Diritto Civile

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 CAPITOLO OTTAVO “L’AUTONOMIA NELLA PLURALITA’ E GERARCHIA DELLE FONTI E DEI VALORI” 1. PLURALITA’ DELLE FONTI NORMATIVE: OPPORTUNITA’ DI UNA RIDEFINIZ IONE. Sono fonti del diritto gli atti o i fatti mediante l’interpretazione dei quali si determina la norma. Le fonti , a loro volta, sono individuate da altre norme ( c.dd. norme sulla produzione giuridica ). Ogni norma è posta da una norma superiore: al vertice della gerarchia c’è la Costituzione, il fondamento della quale risiede nella sua legittimità. “La legge statale è valida soltanto se rispettosa e attuativa dei valori espressi dai corrisponde nti principi costituzionali. La legge incostituzional e equivale a legge invalida in quanto è esercizio del potere in violazione del suo principio di legittimazione. La legittimità non è assorbita dalla legalità, ma la fonda: la legalità è rispetto della legge unicamente se la legge è conforme alla Costituzione”- Perlingieri. La legalità esprime anche l’esigenza di ricostruire i nessi tra le molteplic i fonti operanti sul medesimo territorio. Ogni potere, in un contesto costituzionale fondato sulla divisione dei poteri, finisce sempre con l’integrarsi con l’esercizio di altri poteri. Sicché l’autonomia c.d. privata si integra con gli altri poteri e confluisce nell’ordinamento complessivo quale insieme di principi e regole predisposte ed attuate con la funzione di dettare ordine nella società. Anche l’autonomia, esercitata iure privato rum, è sintesi di valori scelti e di valori imposti, è auto ed etero-regola mentazione. “Si giustifica, pertanto, l’opinione di chi reputa che l’autonomia privata sia una fonte del diritto vera e propria operante in concorso con la legge. L’attività negoziale o contrattuale è un’attività che produce una norma giuridica (l’autovincola mento) operante nel concreto dei rapporti umani. L’unitarietà dell’ordinamento non esclude, quindi, la pluralità e l’eterogeneità delle fonti: tale pluralità ha il suo momento unificante nell’ordinamento che concorre a produrre. Quando lo Stato esaurisce in sé tutta la produzione legislativa, la teoria della pluralità delle fonti non ha spazio: la fonte formale e la fonte sostanziale tendono ad identificarsi nello Stato accentrato. Al contrario, laddove si da spazio ad un pluralismo di entità decentrate ed autonome, che non si esauriscono nell o Stato – si pensi agli enti locali o sovranazion ali – e che legiferano in virtù di un potere proprio (rectius godono di una sfera di autonomia riconosciuta o istituita dal potere sovrano), si produce  pluralismo di fonti . L’ordinam ento, unitariamente considerato, è composto di norme diverse, che hanno origine nei poteri più disparati, e tra t ali norme determina una gerarchia: - FONTI COSTITUZIONALI (Costituzione e leggi costituziona li); - FONTI COMUNITAIR E e talune FONTI INTERNAZIONAL I ; - FONTI PRIMARIE (leggi ordinarie, d.lgs., d.legge, leggi regionali…); - FONTI SECONDARIE (regolamenti amministrativi) - FONTI TERZIARIE (consuetudin e e, secondo taluni, regolamenti e statuti di impresa, condominio, associazio ne). L’opportunità di una ridefinizi one del fonti normative si desume se si tiene conto di alcuni fenomeni: a) rilevanza normativa dei principi costituzionali e loro incidenza sui rapporti intersoggettivi;  b) efficacia immediata del diritto comunitario; c) c.d. contrattazione collettiva, che tende ad investire tutti i settori della società. Infatti, il legislatore ha scoperto che essa, non solo costituisce la forma aggiornata dell’autonomia privata nell’ep oca della contrattazione di massa, ma anche che essa può rivelarsi un utile strumento per realizzare importanti obiettivi di politica del diritto; d) diffusa abitudine di legiferare mediante l’ atto amministrativo e il regolamento che cagionano problemi sia sotto il profilo della gerarchia che della sindacabili tà, in quanto è discussa la loro natura di atti “aventi forza di legge”. L’accentuata plurali tà delle fonti è in gran parte dovuta al decentramen to c.d. amministrativo , attuato sia riconoscend o agli enti territoriali poteri autonomi ed esclusivi, sia delegando loro taluni poteri. La ristrutturazione amministrativa, accentuata dalla riforma del titolo V della seconda parte della Cost., è destinata a produrre una diversificata “ geografia giuridica” caratterizzata da un disegno politico di regionalizzazione e localizzazione del diritto, ispirato al principio di sussidiari età – il preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. esalta le diverse identità locali e afferma che, in un mondo globalizzato, la regione rappresenta il momento di avvicinamento tra la domanda sociale e le autorità che sono chiamate a soddisfarla. La Corte cost. ha ripetutamente affermato che la legislazione regionale non può riguardare materie di diritto privato volte a salvaguard are l’unità e l’eguag lianza. A tale affermazione occorre sollevare un’obiezione: un diritto civile regionale è giustificabile non soltanto perché il sistema è unitario, sicché è impossibil e separare diritto pubblico e diritto privato, ma anche perché non si può escludere a priori che 1

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Riassunto molto ben fatto del capitolo VIII del Tomo 1 del testo Il Diritto Civile Nella Legalita Costituzionale Secondo Il Sistema Italo-comunitario Delle Fonti Napoli 3 Edizione 2006

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CAPITOLO OTTAVO “L’AUTONOMIA NELLA PLURALITA’ E GERARCHIA DELLE FONTI E DEI VALORI” 

1. PLURALITA’ DELLE FONTI NORMATIVE: OPPORTUNITA’ DI UNA RIDEFINIZIONE.Sono fonti del diritto gli atti o i fatti mediante l’interpretazione dei quali si determina la norma. Le fonti , aloro volta, sono individuate da altre norme (c.dd. norme sulla produzione giuridica). Ogni norma è postada una norma superiore: al vertice della gerarchia c’è la Costituzione, il fondamento della quale risiedenella sua legittimità. “La legge statale è valida soltanto se rispettosa e attuativa dei valori espressi daicorrispondenti principi costituzionali. La legge incostituzionale equivale a legge invalida in quanto è

esercizio del potere in violazione del suo principio di legittimazione. La legittimità non è assorbita dallalegalità, ma la fonda: la legalità è rispetto della legge unicamente se la legge è conforme allaCostituzione”- Perlingieri. La legalità esprime anche l’esigenza di ricostruire i nessi tra le molteplici fontioperanti sul medesimo territorio.Ogni potere, in un contesto costituzionale fondato sulla divisione dei poteri, finisce sempre conl’integrarsi con l’esercizio di altri poteri. Sicché l’autonomia c.d. privata si integra con gli altri poteri econfluisce nell’ordinamento complessivo quale insieme di principi e regole predisposte ed attuate con lafunzione di dettare ordine nella società. Anche l’autonomia, esercitata iure privato rum, è sintesi di valoriscelti e di valori imposti, è auto ed etero-regolamentazione. “Si giustifica, pertanto, l’opinione di chireputa che l’autonomia privata sia una fonte del diritto vera e propria operante in concorso con la legge.L’attività negoziale o contrattuale è un’attività che produce una norma giuridica (l’autovincolamento)operante nel concreto dei rapporti umani.L’unitarietà dell’ordinamento non esclude, quindi, la pluralità e l’eterogeneità delle fonti: tale pluralità ha ilsuo momento unificante nell’ordinamento che concorre a produrre. Quando lo Stato esaurisce in sé tuttala produzione legislativa, la teoria della pluralità delle fonti non ha spazio: la fonte formale e la fontesostanziale tendono ad identificarsi nello Stato accentrato.Al contrario, laddove si da spazio ad un pluralismo di entità decentrate ed autonome, che non siesauriscono nello Stato – si pensi agli enti locali o sovranazionali – e che legiferano in virtù di un potereproprio (rectius godono di una sfera di autonomia riconosciuta o istituita dal potere sovrano), si produce pluralismo di fonti .L’ordinamento, unitariamente considerato, è composto di norme diverse, che hanno origine nei poteri piùdisparati, e tra tali norme determina una gerarchia:

- FONTI COSTITUZIONALI (Costituzione e leggi costituzionali);

- FONTI COMUNITAIRE e talune FONTI INTERNAZIONALI ;- FONTI PRIMARIE (leggi ordinarie, d.lgs., d.legge, leggi regionali…);- FONTI SECONDARIE (regolamenti amministrativi)- FONTI TERZIARIE (consuetudine e, secondo taluni, regolamenti e statuti di impresa,

condominio, associazione).L’opportunità di una ridefinizione del fonti normative si desume se si tiene conto di alcuni fenomeni:

a) rilevanza normativa dei principi costituzionali e loro incidenza sui rapporti intersoggettivi; b) efficacia immediata del diritto comunitario;c) c.d. contrattazione collettiva, che tende ad investire tutti i settori della società. Infatti, il legislatore

ha scoperto che essa, non solo costituisce la forma aggiornata dell’autonomia privata nell’epocadella contrattazione di massa, ma anche che essa può rivelarsi un utile strumento per realizzare

importanti obiettivi di politica del diritto;d) diffusa abitudine di legiferare mediante l’atto amministrativo e il regolamento che cagionanoproblemi sia sotto il profilo della gerarchia che della sindacabilità, in quanto è discussa la loronatura di atti “aventi forza di legge”.

L’accentuata pluralità delle fonti è in gran parte dovuta al decentramento c.d. amministrativo, attuato siariconoscendo agli enti territoriali poteri autonomi ed esclusivi, sia delegando loro taluni poteri. Laristrutturazione amministrativa, accentuata dalla riforma del titolo V della seconda parte della Cost., èdestinata a produrre una diversificata “geografia giuridica” caratterizzata da un disegno politico diregionalizzazione e localizzazione del diritto, ispirato al principio di sussidiarietà – il preambolo dellaCarta dei diritti fondamentali dell’U.E. esalta le diverse identità locali e afferma che, in un mondoglobalizzato, la regione rappresenta il momento di avvicinamento tra la domanda sociale e le autoritàche sono chiamate a soddisfarla.

La Corte cost. ha ripetutamente affermato che la legislazione regionale non può riguardare materie didiritto privato volte a salvaguardare l’unità e l’eguaglianza. A tale affermazione occorre sollevareun’obiezione: un diritto civile regionale è giustificabile non soltanto perché il sistema è unitario, sicché èimpossibile separare diritto pubblico e diritto privato, ma anche perché non si può escludere a priori che

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l’eguaglianza si realizzi mediante il pluralismo locale. A tal riguardo occorre ricordare come la stessaCost. attribuisca alla normativa regionale il compito di rimuovere “ogni ostacolo che impedisce la pienaparità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica” (art. 117, 7°co. Cost.).In epoca di crisi della sovranità e, dunque, della legge, l’autonomia privata (o meglio negoziale) èchiamata a svolgere un ruolo organizzativo di sottoinsiemi sociali. Si pensi alla c.d. autodisciplina checonsente, quando difetta una disciplina eteronoma, di provvedere a regolare talune categorie di interessicon atti di autonomia. Emblematica è la vicenda dei c.dd. codici di autodisciplina che consistono in uncomplesso di regole che talune categorie di operatori economici si danno e si impegnano ad osservarenello svolgimento della loro attività, sotto pena di misure sanzionatorie irrogate da organismi da esse

creati. Negli ultimi tempi le materie regolate da norme di autodisciplina sono state oggetto di interventi “esterni ”: i settori economici regolati da codici di autodisciplina sono stati progressivamente governati dafonti eteronome. Queste, tuttavia, non hanno sottratto ai codici ogni spazio di operatività, tant’è che nondi rado vi si richiamano in funzione integrativa, delineando così un concorso di fonti (autonome edeteronome) nella regolamentazione dei rapporti tra operatori e consumatori/utenti.Nella complessità della produzione normativa si deve anche aver riguardo all’attività di supplenza e di stimolo svolta dalla Corte cost. la quale può innovare il sistema cancellando una disposizione (sentenzadi accoglimento), imponendo (sentenza interpretativa di accoglimento) o consigliando (sentenzainterpretativa di rigetto) una certa interpretazione, ampliando il quadro dei soggetti titolari di un diritto diprestazione (sentenza additiva di accoglimento). Sulla teoria delle fonti hanno un’influenza particolare lesentenze c.dd. interpretative di una disposizione che, tra le possibili interpretazioni, fissa quella cheappare costituzionale e pertanto non la elimina, oppure considera la norma costituzionalmenteillegittima, benché non sia tale in tutte le sue possibili applicazioni.La dottrina delle fonti deve, dunque, essere integrata con quella della giurisprudenza costituzionale.Non meno importante sono, nell’ottica del sistema italo-comunitario delle fonti, le sentenze interpretativeemanate dalla Corte di Giustizia dell’UE. Queste pronunce hanno la stessa forza normativa della fontecomunitaria interpretata (regolamento o direttiva).Occorre, inoltre, considerare l’apporto c.d. interpretativo desumibile dalla prassi . I precedentigiurisprudenziali, le prassi giudiziaria e notarile, finiscono col diventare punti di riferimento privilegiati,ovviamente nei limiti della loro rispondenza ai principi giuridico-formali.È necessario, infine, valutare il ruolo delle c.dd. Autorità indipendenti , dette anche Authorities. Ad essesono state affidate funzioni di garanzia, controllo e regolamentazione in materie di particolare rilevanzaper lo sviluppo dei rapporti giuridico-sociali: il mercato dei valori mobiliari (Consob), la concorrenza tra

imprese (Autorità garante della concorrenza e del mercato)…Molteplici gli interrogativi sollevati attornoalla natura e alle funzioni delle autorità: accanto al sospetto di illegittimità costituzionale di tali organismi,delicata è la questione della dichiarata “indipendenza”. Inoltre, l’emanazione di norme regolamentari oprovvedimenti ha messo in luce la necessità di collocare nell’attuale assetto delle fonti tale “normazioneatipica” anche se è dubbio se considerarla atto amministrativo o normativo.Le questioni restano aperte. Perlingieri, pertanto, auspica l’introduzioni di Autorità garanti di rilevanzacostituzionale.

2. GERARCHIA DELLE FONTI E LORO ARMONIZZAZIONE.L’ordinamento, unitariamente considerato, è composto di norme diverse, che hanno origine nei poteri piùdisparati, e tra tali norme determina una gerarchia rigida raffigurabile con una piramide. All’apice diquesta v’è la norma costituzionale. Le leggi ordinarie dello Stato, espressioni sia del Parlamento che del

Governo, si devono armonizzare con la Costituzione. Se ciò non avviene si pone un problema dilegittimità costituzionale. Sullo stesso piano delle leggi statali si collocano le leggi regionali che si devonoarmonizzare sia con le leggi ordinarie sia con i principi costituzionali. Le leggi provinciali , a loro volta,non possono essere in contrasto con quelle regionali, quelle dello Stato e con i principi costituzionali. Gliatti di autonomia, sia collettiva sia individuale, non possono contrastare con le leggi regionali, statale econ i principi costituzionali.In una posizione rinforzata rispetto alle norme statali sono gli atti normativi dell’Unione europea: così iregolamenti sono direttamente obbligatori e immediatamente applicabili all’interno degli stati membri,senza necessità di leggi interne di recezione. Essi hanno per destinatari i soggetti dell’ordinamentocomunitario e, quindi, i soggetti di diritto interno e nazionale; per oggetto specifici settori; per finalità lacreazione di una legislazione uniforme.Le norme internazionali pattizie, invece, un atto-fonte di recepimento. Ciò avviene o con una legge

apposita che da l’ordine di esecuzione del trattato ratificato (ordine di esecuzione), o con specifici attinormativi che immettono nell’ordinamento interno una disciplina corrispondente a quanto il trattatostabilisce (adattamento speciale ordinario). L’opinione prevalente reputa che le norme internazionalipattizie abbiano lo stesso valore dell’atto normativo che le recepisce: quello di legge ordinaria che può

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essere modificata da una legge ordinaria successiva e possono essere dichiarate incostituzionali .Tuttavia, le fonti interne che recepiscono il diritto internazionale resistono all’abrogazione da parte difonti interne successive quando la loro osservanza risponda ad un interesse costituzionaledell’ordinamento.

3. GERARCHIA DEI VALORI.La gerarchia delle fonti non risponde solo ad una ragione di certezza formale dell’ordinamento per risolvere i conflitti tra le norme poste da diverse fonti, ma è ispirata soprattutto ad una logica sostanziale,cioè ai valori e alla loro rispondenza alla filosofia della vita presente nel modello costituzionale: è lo

strumento mediante il quale il sistema normativo assicura l’attuazione dei propri principi.Non è semplice reperire un criterio di individuazione della nozione di “valore”. Il termine è usatoabitualmente in due accezioni :

- come qualsiasi cosa ritenuta oggettivamente importante o soggettivamente desiderata;- come criterio di valutazione, come principio generale in base al quale approviamo o

disapproviamo una certa azione.Nel linguaggio comune i “valori ”, al plurale, indicano gli ideali a cui gli esseri umani aspirano.Il valore è unitario ma i suoi aspetti sono molteplici: politici, sociali, etici, filosofici, giuridici. Quindi si trattadi un criterio sincretico dovuto a tanti profili tutti concorrenti.Tuttavia v’è soltanto un criterio al quale il giurista può e deve fare riferimento: il dato normativo,espressione e sintesi della molteplicità dei criteri che tendono ad individuare il valore. La norma, quellainterpretata, vivente, si presenta come criterio che tende ad uniformare la realtà attraverso un continuoadeguamento della norma al fatto e del fatto alla norma. Quanto più l’ordinamento giuridico s’identificacon quello sociale, politico, economico, tanto più l’identificazione del valore fondata sul criterio normativosarà rispondente alla realtà.I valori ai quali si deve far riferimento sono dunque giuridici; valori giuridici che si rinvengono,innanzitutto, nelle norme costituzionali.

4. FONTI SOVRANAZIONALI: I REGOLAMENTI E LE DIRETTIVE COMUNITARIE.La Comunità europea, istituita con Trattato reso esecutivo nel 1957, ha il compito di promuovere,mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria, uno sviluppoarmonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche , un elevato livello di occupazione e diprotezione sociale, la parità tra uomini e donne, un alto grado di competitività, il miglioramento del tenore

e della qualità della vita. Tutto ciò soprattutto realizzando la libera circolazione delle persone, dei servizie dei capitali, garantendo la libera concorrenza, promuovendo il riavvicinamento delle legislazioninazionali e instaurando una politica comune nei settori dell’agricoltura e dei trasporti. Sicché tutti gliaccordi tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco dellaconcorrenza sono vietati e quindi nulli di pieno diritto.Per l’assolvimento di tali compiti gli organi comunitari, oltre a prendere decisioni e a formulareraccomandazioni e pareri, stabiliscono regolamenti e direttive.I regolamenti , obbligatori in tutti i loro elementi, hanno portata generale e sono direttamente applicabili inciascuno degli Stati membri anche nei rapporti interprivati. Dovere del giudice è di individuare lanormativa da applicare considerando l’insieme delle disposizioni purché il procedimento di produzionegiuridica trovi la sua legittimazione formale nell’ambito dell’ordinamento di appartenenza.La pluralità delle fonti non comporta necessariamente una concezione pluralistica o atomistica

dell’ordinamento: questo ha una sua unitarietà allorché è fondato su valori unitari e sulla gerarchia dellefonti che concorrono a formarlo. Ciò significa ce in tale gerarchia i regolamenti comunitari hanno unapeculiare vigenza e prevalgono sulle leggi nazionali.Il problema si pone in relazione alla loro possibile non conformità a principi costituzionali; occorre cioèchiedersi se il regolamenti comunitari siano suscettibili di controllo di legittimità costituzionale.La risposta positiva discende dal fatto che per “legge dello Stato”, di cui all’art. 134 Cost., si deveintendere non soltanto la legge approvata dagli organi statali, ma qualsiasi disposizione avente forza dilegge nel territorio statale.In caso contrario, i regolamenti comunitari finirebbero con il rappresentare variabili indipendenti,interpretabili dalla sola Corte di Giustizia.I diritti fondamentali e i principi dell’ordinamento costituzionale, invece, rappresentano i limiti all’attivitànormativa dell’UE, la quale non può con i suoi regolamenti toccare la struttura e i valori caratterizzanti la

nostra Cost.Occorrerà attendere che sia sovraordinata alle costituzioni e ai principi costituzionali nazionali degli Statimembri una costituzione dell’UE con le relative garanzie.

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Resta comunque la necessità di sottoporre alla nostra Corte cost. la questione di legittimità per come lafonte comunitaria è interpretata dalla Corte di giustizia.Quanto alla direttiva, essa non è immediatamente applicabile ma richiede che ciascuno Stato la attui,emanando disposizioni interne corrispondenti, sotto responsabilità del danno che l’inerzia o il ritardonella recezione provoca al cittadino. Da qualche tempo la prassi ha individuato una categoria di direttivecon efficacia diretta: quando esse siano incondizionate, sufficientemente precise e sia scaduto il termineconcesso allo Stato membro per il recepimento, la direttiva è direttamente applicabile nei rapporti tracittadino e autorità statale (c.d. efficacia verticale), mentre ne è esclusa l’applicabilità diretta nei rapportitra cittadini (c.d. efficacia orizzontale). Le direttive con efficacia diretta prevalgono sulle leggi ordinarie

interne ma sono comunque sottoposte alla Costituzione italiana.La totale identificazione tra regolamenti e direttive direttamente applicabili è però esclusa perché ilTrattato distingue tra interventi di unificazione e interventi di armonizzazione legislativa e quindi graduagli interventi secondo che sia necessaria la stessa disciplina (regolamento) o basti l’omogeneità,l’analogia di disciplina (direttiva).La direttiva direttamente applicabile pone problemi per la teoria delle fonti. Essa, anche quando nondirettamente applicabile, vale come criterio per l’interpretazione del diritto interno. Dipendedell’interpretazione del giudice nazionale, chiamato ad individuare il diritto applicabile, se la direttiva siaidonea a prevalere sulle fonti primarie nazionali o se costituisca un mero parametro di preferibilità tra lemolteplici interpretazioni possibili delle fonti interne. Il giudice, se valuta la direttiva direttamenteapplicabile, disapplica la legge ordinaria statale con essa contrastante; diversamente, applica soltanto lalegge statale, interpretandola in modo conforme alla direttiva.Pertanto, le direttive hanno forza normativa in dipendenza del loro contenuto, cioè di un criteriosostanziale (direttiva dettagliata e quindi direttamente applicabile). Ciò rappresenta un’anomalia nelnostro sistema perché introduce, ad un livello superiore a quello delle fonti primarie, criteri diidentificazione della fonte non formali.Nel rispetto del Trattato, occorre insistere sulla vincolatività soltanto di principio delle direttive: il suocontenuto normativo è vincolante solo per quanto riguarda il conseguimento dello scopo. Pertanto, lalegislazione ordinaria interna deve rispettare solo lo scopo mentre può derogare alla normativa didettaglio eventualmente inserita nella direttiva, purché non siano messi a repentaglio i principi dellastessa.

5. DALL’AUTONOMIA “PRIVATA” ALL’AUTONOMIA “NEGOZIALE”.

Non è semplice definire l’autonomia privata. Una definizione usuale intende per “autonomia privata” ilpotere, riconosciuto o concesso dall’ordinamento statale ad un individuo o a un gruppo, di determinare“vicende giuridiche” in conseguenza di comportamenti liberamente tenuti. In particolare, l’autonomiaprivata viene riconosciuta come attività e potestà, creativa, modificativa o estintiva di rapporti giuridici fraprivato e privato.Al fondo di questa concezione risiede la libertà di regolare da sé le proprie azioni, cioè di determinare leregole mediante una concorde intesa. Dietro il fascino della formula, tuttavia, non si è inteso altro cheliberismo economico e traduzione in regole giuridiche di rapporti di forza mercantili. Questa concezione èradicalmente cambiata nell’ambito della gerarchia costituzionale dei valori ove la libertà della personasubordina a sé l’iniziativa economica. Il quadro attuale va quindi rimeditato con attenzione.Si ritiene superata la distinzione tra natura privata o pubblica del soggetto che compie l’atto diregolamentazione dell’interesse, sicché è esplicazione di autonomia anche quella di un ente pubblico

che decide di agire, non iure imperii ma iure privatorum – ad es. un comune che vuole acquisire unimmobile può concludere un contratto di compravendita col proprietario anziché ricorrere ad unprovvedimento autoritativo. Emerge, quindi, l’inesattezza della tradizionale definizione di autonomiaprivata come potere riconosciuto o attribuito ad un “privato”: il potere spetta in realtà a tutti i soggettigiuridici, siano esse privati o pubblici .Inoltre, c’è da considerare che la regolamentazione degli interessi può anche essere frutto dell’incontrodi volontà di enti pubblici, talvolta previsto espressamente dalla legge. Si pensi al rinvio ai principi delcodice civile per la disciplina degli accordi tra p.a. e cittadini.Pertanto gli strumenti offerti dallo ius civile hanno acquisito la fisionomia di strumenti di diritto comunesvincolato dalla rigida dicotomia “diritto privato-diritto pubblico”.Alla luce di ciò, la locuzione “autonomia privata” può addirittura essere fuorviante.Quanto all’espressione “autonomia contrattuale”, essa coglie esclusivamente quell’attività che si

manifesta con il compimento di un negozio bi- o plurilaterale a contenuto patrimoniale. Sicché lalocuzione più idonea a cogliere la vasta gamma delle estrinsecazioni dell’autonomia e quella di“autonomia negoziale”, perché può riferirsi anche ai negozi a struttura unilaterale e ai negozi acontenuto non patrimoniale.

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Possiamo definire l’autonomia negoziale come il potere riconosciuto o attribuito dall’ordinamento alsoggetto di diritto, pubblico o privato, di regolare con proprie manifestazioni di volontà interesse privati opubblici, comunque non necessariamente propri.

6. AUTONOMIA PRIVATA COME DOGMA.L’autonomia privata è tuttora considerata un dogma: la sua nozione è strettamente legata a quella diiniziativa privata e di attività dei soggetti come espressione della propria libertà. La sua origine storica edideologica può essere ricondotta alle dottrine che, in una prospettiva individualistica, pongono la volontàdei soggetti al centro dell’ordinamento.

Sul presupposto che ciascuno è il miglior giudice dei propri interessi, l’autonomia privata e innanzituttoautodeterminazione, autoregolamentazione, potere della volontà.Circa la natura dell’atto di autonomia privata, si contendono il campo 2 teorie:

- La teoria volontaristica che considera l’atto negoziale come potere della volontà, con i limitidell’affidamento e della responsabilità. L’atto negoziale è vincolante in quanto espressione del soggetto,sicché è prevalente la tutela di colui il quale manifesta la volontà. Tale manifestazione è vincolante serisponde alla volontà effettiva del soggetto o alla sua volontà reale. Il destinatario è tutelato nei limiti neiquali la volontà manifestata è conforme all’effettiva volontà del dichiarante. Questa teoria trascural’esigenza di sicurezza e di correttezza nella circolazione dei beni e sacrifica la tutela dei destinatari delleofferte all’altrui volontà interna, non a quella manifestata.

- La teoria precettiva o normativa secondo la quale l’affidamento del destinatario si realizza su ciò

che ildichiarante ha manifestato all’esterno. Si evitano così gli svantaggi insiti nella concezione precedente.Considerare il negozio come precetto, dichiarazione normativa, autoregolamento significa riconoscereall’autonomia negoziale il ruolo di fonte di diritto.La differenza tra le due opinioni si fa consistere nel fatto che, mentre nella teoria della volontà vi ècorrispondenza tra effetti voluti ed effetti giuridici , nella teoria precettiva vi sarebbe corrispondenza traeffetti dichiarati ed effetti giuridici .In sostanza, in entrambe vi è la tendenza ad instaurare una rispondenza tra volontà, reale o manifestata,ed effetti giuridici.L’autonomia negoziale si traduce, tendenzialmente, nelle libertà di negoziare, di scegliere il contraente,di determinare il contenuto del contratto o dell’atto, di scegliere, talvolta, la forma dello stesso. Ora, inuno stato sociale di diritto, non è giustificabile un’autonomia negoziale quale dogma in sé perché non

tutto ciò che è voluto dalle parti è meritevole di tutela, lecito, ragionevole e proporzionato, cioè conformeai principi e ai valori dell’ordinamento.

7. ATTO DI AUTONOMIA E ATTO DI INIZIATIVA.L’elemento costante nella teoria degli atti e dell’attività dei soggetti è l’iniziativa non l’autonomianegoziale poiché in concreto l’autoregolamento può mancare. Tuttavia, sono stati addotti molti argomentia giustificazione dell’autonomia come dogma o come valore.- Un primo argomento fa leva sulla necessità di preservare l’eguaglianza formale: soltanto con lagaranzia dell’autoregolamentazione concessa a ciascuno, a prescindere dalle condizioni o circostanzeindividuali, sarebbe possibile mantenere la parità di trattamento.L’opinione è smentita dall’attuale legislazione sociale ed interventistica che rifiuta l’eguaglianza formalee, sulla base della diseguaglianza sostanziale, tende a privilegiare la parte debole nei confronti dell’altra

più forte.- Un secondo argomento si ricava dal dogma del parallelismo delle fonti , secondo il quale ciò che ènato per contratto, per libera volontà delle parti, non può essere modificato o estinto che per volontàaltrettanto libera e concorde delle parti stesse. Questo dogma trova numerose smentite. In realtà lastruttura di un negozio modificativo o estintivo non dipende dalla struttura dell’atto costitutivo ma dallavalutazione dell’assetto di interessi, sicché anche una sola parte ha il potere di modificare o estinguere.Inoltre, sono numerose le ipotesi di intervento di fonti diverse dalla volontà delle parti nella formazionedel regolamento contrattuale. Si pensi ad es. all’art. 1339 c.c. il quale dispone che le clausole appostedalle parti ma difformi dalla previsione legale, siano automaticamente sostituite da quelle predispostedalla legge, ovvero alla contrattazione collettiva che si riflette sui contratti individuali di lavoro.L’autonomia si prospetta, quindi, come atto di iniziativa di almeno una delle parti interessate alla

negoziazione. Attuazione non soltanto di diritti soggettivi ma anche di doveri di solidarietà e a volte dispecifici obblighi legali a contrarre. La negoziazione si prospetta sempre più in tecniche e formediversificate, sì da escludere che si possa costruire una figura negoziale unitaria.

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8. FONDAMENTI DIVERSIFICATI DELL’AUTONOMIA NEGOZIALE NEL SISTEMA ITALO- COMUNITARIO DELLE FONTI.

Il tentativo di individuare il fondamento dell’autonomia negoziale nella garanzia costituzionaledell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), è parziale: l’autonomia negoziale non si identifica e nonsi esaurisce con gli atti d’impresa. La negoziazione, avente per oggetto situazioni soggettive nonpatrimoniali, non si può non collegare al principio generale di tutela della persona umana (art. 2 Cost.).Gli atti di autonomia hanno dunque fondamenti diversificati in funzione dei valori e degli interessi darealizzare: gli atti esistenziali trovano sostegno, non nell’art. 41, ma negli artt. 2-3-13 e 32 Cost.; gli atti associativi hanno quali referenti normativi gli artt. 2-3 e 18 Cost.; gli atti di famiglia hanno fondamento

negli artt. 2-29 e 30 Cost.; gli atti di lavoro subordinato trovano supporto negli artt. 1 e 35 ss. Cost.L’autonomia negoziale trova fondamento anche nei principi di diritto comunitario, ispirato a mercato, allaconcorrenza, all’ordine pubblico economico comunitario. Tuttavia, gli atti di autonomia hanno un comunedenominatore nella necessità di essere volti a realizzare interessi e funzioni meritevoli di tutela esocialmente utili; e nell’utilità sociale c’è sempre e comunque l’esigenza che atti e attività non siano incontrasto con la sicurezza, la libertà, la dignità umana (art. 41, 2°co., Cost.).Ovviamente, al diverso fondamento (costituzionale e comunitario) corrisponde una diversa collocazionenella gerarchia dei valori.Nn è possibile dunque un discorso unitario sull’autonomia negoziale: l’unitarietà è assiologia, poichéunitario è l’ordinamento incentrato sul valore della persona. Pertanto, piuttosto che individuare “il”fondamento dell’autonomia contrattuale, sono da ricercare “i” fondamenti (costituzionali e comunitari)dell’autonomia negoziale.

9. AUTONOMIA CONTRATTUALE E DIRITTO COMUNITARIO.L’autonomia negoziale, ed in particolare l’attività contrattuale, deve essere esaminata anche dalversante del diritto comunitario. L’obiettivo di promuovere l’unione economica e monetaria e lo sviluppodelle attività economiche dei Paesi membri si è tradotto in una normativa che incide sull’autonomiacontrattuale nel senso non tanto di “limitarla”, quanto di “modularla” in funzione del progressivoconseguimento di tali finalità.In questa ottica va valutata la disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa e quella che imponeagli imprenditori (c.d. professionisti) precisi obblighi di informazione e conferisce ai consumatori/utentiefficaci strumenti di tutela. Emblematica è la normativa sul c.d. ius poenitendi (diritto di ripensamento) inmateria di contratti “negoziati fuori dei locali commerciali”. Di rilievo sono gli obblighi gravanti sulle

imprese di investimento e sulle banche di comportarsi con diligenza , correttezza e trasparenza e dioperare in modo che i loro clienti siano sempre adeguatamente informati. Non meno rilevante è l’obbligodel professionista, nell’ambito dei contratti “a distanza”, di fornire al consumatore tutte le informazioni“per iscritto o su altro supporto duraturo a sua disposizione ed a lui accessibile”.Strumento per la realizzazione di un efficace sistema di circolazione delle informazioni, che attenui ladisparità di forza tra il professionista e il consumatore/utente, è la disciplina di matrice comunitaria voltaa depurare il contenuto dei contratti dalla clausole c.dd. abusive o vessatorie, cioè da quelle pattuizioni –non ignote al nostro codice civile (art. 1341, 2°co.) – che “determinano a carico del consumatore unsignificativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.In conclusione:

- Nell’ambito della disciplina comunitaria un ruolo decisivo è attribuito alla veste che assume e conla

quale è “veicolata” l’informazione: la forma scritta; sicché anche nell’ordinamento comunitario si discorredi “rinascita” del formalismo o di “neoformalismo”;

- Appare sempre più concreta l’opportunità di una diversificazione dell’autonomia contrattuale, daoperare in ragione della natura dei soggetti: autonomia del “professionista” e autonomia delconsumatore/utente;

- Si va concretando la rilevanza dello stato di debolezza economica dei soggetti, anche se“professionisti”, nei confronti di chi comunque sia in grado di determinare un eccessivo squilibrio;

- Il processo di “riavvicinamento” degli ordinamenti dei Pesi membri della Comunità sembraprocede con

passi meno incerti.

10. LIMITI ALL’AUTONOMIA NEGOZIALE E GIUDIZIO DI MERITEVOLEZZA DELL’ATTO.

L’atto di autonomia negoziale non è un valore in sé: lo può essere se ed in quanto risponda ad uninteresse meritevole di tutela. Occorre verificarlo di volta in volta.Si è ritenuto, nell’immediato dopoguerra, che alcune norme del codice del ’42, ispirate all’interventismoeconomico, fossero incostituzionali giacché contrarie alla libertà di iniziativa privata.

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Si parlò di profanazione dell’autonomia privata dovuta a disposizioni quali l’art. 1339 c.c., che prevedel’inserzione automatica di clausole nei contratti, o l’art. 1419, 2° co., il quale stabilisce che la nullità diuna clausola non importa la nullità del contratto se la clausola invalida può essere sostituitaautomaticamente. Queste norme limitano l’autoregolamento perché prevedono l’inserimento automaticodi una regola esterna in un contratto, rispondente al fenomeno di integrazione del contratto mediantenorme, usi ed equità secondo l’art. 1374 c.c. Il regolamento contrattuale ha le sue fonti, oltre che nelcontratto, nella legge, negli usi, nell’equità.Costituisce un limite positivo all’autonomia privata la previsione dell’esecuzione specifica dell’obbligo acontrarre. Con l’art. 2932 si tende al risultato concreto voluto dalle parti, anche se una di esse non può o

non vuole più concludere il contratto.La preoccupazione di chi considera incostituzionali tali norme non si giustifica.Le norme in questione sono armonizzabili con i principi costituzionali perché possono servire a superarela diseguaglianza di fatto, a creare i presupposti per una parità di trattamento. I c.dd. limiti all’autonomia,posti a tutela dei contraenti deboli, non sono più esterni ed eccezionali, ma interni.

11. GERARCHIA DEI VALORI E MERITEVOLEZZA DELL’ATTO.L’attenzione va incentrata sugli aspetti teleologici e assiologici degli atti di autonomia negoziale, sullaloro meritevolezza secondo l’ordinamento giuridico. La gerarchia dei valori in base alla quale esprimere ilgiudizio di meritevolezza è prestabilita nelle fonti normative gerarchicamente superiori, mentre l’iniziativae le modalità delle sue concrete attuazioni sono più di prima rivendicate, in una sorta di sussidiarietà,alla liberta delle parti interessate.Tutto ciò va collocato nell’esperienza di una economia globale, che tende invece ad essererappresentata mediante una prassi mercantile, rivolta ad identificare il contenuto dell’ordine pubblico coni “principi comuni alle nazioni civili”. Si pensi alla lex mercatoria, quale diritto creato dal cetoimprenditoriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati, e formato da regole destinate adisciplinare in modo uniforme i rapporti commerciali che si instaurano entro l’unità economica deimercati.Occorrerebbe riconoscere che “ciò che è valido” nelle nazioni di civiltà affine non può non essere validonella nostra nazione. Al di là della problematicità di definire “civili” le nazioni, al fondo v’è una diversaaccezione di mercato che, oggi, può essere definito come uno statuto normativo complesso destinato agarantire il suo regolare funzionamento mediante un’adeguata tutela sia del produttore che delconsumatore e nell’assoluto rispetto delle primarie, indifferibili esigenze dell’uomo.

12. TIPICITA’ E ATIPICITA’ NEI CONTRATTI: A) PRELIMINARE SUPERAMENTO DELLABIPARTIZIONE TRA CONTRATTO IN GENERALE E SINGOLI CONTRATTI.

Il tema dell’autonomia negoziale è normalmente ricondotto alla dicotomia contratti tipici-contratti atipici ;dicotomia enfatizzata dalla concezione della causa come funzione economico-sociale che se, rispetto ainegozi nominati e dotati di una disciplina legale, il controllo circa l’idoneità della causa si può ritenere giàfatto dalla legge in astratto, rispetto ai negozi che non rispondono a tipi legali l’idoneità della causa deveessere controllata dal giudice di volta in volta in concreto.Preliminarmente occorre soffermarsi su un’ulteriore distinzione dottrinale, anch’essa da arginare: quellatra la disciplina generale del contratto e le singole discipline dei c.dd. contratti tipici .Il nostro codice civile dedica una prima parte al contratto generale e, a seguire, mostra attenzione verso isingoli contratti, definiti “tipici ” o, meglio, “tipi che hanno una disciplina particolare”. Tale netta distinzione

è oggetto talvolta di interpretazione rigida ed eccessiva che prescinde dalla necessaria interdipendenzache deve invece sussistere tra le due discipline, per risolversi nella riconduzione meccanica del fatto altipo legale.Un tale modo di argomentare fa sì che la parte generale del contratto e, ancor di più, i principi generali diderivazione non soltanto codicistica, ma anche speciale e comunitaria, rischiano di non trovare correttaapplicazione. Tale rischio è frutto del metodo meramente deduttivo della sussunzione sillogistica, basatosulla distinzione tra fattispecie astratta e fattispecie concreta. Sicché è apparso preferibile discorrere, piùche di fattispecie astratta, di “tipo”, di “sottotipo”, di fattispecie dotata di “elasticità”.Un ulteriore argomento utile per superare la netta distinzione tra contratto in generale e singoli contratti(c.dd. tipi normativi), si trae dall’art. 1323 c.c., secondo il quale “tutti i contratti, ancorché nonappartengono ai tipi che hanno una disciplina particolare sono sottoposti alle norme generali contenutein questo titolo”. L’interpretazione di tale disposizione non è pacifica: taluni, giustamente, considerano la

disciplina del singolo tipo incompleta, perché da integrare con la disciplina del contratto c.d. generale;altri, diversamente, tendono a considerarla esaustiva. Quest’ultimi sostengono che al concreto contrattosi applica esclusivamente la sua disciplina particolare. Questa impostazione non è accettabile perché la

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disciplina particolare non esclude il suo inserimento nel sistema, anzi lo presuppone: non è possibileindividuare la disciplina del singolo contratto se non lo si colloca nella disciplina generale del contratto.Sotto questo profilo, lo studio dei contratti lamenta anche la netta separazione tra disciplina del contratto (generale o particolare) e disciplina delle obbligazioni o, meglio, delle situazioni  patrimoniali . Al riguardo, occorre tener presente che la disciplina di un singolo contratto non è affattoesaustiva, ma va completata con le discipline del contratto in generale ed anche delle situazionipatrimoniali.Va superata anche la polemica alimentata dal pregiudizio che nel nostro ordinamento esisterebbe solo lafigura del contratto in generale e non vi sarebbe spazio per la categoria del negozio giuridico. Nel

codice civile si è scelto di disciplinare il contratto, ma anche del contratto in generale non c’è traccianella realtà. Il legislatore non ha certo voluto disciplinare qualcosa che non c’è quanto piuttosto ha volutostabilire un insieme di principi e di regole tendenzialmente applicabili ai contratti, compresi quelli c.dd.tipici.

13. B) DISTINZIONE TRA LICEITA’ E MERITEVOLEZZA DELL’ATTO.L’autonomia negoziale è meritevole di tutela se risponde non soltanto ai principi presenti a livelloordinario ma a quelli gerarchicamente superiori che operano nel sistema italo-comunitario delle fonti.In questa prospettiva liceità e meritevolezza non si identificano. Il problema di traduce nell’alternativa:riservare autonomia concettuale e normativa al complessivo art. 1322 c.c. o affermare l’inutilità delsecondo comma (1° co.: “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge”; 2° co.: “le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondol’ordinamento giuridico”).Quest’ultima soluzione trova spazio quando si identifica il disposto di cui al 2° co. con la valutazione dinon illiceità e, quindi, con le norme che discorrono di causa illiceità per contrarietà a norme imperative,all’ordine pubblico o al buon costume (art. 1343), di contratto in frode alla legge (art. 1344) e di motivoillecito (art.1345).Non appare però corretto esaurire la portata dell’art. 1322, 2°co., nel giudizio di liceità. Tale soluzione ècontraddetta dalla consapevolezza che il contratto, anche tipico, va sempre sottoposto al controllo dimeritevolezza: che le parti possano anche concludere contratti atipici purché diretti a realizzare interessimeritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico è principio generale. Non basta che l’atto sia lecito, ènecessario che sia meritevole di tutela in quel contesto particolare (in considerazione di quei soggetti, di

quel momento, di quella clausola aggiunta...): l’atto negoziale è valido non tanto perché voluto ma se, esoltanto se, destinato a realizzare, secondo un ordinamento fondato sul personalismo e sul solidarismo,un interesse meritevole di tutela.L’affermazione, secondo la quale il concreto negozio è tipico se corrisponde ad una fattispecie astrattadisciplinata dalla legge, mentre è atipico se non è previsto da alcuna norma, ha una mera valenzaclassificatoria, descrittiva. È necessario sempre dare prevalenza alla concretezza del contratto, anzichéalla sua astratta previsione. Occorre, dunque, ragionare per problemi non per concetti . L’atteggiamentomentale deve cambiare: occorre individuare il contratto concreto mediante un’attenta analisi di tutti i suoiaspetti e peculiarità.In primo luogo è doveroso compiere un’analisi meticolosa del caso concreto (metodo casistico); poi,anziché sussumerlo nella fattispecie astratta o in un tipo secondo l’ordinamento di riferimento, vaindividuata la normativa da applicare in modo che risulti la più ragionevole ed adeguata.

È basilare, altresì, interpretare i commi 1 e 2 dell’art. 1322 c.c., senza separarli, ma collegandoli fra diloro. La loro lettura disgiunta ha indotto ad asserire la superfluità per i contratto tipici del controllo dimeritevolezza, necessario soltanto per la clausola atipica o il contratto atipico. In realtà, non si puòcompiere un controllo di meritevolezza di una clausola atipica, contenuta in un contratto tipico, se primanon si comprende come essa incide su quel contratto. Ad es. se in una compravendita il pagamento delprezzo è rinviato di cent’anni, si è dinanzi ad una clausola che finisce col trasformare la normalefunzione di quel contatto.Nel codice civile del ’42 l’autonomia negoziale non si identifica più col voluto, né è fondata sull’obbligo dirispettare il patto (secondo l’antico brocardo pacta sunt servanda); si introducono il controllo dimeritevolezza, l’integrazione e la sostituzione di autorità degli effetti voluti dalle parti con effetti legaliragionevolmente collegabili a quel contratto.L’autonomia negoziale, dunque, non è soltanto autoregolamentazione, ma sintesi tra

autoregolamentazione ed etero regolamentazione. La rispondenza al tipo non è richiesta: è sufficienteriferirsi all’interesse perseguito e giudicato meritevole di tutela.

14. C) CRISI DELLA DISTINZIONE TRA CONTRATTI TIPICI E ATIPICI.

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Il superamento della netta demarcazione tra tipicità e atipicità dei contratti trova numerosi riscontri nellafenomenologia negoziale. Si pensi al radicale cambio di atteggiamento nei confronti delle patologienegoziali . Dalla netta contrapposizione tra le figure della nullità ed annullabilità hanno tratto via viaimportanza le eccezioni: la nullità non è soltanto assoluta, ma relativa; non è soltanto totale, ma parziale;s’individuano ragioni per derogare alla disciplina dell’annullabilità. Ciò in quanto i “rimedi” devono essereadeguati agli interessi, sicché la prevalenza della nullità parziale, quale espressione della prevalenza delprincipio di conservazione degli effetti, è condivisibile ogni qualvolta è bene che il contraente (debole)raggiunga il risultato, almeno in parte. La nullità è divenuta per lo più nullità di protezione, di garanzia;sicché, non più “chiunque vi ha interesse” è legittimato a far valere la nullità, ma soltanto colui che è

garantito dalla nullità.Ne deriva la necessità di ricostruire la nozione di contratto non i termini generali ed astratti masottolineando l’interesse regolato, il fenomeno sostanziale, fatto da tante circostanze che non possonoessere tutte previste. Si pensi che un specifica operazione, se conclusa fuori da locali commerciali, hauna disciplina diversa rispetto alla medesima operazione realizzata in un locale commerciale; e qualorasia conclusa da un contraente “debole”, deve essere sottoposta alle normative che tutelano costui.Emergono in modo sempre più intenso principi che esigono applicazione non solo nei confronti deiconsumatore, ma ovunque vi sia un contraente debole nei confronti di un contraente forte e ovunque visia un approfittamento, una mancanza di equilibrio, un regolamento ingiusto. Emblematico si rivela ilcontratto di subfornitura che ha introdotto il principio fondamentale secondo il quale va assicurata tutelaanche all’imprenditore-subfornitore che si trovi in una posizione di debolezza nei confronti di un altroimprenditore.Si tratta di normative a protezione di chi, in concreto, subisce una imposizione ingiusta, irragionevole,squilibrata, sproporzionata.Il controllo di meritevolezza si ispira sempre più al principio di proporzionalità. Proporzionale non vuoldire che deve esserci equivalenza di prestazioni né netta corrispettività, ma equilibrio, proporzione nel regolamento. Si pensi al caso di chi, volendo acquistare l’appartamento confinante per ampliare ilproprio, è disposto a pagare un surplus rispetto al valore di mercato. Nessuno potrebbe affermare chel’acquirente, pagando di più, conclude un contratto non meritevole per la mancata corrispondenza delprezzo con il valore di mercato.Non concorrono all’individuazione del tipo contrattuale:

- La struttura negoziale, in quanto la medesima funzione può essere realizzata mediante piùstrutture

secondo il principio dell’economia degli atti e delle dichiarazioni. La variabilità della struttura induce aconcludere che quest’ultima non incide sulla individuazione della funzione e prescinde del tutto dallatipicità o atipicità del contratto. Si pensi alla remissione del debito. È un negozio che produce il proprioeffetto (estinzione dell’obbligazione)con strutture diverse: a volte occorre una struttura bilaterale; altre èsufficiente una struttura unilaterale. In particolare, occorre accertarsi se ogni dichiarazione di volontàdelle parti sia necessaria. Nell’esempio precedente, occorre verificare se il debitore abbia o meno uninteresse giuridicamente rilevante alla non estinzione dell’obbligazione. Se ha tale interesse, devepartecipare alla struttura ed il negozio sarà bilaterale. Se manca, si avrà la struttura unilaterale.

- La forma della manifestazione. Si pensi alla donazione: purché fatta per spirito di liberalità,sarà

donazione sia quella che si realizza mediante atto pubblico, sia quella di modico valore possibile anchesenza atto pubblico.

- L’oggetto del contratto, che non è decisivo per l’individuazione del tipo, ma concorre adelimitarne la

portata e la disciplina. In proposito si può fare riferimento alla definizione legislativa di vendita (art. 1470 c.c.) quale “contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”. La vendita può avere ad oggetto non soltanto il diritto diproprietà ma qualsiasi altro diritto, sicché l’art. 1470 va correlato agli artt. 1260 e ss. c.c., contenenti ladisciplina del trasferimento del credito. Secondo l’art. 1260 , però, “il creditore può trasferire a titolooneroso o gratuito il suo credito”.È la funzione, dunque, ad incidere sull’identificazione del contratto, è la causa a qualificare il contratto,non l’oggetto, né tanto meno la forma o la struttura.Il contenuto del contratto, quale atto nel suo complesso, l’insieme delle pattuizioni, concorre, invece,all’individuazione degli effetti della fattispecie e, quindi, alla sua interpretazione e qualificazione. Ciò cherileva è individuare l’insieme della clausole contrattuali e degli affetti legali quale contenuto di quelparticolare determinato contratto, a prescindere dalla tipicità o dalla atipicità.Talvolta si confondono tipicità e tassatività. In un noto trattato sulla proprietà, Gambaro afferma che lapresenza di un sistema di pubblicità legale (la trascrizione) esclude già di per sé che la sola autonomia

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privata possa generare nuovi diritti reali. Ma tipicità dei contratti e tassatività della pubblicità sonoconcetti diversi. L’art. 2643 c.c., nello stabilire che “si devono rendere pubblici col mezzo dellatrascrizione: 1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili ”, intende che si debba trascriverenon soltanto la compravendita, riferendosi così ad un tipo, ma anche, ad esempio, un mandato adalienare o ad acquistare un bene immobile che produce ugualmente il trasferimento del diritto. Ancora,secondo l’art. 2643 c.c., vanno trascritti “i contratti di locazione di beni immobili che hanno duratasuperiore a nove anni ”. Tale norma intende riferirsi non al tipo locazione ma alla funzione di dare ingodimento un bene immobile. Pertanto, sarà applicabile anche in caso di leasing o comodato di duratasuperiore a nove anni.

Un cenno meritano i negozi costitutivi di società. Al riguardo si rinvengono forme transazionali ocontratti societari comunitari non previsti dal codice civile. Sarebbe pertanto riduttivo considerarecontratti di società soltanto quelli tipici. La giurisprudenza, in un caso di s.r.l., ha contribuito a distinguereil contenuto tipico da quello atipico: la s.r.l. si caratterizza per la limitazione di responsabilità, sicché unaclausola statutaria che prevedesse l’estensione della responsabilità ai soci sarebbe nulla. Tuttavia, siasserisce la validità di un patto parasociale nel quale i soci si impegnano a sottoscrivere un aumento dicapitale qualora la società si trovasse in difficoltà. La differente soluzione è giustificata dalla circostanzache le questioni attengono a due piani diversi: lo statuto è affidamento per i terzi; il patto parasocialeimpegna solo i soci. Si profila, quindi, la possibilità che sotto l’etichetta “s.r.l.” si rivelino assetti societaridiversi che, però, non saranno legali, bensì “sociali” o “giurisprudenziali”.È doveroso, infine, riservare qualche attenzione a tre importanti figure: i negozi collegati, misti e indiretti.a) Negozi collegati . Mediante l’uso di più negozi, ognuno con una funzione tipica o atipica che sia, sipersegue non la realizzazione degli effetti ad essi individualmente attinenti, ma un unico scopo, e ciò invirtù della sequenza logica e cronologica mediante la quale viene a prodursi il collegamento tra i negozi:risultato finale non realizzabile altrimenti in mancanza anche di uno solo di essi. L’atto non può esserepiù valutato nella sua individualità e, quindi, non ha senso definire ancora il singolo atto “tipo”.L’operazione è destinata a produrre un certo effetto: la funzione realizzata non si può identificare con lesingole funzioni degli atti, ma con la funzione complessiva. E lo stesso controllo di meritevolezza vaeffettuato sul complesso dell’operazione.b) Contratti misti . Si pensi al contratto di parcheggio o di portierato, entrambi misti perché sarebberonient’altro che la somma si più contratti tipici. Tuttavia, potrebbe risultare misto anche un contrattocostituito dall’insieme di uno legalmente tipico e di uno socialmente tipico o neppure socialmente tipico.c) Negozio c.d. indiretto. Si ha negozio indiretto quando si utilizza uno schema tipico per raggiungere

uno scopo che non è quello normalmente riconducibile a quel dato tipo negoziale ma è ulteriore oaddirittura diverso. Questa non è una situazione anomala perché il modello di organizzazione degliinteressi è quello tipico mail concreto interesse è diverso da quello normalmente perseguito,verificandosi una divergenza tra scopo pratico e funzione tipica. Ad es. il ricorso al mandato ad alienarepuò realizzare in concreto un trasferimento della proprietà. Non vi è nulla di anomalo: si avrà un usoindiretto del mandato, tipicamente destinato a conferire un incarico. Pertanto, è corretto discorrere,anziché di negozio indiretto, di “uso indiretto del negozio”.

15. NUOVI PROFILI DEL CONTRATTO.Le forti trasformazioni sociali, l’internazionalizzazione dell’economia, le innovazioni tecnologiche hannoavuto sulla nozione di contratto un effetto dirompente. Paradigmatica è l’evoluzione dell’uso dellostrumento contrattuale nelle relazioni industriali, nella materia del lavoro, da parte delle pubbliche

amministrazioni.Oggi il fenomeno contrattuale può essere definito plurimo, riconducibile ad una unità minima sempre piùarricchita dalla circostanze peculiari delle singole fattispecie. Ciò comporta, da un lato, l’insufficienza e lascarsa utilità della disciplina c.d. generale, dall’altro, la necessaria stretta integrazione di questa con lediscipline di settore e con quelle concernenti i singoli contratti, in un unico sistema aperto dal quale trarrei principi e regole più ragionevoli ed adeguati agli interessi in gioco secondo un’interpretazione che siallontani dal meccanismo della sussunzione del fatto nella fattispecie astratta.Non sembra idonea, tuttavia, nemmeno il procedimento opposto rispetto alla sussunzione, consistentenel c.d. metodo tipologico. Questa tecnica fa sì che si producano gli effetti legali enunciati per un tipocontrattuale, purché vi sia identità tra le singole parti del contratto e le singole attribuzioni costitutive deltipo legale, anche se hanno una funzione diversa. Al contrario, nel procedimento analogico condizionedi operatività degli effetti di una fattispecie legale è non tanto l’affinità con il fatto concreto, quanto

soprattutto la stessa ratio, l’identità degli interessi da contemperare.L’esigenza di rapidità delle contrattazioni e, ancor di più, il principio di economia degli atti hannoconsentito l’elaborazione di una teoria degli atti più articolata, ispirata al superamento di una concezionepan contrattualistica e ancora suggestionata da un falso principio di simmetria, secondo cui ciò che

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nasce per contratto dovrebbe estinguersi per contratto. Pluralità di strutture si prospettano come unagamma utilizzabile secondo una regola di adeguatezza al rapporto concreto e secondo la funzione cheesso si propone di realizzare.Questa prospettiva consente, da un lato, il ridimensionamento dell’assoluto valore del principiodell’intangibilità delle sfere giuridiche patrimoniali, in virtù del quale l’atto sarebbe idoneo a produrreeffetti soltanto entro la sfera giuridica dell’autore; dall’altro, l’enunciazione del principio della variabilitàdella struttura, sicché una vicenda costitutiva, modificativa, estintiva si prospetta realizzabile in astrattomediante strutture negoziali diverse.Si profilano i tratti distintivi tra contratto e contrattazione e assume significati nuovi la fase delle trattative,

fortemente ridimensionata dal fenomeno della standardizzazione e delle predeterminazione delcontenuto ad opera della concertazione. Si fanno più incerti i confini tra la fase precontrattuale e quellacontrattuale vera e propria e quindi anche la distinzione tra responsabilità contrattuale e precontrattuale.Il fenomeno dell’integrazione contrattuale, ben collegato al principio di conservazione, si traduce semprepiù nella prevalenza del raggiungimento dello scopo e quindi dell’esecuzione specifica rispetto allarisoluzione e al risarcimento. Ne consegue una rifondazione del sistema delle patologie del contratto chetenga conto innanzitutto dell’interesse sostanziale che domina la fattispecie concreta.

16. AUTONOMIA NEGOZIALE TRA “LIBERTA’” E “GIUSTIZIA CONTRATTUALE”.L’autonomia negoziale si colloca tra libertà e giustizia contrattuale. Secondo la Corte cost., i principi dicorrettezza e buona fede nelle trattative e nella formazione ed esecuzione del contratto, le regole dellacorrettezza professionale ed i doveri correlati alla responsabilità extracontrattuale non costituiscono unargine sufficiente alla libertà di scelta del contraente e di determinazione del contenuto del contratto; nonsono, pertanto idonei a sopperire all’alterazione dell’equilibrio tra le parti che consegue all’essere una diesse in posizione di supremazia. Ciò induce a rivedere le posizioni dottrinali che esauriscono il controllodell’autonomia negoziale nella clausola di buona fede.L’autonomia negoziale si colloca altresì tra libertà e mercato libero. Ma il mercato è uno statutonormativo, sicché il problema è quale sia lo statuto normativo conformativo del mercato e quindidell’autonomia negoziale: la regolamentazione dell’autonomia negoziale diventa ad un temporegolamentazione del mercato. In questo contesto è opportuno collocare il principio di proporzionalità,verso il quale la dottrina mostra una certa diffidenza. A tal proposito, una risalente opinione sostenevache, al fine di costituire il contratto a titolo oneroso, non è sufficiente che da esso derivino vantaggi per entrambe le parti, bensì occorre che tra questi vi sia un rapporto di equivalenza intangibile. L’equilibrio

contrattuale però potrebbe corrispondere ad un’eguaglianza obiettiva di valore tra vantaggi e sacrificirispettivi delle parti. È, dunque, assolutamente necessario distinguere la valutazione economica dellaprestazione dagli interessi, a volte non patrimoniali, che caratterizzano il contratto.

17. AUTONOMIA CONTRATTUALE, PROPORZIONALITA’ E RAGIONEVOLEZZA.Oggi, sotto la spinta della normativa comunitaria e soprattutto ad opera dell’elaborazione da parte della

Corte di giustizia, è entrato a far parte dell’ordinamento, specie in materia contrattuale, il principio di  proporzionalità. Esso è destinato ad incidere profondamente sulla moderna concezione de contrattoche, in tal modo, si allontana definitivamente dalla tradizionale interpretazione volontaristica del principio pacta sunt servanda. La giurisprudenza italiana ha affermato che la proporzionalità costituisce il precettopiù importante dell’art. 3 cost. La portata del principio è divenuta tale da poterlo applicare ben oltre lematerie disciplinate dal diritto comunitario.

Prima di individuare la disciplina della sproporzione contrattuale nella normativa nazionale è necessarioprocedere alla verifica del grado di autonomia del principio di proporzionalità rispetto ad altri principi,utilizzati spesso in combinazione con esso: la ragionevolezza e l’adeguatezza.L’operatività del principio di proporzionalità nei contratti appare affidata ad un collegamento traelementi di raffronto omogenei, comparabili e quantificabili . La proporzionalità ha valenza sul pianoquantitativo e determina, ma non sempre (si pensi alla disciplina della multiproprietà nella quale, allaviolazione del principio di proporzionalità, non segue la riduzione bensì la nullità delle clausolecontrattuali o dei patti aggiunti), la conseguenza della riduzione del contratto. Viceversa, quando ilcollegamento è tra elementi disomogenei, non comparabili, che coinvolgono interessi non quantificabili ,ad esempio non patrimoniali, ne consegue un bilanciamento tra questi che non può tradursi sul pianodella quantità, ma esige necessariamente una valutazione qualitativa. In tale ipotesi entrano in funzionesia il principio della ragionevolezza sia il principio di adeguatezza.

La proporzionalità consiste nella giusta proporzione o quantificazione e configura, quindi, un parametroulteriore e successivo rispetto a quello della ragionevolezza (intesa come astratta giustificabilità), unadiversa modalità di valutare l’entità dell’interesse patrimoniale.

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Il principio di proporzionalità è, quindi, una norma applicabile anche quando manchino regole ad hoc, dacoordinare con altri principi sistematicamente collegati ad esso.Nell’analisi tesa ad individuare i fondamenti costituzionali del principio di proporzionalità emergonoalcune norme:

- L’art. 53 Cost., in base al quale tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione dellaloro

capacità contributiva, funge da presupposto e parametro per l’imposizione tributaria e costituisce, quindi,un limite al potere legislativo sia in termini di ragionevolezza che di proporzionalità,

- L’art. 36 Cost., che esprime il principio della retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità

dellavoro prestato, non sembra ispirato solo al principio di proporzionalità in chiave quantitativa, ma anche,all’adeguatezza e alla ragionevolezza, sì da assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenzalibera e dignitosa.

- L’art. 97 Cost., che, secondo parte della dottrina, assume il principio di proporzionalità qualecriterio di

buona amministrazione.Quindi, il principio di proporzionalità non soltanto è compatibile con il nostro sistema costituzionale ma èaltresì presente nello stesso.Il principio di proporzionalità, assumendo portata generale nel sistema, è destinato a svolgere un ruoloancora più rilevante sia nell’interpretazione contrattuale sia nel delicato controllo di meritevolezza delle

clausole contrattuali e dell’intero assetto negoziale sia nel più ampio processo di individuazione dellanormativa da applicare al caso concreto. Il principio si propone, altresì, come parametro di una nuovaclassificazione delle norme in materia, in modo da attribuire ad esse una qualificazione diversa quantoalla loro natura eccezionale o regolare e da consentire la loro più ampia o più ristretta applicazione. Cosìin materia di garanzie: in tema di ipoteca si afferma il principio della riduzione proporzionale dellagaranzia quando sono stati eseguiti pagamenti parziali tali da estinguere almeno 1/5 del debito. Laprevisione, alla luce del principio di proporzionalità, dovrebbe essere applicato non solo nella fase diesecuzione ma anche in quella genetica.Per quanto attiene al rapporto tra diritti ed obblighi, il principio di proporzionalità vale non ad imporre unaequivalenza ma a vietare una sproporzione eccessiva ed ingiustificata. La giurisprudenza, già sotto ilcodice del 1865, aveva elaborato la rescissione e la risoluzione per eccessiva onerosità, che il codicedel ’42 ha fatto proprie. La rescissione è caratterizzata, nella fase genetica, sia dalla sproporzione tra le

rispettive prestazioni, sia da ulteriori elementi, quali lo stato di bisogno. Nella risoluzione per eccessivaonerosità, viceversa, la sproporzione si realizza nel momento funzionale che, a differenza di quantoaccade nella rescissione, non è predeterminato da una sproporzione c.d. legale, consentendol’applicazione di criteri giurisprudenziali.Il problema consiste nel verificare se, anche in chiave di giudizio di meritevolezza, possa valere nonsoltanto il criterio della ragionevolezza – cioè la proporzionalità qualitativa nel bilanciamento tra interessinon solo patrimoniali –, ma anche la proporzionalità in senso quantitativo. Il discorso si complica perchémolto spesso lo squilibrio si determina in combinazione con altre circostanze: stato di pericolo epossibile danno alla persona, stato di bisogno e approfittamento. Tuttavia, il principio di proporzionalità sipuò realizzare a prescindere dallo stato di bisogno o di approfittamento o di altre situazioni. Dovrebbealtresì prescindere dall’adempimento degli obblighi di informazione, trasparenza e parità di trattamento;da ogni considerazione relativa all’integrità del consenso e alla capacità di agire sei contraenti; dovrebbe

prescindere dalla clausola generale di buona fede.Non appaiono, inoltre, superabili le diversità tra la rescissione e l’usura. L’una, infatti, non sembrasostituita dall’altra, m concorrono entrambe, in quanto: a) nella rescissione occorre dimostrare sia ilnesso tra lo stato di bisogno e le condizioni inique subite sia l’approfittamento, mentre nell’usura èsufficiente che la parte si trovi in condizioni di difficoltà economico finanziarie; b) lo stato di bisogno puòessere del tutto passeggero e non si identifica con lo stato di difficoltà economico finanziarie; c) lo statodi bisogno costituisce un’aggravante e non un elemento costitutivo della fattispecie “usura”. Si tratta dirimedi diversi che consentono di introdurre nel nostro ordinamento il principio di proporzionalità qualeprincipio a sé.Il principio ha rilevanza anche in sede ermeneutica e argomentativa, quale applicazione proporzionatadella norma.In conclusione, il principio di proporzionalità si realizza con modalità diverse secondo i contratti e isoggetti. La conseguenza normale, ma non esclusiva, della violazione del principio di proporzionalità è lariduzione ad equità, rectius, a proporzione. Spesso a questa si affiancano or al’inefficacia relativarilevabile d’ufficio, ora la nullità della clausola squilibrante e la conservazione del contratto.

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18. PLURALITA’ DI FONTI NORMATIVE, INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO E SUSSIDIARIETA’.

Alla luce della pluralità delle fonti, dovuta al fenomeno del decentramento, l’integrazione contrattualeassume oggi una complessità maggiore e ben più problematica diventa la stessa interpretazione delcontratto. Quest’ultimo, infatti, si apre ad un’integrazione ispirata ad una doppia prospettiva: da un lato, ilrispetto delle sue peculiarità; dall’altro, l’esigenza di un’apertura transazionale verso il nuovo iusgentium.I principi del diritto comunitario producono conseguenze dirette sui rapporti giuridici tanto dacondizionare ed orientare lo stesso intervento normativo sulla sfera di libertà ed autonomia negoziale,

intervento giustificato dal principio di sussidiarietà. Da tale principio traggono origine i fenomeni deldecentramento delle competenze e della pluralizzazione delle fonti normative. La stessa Costituzionediscorre oggi di sussidiarietà dell’autonomia negoziale: il nuovo art. 118, comma 2 cost., intende l’attivitàdei privati, singoli o associati, come attività di regolamentazione in termini di sussidiarietà.

19. AUTONOMIA “SINGOLARE” E AUTONOMIA “COLLETTIVA”.Con riferimento al tipo di interesse regolato distinguiamo:

a) L’autonomia “individuale” , che indica il potere di regolare interessi di pertinenza esclusiva deisoggetti agenti o dei loro rappresentanti, siano essi persone fisiche o enti.

 b) L’autonomia “collettiva” , che designa il più specifico potere riconosciuto o attribuito agli entic.dd.

esponenziali di regolare interessi delle categorie professionali o sociali che essi rappresentano. Vannoricondotti all’autonomia collettiva, ad es. il potere delle associazioni sindacali dei prestatori e dei datori dilavoro di concludere contratti collettivi di lavoro per le categorie da esse rappresentate.Pertanto, ai fini della distinzione tra autonomia “individuale” e “collettiva” è rilevante non la struttura delsoggetto agente (individuo o ente) bensì il tipo di interesse da regolare. Così mentre l’autonomiacollettiva, per sua intrinseca natura, non può di certo competere al soggetto-individuo, quella c.d.individuale va riconosciuta non soltanto a quest’ultimo ma anche al soggetto-ente. Ad esempiol’associazione sindacale che intende acquistare un sistema informatico da installare nella propria sede,esplica, con la conclusione del relativo contratto di compravendita, il potere di autonomia “individuale”;laddove esercita il potere di autonomia collettiva qualora stipuli un contratto collettivo di lavoro al fine diregolare gli interessi dei propri iscritti, dei quali ha la rappresentanza.L’importanza dell’autonomia collettiva è notevole anche grazie alla giurisprudenza che considera

applicabili a tutti gli appartenenti alla categoria le norme favorevoli al lavoratore, specie per quantoattiene alla determinazione del minimo inderogabile. Dunque, l’accordo collettivo concorre ad integrarel’ordinamento.Da quanto esposto emergono due corollari.

1. Sul piano sostanziale, è semplicistica la tendenza a cogliere la distinzione tra autonomiaindividuale ed autonomia collettiva nella mera circostanza che la prima spetta a soggettiindividuali, cioè a persone fisiche, e la seconda a soggetti collettivi, cioè ad enti o gruppi;

2. Sul piano descrittivo, per fugare l’errata convinzione che l’autonomia individuale spettiesclusivamente alle persone fisiche, è preferibile discorrere di autonomia “singolare” .

20. AUTONOMIA NEGOZIALE “ASSISTITA”.Nella legislazione speciale degli ultimi decenni si è fatto sempre più ricorso a forme di condizionamento

e di controllo dell’autonomia negoziale rivolte ad attribuire alle associazioni professionali e sindacali unruolo legittimante o convalidante di atti compiuti da soggetti privati appartenenti o no a dette associazionidi categoria.Particolarmente significativo è l’art. 45 della L. 203/82 , in materia di contratti agrari. Esso stabilisce che,in deroga alle norme vigenti, sono “validi ” gli accordi stipulati tra le parti “con l’assistenza delle rispettiveorganizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale”.Tale “assistenza”, nell’intenzione del legislatore non è di natura formale ma concerne la tutelasostanziale dell’assistito e si esaurisce in un vero e proprio controllo di convenienza. Il sindacatopartecipa alla fase della determinazione dei contenuti e delle modalità: esso, pur non assumendo il ruolodi parte, si deve costituire per la validità del negozio. Il potere di autoregolamentazione delle parti èammesso se considerato positivamente dal sindacato che vi attribuisce il crisma della vincolatività.L’autonomia negoziale assistita, infatti, ha reso possibile la realizzazione di una serie di atti preclusi dalprecedente regime che aveva ridotto tutti i contratti agrari all’affitto di fondi rustici. Grazie all’assistenzadelle forze rappresentative delle parti, nonostante si affermi che l’unico contratto agrario ammissibile sial’affitto di fondo rustico, si possono stipulare contratti a contenuto atipico.

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21. AUTONOMIA DELLE COMUNITA’ INTERMEDIE.Si possono riscontrare fonti che non coincidono né con gli atti di autonomia “singolare” né con quelli diautonomia “collettiva”: si tratta dell’autonomia comunitaria propria delle istituzioni intermedie. Sipensi allo statuto del partito, dell’associazione religiosa, culturale, sportiva.Gli statuti sono non soltanto espressione dell’autonomia singolare ma la risultante del volere di unapluralità, di una comunità. Un gruppo di persone, quando si esprime con atti giuridicamente rilevanti, puòconcorrere talvolta non soltanto alla propria regolamentazione ma anche a quella di altri soggetti.L’associazione, la società concorrono a regolare con un insieme di clausole, di norme, di principi certiaspetti della vita sociale, come i rapporti tra il socio e la società, l’associato e l’associazione.

Il problema dell’autonomia familiare si propone in una duplice direzione: all’esterno, nei confronti delloStato come libertà di una peculiare comunità intermedia; all’interno come libertà della famiglia qualeluogo-comunità ove confluiscono i problemi dei suoi componenti.L’art. 2 Cost., nel riconoscere e garantire “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelleformazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, detta la regola fondamentale: è la tutela di tali diritti laragione dell’intervento e del controllo dello Stato sulla formazione sociale.Lo stesso art. 29 Cost. riconosce “i diritti della famiglia” fondata sul matrimonio.Libertà della famiglia e libertà nella famiglia si configurano come l’unitaria condizione storica e culturaleindispensabile e servente per formare e realizzare le persone. 

22. INTERESSE PUBBLICO E INTERESSE PRIVATO: LORO COMPARAZIONE E GRADUAZIONE NEL QUADRO DEI VALORI COSTITUZIONALI.

L’individuazione dei significati e del ruolo che la nozione di interesse pubblico acquista particolarerilevanza con riguardo agli atti di autonomia negoziale.L’interesse pubblico è prospettabile non come una nozione soggettiva e arbitraria, né come unanozione dogmatica e astorica, ma quale risultato di valutazioni normative individuate nell’ambitodell’intero ordinamento secondo il canone ermeneutico della sistematicità, contenutistica e funzionale,degli istituti e dei principi fondamentali.In questa prospettiva, il pubblico e il privato non sono termini inseparabili e necessariamente opposti. Laloro esasperata contrapposizione spinse ora a superare il contrasto tra comunità ed individuo, tra Stato esocietà, nella concezione fascista e nazionalsocialista, ora a proclamare in un’accezione marxista, chetutto il pubblico (“il privato è pubblico”). Tali tendenze sfociano nel primato del diritto pubblico intesocome complesso di norme che regolano le funzioni statali e degli enti pubblici, realizzate in forme

autoritaria e gerarchica sovrastando l’attività dei singoli. In tale contesto assume un significato riduttivo ladefinizione del diritto privato come una semplice specificazione del diritto pubblico, una sua diramazione,in quanto l’interesse dei privati resta funzionalizzato, ed esclusivamente, all’interesse superiore delloStato e della sua organizzazione complessiva.Tuttavia, non può non riconoscersi che ogni norma giuridica serve sempre all’interesse collettivo e aquello individuale allo stesso tempo.Viene, pertanto, proposta una ricostruzione dell’ordinamento anziché in chiave antagonista e separatadegli interessi pubblici e privati, in una prospettiva che ne analizzi di volta in volta la loro graduazione ogerarchia normativa non soltanto in astratto ma in relazione al concreto assetto.

23. INCIDENZA DELL’INTERESSE PUBBLICO SUL PROFILO FUNZIONALE DEGLI ATTI  ANCHE NON PATRIMONIALI.

Se ogni ramo del diritto trae il suo fondamento dal quadro costituzionale, gli atti, le attività non possononon essere influenzati, nei loro requisiti di validità e di efficacia e negli stessi loro presupposti, dallagerarchia degli interessi risultante dalla Costituzione.Questa analisi ha indotto a identificare l’interesse pubblico con la realizzazione e l’attuazione dei dirittiinviolabili dell’uomo: un interesse pubblico caratterizzato sempre più da istanze personali edall’attuazione di più equi rapporti sociali, fondato sul solidarismo e sul personalismo.In questa prospettiva ci sono stati molti interventi legislativi che hanno rappresentato punti di partenzaper operare una depatrimonializzazione della teoria del negozio e una sua definitiva emancipazionedella funzione di scambio e meramente retributiva.

24. INTERESSE PUBBLICO E STRUTTURA DEL NEGOZIO.Con riguardo alla struttura del negozio e alla variabilità della stessa è utile ricordare l’affievolimento

dell’indipendenza delle sfere giuridiche, specie patrimoniali, dovuto all’utilizzazione sempre maggiore dipoteri legali tendenti a riconoscere e a garantire a certi soggetti, titolari di situazioni particolarmentemeritevoli, la facoltà unilaterale dell’acquisto, della modificazione e estinzione di rapporti senza che ildestinatario della vicenda abbia la possibilità giuridica di opporsi. A fondamento di questo meccanismo

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c’è un interesse meritevole di tutela. La valutazione degli interessi e la loro graduazione inducono ora asnellire la struttura negoziale tipica ora a renderla più complessa.L’interesse pubblico finisce con l’incidere sulla negoziazione. E tale prevalenza non può non risponderead un giudizio di meritevolezza che ha il suo parametro nella tavola costituzionale degli interessi e deivalori.

25. INCIDENZA DIRETTA E INDIRETTA DELL’INTERESSE PUBBLICO SULLA CAUSA DELNEGOZIO.

Più lineare è l’incidenza dell’interesse pubblico sulla causa negoziale.

Si parla di incidenza diretta quando l’’interesse rientra direttamente nella funzione del contratto: ciòaccade sia quando il negozio contiene originariamente, nella previsione legale, l’interesse pubblico entrola funzione – si pensi al contratto di trasporto pubblico di persone; sia quando lo schema negoziale tipicoviene adattato e vincolato inderogabilmente ad un interesse specifico – si pensi al mutuo per l’abitazioneo per l’avvio dell’attività lavorativa, c.d. mutuo di scopo.Si discorre di incidenza indiretta quando l’interesse incide direttamente su un altro requisito delnegozio, come l’oggetto, e solo indirettamente sulla funzione, sulla causa.Si affiancano a tale ultima modalità d’incidenza le ipotesi nelle quali l’interesse precede lanegoziazione – si pensi all’obbligo a contrarre.L’incidenza più immediata dell’interesse pubblico sulla negoziazione si realizza mediante il controllo diliceità e di meritevolezza dell’affare e, in particolare, con la verifica della non contrarietà a normeimperative, all’ordine pubblico e al buon costume.

26. CONNESSIONE TRA INTERESSE PUBBLICO E OGGETTO DEL NEGOZIO:L’IMPOSSIBILITA’ GIURIDICA.

Un discorso a parte esige il tema dell’impossibilità giuridica dell’oggetto, verso il quale scarsa èl’attenzione della dottrina. Le posizioni oscillano tra chi propone di valutare la possibilità dell’oggetto allastregua delle leggi di natura e identificare la possibilità giuridica con la liceità, e chi invece riconosceall’impossibilità giuridica una qualificazione autonoma dall’impossibilità materiale e dall’illiceità. Aprescindere da tale modo di ragionare, esso postula l’irrilevanza della distinzione. Si pensi, ad es., all’art.1374 che considera valido il contratto sottoposto a condizione sospensiva o a termine, se la prestazioneinizialmente “impossibile diviene possibile prima dell’avveramento della condizione o della scadenza deltermine”.

27. PLURALISMO DEGLI ORDINAMENTI E LIMITI DERIVANTI DALL’ORDINE PUBBLICO E DALBUON COSTUME.

Un punto fondamentale della problematica del “ pluralismo degli ordinamenti ” si ravvisa nel conciliare lapluralità delle fonti con l’unitarietà dell’ordinamento, nell’armonizzare le diverse fonti che concorrono acreare il regolamento del caso concreto. Il codice civile, nelle disposizioni preliminari (art.31) contribuivaa risolvere il problema. Sotto la rubrica ”Limiti derivanti dall’ordine pubblico e dal buon costume”dettava: “Nonostante le disposizioni degli articoli precedenti, in nessun caso le leggi e gli atti di unoStato estero, gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente, o le private disposizioni econvenzioni possono aver effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all’ordine pubblico o al buon costume”.L’art. 31 disp. prel. È stato abrogato dalla L.218/95 . L’art. 16 di tale legge, intitolato all’ordine pubblico,

recita: “La legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico”.Ordine pubblico e buon costume, uniti alla formula “norma imperativa”, cioè norma che si impone allavolontà dei privati, sono richiamati più volte, soprattutto in sede di contratti e di altri atti compiuti daiprivati, laddove a proposito dell’oggetto, della causa e di particolari eventi è imposta la non contrarietà anorme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume.Restano da individuare le norme di ordine pubblico e di buon costume.In genere per la nozione di buon costume si rinvia alla concezione del costume di una determinatasocietà. Si tratta di una nozione non astorica ma relativa (che muta col tempo e da luogo a luogo) egenerica, priva quindi di un contenuto specifico e determinato.Più complesso è individuare la nozione di ordine pubblico. La moderna nozione di ordine pubblico nonsi esaurisce in un limite negativo ma è anche un impegno positivo della Repubblica all’attuazione deiprincipi fondamentali. Pertanto, l’ordine pubblico pone un limite positivo alla possibilità di

regolamentazione o di autoregolamentazione. L’atto di autonomia lesivo delle direttive costituzionali,contrastando con la nozione stessa di ordine pubblico, non è meritevole di tutela e non ha effettonell’ordinamento repubblicano.

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28. PRETESA NATURA ECCEZIONALE DELLE PRESCRIZIONI SULLE FORME LEGALI.Sulla natura eccezionale delle prescrizioni delle forme legali la dottrina è pressoché unanime. Taleeccezionalità è considerata come deroga al principio della libertà delle forme, a sua volta espressionedel più ampio principio dell’autonomia privata , sicché le prescrizioni legali sulla forma vincolata siprospettano come limiti alla libra negoziazione.Mentre si costata che l’ammissibilità di prescrizioni legali formali non è mai stata contestata in quanto siè sempre riconosciuta la necessità sociale che taluni negozi siano rivestiti di forme particolari, si affermache la limitazione formale, riguardando esclusivamente il modo di esercizio dell’autonomia negoziale,non incide in misura rilevante sul contenuto di essa. Ciò spiegherebbe come le prescrizioni di forma si

siano sottratte alla problematica della costituzionalità dei limiti legali alla libertà negoziale.A tale impostazione vanno mosse due critiche:a) In primo luogo, alla pretesa eccezionalità si affianca l’inderogabilità delle prescrizioni sulla forma e ciòimplicherebbe l’automatica nullità di ogni patto contrario. Ma questa posizione è criticabile non soloperché all’interno della sanzione della nullità si avverte una diversa graduazione delle conseguenze inragione degli interessi violati, ma soprattutto va respinta perché ispirata ad una concezionemeccanicistica della norma inderogabile, alla quale sarebbe connaturata la nullità. Al contrario, comel’inderogabilità rappresenta non il dato iniziale ma il risultato dell’interpretazione, così la determinazionedella sanzione è il risultato di un’attenta considerazione dei valori e degli interessi coinvolti.b) La seconda critica riguarda l’asserita indifferenza delle prescrizioni di forma rispetto al quadrocostituzionale. Opinione, questa, inaccettabile in un ordinamento unitario. E’ utile invece rammentare undiverso tentativo, che ha egualmente insistito sull’eccezionalità della normativa sulla forma, pur collocandola in un ambito regolato dall’art. 41 cost. Questa impostazione va ricondotta a Prosperi secondo il quale la forma degli atti giuridici privati deve essere, normalmente libera, sia per favorirel’iniziativa economica privata sia per non creare ostacoli di ordine economico. Pertanto, le forme legali vincolate, eccezionali e tassative, sarebbero ammesse soltanto quando gli atti di autonomia contrastanocon l’utilità sociale e identificate esclusivamente come strumenti di tutela di interessi generali o fini sociali . Anche a tale impostazione vanno mosse delle critiche:a) Innanzitutto, il vizio di impostazione è nella sopravvalutazione della matrice liberistica dellaCostituzione: l’autonomia negoziale non ha un fondamento unico, identificato con l’iniziativa economicaprivata, ma affonda le proprie radici in principi diversi,b) In secondo luogo, si configura l’autonomia negoziale come un valore in sé, e tutto ciò che è destinatoa specificarlo come limite esterno, per di più eccezionale. Tuttavia, le modalità che concorrono ad

individuare il contenuto dell’atto di iniziativa rappresentano limiti interni alla stessa autonomia.Quest’ultima non è il prius, la regola; e la forma vincolata dell’atto non è il limite esterno, il posterius,eccezionale e tassativo.c) In terzo luogo, la prospettazione della forma vincolata per legge non è necessariamente un limiteall’autonomia: la funzione della prescrizione sulla forma può essere ispirata a ragioni di garanzia e dipromozione di interessi e di valori anche se diversi dalla generica e formale libertà. Si pensi alla formascritta per il licenziamento individuale.Pertanto, il programma costituzionale non è di un’assoluta libertà delle forme negoziali: esse ricevonouna diversa valutazione, secondo che gli interessi sui quali si fondano siano più o menocostituzionalmente rilevanti ma senza generalizzazioni.

29. SUL PRINCIPIO DI LIBERTA’ DELLE FORME.

È opportuno considerare anche la posizione di Irti che ha negato l’eccezionalità delle norme sulla formama in base ad opzioni di metodo diverse.L’opinione tradizionale sarebbe inaccettabile perché l’unica norma in materia è l’art. 1325, n°4, il qualeprescrive la nullità per violazione di una forma ad substantiam; non sussisterebbe invece alcuna normadalla quale ricavare la libertà della forma. Se non è possibile individuare una norma, che esprima talegenerale libertà, non si potrebbe qualificare eccezionale l’art. 1325, n°4, in quanto difetterebbe il terminedi raffronto.Sul presupposto che il rapporto regola-eccezione sarebbe un rapporto tra due norme, non sarebbepossibile individuare, in materia di forma, la norma eccezionale e la norma regolare: la norma di cuiall’art. 1325, n°4, sarebbe unica ed esclusiva.Il dissenso verso questa impostazione concerne sia il metodo che le tecniche giuridiche.È incontestabile che norme non sono soltanto quelle di tipo casistico o regolamentare, caratterizzate da

una ben definita fattispecie astratta: norme sono anche i principi . Inoltre eccezionale è la norma che sipresenta tale nel contesto delle regole generali e delle altre leggi, cioè dell’intero ordinamentostoricamente condizionato: non semplicemente una rigida contrapposizione tra una fattispecie normativae un’altra, ma un confronto tra la singola previsione e l’ordinamento.

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30. VARIABILITA’ DELLA FORMA E DELLA STRUTTURA DEL NEGOZIO.La natura regolare o eccezionale della disciplina di questa o di quella forma legale del negozio vaproposta in relazione non tanto all’art. 1325, n°4, di per sé “frammento di fattispecie”, né esclusivamenteal principio della libertà della forma, quanto alle singole previsioni formali unitamente alla disciplina deiconcreti negozi.Tale analisi presuppone l’individuazione della “ragione sufficiente” della prescrizione di forma.Diversificazione variabilità delle forme affondano la propria giustificazione in profili diversi dell’attività:

a) Nella legittimazione, capacità e qualificazione del soggetto (imprenditore, persona fisica…);

 b) Nella funzione negoziale (causa donandi, mortis causa…);c) Nell’oggetto (beni mobili, immobili, crediti…).

La forma può essere collegata ad uno o più di tali profili, cumulativamente o alternativamente, secondola ratio della norma che la statuisce. Ogni forma negoziale ha necessariamente una funzione, anche secomposita.

31. UNITA’ DI FORMA E CONTENUTO: NECESSITA’ DI UN GIUDIZIO DI MERITEVOLEZZASULLE FORME.

C’è una necessaria unità tra forma e contenuto. Se l’accordo, o la dichiarazione unilaterale, è unità diforma e contenuto, non si può sottrarre la forma volontaria al controllo di meritevolezza e limitarequest’ultimo al solo “contenuto”, adducendo un’interpretazione letterale dell’art. 1322 c.c.

Se la forma è un profilo essenziale dell’accordo e quindi del contenuto, non può essere assente orimanere insensibile agli aspetti funzionali dell’assetto negoziale. Il problema della forma non siesaurisce nella nullità dell’atto, né della forma legale: la forma diventa funzione negoziale e come talesottoposta al controllo di meritevolezza.La forma è inseparabile dal contenuto e lo stesso negozio è da considerare quale ordinamento del casoconcreto. La prospettiva funzionale incide sull’interpretazione sia della normativa legale sia delregolamento negoziale sulla forma.L’utilizzazione della forma legale risponde ad una politica del diritto che tende a garantire, tutelare epromuovere interessi maggiormente meritevoli specie se riguardanti soggetti che nel sistema hanno unostatuto di favore.

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