamente) la relazione fra potere di mercato e concentrazione.

- Illustrate casi antitrust a vostra conoscenza in cui il potere di mercato misurato in termini di concentrazione ha svolto un ruolo importante nella decisione antitrust;

- Avete esempi di settori di mercato in cui il potere di mercato e la concentrazione non sono correlati?

Con potere di mercato sʼintende la capacità di unʼimpresa di aumentare in maniera profittevole il prezzo al di sopra di un certo livello competitivo (il livello di riferimento), ovvero di imporre un prezzo superiore al costo marginale.Di conseguenza, il potere di mercato è di solito definito in funzione della differenza fra i prezzi praticati da unʼimpresa e i suoi costi marginali di produzione.Un qualche potere di mercato dovrebbe essere un dato pervasivo in molti mercati oligopolistici, mentre la situazione in cui il potere di mercato è massimo corrisponde al monopolio senza possibilità di entrata. Questʼultima situazione determina, come noto, unʼinefficienza allocativa, in quanto si riduce il benessere sociale (sia il surplus del consumatore che del profuttore) rispetto alla situazione di concorrenza (ove il benessere è massimo).Infine, si deve ricordare che si realizza una perdita di benessere, per ogni prezzo maggiore al costo marginale, anche se nel mondo reale, caratterizzato da costi fissi e prodotti differenziati, ogni impresa detiene un certo potere di mercato.Lʼapproccio tradizionale misura il potere di mercato in modo indiretto attraverso le quote di mercato. La congettura è quella per cui una quota di mercato elevata è un indice del potere di mercato. Tale ipotesi però non implica necessariamente un elevato potere di mercato, nei casi in cui si riscontrano mercati contendibili. Inoltre, a prescindere dalla quota di mercato detenuta da unʼimpresa, sono da prendere in considerazione altri fattori legati al potere di mercato, come:- la quota di riserve possedute, nelle industrie con riserve esauribili e limitate (come il

settore minerario);- il grado di capacità in eccesso (lʼelasticità dellʼofferta);- la facilità di entrata ed uscita nel mercato, soprattutto in presenza di switching costs e in

relazione alla reputazione di unʼimpresa, al suo comportamento passato di fronte a nuovi entranti;

- il potere di contrattazione dei compratori che dipende dal loro grado di concentrazione.

Oltre ad un problema di efficienza allocativa in presenza di unʼimpresa che fissa un prezzo superiore al costo marginale, Nickell (1966), usando come approssimazione del potere di mercato la quota di mercato e utilizzando un campione di 700 imprese manifatturiere inglesi nel periodo 1972-1986, ne ha dedotto che maggiore è la quota di mercato detenuta da unʼimpresa, minore è il suo livello di produttività.

Partendo dalle principali spiegazioni per cui un monopolio (situazione di massima concentrazione) è meno efficiente, secondo cui:a) il management di imprese monopolistiche ha meno incentivi ad impegnarsi per produrre

in maniera efficiente (modello principale agente);

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b) in presenza di concorrenza, solo le imprese efficienti sopravvivono, mentre quelle inefficienti vengono espulse dal mercato: argomento fondato sul ruolo darwiniano che entrata ed uscita del mercato hanno nel selezionare le imprese migliori.

Si può analizzare tramite un modello di Cournot, la relazione esistente fra efficienza produttiva e potere di mercato.

Cap 3: la definizione del mercato rilevante

11) Si definisca il test SSNIP e la “filosofia” su cui il test poggia. Come il test viene implementato nella realtà?

Il primo passo che compie lʼAntistrust nellʼanalisi delle pratiche abusive (soprattutto prima di concedere autorizzazioni a fusioni ed acquisizioni) è definire il mercato rilevante per unʼimpresa, ovvero identificare quel marcato, i cui prodotti non devono “assomigliarsi” , piuttosto devono esercitare un certo vincolo competitivo gli uni sugli altri. Vi sono due ambiti per la definizione del mercato rilevante:a) lʼambito merceologico: si utilizza per definire il mercato del prodotto secondo le sue

caratteristiche;b) lʼambito geografico.

Uno dei modi per definire il mercato del prodotto è il test SSNIP (Small but Significant Not-transitory Increase in Price), anche detto test dellʼipotetico monopolista.Ad esempio, nellʼanalizzare un caso di fusione fra due imprese che producono gli stessi prodotti con risultato la creazione di un monopolista, si parte dalla domanda: “sarebbe profittevole per lʼipotetico monopolista aumentare (in via non transitoria) il prezzo del prodotto del 5-10% oltre a quello corrente?1) Se la risposta è si, significa che lʼipotetico monopolista non subisce alcun vincolo

competitivo da altri prodotti (entro questo mercato rilevante) per cui la sua domanda non decresce in misura significativa allʼaumentare del prezzo. Di conseguenza, il mercato per quel prodotto è considerato un mercato a sè stante.

2) Se la risposta è negativa, il test va ripetuto, considerando un monopolista contro la possibilità che il consumo si sposti dal prodotto incluso nel primo mercato rilevante verso un altro prodotto (sostituto), che ora includiamo allargando i confini di questo mercato rilevante su cui ripeteremo la domanda posta in precedenza.

Eʼ un processo iterativo: lʼinsieme dei prodotti che formano il mercato rilevante viene ampliato fino a quando la risposta non risulta positiva.

La filosofia sottostante al Test SSNIP:I candidati naturali a formare il mercato rilevante sono i prodotti percepiti dai consumatori come sostituti (sostituibilità della domanda). In pratica, se il prodotto A è percepito come sostituto da B, allora i due prodotti appartengono al medesimo mercato rilevante.Al fine di determinare il mercato rilevante, è però importante determinare anche la sostituibilità dellʼofferta, ovvero se il prezzo di A cresce, capacità delle imprese che producono beni differenti di cambiare velocemente la loro linea produttiva per produrre A. In altre parole, anche due prodotti non sostituti potrebbero far parte dello stesso mercato rilevante (come nel settore dei prodotti chimici).

Bisogna però fare attenzione perchè il test SSNIP presenta alcune difficoltà nellʼanalisi degli abusi di posizione dominante (art. 82): applicare il test al prezzo corrente può indurre ad una definizione del mercato troppo ampia:

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Per unʼimpresa che detiene già un forte potere di mercato, può non essere profittevole alzare ulteriormente il prezzo (risposta negativa al test): in tal caso, il test prevede di allargare la definizione di mercato ad altri beni: il risultato è che lʼimpresa dominante finisci per avere piccole quote di mercato (cellophane fallacy, verificatesi nel caso Pont)! Il prezzo rilevante dovrebbe essere perciò il prezzo concorrenziale di riferimento e non quello corrente.

Nella realtà, il test viene implementato secondo diverse modalità:1) viene definito il mercato rilevante sulla base dellʼelasticità della domanda rispetto al

(proprio) prezzo: se lʼelasticità della domanda al prezzo è bassa, un aumento del prezzo è profittevole con maggior probabilità, ovvero se lʼelasticità è bassa, lʼimpresa può aumentare i ricavi senza perdere consumatori, allora la risposta al test è positiva.

Il problema è che tale verifica non è sufficiente, in quanto altri fattori devono essere tenuti in considerazione, addirittura occorrerebbe stimare un modello econometrico completo della domanda.2) calcolare lʼelasticità incrociata: la variazione percentuale della domanda di B, quando il

prezzo di A cresce dellʼ1%: più i due fattori sono sostituti, più i prodotti sono parte dello stesso mercato. Quando lʼelasticità incrociata è bassa, i prodotti non sono percepiti come sostituti.

3) test di correlazione dei prezzi: se cʼè un elevata correlazione fra i prezzi dei due prodotti, è probabile che siano parte dello stesso mercato: bisogna utilizzare tale test con cautela, perchè tale co-movimento potrebbe derivare da una correlazione spuria (legata a fattori esogeni) causata da una differenza frequenza delle osservazioni, oppure legata allʼaumento di prezzo di input comuni. Il test è comunque utile in negativo, per escludere lʼappartenenza di due beni allo stesso mercato (se i prezzi non hanno serie correlate).

4) differenze assolute di prezzo: misurare differenze nei livelli di prezzi di due beni, con lʼidea che prodotti con prezzi differenti non sono sostituti; anche se due beni differenti possono avere qualità differenti e prezzi diversi, e al contempo, essere vincolo competitivo lʼuno dellʼaltro. Anche questo test viene usato “in negativo”.

5) caratteristiche, utilizzo dei prodotti e preferenze dei consumatori: le caratteristiche e le finalità per cui un bene è consumato offrono indicazioni per capire la sostituibilità fra due prodotti.

6) mercati stagionali e temporali: in alcuni casi il mercato rilevante cambia a seconda del periodo di tempo considerato;

7) mercati secondari - post vendita: in alcuni casi esiste un mercato primario ed un mercato secondario (after markets), per esempio il mercato dei servizi connessi (manutenzione, riparazione) o dei pezzi di ricambio. Eʼ necessario rispondere alla domanda se lʼipotetico monopolista che vende, ad esempio, i ricambi, è in grado di alzare con profitto ed in modo permanente i prezzi dei ricambi. In tal caso, per valutare se i mercati primarie e secondario appartengono allo stesso mercato rilevante è utile considerare le seguenti variabili: quanto il prezzo del bene e servizio secondario pesi nella formazione del prezzo del bene primario (1); la probabilità di ricorrere al mercato secondario per un acquirente del bene primario (2); il grado di “sofisticazione degli acquirenti” (3).

Infine, è utile considerare anche la definizione del mercato rilevante dal punto di vista geografico. Ancora una volta, il test SSNIP è il metodo corretto per procedere alla determinazione del mercato geografico rilevante (aggiungendo in caso di risposta negativa, altri paesi in cui potrebbe operare lʼimpresa).

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Cap. 4: collusione e accordi orizzontali

12) La teoria economica sulla collusione spiega come, insieme ad altri fattori, un cartello è più difficilmente sostenibile nel lungo periodo in un mercato in cui la domanda si va espandendo mentre accade lʼopposto in caso di domanda in declino.

- Spiegare perchè, con opportuna analisi formale.- Come la teoria sulla collusione viene poi tradotta concretamente in pratiche

antitrust? Fate cenno alle principali politiche di “enforcement” che lʼAutorità dovrebbe seguire come deterrente alla pratiche collusive.

Con collusione sʼintende la conclusione di accordi orizzontali che possono riguardare prezzi, spartizione del mercato o quote produttive (quantità da produrre). Eʼ la più grave pratica anti-competitiva che arreca maggior danno al benessere dei consumatori.Per la teoria economica, la collusione corrisponde ad un qualsiasi equilibrio diverso da quello per cui prezzo=costo marginale. Per le imprese partecipanti ad un cartello, può tuttavia presentarsi la possibilità di “deviare unilateralmente” per ottenere subito maggiori profitti, infrangendo lʼaccordo, salvo poi essere punita dalle rivali. Dal realizzarsi o meno della possibilità di deviare, ne discende la stabilità o la sostenibilità di un cartello, che dipende dal vincolo di partecipazione delle imprese al cartello, che dipende a sua volta dalla valutazione che fa ogni impresa basata sul confronto fra i guadagni immediati dal deviare (prezzi più alti) con la riduzione di profitto che subisce a seguito della punizione. Tale vincolo di partecipazione dipende sia da fattori strutturali, sia dalla condizione di trasparenza sui prezzi e scambio di informazioni, oltre che le regole sul prezzo e sui contratti di vendita.Lʼevoluzione della domanda, è uno di questi fattori strutturali.Lʼevoluzione della domanda dipende dalla natura degli shocks della domanda e dal tipo di evoluzione stessa. Riguarda unʼaspetto diverso dal sopravvenire di un ordinativo ingente (benchè anchʼesso sia uno dei fattori strutturali che influenza il vincolo di destinazione), che consiste invece in uno shock non correlato della domanda.In relazione allʼevoluzione della domanda, se questʼultima non è auto-correlata (non cʼè un trend), allʼaumentare della stessa, accrescono per le imprese gli incentivi a deviare. Una domanda più stabile invece accresce lʼosservabilità delle strategie dei rivali. In definitiva, una domanda più stabile rende il cartello più controllabile.

Le cose cambiano a seconda del trend. Se si volesse rappresentare il trend della domanda con theta:- se theta > 1 (crescita continua e vincolo meno stringente), allora il trend è positivo, e il

secondo termine diventa più piccolo: quindi la collusione diventa più probabile. Più è crescente la domanda, più probabile è la collusione. In un contesto dinamico, ci sono più incentivi a colludere perchè “la torta sta crescendo” e le imprese traggono maggior beneficio dal colludere rispetto che farsi la guerra di prezzo, dissipando i profitti. La collusione è quindi più facilmente sostenibile.

- se theta < 1 (declino continuo e vincolo più stringente), viceversa, se la domanda è declinante, è più difficile colludere e lʼimpresa rinuncia ai profitti futuri, in favore di quelli immediati. La collusione è più difficilmente sostenibile.

Per quanto riguarda invece la “pratica” dellʼattività dellʼAntitrust, questʼultima persegue determinate politiche di enforcement come deterrente alle pratiche collusive.

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Trend nella domanda:

a partire da domani ci si attende una crescita/declino della domanda: tD(p), t>1 (e profitti t (p))

se >1 (crescita continua), il vincolo di part. diventa

meno stringente, e la collusione più facilmente sostenibile

se <1 (declino continuo), il vincolo di part. diventa più stringente, e la collusione più difficilmente sostenibile

np

np mmmm 111 1 22

Il problema principale consiste nellʼindividuare i principali standard of proff (evidenze, prove) per colpire il cartello. Premesso che le evidenze ex post sono molto difficili da individuare, e principalmente:1. il livello dei prezzi: è difficile da determinare il prezzo collusivo, in quanto:

a) richiede la conoscenza dei costi marginali;b) molteplici livelli di prezzo possono essere collusione;

2. lʼevoluzione dei prezzi: vedere se i prezzi dei diversi operatori hanno un trend comune (co-movimento): se vi fosse, ci può essere collusione; anche qui è difficile perché potrebbero essere fattori esogeni. Infatti, i prezzi potrebbero muoversi parallelamente anche in mercati competitivi sottoposti a shock comuni esogeni.

Le misure ex ante per prevenire la collusione: è il punto più importante per prevenire un cartello o per far si che non si mantenga nel tempo. Come? Fermo che gli accordi di collusione sono forse il più grave danno alla concorrenza e per questo sono spesso punti pesantemente. Le principali politiche per prevenire i comportamenti collusivi sono:1) le autorità hanno stilato una lista nera di comportamenti collusivi come lo scambio di

informazioni fra imprese, magari attraverso ispezioni improvvise;2) ispezioni improvvise nelle sedi delle imprese;3) discriminare i meccanismi dʼasta ascendente in modo da evitare segnalazioni fra

concorrenti (ad esempio, anonimato, round finale in busta chiusa);4) vigilare le fusioni, humus per la creazione di un cartello (meno imprese = più elevata

probabilità di collusione);5) oppure programmi di leniency (immunità per chi collabora) da 1996 in UE: se

unʼimpresa “si pente” e collabora con lʼautorità per far venire a conoscere un cartello, si prevede una riduzione di sanzioni ridotte dal 75 al 100% prima dellʼapertura dellʼindagine (magari a seguito di una denuncia dellʼassociazione dei consumatori), o dal 50% al 75% dopo lʼapertura dellʼinchiesta.

Cap. 6: restrizioni verticali e fusioni verticali

13) Discutete i principali effetti di benessere sociale delle restrizioni verticali in presenza di concorrenza intramarca. Utilizzando esempi a vostra conoscenza e supportando lʼanalisi con adeguati strumenti teorici, concentrate la vostra attenzione su il fenomeno della doppia marginalizzazione e dellʼesternalità orizzontale

Le restrizioni verticali rappresentano tentativi delle imprese operanti in stadi diversi della filiera produttiva (tipicamente distributore e produttore) di concludere accordi contrattuali finalizzati principalmente a ridurre i costi di transizione (1), garantire forniture stabili (2) e coordinare in maniera ottimale le strategie delle diverse imprese (3). Tali accordi sono appunto detti restrizioni verticali.Le restrizioni verticali si possono suddividere principalmente in due tipi:1) quelle che influenzano la competizione tra imprese che commercializzando la stessa

marca (intrabrand competition);2) quelle che influenzano la competizione fra imprese che commercializzano marche

distinte (inter-brand competition)

Parlando del primo tipo di restrizione verticale (inframarca), si può condurre lʼanalisi teorica partendo dal caso di un produttore monopolista (upstream) che rifornisce uno distributore a valle (downstram).

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Qualora, come in questo caso, sia produttore che distributore detengono un certo potere di mercato, fisseranno entrambi un prezzo > al costo marginale. Di conseguenza, si realizzerà il fenomeno della doppia marginalizzazione in quanto sia produttore che distributore ottengono un mark-up dalla fissazione dei loro prezzi (intermedio e finale), a danno dei consumatori: il prezzo di mercato a valle infatti è la somma di due margini.Come si vedrà di seguito, infatti, che persino un monopolista integrato, fisserebbe un prezzo a valle diverso.Lʼeffetto positivo delle restrizioni verticali è proprio quello di ridurre lʼesternalità negativa derivante dal fenomeno sopra citato.In generale, qualora produttore e distributore si accordano, possono ridurre questo problema del prezzo “gonfiato” a valle e diminuire le perdite di benessere per i consumatori. Gli accordi verticali quindi possono portare efficienza, ed è dimostrato di seguito.Vedi dimostrazione pag. 98 degli Appunti: con integrazione, i prezzi sono minori (le qualità maggiori) e il surplus dei consumatori è più elevato. Il benessere sociale è maggiore.

Il distributore fissa il prezzo come un monopolista ed ovviamente più elevato è il prezzo allʼingrosso, più elevato è il prezzo finale. Ma al crescere di w, i profitti diminuiscono, perchè si riduce lʼoutput.La restrizione viene detta “sufficiente” se permette al produttore a monte di replicare lʼequilibrio di integrazione.Eʼ possibile, tramite uno schema d franchise fee, sotto lʼipotesi di assenza di incertezza), che abbassando il prezzo della parte w (prezzo intermedio) al costo marginale, di fatto si stimolano le vendite a valle (contro il problema del doppio margine perché in presenza di prezzi troppo alti, lʼoutput diminuisce). In tal modo, abbassando w al costo marginale, i profitti aumentano e il produttore può comunque realizzare profitti tramite la parte fissa F. Il prezzo che emerge con questo schema è proprio quello di integrazione.

Qualora lʼintegrazione fra produttore e distributore non sia possibile, infatti, è possibile ottenere un risultato simile tramite alcune formule di restrizione verticale: in altre parole, il produttore (upstream) può ridurre o eliminare lʼesternalità dovuta alla doppia marginalizzazione, imponendo vincoli di diverso tipo al distributore, come RPM, prezzi non lineari (franchise fee) o fissazione delle quantità, sono tutte clausole equivalenti.Il produttore si appropria quindi di tutto il surplus del distributore.Lʼobiettivo di questi schemi è stimolare la concorrenza a valle, riducendo lʼinefficienza.

Uno schema di questo tipo intrapreso spesso nella realtà è quando un produttore concede lʼesclusiva territoriale ad un distributore e contemporaneamente conclude con questʼultimo un contratto con una franshisee fee, ovvero un contratto che prevede un costo variabile pari al costo marginale del produttore più una parte fissa, tramite la quale il produttore si appropria dei profitti del distributore.

In caso di incertezza, sia sul livello della domanda che sui costi di distribuzione, e in presenza di distributori avversi al rischio, lʼequivalenza suggerita dalla teoria economica

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Lo schema VERTICALE

Upstream

Downstream

MC=c

w(c)>c

PR(w)>Pm(c)

Primo markup

Secondo markup

Consumatori

per cui lʼRPM o il Franchisse fee sono schemi in grado di replicare lʼequilibrio dʼintegrazione non è più rispettata.In questi casi, concedere unʼesclusiva territoriale (riducendo la concorrenza a valle) potrebbe aggravare lʼinefficienza derivante dalla doppia marginalizzazione. La soluzione quindi è favorire la concorrenza a valle, aumentando il numero dei distributori (senza restrizioni verticali).

Contemporaneamente però la concorrenza può generare unʼesternalità orizzontale fra i distributori (si verifica un trade off fra i due effetti), in quanto la concorrenza a valle può disincentivare i distributori ad investire. La concorrenza, comʼè noto infatti, porta a profitti nulli e quindi riduce (se non impedisce) ai distributori di investire.Oltre a questo, lʼinvestimento in pubblicità può portare ad un problema di free riding in quanto tutti i distributori (magari rivenditori di una certa marca) si avvantaggiano e beneficiano della pubblicità di un certo marchio (del produttore) in una certo territorio. I distributori quindi sono incentivati a ridurre tali investimenti, anche per questa ragione.I rimedi a questʼultimo fenomeno sono principalmente tramite:- il ricorso a clausole di esclusiva territoriale o di prezzo minimo;- lʼobbligo per i distributori di mantenere un determinato livello di investimento/effort

ottimale nella distribuzione dei prodotti per il produttore.In questi ultimi casi, infatti, è probabile che il benessere collettivo aumenti.

14) “Le restrizioni verticali possono ridurre il problema della sub-fornitura dei servizi”. Discutete questa affermazione con adeguati teorici. Mostrate inoltre come una combinazione adeguata fra prezzo di rivendita imposto (RPM) ed esclusiva territoriale è in grado di eliminare completamente il problema.

I distributori possono investire in attività di supporto alle vendite e in pubblicità (o addestramento personale). Tale investimento fa si che la domanda aumenti.Ovviamente investire in queste attività ha un costo (per i distributori), mentre il distributore paga al produttore solo w (costo marginale).

In presenza di separazione fra distributore e produttore, i produttori si fanno concorrenza alla Bertrand (competono sul prezzo) e quindi ottengono profitti nulli (p=w) e quindi non hanno risorse per investire. Si realizza in tal modo lʼesternalità orizzontale massima. Nessun distributore non effettua alcun investimento.Quindi, risolvendo il monopolio con la separazione, il w è anche pari al prezzo praticato ai distributori (per i calcoli, si vedano appunti a pagina 100 degli Appunti).

Risolvendo un modello con integrazione, si può verificare che il prezzo intermedio (w) con integrazione è minore di quello con separazione. Questo perché con integrazione verticale, si controlla la subfornitura di servizi e si elimina il problema dellʼesternalità.Lʼesternalità orizzontale non si realizza perché cʼè concorrenza a valle. Il monopolista integrato, infatti, trae beneficio dallʼannullamento dellʼesternalità e anche i consumatori ne traggono beneficio.

Tale risultato può essere raggiunto anche con una situazione in cui il produttore a monte concede la titolarità ovvero il monopolio geografico (esclusiva territoriale) e oltre a questo si stabilisce una tariffa F + wq con w=c (franchise fee).Concedendo un monopolio a un distributore, cʼè così lʼincentivo ad investire in attività di supporto alla vendita (ma non eliminano il problema!).

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Dunque le restrizioni verticali spesso aumentano lʼefficienza in quanto riducono il doppio mark-up e lʼesternalità orizzontali.Vi sono altre ragioni per cui le RV possono essere efficienti, fra cui:1) Certificazioni di qualità (per giustificare restrizioni come RPM o distribuzione

esclusiva), ossia la possibilità di vendere solo a distributori che soddisfano determinate caratteristiche;

2) Free-riding produttore: in questo caso le RV come distrib. in esclusiva, possono essere efficienti nellʼincentivare gli investimenti da parte dei produttori (supporto tecnico, promozione, addestramento del personale, finanziamento, etc.);

3) Restrizioni di lungo periodo (si pensi al caso estremo della fusione): rimuovono comportamenti opportunistici fra U e D e promuovono gli investimenti specifici alla relazione. (es. territori in esclusiva)

15) Le restrizioni verticali possono avere finalità escludenti? Rispondente facendo ricorso sia a valutazioni tecniche che a casi pratici di vostra conoscenza.

Nella prima versione della norma antitrust, le restrizioni verticali erano addirittura vietate. Nella realtà però le restrizioni verticali non sono sempre efficienti. Si pone un problema per la credibilità dellʼimpegno del produttore verso i distributori, che potrebbe invece adottare comportamenti opportunistici.Le restrizioni verticali, infatti, possono avere lʼeffetto di diminuire il benessere se aiutano il produttore a mantenere il suo potere di mercato e a tenere prezzi elevati. In tali casi, le restrizioni verticali quindi potrebbero avere degli effetti non desiderabili dal punto di vista sociale. Questi deriverebbero dal realizzarsi dei profitti di monopolio tramite la conclusione di accordi di restrizione verticale con i distributori, come lʼesclusiva per il “miglior” distributore (la restrizione verticale è usato come strumento di commitment). Ma contratti di restrizione verticali di questo tipo sono credibili? Concludendo contratti di esclusione territoriale lʼobiettivo potrebbe essere realizzare profitti di monopolio.

Continuando con lʼesempio di cui sopra, ci sono diversi distributori disposti a vendere un prodotto, meccanismo simile allʼasta che assegna il diritto di esclusiva al miglior offerente in cambio dei profitti del produttore (=pagamento di una somma fissa nel contratto di franchising). Un contratto simile sarebbe credibile?In assenza di ulteriori elementi contrattuali, una volta attributi la prima licenza, un produttore (“opportunista”) potrebbe attribuirne una seconda. Se ciò accadesse il primo distributore che aveva creduto alla promessa del produttore perde metà dei profitti di questʼultimo.Tale processo potrebbe ripetersi più volte, producendo i seguenti effetti:a) nel territorio specifico si distribuiscono più prodotti rispetto alla situazione di monopolio:

si genera concorrenza a valle.b) i prezzi al dettaglio si abbassano e, quindi, aumenta il benessere dei consumatori.c) i distributori realizzano però delle perdite, in quanto pagano somme fisse (previste dal

contratto di franchisee fee) maggiori dei profitti che ricevono (ora almeno dimezzati).

Cap. 7: Condotte predatorie, monopolizzazione ed altre pratiche abusive

16) Cosa si intende per prezzi predatori? Fra le teorie che spiegano un comportamento predatorio, vi sono quelle basate sui modelli di segnalazione e quelle che spiegano la predazione partendo delle imperfezioni dei mercati finanziari. Presentate sinteticamente questi due approcci teorici, evidenziandone anche eventuali limiti/paradossi.

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17) Strategie di bundling anti-competitive.

I casi

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