DIRITTO CIVILE

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PROVE I mezzi di prova sono UOMINI (in applicazione della sentenza della corte cost 471/90 gli accertamenti giudiziali possono essere fatti anche sulle persone) COSE e FATTI. Si possono considerare staticamente (ispezione di un documento, esame di una mutilazione) oppure in movimento (interrogazione di un teste, giuramento). L’oggetto della prova non sono diritti, MA FATTI (naturali e atti umani); pertanto non vengono direttamente provati i rapporti giuridici, ma quest’ultimi vengono desunti dalla prova dei fatti oggetto di prova: FACTA PROBANTUR, IURA DEDUCUNTUR. I fatti devono essere provati dalle parti e dai fatti il giudice desumerà il diritto secondo le norme (iura novit curia; narra mihi factum dabo tibi ius). Anche la consuetudine e la legge straniera rientrano fra le norme che il giudice deve applicare (ma stante il modo di formazione della prima e la difficoltà di conoscere la seconda, il giudice, se le ignora, può sia avvalersi di informazioni apprese dal Ministero di Giustizia sia di esperti o istituzioni specializzate sia di chiedere alle parti di coadiuvarlo nella ricerca della loro esistenza. Gli usi raccolti nelle apposite raccolte si presumono esistenti fino a prova contraria. Da ciò deriva la regola che PER GLI ELEMNTI DI DIRITTO IL GIUDICE HA UNA SUA PIENA AUTONOMIA. Invece l’assunzione delle prove in giudizio è retta dal PRINCIPIO DISPOSITIVO, per il quale il giudice, a fondamento della sua decisione, restando nell’ambito della domande che gli vengono proposte e ferma restando la non necessita di prova dei fatti non contestati, deve porre solo i fatti provati dalle parti e quelli di comune esperienza (fatti notori): le parti mantengono una signoria sul rapporto controverso. In alcuni casi, però, viene seguito il principio opposto, quello INQUISITORIO, che consente al giudice, di norma quando è coinvolto un interesse pubblico, di ricercare, anche di sua iniziativa, le prove che più gli consentono di avvicinarsi ad una verità storica. L’applicazione del principio dispositivo, non fa, però, del giudice uno spettatore passivo, egli è e resta un organo attivo per l’indagine del 1

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PROVE

I mezzi di prova sono UOMINI (in applicazione della sentenza della corte cost 471/90 gli accertamenti giudiziali possono essere fatti anche sulle persone) COSE e FATTI.

Si possono considerare staticamente (ispezione di un documento, esame di una mutilazione) oppure in movimento (interrogazione di un teste, giuramento).

L’oggetto della prova non sono diritti, MA FATTI (naturali e atti umani); pertanto non vengono direttamente provati i rapporti giuridici, ma quest’ultimi vengono desunti dalla prova dei fatti oggetto di prova: FACTA PROBANTUR, IURA DEDUCUNTUR.

I fatti devono essere provati dalle parti e dai fatti il giudice desumerà il diritto secondo le norme (iura novit curia; narra mihi factum dabo tibi ius). Anche la consuetudine e la legge straniera rientrano fra le norme che il giudice deve applicare (ma stante il modo di formazione della prima e la difficoltà di conoscere la seconda, il giudice, se le ignora, può sia avvalersi di informazioni apprese dal Ministero di Giustizia sia di esperti o istituzioni specializzate sia di chiedere alle parti di coadiuvarlo nella ricerca della loro esistenza. Gli usi raccolti nelle apposite raccolte si presumono esistenti fino a prova contraria.

Da ciò deriva la regola che PER GLI ELEMNTI DI DIRITTO IL GIUDICE HA UNA SUA PIENA AUTONOMIA.

Invece l’assunzione delle prove in giudizio è retta dal PRINCIPIO DISPOSITIVO, per il quale il giudice, a fondamento della sua decisione, restando nell’ambito della domande che gli vengono proposte e ferma restando la non necessita di prova dei fatti non contestati, deve porre solo i fatti provati dalle parti e quelli di comune esperienza (fatti notori): le parti mantengono una signoria sul rapporto controverso.

In alcuni casi, però, viene seguito il principio opposto, quello INQUISITORIO, che consente al giudice, di norma quando è coinvolto un interesse pubblico, di ricercare, anche di sua iniziativa, le prove che più gli consentono di avvicinarsi ad una verità storica.

L’applicazione del principio dispositivo, non fa, però, del giudice uno spettatore passivo, egli è e resta un organo attivo per l’indagine del vero. L’intervento del giudice si manifesta specialmente nella valutazione delle prove; inoltre ex art 117 cpc il giudice può ordinare la comparizione personale delle parti per interrogarle liberamente (interrogatorio libero dal quale non nascono prove, come la confessione che deriva solo dall’interrogatorio formale, ma ARGOMENTI DI PROVA che soli non sono sufficienti a motivare una decisione); può, ancora, richiedere alla p.a. informazioni scritte relative ad atti e documenti della medesima; il giudice può farsi assistere per singoli atti o per tutto il processo da un consulente tecnico. Rimane la facoltà dei giudici di deferire il giuramento suppletorio.

Cardine del sistema è la regola sull’onere della prova, regola che serve al giudice di decidere il caso anche nell’ipotesi in cui il fatto sia rimasto incerto o non sufficientemente dimostrato.

La prova dei fatti che stanno a fondamento della domanda è un onere della parte, viene lasciata all’interesse della parte: l’attore non soddisfacendo tale onere non vedrà accolta la sua domanda (acotore non pabantur, rei absolvitur).

Ex art 2697 l’attore dovrà provare i fatti che sono a fondamento della sua pretesa (fatti costitutivi o convalidativi): onus probandi incubit ei qui dicit, non ei qui negat. Questa affermazione va intesa nel senso

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che sull’attore grava il rischio della mancata prova dei fatti costitutivi, ossia il rischio che la mancata formazione del convincimento del giudice sui fatti costitutivi del diritto da lui invocato si ripercuote sulla sua soccombenza, in applicazione della regola sull’onere della prova quale regola di giudizio per la soluzione dei casi incerti. Ciò però non vuol di re che la prova dei fatti costitutivi debba necessariamente venire da una richiesta probatoria dell’attore: la dimostrazione di tali fatti può discendere anche da mezzi istruttori disposti d’ufficio, o può trattarsi di fatti notori o non contestati (per tale motivo si dice che è una regola sulla distribuzione del rischio della mancata prova).

Analogamente il convenuto dovrà provare , cioè sopporta il rischio della mancata prova, dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto fatto valere dall’attore, cioè dei fatti sui quali si basano le sue eccezioni.

La legge ammette con cautela i patti che modificano la regola sull’onere della prova: ex 2698 sono nulli i patti sull’inversione dell’onere della prova che riguardano diritti indisponibili, o che rendano troppo difficile l’esercizio del diritto.

A volte è la legge a stabilire u INVERSIONE DELL’ONERE DELLA PROVA (es: inadempimento delle obbligazioni in sede di responsabilità contrattuale: qui viene presupposta una colpa del debitore inadempiente, mentre dovrebbe essere l’attore a dover provare la colpa del convenuto, quale fatto costitutivo della sua pretesa) e la legge ammette che il debitore si liberi dalla responsabilità solo se dimostra lui stesso che l’adempimento fu impossibile per un fatto a lui non imputabile)

Il giudice prima di ammettere la prova deve giudicare:

1. Se questo è ammissibile ex lege (questio iuris)

2. Se è concludente il fatto (questio facti), cioè dovrà valutare, con un giudizio sommario, se la prova dei fatti oggetto della richiesta probatoria appaia utile alla risoluzione della controversia

Distinzioni fra le prove:

Una prima distinzione fra le prove riguarda:

1. Prove semplici: quelle che si assumono al momento del processo

2. prove precostituite: quelle che si preparano contemporaneamente alla conclusione del negozio (es atto scritto) e possono essere presentate in qualsiasi tempo al soggetto che le richiede o al giudice

Una seconda distinzione riguarda:

1. prove storiche, il cui oggetto è il fatto stesso da provare; essa vuole rappresentare direttamente il fatto da provare

2. prove critiche: nella quale la convinzione del giudice non si forma nell’esame diretto della circostanza da valutare, ma si fonda sul significato che, in relazione a tale circostanza, ha un fatto o una situazione che a sua volta sarà oggetto di prova

Nella prova storica si prova con sicurezza un fatto, nella prova critica si deve dimostrare la verosimiglianza logica dell’argomentazione che se ne vuole trarre. Si prova con sicurezza un fatto o un atto, nella prova critica, dalla sicurezza del fatto che ne è oggetto si suol trarre per deduzione l’esistenza dell’altro fatto o dell’altro atto che interessa

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Una terza distinzione è fra:

1. prova liberamente valutabile dal giudice: E’ LA REGOLA

2. prova legale: la legge attribuisce l’efficacia della prova, legando le mani al giudice e ciò avviene quando la legge commisura a priori ad un certo mezzo di prova l’idoneità di un fatto a dimostrare in modo preciso e, di regola, incontestabile, l’esistenza di un fatto

principio generale in materia di prove è CHE NESSUNO PUO’ CON LA SUA DICHIRAZIONE COSTITUIRE PROVA A FAVORE DI SE’.

I SINGOLI MEZZI DI PROVA

LE PRESUNZIONI: la presunzione, prova critica per eccellenza, è una argomentazione logica fatta dal giudice o dalla legge per mezzo della quale è possibile indurre l’esistenza o il modo d’essere di un fatto ignoto partendo dalla conoscenza di un fatto noto.

Fatto noto non vuol dire fatto notorio, così anch’esso sarà oggetto di prova: la prova è però su un fatto diverso da quello che si vuole conoscere.

Le presunzioni sono:

1. semplici o dell’uomo (presumptio homins) se è lasciato al giudice valutare criticamente le conseguenze che si debbono trarre dalla prova di un fatto. Le prove semplici, che costituiscono delle congetture, sono lasciate alla prudenza del giudice e sono ammissibili solo quando è ammessa la prova per testimoni quando abbiano fondamento in fatti che offrano ELEMENTI GRAVI, PRECISI E CONCORDANTI. AMMETONO IN OGNI CASO PROVA CONTRARIA

2. legali: se la legge stessa stabilisce imperativamente le conseguenze che si debbono trarre dalla provata esistenza di certi fatti. SI DIVIDONO IN:

A. Assolute o iuris et de iure se non ammettono prova contraria (es: presunzione di concepimento durante il matrimonio dell’art231 e il carattere assoluto non viene meno anche se si può provare un concepimento più lungo, oltre i 300 giorni dallo scioglimento del matrimoni; presunzione di interposta persona dell’art 599). Si da per vero un fatto anche se per ipotesi si potrebbe dimostrare con maggior peso critico la non verità del fatto che si suole affermare;

B. relative o iuris tantum quando consentono prova contraria da parte dell’interessato (es la presunzione di paternità del 231, anche se la prova contraria è ammessa entro i limiti stabiliti dalla legge)

Le presunzioni vanno distinte dalle c.d. fictio iuris o finzioni giuridiche: nelle presunzioni il legislatore attribuisce ad un fatto le conseguenze giuridiche di un altro fatto perché, secondo massime d’esperienza, la prova dell’esistenza del fatto provato è indice dell’esistenza anche dell’altro fatto; nelle finzioni il legislatore, per semplificare la realtà, attribuisce ad un fatto provato l’equiparazione giuridica di un altre situazioni, anche se la verità legale è affermata a prescindere da una corrispondenza della verità reale (es: mancato avveramento della condizione al fatto che la condizione è mancata per causa imputabile a chi ne aveva l’interesse; equiparazione di considerare come provati i fatti dedotti in interrogatorio formale quando la parte non si presenta). La presunzione va collocata tra le prove, rientra nella prudenza del giudice; mentre stabilire finzioni è compito del legislatore

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La presunzione relativa si manifesta ANCHE con un inversione dell’onere della prova favore di un'altra parte (es 2706: non è colui che afferma la corrispondenza fra l’origina e la copia del telegramma che ne deve dare la prova, ma spetta a chi nega tale conformità provarne la non corrispondenza). LA PRESUNZIONE PERò SI DISTINGUE DAL SEMPLICE INVERSIONE DELL’ONERE DELLA PROVA PERCHE’, NELLA PRIMA E NON ANCHE NELLA SECONDA, LA LEGGE MUTA L’OGGETTO DIRETTO DELL’ACCERTAMENTO CHE SI FARA’ (es: nell’es di sopra ciò che si ricerca e quindi si dovrebbe provare è il testo del telegramma ricevuto; l’art 2706 ritiene sufficiente la prova del testo del telegramma presentato per l’inoltro: provato questo fatto se ne presume il fatto ignoto del telegramma ricevuto. Sarebbe stato inversione dell’onere della prova se fosse bastata l’affermazione di aver spedito un telegramma, per gravare la controparte di dimostrare il mancato arrivo).

ATTI SCRITTI, ATTO PUBBLICO E SCRITTURA PRIVATA:

l’atto pubblico è il documento redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, competente a riceverlo per materia, per territorio e personalmente capace, esteso con tutte le formalità che la legge impone sotto pena di nullità.

Il notaio ha una competenza generale per ricevere gli atti pubblici (bisogna anche ricordare che l’attività del notaio nella redazione di un atto pubblico, non si limita all’autenticazione della provenienza delle dichiarazioni delle parti, in quanto, incaricato dalla parti della redazione di una atto, deve compiere anche i normali adempimenti che la sua professione gli impone, indipendentemente da un esplicita richiesta delle parti); gli altri pubblici ufficiali hanno invece una competenza limitata per determinati atti.

L’atto pubblico fa pubblica fede (erga omnes) sia della provenienza dell’atto (attestando l’identità del soggetto che ne è parte) sia di ciò che si è svolto alla presenza del pubblico ufficiale e dei testimoni quanod sono richiesti per legge, fino a che non venga impugnato con la QUERELA DI FALSO.

Bisogna però scindere il fatto della dichiarazione dal suo contenuto: il reale accadimento che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuto in sua presenza viene provato fino a querela di falso, mentre la verità di ciò che è stato detto dinanzi al pubblico ufficiale è sottoposto alla generale valutazione critica delle prove (es:due persone vanno dal notaio e stipulano un contratto di compravendita : l’atto pubblico redatto dal notaio fa piena prova, fino a querela di falso, del fatto della stipulazione e del fatto che i contraenti hanno detto quanto risulterà dall’atto. Non fa invece prova della verità delle dichiarazioni; così, ad es, se le parti dicono che non esistono arretrati di imposta non serve la querela di falso per negare l’avvenuto pagamento delle rate di imposta scadute). L’atto pubblico può, poi, essere viziato o simulato: in questo caso si applicheranno le regole generali sulla invalidità dei negozi. Ancora, l’atto pubblico non prova la verità dei giudizi affermati dall’ufficiale rogante, come se , ad es, un notaio attestasse che il testatore era sano di mente

LA SCRITTURA PRIVATA: è UN DOCUMENTO DI PARTE, contenete una dichiarazione scritta proveniente dai soggetti interessati e firmata da questi (non è necessaria l’autografia del documento, ma è sufficiente che sia autografa la sottoscrizione, che, di norma, contiene l’indicazione del prenome e del nome. La Cass ha affermato, inoltre, che la mancata sottoscrizione di una parte non impedisce alla medesima di produrre in giudizio il documento del contratto, purché ciò avvenga prima che il consenso dell’unico sottoscrivente sia revocato dal medesimo, ritenendosi equipollente della sottoscrizione la produzione della scrittura in giudizio e l’invocazione a proprio favore dei relativi effetti.

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Per attribuire forza di prova alla scrittura privata bisogna:

1. in primis stabilire la paternità del documento

2. accertata la paternità si deciderà circa il valore probatorio delle dichiarazioni.

1.PATERNITA’: sul primo punto la scrittura privata FA PIENA PROVA, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da parte di chi l’ha sottoscritta, quando è accertata L’AUTENTICITA’ DELLA SOTTOSCRIZIONE. Ciò può avvenire in 3 modi:

1. con un previo accertamento della autenticità dei sottoscrittori, fatta dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, che autentichi la firma nel momento della sottoscrizione

2. con il riconoscimento fatto da colui contro il quale si invoca la scrittura privata che può essere espresso o tacito (215 c.p.c: la scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta, se la parte contro la quale è prodotta è contumace, salva la possibilità per la parte contumace di disconoscerla nella prima udienza o nel termine assegnatoli dal g.i; ovvero se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione, infatti, inoltre, l’art 214 dispone che la parte contro la quale viene prodotta una scrittura privata è tenuta a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione)

3. con l’accertamento giudiziale (procedimento di verificazione della scrittura privata)

le norme sulla scrittura privata si applicano anche alla quietanza

la prova legale della scrittura privata derivante dal riconoscimento o dalla autenticazione ha valore, fino a querela di falso, solamente con riguardo alla provenienza della scrittura privata.

Per quanto attiene al valore del contenuto delle dichiarazioni, si applicheranno le regole generali per la prova critica, tenendo presente che nessuno può fare prova a favore di sé: così nello scritto riconosciuto dal sottoscrittore, avrà valore di prova solo quanto egli dichiara contro il suo interesse; quindi negli scritti bilaterali riconosciuti da entrambi i soggetti, l’atto farà piena prova inter partes.

Regole speciali sono poste per quanto riguarda la prova della data della scrittura privata nei confronti dei III (tra le parti si considera vera fino a prova contraria quella che appare nel documento):

LA DATA DI UN DOCUMENTO la cui sottoscrizione non sia autenticata, ottiene certezza di fronte ai III con

1. la registrazione dell’atto

2. dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di uno dei contraenti

3. dal giorno in cui è riprodotta in un atto pubblico

4. dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento

tali limitazioni non si applicano alla prova della data della quietanza o delle dichiarazioni unilaterali non recettizie, per le quali può essere ammesso qualsiasi mezzo di prova.

Tali limitazioni hanno lo scopo di tutelare i III che non presero parte alla formazione dell’atto scritto (ad es, sarebbe facile ingannare il compratore di un immobile se il venditore stipulasse dopo la vendita un contratto

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di locazione, facendo figurare una data anteriore al contratto di compravendita e per evitare tale frode, la legge richiede, anche con una disposizione dettata in materia di locazione all’art 1599, che la data del contratto sia accertata in modo certo come anteriore alla vendita, altrimenti la locazione non sarà opponibile al venditore).

DOCUMENTO INFOMATICO: Attualmente vi è un sempre più ampio sviluppo e utilizzo dei mezzi informatici e del computer, anche nelle dinamiche degli affari. Pertanto il legislatore ha deciso di disciplinare il documento informatico. A norma dell’art 21 del codice dell’amministrazione digitale, il documento informatico ha la stessa efficacia probatoria della scrittura privata se viene sottoscritto con firma digitale o con altro tipo fi firma elettronica qualificata del cod dell’amm digitale. Esso SODDISFA ANCHE IL REQUISITO DELLA FORMA AD SUBSTANTIA e l’art 24 del codice stabilisce si considera riconosciuta ex 2703 che la firma digitale che sia stata autenticata da un notaio o altro pubblico ufficiale, il quale attesti che la firma è stata sottoposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento dell’identità personale, della validità del certificato elettronico utilizzato e del fatto che il documento sottoscritto non sia in contrasto con l’ordinamento giuridico.

A regole speciali sono sottoposti:

1. i libri contabili degli imprenditori commerciali

2. carte domestiche

3. telegrammi

libri contabili: per tutte le imprese soggette a registrazione sono obbligatori:

1. libro giornale (indica giorno per giorno le operazioni e va vidimato annualmente alla chiusura delle operazioni)

2. libro degli inventari che si chiude con il bilancio e il conto profitti e perdite ( deve essere presentato annualmente per la vidimazione entro tre mesi dal termine fissato per la presentazione annuale delle dichiarazioni dei redditi)

3. tutti gli altri libri che siano richiesti dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa.

L’imprenditore inoltre deve conservare per dieci anni dall’ultima registrazione di ogni affare (anche in fotocopia) le lettere, i telegrammi e le fatture ricevute, nonché la copia di quelle spedite

Ora tutte le scritture contabili fanno prova contro l’imprenditore; tuttavia, in forza del principio della inscindibilità, chi vuole giovarsi di tali scritture deve acquetarle nella loro interezza e non può estrarne gli elementi, scegliendo nelle serie delle scritture private. MA nei rapporti fra imprenditori, i libri contabili di cui sopra, numerati in ogni pagina e tenuti regolarmente, FANNO PROVA ANCHE A FAVORE limitatamente agli affari reciproci riguardanti l’esercizio delle rispettive imprese. Questa è una eccezione alla regola pe la quale nessuno può fare prova a favore di se e ciò è possibile perché l’immediata scritturazione degli affari al momento della conclusione dei medesimi, la continuità delle registrazioni, il confronto con le corrispondenti scritture contabili degli altri imprenditori e la minaccia di gravi sanzioni rendono più difficili gli abusi.

L'art 2711 dispone che la comunicazione INTEGRALE dei libri, delle scritture contabili e della corrispondenza può essere ordinata dal giudice solo nelle controversie relative ALLO SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’, ALLA COMUNIONE DEI BENE E ALLA SUCCESIONE MORTIS CAUSA; negli altri casi il giudice può ordianare, anche

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d’ufficio, l’esibizione dei libri per estrarne le registrazioni concernenti la controversia in corso e può ordinare altrsì l’esibizione di singole scritture contabili, lettere telegrammi o fatture concernenti la controversia.

Carte domestiche: fanno prova in due soli casi e sempre solo contro colui che le ha scritte:

1. quando enunciano espressamente un pagamento ricevuto

2. quando contengono la menzione espressa che l’annotazione è stata fatta per supplire alla mancanza di titolo in favore di chi è indicato come creditore

Telegramma: il telegramma ha l’efficacia probatoria della scrittura privata se l’originale consegnato all’ufficio di partenza è stato scritto dal mittente; ovvero se è stato consegnato o fatto consegnare dal mittente, anche senza sottoscriverlo; la firma può essere autenticata dal notaio e l’autenticazione può essere fatta indicare anche nel telegramma. Ex art 2706 la riproduzione del telegramma fatto consegata al destinatario si presume conforme all’originale fino a prova contraria; il mittente, se ha fatto collazionare il telegramma secondo le disposizione dei regolamenti, si presume esente da colpa per le divergense eventuali fra originale e riproduzione

Annotazione fatta in calce, a margine o a tergo di un documento: 2708: l’annotazione fatta dal creditore in calce, a margine o a tergo di un documento rimasto in suo possesso fa prova, benchè non sottoscritta da lui, se tende ad accertare la liberazione del debitore. Lo stesso valore probatorio ha l’annotazione fatta dal creditore in calce, a margine o a tergo di una quietanza o di una copia del documento di debito posseduta dal debitore.

Riproduzioni meccaniche: le riproduzioni meccaniche (documento diretti, fotografie, cinematografie, fotocopie, telefax, messaggi di posta elettronica microfilm) di fatti o cose o documenti fanno prova se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce in modo circostanziato la conformità ai fatti o ai documenti rappresentati

Tacche o taglie di contrassegno: fanno prova fra coloro che usano provare in tal modo servizi dati o ricevuti.

LA TESTIMONIANZA

Consiste nell’assumere da un III estraneo dichiarazioni riguardanti fatti svolti in sua presenza o dei quali abbia udito parlare.

La prova per testimoni ha dei limiti oggettivi, soprattutto in tema di contratti (le limitazioni contenute nel c.c. agli artt. 2712 e ss. non sia applicano quando si tratta di provare altri fatti., quali un atto illecito, l’avverarsi di un evento posto in condizione,… si applicano invece in tema di prova del pagamento o della remissione del debito e regole particolari sono poste per la prova di certi fatti stati o rapporti nel diritto delle persone o della famiglia), e soggettivi (quest’ultimi contenuti nel c.p.c).

La prova non è ammessa:

1. quando il valore dell’oggetto del contratto supera i 2,58 euro, salvo che il giudice, valutando le circostanze la ammetta anche per un valore superiore (il significato di tale limite è stato travolto in seguito alla radicale e progressiva svalutazione della moneta dall’entrata in vigore del codice fino ad

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oggi. La situazione, che sarebbe paradossale nel non ammettere tale prova per un valore oggi irrisorio di 2,58 euro, viene superata attraverso l’applicazione normale dell’indicazione rivolta al giudice di ammettere tale prova tutte le volte in cui, valutate le circostanze del caso, l’entità economica dell’oggetto del contratto non sia, valutando l’attuale potere d’acquisto della moneta, di notevole entità)

2. quando si tratti di provare patti aggiunti o contrai allo scritto , che si affermano stipulati prima o contemporaneamente allo contratto (per i patti posteriori il giudice ammetterà tale prova solo se risulta verosimile che siano state fatte delle aggiunte o delle modifiche verbali)

3. quando il contratto esige la forma scritta AD SUBSTANTIA o AD PROBATIONEM.

TALI LIMITAZIONI SUBISCONO DELLE ECCEZIONI E LA PROVA PER TESTIMONI E’ AMMESSA, PER QUANTO RIGUARDA LE LIMITAZIONI DI CUI AL NUMERO 1 E 2 DI SOPRA, QUANDO:

1. VI è UN PRINCIPIO DI PROVA PER ISCRITTO e questo è costituito da un qualsiasi scritto proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato

2. Quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta

3. Quando il contraente ha perduto senza sua colpa il documento che gli forniva la prova (questa è l’unica eccezione ai limiti alla prova per testimoni che si applica al caso in cui la forma scritta era chiesta ad substantia o ad probationem: la forma deve esistere al momento della conclusione del negozio, ma non è necessario che venga sempre prodotto il documento)

4. Quando si vuole provare inter partes l’accordo simulatorio, nell’ipotesi dell’art 1417

I testimoni possono essere anche minori d’età; LE PRESONE INTERESSATE NELLA CONTROVERSIA NON POSSONO TESTIMONIARE.

Confessione: la confessione E’ LA DICHIARAZIONE CHE UNA PARTE FA DELLA Verità DI FATTI AD ESSA SFAVOREVOLI E FAVOREVOLI ALL’ALTRA.

Posto che la dichiarazione che una parte fa relativa ai fatti posti alla base del diritto altrui, nonostante sia una DICHIARAZIONE DI SCIENZA, Può AVERE EFFETTI nell’assunzione di obblighi corrispondenti alla dichiarazione fatta; pertanto la legge richiede in chi confessa LA CAPACITA’ anche NATURALE e il potere di disporre anche dei diritti ai quali si riferiscono i fatti confessati. Quindi l’art 2731 dispone che la confessione non è efficace se non proviene da chi è capace di disporre del diritto cui i fatti si riferiscono; se proviene dal rappresentante è efficace solo nei limiti e nei modi in cui questi vincola il rappresentato; e l’art 2732 dispone che la confessione giudiziale è efficace solo se verte su diritti disponibili.

Non è più richiesto l’animus confidendi, cioè non è più richiesto che il soggetto sia cosciente delle conseguenze negative che la sua dichiarazione di scienza può produrre, MA E’ SUFFICIENTE LA COSCIENZA DEL CONTENUTO DELLA DICHIARAZIONE.

La confessione è:

1. Giudiziale: se resa in giudizio. Può ESSERE SPONTANEA O PROVACATA PER MEZZO DELL’INTERROGATORIO FORMALE (se la parte al quale è deferito l’interrogatorio formale non

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risponderà, il giudice valuterà il suo silenzio in relazione alle altre circostanze e potrà ritenere ammessi come veri i fatti dedotti nell’interrogatorio (fictia confessio).

2. Stragiudiziale: quando viene fatta alla parte o al suo rappresentante (e in questo caso ha la stessa efficacia di quella giudiziale) o ad un III o contenuta in un testamento (in questo caso è liberamente valutabile dal giudice).

L’efficacia della confessione è decisiva (pro veritate habetur) se riguarda diritti disponibili ed è fatta o in giudizio o, se resa in forma stragiudiziale, alla controparte o al sua rappresentante

Nei giudizi sottratti al principio dispositivo, rispetto ai quali il giudice ha poteri inquisitori per la ricerca della verità, essa può essere ammessa, ma non sarà prova legale: sarà liberamente valutabile dal giudice.

Nell’attuale sistema normativo non vige il principio della inscindibilità della confessione, ma chi si vuole avvalere della confessione altrui, se intende contestare la dichiarazione introno a fatti o circostanze aggiunte che tendono a modificare o ad estinguere il fatto principale confessato, DEGRADERA’ LA CONFESSIONE DA PROVA LEGALE A PROVA LIBERAMENTE VALUTABILE..

LA CONFESSIONE E’ IRREVOCABILE proprio in quanto dichiarazione di scienza o non di volontà, per la quale conta la coscienza del contenuto e non la volontà degli effetti : PERCIO’ LA CONFESSIONE E’ INVALIDA SOLONTANTO PER VIOLENZA O ERRORE DI FATTO.

PRESCRIZIONE

La prescrizione è un importante modo generale di estinzione dei diritti per l’inerzia del titolare di essi e l'art 2941 dispone che OGNI DIRITTO SI ESTINGUE PER PRESCRIZIONE QUANDO IL TITOLARE NON LO ESERCITA PER UN PERIODO DI TEMPO DETERMINATO DALLA LEGGE. Sono previste però delle eccezioni alla regola generale per la quale OGNI diritto si prescrive; eccezioni ricordate genericamente nello stesso capoverso dell’art 2934 con il periodo “NON SONO SOGGETTI ALLA PRESCRIZIONE I DIRITTI INDISPONIBILI E GLI ALTRI DIRITTI INDICATI DALLA LEGGE”.

QUINDI, in primis, la regola sulla generale estinzione dei diritti per prescrizione si riferisce AI DIRITTI PATRIMONIALI, in quanto nei diritti personali più di frequente è sancita l’imprescrittibilità del diritto. In generale non si perdono i diritti indisponibili, nei confronti dei quali il titolare non può compiere alcun atto di disposizione, di trasferimento o di rinunzia: ciò vale per i diritti essenziali della persona, per i diritti di status e in genere per i diritti familiari.

In secondo luogo, anche fuori dal campo dei diritti personali vi sono diritti imprescrittibili:

Non si prescrive l’azione per far dichiarare la nullità radicale dei negozi giuridici

Non si prescrive il diritto di proprietà né la relativa azione di rivendica (la proprietà non si perde per non usa , ma a seguito dell’usucapione altrui)

Non si prescrive l’eccezione di annullamento (l’azione si prescrive in 5 anni)

Ratio della prescrizione: le ragioni per giustificare tale istituto sono varie e variano col tempo e in autore in autore. Alcuni vedono tutelata la certezza delle situazioni giuridiche: il tempo, si può dire, sistema le cose e

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la certezza delle situazioni giuridiche potrebbe essere compromessa se, dopo molti decenni, si potrebbero far valere antiche pretese; altri vedono una presunzione di rinunzia da parte del titolare che non esercita il diritto; più di recente, in epoche come quella attuale dove vige il principio di responsabilità anche nel godimento dei diritti privati, si scorge quasi una SANZIONE per la negligenza di non aver esercitato il diritto.

LA PRESCRIZIONE è UN ISTITUTO DI DIRITTO PUBBLICO E QUINDI LA SUA DISCIPLINA NON PUO’ ESSERE DEROGATA DAI PRIVATI (art 2936:” è nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina della prescrizione”). Ciò però non comporta il potere del giudice di rilevare d’ufficio la prescrizione di un diritto: colui nei cui confronti si invoca un diritto, ha l’ONERE, di sollevare l’eccezione di prescrizione: LA PRESCRIZIONE E’ UN ECCEZIONE IN SENSO STRETTO

Requisiti per la prescrizione sono:

1. Esistenza di un diritto che POTEVA ESSERE ESERCITATO

2. Mancato esercizio del diritto stesso

3. Passaggio del periodo di tempo stabilito dalla legge

Il termine di ordinario di prescrizione e di 10 anni.

La legge prevede termini più lunghi o più brevi. La Cass ha affermato il principio che il termine di prescrizione diversi da quello ordinario, non vanno intesi come delle eccezioni e quindi sono applicabili in via analogica.

Tra le prescrizioni brevi si possono ricordare:

5 anni: si prescrive il diritto al risarcimento del danno derivante da atto illecito, salva l’ipotesi che il fatto costituisca reato e allora, se per il reato è prevista una prescrizione più lunga , si applica quest’ultima (ma se il reato si è estinto o è intervenuta una sentenza irrevocabile il diritto si prescrive in 5 anni che decorrono o dall’estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile)

In 2 anni: il risarcimento dei danni prodotto dalla circolazione di veicoli (se il fatto è previsto come reato idem a sopra)

In 5 anni si prescrive: il credito per le pigioni, per i fitti, per le annualità di pensioni, vitalizie o alimentari, gli interessi e tutto ciò che si paga in anno o di mese in mese (la corte cost ha dichiarato l’illegittimità del n 4 dell’art 2948 per la parte in cui prevede che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il periodo di lavoro) le indennità per la cessazione del rapporto di lavoro, i diritti che derivano dai rapporti sociali quando la società è iscritta nel registro delle imprese, l’azione di responsabilità che spetta ai creditori sociali verso gli amministratori nei casi stabiliti dalla legge, L’AZIONE DI ANNULLAMENTO DI UN NEGOZIO

Tra le prescrizioni più lunghe vanno ricordate:

In 20 anni si prescrivono i diritti reali su cosa altrui

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L’art dispone che i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta una sentenza di condanna passata in giudicato, SI PRESCRIVONO IN 10 ANNI (actio iudicati)

I diritti anche se prescritti conservano un qualche riconoscimento, offerto dall’art 2940 c.c.: se l’obbligazione viene adempiuta dopo la prescrizione, il debitore non può ripetere ciò che ha pagato spontaneamente, ossia il creditore è protetto da una eccezione LA SOLUTI RETENTIO.

L’INTERESSATO PUO’ RINUNCIARE ALLA PRESCRZIONE SOLTANTO QUANDO QUESTA E’ COMPIUTA. La rinunzia può essere anche tacita, ma affinché si abbia rinunzia tacita occorre un’ incompatibilità assoluta tra il comportamento del debitore e la volontà del medesimo di avvalersi della prescrizione, ossia occorre nel comportamento del debitore l’inequivoca volontà di rinunciare alla già maturata prescrizione e quindi di considerare come ancora esistente ed azionabile il diritto che si era prescritto.

Il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento nel quale il diritto può essere esercitato; pertanto non è soggetto a prescrizione il diritto sottoposto a condizione sospensiva o a termine iniziale, prima che sia avverata la condizione o prima della scadenza del termine.

Fondamentali in tema di prescrizioni sono gli istituti della SOSPENSIONE E DELLA INTERRUZIONE DEL TERMINE DI PRESCRIZIONE

Come detto requisito della prescrizione E’ L’ESISTENZA DI UN DIRITTO CHE SI POSSA ESERCITARE: se il diritto non si può esercitare inizialmente o per un certo periodo di tempo si ha la SOSPENSIONE DEL DIRITTO.

Secondo requisito è l’inerzia, cioè il mancato esercizio del diritto stesso: se il diritto viene esercitato si ha INTERRUZIONE della prescrizione

SOSPENSIONE: LA SOSPENSIONE SI HA NEI SOLI CASI IN CUI IL LEGISLTORE HA ESPESSAMENTE RICONOSCIUTO ESSERE IMPOSSIBILE L’ESERCIZIO DEL DIRITTO (quindi non si ritiene di applicazione generale e concreta il principio contra non valentem agere non currit praesciptio) e precisamente la sospensione rimane sospesa:

1. Tra i coniugi

2. Tra i genitori eserciti la potestà e il minore

3. Tra chi il tutore e il minore o l’interdetto soggetti alla tutela, fino alla approvazione del conto finale

4. Tra il curatore e il minore emancipato

5. Tra l’erede e l’eredità accettata con beneficio d’inventario

6. Tra le persone i cui beni sono sottoposti per provvedimento del giudice o per legge alla amministrazione altrui e quelle da cui l’amministrazione è esercitata, fino a che non sia reso e approvato il conto finale

7. Tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi

8. Tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto

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La prescrizione riamane sospesa altresì nei confronti dei:

1. Minori e interdetti per il tempo in cui non hanno un rappresentante legale e per i sei mesi successivi alla nomina del medesimo o alla cessazione dell’incapacità

2. In tempo di guerra, dei militari in servizio e degli appartenenti alle forze armate e di coloro che si trovano per ragioni di servizio al seguito delle forze armate per il tempo indicato dalle disposizioni di legge in materia di guerra

Quindi i casi in cui la prescrizione rimane sospesa possono essere raggruppati in due categorie: o per le relazioni specifiche intercorrenti fra chi deve subire e chi si avvantaggia della prescrizione (primi 8 numeri) o per la situazione soggettiva del titolare (secondi 2 numeri).

A causa della sospensione non si calcola ai fini della decorrenza del termine di prescrizioni il TEMPO IN CUI PERDURA la causa di sospensione e quindi per sapere se è decorso il tempo necessario alla prescrizione bisognerà sommare il tempo passato prima della causa della sospensione con quello decorso DOPO la fine della sospensione (senza tener conto del periodo di tempo di mezzo in cui vi era la sospensione)

L’INTERRUZIONE SI HA QUANDO IL TIOLARE COMPIE UN ATTO NEL QUALE LA LEGGE RAVVISA UN ATTO DI ESERCIZIO DEL DIRITTO (gli viene parificato il riconoscimento del diritto da parte di colui che poteva avvantaggiarsi della prescrizione). L’interruzione fa si che dal momento in cui si verifica DECORRERA’ UN NUOVO PERIODO DI PRESCRIZIONE, NULLA CONTANDO QUELLO TRASCORSO PRIMA.

Le cause di interruzione della prescrizione sono o CICIVILI o NATURALI a seconda che consistano nell’esercizio di atti giuridici o in atti materiali di godimento del diritto.

Cause civili di interruzione della prescrizione sono:

La costituzione in mora del debitore

La notificazione dell’atto con il quale si agisce in giudizio, anche se la domanda è diretta a giudice incompetente,

La notifica di un procedimento arbitrale

Il riconoscimento del diritto altrui fatto in qualunque forma

Per quanto riguarda il modo di calcolare il tempo sono stabilite alcune regole:

Il tempo viene misurato per mezzo del calendario Gregoriano, quello comune, al quale ci si riferisce sia per un giorno fisso (es 15 marzo) sia per una ricorrenza (es Pasqua 2010)

Se il periodo viene espresso in anni mesi o giorni, a partire da un dato momento, esso è compiuto allo scadere dell’anno, del mese o del giorno indicato, senza tener conto se l’anno è bisestile o se il mese abbia un numero maggiore o minore di giorni

Il computo si fa ex nominatione dierum (es il periodo di un mese dal 15 febbraio scade il 15 marzo a mezzanotte; il periodo di due mesi dal 31 dicembre scade il 28 febbraio a mezzanotte

I giorni si calcolano sempre interi, dalla mezzanotte alla mezzanotte successiva (computo civile) e non da un ora all’ora corrispondente (secondo quello che sarebbe il computo naturale)

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Viene trascurata la frazione di giorno iniziale in cui è accaduto il fatto dal quale ha inizio il decorso del tempo

Il giorno iniziale (dies a quo) non viene calcolato

Il giorno finale (il dies a quem) viene calcolato

Il tempo utile è quello durante il quale è possibile compiere alcuni atti giuridici, per cui vengono esclusi i giorni feriali; il tempo continuo comprende anche i giorni festivi: LA REGOLA E’ CHE VIENE CALCOLATO IL TEMPO CONTINUO; ma se il termine scade in un giorno festivo, il termine finale viene prorogato di diritto al primo giorno non festivo successivo

La corte di cass ha stabilito che le norme dall’art 2963 non hanno carattere inderogabile e quindi possono essere dettate disposizioni diverse dalle parti, nella loro autonomia negoziale.

Accanto a questa prescrizione estintiva del diritto si conosce un’altra forma di prescrizione, con termini brevi detta PRESUNTIVA. In questo caso il decorso del termine non porta all’estinzione della pretesa del creditore, ma la legge, con presunzione iuris tantum (relativa anche se la prova contraria, come si dirà, è ammessa limitatamente), ritiene che l’obbligazione sia stata estinta: PRESUNTIVE DI PAGAMENTO.

Nelle prescrizioni presuntive la legge presume che sia avvenuto ciò che di norma accade, ciò che il pagamento delle obbligazioni per le quali è previsto un termine di prescrizione presuntiva sia stato fatto prontamente e senza conservazione della eventuale quietanza ed è perciò che la prescrizione presuntiva corre in relazione alle singole prestazioni, anche se vi è stata continuità di somministrazioni o prestazioni. Il creditore trascorso il tempo previsto ha ancora un mezzo per tentare di veder riconosciuto il suo diritto: PUO’ DEFERIRE IL GIURAMNETO DECISORIO AL DEBITORE per accertare se il debito è stato non è stato estinto. Se il debitore, nonostante il mancato pagamento, giuri di aver pagato, giura cioè il falso, non vi è rimedio: la prova contraria non si è formata e il debito è prescritto. Anche la confessione giudiziale o ogni altra ammissione fatta in giudizio dal debitore della mancata estinzione impedisce la prescrizione presuntiva.

Fra le prescrizioni presuntive la legge prevede:

In 6 mesi si prescrive il diritto degli albergatori e degli osti per l’alloggio e il vitto e di tutti coloro che danno alloggio con o senza pensione

In un anno si prescrive :

1.il diritto degli insegnanti per il diritto alla retribuzione che impartiscono a mesi giorni o ore

2.dei prestatori di lavoro per le retribuzioni corrisposte a periodi non superiori ad un mese (ma la corte cost ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della presente disposizione in cui prevede che la prescrizione decorra durante il periodo di lavoro)

3.di coloro che tengono convitto o casa di educazione o di istruzione per il prezzo della pensione e dell’istruzione degli ufficiali giudiziari per il compenso degli atti compiuti nella loro qualità

4.dei commercianti per il prezzo delle merci vendute ai chi non svolge commercio

5.dei farmacisti per il prezzo dei medicinali

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In tre anni si prescrive:

1.il diritto dei lavoratori subordinati per la retribuzione superiore ad un periodo di tempo di un mese

2.dei professionisti, per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative

3.dei notai per gli atti del loro ministero

4. degli insegnanti per il compenso delle lezioni tenute a tempo più lungo di un mese

La prescrizioni presuntive inizia a decorrere dalla scadenza della retribuzione periodica o dal compimento della prestazione (salvo quanto detto per la retribuzione dei lavoratori subordinati). Per le competenze degli avvocati il termine decorre dalla decisione della lite dalla conciliazione delle parti o dalla revoca del mandato; per gli affari non terminati la prescrizione presuntiva decorre dall’ultima prestazione.

LA DECADENZA

Nella decadenza il decorso del tempo riguarda il compimento di un’attività che il soggetto deve svolgere entro un dato termine e il decorso del tempo, senza che venga compiuta questa data attività, PORTA IMPEDIMENTO ALL’ESERCIZIO DEL RELATIVO POTERE DA PARTE DEL TITOLARE e non estinzione del diritto come nella prescrizione). Pertanto la decadenza, con il suo effetto preclusivo, porta certezza togliendo una oggettiva incertezza, rendendo impossibile l’esercizio di una attività che viene riconosciuta la soggetto entro limiti temporali: NON SI CONSOLIDA, COME NELLA PRESCRIZIONE, UNA SITUAZIONE DI INERZIA.

Nella decadenza è implicito un ONERE: un diritto può essere acquistato o un potere essere esercitato SOLO NEL BREVE PERIODO STABILITO DALLA LEGGE O DALLE PARTI; e quindi, mentre la prescrizione deve essere dedotta e provata da chi l’oppone contro la pretesa altrui, con la decadenza spetta all’interessato dare la prova di aver agito prima dello spirare del termine.

Prescrizione e decadenza sono due fenomeni diversi: si è detto che nella prescrizione il tempo si guarda come DURATA (le conseguenze della prescrizione derivano dal fatto che l’inerzia abbia avuto una certa durata), mentre nella decadenza il tempo si guarda come DISTANZA (ossia, per l’interesse di un sollecito esercizio del potere, l’atto deve essere compiuto entro un certo tempo, a non troppa distanza dal fatto che ne è a fondamento). L’art 1495 chiarisce la differenza atra decadenza e prescrizione: il primo comma stabilisce che se il compratore non denunzia entro 8 giorni dalla scoperta i vizi occulti della cosa venduta, decade dal potere di proporre azione per garanzia dei vizi della cosa; nel terzo comma stabilisce che se la azione per ottenere garanzia dai vizi della cosa non è proposta entro un anno dalla consegna della cosa, il relativo diritto si prescrive. L’interessato è quindi prima sottoposto ad una DECADENZA, evitata la quale, è poi soggetto alla PRESCRZIONE

Una volto compiuto l’atto, la decadenza è evitata e quindi (TRABUCCHI) se una data azione è sottoposta ad un termine di decadenza, proposta l’azione la decadenza è evitata ed, anche se il processo si dovesse estinguere o non giungere al suo normale sbocco, si potrà comunque riproporre l’azione.

La legge non distingue sempre se un termine è fissata come decadenza o come prescrizione e la distinzione non è sempre agevole quando si tratta di termini brevi: LA DISTINZIONE PERO’ è DI VITALE IMPORTANZA

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PRATICA, IN QUANTO ALLA DECADENZA NON SI APPLICANO LE CAUSE DI INTERRUZIONE E DI, DI REGOLA, NEPPURE QUELLE DI SOSPENSIONE (DI REGOLA, CIOE’ SE NON E’ STABILITO DIVERSAMENTE)

I termini di decadenza, oltre che essere stabiliti dalla legge, possono essere stabiliti dai soggetti, purché si tratti di diritti disponibili e il termine fissato non renda eccessivamente gravoso l’esercizio del diritto.

La decadenza può essere rilevata d’ufficio dal giudice SOLO SE RIGUARDA DIRITTI SOTTRATTI ALLA DISPONIBILITA’ DELLE PARTI

LA COMMORIENZA

La fine della persona avviene con la morte, non essendo, oggi, più prevista la c.d. morte civile

Con la morte alcuni diritti di cui la persona era titolare si ESTINGUONO (i diritti personalissimi e alcuni diritti patrimoniali personae coherentes, come l’usufrutto), altri si trasmettono mortis causa a III persone (eredi, stato). Il principio che con la morte cessa la capacità giuridica del soggetto non viene contradetto da norme che sembrano tutelare il defunto o la sua volontà di quando era vivo: il testamento, quale espressione della volontà del defunto, non si fa valere per rispetto alla personalità di un morto, ma come riconoscimento della facoltà di un vivo di determinare anche le regole della propria successione, è un prolungamento speciale degli effetti della sua volontà. Cosi gli artt 255 e 282 permettono il riconoscimento o la legittimazione del figlio premorto, non per giovare a quest’ultimo, ma solo in quanto vi siano dei discendenti del morto. Ancora la memoria del defunto è tutelata contro le offese per riguardo alla memoria dei viventi legati al defunto. L’art 11 della l.fallimentare permette il fallimento del defunto per giovare ai creditori.

La l 578/98 ha introdotto il criterio della morte legale per stabilire se un soggetto è deceduto: in base alla disciplina di tale legge è stabilito che un soggetto è deceduto quando vi è l’irreversibile cessazione di tutte le funzioni dell’encefalo e la Corte Cost ha precisato che l’irreversibile venir meno delle funzioni dell’encefalo fa considerare morta la persona anche se sia ancora in atto la circolazione sanguigna, il cuore continui a battere e non sia cessata la respirazione.

Chi ha interesse deve provare la morte del soggetto, prova che di norma avviene con l’atto di morte, ma se non sono tenuti i registri o sono andati distrutti o smarriti o se, per qualunque altra causa, manca in tutto o in parte la registrazione dell’atto, la prova della morte o della nascita può essere data con qualunque mezzo; ma se la mancanza, la distruzione totale o parziale, l’alterazione o l’occultamento sono dovuti per DOLO del richiedente questi no è ammesso a provare la morte o la nascita con qualunque mezzo (452)

Può essere di estrema importanza determinare con precisione il momento della morte di un soggetto: ex art 4 c.c quando un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di una persona ad un'altra e non consta quale di esse sia morta prima, TUTTE SI CONSIDERANO MORTE NELLO STESSO MOMENTO. QUESTA E’ LA C.D. COMMORIENZA. La norma dell’art 4 formulata come una presunzione di non sopravvivenza, va lette ed integrata con l’art 69 c.c. per il quale nessuno può reclamare un diritto in nome di una persona se non che questa esisteva quando il diritto è nato.

INCERTEZZA SULL’ESISTENZA DELLA PERSONA: SCOMPARSA, ASSENZA E DICHIARAZIONE DI MORTE PRESUNTA

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STANTE L’ESIGENZA CHE TUTTI I DIRITTI ABBIANO UN LORO TITOLARE, sono stabilite delle norme per il caso in cui non si abbiano più notizie della persona e si ignori ubi sit et an sit, cioè dove sia o se sia ancora viva.

Si distinguono tre ipotesi:

1. Scomparsa

2. Assenza

3. Dichiarazione di morte presunta

1. SCOMPARSA: è SUFFICINETE LA SCOMPARSA dal domicilio o dall’ultima residenza, accompagnata dalla assenza di notizie sulla persona, anche senza che sia passato un determinato periodo di tempo, perché si manifestino alcune conseguenze. Così l’art 48 c.c. dispone che se una persona è scomparsa dal luogo del suo domicilio o della sua ultima residenza e non si abbiano più notizi, il tribunale del luogo dell’ultimo domicilio o dell’ultima residenza, può, su istanza degli interessati o dei presunti successori legittimi o del p.m., nominare un curatore che rappresenti la persona in giudizio o nella formazione degli inventari o dei conti e nella liquidazione o divisione in cui la persona scomparsa sia interessata e, sempre il tribunale, può dare gli altri provvedimenti necessari alla conservazione del patrimonio dello scomparso (ma nel caso in cui vi sia un rappresentante legale non si fa luogo alla nomina del curatore, mentre se vi è un procuratore il tribunale provvede soltanto per gli atti che il medesimo non può fare).

Inoltre, per la regola per la quale nessuno può reclamare diritti in nome della persona cui si ignora l’esistenza, l’eventuale eredità aperta in favore di uno scomparso è devoluta a coloro i quali sarebbe spettata in sua mancanza i quali devo procedere all’inventario dei beni e dare cauzione.

2.ASSENZA: è chiaro che se la scomparsa dura da tempo crescono i motivi di dubbio sull’esistenza della persona e si rendono necessari dei provvedimenti in vantaggio del suo patrimonio, nell’interesse dei presunti eredi e nell’interesse dello stesso assente nell’ipotesi in cui questo torni.

Alla dichiarazione di assenza si ricorre dopo almeno 2 anni di lontananza, ossia dal giorno in cui risale l’ultima notizia. In questo caso ex art 49 i presunti successori legittimi e chiunque creda ragionevolmente di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla morte (eredi testamentari o legatari), possono DOMANDARE AL TRIBUNALE DEL LUOGO DELL’ULTIMO DOMICILIO O DELL’ULTIMA DELLA RESIDENZA, CHE SIA DICHIARATA L’ASSENZA.

EX ART 50 divenuta eseguibile la sentenza che dichiara l’assenza (e quindi ex art 730 c.p.c. con il passaggio in giudicato e dopo le annotazioni dell’art 729 c.p.c., ossia deve essere pubblicata per estratto nella Gazzetta ufficiale della Repubblica e in due diversi giornali indicati nella sentenza, ma il tribunale può disporre anche altri mezzi pubblicitari), il tribunale, su istanza di chiunque vi abbia interesse o del pubblico ministero, ORDINA L’APERTURA DEGLI ATTI DI ULTIMA VOLONTA’ SE VI SONO. Coloro che sarebbero eredi testamentari o legittima, se l’assente fosse morto nel giorno in cui risale l’ultima notizia, o i lori rispettivi eredi POSSONO DOMANDARE L’IMMISIONE NEL POSSESSO TEMPORANEO DEI BENI, che è una situazione provvisoria, giuridicamente riconosciuta quale titolo per l’amministrazione e il godimento totale o parziale del patrimonio dell’assente regolata dagli artt 50-51-52. Titolare dei bene resta l’assente (e da ciò deriva la normale inammissibilità di atti di disposizione sancita dall’art 54: coloro che hanno ottenuto l’immissione nel possesso dei beni dell’assente non possono IPOTECARLI, ALIENARI O SOTTOPORLI A PEGNO, se non per

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utilità e necessità evidenti riconosciuta dal tribunale e il tribunale nell’autorizzare tali atti dispone circa l’uso e l’impiego delle somme dovute); il diritto del presunto erede ha carattere temporaneo, durando fino al ritorno dell’assente o fino alla dichiarazione di presunta morte; per ottenere l’immissione nel possesso devono dare cauzione nella somma determinata dal tribunale e fare l’inventario. Per quanto riguarda il godimento delle rendite bisogna distinguere:

1. Se coloro che sono immessi nel possesso sono ASCENDENTI, DISCENDENTI O CONIUGE godono della totalità delle rendite

2. Se non rientrano nelle categorie di sopra DEVO ACCANTONARE E RISERVARE, per l’ipotesi in cui ritorni l’assente, UN TERZO DELLE RENDITE

Se l’assente ritorna devono essergli restituiti i beni nello stato in cui si trovano; se l’assenza fu volontaria e non giustificata, il terzo delle rendite accantonate ex art 53 non deve essergli restituito.

Inoltre se taluno prova, durante il possesso temporaneo, di avere avuto, al giorno in cui risale l’ultima notizia dell’assente, un diritto prevalente o uguale a quello del possessore, può escludere questo dal possesso o farsi associare, ma non ha diritto ai frutti se non dal giorno della domanda.

Sempre a seguito della eseguibilità della sentenza che dichiara l’assenza i legatari e tutti coloro ai quali spetterebbero diritti dipendenti dalla morte dell’assente possono domandare di essere ammessi all’esercizio temporaneo dei diritti facendo sempre inventario e dando cauzione; inoltre sempre a seguito della eseguibilità della sentenza che dichiara l’assenza coloro che per effetto della morte sarebbero liberati da obbligazioni possono essere temporaneamente esonerati dall’inadempimento di esse, salvo che si tratti di obbligazioni previste dall’art 434 sempre dando cauzione

L’assenza non scioglie il MATRIMONIO dell’assente e quindi il coniuge non può risposarsi: se però egli riesce comunque a sposarsi, il nuovo matrimonio, finché dura l’assenza, non può essere impugnato.

L’assenza cessa:

Con l’accertamento della morte dell’assente

Con il ritorno dell’assente

Con la dichiarazione di morte presunta

Se viene provata la morte dell’assente si apre la successione di coloro che erano eredi e legatari AL MOMENTO DELLA MORTE

DICHIARAZIONE DI MORTE PRESUNTA: indipendentemente da una eventuale dichiarazione di assenza, trascorsi 10 ANNI dal giorno in cui risale l’ultima notizia dell’assente, il tribunale dell’ultimo domicilio o dell’ultima residenza dello scomparso, su istanza del P.M. O DI COLORO CHE EX ART 50 HANNO DIRITTO AD ESSERE IMMESSI NEL POSSESSO TEMPORANEO (eredi testamentari o legittimi), O I LEGATARI O DONATARI O COLORE CHA POTREBBERO VANTARE DIRITTI DIPENDENTI DALLA MORTE DELLO SCOMPARSO O COLORO CHE PER EFFETTO DELLA MORTE SAREBBERO LIBERATI, può dichiarare con sentenza presunta la morte dell’assente nel giorno in cui risale l’ultima notizia. In nessun caso la sentenza può essere pronunziata se non sono trascorsi 9 anni dal raggiungimento della maggiore età dell’assente. L’istanza se è stata rigettata non può essere riproposta prima che siano decorsi almeno due anni.

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L’art 60 prevede alcune ipotesi in cui il termine di 10 anni dall’ultima notizia dello scomparso è abbreviato:

2 anni dal trattato di pace o se manca 3 anni dalla fine dell’anno in cui sono cessate le ostilità, se la persona di cui non si hanno più notizie è scomparso in operazioni belliche alle quali ha preso parte in qualità di appartenete alle forze armate o al seguito di queste o alle quali si è comunque trovato presente

2 anni dall’entrata in vigore del trattato di pace o quando è mancato 3 anni dalla fine dell’anno in cui sono cessate le ostilità, se la persona di cui non si hanno più notizie è stato fatto prigioniero dal nemico o da questo internato o portato da questo in paese straniero e non sia hanno più notizie di lui dall’entrata in vigore del trattato di pace ovvero dalla cessazione delle ostilità

Dopo due anni dall’infortunio o se non si conosce dopo due anni dalla fine del mese o se il mese non è conosciuto dalla fine dell’anno in cui l’infortunio si è verificato, se la persona di cui non si hanno più notizie è scomparso a seguito di un infortunio

Esistono anche trattati internazionali per quanto riguarda la dichiarazione di morte presunta ( es per i dispersi).

La sentenza che accoglie la domanda dichiara la morte presunta e stabilisce che il soggetto si considera morto nel giorno in cui risale l’ultima notizia (è una forma di accertamento in via indiretta della morte). Gli effetti della sentenza sono retroattivi, come se la morte fosse avvenuta in quel giorno, gli eredi entrano nel godimento definitivo dei beni, con piene disponibilità degli stessi e cessano le eventuali cauzioni date a favore dell’assente, ma devo procedere all’inventario dei beni; il coniuge può contrarre nuove nozze.

Se il presunto morto ritorna gli effetti della sentenza decadono EX NUNC: i beni che si trovano nell’inventario se non sono stati consumati o alienati senza rimpiego ritornano all’assente nello stato in cui si trovano.

Il matrimonio contratto dal coniuge del presunto morto può essere impugnato, ma sono salvi gli effetti civili conseguiti con il secondo matrimonio: la prole rimane legittima.

Per capacità di agire s’intende l’attitudine di un soggetto a porre in essere validamente atti idonei ad incidere sulle situazioni giuridiche di cui è titolare.

Ex art 2 c.c. la capacità d’agire si acquista al raggiungimento della maggiore età, fissata, dopo la riforma del 1975, al compimento del diciottesimo anno d’età.

In linea di principio coloro che non hanno ancora compiuto il diciottesimo anno d’età sono del tutto privi della capacità d’agire. Per contro, i maggiorenni sono dotati di piena capacità legale d’agire, salvo che nei loro confronti non sia stata emessa una SENTENZA di interdizione o di inabilitazione o sia stato emesso un

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DECRETO di nomina di un amministratore di sostegno: in tale ultimo caso la capacità legale d’agire subisce limitazioni più o meno rilevanti a seconda dei casi, potendo addirittura essere esclusa del tutto, come nel caso di interdizione.

Il possesso della capacità legale d’agire è un requisito di validità degli atti negoziali, che sono annullabili, se il soggetto che li pone in essere era privo di tale capacità in relazione al negozio posto in essere. Gli atti stipulati da persone legalmente capaciti sono, invece, validi, salvo che colui che li ha posti in essere, nel momento in cui ha manifestato la propria volontà negoziale, non si trovasse in uno stato di incapacità di intendere e di volare c.d. naturale o di fatto: in quest’ultimo caso gli atti negoziali possono essere annullati se ricorrono i presupposti dell’art 428 c.c.

Per gli atti giuridici in senso stretto non è, invece, richiesta la capacità LEGALE d’agire: per tali atti è necessario e SUFFICIENTE che l’autore, nel momento in cui li ha compiuti, fosse CAPACE DI INTENDERE E DI VOLERE.

Anche per gli atti illeciti la capacità LEGALE d’agire non è un presupposto necessario affinché un soggetto, che con un propria condotta colposa o dolosa abbia cagionato ad altri un danno ingiusto, sia chiamato a rispondere delle relative conseguenze. L’obbligazione di risarcire i danni sorge in capo all’autore del fatto illecito, purché nel momento in cui ha agito fosse capace di intendere e di volere (cosi, ad es, un soggetto danneggiato da un minore o da un interdetto, può pretendere da questi il risarcimento dei danni sofferti, se consta che l’incapace legale nel momento in cui ha tenuto la condotta era in grado di rendersi conto del significato, della portata e delle conseguenze del proprio agire ed era in grado di tenere una determinazione volitiva autonoma e consapevole).

LE CAUSE DI INCAPACITA’ E GLI ISTITUTI DI PROTEZIONE

1: LA MINORE ETA’ E LA PODESTA’ GENITORIALE

Fino al raggiungimento della maggiore età ogni persona, salvo alcune eccezioni, è priva della capacita LEGALE d’agire e, quindi, gli è preclusa la possibilità di porre in essere validamente qualsiasi atto negoziale: tutti i negozi giuridici eventualmente conclusi da un minore in prima persona sono ANNULLABILI (1425 c.c.), a prescindere dal contenuto di tali atti e dalla circostanza che si prestino o meno ad essere pregiudiziali per l’interesse del minore che li ha compiuti e quindi –a rigore- pure nell’ipotesi in cui dovesse trattarsi di atti economicamente vantaggiosi per il minore.

Tuttavia si afferma che i piccoli negozi della vita quotidiana compiuti da minore debbano ritenersi validi, sempre che non siano suscettibili di arrecare pregiudizio alcuno agli interessi del minore. Infatti, si ritiene, ricorrendo ad una finzione giuridica, che il minore nel concluderli non agisca in proprio nome, MA in nome dei genitori in virtù di una procura tacita (garantendo così la stabilità dei negozi di modesto valore posti in essere da minori). Ciò è possibile perché è sufficiente, in base alla disciplina della rappresentanza, che il rappresentante si capace di intendere e di volere, non occorrendo che egli sia dotato della capacità legale d’agire (che deve invece sussistere in capo al rappresentato).

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DEROGHE IN CUI LA LEGGE AMMETTE MINORRENNI A COMPIERE VALIDI ATTI NEGOZIALI:

1. IL 2 co dell’art 2 c.c. fa salve le leggi speciali che ammettono minorenni a prestare un attività lavorativa. Da prendere in considerazione sotto tale profilo e la l. 977/67 che ammette all’esercizio di un’attività lavorativa il minorenne che abbia concluso il periodo di istruzione obbligatoria e abbia compiuti i 15 anni d’età. Quindi il minore che abbia compiuto i quindici anni può instaurare una valido rapporto lavorativo ( si discute se il contratto debba essere stipulato dal minore in prima persona o dai genitori che ne hanno la rappresentanza legale , previo consenso del minore): con l’instaurazione del rapporto il minore acquista la capacità di porre in essere gli atti di esercizio dei diritti che ne derivano e promuovere le azioni per far valere in giudizio tali diritti.

2. La l. in materia di diritto d’autore ammette il minorenne che abbai compiuto i 16 anni di porre in essere validamente gli atti di esercizio e di disposizione dei diritti che gli spettano sulle opere che ha creato e di esperire le azioni per farli valere in giudizio.

3. A 16 anni il minore può riconoscere un figlio naturale e chiedere l’autorizzazione a sposarsi (Checchini)

PODESTA’: Il minore è sottoposto alla podestà dei genitori (se entrambi i genitori sono morti o sono decaduti o sono stati sospesi dall’esercizio della potestà si apre il procedimento per la nomina di un tutore).

Ex 2 co 316 c.c. la potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori che debbono adottare insieme le decisioni concernenti la vita, la persona, e il patrimonio del minore, ferma la possibilità di concordare delle direttive che poi ciascuno di essi può attuare anche per proprio conto (1442).

La potestà è un dovere ma anche un diritto dei genitori: è un POTERE-DOVERE (Checchini: è un ufficio di diritto privato), una funzione di rilevante interesse pubblico, che postula il rispetto anche delle scelte esistenziali del minore: pertanto è IRRINUNZIABILE; NE’ SAREBBERO VINCOLANTI LE CONVENZIONI CHE IL GENITORE STIPULASSE PER IL SUO ESERCIZIO.

I genitori hanno il dovere di provvedere al mantenimento, all’educazione e all’istruzione dei loro figli, come disposto sia dall’art 30 della Cost. sia dall’art 147 c.c., in quale dispone inoltre che i genitori nel compimento di tale dovere devono tener conto della CAPACITA’, INCLINAZIONE NATURALE E ASPIRAZIONI DEL MINORE.

L’obbligo grava su entrambi i genitori in proporzione alle loro sostanze e alle loro capacità di lavoro professionale e casalingo.

La potestà genitoriale ha un contenuto PERSONALE e un PATRIMONIALE.

CONTENUTO PERSONALE:

1. Comprende il dovere di CUSTODIRE, ALLEVARE, EDUCARE, ISTRUIRE il minore (art 147.)

2. Chi ha la potestà deve destinare la residenza dalla quale il minore non può allontanarsi senza permesso e qualora il minore se ne allontani i genitori possono richiamarlo ricorrendo se necessario al giudice tutelare. Il domicilio del minore è quello della famiglia o del genitore presso cui convive (DOMICILIO NECESSARIO)

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POTERI DI NATURA PATRIMONIALE comprendono:

1. La rappresentanza legale del minore

2. L’amministrazione dei beni

3. L’usufrutto legale

I genitori hanno il potere di compiere IN NOME e NELL’INTERESSE DEL FIGLIO soggetto alla loro potestà atti di amministrazione del suo patrimonio.

ATTI DI ORDINARIA AMMINISTRAZIONE: tali atti possono essere compiuti da ciascun genitore disgiuntamente dall’altro.

ATTI CON cui si CONCEDONO O SI ACQUISTANO DIRITTI PERSONALI DI GODIMENTO (in nome del minore): devono essere conclusi dai genitori congiuntamente e sono annullabili se compiuti da uno solo senza la partecipazione dell’altro.

ATTI 3 CO 320: i genitori possono:

1. alienare, ipotecare dare in pegno i beni pervenuti al minore A QUALSIASI TITOLO, anche a causa di morte

2. accettare o rinunziare ad eredità o legati

3. accettare donazioni

4. procedere allo scioglimento di comunioni

5. concedere mutui o locazioni ultranovennali

6. TRANSIGERE O COMPROMETTERE IN ARBITRI GIUDIZI relativi a tali atti compresi gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione

7. compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione: la Cass ha affermato che un atto diverso da quelli elencati nel 3 co dell’art 320 può essere considerato di ordinaria amministrazione solo se:

a. è oggettivamente funzionale e idoneo alla conservazione del valore e delle caratteristiche oggettive essenziali del patrimonio del minore a prescindere dagli intendimenti soggettivi di chi agisce

b. ha un valore economico non particolarmente elevato in senso assoluto e soprattutto in considerazione dell’entità complessiva del patrimonio medesimo

c. comporta un margine di rischio modesto in considerazione alla consistenza del patrimonio, alla natura e alle caratteristiche dei beni che ne fanno parte

UN ATTO PRIVO ANCHE SOLO DI UNA DI QUESTE CARATTERISTICHE E’ DA CONSIDERARE ATTO ECCEDENTE L’ORDINARIA AMMINISTRAZIONE

Solo se ricorrono 2 PRESUPPOSTI:21

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a. LA NECESSTA’ E UTILITA’ EVIDENTE PER IL FIGLIO

b. L’AUTORIZZAZIONE DEL GIUDICE TUTELARE (sul punto bisogna evidenziare una mancanza di collegamento fra l’art 320 3 co e l’art 747 c.p.c. l’art 747 cpc esige per la vendita dei beni ereditari degli incapaci l’autorizzazione del tribunale del luogo dove si è aperta la successione; mentre l’art 320 cc richiede per l’alienazione dei beni pervenuti al minore A QUALUNQUE TITOLO ANCHE A CAUSA DI MORTE l’autorizzazione del giudice tutelare e per una vasta corrente interpretativa la norma del 747 cpc risulta assorbita dall’art 320 cc. Le Sez Un della Cass hanno però affermato la competenza del tribunale del luogo dove si è aperta la successione per autorizzare la vendita dei beni pervenuti al minore in potestà FINCHE’ LA SUCCESSIONE EREDITARIA NON SIA STATA DEFINITA, DURANTE LA C.D. CRISI SUCCESSORIA)

Gli atti compiuti senza uno di tali presupposti sono annullabili.

ESERCIZIO DI UN IMPRESA FAMILARE: necessità l’autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare (che può, finché il tribunale non decide, autorizzare un esercizio temporaneo)

CONFLITTO DI INTERESSI: Se sorge un conflitto di interessi fra più figli o fra figlio e genitore o se i genitori non vogliono compiere un atto nell’interesse del figlio il giudice può nominare un CURATORE SPECIALE.

L’eredità devoluta ai minori deve essere accettata con beneficio d’inventario e per l’accettazione dell’eredità e della donazione è richiesta l’autorizzazione del giudice tutelare.

I genitori hanno in comune l’USUFRUTTO LEGALE (godere e percepire i frutti dei beni del minore) sui beni del minore il cui ricavato va a beneficio del mantenimento dell’intera famiglia e all’educazione di tutti i figli

L’usufrutto legale come diritto è INALIENABILE E IMPIGNORABILE, ma i frutti possono essere pignorati ed espropriati dai creditori, purché non si tratti di debiti che il creditore sapeva essere contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO

L’art 404 dispone che “la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistito da un AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio”.

Tale disposizione lascia spazio ad un campo applicativo molto ampio: L’ISTITUTO SI PRESTA AD ESSERE UTILIZZATO IN MOLTEPLICI SITUAZIONI NON DEFINITI A PRIORI (a tal proposito era stata sollevata questione di incostituzionalità per il fatto che la legge non indicasse a priori i criteri per distinguere l’amm. di sostegno dall’interdizione e dall’inabilitazione. La corte cost ha affermato che tale fatto non solo non fa emergere profili di incostituzionalità ma rappresenta la via scelta dal legislatore per garantire al singolo la forma di protezione più adatta alla fattispecie concreta. La Cassazione a tal proposito ha affermato che l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato non tanto in riferimento al grado di inettitudine ad attendere ai propri interessi, quanto alla maggiore idoneità dell’istituto ad adattarsi alle esigenze del caso concreto).

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Dalla lettera della norma sembra che sia possibile fare ricorso a tale istituto anche in presenza di un solo impedimento fisico: più coretto è però ritenere che una certa limitazione, per quanto lieve, della capacità decisionale del soggetto debba essere presente; essendo, invece, di fronte a mere menomazioni fisiche, più pratico fare ricorso ad altri strumenti quale la procura o il mandato, posto che il soggetto è perfettamente capace . la giurisprudenza in proposito è, però, orientata a riconoscere in presenza di soli deficit fisici la possibilità di ricorrere all’amministrazione di sostegno, senza arrivare a comprimere la capacità d’agire del beneficiario.

Ex 1 co 404 c.c. la nomina dell’amministratore di sostegno viene disposta dal giudice tutelare con decreto motivato immediatamente esecutivo (salvo il caso che il beneficiario sia un minore, decreto che nei suoi confronti può essere emesso solo nell’ultimo anno di minore età: in tal caso sarà esecutivo dal momento del raggiungimento della minore età; salvo ancora che riguardi un interdetti o un inabilitato: in tal caso il decreto è esecutivo dalla PUBBLICAZIONE della sentenza di revoca).

Il decreto, ex 5co 405, deve contenere l’indicazione della persona dell’amministratore di sostegno e del beneficiario (num 1),la determinazione in ordine alla durata (num2 che può essere anche a tempo indeterminato), ai limiti e all’oggetto dell’incarico, definendo quali atti necessitano dell’intervento dell’amministratore e quale forma deve assumere tale intervento, cioè quando deve agire in NOME e PER CONTO del beneficiario (num 3) o quando deve solo ASSISTERLO (num 4).

Il beneficiario conserva la capacità per gli atti per i quali non è richiesta la RAPPRESENTANZA ESCLUSIVA o L’ASSISESTENZA dell’amministratore e in ogni caso è legittimato a porre in essere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana

Gli atti posti in essere in violazione della legge o del contenuto del decreto sono ANNULLABILI: E LO SONO SIA GLIA TTI COMPIUTI DALL’AMM CHE ECCEDA I PROPRI POTERI(in tal caso i soggetti legittimati a proporre la domanda sono: l’amm di sostegno; il p.m. beneficiario; suoi eredi o aventi causa), SIA QUELLI COMPIUTI DAL BENEFICIARIO CARENTE DELLA LEGITTIMITA’ PER QUELL’ATTO (legittimazione attiva: amm di sostegno, beneficiario suoi eredi o aventi causa). L’azione si prescrive nel termine di 5 anni che decorre dal momento in cui è cessato lo stato di sottoposizione ad amministrazione di sostegno.

L’istanza per la nomina di un’amministrazione di sostegno può essere promossa dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minorenne interdetto o inabilitato (in questi ultimi due casi il ricorso va presentato congiuntamente all’istanza di revoca dell’interdizione o inabilitazione dinanzi al giudice per queste competenti) o dai uno dei soggetti dell’art 417:

1. Diretti interessati

2. Coniuge

3. persona stabilmente convivente

4. parenti entro il 4 grado

5. Affini entro il 2 grado

6. Tutore o curatore

7. Pubblico ministero.

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Ex 2 co art 417 se il beneficiario si trova sotto la potestà dei genitori il ricorso non può che essere presentato o su domanda del/dei genitore/i esercente/i la potestà genitoriale o dal p.m.

In ogni caso il giudice deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce e tener conto degli interessi e delle esigenze di protezione della persona dei bisogni e delle richieste di questa. Inoltre il giudice può disporre d’ufficio i mezzi istruttori utili ai fini della decisione e gli accertamenti di natura medica

Nella more del procedimento è possibile che il giudice tutelare adotti delle misure provvisorie: prima della nomina dell’amministratore il giudice tutelare dispone anche d’ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona e per la gestione del suo patrimonio e si può procedere pure alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio indicando gli atti che è autorizzato a compiere.

Glie effetti decorrono dalla emissione del decreto del quale deve essere data pubblicità con annotazione a cura del cancelliere nell’apposito registro assieme al decreto di apertura e di ogni altro provvedimento assunto dal giudice nel corso del procedimento. Il decreto di apertura e quello di chiusura devono inoltre essere comunicati entro 10 giorni all’ufficiale di stato civile per le annotazioni a margine dell’atto di nascita del beneficiario .

L’amministrazione di sostegno può essere disposta a tempo determinato o indeterminato: il giudice tutelare conserva comunque il potere di modificare o integrare in ogni tempo le decisioni assunte nonché di revocare anche d’ufficio la misura

L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO : Come si è detto, e a differenza di quanto previsto per l’interdizione e l’inabilitazione, il giudice nel formulare il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno gode di un ampia discrezionalità per cercare la situazione più confacente alle esigenze del beneficiario.

La persona dell’amministratore va scelta dal giudice con esclusivo riguardo alla cura e all’interesse del beneficiario e la persona può anche essere indicata con atto pubblico o scrittura privata autenticata dal beneficiario stesso in previsione della sua futura incapacità: tale scelta, però, può essere disattesa dal giudice in presenza di gravi motivi . in presenza di tali gravi motivi o in assenza di una scelta preventiva del beneficiario il codice al 3 co dell’art 408 indica un novero di persone tra le quali deve essere scelto l’amministratore di sostegno con preferenza per il coniuge non separato o la persona stabilmente convivente. Le altre persone sono:

1. Il padre

2. La madre

3. Il figlio

4. Il fratello o la sorella

5. Il parente entro il 4 grado

6. Il soggetto designato dal genitore con atto pubblico ,scrittura privata autenticata o testamento.

Non possono ricoprire l’incarico le persone o l’ente che hanno in cura o in carico il beneficiario.

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Nello svolgimento dell’incarico l’amministratore deve tener conto dei BISOGNI e delle ASPIRAZIONI del beneficiario, informando circa gli atti da compiere. In caso di dissenso con il beneficiari deve informare il giudice tutelare.

In caso di CONTROSTO, SCELTE o ATTI DANNOSI ovvero NEGLIGENZA nel perseguire l’interesse o i bisogni o le richieste del beneficiario, quest’ultimo o il p.m. o i soggetti del 406 c.c. (che sono quelli legittimati a proporre il ricorso) possono ricorrere al giudice tutelare che adotta i provvedimenti opportuni con decreto motivato

L’amministratore non è tenuto a continuare il suo incarico per oltre 10 anni ad eccezione in cui tale incarico non sia rivestito dal coniuge dalla persona stabilmente convivente dagli ascendenti o dai discendenti.

Le decisioni in materia sono comunque sempre rivedibili in ogni tempo. Se vengono, poi, meno i presupposti il giudice tutelare, su ricorso del beneficiario, del p.m., dell’amministratore, o di taluno dei soggetti dell’art 406, può disporre con decreto motivato la cessazione dell’amministrazione di sostegno. Il giudice tutelare provvede, anche d’ufficio, alla cessazione dell’amministrazione di sostegno anche nell’ipotesi in cui questa sia risultata inidonea a realizzare la tutela del beneficiario: in questa ipotesi, se ritiene che si debba iniziare il procedimento di interdizione o di inabilitazione informa il p.m. affinché vi provveda (in tal caso l’amministratore cessa o con la nomina del tutore o curatore provvisorio o con la dichiarazione di interdizione o inabilitazione).

INTERDIZIONE

L’interdizione giudiziale si ha quando una persona si trova affetta da ABITUALE infermità di mente che la rende incapace di provvedere ai propri interessi.

Infermità abituale o permanente di mente vuol dire che si deve trattare di un vizio duraturo, anche se ammette guarigione.

Quando c’è tale presupposto il soggetto può essere interdetto ove ciò sia necessario per assicurali adeguata protezione.

i presupposti per l’interdizione sono 2:

1. Vizio di mente abituale e conseguente

2. Inettitudine ad attendere ai propri interessi

Questi presupposti sono NECESSARI ma NON SUFFICIENTI per avere le conseguenze derivanti dall’incapacità: L’INCAPACITA’ DERIVA SOLO DALLA SENTENZA CHE LA DICHIARA

l’interdizione porta con se una incapacità GENERALE CIRCA I NEGOZI PATRIMONIALI O FAMILIARI più grave di quella disposta per la minore età: non solo non può stipulare contratti, ma è incapace di sposarsi, di riconoscere un figlio naturale: UN TUTORE LO DEVO RAPPRESENTARE IN TUTTI GLI ATTI IN CUI SIAA POSSIBILE UNA RAPPRESENTANZA.

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Il giudice, però, nella sentenza che pronuncia l’interdizione o successivamente può stabilire che alcuni atti di ORDINARIA AMMINISTRAZIONE possano essere compiuti dall’interdetto senza la rappresentanza ovvero con l’ASSISTENZA del tutore.

Gli atti compiuti dall’interdetto dopo la sentenza sono annullabili su istanza del tutore o degli eredi o aventi causa dell’interdetto. Sono inoltre annullabili gli atti compiuti dall’interdetto dopo la nomina del tutore provvisorio se segue la domanda di interdizione. (per gli atti compiuti prima della sentenza o della nomina del tutore provvisorio si applica il 428: atti compiuti da un incapace naturale)

PROCEDIMENTO: l’interdizione può essere promossa:

1. dallo stesso interdicendo,

2. dal coniuge;

3. dalla persona stabilmente convivente

4. dai parenti entro il 4 grado

5. dagli affini entro il 2 grado

6. dal tutore (di un minore senza genitori) o dal curatore (di un inabilitato o di un emancipato)

7. dal p.m.

Ma se l’interdicendo si trova sotto la potestà o la curatela dei genitori solo quest’ultimi e il p.m. possono promuovere il giudizio.

il procedimento può essere promosso contro un maggiore d’età o un minore emancipato; può tuttavia essere promosso anche nei confronti di un diciasettenne non emancipato e in questo caso gli effetti della pronuncia decorrono dal raggiungimento della maggiore età (ratio: per evitare che il soggetto divenuto maggiorenne si trovi sprovvisto di protezione per la durata del procedimento).

Il giudice deve sentire personalmente l’interdicendo e può disporre d’ufficio i mezzi istruttori e gli accertamenti che ritiene utili ai fini della decisione. La deroga al principio dispositivo in materia di prova si spiega perché l’oggetto della domanda è la CURA della persona e ciò spiega anche il fatto che il giudice ha la possibilità di emettere un provvedimento diverso da quello richiesto: è cioè possibile che nel corso del procedimento di interdizione venga dichiarata d’ufficio l’inabilitazione al posto dell’interdizione oppure se a fronte di una richiesta di interdizione apparisse opportuno far luogo alla nomina di un amministratore di sostegno il giudice dispone, anche d’ufficio, la trasmissione degli atti al giudice tutelare competente .

Nelle more del procedimento il giudice istruttore può adottare delle misure provvisorie: può nominare un tutore provvisorio, con la conseguenza che dopo la nomina del tutore provvisorio gli atti compiuti dall’interdicendo si trovano in uno stato di pendenza , nel senso che se viene pronunciata la sentenza saranno annullabili se no resteranno validi (salvo il 428). L’interdizione a effetto dalla pubblicazione della sentenza , la quale , assieme agli eventuali decreti di nomina del tutore provvisorio, viene annotata, a cura del cancelliere, nel registro delle tutele e comunicata all’ufficiale di stato civile per le annotazioni in margine all’atto di nascita .

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L’interdizione ha effetto fino alla morte del soggetto o fino alla sentenza di revoca (che richiede le stesse annotazioni della sentenza costitutiva dell’interdizione; produce effetti dal passaggio in giudicato della sentenza, ma gli atti compiuti dopo la pubblicazione della sentenza non possono essere impugnati se non quando la revoca è esclusa con sentenza passata in giudicato).

TUTELA: quando, per una qualsiasi causa, un minore non abbia chi eserciti la potestà dei genitori e in tutti i casi per l’interdetto si ricorre alla TUTELA (artt. 343 e ss.).

Le disposizioni sulla tutela dei minori sia applicano anche agli interdetti secondo il disposto dell’art 4241.

La tutela si apre presso il tribunale del circondario del domicilio del minore o dell’interdetto.

Ex art 345 l’ufficiale di stato civile, il notaio, il cancellieri o i parenti primissimi nei casi stabiliti dalla legge devono dare pronta comunicazione al giudice tutelare dei fatti da cui deriva la necessità di provvedere alla tutela.

La nomina del tutore spetta al giudice tutelare che nella scelta della persona deve seguire i criteri dell’art 348 e precisamente la tutela dei minori, che va attribuita secondo il seguente ordine, si distingue in:

1. volontaria: quando il giudice nomina la persona designata dal genitore che per ultimo esercitò la potestà

2. legittima quando è affidata ad un parente prossimo o a un affine del minore partendo dagli ascendenti

3. dativa quando è affidata ad altre persone scelte liberamente dal giudice tutelare

4. assistenziale quando è affidata ad un ente assistenziale nei casi indicati dall’art 354 quando nel luogo del domicilio del minor e non vi siano parenti conosciuti o in grado di esercitare l’ufficio da tutore)

Bisogna tuttavia osservare che nell’attuale sistema non si possa parlare in senso tecnico di tutela volontaria, in quanto la designazione che fa il genitore è in ogni caso solo un indicazione che deve essere vagliata dal giudice tutelare per la decisione definitiva in ordine alla nomina: la dottrina più recente quindi tende ad affermare che la tutela è sempre DATIVA, in quanto la scelta, in fondo, spetta sempre al giudice tutelare.

Per la scelta del tutore dell’interdetto l’ordine da seguire è meno stretto e ex art 424 il giudice tutelare deve avere esclusivo riguardo alla cura e agli interessi dell’incapace e deve seguire i criteri stabiliti dal 408 per l’amministratore di sostegno:

Ti amo

LA FAMIGLIA IN GENERALE

Parentela:

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IL MATRIMONIO

SISTEMA MATRIMONIALE ITALIANO:

la parola matrimonio può essere intesa in due modi: MATRIMONIO COME ATTO GIURIDICO (matrimonium in fieri) e MATRIMONIO COME RAPPORTO (matrimunium in facto).

L’atto di matrimonio, ossia la celebrazione, non è lasciata alla sfera esclusiva dei privati: nelle celebrazioni religiose vi è il parroco o il ministro di altro culto; nel matrimonio civile l’ufficiale di stato civile, il sindaco. La funzione di questi soggetti è diversa rispetto alla funzione di un notaio che documenta semplicemente lo scambio dei consensi dei contrenti.

Il sistema matrimoniale italiano consente che il matrimonio come ATTO può essere disciplinato dalla

legge civile se celebrato davanti all’ufficiale di stato civile o ai ministri dei culti acattolici

dalla legge canonica se celebrato in forma concordataria

Il matrimonio come RAPPORTO (intendendo gli effetti che derivano dalla celebrazione) è disciplinato esclusivamente dalla legge dello stato.

A fronte della duplice disciplina dell’atto e dell’unica disciplina del rapporto l’ordinamento prevede, con riguardo alla forma dell’atto di celebrazione quella:

civile

concordataria

acattolica.

Vediamo come si giustificano tali affermazioni.

(MATRIMONIO CONCORDATARIO) Lo stato italiano nel 1929 ha stipulato con la Santa Sede i Patti Lateranensi, al fine di ridonare all’istituto del matrimonio, che è alla base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo. CON I PATTI LATERANENSI DEL 1929 LO STATO ITALIANO RICONOSCE AL SACRAMNETO DEL MATRIMONIO, DISCIPLINATO DAL DIRITTO CANONICO, GLI EFFETTI CIVILI. Le norme canoniche, così richiamate, non sono solo quelle attinenti alla forma della celebrazione, ma anche quelle che riguardano la valida instaurazione del rapporto secondo l’ordinamento canonico, ossia che riguardano la sostanza. Nel 1984, tuttavia, in seguito agli Accordi di Villa Madama, in revisione dei Patti Lateranensi del 29, il sistema è stato profondamente cambiato. All’art 8 della legge di ratifica degli Accordi di Villa Madama si è limitata la trascrivibilità dei matrimoni cattolici per gli effetti civili alle condizioni che siano rispettati i limiti d’età e che non esistano altri impedimenti civili inderogabili. Limiti importanti sono stati pure previsti per il riconoscimento delle sentenze di nullità canoniche. Lo stato, pertanto, riconosce ai cattolici la legge canonica e quindi assumono efficacia (nei limiti che si dirà) sia il loro matrimonio religioso sia quelle sentenze dei tribunali ecclesiastici che ne dichiarano la nullità.

Anche per il matrimonio cattolico sono di regola richieste le pubblicazioni, fatte mediante affissione alle porte della chiesa parrocchiale, per la durata di almeno 8 giorni comprese due domeniche successive; il parroco prima di iniziare le pubblicazioni, deve investigare per vedere se non esistano impedimenti. Le

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pubblicazioni ecclesiastiche non bastano per ottenere gli effetti civili del matrimoni., pertanto, sia i nubendi che il parroco, dovranno fare richiesta all’ufficiale di stato civile , affinché alla porta della casa comunale venga fatta pubblicazione civile. Quando il matrimonio viene celebrato secondo il diritto canonico, affinché l’atto possa acquistare effetti civili, è necessario che il celebrante ricordi gli effetti civili del matrimonio dando lettura degli artt 143 144 e 147 (l’ufficiale di stato civile dovrebbe sospendere la trascrizione dell’atto che non contenga menzione della eseguita lettura.

La trascrizione dell’atto: il parroco subito dopo la celebrazione deve redigere l’atto di matrimonio in doppio originale. Uno di questi viene trasmesso all’ufficiale di stato civile del comune do ve il matrimonio è stato celebrato. Nell’atto di matrimonio da trascrivere vanno inserite anche le eventuali dichiarazioni dei coniugi consentite dalla legge civile. Con la trascrizione il matrimonio religioso acquista efficacia civile e l’acquista retroattivamente. Lo stato non ammette la trascrizione dell’atto in presenza di interdizione, precedente matrimonio fra le stesse persone, precedente matrimonio fra uno dei coniugi ed un III; inoltre gli accordi di villa madama del 85 hanno allargato le ipotesi di non trascrizione comprendendo l’esistenza di impedimenti che la legge civile considera inderogabili (età, affinità in linea retta e impedimento da delitto). La trascrizione è:

ordinaria o tempestiva quando il matrimonio cattolico è stato preceduto dal rilascio del certificato dell’avvenuta pubblicazione e l’atto è trasmesso dal parroco entro 5 giorni dalla celebrazione. Gli effetti della trascrizione retroagiscono alla celebrazione e ciò anche quando l’ufficiale di stato civile, pur avendo tempestivamente ricevuto l’atto entro i 5 giorni ne ritarda la trascrizione (trascrizione ritardata)

trascrizione tardiva quando l’atto di matrimonio non è stato consegnato entro 5 giorni, purché sia richiesta da entrambe le parti, o anche da uno di essi , con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro, e a condizione che entrambi gli sposi abbiano conservato lo stato libero ininterrottamente dalla celebrazione alla richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti acquisiti dai III

la trascrizione straordinaria, che si aveva quando il matrimonio non era stato preceduto dalle pubblicazioni civili, non è stata confermata dagli accordi di villa madama. Sul punto è viva la discussione in dottrina circa la sua sopravvivenza. L’opinione contraria alla odierna ammissibilità di tale trascrizione argomenta dal fatto che, nel nuovo sistema concordatario, la celebrazione del matrimonio religioso con effetti civili è preceduto da un atto di scelta della forma concordataria che si manifesta nella richiesta delle pubblicazioni civili, volte non alla celebrazione di un matrimonio civile ma alla trascrizione di un matrimonio cattolico. E quindi si afferma che la mancata richiesta di pubblicazioni, rilevando il mancato esercizio della scelta, induce a ritenere che gli sposi abbiano ritenuto limitare gli effetti alla sola sfera religiosa. A questa tesi però si obbietta che la legge di ratifica degli accordi di villa madama subordina il conseguimento degli effetti civili del matrimonio canonico alla condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale., lasciando intendere che la pubblicazione deve precedere la trascrizione e non necessariamente la celebrazione

(MATRIMONIO ACATTOLICO) LA LEGGE 1159/29, ancora parzialmente in vigore, riconobbe efficacia ai matrimonio civile celebrato con le forme proprie dei culti acattolici. Quindi il matrimonio può essere celebrato anche secondo uno dei vari culti acattolici (da ministri di nomina riconosciuti). Lo stato italiano procedendo a mezzo di trattative bilaterali con i rappresentanti delle diverse confessioni, dichiara di riconoscere effetti civili ai matrimoni celebrati nei vari riti, a condizione che essi siano

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trascritti nei registri dello stato civile. Nel nulla osta che l’uff. di stato civ deve rilasciare dopo l’adempimento delle formalità preliminari, e cioè dopo la pubblicazioni e dopo aver spiegato agli sposi i diritti e i doveri che nascono dal matrimonio, dando lettura degli artt. 143 144 e 147, si attesta che nulla si oppone alla successiva celebrazione. Il ministro del culto redige l’atto di matrimonio ed entro 5 giorni lo trasmette all’ufficiale di stato civile per la trascrizione. Le confessioni religiose che non hanno stipulato un intesa con lo Stato sono soggette alla legge 1158/29. Diversamente da quello concordatario, il matrimonio come atto è soggetto unicamente alla legge statale: l’ordinamento dello Stato considera irrilevante la normativa sostanziale propria di ciascuna confessione, limitandosi a riconoscere solo la forma religiosa di celebrazione (la prevalente dottrina qualifica il matrimonio acattolico come un matrimonio civile celebrato in forma speciale).

MATRIMONIO CIVILE

MATRIMONIO COME ATTO: NUPTIAS NON CONCUBINUS SED CONSENSUS FACIT. IL MATRIMONIO ATTUALMENTE VIENE CONCEPITO COME UN ATTO GIURIDICO (differentemente da quanto avveniva nell’antica Roma che era determinato da una situazione di fatto). Alla base del matrimonio vi è l’esistenza di un ATTO GIURIDICAMENTE VALIDO, che è la CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO (senza vi è un caso di INESITENZA del matrimonio). E’ proprio l’esistenza di questo atto che contraddistingue le due situazioni del matrimonio e del concubinato ed il primo, anche se non è più indissolubile, è caratterizzato dalla stabilità.

La dottrina si è per determinare la natura giuridica di questo atto. Per i canonisti esso è contemporaneamente un sacramento e un contratto fra le parti. Nella dottrina civilistica, però, vi sono delle obbiettivi difficoltà di far rientrare il matrimonio nella categoria del contatto, date sia dall’atteggiamento delle parti, al cui accordo è data solo la possibilità di aderire con un duplice si, sia dall’intervento dell’ufficiale celebrante, il quale non si limita a documentare la volontà degli interessati, ma partecipa attivamente, quale rappresentante dell’autorità. Quindi nel matrimonio mancherebbe tanto la sostanza quanto la forma del contratto. Criticata è pure la tesi contrapposta alla dottrina contrattualistica del matrimonio, cioè la tesi che vuole vedere l’essenza del matrimonio nell’atto di chi rappresenta l’autorità. La volontà delle parti ha un valore enorme che risulta impossibile considerarla soltanto come il presupposto degli effetti che deriverebbero direttamente dalla volontà dello Stato. Il matrimonio è un atto complesso che si allontana dagli schemi tipici dei negozi giuridici privati, in quanto una delle tre persone che lo pongono in essere è necessariamente un soggetto di diritto pubblico; è un atto solenne, nel quale, anzi, la forma assume una rilevanza particolare, in quanto non solo necessaria, ma a volte anche sufficiente per l’esistenza del matrimonio civile.

Requisiti e impedimenti:

sono requisiti:

1. l’età. Il diritto civile richiede la maggiore età. Tuttavia il tribunale, su istanza dell’interessato, sentiti il p.m., il genitore o il tutore, accertata la sua maturità psico fisica può con decreto emesso in camera di consiglio ammettere per gravi motivi il matrimonio di chi abbia compiuto 16 anni. Il matrimonio contratto in violazione dell’art 84 (cioè il matrimonio del sedicenne senza autorizzazione) può essere impugnato:

dai coniugi

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da ciascuno dei genitori

dal p.m.

L’azione può essere proposta direttamente dal minore non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età e l’azione proposta dal genitore o dal p.m. deve essere respinta ove, anche in pendenza di giudizio, il minore abbia raggiunto la maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e in ogni caso sia accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale

2. la capacità di intendere e di volere: l’art 120 dice che può essere impugnato il matrimonio contratto da colui che, non essendo né interdetto né interdicendo, si trovava per qualunque causa, anche transitoria, in stato di incapacità naturale, al momento della celebrazione. Il matrimonio può essere impugnato solo dal coniuge che era in stato di incapacità naturale non oltre un anno di coabitazione dal riacquisto della capacità

3. capacità legale: l’art 85 vieta il matrimonio all’interdetto (se l’istanza di interdizione è solo promossa il p.m. può chiedere la sospensione della celebrazione del matrimonio e il matrimonio non può essere celebrato finché la sentenza che ha pronunciato sull’interdizione non sia passata in giudicato). Se viene cmq celebrato il matrimonio, questo può essere impugnato dal p.m., dal tutore e da tutti coloro che hanno un interesse legittimo, se al tempo del matrimonio vi era già sentenza di interdizione ovvero se l’interdizione è stata pronunciata posteriormente, ma per una causa già esistente al tempo del matrimonio. Dopo la revoca dell’interdizione può essere impugnato anche dall’interdetto. E’ prevista una decadenza: il matrimonio non può essere impugnato se vi è stato, dopo la revoca dell’interdizione, un anno di coabitazione. L’inabilitato se non rientra nel caso del 120 c.c. può sposarsi.

Tra gli impedimenti ricordiamo:

1. i vincoli di parentela affinità e adozione. E’ impedimento non dispensabile il vincolo di parentela in linea retta, anche naturale, e in linea collaterale, anche naturale, di secondo grado. La parentela collaterale di III grado (zio e nipote) è dispensabile. L’affinità in linea retta, anche se deriva da un matrimonio che poi è stato sciolto, non è dispensabile. L’affinità in linea collaterale e quella il linea retta, se deriva da matrimonio dichiarato nullo, costituisce impedimento dispensabile. L’adozione di maggiori d’età crea vincoli che rappresentano impedimenti al matrimonio fra adottante e adottato, fra figli adottivi della stessa persona, tra adottante e figli o coniuge dell’adottante. Il matrimonio contratto in violazione dell’art 87 può essere impugnato dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal p.m. e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo e attuale

2. impedimento da delitto: non può sposarsi il colpevole di omicidio o di tentato omicidio nei confronti del coniuge dell’altro sposo. Tale vizio è causa di annullabilità assoluta del matrimonio.

3. Il vincolo di precedente matrimonio. Chi è legato da un precedente matrimonio non può sposarsi. La violazione di tale requisito provoca annullabilità assoluta del matrimonio e l’azione è imprescrittibile per il coniuge del binubo. Naturalmente impedimento a contrarre matrimonio civile sarà solo UN PRECEDENTE MATRIMONIO CIVILMENTE VALIDO

4. LUTTO VEDOVILE o divieto temporaneo di nuove nozze: affinché non sorgano dubbi in merito alla paternità di un eventuale figlio che nasca dopo lo scioglimento del matrimonio, la legge

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vieta alla donna di contrarre subito un nuovo matrimonio, per un periodo di 10 mesi, dopo la morte del marito ovvero dopo il divorzio o l’annullamento del matrimonio. Non è però causa di invalidità del matrimonio, ma solo di irregolarità che ne impedisce la celebrazione (divieto al celebrante, opposizione degli interessati), ma non da luogo ad un’impugnazione del nuovo matrimonio, se il divieto viene violato. Il divieto non sussiste se dopo la fine del matrimonio precedente vi è stata la nascita di un figlio o il matrimonio è stato dichiarato nullo per impotenza del marito. Se risulta escluso con ogni dubbio lo stato di gravidanza della moglie o risulta da sentenza che i coniugi non hanno convissuto negli ultimi 300 giorni il tribunale può autorizzare la celebrazione.

FORMALITA’ PRELIMINARI E OPPOSIZIONE

I preliminari del matrimonio (sia per il diritto civile, sia per quello canonico) consistono nelle PUBBLICAZIONI, che hanno lo scopo di rendere noto il progetto matrimoniale, per porre in grado di fare opposizione colui che conosce eventuali impedimenti al matrimonio (può essere individuata anche un’altra funzione delle pubblicazioni: il necessario ritardo e la cura delle incombenze formali impediscono ai nubendi di prendere decisioni troppo affrettate). La disciplina delle pubblicazioni è ripartita tra il codice civile e l’ordinamento di stato civile, quest’ultimo oggi contenuto nel d.p.r 396/2000.

La pubblicazione per il matrimonio civile si fa con richiesta all’ufficiale di stato civile del comune dove uno degli sposi ha la residenza, dietro presentazione degli atti di nascita e degli altri documenti che provano la libertà di stato e le altre condizioni previste dalla legge. La scelta dell’ufficiale di stato civile influisce sulla competenza per la celebrazione del matrimonio: IL MATRIMONIO SARà CELEBRATO NELLA CASA COMUNALE DEL LUOGO DO VE SI E’ FATTA RICHIESTA DI PUBBLICAZIONE.

L’avviso delle future nozze, contenente i dati dei nubendi e il luogo della celebrazione, deve essere esposto nell’albo della casa comunale del luogo di residenza di ciascuno degli sposi, ma se vi risiede per meno di un anno anche in quello precedente, per la durata di 8 giorni. Viene in seguito rilasciato un certificato di avvenute pubblicazioni. Il matrimonio potrà essere celebrato dal 4 giorno successivo fino al 180 , poi l’effetto delle pubblicazioni decade.

Per gravi motivi il tribunale, su istanza degli interessati, può autorizzare con decreto non impugnabile la riduzione della durata delle pubblicazioni e per cause gravissime anche l’omissione della pubblicazione. In caso di imminente pericolo di vita di uno degli sposi il pubblico ufficiale può celebrare anche senza pubblicazioni, previo giuramento degli sposi che non esistono impedimenti gravi.

OPPOSIZIONE: è ammessa opposizione alla celebrazione tanto per un impedimento, quanto per mancanza di uno dei requisiti o per una casa di invalidità o per una irregolarità. L’art 50 dell’ordinamento di stato civile, innovando la disciplina delle opposizioni del c.c. agli artt. 103 e ss., dispone che l’atto di opposizione va proposto con RICORSO al presidente del tribuna di eseguita pubblicazione che fissa con decreto la comparizione delle parti davanti al collegi, disponendo che ricorso e decreto siano comunicati al p.m. e notificati a cura del ricorrente ai nubendi e all’ufficiale di stato civile del comune dove il matrimonio deve celebrarsi o a quello che ha rilasciato il nulla osta per la celebrazione del matrimonio davanti ad un ministro di culto.

I soggetti legittimati ad opporsi sono essenzialmente:

1. I genitori e in loro mancanza gli ascendenti

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2. I collaterali entro il 3 grado.

A seconda delle varie cause possono opporsi anche altri soggetti (es in mancanza di stato libero potrà opporsi l’altro coniuge; per il mancato rispetto del lutto vedovile i parenti del precedente matrimonio se si è sciolto per morte del coniuge ovvero dal coniuge precedente o dai suoi parenti se il matrimonio è stato dichiarato nullo); il p.m. deve sempre opporsi se sa che vi è un impedimento o una grave infermità di uno degli sposi (salvo chiederne l’interdizione d’ufficio).

Diversamente da quanto stabiliva l’art 104 c.c. la proposizione dell’opposizione non ha più effetto sospensivo automatico della celebrazione: l’art 59 prevede che il presidente del tribunale POSSA, sussistendone la opportunità, sospendere la celebrazione. Se si tratta di matrimonio civile la competenza a giudicare sarà del giudice civile; se il matrimonio è da celebrare in chiesa, la competenza è del giudice ecclesiastico, fatta salva, per la trascrizione, la riserva di intrascrivibilità.

CELEBRAZIONE: GLI SPOSI SI PRESENTANO PERSONALMENTE ALL’UFFICIALE DI STATO CIVILE COMPETENTE (il luogo di celebrazione è la casa comunale del luogo dove fu fatta richiesta di pubblicazione e in tal caso l’ufficiale di stato civile compila l’atto di matrimonio immediatamente dopo la celebrazione e lo iscrive nel registro dei matrimoni che è un registro di stato civile; in caso di necessità o convenienza di celebrare il matrimonio in un comune diverso l’ufficiale di cui sopra dovrà richiedere ad un ufficiale diverso che celebri il matrimonio che dopo la celebrazione compilerà l’atto di matrimonio, ma nel giorno successivo dovrà inviare all’ufficiale richiedente COPIA AUTENTICA di tale atto affinché venga trascritta nel registro del luogo della pubblicazione; in caso di impedimento giustificato di uno degli sposi impossibilitato a recarsi in municipio si sposterà l’ufficiale di stato civile accompagnato dal segretario e sono richiesti, in questa ipotesi, 4 testimoni). E’ ammesso il matrimonio per procura per i militari e i civili al seguito delle forze armate in tempo di guerra ovvero qualora uno sposo risieda all’estero e, concorrendo gravi motivi, sussista l’autorizzazione del tribunale. La procura richiede la forma dell’atto pubblico ed è valida solo per 180 giorni e deve contenere fin dall’inizio l’indicazione della persona dell’altro sposo. Posto che non resta altro spazio al “rappresentante” se non quello di riportare una volontà altrui GIA’ COMPLETA , egli è da qualificare come un NUNCIUS o MESSAGGIERO E NON COME UN RAPPRESENTANTE IN SENSO PROPRIO.

L’atto di celebrazione è orale: l’ufficiale di stato civile, alla presenza di 2 testimoni, dà lettura agli sposi degli artt. 143 144 e 147 e riceve da ciascuno personalmente, uno dopo l’altro, la dichiarazione di volersi prendere, rispettivamente, per marito e moglie, infine dichiara che i due sono uniti in matrimonio.

Il matrimonio è un atto puro e quindi la volontà del matrimonio non può essere limitata dall’apposizione di un termine o di una condizione. Quindi se all’interrogazione dell’ufficiale dio stato civile uno dei nubendi risponde aggiungendo al si una indicazione di termine o di condizione, l’ufficiale non può procedere alla celebrazione; tuttavia, se il matrimonio viene comunque celebrato, il termine o la condizione si hanno per non apposti. La volontà delle parti ha quindi un contenuto obbligato E’ UNA VOLONTà FORMALE E NON CONTENUTISTICA CHE SI ESPRIME CON L’ADESIONE A QUELLO CHE E’ IL MATRIMONIO COME ISTITUTO CONFIGURATO NEL SISTEMA. In omaggio alla libertà del consenso si nega riconoscimento al patto di prossenetico quando l’opera del mediatore, ossia del conciliator nuptiarum, sia diretta ad influire sul consenso dei futuri sposi, avendo essi subordinato la corresponsione del compenso alla celebrazione delle future nozze (si può discutere s e un riconoscimento debba ammettersi per l’attività che sia valsa a facilitare un incontro o a perfezionare gli accordi economici del futuro matrimonio).

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In questo atto complesso in cui concorrono gli sposi e il pubblico ufficiale sta l’essenza della celebrazione, che è requisito per la esistenza del matrimonio.

Quindi se vi è uguaglianza di sesso (e quindi non si fa luogo alla distinzione fra marito e moglie), oppure se è mancata la dichiarazione del consenso da parte di uno degli sposi o non vi è stata affatto celebrazione o non era presente un pubblico ufficiale si ha INESISTENZA DEL MATRIMONIO. Tuttavia per venire incontro alla buona fede dei contraenti la legge considera valido il matrimonio celebrato davanti a che esercita apparentemente in pubblico funzioni di ufficiale di stato civile senza averne le qualità (c.d. pubblico ufficiale apparente), purché entrambi gli sposi fossero in buona fede, ossia nessuno dei due conoscesse al momento della celebrazione tale difetto

Per quanto riguarda i VIZI DEL VOLERE, L’ART 122 NE PREVEDE 2:

1. Violenza morale esercitata contro un coniuge. Essa consiste nella minaccia da chiunque effettuata al fine di indurlo a sposarsi. Alla violenza morale è parificato, come vizio del volere, il TIMORE DI ECCEZIONALE GRAVITA’ , che, a differenza della violenza morale che deriva da una minaccia altrui, il timore viene sentito spontaneamente dal coniuge. Per l’art 122 è rilevante solo quello derivante da cause esterne agli sposi e quindi da ragioni obiettive che suscitano tale timore.

Sia per la violenza sia per timore di eccezionale gravità PUO’ IMPUGNARE IL MATRIMONIO SOLO IL CONIUGE CHE HA SUBITO LA MINACCIA O HA PATITO IL TIMORE E SI DECADE DAL POTERE DI IMUGNARE IL MATRIONIO SE VI E’ STATA COABITAZIONE PER UN ANNO DOPO LA CESSAZIONE DI TALI FATTI.

2. L’ERRORE CHE:

deve riguardare o l’identità della persona dell’altro coniuge

o deve essere un errore sulle qualità essenziali dell’altro coniuge, quindi una qualità determinante del consenso e in particolare deve riguardare uno di questi fatti:

1. l’esistenza di una malattia fisica o psichica, anomalia o deviazione sessuale che impediscono la normale vita matrimoniale

2. esistenza di condanna penale per delitto ad almeno 5 anni di reclusione, dichiarazione di delinquenza abituale, condanna per delitti concernenti la prostituzione ad almeno 2 anni di reclusione

3. esistenza al momento delle nozze di uno stato di gravidanza in seguito a rapporti con un uomo diverso dal marito, purché, in caso di nascita di un figlio, vi sia stato disconoscimento di paternità

l’azione spetta solo al coniuge caduto in errore il quale decade dopo un anno di coabitazione dalla scoperta dell’errore

Anche la simulazione è prevista fra le cause di invalidità del matrimonio: essa si verifica quando gli sposi, pur volendosi sposare, abbiano deciso di non adempiere gli obblighi e di non esercitare i diritti discendenti dal matrimonio. Naturalmente non è semplice raggiungere una prova sicura di tale convenzione contraria all’essenza dell’atto (esempi tipici di questi matrimoni apparenti si hanno in matrimoni contratti per

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ottenere la cittadinanza o per lo meno il permesso di residenza in uno stato o per conseguire vantaggi come l’assegnazione di un alloggio o di un posto di lavoro) l’impugnazione del matrimonio per simulazione spetta ad entrambi i coniugi, ma è fissata una duplice decadenza: il matrimonio non più annullabile se è trascorso un anno dalla celebrazione delle nozze ovvero se gli sposi hanno convissuto come coniugi anche per un breve periodo.

INVALIDITA’ DEL MATRIMONIO

Per quanto riguarda la cessazione del vincolo, in un sistema che pone alla base del matrimonio un ATTO GIURIDICO (matrimonio come atto) si fa una distinzione:

fra cause che viziano lo stato matrimoniale per un difetto di base , che portano alla INVALIDITA’ del atto stesso di matrimonio

da quelle che portano la fine del rapporto per una sua estinzione e qui si ha lo SCIOLGLIMENTO DEL MATRIMONIO PER MORTE O DIVORZIO

prima di vedere l’annullabilità o nullità del matrimonio per il diritto civile, bisogna ricordare:

che si ha irregolarità nell’atto matrimoniale, quando il matrimonio, pur contratto senza l’osservanza di qualche requisito rimane valido (es matrimonio contratto in divieto del lutto vedovile o in mancanza di pubblicazioni)

si ha invece INESISTENZA del matrimonio nei casi più gravi nei quali manca addirittura l’elemento esteriore e manifesto della celebrazione accompagnata dalla redazione del relativo atto.

Fra l’irregolarità e l’inesistenza del matrimonio si situa l’INVALIDITA’ del matrimoni. Il matrimonio se vi è stata celebrazione fra persone di sesso diverso esiste e produce i suoi effetti anche se vi è una grave causa di invalidità. Quindi qualunque sia il vizio del matrimonio, esso lo rende invalido e impugnabile, ma NON INEFFICACE.

La netta distinzione fra nullità e annullabilità che si riscontra nella categoria del contratto, perde di rilevanza in tema di matrimonio dove le due espressioni assumono lo stesso significato. La legge parla indifferentemente di nullità e annullabilità del matrimonio, facendo sempre riferimento alla esigenza che vi sia una impugnazione, cioè una domanda e di conseguenza una sentenza, che accertando l’esistenza di un vizio d’origine, toglie efficacia all’atto. In tema di impugnazioni bisogna ricordare due regole generali:

1. la legittimazione del p.m. cessa quando uno dei due coniugi muore

2. l’azione ad impugnare non si trasmette agli eredi se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell’attore

La dichiarazione di nullità o la sentenza di annullabilità hanno di regola efficacia retroattiva: il matrimonio si dovrebbe considerare come mai avvenuto. Tuttavia, una applicazione rigida di questa regola porterebbe gravi turbamenti nelle situazioni formatesi sull’apparenza di un valido atto di matrimonio e quindi il principio della retroattività del matrimonio è TEMPERATO DALLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI MATRIMONIO PUTATIVO

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Il matrimonio annullato si dice putativo quando è stato contratto da almeno uno dei due coniugi in BUONA FEDE, ossia ignorando i vizi dell’atto; gli è parificato il caso in cui sia stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità (matrimonio quasi putativo). L’annullamento in tali casi non retroagisce, neppure fino alla domanda: il matrimonio produce effetti come matrimonio valido fino alla sentenza e tali effetti si producono nei confronti del coniuge o dei coniugi che hanno contratto il matrimonio in buona fede o ha ceduto alla violenza e dei figli nati o concepiti durante il matrimonio o nati prima del matrimonio e riconosciuti durante lo stesso (i legittimati per susseguente matrimonio).quindi i figli nati da quel matrimonio non perdono lo status di fi gli legittimi neppure dopo la sentenza di nullità e il coniuge putativo (POSSONO ESSERE ENTRAMBI) succede come coniuge alla morte dell’altro, anche se dopo l’apertura della successione il matrimonio è stato dichiarato nullo. Se entrambi i coniugi erano in buona fede, il giudice può disporre, per un periodo massimo di 3 anni l’obbligo di corrispondere somme periodiche, cioè un assegno di mantenimento, a favore di quel coniuge che non abbia adeguati mezzi propri

MATRIMONIO NON PUTATIVO: se entrambi i coniugi erano in mala fede al tempo del matrimoni, con la dichiarazione di nullità perdono retroattivamente gli effetti vantaggiosi del matrimonio (es diritti successori). Se la nullità viene imputata all’altro coniuge (o a un III) può essergli imposto (eventualmente in solido con il III) l’obbligo di pagare una congrua, rispetto al tenore di vita matrimoniale, indennità, che prescinde dalla prova di un danno e anche se il coniuge in buona fede ha redditi propri, che comprende come minimo il mantenimento per 3 anni; successivamente il coniuge in mala fede resterà obbligato, in via sussidiaria, a corrispondere al coniuge in buona fede gli alimenti se si trovasse in stato di bisogno. Quanto ai figli si deve distinguere:

1. se la nullità è stata dichiarata per incesto essi perdono lo stato di figli legittimi e diventano figli naturali non riconoscibili

2. se è stata dichiarata la nullità per bigamia i figli perdono retroattivamente lo stato di legittimi ma acquistano quello di figli naturali riconoscibili

3. se è stata dichiarata la nullità per ogni altra causa i figli nati o concepiti durante il matrimonio restano legittimi

DIRITTI E OBBLIGHI DEL MATRIMONIO: LA SOCIETA’ MATRIMONIALE E IL GOVERNO DELLA FAMIGLIA:

Il matrimonio come rapporto è il vincolo che lega tendenzialmente in perpetuo (anche se a seguito dell’introduzione del divorzio è venuta meno l’indissolubilità del vincolo) la vita dei due coniugi creando diritti e obblighi reciproci.

Dal matrimonio sorgono ex art 143 gli obblighi di:

fedeltà quindi il rapporto dell’uno verso l’altro si deve intendere come esclusivo

assistenza sia morale che materiale: concetto vago che va dalla dedizione reciproca alla collaborazione nell’interesse della famiglia e al reciproco aiuto economico, fino a comprendere un aspetto morale

coabitazione nella residenza familiare, fissata ex art 144, secondo le esigenze personali e quelle preminenti della famiglia

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dagli artt. 147 e 148 nascono obblighi nei confronti dei figli (obblighi che valgono anche nei confronti dei figli naturali).

Il capoverso dell’art 29 della Cost afferma che il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e materiale dei coniugi con i limiti fissati dalla legge a garanzia dell’unità familiare; concetto ribadito dallo stesso art 143 secondo cui con il matrimonio i coniugi acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri. Con la riforma del diritto di famiglia, che ha abrogato la potestà maritale, prevista prima della riforma quale riconoscimento al marito di una posizione di preminenza per garantire l’unità nella direzione della famiglia, si è posto l’accento sulla PARITA’ e, quindi, per i rapporti di natura personale si è affermato il nuovo principio dell’ACCORDO come criterio base del governo della famiglia. L’art 144 c.c. stabilisce che i CONIUGI CONCORDANO TRA LORO L’INDIRIZZO DELLA VITA FAMILIARE, mentre dovrebbe poi spettare a ciascuno il potere di attuare l’indirizzo concordato. Tuttavia è di facile scettiscismo prospettare le difficoltà di un accordo obbligatorio, ma in un caso la Cass ha applicato le conseguenze dell’addebito nella separazione per il rifiuto di sottostare alla concreta ricerca di un accordo. Parte della dottrina ha pure osservato che l’obbligo di concordare la vita famigliare, dovrebbe limitare l’assoluto arbitrio di ciascuno dei coniugi per decidere sulla propria attività (anche se non vi alcun mezzo per ottenere l’attuazione concreta di tale limite).

Nell’ipotesi di disaccordo l’art 145 prevede che CIASCUNO dei coniugi possa chiedere senza formalità l’intervento del giudice (ex art 41 disp att c.c. da individuarsi nel tribunale in composizione monocratica del luogo ove è stabilita la residenza familiare),il quale tenterà di raggiungere una soluzione concordata; se non vi riesce, però, NON VI E’ ALCUN RIMEDIO. Se si tratta di un affare essenziale del governo della famiglia o la fissazione della residenza, e soltanto se richiesto espressamente da entrambi i coniugi, il giudice interverrà adottando, con provvedimento non impugnabile, la soluzione che ritiene più adatta. Se il disaccordo tra coniugi riguarda questioni di particolare importanza da prendere per i figli, il giudice è chiamato a scegliere il genitore ritenuto più idoneo, che dovrà assumere la decisione nell’interesse del minore.

La residenza familiare e la sua scelta fanno parte dei provvedimenti che i coniugi devono prendere di comune accordo, pena, se richiesto, l’intervento del giudice. Per il domicilio l’art 45 dispone che ciascuno dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo dove egli ha stabilito la sede principale dei propri affari o interessi. Per quanto concerne la cittadinanza il coniuge, straniero o apolide, di un cittadino italiano acquista la residenza dopo sei mesi di residenza nel territorio, o dopo 3 anni dalla data del matrimonio, purché questo nel frattempo non sia stato sciolto, annullato o ne siano cessati gli effetti civili o non sia intervenuta separazione legale dei coniugi.

Per il nome l’art 143 bis dispone che la moglie aggiunge al proprio il cognome del marito e lo conserva durante lo stato vedovile purché non passi a nuove nozze.

Ora ex art 143 3 co entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia, e ciò sia con i redditi delle proprie sostanza, SIA in relazione alla propria capacità lavorativa professionale o CASALINGA. Questa obbligazione reciproca alla contribuzione assume, nella reciprocità e non nella determinabilità a priori del suo oggetto, e quindi del risultato da raggiungere, caratteristiche particolari, ben diverse dalla figura della solidarietà che è propria di ogni obbligazione che vincola verso III una pluralità di debitori (cass). E’ stato rilevato dalla dottrina che questo dovere di contribuzione è in qualche modo il riflesso del nuovo regime comunitario della famiglia, in sostituzione dell’obbligo di mantenimento che corrispondeva alla precedente figura della famiglia soggetta all’autorità del marito che comandava e provvedeva.

LA SEPARAZIONE:

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La legge ammette un temperamento nella osservanza degli obblighi che nascono dal matrimonio, attraverso l’istituto della separazione personale dei coniugi.

Ma prima di disciplinare la separazione personale di coniugi, il codice regola l’allontanamento dalla residenza familiare, ossia la separazione di fatto, che è ben diversa, anche e soprattutto nelle conseguenze giuridiche, della separazione legale. La separazione si dice di fatto quando i coniugi, senza alcuna procedura formale, vivono separati, ciascuno per conto proprio. Il codice dispone, al fine di far riprendere la coabitazione interrotta, che se uno dei coniugi si allontani senza giusta causa dalla residenza familiare e rifiuti di tornavi è SOSPESO IL DIRITTO ALL’ASSISTENZA MORALE E MATERIALE PREVISTO DALL’ART 143 NEI CONFRONTI DEL CONIUGE CHE SI E’ ALLONTANATO. SOLTANTO QUANDO LA SEPARAZIONE DI FATTO ABBIA UNA GIUSTA CAUSA NE DERIVA CHE L’ALLONTANAMENTO DALLA RESIDENZA FAMILIARE NON PRODUCE LA SOSPENSIONE DEL DIRITTO ALL’ASSISTENZA MORALE E MATERIALE E GIUSTA CAUSA CI Sarà QUANDO UN CONIUGE SUBISCE UN TORTO RISPETTO AL QUALE L’ALLONTANAMENTO COSTITUISCE UNA RISPOSTA PROPORZIONATA oppure nei casi tipici di giusta causa previsti dall’art 146 2 co, ossia la proposizione di alcune domande giudiziarie:

proposizione della domanda di separazione

proposizione della domanda di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio

la separazione di fatto ha, anche quando è decisa d’accordo fra i coniugi, influenza indiretta su altri istituti: se vi è una separazione di fatto viene meno un requisito per l’adozione dei minori d’età e talora è consentito il disconoscimento del figlio quando è stato concepito dopo l’inizio del periodo di separazione.

In caso di separazione di fatto il giudice, ex 3 co art 146, può, secondo le circostanze, ordinare il sequestro dei beni del coniuge allontanatosi, nella misura atta a garantire l’adempimento degli obblighi previsti dagli artt 143 3 co e 147 (obblighi di contribuzione fra coniugi e verso i figli).

La separazione legale è l’unica idonea a produrre effetti giuridici diretti a modificare i rapporti fra i coniugi. Un provvedimento precedente consiste nella autorizzazione a vivere separati nelle more del giudizio, che può essere concessa dal Presidente del Tribunale fin dal giorno della comparizione in giudizio dei coniugi e da tale provvedimento decorre il termine di tre anni ai fini di una eventuale domanda di divorzio.

La separazione legale è giudiziale o consensuale:

giudiziale: deriva dalla sentenza del giudice su domanda di uno o di entrambi i coniugi. Essa si verifica in presenza di fatti tali da rendere INTOLLERABILE la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole. L’intollerabilità dovrebbe rispondere ad una situazione obiettiva e non dovrebbe bastare che essa sia espressi di semplici insofferenze o idiosincrasie. Per evitare che il processo di separazione si riduca ad un atto di volontaria giurisdizione, la Cass non ritiene sufficiente un mero rifiuto della convivenza , ma richiede la prova di fatti, sia pure di qualsiasi natura, che dimostrino l’effettività del presupposto.

Il c.p.c agli artt 706 e ss regola il procedimento, che ha inizio con ricorso (no domanda) al presidente del tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi. I coniugi devono presentarsi personalmente al presidente del tribunale il quale tenta di conciliarli. Lo stesso presidente, se il tentativo di conciliazione non riesce dispone i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole (compresa l’autorizzazione a vivere separati nelle more del giudizio). I provvedimenti del tribunale devono essere annotati a margine dell’atto di matrimonio e ciò anche per rendere conoscibile una causa di

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scioglimento della comunione legale. La preventiva riconciliazione tra i coniugi comporta abbandono della domanda di separazione e la Cass ha affermato che i fatti precedenti non possono valere a giustificare una successiva domanda di separazione.

La separazione può essere chiesta con o senza ADDEBITO. Il giudice, ma solo se richiesto dalle parti, può dichiarare a quale dei due coniugi la separazione sia addebitabile, in considerazione dei suoi comportamenti contrai ai doveri che derivano dal matrimonio (è ammessa anche la possibilità di addebito a carico di entrambi i coniugi in ragione dei loro comportamenti come ha affermato la Cass). Il giudizio su a chi debba essere addebitata la separazione, è un giudizio che, come ha affermato la cass, deve essere rapportato più che a un modello di coniuge ideale, alla normalità di un marito e di una moglie, con la loro cultura e i loro condizionamenti ambientali (escludendo che la violazione dei doveri coniugali possa essere motivo di addebito della separazione di un soggetto infermo di mente). La giurisprudenza collega la dichiarazione di addebito a comportamenti volontari e consapevoli di un soggetto capace. Per quanto riguarda l’addebito più frequente, ossia la violazione dell’obbligo di fedeltà, la cassazione invita ad una valutazione complessiva che non si deve necessariamente limitare al singolo episodio.

La dichiarazione di addebito produce conseguenze varie tra gli effetti della separazione:

nei rapporti patrimoniali, come si dirà, nega al coniuge al quale sia addebitata la separazione quel più ampio diritto al mantenimento, commisurato in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato

l’addebito ha riflessi pure nella successione ereditaria: soltanto il coniuge cui è addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato perde i normali diritti successori nonché alcuni diritti previdenziali (eccetto il diritto ad un assegno vitalizio a carico dell’eredità se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti).

Bisogna chiarire: la CAUSA della separazione è sempre l’intollerabilità delle convivenza, MA LE CONSEGUENZE sono diverse, a seconda del fatto che la situazione di intollerabilità sia dovuta a un comportamento addebitabile all’uno, all’altro o ad entrambi i coniugi, per specifica contrarietà ai doveri coniugali.

La giurisprudenza ammette la richiesta di un successivo mutamento del titolo per far valere le conseguenze dell’addebito, ma lo ha dichiarato inammissibile dopo la sentenza di divorzio. Inoltre la giurisprudenza richiede che il comportamento contrario ai doveri del matrimonio si possa imputare al coniuge nel quadro di una valutazione complessiva e globale della vita coniugale, nel quale può rientrare anche la violazione dell’obbligo di fedeltà (ma per la Cass l’addebito sarebbe legato solo a quelle espressioni di infedeltà che per il loro manifestarsi in forma offensiva abbiano potuto influire sulla prosecuzione della convivenza.

Vediamo gli aspetti patrimoniali: con la sentenza che sancisce la separazione, ma anche già in sede di provvedimenti temporanei ed urgenti adottati durante la comparizione dei coniugi, il tribunale attribuisce al coniuge che non abbia mezzi economici adeguati, e al quale non sia stata addebitata la separazione, un assegno mensile. Tale assegno attribuito al coniuge che ne abbia titolo e che non abbia adeguati redditi propri, è da ritenere che corrisponda al più ampio concetto di mantenimento, da intendersi, come incapacità di mantenere il tenore di vita analogo a quello goduto durante la convivenza.

Posto che con la separazione, come si vedrà, cessa quel più ampio concetto di contribuzione, nasce al posto di quest’ultimo il MANTENIMENTO, che si concretizza nel relativo assegno . l’assegno secondo il criterio

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generale viene attribuito dalla data della relativa domanda, purché in quel momento sussistono i presupposti per l’attribuzione; invece, la cass ha affermato, che la decorrenza sarà diversa se si dimostra che è diverso il momento in cui è sorta l’inadeguatezza delle reciproche situazioni patrimoniali. Discutibile è il criterio affermato dalla Cass per la quale l’assegno di mantenimento non rientrerebbe fra i crediti alimentari propriamente detti e quindi potrebbe essere opposto anche in sede di compensazione legale. Il giudice può ordinare il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato al mantenimento, provvedimento, che in base alla corte cost, può essere dato anche dal giudice istruttorio nel corso del procedimento.

Resta in ogni caso fermo l’obbligo di prestare gli alimenti. Il giudice può anche imporre al coniuge obbligato di prestare idonea garanzia. La sentenza costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale e in caso di inadempienza il giudice (anche in caso di separazione consensuale come affermato dalla corte cost), non solo può disporre un sequestro sui beni del coniuge obbligato, ma può anche imporre ai III tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato che una parte di esse venga direttamente versata all’avente diritto (ordine giudiziale di pagamento). L’art 710 c.p.c. prevede che la pronuncia che stabilisce l’assegno che attribuisce il mantenimento al coniuge separato, ma ciò vale anche per gli altri provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole, possa essere sottoposto a revisione per giustificati motivi.

PROVVEDIMENTI RIGUARDANTI I FIGLI: la legge 54/2006 ha sostituito il testo del vecchio art 155 e ha inserito i nuovi articoli da 155 bis a 155 sexies, introducendo il principio dell’affidamento condiviso.

In primo luogo l’art 155 si apre disponendo che, anche in caso di separazione, il figlio ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti sia del ramo paterno che di quello materno.

Per quanto riguarda l’affidamento, come si è detto, la l.54/2006 ha introdotto il principio dell’affidamento condiviso in forza del quale i figli vengono attribuiti ad entrambi i genitori, salvo che ciò non sia contrario al loro interesse morale e materiale, nel qual caso continuerà a trovare applicazione il criterio dell’affidamento esclusivo in capo a quel genitore cha appaia il più idoneo a ridurre al massimo le conseguenze negative della separazione sul minore ed assicurare al minore il migliore sviluppo della sua personalità (Cass). La preferenza dell’affido condiviso è stata pure ribadita dalla Cass che ha stabilito che nell’ipotesi in cui il giudice opti per la soluzione diversa dovrà fornire una duplice motivazione: una negativa sulla inidoneità educativa o sulla manifesta carenza dell’altro genitore ed una positiva sull’idoneità del genitore affidatario. Le modalità e i tempi per realizzare l’affido condiviso sono lasciati al giudice della separazione, che deve decidere nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, distribuendo equilibratamente la presenza del figlio presso entrambi i genitori, fissando i modi e la misura secondo i quali essi dovranno soddisfare gli obblighi di mantenimento, cura , educazione ed istruzione, TENENDO ANCHE CONTO DELL’EVENTUALE ACCORDO DEI GENITORI.

Per quanto attiene alla potestà il nuovo art 155 al 3co prevede che la potestà sui figli sia esercitata da entrambi i genitori. Quindi le decisioni di maggiore interesse per i figli relativi all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Mentre le decisioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che la potestà sia esercitata separatamente

Per quanto attiene al mantenimento l’art 155 4 co dispone che ciascuno dei genitore deve provvedere in misura proporzionata la proprio reddito, salvo diversi accordi liberamenti sottoscritti dalle parti. Il giudice

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può comunque disporre la corresponsione di un assegno per realizzare il principio di proporzionalità. L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Un'altra novità è l’art 155 quinquies per il quale i giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico, da versarsi direttamente all’avente diritto.

ABITAZIONE FAMILIARE: anche sul diritto all’abitazione della casa familiare la l 54/2006 ha profondamente modificato la disciplina. Secondo il nuovo art 155 quater il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli e il valore economico di tale assegnazione deve essere tenuto in conto dal giudice nel regolare i rapporti economici tra i coniugi. Il diritto al godimento della casa familiare viene mene nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio con una III persona o contragga nuovo matrimonio. Bisogna però tener conto che la corte cost con sentenza del 2008 ha stabilito che il venir meno del diritto al godimento della casa familiare non discenderà automaticamente dal verificarsi degli eventi di cui sopra, ma sarà sempre subordinato ad un giudizio di conformità all’interesse della prole. Ai fine della opponibilità dell’assegnazione della casa familiare a III si è espressamente previsto che sia il provvedimento di assegnazione che quello di revoca siano trascrivibili.

Il nuovo art 155 ter, in analogia con quanto stabilisce il 710 cpc, prevede il diritto dei genitori di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misure e alle modalità del contributo. Le S.U. della Cass hanno affermato che le eventuali modifiche, ex art 710, devono essere decise dal tribunale ordinario e non dal tribunale dei minorenni, la cui competenza è , invece, da riconoscersi qualora si richiedono provvedimenti ablativi o limitativi della potestà ex artt 330 e 333.ogni modifica va approvata con l’intervento necessari o del p.m.

I provvedimenti del giudice in materia di assistenza familiare sono muniti di particolare forza per garantirne l’esecuzione: secondo il rinvio contenuto nell’art 3 della l 54/2006 in caso di violazione degli obblighi di natura economica si incorrerà nel reato penale di cui all’art 570 cp e inoltre la mancata esecuzione dell’ordine del giudice esporrà pure alle conseguenze delle sanzioni previste dall’art 388 cp, mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice.

Il giudice può vietare alla moglie l’uso del cognome del marito quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole e può autorizzarla a non usarlo in aggiunta al suo quando può derivare a lei un pregiudizio.

Lo stato di separazione legale cessa per successiva riconciliazione , ossia per un accordo espresso delle parti, senza intervento del giudice, e può venir meno anche con il semplice ripristino della convivenza: occorre però una chiara volontà riconciliativa, nel senso di una ricostruzione delle comunione coniugale nei suoi rapporti materiali e morali, e non semplicemente la ripresa di un rapporto di qualsiasi genere fra i coniugi. Una nuova domanda di separazione sarà ammissibile solo in conseguenza di nuovi fatti sopravvenuti dopo la riconciliazione

Consensuale: quando deriva dall’accordo delle parti. Acquista efficacia con l’omologazione del tribunale. I coniugi vengono convocati e sentiti dal giudice, il quale controlla i termini dell’accordo relativi all’affidamento dei figli e al loro mantenimento e se ritiene tali accordi pregiudizievoli all’interesse della prole può riconvocare i coniugi per le modifiche necessarie, ma se questi non si accordano per il meglio rifiuterà l’omologazione.

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Quanto agli EFFETTI della separazione:

viene meno l’obbligo di coabitazione, con conseguenze sugli effetti del disconoscimento di paternità previste dal 235 n 1 c.c. e inoltre dopo passati 300 giorni dalla separazione non opera più la presunzione di concepimento durante il matrimonio (quindi se il figlio nasce dopo 300 giorni no gli spetta più lo status di figlio legittimo, ma ciascuno dei coniugi può provare che il concepimento del figlio è avvenuto precedentemente alla separazione, e quindi che la gravidanza sia stata eccessivamente lunga) o successivamente alla separazione, per quanto breve ed occasionale sia stata la convivenza dei coniugi ancorché non sufficiente a produrre una riconciliazione; se si provano questi fatti il figlio può proporre azione per reclamare lo status di figlio legittimo

per il trabucchi rimangono, con i dovuti adattamenti, i diritti e i doveri di natura personale, quali l’obbligo di fedeltà e di assistenza morale, come residui di una precedente solidarietà coniugale. In particolare per quanto riguarda l’obbligo di fedeltà, inteso come reciproco rispetto, secondo la corte cost con sentenza del 74, si intendono illecite le violazioni che si manifestano in un contegno che risulti offensivo per l’altro coniuge (infedeltà umiliante). La Cass ha, però, più volte affermato che l’obbligo di fedeltà, essendo connesso con la convivenza, è incompatibile con il regime di separazione, la cui instaurazione comporterebbe la permanenza tra i coniugi solo di diritti e doveri patrimoniali, con esclusione dell’obbligo di fedeltà. Ha tuttavia riconosciuto che il dovere di fedeltà può permanere dopo l’insorgere dello stato di separazione , soltanto quando sia accertata tra i coniugi la conservazione di un minimum di solidarietà, tale da giustificare la sopravvivenza di tale dovere.

LO SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO

IL matrimonio si scioglie o con LA MORTE di uno dei coniugi o CON IL DIVORZIO.

Lo scioglimento è cosa ben diversa dal annullamento del matrimonio:

lo scioglimento opera ex nunc: rimangono in vita tutti gli effetti del matrimonio valido prodotti fino alla cessazione del rapporto; mentre l’annullamento opera ex tunc (salvo gli effetti del matrimonio putativo o quasi putativo e gli effetti sulla prole)

Ogni rapporto matrimoniale cessa con la morte di uno dei coniugi. Alla morte è parificata la dichiarazione di morte presunta, con la conseguenza che il coniuge del dichiarato presunto morto può risposarsi, ma se il presunto morto ritorna il nuovo matrimonio può essere annullato su istanza di chiunque vi abbia interesse.

DIVORZIO: è stato introdotto dalla legge 898 del 1970. Il matrimonio può essere sciolto in presenza di situazioni o casi (nel tipo moderno di divorzio si è osservato che si parla di casi e non di cause) tassativamente previste dall’art 3 della l.divorzio, sempre che il giudice ACCERTI, dopo aver esperito inutilmente il tentativo di riconciliazione, CHE LA COMUNIONE SPIRITUALE E MATERIALE TRA I CONIUGI NON PUO’ ESSERE MANTENUTA O RICOSTITUITA. Sul punto si può osservare che la cassazione aveva deciso che, essendo subordinato all’accertamento dell’irrimediabile cessazione sia della convivenza che dell’afectio maritalis, il divorzio si debba escludere quando continui a sussistere anche uno solo di tali aspetti della comunione. Peraltro, secondo una più recente decisione, la stessa Cass ha deciso che la cessazione legale della convivenza si verificherebbe anche per sole cause che

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attengono a un concetto di comunione di vita, e quindi ANCHE NEI RIGUARDI DI COPPIE CHE CONTINUANO A VIVERE SOTTO LO STESSO TETTO.

Casi in cui si può chiedere il divorzio: ex art 3 il divorzio può essere chiesto:

per condanne penali dell’altro coniuge di particolare gravità (ergastolo o pena superiore ai 15 anni); o per articolari reati (quali l’incesto, violenza sessuale, induzione o sfruttamento della prostituzione, omicidio o tentato omicidio lesioni aggravate a carico dell’altro coniuge o di un figlio, anche se vi è stata assoluzione per vizio totale di mente o se il reato è estinto ma sussistono gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità)

l’altro coniuge cittadino straniero ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del vincolo

se il matrimonio non è stato consumato

se è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso

infine, causa più importante in quanto la più prevalente, la separazione legale pronunciata con sentenza passata in giudicato che al tempo della domanda duri da almeno 3 anni dal giorno della comparizione delle parti davanti al presidente del tribunale. Non è quindi sufficiente il muto dissenso, ma non è neppure necessaria la colpa di uno dei coniugi.

PROCEDIMENTO: il divorzio può essere pronunciato:

o in seguito a procedimento contenzioso promosso con ricorso avanti al tribunale competente dall’uno o dall’altro coniuge

o in seguito a domanda congiuntiva presentata da entrambi i coniugi

Nella prima ipotesi esperito il tentativo di conciliazione la procedura procede con ritma accelerato, anche per quanto riguarda la fase delle impugnazioni: il p.m. chiamato ad intervenire non può impugnare la sentenza che ritenesse lesiva del diritto o della giustizia, se non a difesa degli interessi patrimoniali dei minori.

Nella procedura concordata il tribunale, in camera di consiglio, decide immediatamente l’accoglimento, previo controllo del giudice sull’esistenza delle cause legali di divorzio, sempre se non si rilevano interessi elementi contrari all’interesse dei figli (in tal caso se il tribunale ravvisa che le condizioni pattuite relative ai figli sono contrarie ai loro interessi può prendere i provvedimenti temporanei ed urgenti che ritiene opportuni e si apre la procedura davanti al giudice istruttorio).

Bisogna precisare che il legislatore non ha introdotto il divorzio consensuale: anche se richiesto congiuntamente il divorzio deriva dalla sentenza del giudice e non dall’accordo tra le parti omologato dal giudice. Tuttavia l’introduzione della procedura concordata viene usata dalla Cass come argomento per non riconoscere come contrario all’ordine pubblico il divorzio ottenuto all’estero per mutuo dissenso.

La sentenza passata in giudicato viene annotata sia a margine dell’atto di matrimonio sia a margine dell’atto di nascita; è irrevocabile e le parti d’accordo non possono farne cessare gli effetti a differenza di una sentenza di separazione (riconciliazione); una riconciliazione richiederebbe la celebrazione di un nuovo matrimonio.

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Effetti e assegno divorzile:

a seguito del divorzio il matrimonio si scioglie ed entrambi i coniugi possono contrarre nuovo matrimonio civile (salvo, per la donna, il rispetto dei 300 giorni). La moglie perde il cognome del marito (la cass ha affermato che in difetto di un spontaneo adempimento sarà necessario l’intervento del giudice), fatta salva l’ipotesi che il tribunale ex art 5 l.div accolga la sua richiesta autorizzandola a conservare anche il cognome del marito per un particolare interesse suo o dei figli.

Il matrimonio si scioglie, ma non si cancellano del tutto i suoi effetti: SI PARLA DI UNA ULTRATTIVITA’ DEL MATRIMONIO SIA NEL CAMPO DEI RAPPORTI PATRIMONIALI SIA NEI RAPPORTI CON I FIGLI DELLA COPPIA.

Circa la decorrenza degli effetti del divorzio, è stata fatta una distinzione tra gli effetti inter partes che decorrerebbero dal passaggio in giudicato della sentenza, e gli effetti verso i III che presuppongono l’annotazione della sentenza nei registri dello stato civile.

Conseguenze patrimoniali: in primo luogo si apre il tema della divisione dei beni comuni.

Bisogna anche premettere che non sono gli interessati che possono stabilire il regime, regolando la situazione che si prospetta successivamente al divorzio (a differenza di quanto avviene nella separazione personale , che, entro taluni limiti, può essere regolata dagli stessi coniugi che si separano).

Assegno divorzile: il tribunale quando pronuncia il divorzio può disporre l’obbligo a carico di un coniuge di corrispondere un assegno di divorzio. Nella versione originale dell’art 5 si riscontrava una tendenza a compensare, almeno negli aspetti economici, la rottura coniugale, riconoscendosi i caratteri indennitario, risarcitorio e compensativo nella decisione che il giudice era chiamato ad assumere in materia. La legge74 del 87, che ha modificato la legge 898/70 ed anche il suo art 5, mette in rilievo che il tribunale dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, quando questi non abbia mezzi adeguati propri o non può procurarseli per ragioni obbiettive, dando prevalenza all’aspetto ASSISTENZIALE.

Nella determinazione dell’assegno, sulla base dei redditi patrimoniali anche potenzialmente dimostrabili, il giudice deve tener conto ex art 5 del contributo personalmente dato da ciascun coniuge alla situazione patrimoniale della famiglia e deve tener conto anche delle ragioni della decisione ( con un minimo di riguardo quindi anche alla valutazione della condotta dei coniugi) però la prevalenza è dichiaratamente data allo scopo di riparare le conseguenze materiali create in uno dei coniugi dal divorzio. Il carattere assistenziale non implica uno stato di bisogno ma una esigenza di riequilibrio: presupposto dell’an è l’inadeguatezza del quantum; si vuole sovvenire il coniuge che non ha adeguati mezzi di vita (potrà quindi anche essere il coniuge traditore o quello che ha contribuito il minima parte alla formazione del patrimonio coniugale che si troverà destinatario dell’assegno a carico del partner solo perché in condizioni di svantaggio; anche se poi sulla determinazione concreta dell’assegno influiranno i criteri di cui sopra, ossia:

le condizioni del coniuge

le ragioni della decisione

il contributo personale ed economico di ciascun coniuge

il reddito di entrambi

la durata del matrimonio

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L’obbligo di prestare l’assegno cessa se il coniuge al quale dovrebbe venir corrisposto passa a nuove nozze. L’assegno può essere chiesto anche durante lo stato di divorzio.

Le sez un della Cass hanno ribadito che il requisito della mancanza di mezzi adeguati, che legittima un coniuge a chiedere l’assegno, si ha quando il richiedente non abbia redditi propri che gli consentano di tenere UN TENORE DI VITA ANALOGO A QUELLO CHE AVEVA IN COSTANZA DI MATRIMONIO., da ciò si è dedotto un orientamento per affermare che l’assegno debba garantire anche un tenore di vita al di là del sufficiente benessere che è il criterio generale in tema di mantenimento. Per il trabucchi l’aspetto assistenziale dell’assegno di divorzio conferma che non esiste un diritto al mantenimento anche nei confronti del coniuge divorziato, ma una tendenza a superare gli squilibri che si accompagnano al venir meno del vincolo familiare di base.

L’assegno viene attribuito con carattere di prestazione periodica; ma le parti, d’accordo, possono anche procedere ad una soluzione una tantum e in questo caso cessa ogni altro diritto anche in seguito a mutamenti sopravvenuti.

La corresponsione dell’assegno è assicurata anche attraverso il c.d. ordine giudiziale di pagamento rivolto a coloro che siano debitori del debitore dell’assegno, mentre, a parziale modifica dei limiti alla pignorabilità dello stipendio e di altri assegni provenienti da enti pubblici, è stabilita la soggezione fino a una metà. Inoltre è espressamente previsto il sequestro dei beni dell’obbligato in caso di inadempimento.

L’entità dell’assegno si riferisce alla situazione esistente al momento della pronuncia, anche se gli elementi per la sua determinazione sono da qualificare come elementi dell’azione, e non va, quindi, riferito solo al momento della presentazione della domanda. Il giudice farà una sorta di conto globale, basandosi su elementi certi anche se non matematicamente analitici, di tutte le sostanze, dei vari redditi comprese le pensioni, nonché delle singole concrete possibilità di guadagno.

Il giudice nel fissare l’assegno ha il potere discrezionale di farlo decorrere retroattivamente dalla domanda introduttiva, perché di regola esso spetta solo dal giorno della decisione definitiva che è di carattere costitutivo. Viene negato il diritto all’assegno se si dimostra che il matrimonio fu contratto per soli motivi di interesse, così pure quando si accerti che il richiedente non abbia dato alcun contributo ai c.d. bona matrimonii. L’art 9 della l.div ammette la revisione di quanto deciso, mediante nuova sentenza da pronunciare in camera di consiglio (tra i giustificati motivi della revisione vengono prima i mutamenti della situazione economica e la svalutazione monetaria. La cass ha definito l’obbligazione del coniuge come obbligazione di valore. Si applicano sia il 570 cp sia il 388 cp.

La posizione del destinatario dell’assegno qualifica il beneficiario come quello tra i coniugi che potrà aspirare anche al riconoscimento di altri benefici:

il coniuge divorziato titolare di assegno che non sia passato a nuove nozze in caso di morte dell’ex coniuge ha diritto alla PENSIONE DI REVERSIBILITA’ SE IL RAPPORTO DA CUI TRAE ORIGINE IL TRATTAMENTO PENSIONISTICO E’ ANTERIORE AL DIVORZIO. Ha diritto all’intera pensione se l’ex coniuge non si è risposato; in caso contrario la pensione va ripartita fra l’ex coniuge e il coniuge superstite e ai fini della determinazione delle quote il solo criterio che la giurisprudenza può adottare è quello della durata del rapporto matrimoniale, da intendersi quale durata legale, non rilevando che la durata della convivenza dell’ex coniuge defunto con l’ex coniuge superstite sia cessata prima della sentenza che ha pronunciato il divorzio, né il fatto che il II matrimonio sia stato preceduto da un periodo di convivenza more uxorio.

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Al coniuge divorziato titolare di assegno va riconosciuta una quota pari al 40% del TFR percepita dall’ex coniuge del periodo in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio

Al coniuge titolare di assegno vanno riconosciuti alcuni diritti successori con possibile incidenza dell’onere pure sugli eredi

I FIGLI DEL DIVORZIO: IDEM PER SEPARAZIONE

GODIMENTO DELLA CASA FAMILIARE: IDEM SEPARAZIONE

REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA

Nella vita familiare si distingue IN PRIMO LUOGO un REGIME PATRIMONILE PRIMARIO (che riguarda principalmente il momento contributivo per regolare gli apporti e le giuste distribuzioni dei beni tra i coniugi) sempre assicurato dall’ordinamento, per gli obblighi inderogabili che costituiscono le regole di vita e funzionamento di ogni famiglia; che deriva dall’art 143 c.c. per il quale ENTRAMBI I CONIUGI SONO TENUTI IN RELAZIONE ALLE PROPRIE SOSTANZE E CAPACITA’ DI LAVORO PROFESSIONALE E CASALINGO A CONTRIBUIRE AI BISOGNI DELLA FAMIGLIA.

A questo regime, a questi diritti e obblighi i coniugi non possono derogare ex art 160: le convenzioni che derogherebbero tale regime primario sarebbero nulle.

Nel rispetto del regime patrimoniale primario i coniugi possono stipulare dei patti che regolano in concreto i loro rapporti patrimoniali, enunciandone specificatamente il contenuto.

Prima della riforma del diritto di famiglia del 75, dove il regime patrimoniale in mancanza di convenzioni diverse fra i coniugi era quello della separazione dei beni, il c.d. contratto di matrimonio (o la stipulazione, come si diceva, di tavole nuziali era caduto in disuso). Dopo la riforma del diritto di famiglia invece si è tronato a fare uso delle convenzioni matrimoniali, non per altro per sottrarsi al regime di comunione dei beni che con detta riforma è diventato il regime normale da applicare in mancanza di convenzioni fra i coniugi.

Ora l’espressione convenzioni matrimoniali, se intesa come contratto ad hoc diretta a costituire un apposito regime patrimoniale, si dovrebbe ridurre alla costituzione del fondo patrimoniale; posto che le altre ipotesi, comunione convenzionale e la separazione dei beni, vanno a modificare il regime della comunione dei beni ampliandolo o escludendone i contenuti. Inoltre, però non è escluso che al di fuori di questi contratti che toccano il regime patrimoniale, i coniugi non possano concludere, sia prima che dopo le nozze, patti riguardanti la misura dei reciproci impegni; sempre nel rispetto dei diritti della persona e di ogni criterio inderogabile in materia: CONVENZIONI FAMILIARI IN SENSO LATO.

Per quanto attiene alla forma, tali convenzioni matrimoniali richiedono AD SUBSTANTIA la forma dell’ATTO PUBBLICO. Per essere opposte ai III devono essere annotate a margine dell’atto di matrimonio (in realtà si annota la data dell’atto, il nome del notaio rogante e le generalità dei contraenti, ma dall’annotazione non risulta il contenuto, che dovrà essere accertato dal III richiedendo al notaio copia dell’atto pubblico in questione). Le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo, sia prima che dopo le nozze, e vi possono partecipare anche III che conferiscono la proprietà o il godimento di beni. L’unica scelta che le parti possono compiere DURANTE la celebrazione è quella del regime di separazione dei beni. Se si riferiscono a

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beni immobili devono anche essere trascritte nel registro dei beni immobili, secondo un regime binario di una duplice pubblicità (la cass non ritiene necessaria anche la trascrizione perché abbia rilievo nei confronti del creditore del coniuge la convenzione che istituisce il fondo patrimoniale). Le modifiche delle convenzioni stipulate prima o dopo le nozze sono consentite purché fatte con atto pubblico e vi sia la partecipazione di tutti coloro che furono parti dell’atto da modificare; anche gli estremi delle modifiche vanno annotate a margine dell’atto di matrimonio se si vuole renderle opponibili ai III ed eventualmente trascritte nei registri immobiliari.

Per quanto attiene alla capacità necessaria per stipulare le convenzioni si acquista o con la maggiore età o con l’autorizzazione del tribunale a contrarre matrimonio prima della maggiore età (HABILIS AD NUPTIAS HABILIS AD PACTA NUPTIALIA) Purché IL MINORE SIA ASSISTITO DAI SUOI LEGALI RAPPRESENTANTI O DA UN CURATORE SCELTO DAL TRIBUNALE (è UN INTERVENTO SINGOLARE DEI RAPPRESENTANTI, IN QUANTO DI NORMA ESSI RAPPRESENTANO E NON ASSISTONO IL MINORE, qui invece assistono il minore dando un ulteriore consenso oltre a quello del minore integrando il consenso di quest’ultimo). Anche l’inabilitato può stipulare convenzioni matrimoniali e inserire donazioni in esse, ma solo con l’assistenza del curatore.

L’art 166 bis prevede il divieto di dote.

COMUNIONE DEI BENI:

Se manca una diversa scelta, nel silenzio delle parti, entra in vigore automaticamente il regime di comunione legale. Ciò significa che diventano di proprietà comune alcuni beni o diritti acquisiti dopo le nozze. Bisogna premettere che il regime di comunione legale, creata per distribuire equamente gli incrementi patrimoniali avvenuti durante il matrimoni, NON HA LO SCOPO DI FISSARE UN PATRIMONIO COMUNE PER LA VITA FAMILIARE (viene quindi perseguito fondamentalmente l’interesse dei singoli, restando fermo che con questo regime non si viene a costituire un’entità economica distinta per assicurare il bene della famiglia)

Ciò premesso il regime di comunione dei beni si articola in due aspetti:

1. Comunione d’acquisto

2. Comunione di gestione.

A norma dell’art 177 c.c. costituiscono oggetto della comunione, attribuendo una contitolarità sui beni e non solo un obbligo di rendiconto:

1. Gli acquisti compiuti, anche separatamente, dai due coniugi ad esclusione di quelli relativi a beni personali.

Ciascun coniuge diventa contitolare anche se non ha partecipato all’atto e detti beni possono essere successivamente rivenduti solo con l’accordo di entrambi i coniugi. La legge attribuisce un ultrattività all’azione del singolo coniuge: l’atto può essere compiuto anche da uno solo dei due coniugi, l’acquisto avviene per entrambi (si ha una deviazione di una normale attività negoziale). E ciò avviene anche se la trascrizione non avviene immediatamente a vantaggio di entrambi ( anche se, invero, l’effetto pubblicitario risulta dalle complessive indicazione sia della trascrizione nei registri immobiliari dell’atto d’acquisto, sia dalla pubblicità nei registri di stato civile dai quali risulta la qualità di coniugato del soggetto che ha fatto l’acquisto)

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2. Le aziende coniugali costituite DOPO il matrimonio. Se si tratta di aziende costituite prima del matrimonio e appartenenti ad uno solo dei coniugi, ma GESTITE DA ENTRAMBI successivamente alle nozze la comunione concerne gli utili e gli incrementi e non l’intera azienda

In questi due casi la comunione avviene, come si è detto, automaticamente anche se il fatto acquisitivo è compiuto da uno solo dei due coniugi.

Poi si hanno dei beni che rientrano in quella che viene definita comunione de residuo:

3. I frutti non consumati dei bene propri di ciascuno

4. I proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi non consumati al cessare della comunione

5. Ex art 178 i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente

Questi beni e diritti, finché dura la comunione non entrano in comunione, ma entreranno in comunione solo ciò che rimane di essi nel momento in cui la comunione si scioglie. Quindi finché dura la comunione tali beni restano di proprietà di entrambi i coniugi, al momento dello scioglimento, ciò che eventualmente residua, viene assegnato in due parti.

E’ da evidenziare, però, che non è sempre facile individuare con certezza ciò che entra e ciò che rimane escluso dalla comunione. Ad es si è presentata più volte al giudice la questione di vedersi attribuita la metà della costruzione elevata nel suolo di proprietà singola dell’altro coniuge. La cass ha negato che in tale ipotesi venga superato il principio fondamentale che attribuisce al proprietario del suolo, e quindi ad uno solo dei coniugi, l’esclusiva proprietà della costruzione ivi costruita e quindi ha deciso che se un coniuge costruisce una casa su un terreno di sua sola proprietà resta suo, ma all’altro coniuge va riconosciuto un diritto di credito pari alla metà dei valori dei materiali e della manodopera impiegata nella costruzione.

NON CADONO IN REGIME DI COMUNIONE RESTANDO BENIO PERSONALI DI CIASCUN CONIUGE:

1. I beni che appartenevano loro prima del matrimonio

2. I beni acquisiti per donazione o successione ereditaria, se non specificatamente attribuiti alla comunione dal donante o dal testatore

3. I beni di uso strettamente personale

4. I beni che servono all’esercizio della professione

5. I beni ottenuti a titolo di risarcimento danno e le pensioni attribuite allo stesso titolo

6. I beni acquistati con il prezzo della vendita dei beni individuali o con il loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto d’acquisto. Inoltre l’acquisto dei beni immobili e mobili registrati è escluso dalla comunione se fatto con il prezzo della vendita dei beni personali o con il loro scambio, se ciò risulta dall’atto di acquisto E SE SIA STATO PARTE ANCHE L’ALTRO CONIUGE.

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Da tutto ciò risulta che la comunione non è un regime onnicomprensivo di tutti i beni , posto la compresenza anche di beni che non rientrano in comunione.

Con l’acquisto di beni viene quindi ha crearsi un patrimonio comune che va distinto dai singoli patrimoni sia per la titolarità ma anche per le regole d’amministrazione.

L’amministrazione dei beni in comunione è di entrambi i coniugi, i quali agiscono disgiuntamente per gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli atti eccedenti è richiesta l’accordo di entrambi, fatta salva la possibilità di ottenere dal giudice l’autorizzazione a compiere gli atti stessi quando ciò sia necessario nell’interesse della famiglia o dell’azienda e uno dei coniugi si rifiuti prestare il consenso o vi sia un impedimento.

Gli atti compiuti senza il necessario consenso di entrambi coniugi sono annullabili e non inefficaci, come sarebbe di regola per gli atti compiuti sui beni della comunione ordinaria compiuti senza il consenso di tutti i partecipante, se riguardano beni immobili o mobili registrati (l’azione è proponibile solo dal coniuge estraneo all’atto entro il termine di un anno dalla conoscenza o dalla trascrizione dell’atto); si devono invece ritenere validi se riguardano beni mobili, anche se non sono presenti tutti i presupposti del 1153: essendo in tal caso previsto dal 3 co dell’art 184 soltanto l’obbligo da parte dell’alienante di riscostruire la comunione o se ciò non fosse possibile di pagane l’equivalente.

Se un coniuge amministra male può essere escluso dall’amministrazione dal giudice su richiesta dell’altro coniuge e se viene interdetto è escluso di diritto. In tal casi prosegue il regime di comunione, ma con poteri concentrati su uno solo dei coniugi.

Ma se l’interdizione, l’inabilitazione o la cattiva amministrazione di uno dei coniugi mettono in pericolo gli interessi della famiglia o quando da parte di un coniuge viene violato l’obbligo di contribuzione, l’altro coniuge può chiedere la separazione giudiziale dei beni che è instaurata con sentenza del giudice e scioglie la comunione.

Per quanto riguarda la responsabilità patrimoniale:

I creditori particolari di uno dei coniugi , cioè quelli che vantano diritti per debiti contratti dai singoli coniugi che non riguardino pesi ed oneri gravanti sulla comunione al momento dell’acquisto o spese di amministrazione della comunione o goni obbligazione contratta, anche separatamente, nell’interesse della famiglia o ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi anche se estranea all’interesse della famiglia, possono aggredire direttamente i beni personali del proprio debitore, ma se tali beni risultassero insufficienti possono aggredite in via sussidiaria i beni della comunione nei limiti della quota di cui il coniuge loro debitore è titolare (in subordine ai creditori della comunione). L’altro coniuge ha quindi l’onere di indicare loro i beni personali del coniuge debitore da sottoporre ad esecuzione forzata prima dei beni della comunione

I creditori della comunione, ossia quelli che vantano diritti per pesi o oneri gravanti sui beni della comunione al momento dell’acquisto o per spese d’amministrazione della comunione o per obblighi contratti anche separatamente per l’interesse della famiglia o per obblighi contratti congiuntamente anche per scopi estranei all’interesse della famiglia, possono aggredire direttamente i beni della comunione, ma se tale patrimonio è insufficiente a soddisfare il loro interesse vi è la responsabilità

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sussidiaria dei beni personali e potranno agire sui beni personali dei coniugi per la metà del credito che essi vantano verso la comunione.

Da ciò risulta chiaro che i beni della comunione non formano un patrimonio separato destinato unicamente ai bisogni della famiglia, come risulta, d’altronde, dal disposto che sono creditori della comunione anche coloro che vantano diritti per obblighi contratti congiuntamente dai coniugi BENCHE’ ESTRANEI AGLI SCOPI DELLA COMUNIONE.

La comunione si scioglie nel caso di:

Morte e a tal proposito la comunione si rivela con particolari conseguenza in tema di successione

Assenza o morte presunta

Fallimento di uno dei due coniugi

Annullamento o scioglimento del matrimonio

Separazione legale che si ha con il passaggio in giudicato della sentenza o l’omologa da parte del giudice della separazione consensuale. Alcuni giudici, andando oltre il dettato normativo, hanno fissato la data di scioglimento della comunione già alla presentazione della domanda di separazione personale

Mutamento convenzionale del regime legale

La divisione dei beni si effettua ripartendo in parti uguali l’attivo e il passivo (si dovrà valutare la consistenza dei beni destinati alla comunione de residuo, calcolare i rimborsi dovuti da ciascuno alla comunione e le restituzioni dovute dalla comunione a ciascuno dei coniugi, ossia spese fatte con denaro personale per la comunione). Il giudice può stabilire che, nell’interesse della prole, che uno dei coniugi continui a godere a titolo di usufrutto dei beni spettanti all’altro fino al raggiungimento della maggiore età.

Ciascuno dei coniugi può prelevare i beni mobili che gli appartenevano prima della comunione , ma è prevista una presunzione: in mancanza di prova contraria si presume che i beni mobili facciano parte della comunione.

SEPARAZIONE DEI BENI: L’ART 215 ammette la libera scelta dei coniugi di sottrarsi alle conseguenze del regime legale di comunione. Il problema della separazione dei beni riguarda i beni e i diritto acquistati dopo le nozze, in quanto per quelli di cui ciascuno dei coniugi era già titolare prima delle nozze, restano di sua esclusiva titolarità ed amministrazione.

Con la scelta del regime di separazione dei beni, che può essere dichiarata anche nell’atto di celebrazione del matrimonio, rimane in capo ad entrambi i coniugi la titolarità e la disponibilità dei beni acquistati durante il matrimonio (fermo restando il rispetto dell’obbligo di contribuzione ex art 143).

L’art 219 chiarisce che il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell’altro la proprietà esclusiva di un bene, ma aggiunge che i beni di cui nessuno dei coniugi può provare la titolarità esclusiva si considerano di proprietà indivisa per pari quote. Ogni coniuge mantiene la piena amministrazione sui suoi beni personali, ma la legge regola il fenomeno frequente nella pratica per cui uno dei due coniugi amministra i beni anche dell’altra: se è stata conferita procura si applicano le regole normali come se fosse stato previsto

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anche l’obbligo di rendiconto; se non c’è tale obbligo il coniuge amministratore e i suoi eredi saranno tenuti a restituire solo i frutti esistenti; se l’amministrazione è avvenuta nonostante l’opposizione dell’altro coniuge si applicheranno le regole generali in materia di risarcimento danni. Comunque chi gode i beni dell’altro coniuge è soggetto alle obbligazioni dell’usufruttuario

FONDO PATRIMONIALE: la legge prevede, indipendentemente dal regime scelto dai coniugi, la possibilità di un fondo di beni immobili o mobili registrati o titoli di credito destinati a far fronte dei bisogni della famiglia. Il fondo può essere costituito dagli sposi o anche da un III (e in questo caso pure per testamento) sia prima sia durante il matrimonio. La proprietà dei beni spetta ad entrambi i coniugi se non è stabilito diversamente nell’atto di costituzione; ma quando il fondo cessa, per morte di uno dei coniugi o se vi sono figli minori fino al compimento della maggiore età di questi ovvero per annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, il giudice, valutate le circostanze, può anche attribuire ai figli in godimento o in proprietà una parte dei beni. I frutti devono essere destinati ai bisogni della famiglia e l’amministrazione segue le regole della comunione legale. L’art 170 esclude l’esecuzione sui beni del fondo e sui loro frutti per debiti che il creditore sapeva essere contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. La costituzione del fondo, a pena di inopponibilità ai III, deve seguire il doppio binario di pubblicità, compresa l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio.

COMUNIONE CONVENZIONALE: Il regime della comunione legale può subire delle modifiche limitate a seguito di convenzioni matrimoniali disponendo ad es che cadano in comunione alcuni beni che sono esclusi. Non possono però diventare beni comuni, neppure per convenzione, ma restano necessariamente personali, i beni d’uso strettamente personale, i beni destinati all’esercizio di una professione i beni ottenuti quale risarcimento del danno e la pensione per invalidità. Sono inoltre inderogabili le norme sull’amministrazione della comunione e sulla parità delle quote. Nei limiti del conferimento di beni personali alla comunione questa risponde verso i vecchi creditori personali immediatamente, senza applicare la regola della responsabilità sussidiaria, per non pregiudicare i creditori antecedenti il conferimento sottraendoli una garanzia patrimoniale.

IMPRESA FAMILIARE: la legge con le norme dettate in materia di impresa familiare vuole regolare un fenomeno che sia attua di frequente nella pratica indipendentemente da accordi che possono esserci o non esserci alla sua base e che riguardano soltanto i rapporti che si possono ricondurre ad una causa afctionis o benevolentiae, non trovando, quindi , attuazione tali norme quando tra i conviventi della famiglia lavoratrice esista un diverso rapporto. Inoltre con il riconoscimento economico delle prestazioni lavorative anche nell’ambito delle famiglie si è venuto superando la tradizionale presunzione di gratuità. Il fenomeno dell’impresa sociale è quello di un lavoro condotto da un soggetto con più membri della famiglia in modo continuativo nella famiglia o nell’impresa familiare e l’art 230 bis specifica che tali soggetti possono essere:

Il coniuge, non però secondo le s.u cass il coniuge che svolge solo lavoro domestico; non, per la cass, il convivente more uxorio. Secondo le s.u. cass il coniuge si considera partecipe dell’impresa quando la sua attività si manifesta principalmente per il raggiungimento degli scopi dell’impresa

I parenti entro il III grado e gli affini entro il II, anche, secondo quanto affermato dalla cass, se non convivono sotto lo stesso tetto.

Questi soggetti se prestano in modo continuativo la loro attività lavorativa presso la famiglia o l’impresa familiare hanno diritto al mantenimento e alla partecipazione agli utili ed incrementi aziendali in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. Il criterio di proporzionalità nella pretesa degli

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utili rafforza l’idea che per suo mezzo non si acquistano diritti reali, ma pretese creditizie, il ché però non esclude una possibile pretesa alla comproprietà dei beni acquistati con gli utili del lavoro prestato insieme.

Secondo una dottrina, seguita anche dalla giurisprudenza della Cassazione, la partecipazione dei familiari avrebbe rilevanza solo all’interno, senza assunzione di responsabilità all’esterno (e quindi la titolarità dell’impresa e il diritto sull’azienda resterebbero di chi ha una legittima pretesa su di essi, come solo a lui farebbero capo i debiti e i crediti); secondo un altro orientamento si tratterebbe di una impresa collettiva dei familiari, i quali come imprenditori assumerebbero responsabilità in proprio , meritando la qualifica di coimprenditori.

PROPRIETA’

L’art 42 della cost dispone che “la proprietà è pubblica o privata. I beni economici spettano allo stato, enti o privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi d’acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile a tutti”.

L’art 832 c.c. dispone che: “ il proprietario ha diritto di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.

Vediamo, partendo dall’ultimo inciso dell’art 834 che non definisce la proprietà ma il suo contenuto, di individuare il carattere della proprietà e di specificarne meglio il contenuto.

Non si parla più solo di limiti legali, ma si chiede anche l’osservanza degli obblighi connessi con l’esercizio della proprietà: chi ha il diritto di proprietà assume anche degli obblighi verso la società costituita. Proprio per la posizione del proprietario quale titolare anche di obblighi (es responsabilità da danni da cose) si comprende come non sia sempre efficace un comportamento rinunciatario e come, talora, i III possano agire contro il proprietario per dimostrare il suo titolo. Gli obblighi di cui si parla non sono affermati come un generico principio, ma esistono importanti sanzioni per la loro inosservanza (ad es l’espropriazione dei beni che interessano la produzione o che sono di interesse pubblico, quando l’inattività del proprietario pregiudichi gravemente le esigenze della produzione stessa (838 c.c.).

Il codice dice che il proprietario ha il diritto DI GODERE E DI DISPORRE DELLA COSA. Ci si deve domandare se questi siano propriamente diritti o non siano piuttosto elementi comuni di tutti i diritti soggettivi, e allora caratteristica della proprietà sarebbe solo nel modo pieno ed esclusivo del godimento della cosa. Si può rispondere dicendo, innanzitutto, che non ci sono tanti diritti quante sono le facoltà ei poteri che spettano al proprietario: PER IL CARATTERE DI PIENEZZA DELLA PROPRIETA’, CHE NON E’ SOMMA MA SINTESI DI FACOLTA’, TUTTO RIENTRA IN CIO’ CHE E’ LECITO AL DOMINUS (AGERE LICERE). L’essenza e la forza del diritto di proprietà si vedono quando ci sia un’altra persona che voglia usare per conto suo o disporre del bene del proprietario: allora il proprietario può escludere, in forza di quel diritto che ha soltanto lui, che è il diritto di proprietà.

Ciò detto vediamo più nel dettaglio il contenuto del diritto di proprietà che attribuisce al proprietario:

a) Il potere di godimento, che è il potere di trarre dalla cosa le utilità che essa è in grado di fornire de cidendo se, quando e come utilizzarla: direttamente o indirettamente

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b) Il potere di disposizione del bene, ossia il potere di cedere ad altri in tutto o in parte diritti sulla cosa

Le facoltà di godere e di disporre della cosa hanno i caratteri della:

a) Pienezza: godere e disporre delle cose in modo piene vuol dire farne tutto ciò che non sia espressamente vietato e per sapere cosa il proprietario possa o non possa fare non occorre una norma di legge che stabilisca cosa possa fare o non fare: una norma serve per IMPORGLI di fare o non fare qualcosa e in mancanza di una norma in tal senso il proprietario gode di facoltà illimitate, potendo godere e disporre della cosa a suo piacimento.

Talora, però, esistono dei limiti al godimento (es presenza di un diritto reale minore) e ci possono essere limiti anche al diritto di disporre (es sequestro): in tali casi la proprietà esiste, anche se mancano alcuni degli elementi che ne formano il contenuto NORMALE , OSSIA LA PIENEZZA. La proprietà cessata la causa che ne limitava l’estensione riprende automaticamente la sua pienezza: C.D. PRINCIPIO DI ELASTICITA’ DELLA PROPRIETA’.

QUINDI LA PROPRIETA’ E’ UN DIRITTO COMPLETO, la dove non vi siano limiti precisi il proprietario può fare quello che crede. Un limite generale è sempre previsto ed è quello dell’art 833 (atti emulativi) che vieta al proprietario di abusare del diritto a danni di altri senza un proprio vantaggio: IL PROPRIETARIO NON PUO’ FARE ATTI I QUALI NON ABBIANO ALTRO SCOPO CHE DI NUOCERE O RECARE DANNI AD ALTRI (è un ipotesi legale di ABUSO DI DIRITTO). La proprietà inoltre non è frazionabile: se talune facoltà che formano parzialmente il contenuto della proprietà passano ad altri, non si ha una parte di proprietà che si viene a staccare MA LA CREAZIONE DI SINGOLI E AUTONOMI DIRITTI CHE NE COMPRIMONO L’ESTENSIONE

b) Esclusività: il proprietario può godere delle cose in modo esclusivo, cioè escludere chiunque altro dal godimento e dalla loro disposizione. Essa si vede nella inviolabilità del confine e nella possibilità ex art 841 del proprietario di chiudere il fondo in qualunque momento.

L’estensione della proprietà è data in orizzontale dai confini (ed esistono azioni per la determinazione dei confini : apposizione di termini e

In verticale all’antica massima per la quale la proprietà si estendeva usque ad inferos et usque ad sidera, è stato sostituito ex art 840 il criterio dell’interesse: l’art 840 pur riconoscendo che il diritto sul terreno si estende pure al sottosuolo, ne limita l’esercizio quando venga meno l’interesse (“il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di III che si svolgono a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante che non abbia interesse ad escludere)

Ultima caratteristica della proprietà, ma anche dell’azione posta a sua tutela (l’azione di rivendica), è la IMPRESCRIVIBILITA’.

PER QUANTO RIGUARDA I LIMITI ESSI SONO DI O DI INTERESSE PUBBLICO O DI INTERESSE PRIVATO (FERMO IL LIMITE GENERALE DELL’ART 833)

LIMITI DI INTERESSE PUBBLICO:

a) In primo limiti riguarda la destinazione della proprietà dei suoli: il proprietario di un terreno non può scegliere a proprio piacimento se destinarlo alla agricoltura, alla industria o alla edilizia abitativa. Il diritto urbanistico, pur nel suo continuo evolversi, è arrivato ad alcuni punti fissi: spetta al comune, secondo i criteri fissati dalle regioni, determinare l’assetto del territorio

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mediante i piani regolatori, che stabiliscono quali aree del territorio comunale sono destinate all’agricolture, quali all’industria o al commercio e quali all’edilizia residenziale.

Da ciò deriva inoltre uno dei più importanti limiti al modo di godimento del suolo che è la facoltà di edificare, la facoltà di usare i suolo per costruirvi un edificio. Così chi è proprietario di un suolo in un area definita dal piano regolatore a verde agricolo, non può edificare, se non, nei limiti e nei modi consentiti, edifici rurali; analogamente chi è proprietario di un suolo destinato ad insediamenti industriali non può che costruire stabilimenti industriali. Ancora: chi ha un terreno in un area destinata alla edilizia residenziale può costruire solo nel rispetto delle norme urbanistiche nazionali e regionali che stabiliscono i rapporti volumetrici fra estensione del singolo terreno ed dimensioni delle costruzioni. Si mira così ad una razionalizzazione del territorio e l’interesse generale perseguito ad una migliore qualità della vita nei centri urbani prevale sull’interesse di ciascun proprietario di ricavare, con il massimo sfruttamento del suo diritto di proprietà, la maggior rendita possibile. Inoltre il t.u. in materia edilizia prevede che lo ius aedificandi possa essere esercitato solo in presenza dei seguenti titoli abilitativi:

Permesso di costruire

Denuncia di inizio attività

b) Ammassi obbligatori

c) Espropriazioni per pubblico interesse

d) Espropriazione di beni che interessano la produzione nazionale o di prevalente interesse pubblico

e) Requisizione

f) Servitù militari

Limiti nell’interesse privato: la regola è che ciascuno possa godere e disporre del bene in modo pieno ed esclusivo, purché ciò non comporti una limitazione alla facoltà non meno ampia che ha il vicino di fare altrettanto (fermo sempre il limite degli atti emulativi): QUI IURE SUO UTITUR NEMINI FACIAT INIURAM.

Ma bisogna individuare fin dove, con il proprio comportamento, non si faccia una iniura.

Prima norma che riscontriamo in materia è quella dell’art 844 c.c. dettata in tema di immissioni (fumo, scuotimento esalazioni rumori e simili propagazioni). Con riferimento alle immissioni è stabilito il criterio della NORMALE TOLLERABILITA’: il limite non è dato dalla normalità dell’esercizio, ma dalla normale tollerabilità per chi deve subire le immissioni. E’ un criterio elastico e relativo, in quanto soggetto ad evoluzione nel tempo, che si adatta alle varie circostanze, ossia va applicato caso per caso. Il giudice nell’applicare l’art 844, che permette di bloccare le immissioni quando superino la normale tollerabilità, deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, tenendo conto pure di un eventuale preuso, lo stato delle condizioni di ambiente.

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La materia è inoltre strettamente legata alla legislazione antinquinamento , ma vi è una tendenza a distinguere la tutela ex art 844 di carattere reale (a difesa della proprietà) dalla generale tutela delle persone che va inquadrata nell’art 2043.

Qualora il giudice accertasse che è stata superata la soglia della normale tollerabilità, il giudice ordinerà:

La cessazione della causa del danno (momento individualistico) o

Per contemperare gli eventuali sacrifici alle ragioni della proprietà con le esigenze della produzione (momento produttivistico) fisserà un equa indennità. Sul punto la Cass ha affermato che è ammissibile la proposizione in via cumulativa dell’azione diretta a far cessare le immissioni (di carattere reale e natura negatoria) con l’azione tesa ad ottener il risarcimento del pregiudizio subito (di carattere personale). Inoltre la Cass ha affermato che l’accertamento del superamento della soglia di tollerabilità configura l’esistenza del danno in re ipsa e quindi nella LIQUIDAZIONE del danno va escluso ogni contemperamento di interessi contrastanti e di priorità d’uso.

Il codice prevede delle norme in materia di distanze nelle costruzioni, luci e vedute, stillicidio. Queste norme si fanno rientrare nel concetto di rapporti di buon vicinato e presentano delle caratteristiche comuni:

Hanno carattere preventivo e si applicano indipendentemente dall’esistenza di un danno, di contro, se vengono rispettate ma vi è un danno, non c’è diritto al risarcimento

Non sono limiti eccezionali, ma RECIPROCI LIMTI DI CONVIVENZA

NON POSSONO ESSERE RIPORTATE ALLA CATEGORIA DELLE SERVITU’

SONO DIRITTI E OBBLIGHI CHE SORGONO AUTOMATICAMENTE PER IL SEMPLICE FATTO DELLA VICINZA DI DUE FONDI, SONO SENZA CORRISPETTIVO E SONO TUTELABILI CON L’AZIONE NEGATORIA

DISTANZE: La materia è regolata sia dal codice civile nonché dai regolamenti comunali e dai piani regolatori. Sulla tutela in materia di distanze bisogna fare una distinzione:

Quando i regolamenti sono esplicazione o modificazione delle norme del c.c. degli artt 873 e ss o ne sono integrazione, anche per affinità, regolando solo i rapporti tra privati, danno diritto AL PROPRIETARIO DELL’IMMOBILE, in caso di loro inosservanza, ad una duplice tutela: RISARCIMENTO DEL DANNO E POSSIBILITA’ DI OTTENERE LA RIDUZIONE IN PRISTINO

Quando invece la violazione deriva da una norma, pur contenuta in un regolamento comunale, ma tendente ad attuare FINALITA’ DI INTERESSE GENERALE COLLETTIVO o finalità propriamente urbanistiche, quali il decoro della città o ragioni di ignee, il diritto del privato si limita al risarcimento dei danni (art 872)

Per le distanze per le costruzioni l’art 873 dispone che le costruzioni sui fondi fittimi se non sono unite o aderenti devono essere tenute ad una distanza non minore di 3m. la cass ha affermato che la nozione di fondi fittimi, al fine della applicazione delle norme sulla distanza, è diversa dalla nozione di fondi meramente vicini: fondi fittimi, per la cass, sono quei fondi che hanno in tutto o in parte le linee di confine in comune, incontrandosi, almeno in un segmento; pertanto, la cass ha affermato, che le norme degli artt 873 e ss non si applicano a quei fondi che hanno in comune solo lo spigolo o i cui spigoli si fronteggiano pur rimanendo distanti. Per quanto riguarda la natura delle norme degli artt 873 e ss la cass ha affermato che le

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norme perseguendo finalità di carattere privatistico non sono cogenti e possono essere derogate dalle parti, ma non possono essere derogate le norme contenute negli strumenti urbanistici.

Disciplina: la norma non si applica al muro di cinta e muro di cinta è quel muro di altezza non superiore ai 3 m, destinato a demarcare la linea di confine o a chiudere il fondo

Come si è detto

Come si è detto la regola generale è che la distanza dei 3m va ripartita fra i due fondi, ossia che chi vuole costruire deve farlo ad un metro e mezzo della distanza minima legale. Tuttavia chi costruisce a meno di un metro e mezzo non commette un illecito, in quanto sta cmq operando sul suo fondo anche se costruisce sul confine (salvo naturalmente la violazione di norme comunali fissate per il prevalente interesse collettivo). Ma, posto che è vietata la costruzione a meno di 3 metri l’una dall’altra, non è giusto che il vicino se voglia costruire debba tenersi lontano dal confine più della metà della distanza minima legale (ad es se il primo costruisce, anziché ad almeno un metro e mezzo dal confine, a mezzo metro dal confine, il vicino dovrebbe costruire per rispettare i 3 m a 2,5 m), per evitare simile ingiustizia è concesso al proprietario del fondo confitante una duplice scelta se non vuole arretrare la sua costruzione ad almeno 3 m da quella del vicino che ha costruito per primo:

a) O appoggia la sua costruzione al muro dell’edificio del vicino ed ottiene la comunione del muro, pagando la metà del muro (indennità di medianza) e il valore del suolo da occupare

b) O costruisce in aderenza all’edificio del vicino e in questo caso non ottiene la comunione del muro e pagherà solo il valore del suolo occupato.

La legge, quindi, in materia di distanze per le costruzioni applica il criterio della prevenzione temporale (chi costruisce per primo determina le distanze da osservare):

Se il primo costruisce ad 1,5 m di distanza l’altro dovrà rispettare uguale distanza

Se il I costruisce a meno di un 1,5 m dal confine il II deve arretrare fino a rispettare i 3 m o abolisce ogni distanza

Se il I costruisce a più di 1,5 m il II può anche costruire a meno di 1,5 m di distanza dal confine, ma rischia potrebbe poi portare in aderenza o in appoggio la sua costruzione.

Distanze per pozzi cisterne e buche: chi apre una di queste opere deve rispettare la distanza di 2 m dal confine e il punto più vicino del perimetro interno delle opere predette

Distanze per fossi e canali: si deve rispettare la distanza tra il ciglio del fosso e il confine pari alla profondità massima dell’escavo

Distanze per gli alberi, quando regolamenti o USI non dispongono diversamente:

a) 3 m per gli alberi d’alto fusto che sono quelli il cui fusto semplice o diviso in rami sorge ad altezza notevole come i noci, i pioppi i castagni i pini i cipressi gli olmi i platani e simili

b) 1,5 m per gli alberi di non alto fusto, quelli il cui tronco prima di dipartirsi in rami non supera l’altezza media di 3m

c) 0,5 m per le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non superiore a 2,5m

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La distanza si calcola dalla linea di confine alla base esterna del tronco dell’albero nel tempo della piantagione o al momento della semina.

Tali distanze non si osservano se sul confine esiste un muro divisorio se le piante sono tenute ad altezza non superiore del muro.

Se l’albero nonostante il rispetto delle distanze legali protenda i suoi rami o estenda le sue radici fino al fondo del vicino quest’ultimo può obbligare il proprietario a tagliare i rami che sporgono nel fondo del vicino e può egli stesso recidere le radici invadenti. I frutti caduti naturalmente sul fondo del vicino dai rami protesi su di esso, se usi contrari non dispongono diversamente appartengono al proprietario del fondo

Distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi: non viene stabilita una distanza precisa, ma l’art 890 dispone che in mancanza di regolamenti speciali si deve rispettare una distanza da valutare caso x caso necessaria a preservare il fondo del vicino da ogni danno alla salubrità solidità e sicurezza

APIARI: NEL 2004 è STATA inserita una norma sulla distanza degli apiari, essi devono trovarsi a non meno di 10 m di pubblico transito e a non meno di 5 m dal confine di proprietà pubbliche o private.

LUCI E VEDUTE:

ex art 900 c.c le aperture. sono:

a) Luci quando danno passaggio all’aria e alla luce senza permettersi di affacciarsi sul fondo del vicino

b) Vedute o prospetti: quando permettono di affacciarsi sul fondo del vicino e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente.

a. per aprire luci non occorre rispettare distanze dal fondo del vicino; possono essere aperte pure sul muro posto sul confine (ma se il muro è comune occorre il consenso del vicino. Vengono chiamate espressamente luci di tolleranza perché la luce può sempre venir chiusa quando il vicino voglia usare il diritto di chiedere la comunione del muro o di costruire in aderenza. Le luci per essere aperte devono rispettare i requisiti del 901:

Devono avere un’inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino

Devono avere una grata metallica le cui maglie non siano superiori a 3 cm2

Avere il lato inferiore ad altezza non minore di 2,5 m dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce o aria se vengono aperte al piano terra; ovvero avere il lato inferiore ad non inferiore di 2 m se sono aperte ai piani superiori

Avere i lato inferiore ad altezza non inferiore di 2,5 m dal fondo del vicino, salvo che si tratti di locali in tutto o in parte sotto il suolo del vicino e le condizioni del luogo non consentono di osservare detta altezza.

Questi sono i requisiti ai quali la legge subordina l’apertura di luci, ma non bisogna dedurre da ciò che le luci che non abbiano tali caratteristiche vadano considerate, ad es per gli effetti di una usucapione di servitù di veduta, come vedute: l’art 902 dispone che si devono considerare luci le aperture che non abbiano le

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caratteristiche intrinseche e funzionali delle vedute e non viceversa; come tali esse subiscono senza limiti il rischio di chiusura.

b. per aprire vedute, se non c’è di mezzo una pubblica via, occorre:

a. La distanza di 1, 5 m dal fondo del vicino quando si tratta di visuale diretta e non solo per le finestre, ma anche per i balconi, le terrazze, i lastrici solari muniti di parapetto con prospetto in diverse direzioni

b. Quando il fondo del vicino può essere visto solo da un lato (vedute laterali o oblique)bisogna osservare la distanza di 75 cm che si misura dal più vicino lato della finestre o dal più vicino sparto

Quindi finestre a veduta non si possono aprire se non nel rispetto delle distanze suddette; ma quando si acquista un diritto ad aprirle, mediante la costituzione di una servitù, deriva un’importante limitazione per il fondo servente: IL PROPRIETARIO DI QUESTO FONDO NON PUO’ PORTARE ALCUNA COSTRUZIONE AD UNA DISTANZA INFERIORE DI 3M.

STILLICIDIO: ex art 909 il proprietario deve costruire in maniera tale che le acque piovane vadano a scolare sul proprio terreno. Non esiste quindi una servitù legale di stillicidio ne si può applicare l’art 913, per il quale il fondo inferiore dovrebbe ricevere le acque del fondo superiore, in quanto la costruzione di un edificio altera il corso naturale delle acque piovane riunendole sul tetto e l’art 913 richiede invece uno scolo naturale delle acque.

COMUNIONE

Posto il carattere esclusivo della proprietà più persone non possono essere contemporaneamente proprietari PER L’INTERO dello stesso bene: duorum vel plurium in solidum dominio non potest.

Questo principio però non contrasta con la possibilità di una COMPROPRIETA’ di più soggetti sulla stessa cosa: non possono esistere due diritti di proprietà sullo stesso bene, ma DI UNO STESSO DIRITTO POSSONO ESSERE TITOLARI PIU’ SOGGETTI INSIEME e quindi nulla vieta che la proprietà, con il suo carattere di dominio pieno ed esclusivo, spetti contemporaneamente a più soggetti e legge disciplina il fenomeno della comunione, che si ha quando la proprietà o altro diritto reale spettano in comunione a più persone, agli artt 110 c.c e ss, salvo che il titolo o la legge dispongano diversamente.

Nei rapporti interni il diritto di ciascun comunista sarà rappresentato idealmente, in termini frazionari, da una quota indivisa, ossia non materialmente individuata e separata dal resto, dell’intero. Si parla di un diritto ad una quota ideale, in quanto, se ad es Tizio è proprietario per una metà, non varrà diritto alla materiale divisione per due di ogni parte che compone il bene (LA COMMUNIO E’ PRO INDIVISO), ma la metà indicherà il quantum del potere sulla cosa finché dura la comunione, rappresentandone anche la misura del diritto nella eventuale divisione (divisione che ha carattere dichiarativo e quindi la parte materiali di beni che sarà attribuita in concreto si intende come se fosse stata fin dall’inizio oggetto di sua esclusiva proprietà).

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La quota si differenzia dalla parte, in quanto, come detto, la prima indica una misura astratta di partecipazione alla TITOLARITA’ DELL’INTERO BENE, mentre la seconda una porzione materiale e concretamente individuata dello stesso bene.

Per quanto attiene alla fonte la comunione è:

Volontaria quando nasce per accordo dei partecipanti

Legale o forzosa se il suo titolo è nella legge

Incidentale quando sorge per circostanze fortuite (es comunione successoria fra più eredi o legatari

Ciò detto, in primo luogo, la quota segnerà il limite dei poteri e delle facoltà spettanti al singolo contitolare e dall’altro, per converso, il suo concorso agli oneri.

Nella comunione alcuni diritti possono essere esercitati da ogni singolo partecipante; per altri è richiesta la volontà di chi rappresenta la maggioranza economica del bene, per altri ancora è necessario il consenso unanime.

OGNI PARTECIPANTE PUO’:

Usare per conto suo il bene comune, anche modificandolo a proprie spese per trarne maggior godimento, purché non ne alteri la destinazione della cosa e non venga diminuito l’ugual diritto che spetta a tutti gli altri

Può disporre del suo diritto alienandone la quota o cedendone il godimento

Può chiedere lo scioglimento della comunione; salvo che non sia stato stipulato un patto di rimanere in comunione, valido per un tempo non maggiore di 10 anni. Inoltre l’autorità giudiziaria può stabilire una congrua dilazione, in ogni caso non superiore a 5 anni, se l’immediato scioglimento può pregiudicare gli interessi degli altri

Ciascun partecipante in base alla sua quota gode degli utili della cosa e partecipa nella stessa misura agli oneri.

Per quanto attiene agli obblighi ogni partecipante deve contribuire alle spese necessarie per la conservazione e il godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza, salva la facoltà di liberarsene con la rinuncia al suo diritto; ma la rinunzia non giova al partecipante che abbia anche solo tacitamente approvato la spesa.

Regole sono stabilite per l’amministrazione del bene:

Tutti i partecipanti hanno diritto di partecipare all’amministrazione della cosa comune

Per gli atti di ordinaria amministrazione le deliberazioni della maggioranza, calcolata secondo il valore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente

Per la validità delle deliberazioni della maggioranza si richiede che tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati dell’oggetto della deliberazione

Nel caso in cui non venissero presi i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita,

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ciascun partecipante può ricorrere alla autorità giudiziaria, che provvede in camera di consiglio e può nominare un ammostatore.

Per gli atti di ordinaria amministrazione è richiesta la maggioranza semplice, per gli atti di straordinaria amministrazione e per disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa comune o a renderne più comodo e redditizio il godimento è richiesta la maggioranza di 2/3, mentre è necessario il consenso di tutti i partecipanti per atti di alienazione o costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a 9 anni. A maggioranza semplice, inoltre, può essere adottato un regolamento per l’ordinaria amministrazione e il miglior godimento della cosa comune, che può essere impugnato davanti all’autorità giudiziaria da ciascun partecipante alla comunione entro 30 giorni dalla deliberazione che lo ha approvato (per gli assenti il termine decorre dal giorno in cui è stata loro comunicata la deliberazione). Sempre con la maggioranza semplice l’amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti o ad un estraneo determinandone i poteri e gli obblighi.

Per quanto attiene alle impugnazione delle delibere della maggioranza, ciascun dei compenti della minoranza dissenziente può impugnare davanti alla autorità giudiziaria le deliberazione della maggioranza:

a. Nel caso di deliberazioni su atti di ordinaria amministrazione, se la deliberazione è gravemente pregiudizievole alla cosa comune

b. Se non sono stati avvisati tutti i partecipanti alla comunione

c. Se la deliberazione relativa alle innovazioni e agli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione pregiudichino il godimento o comportino una spesa eccessivamente gravosa o siano pregiudizievoli nell’interesse di alcuno dei partecipanti

L’impugnazione va proposta sotto pena di decadenza entro 30 giorni dalla deliberazione ovvero per gli assenti dal giorno a cui è loro comunicata. In pendenza del giudizio l’autorità può ordinare la sospensione del provvedimento.

La comunione si scioglie con la divisione che può avvenire con una spartizione materiale della cosa ove sia possibile ovvero con una ripartizione della somma ricavata dalla vendita della cosa stessa. Per quanto attiene alle regole sulla divisione si applicano quelle della divisione ereditaria.

COMUNIONE NEGLI EDIFICI: CONDOMINIO

E’ un tipo di comunione a se stante disciplinato espressamente e minuziosamente agli artt 1117 e ss.

La caratteristica di questo fenomeno non è data tanto dal fatto che ci sia una proprietà divisa in senso orizzontale, quanto invece nella circostanza che accanto alla proprietà solitaria spettante a ciascuno sul proprio piano o appartamento (al quale si applicano i principi della superficie) esiste una comunione forzosa o legale di tutti i condomini sopra alcune parti del bene elencate dall’art 1117, se non risulta dall’atto dell’originario frazionamento della proprietà (bisogna evidenziare che alcune parti dell’edificio non possono essere considerate a priori come facenti parte della comunione o come facente parte della proprietà singola, in quanto la loro qualificazione è legata alla struttura e funzione del singolo elemento)

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IL POSSESSO

Il possesso è una situazione di fatto, che consiste nel potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o alto diritto reale. Ora un primo problema che si riscontra nel possesso è quello di trovare una giustificazione al fatto che l’ordinamento giuridico, il quale per definizione tutela diritti, tuteli anche il semplice possesso, come stato di fatto, considerato a prescindere da una giustificazione di diritto.

Alcune spiegazioni a tale quesito sono tradizionali:

Si è affermato che l’esercizio in concreto di una posizione corrispondente ad un diritto reale, ossia di una signoria di fatto sulle cose, fa presumere che alla situazione atto corrisponda un fondamento giuridico.

Un'altra giustificazione è data dal fatto che se la tutela giuridica si attuasse solo in seguito alla dimostrazione del perfetto fondamento di ogni pretesa, spesso, nella pratica essa si manifesterebbe insufficiente o inefficace. Da qui la necessità di una tutela più semplice e pronta nell’interesse della società e degli stessi titolari dei diritti. Infatti se il proprietario ad ogni atto che costituisce esercizio del suo diritto o di fronte a ogni lesione dei III dovesse dar la prova della sua piena legittimazione si troverebbe ostacolato nel godimento a seguito della lunga e difficile dimostrazione del suo titolo (la prova della proprietà è detta probatio diabolica), mentre la tutela del possessore in quanto tale è assai più rapida: deve solo dimostrare il possesso e nulla di più. Tra chi possiede e chi non possiede si inizia col preferire il primo che si trova in una situazione direttamente percepibile (factum possessionis), solo in seguito si vedrà se chi pretende il riconoscimento di un diverso titolo possa addurre un fondamento più forte che richiede un rapporto più ideale che richiede un più difficile accertamento tratto da fatti passati (titolo di proprietà)

Altra giustificazione è un interesse alla tutela della quiete sociale, già i romani affermavano che la tutela possessoria era posta NE CIVES AD ARMA VENIANT. Nel nostro ordinamento, al di fuori di una legittima reazione immediata di auto difesa, non vi è un diritto di autotutela e per evitare soprusi e violenze lo stato di fatto va tutelato e reintegrato con il diritto.

Oggetto del possesso possono essere tutti i beni, mobili o immobili, anche incorporali come le energie o le bande di frequenza (ma bisogna sottolineare che la cass di recente ha modificato il suo precedente orientamento negando azione possessoria all’utente di energia elettrica contro l’ente fornitore che abbia staccato i fili conduttori). Non sono compresi nella tutela possessoria i beni demaniali.

La tutela possessoria è di carattere provvisorio, in quanto tutela di una situazione di fatto e non di un diritto. Il possesso infatti non è und diritto e non va confuso il possesso con il DIRITTO DI POSSEDERE (IUS POSSIDENDI), che è una delle facoltà che spettano in primo luogo al proprietario e che anzi è quella facoltà affermata dal proprietario quando, avendo perduto il possesso della cosa, agisce in rivendica. Quindi il possesso è una situazione di fatto a cui sono connesse importanti conseguenze giuridiche e proprio in riferimento a queste conseguenze giuridiche si può parlare di IUS POSSESSIONIS, chiarendo che esso è il diritto ad una tutela provvisoria, che è destinata a scomparire di fronte all’eventuale successiva dimostrazione di un diritto.

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La situazione di fatto non identifica e non presuppone l’effettiva disponibilità di fatto del titolare, in quanto si può possedere anche per mezzo di altri, come anche il possesso si può acquisire per mezzo di intermediari.

Caratteri del possesso: dalla definizione dell’art 1140 ricaviamo in primo luogo che non esiste solo il possesso corrispondente al diritto di proprietà, ma anche l’esercizio in concreto di un corrispondente diritto reale su cosa altrui è possesso: POSSESSIONIS IURIS O QUASI POSSSESSIO. Questa specificazione è importante ai fini dell’usucapione, in quanto il possesso continuo di un bene o il godimento parziale dello stesso a titolo diverso dalla proprietà porterà non all’acquisto di quest’ultima, ma all’acquisto del relativo diritto reale minore che corrisponde alla situazione di fatto del possesso.

Gli elementi del possesso sono:

a. ELEMENTO OGGETTIVO DEL POSSESSO: la disponibilità materiale del bene, il potere di fatto sulla cosa

b. Animus possidendi. Secondo la dottrina tradizionale non basta il corpus , ossia non è sufficiente che si abbia una relazione materiale con il bene, che sussiste anche in colui che tiene la cosa per conto altrui; ma è necessario, anche per la qualificazione del possesso, che le circostanze obiettive mettano in luce l’esistenza di un elemento subiettivo, l’ANIMUS, che è l’intendimento di tenere la cosa o quale proprietario (animus rem sibi tenendi) o ad altro titolo.

Sull’elemento dell’animus si basa anche la fondamentale distinzione fra possesso e detenzione. Il capoverso dell’art 1140 cc dice che si può possedere oltre che direttamente anche per mezzo di altra persona , che ha la detenzione del bene ed è proprio l’animus l’elemento che consente di distinguere il possessore dal detentore.: si ha detenzione quando manca l’animus di esercitare la proprietà o altro diritto sulla cosa. Nella posizione del detentore rispetto alla cosa esiste un implicito riconoscimento di una situazione preminente altrui: il rapporto del detentore con la cosa non si afferma direttamente e immediatamente. QUINDI SI Avrà DETENZIONE E NON POSSESO IN CHI TIENE LA COSA:

a. NELL’INTERESSE ALTRUI COME LONGA MANUS DEL POSSESSORE O DEL PROPRIETARIO A CAUSA DI UN RAPPORTO DI DIPENDENZA (domestico nell’interesse del padrone)

b. Nell’interesse altrui, ma senza una dipendenza, a titolo di amicizia

c. Sempre nell’interesse altrui a titolo di adempimento di una obbligazione

d. Nell’interesse proprio del detentore per esercitare un diritto personale sopra la cosa altrui

NON SI HA NEPPURE DETENZIONE IN CHI HA LA COSA SENZA SAPERLO.

La legge presume il possesso in chi tiene la cosa, mentre la detenzione va provata. La presunzione relativa di possesso, e la prova contraria per la detenzione, valgono solo per il momento iniziale, in seguiti, se non viene compiuto un atto di interversione, possesso e detenzione continuano così come sono sorti. La detenzione come stato di fatto cede semplicemente di fronte a chi dimostri di avere diritto al godimento diretto della cosa; non costituisce titolo per tradursi in diritto sul bene con il passaggio del tempo previsto per l’acquisto per usucapione; gli viene però riconosciuta la difesa contro lo spoglio ad eccezione dell’ipotesi di chi detiene la cosa per ragioni di ospitalità o di servizio.

Il possesso si acquista:

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a. Originariamente, senza cioè trasmissione da parte di altri, mediante l’adprehensio fisica della cosa, accompagnata dall’animus. Gli atti che si compiono per altrui tolleranza non costituiscono titolo per l’acquisto del possesso ma semmai per la detenzione: è il caso in cui il godimento sia fonda su un permesso espresso o tacito ma sempre revocabile del titolare del diritto.

b. Acquisto a derivativo, come la consegna e la successione. Consegna o traditio può essere effettiva quando materialmente si trasferisce il possesso della cosa, oppure simbolica (ficta), che si attua con il passaggio dei documenti concernenti la cosa o la consegna delle chiavi o con altro mezzo. Esiste poi una consegna consensuale (constitutum possessorium) che si ha quando il vecchio possessore trasferisce ad altri il possesso, conservando però la detenzione. All’inverso del costitutum possessorium abbiamo la traditio brevi manu che si ha quando chi deteneva la cosa a nome altrui a seguito dell’accordo con quest’ultimo ne acquista il possesso.

Il codice fissa alcune regole per individuare il momento di inizio del possesso:

Una prima regola dice che il possesso attuale non fa presumere il possesso anteriore

Una seconda regola dice che quando vi è un titolo il possesso attuale fa presumere quello anteriore fino alla data del titolo stesso

Infine si presume il possesso intermedio a favore di colui che possiede attualmente che abbia posseduto in tempo remoto.

Interversione in senso ampio: sia il possesso sia la detenzione continuano così come sono cominciati, quello che conta è il momento iniziale. In seguito la situazione giuridica può mutare solo per causa proveniente da un III (traditio brevi manu e costitutum possessorium) o in forza di un atto di opposizione (contradictio) fatto dal detentore materialmente, ossia con rifiuto dichiarato di restituire l’oggetto, o con dichiarazione non equivoca. In questi casi si ha un mutamento del possesso in detenzione o viceversa detta interversione in senso ampio, per la quale non è sufficiente un mutamento solo nella sfera interna dell’animus. Accanto a questa interversione in senso ampio si ha l’interversione in senso stretto dell’art 1164, che è il passaggio da un possesso corrispondente ad un diritto reale limitato a quello più ampio corrispondente alla proprietà che avviene per le stesse cause del mutamento del titolo da detenzione a possesso, ossia per causa proveniente da un III o per opposizione.

Il possesso si perde con il venir meno di uno o di tutti e due gli elementi del possesso.

La legge, per far godere al possessore attuale anche gli effetti del possesso di un precedente possessore, prevede due forme di congiunzione (evocate specialmente in tema di usucapione):

a. Successione nel possesso si attua a favore del solo erede e avviene di diritto senza interruzione. Il possesso passa ipso iure all’erede così com’era per il de cuius

b. Accessione del possesso che si verifica nella successione a titolo particolare sia per atto tra vivi sia mortis causa. Il successore a titolo particolare può, se vuole, unire il suo possesso a quello del suo dante causa, sommando i due tempi che gli servono per il raggiungimento di un effetto giuridico. Egli può avvalersi o no dell’accessione del possesso e lo farà solo se gli conviene; ma se è in mala fede al momento del suo acquisto non può avvalersi della buona fede del suo autore per qualificare anche il proprio possesso

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POSSESSI QUALIFICATI: non tutti i possessori possono invocare le medesime conseguenze del proprio stato di fatto.

POSSESSO AD USUCAPIONEM per l’usucapione e per l’esercizio dell’azione di manutenzione, il possesso deve essere:

a. Pacifico e pubblico, ossia l’acquisto non deve essere stato violento o clandestino. Il possesso violento o clandestino può portare all’effetto favorevole di cui si tratta solo dalla cessazione della violenza o della clandestinità del possesso

b. Deve essere continuo e non interrotto. La continuità si riferisce allo stesso possessore: il possesso non è continuo se egli ha abbandonato il bene di cui si tratta.

La non interruzione vuol dire invece che non ci deve essere stata azione di III, vuoi con l’esercizio del loro diritto in contrasto con il possesso (interruzione di diritto) vuoi privando effettivamente il possessore del godimento del bene (interruzione di fatto)

POSSESSO DI BUONA FEDE: è definito dall’art 1147 come il possesso di chi POSSIEDE IGNORANDO DI LEDERE L’ALTRUI DIRITTO. La buona fede che qualifica questa forma di possesso non è un fattore puramente psicologico, nel senso che è sufficiente la semplice ignoranza di ledere il diritto altrui; occorre che detta ignoranza non dipenda da negligenza grave. Il fondamento etico della buona fede si rileva allora nella scusabilità , richiesta per la rilevanza dell’errore invocato (questa è la b.f. soggettiva detta anche psicologica in quanto presuppone uno stato di ignoranza della situazione giuridica e si differenzia dalla b.f. oggettiva o etica richiesta come dover essere, come dovere di comportamento. Secondo l’antica ottimistica regola per cui quisquis praesumitur bonus, LA BUONA FEDE SI PRESUME FINO A PROVA CONTARIA. È sufficiente la b.f. iniziale , cioè è suff che essa esista nel momento dell’acquisto del possesso: mala fides superveniens non nocet.

Particolari conseguenze sono previste dalla legge nel caso in cui il possessore debba restituire la cosa al proprietario. In questo caso la l. riconosce particolari conseguenze in favore della buona fede:

Per quanto attiene ai frutti prodotti dal bene oggetto di restituzione, se il possesso era di b.f. il possessore fa suoi i frutti naturali separati fino al giorno in cui il proprietario ha proposto domanda giudiziale e quelli civili maturati fino a quel giorno, ma deve restituire quelli percepiti o percepiendi (ossia che avrebbe percepito usando la diligenza del buon padre di famiglia) durante il periodo che va dalla domanda giudiziale fino alla restituzione della cosa. Se il possesso era di mala fede, il possessore risponde di tutti i frutti percepiti o percipiendi, dovendoli restituire in natura o nel loro valore.

Diritti del possessore:

1. Ha diritto al rimborso delle spese fatte per riparazioni straordinarie e anche quelle fatte per riparazioni ordinarie quando è tenuto alla restituzione dei frutti

2. Quando è tenuto alla restituzione dei frutti ha diritto al rimborso per le spese sostenute per la loro produzione e la loro raccolta, entro il limite del valore dei frutti

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3. Per i miglioramenti che esistono al momento della restituzione del bene, se il possesso era di b.f. il possessore avrà diritto ad una indennità corrispondente all’aumento di valore del bene, se il possesso era di mala fede l’obbligo del proprietario di indennizzare il possessore è limitato alla somma minore tra l’importo della spesa e l’aumento di valore

4. Per il conseguimento di quanto spetta al possessore di b.f. egli ha un diritto di ritenzione sulla cosa che era in suo possesso

L’ARTICOLO 1153 “colui al quale sono alienate cose mobili da parte di chi non è proprietario ne acquista la proprietà mediante il possesso purché sia in b.f al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al momento della consegna”. È un modo di acquisto della proprietà mobiliare a titolo originale.

Titolo idoneo sarà un negozio giuridico perfetto in tutti i suoi elementi a parte la legittimazione del dante causa, ossia un negozio, che se ci fosse stata pure la legittimazione, avrebbe trasferito correttamente il diritto.

I requisiti per l’acquisto della proprietà ex 1153 sono:

Deve avvenire l’acquisto del possesso (la l . parla di consegna)

Esserci un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà

L’acquirente deve essere in b.f nel momento della trasmissione del possesso, ossia deve ignorare che il suo dante causa non era il proprietario, ignorare il suo difetto di legittimazione, e ignora l’eventuale provenienza illecita della cosa, e in questo caso, ex art 1154, se conosceva della provenienze illecita non gli giova l’erronea convinzione che il suo autore o un suo precedente possessore ne sia divenuto proprietario

Ex art 1154 la regola del 1153 non si applica alle universalità di beni mobili o ai beni mobili registrati.

Nello stesso modo oltre alla proprietà si possono acquistare i diritti di uso, usufrutto, pegno.

Il possesso di b.f. produce l’acquisto immediato del diritto sul bene libero da tutti i pesi che non risultano dal titolo e di cui l’acquirente ignorava l’esistenza.

In mancanza del titolo idoneo il possessore di b.f. usucapirà il bene in 10 anni

DIFESA DEL POSSESSO: mentre dura l’offesa di fronte a colui che vuole violentemente sottrare il bene al possessore questo PUO’ AGIRE DIRETTAMENTE A TITOLO DI LEGITTIMA DIFESA (2044 E 54 C.P.). Se, però, non vi è immediatezza di offesa il possessore che agirebbe per difendere il suo ius possessionis incorrerebbe nel reato di ragion fattasi.

Al possessore che venga privato del possesso o venga molestato sono concesse due azioni : L’AZIONE DI REINTEGRAZIONE E L’AZIONE DI MANUTENZIONE, che competono al possessore in quanto tale (e solo a lui, salvo quanto si dirà sul detentore) sia o non sia titolare del diritto corrispondente. Accanto a queste due azioni possessorie vi sono altre due azioni, AZIONI DI NUNCIAZIONE, le quali vengono concesse sia al possessore sia al proprietario o al titolare del diritto anche a prescindere del possesso. Inoltre l’esercizio

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delle azioni possessorie rientra anche fra i poteri del chiamato all’eredità senza che si richieda come presupposto la sua materiale apprensione dei beni ereditari.

AZIONE DI REINTEGRAZIONE O DI SPOGLIO: l’art 1168 detta le regole per tale azione che compete al possessore, ma anche al detentore , fatta eccezione per chi detiene la cosa per ragioni di ospitalità o di servizio (inoltre chi detiene la cosa come mandatario o amministratore non può agire in reintegrazione contro lo spoglio attuato dal proprietario nell’interesse del quale ha la detenzione).

Per quanto attiene alla procedure le azioni possessorie fanno parte del processo cautelare, che mira alla difesa di una situazione materiale. In coerenza con il principio di priorità del giudizio possessorio l’art 705 c.p.c. vieta, o meglio vietava, al convenuto di proporre le ragioni del suo diritto riservate al giudizio petitorio. Tuttavia una discussa sentenza della corte cost ha sancito l’illegittimità di tale disposizione nei casi in cui la sua applicazione comporterebbe un danno irreparabile con la pratica impossibilità di una definitiva ricostruzione della situazione di diritto. Con successiva decisione la corte di cass ha precisato che la possibilità di proporre eccezioni di natura petitoria nel giudizio possessorio è limitata al solo caso che si voglia dimostrare l’infondatezza della azione possessoria e non il riconoscimento di un diritto corrispondente. E cmq possibile per l’attore in possessorio promuovere subito azione separata petitoria, in quanto il divieto di cumulo è sancito per il solo convenuto in possessorio.

L’azione di reintegrazione è concessa solo CONTRO ATTI DI PRIVAZIONE DEL POSSESSO VIOLENTI O CLANDESTINI COMPIUTI CON ANIMUS SPOLIANDI. Violenza e animus vanno intesi in senso ampio, ossia riferendosi ad un atteggiamento che contrasti con la volontà anche implicita del possessore. la cass ha affermato che caratteristica necessaria e sufficiente dell’animus spoliandi debba ritenersi la consapevolezza di sovvertire una situazione possessoria contro la volontà espressa o presunta del possessore e che non può dirsi escluso dal convincimento dello spolians di esercitare un proprio diritto. L’azione può essere rivolta anche contro il III successore a titolo particolare che abbia fatto l’acquisto con la consapevolezza dell’avvenuto spoglio.

L’azione va proposta entro l’anno dallo spoglio o dal giorno della sua scoperta quando lo spoglio è stato clandestino. A questo proposito bisogna segnalare che anche in materia di azioni possessorie la giurisprudenza ha chiarito che se con tale azione vengono denunciati più atti materiali collegati teleologicamente nel tempo il termine di decadenza ricorre dal primo di tali atti, salvo che il ricorrente non provi che si tratti di eventi autonomi non ricollegabili ad un unico disegno. La restituzione è ordinata dal giudice senza dilazione sulla semplice notorietà del fatto dopo sommario accertamento dell’esistenza di un precedente possesso anche ingiustificato e dell’avvenuto spoglio.

Lo spoglio costituisce atto illecito che lede il diritto del possessore alla disponibilità della cosa e obbliga chi la pone in essere a risarcire il danno : la prova della sussistenza del dolo o della colpa è a carico di chi propone l’azione di reintegrazione

AZIONE DI MANUETENZIONE: è concessa soltanto al possessore di un bene immobile o di una universalità di beni mobili. Il possesso deve avere i requisiti del possesso ad usucapionem e deve durare da almeno un anno. L’azione va proposta al giudice competente ex art 21 cpc (il giudice del luogo dove è avvenuto il fatto) entro un anno dall’avvenuta turbativa mira alla manutenzione del possesso chiedendosi al giudice

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l’immediata cessazione delle molestie (con tutela penale dell’ordine del giudice 388 cp). Le turbative sono di fatto o di diritto e presuppongono una coscienza in che le attua: non è necessaria la dimostrazione di un animus turbandi ma l’atto di turbativa va inteso come consapevolezza di alterare l’altrui situazione possessoria. Quindi, seguendo un orientamento costante della giurisprudenza, l’anumis turbandi ai fini della azione di manutenzione consiste nella volontarietà del fatto suscettibile di ledere l’altrui possesso e deve presumersi tutte le volte che siano dimostrati gli estremi della turbativa, rendendosi di norma irrilevante la eventuale convinzione dell’autore della turbativa di esercitare propri diritti. Per quanto attiene alla attuazione della turbativa bisogna ricordare che la molestia al possesso può attuarsi anche senza il compimento di atti materiali, ma anche attraverso manifestazioni di volontà che devono esprimere la ferma intenzione del dichiarante di tradurre in atto il suo proposito, mettendo in pericolo l’altrui possesso. La cass ha cmq ribadito che per aversi spoglio o turbativa è necessario che la modifica apportata dal III alla situazione oggettiva in cui si sostanzia il possesso debba compromettere in modo giuridicamente apprezzabile l’esercizio del possesso medesimo. Vi sono state alcune sentenze della cass che hanno affermato che la violazione delle distanze minime legali nelle costruzioni costituisca una molestia al possesso del fondo finitimo.

Il possessore di un bene immobile che ha subito uno spoglio non violento o clandestino può agire in manutenzione per essere reintegrato nel possesso.

LE AZIONI A DIFESA DELLA PROPRIETA’

Le azioni a difesa della proprietà, dette petitorie, sono 4:

Rivendicazione

Negatoria

Azione di regolamento di confini

Apposizione di termini

Inoltre al proprietario spettano pure le due azioni di nunciazione, che spettano però anche al possessore

L’AZIONE DI RIVENDICAZIONE ha lo scopo di far conseguire al proprietario il possesso della cosa definitivo con ogni suo incremento . E’ un azione che viene dunque esercitata da chi sia proprietario e non sia in possesso del bene; come azione reale esse si dirige verso chiunque possieda o detenga la cosa. Se colui che possiede o detiene la cosa dopo la proposizione della domanda di rivendica abbandona la cosa cercando di sottrarsi al suo obbligo di restituzione, non fa venir meno l’azione, ma essa prosegue contro colui che dolosamente abbia cessato di possedere e quest’ultimo sarà obbligato a proprie spese a recuperare la cosa per l’attore e in mancanza a pagargli il valore, oltre al risarcimento del danno.

Se la rivendica è immobiliare e la domanda viene trascritta, la trascrizione della citazione fa si che la sentenza avrà effetti anche contro coloro che abbiano acquistato diritti sulla cosa dal convenuto dopo la trascrizione della domanda. L’azione di rivendica è imprescrittibile.

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Per ottenere ragione l’attore deve dimostrare il suo diritto di proprietà, dimostrazione non semplice, specialmente se l’oggetto dell’azione è una res immobile (per i beni immobili è tutto più semplice con la regola del 1153). Infatti non basta provare un valido titolo d’acquisto, se non si dimostra che il dante causa aveva a sua volta acquistato legittimamente da altro soggetto il suo diritto di proprietà, e che questo soggetto aveva anch’egli acquistato da altri legittimamente il diritto di proprietà da altri e via dicendo FINO A RISALIRE AD UN ACQUISTO A TITOLO ORIGINARIO CHE SARA’ DI REGOLA L’USUCAPIONE E A QUELLO SI APPOGGIERANNO EFFICACIEMENTE I SUCCESSIVI TITOLI DI TRASFERIMENTO. L’usucapione sarà facilitata con l’applicazione delle regole sull’accessione e sulla successione nel possesso.

L’AZIONE NEGATORIA ha lo scopo di tutelare la pienezza del diritto di proprietà sulla cosa con libertà dai pesi o dalle servitù pretese da altri sulla stessa cosa. L’azione si esercita solo contro le molestie cui corrisponda la pretesa di un diritto e solo quando dall’altrui pretesa ci sia motivo di temere un PREGIUDIZIO .

Per tale azione è sufficiente che il proprietario dia la prova del suo dominio e per la giuri tale prova non deve essere così rigorosa come nella rivendica essendo sufficiente qualunque mezzo di prova comprese le presunzioni. Spetterà eventualmente al convenuto la dimostrazione di un valido fondamento giuridico della sua pretesa al godimento parziale del bene altrui. Se l’attore ottiene ragione consegue una tutela definitiva e non provvisoria.

AZIONE DI REGOLAMENTO DI CONFINE: presuppone l’incertezza dei confini e si esercita in due casi:

Nell’ipotesi in cui le parti chiamano il giudice per decidere dove arrivi il limite preciso tra due fondi e le parti non hanno una pretesa oggettivamente precisa (actio finium regondorum simplex)

Nell’ipotesi in c’è una zona di terreno ben delimitata e si discute se appartenga all’uno o all’altro confinante (actio finium regondorum qualificata)

E’ pur sempre un azione reale in quanto sono in gioco gli interessi dell’attore e del convenuto come proprietari e non per loro rapporti personali ed è imprescrittibile, con l’unico limite che può essere eccepita la usucapione. Va distinta dall’azione di rivendica per diversi motivi:

Spetta oltre al proprietario anche all’usufruttuario

Non è necessario che l’azione di regolamento di confini si eserciti contro il possessore o il detentore della zona contestata

Qualunque interessato può essere parte del processo per lo scopo dell’accertamento

Diverso è l’oggetto e il contenuto dell’accertamento: nella rivendica si vuole dimostrare la proprietà di un bene per ottenerne il possesso, nell’az di rego dei confini si vuole dimostra l’estensione del possedimento

Nella rivendica si fa questione di titolo valido da accertare con la probatio diabolica; nel regolamento di confine si fa questione di estensione del titolo, che è in sé indiscusso, per accertare un fatto, ossia il limite di ciascun fondo.

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E’ UN AZIONE CON CARATTERE DUPLICE DOVE ENTRAMBE LE PARTI HANNO UN ANALOGA RECIPROCA POSIZIONE DI PRETESA E DI DIFESA, DOVE QUINDI NON VALE LA REGOLA ACTORE NON PROBANTE REI ABSOLVITUR. Per dimostrare l’estensione della proprietà è ammesso ogni mezzo di prova, ma se nessuna della parti dimostra il fondamento di una diversa pretesa e in mancanza di altri elementi, il giudice si dovrà attenere al confine delle mappe catastali

Presupposto caratteristico ed uni co è sempre e solo l’incertezza, che può essere sia oggettiva che soggettiva, del confine.

L’incertezza sul confine può essere eliminata anche per mezzo di un negozio di accertamento per facta concludentia, quale l’apposizione di una rete metallica.

AZIONE PER APPOSIZIONE DI TERMINI: viene intentata dal proprietario quando non essendoci incertezza sul confine si vuole apporre la pietra o altro segno materiale del confine stesso, la chiamata in giudizio del vicino viene fatta sia per divedere le spese sia per evitare future eventuali liti. Anch’essa è un azione a carattere duplice e può essere intentata da ciascuno dei proprietari e le parti contrapposte hanno un analoga e reciproca posizione di pretesa e di difesa. E competente il giudice di pace.

LE AZUIONI DI NUNCIAZIONE:

spettano tanto al possessore della cosa tanto al titolare del diritto che abbia o no il possesso della cosa. Le azioni di nunciazione sono 2:

Denunzia di nuova opera

Denunzia di danno temuto

DENUNZIA DI NUOVA OPERA: è diretta a impedire pericoli o limitazioni al godimento della cosa in seguito a nuove attività da altri intraprese sul fondo del vicino e tende ad evitare un’illiceità in fieri. I giudice dopo una sommaria cognizione del fatto può decidere se permettere o vietare la continuazione della costruzione dell’opera, ordinando in ogni caso le opportune cautele. L’azione non può essere proposta se l’opera è terminata o è passato un anno dal suo inizio. Quando il giudice decide di non vietare la sua continuazione, l’attore deve essere tutelato per l’ipotesi che ad una più attento esame della a.g. competente dimostri che aveva un fondato motivo per denunziare la nuova opera; al contrario se il giudice nella valutazione sommaria dei fatti ha vietato l’opera, ma il convenuto, in seguito, ottenga giudizio favorevole nel giudizio definitivo, è giusto che venga risarcito dei danni derivanti dall’ordine di sospensione. QUINDI DI REGOLA Sarà IMPOSTA UNA CAUZIONE A CARICO DI COLUI CHE OTTIENE RAGIONE NEL PROVVISORIO GIUDIZIO.

DENUNZIA DI DANNO TEMUTO: viene diretta contro il pericolo di un danno grave e prossimo derivante da un edificio albero o altre cose. La giuri ammette che tale azione possa essere proposta anche da alcuni comproprietari di un bene in comunione indivisa, nei cfr. degli altri comproprietari, se la mancanza di un accordo impedisca di ovviare alla situazione di pericolo. Il giudice stabilisce i provvedimenti atti ad impedire il pericolo, oppure dispone, ove sia il caso , idonee garanzie

In entrambe le azioni il giudizio ha carattere provvisorio. Per iniziativa di parte interessata, alla decisione provvisoria, potrà far seguito un provvedimento definitivo, volto alla preservazione della cosa che forma

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oggetto della proprietà o del possesso; ma ove il giudizio di merito non venga proposto il provvedimento che conclude la prima fase di accertamento sommario, manterrebbe la sua efficacia.

CONCORSO TRA AZIONI POSSESSORIE E PETITORIE: i due tipi di azione non si escludono. La legge consente che anche nel corso del giudizio petitorio vengano proposte le azioni possessorie davanti al giudice investito della causa principale. In tale ipotesi, le due cause procedono contemporaneamente , senza che la scelta dell’una porti all’esclusione, anche temporanea dell’altra.

Ma per quanto attiene alla posizione del convenuto, non può proporre giudizio petitorio, finché non sia concluso od eseguito (salvo che dimostri che l’esecuzione non si possa compiere per fatto dell’attore) l’eventuale giudizio possessorio del quale è convenuto.

MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETA’

I modi d’acquisto della proprietà si distinguono in ORIGINARI E DERIVATIVI.

SI HA TITOLO ORIGINARIO quando a fondamento del diritto di proprietà non si trova la derivazione del diritto di un precedente proprietario.

TITOLO DERIVATIVO: quando i trasferimento avviene per successione o trasmissione di diritti dall’uno all’altro soggetto, così che il diritto di chi si pretende proprietario dipende dall’esistenza del diritto di un precedente dante causa.

I modi d’acquisto della proprietà sono :

1. Occupazione

2. Usucapione

3. Accessione (unione e commistione)

4. Specificazione

5. Fruttificazione

6. 1153 c.c.

OCCUPAZIONE E INVENZIONE

1. Occupazione: è possibile solo per le res mobili, in quanto gli immobili non sono mai res nullius, e quando non sono in proprietà dei privati spettano al patrimonio dello stato. Consiste nel materiale impossessamento della res accompagnato dall’intenzione di farla propria (animus occupandi). Per tale rilievo, l’occupazione va inquadrata nella categoria degli atti giuridici nei quali la manifestazione coincide con un attuazione diretta della volontà, ATTI REALI.

Si possono occupare solo le cose che non siano in proprietà di nessuno, le res nullius, o perché non lo sono mai state, come le perle del fondo del mare, oppure perché abbandonate (res derelictae) dal proprietario che abbia agito con l’animus derelinquendi. Regole particolari valgono per:

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Lo sciame d’api: il proprietario può inseguire lo sciame d’api nel fondo altrui, salvo l’indennità per i danni causati, ma se non lo insegue entro 2 giorni o cessa di inseguirlo per 2 giorni diventa di proprietà del proprietario del fondo del vicino

Animali mansuefatti: possono essere inseguiti sul fondo altrui, salva l’indennità per i danni causati, ma se non vengono reclamati entro 20 giorni da quando il proprietario ha avuto conoscenza del luogo dove si trovano spettano a chi se ne impossessa

Migrazione di colombi, conigli e pesci: tali animali se perdono la c.d. consuetudo revertendi passando, senza essere attratti fraudolentemente, in luoghi di allevamento diversi, sono acquistati dal proprietario di quest’ultimo

La caccia e la pesca sono regolate da norme speciali di competenza delle regioni

INVENZIONE: le cose smarrite non possono essere occupate semplicemente come se fossero state abbandonate, esse sono vacuae possessionis ma non vacuae dominii (lo smarrimento non implica la perdita di proprietà. Per le res smarrite si va obbligo al ritrovatore che non conosca il proprietario di consegnarle al sindaco del luogo del ritrovamento, il quale renderà noto il ritrovamento per mezzo di pubblicazione nell’albo comunale. Il proprietario, o secondo le circostanze il possessore o il detentore, al quale la cosa venga restituita deve pagare un premio al ritrovatore del dieci per cento fino al valore di 5,16 € e per il restante del 5 %. Trascorsi un anno dal giorno dell’ultima pubblicazione senza che si presenti il proprietario la cosa diviene di proprietà di chi l’ha trovata per INVENZIONE.

Regola particolare è prevista per il tesoro, che è qualunque cosa mobile di pregio nascosta o sotterrata di cui nessuno può provare di essere proprietario. Se la cosa viene ritrovata in un fondo o in un mobile altrui e sia scoperta per caso spetta per metà al ritrovatore e per l’altra metà al proprietario del fondo o del mobile. L’inventio thesauri è quindi un modo d’acquisto di una quota di proprietà a favore del ritrovatore. L’altra quota è acquistata dal proprietario del fondo iure domini.

Il ritrovamento di cose di interesse storico, scientifico, paleontologico, artistico non si applicano le regole sul ritrovamento del tesoro, ma l speciali le attribuiscono allo Stato che deve pagare un indennità al ritrovatore e al proprietario del fondo.

USUCAPIONE: IL DIRITTO DEL PROPRIETARIO NON SI PERDE PER LA SOLA INENRZIA DEL PROPRIETARIO, ESSENDO SANCITA L’IMPRESCIVIBILITA’ DEL DIRITTO DI PROPRIETA’, MA SI PUO’ PERDERE DI FRONTE A CHI ABBIA TITOLO PER L’USUCAPIONE, IL VECCHIO PROPRIETARIO INERTE NEL TEMPO DEVE CEDERE IL SUO DIRITTO. QUINDI PRESUPPOSTO NECESSARIO E’ L’INERZIA DEL TITOLARE per l’usucapione del possessore, in quanto l’esercizio effettivo del diritto di proprietà è causa interruttiva della usucapione.

Elemento primo per usucapire è IL POSSESSO, CHE E’ UN POSSESSO QUALIFICATO IN QUANTO DEVE RISPETTARE DEI REQUISITI SPECIFICI (essere pacifico pubblico continuato e non interrotto), ma non è necessaria la b.f. per usucapire la proprietà il possesso dovrà essere a titolo di proprietà, cioè caratterizzato dall’animus rem sibi habendi, ossia dall’animo di tenere la cosa per sé, in quanto il possesso corrispondente ad altro diritto porterebbe all’acquisto del relativo diritto (stesso criterio vale per la determinazione dei diritti che si usucapiscono difronte ad eventuali pretese di III: se il possesso è stato tale da contraddire ad eventuali pretese di III sulla cosa, l’usucapione porterà all’estinzione anche dei diritti di questi III, ma non

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inforza di un criterio analogo alla usucapio libertatis, come se con la usucapione la cosa si acquistasse libera da pesi).

Non sono usucapibili i beni sottratti alla disponibilità dei privati.

Per quanto attiene al tempo necessario ad usucapire bisogna distinguere fra res mobili e immobili e mobili registrati, tempo che va calcolato tenendo pure conto dell’eventuale successione nei possessi.

i beni immobili e le universalità di mobili si usucapiscono in 20 anni, ma se il possesso dei beni immobili è di buona fede e vi è un titolo astrattamente idoneo al trasferimento di proprietà il tempo è di 10 anni (l’usucapione dei beni immobili non si applica nei territori sottoposti al regime tavolare) il titolo che è inefficace perché non proviene dal titolare del diritto, ma è che non deve essere invalido, deve essere trascritto e dalla data di trascrizione decorrerà il decennio.

I fondi rustici ex 1159 bis si usucapiscono in 15 anni o 5 se l’acquisto è di b.f. se il fondo è situato in comuni classificati dalla l come montani oppure se hanno un reddito domenicale molto basso (180 €).

MOBILI : 20 ANNI SE IL POSSESSO E’ DI MALA FEDE; 10 ANNI SE E’ DI B.F MA MANCA UN TITOLO ASTRATTAMENTE IDONEO A TRASFERIRE LA PROPRIETA’ (SE C’E’ IL TITOLO SI APPLICA IL 1153)

MOBILI REGISTRATI: usucapione ordinaria 10 anni, con acquisto in b.f unito ad un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà 5 anni che decorrono dalla data di trascrizione del titolo.

Circa le cause di impedimento, interruzione e sospensione si applicano i principi in tema di prescrizione.

In riferimento alla usucapione ordinario degli immobile non si applicano in riferimento al III possessore le cause di interruzione del 2942 per la situazione di colui contro il quale si usucapisce né l’impedimento derivante da condizione o termine. L’usucapione è interrotta di fatto quando il possessore è privato del possesso per oltre un anno. Nel silenzio della l dottrina e giuri sono propense a riconoscere efficacia retroattiva all’usucapione al momento dell’inizio del possesso.

ACCESSIONE: l’accessione come fenomeno va intesa come un concetto che riguarda l’espansione della proprietà. Ex art 934 ci può essere:

1. Un immobile che si unisce ad altro immobile

2. Un mobile che si unisce ad un immobile

3. Un mobile che si unisce ad altro mobile

In tutti questi casi viene aumentata la proprietà di chi aveva il diritto su uno di essi.

Criterio generale è quella della prevalenza

IMMOBILE A IMMOBILE: regole sono state modificate nel 94 e si è semplificata di molto la materia: il terreno delle isole nate nel fiume o il terreno abbandonato dal mare, dal fiume, dai laghi o stagni appartiene al demanio PUBBLICO, quale che ne sia la causa, salvo il disposto del 941 in tema di alluvione, per gli aumenti impercettibili del suolo, si aggiungo alla proprietà espansa.

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LE SERVITU’: l’art 1027 definisce le servitù come un PESO, ossia una limitazione imposta al godimento di un fondo, per l’UTILITA’ di altro fondo appartenente ad un diverso proprietario, specificando che per utilità economica non si deve intendere soli un vantaggio economico ma anche una maggiore comodità o amenità.

Il contenuto delle servitù e più ampio rispetto a quello di un tempo, i quanto il nostro Codice, venendo incontro alle esigenze dell’economi, ammette la servitù anche a favore di un fondo che abbia una destinazione industriale. Naturalmente non sono da riconoscere servitù per un industria se questa non è collegata con la proprietà di un immobile, in quanto la servitù si riferisce soltanto alla proprietà immobiliare e quindi non è ammessa la servitù di un azienda che sarebbe posta per un vantaggio personale (correttamente la giuri di merito ha precisato la concessione di appoggio di un insegna luminosa pubblicitaria dell’attività commerciale svolta in un negozio si realizza con un contratto dal quale nascono OBBLIGAZIONI PERSONALE).

Non si richiede che l’utilità sia attuale al momento della costituzione della servitù, ma può trattarsi anche di una utilità futura. Inoltre la costituzione di una servitù è ammessa anche a vantaggio o a svantaggio di un fondo futuro, per un edificio da costruire o per un fondo da acquistare.

Come detto il contenuto della servitù si concreta sempre nel vantaggio per un fondo e nella restrizione di godimento per un altro fondo, vantaggio e restrizione fondano due aspetti correlativi. Esistono quindi un fondo SERVENTE e UNO DOMINANTE: la servitù è costituita a vantaggio di un fondo dominante contro un corrispondente limitazione nel diritto del proprietario del fondo servente. La predialità (che consiste nel fatto che la servitù è riconosciuta non per un interesse soggettivo del titolare, ma per l’utilità del fondo) presuppone un concetto impersonale dell’utilità da trarre dal fondo: per l’essenza della servitù non basta solo un vantaggio del PROPRIETARIO DEL FONDO DOMINANTE che non sia in relazione con un VANTAGGIO DEL FONDO stesso (tale carattere manca però nelle servitù pubbliche a vantaggio della collettività, quale quella di pubblico transito, delle quali è ammessa dalla giuri l’acquisto per usucapione. Una servitù in tal coso si intende costituta per usucapione mediante il possesso, che nel caso è l’esercizio di fatto del passaggio da parte di una collettività appartenenti ad uno stesso gruppo territoriale, come forma di utilizzazione per una ESIGENZA PROPRIA DELLA COLLETTIVITA’ STESSA (manca un fondo che acquisti vantaggio).

Una servitù di passaggio o di non sopraelevare produce un vantaggio al fondo, ma non si può dire altrettanto per un dir, ad es, di andare a caccia sul fondo del vicino o di fare delle passeggiate, per tali scopi si dovranno costituire diritti personali senza carattere permanete ed valore erga omnes che sono propri della servitù ( solo con significato a tecnico si parla di servitù irregolari)

La soggezione del fondo servente consiste in un patire o in un non fare, ai quali corrisponde, a vantaggio del fondo dominante, uno ius habendi (avere qualche cosa suopra il fondo altrui, come nella servitù di attingere acqua) o uno ius faciendi (es far pascolare il gregge) oppure uno ius prohibendi (es impedire l’innalzamento di una costruzione). Ancora oggi vale la regola romana per la quale servitus in faciendo consistere nequit, temperata, però, da quanto dispone il 1030 c.c. che prevede che a volte esistano a carico del fondo degli obblighi di fare, che sono prestazioni accessorie rispetto al contenuto della servitù e dai quali è previsto che il proprietario del fondo servente possa liberarsi attraverso l’abbandono del fondo.

Altri requisiti comuni a tutte le servitù sono: LA VICINANZA DEI FONDI E LA PERPETUA CAUSA. Caratteristiche giuridiche comuni sono la INSCINDIBILITA’ E L’INDIVISIBILITA’.

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OCCORE ALMENO UNA CERTA VICINANZA TRA I FONDI, vicinanza tale da permettere l’utilità diretta del fondo dominante e in alcuni casi sarà necessaria pure la contiguità materiale dei fondi (ad es per le servitù di scolo delle acque o di appoggio di una costruzione), in altri basterà una vicinanza relativa.

Elemento essenziale è l’utilità del fondo dominante, l’interesse e l’attitudine a soddisfarlo da parte del fondo servente devono essere non contingenti: REQUISITO DELLA PERPETUA CAUSA, CHE RETTAMENTE INTESO SIGNIFICA CHE LA SERVITU’ ANCHE SE NON DESTINATA A DURARE IN PERPETUO DEVE RISPONDERE AD UNA DUREVOLE UTILITA’ PER IL FONDO DOMINANTE; il che non esclude una servitù a tempo ammettendo che il titolo costitutivo si sottoposto a tempo o a termine o a condizione risolutiva.

Stante l’inerenza della servitù sul fondo, essa forma un tutt’uno inscindibile con questo e non può essere trasmessa separatamente e, corrispettivamente, essendo la servitù considerata come una qualità del fondo e un diritto accessorio ad esso, con l’alienazione del fondo si trasferiscono le servitù attive e passive inerenti al fondo.

La servitù è per sua natura indivisibile: NON Può ESSERE ACQUISTATA ESERCITATA O PERDUTA SE NON INTERAMENTE e quindi se il fondo dominante o servente vengono divisi fra più persone la servitù sussiste interamente a favore o a carico di ciascuno di essi.

DISTINZIONI FRA SERVITU’:

Servitù Apparenti: sono quelle che al cui esercizio sono destinate opere visibili o permanenti (es servitù di prospetto di acquedotto). Secondo una vasta corrente interpretativa il concetto di opera si caratterizza per l’esistenza di segni tangibili che si concretano in opere artificiali o in tracce naturali ( es si ammette la costituzione di una servitù formato dal normale calpestio dei passanti), tracce di natura permanente che di per sé appaiono destinate all’esercizio della servitù; occorre, come si dice, il monumentum e non è sufficiente il documentum da cui si possono dedurre gli elementi della servitù. Non è neppure sufficiente l’apparenza delle opere, ma deve essere manifesta anche la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù, la loro funzionalità rispetto al vantaggio del fondo che deve risultare in modo non equivoco. Non è necessario che sia visibile tutta l’opera destinata alla servitù, ma basta che ne apparisca per solo una parte e il segno visibile può trovarsi anche nel fondo dominante

SERVITU’ NON APPARENTI: quando mancano gli elementi di sopra; es servitù altius non tollit (di non sopraelevare) servitus non aedificandi (divieto di fabbricare), servitù di attingere acqua o di pascolo

La distinzione fra le due categorie di servitù è fondamentale, in quanto possono essere usucapite solo le servitù apparenti )la giuri afferma, tuttavia, che il requisito dell’apparenza è fondamentale per l’usucapione, ma non per l’applicazione di altri mezzi di tutela per l’esercizio del diritto o del possesso)

SERVITU’ CONTINUE: quelle per il cui esercizio non è necessario il fatto del uomo e che sono apparenti: es servitù d’acquedotto, o non apparenti : es servitù di non sopraelevare

SERVITU’ DISCONTINUE: per il cui esercizio si rende necessaria l’attività umana e che possono essere apparenti come la servitù di via, passaggio di veicoli su strada tracciata, o non apparenti, come la servitù di iter, passaggio per l’uomo isolato, o actus, passaggio anche con animali senza strada segnata)

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SERVITU POSITIVE E SERVITU NEGATIVE: positive quelle per le quali il fondo servente deve sopportare l’attività del proprietario del fondo dominante; negative quelle per le quali viene negato al proprietario del fondo servente una facoltà inerente al suo diritto

In base al titolo costitutivo si distinguono le servitù VOLONTARIE, se sino costituite per effetto di una atto di parte (contratto o testamento) o per usucapione, dalle COATTIVE se hanno la loro fonte nella legge per il caso in cui il proprietario del fondo servente non voglia addivenire ad un contratto sono costituite con sentenza del giudice. Può darsi che una servitù volontaria e una legale abbiano uguale contenuto, ma diverse sono le conseguenze: se il proprietario del fondo servente può far venire meno le servitù coattive quando siano venuti meno i presupposti per la loro costituzione, quelle volontarie non cessano per il venire meno dell’utilità, sempre ché non sia stato previsto la risoluzione nel contratto.

OBBLIGAZIONI

NATURA E ELEMENTI DEL DIRITTO OBBLIGATORIO

Oltre di diritti degli uomini sulle cose, il diritto è fatto di diritti che spettano agli uomini NEI CONFRONTI DI ALTRI UOMINI. Infatti ile situazioni di esclusività che derivano dai diritti reali (essere proprietario, essere enfiteuta,…) non bastano alla vita sociale, che si regge attraverso LA COLLABORAZIONE: la proprietà e gli altri diritti sulle cose non assicurano da soli il soddisfacimento degli interessi umani. Il proprietario di un fondo rustico ha, in quanto titolare di un diritto reale assoluto , il diritto esclusivo di godere del fondo; ma, se per coltivarlo, per ottenere le utilità che solo lui in quanto proprietario ha diritto di ottenere, stipula un contratto con dei soggetti per ottenere il diritto alla loro prestazione per coltivare il fondo, nascerà un diritto non più sulla cosa, ma alle prestazioni personali di altri soggetti. Quando il proprietario del fondo stipula un contratto d’affitto sorgono contemporaneamente dei diritti e obblighi del proprietario nei confronti del conduttore.

Dei diritti di obbligazione o di credito si suole parlare come diritti PERSONALI per contrapporli ai diritti reali e vediamo le principali differenze fra i diritti di obbligazione e i diritti reali:

a. i diritti reali sono diritti che hanno ad oggetto una COSA. I diritti di obbligazione si presentano, in prima approssimazione, come diritti ad una prestazione personale, ossia a un comportamento di un soggetto, che può consistere in un fare in un dare o in un non fare alcunché

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b. i diritti reali sono diritti ASSOLUTI: sono diritti che spettano ad un soggetto nei confronti di tutti gli altri; i diritti di obbligazione sono diritti RELATIVI.: SPETTANO AD UN SOGGETTO NEI CONFRONTI DI UNO O Più SOGGETTI DETERMINATI O DETERMINABILI.

c. I diritti reali fruiscono di una difesa assoluta , mentre i diritti di obbligazione fruiscono di una difesa relativa

d. I diritti reali e solo i diritti reali sono suscettibili di possesso.

Nella sua più elementare struttura l’obbligazione si presenta come un rapporto personale tra un soggetto ed un altro, che implica la soggezione di uno, il soggetto passivo ossia il debitore, nei confronti dell’altro, il soggetto attivo ossia il creditore. In questo rapporto si vede l’esistenza di un vincolo e l’OBBLIGAZIONE E’ UN VINCOLO GIURIDICO ( la stessa parola porta con se un concetto di legame: obbligatio deriva da ligare).

Ancora attuale è la definizione di obbligazione contenuta nel digesto per il quale “OBBLIGATIO EST IURIS VINCULUM , QUO NECESSITATE ADSTRINGIMUR ALICUIUS SOLVANDAE REI SECUNDUMNOSTRAE CIVITATIS IURIS”.

L’obbligazione è un vincolo giuridico e ciò la distingue da rapporti dai quali sorgono obblighi non giuridici (in origine il legame era inteso in senso non metaforico, come reale soggezione della persona del debitore al creditore: il nexus; con l’evolversi della società la responsabilità del debitore la si intese come soggezione dei BENI del debitore al creditore, per giungere, infine, all’attuale modello in cui i beni del debitore restano nella sua disponibilità riconoscendosi al creditore una garanzia generale sugli stessi, una possibilità di su qualsiasi bene del debitore, tanto che si afferma, secondo una moderna visione, che il credito è un BENE AL POTENZIALE, in quanto crea una forza alla quale obbediscono gli stessi beni del debitore che possono subire un cambiamento di titolarità).

Pertanto, in primis, si può distinguere all’interno della obbligazione:

a. Un contenuto o oggetto della obbligazione: LA PRESTAZIONE DOVUTA

b. Un soggetto attivo: IL CREDITORE

c. Un soggetto passivo :IL DEBITORE

A)LA PRESTAZIONE

Per definire il contenuto della obbligazione vengono in soccorso le fonti romani e, in particolare, un passo di Paolo: “OBBLIGATIONUM SUBSTANTIA NON IN EO CONSISTIT, UT ALIQUOD CORPUS NOSTRUM AUT SERVITUTEM NOSTRAM FACIAT, SED UT ALIUM NOBIS OBSTRINGAT AD DANDUM ALIQUID VEL FACIENDUM VEL PRAESTANDUM”. L’accento va posto sulla parola obstringat, uguale all’adstringimur del passo del digesto: L’OBBLIGAZIONE E’ UN VINCOLO PERSONALE CHE NON VA CONFUSO CON L’EFFETTO FINALE , CIOE’ CON IL RISULTATO DELLA PRESTAZIONE DEL DEBITORE.

Per comprendere ciò è utile un esempio: nella vendita di cosa specifica, in virtù del principio consesualistico, la proprietà del bene passa automaticamente nel momento in cui i soggetti legittimati sono

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d’accordo sul bene e sul prezzo: il passaggio di proprietà non è l’effetto di una prestazione obbligatoria. Ma da tale contratto nascono degli obbligazioni personali: ad es il venditore deve consegnare la cosa; il compratore pagarne il prezzo: DUE RAPPORTI OBBLIGATORI.

Da ciò risulta che l’obbligo di condotta, come oggetto dell’obbligazione, consiste in un comportamento che il debitore deve tenere idoneo a soddisfare l’interesse del creditore, cioè in una PRESTAZIONE.

Il dovere del debitore ha come correlativo un diritto di credito, una pretesa del creditore

Fin ad adesso si è parlato di contenuto dell’obbligazione, che viene tradizionalmente però chiamato oggetto dell’obbligazione . non bisogna confondere l’oggetto dell’obbligazione, inteso come comportamento dovuto come prestazione, con il bene dedotto nel rapporto, ossia con la materia sulla quale incide il rapporto, come oggetto della prestazione: ad esempio, nel contratto di locazione l’immobile è l’oggetto della prestazione, mentre l’oggetto della obbligazione è il comportamento del locatore che deve lasciare godere l’immobile al conduttore. Nella terminologia del codice oggetto del contratto corrisponde al contenuto dell’obbligazione (1346 c.c.); mentre nella vita quotidiana si è soliti riferirsi all’oggetto del contratto quale bene concreto. La differenza non è solo dottrinale, ad es, quando l’art 2721 fissa i limiti per la prova testimoniale facendo riferimento al valore dell’oggetto, deve essere inteso come valore della prestazione e non come valore dell’oggetto materiale del contratto.

REQUISITI DELLA PRESTAZIONE:

a. L’art 1174 dice che la prestazione deve essere suscettibile di valutazione economica e corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.

Una cosa è quindi l’interesse del creditore, sempre necessario affinché si abbia un diritto di credito, che può avere diversa natura (sentimentale, religioso, scientifico), altra la valutazione economica alla quale sempre la prestazione deve essere sottoponibile.

Il requisito della patrimonialità, quindi, non presuppone come necessario l’interesse pecuniario del creditore e quindi l’interesse alla prestazione non implica che essa debba arrecare un vantaggio economico al creditore. Un interesse è necessario per la stessa esistenza del diritto soggettivo, senza di esso mancherebbe la ragione del riconoscimento giuridico.

La prestazione, invece, deve essere economicamente valutabile, in quanto l’obbligazione civile, nel suo contenuto e nelle sue sanzioni, fa parte dei c.d. diritti patrimoniali ( e l’art 1174 trova in ciò corrispondenza nel 1321 c.c.). quindi l’oggetto dell’obbligazione deve corrispondere o al pagamento di una somma di denaro o in un diverso comportamento del debitore che sia traducibile in una somma di denaro che ne rappresenti il valore economico . Fuori del campo patrimoniale ci saranno degli obblighi, ma non delle obbligazioni in senso tecnico: gli obblighi morali sono lasciti alla spontaneità dell’adempimento; per gli obblighi di carattere giuridico che non hanno contenuto patrimoniale, come quelli del diritto di famiglia, vi sono diverse sanzioni e qualora per la loro violazione siano previste conseguenze di carattere economico queste daranno origine a distinte obbligazioni. Ora il carattere patrimoniale dell’obbligazione corrisponde al requisito di una possibile valutazione economica, requisito da intendersi in senso largo nella complessità del rapporto: il carattere patrimoniale si valuta considerando il rapporto nel suo complesso, non serve una prestazione per sua natura obiettivamente valutabile in denaro, è sufficiente anche un diverso indice di patrimonialità ( es: un corrispettivo, una penale o il risultato di una empirica valutazione per equivalente della mancata soddisfazione di una legittima pretesa)

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b. La prestazione deve essere possibile: ad impossibilia nemo tenetur.

l’impossibilità può essere

1. assoluta o relativa. Solo l’impossibilità assoluta e oggettiva determina la nullità dell’obbligazione, sicché l’obbligazione non può essere in nessun modo adempiuta quale che sia il soggetto ad essa obbligata;

2.fisica:quando è impossibile in rerum natura

Giuridica: quando la prestazione, pur non costituendo un illecito, non è possibile in conseguenza

di un divieto legislativo;

3. originaria o sopravvenuta. Il nostro legislatore, però, riconosce valida l’obbligazione quando la prestazione inizialmente impossibile diviene possibile prima dell’avveramento della condizione sospensiva o della scadenza del termine iniziale

4.l’impossibilità temporanea non impedisce l’esistenza dell’obbligazione: è valida, di regola, l’obbligazione di prestare cose future subordinata alla venuta esistenza della cosa (l’art 1472, però, stabilisce che qualora le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio la vendita è nulla se la cosa non viene ad esistenza);

5. se l’impossibilità è parziale, anche la nullità sarà parziale quando ciò che resta possibile abbia una esistenza autonoma economicamente utile per la parte interessata

c. La prestazione deve essere lecita: una prestazione contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume non può formare il contenuto di una valida obbligazione. Si ha riguardo all’illiceità della prestazione in se considerata, l’illiceità del quod debeatur. Importante è la distinzione fra illiceità e prestazioni giuridicamente impossibili: il criterio distintivo va individuato nel fatto che la prestazione è illecita quando non solo non è ammessa ma costituisce anche un atto perseguito dalla legge (la distinzione può avere rilievo anche per l’applicazione dell’art 1347 applicabile alla prestazione impossibile, anche giuridicamente, ma non a quella illecita.

Non vanno confusi i concetti di PRESTAZIONE ILLECITA E DI CAUSA ILLECITA: la prestazione sarà illecità se si troverà qualcosa di illecito nella risposta alla domanda QUID DEBEATUR?; sarà illecita la causa se l’illiceità verrà riscontrata nella risposta alla domanda CUR CONTRACTUM EST?

La prestazione deve essere DETERMINATA o DETERMINABILE: le obbligazioni, quali vincolo e limitazioni alla regola generale di libertà, devono trovare una precisa causa ed essere CONTENUTE ENTRO PRECISI LIMITI. L’OGGETTO DELLA PRESTAZIONE DEVE ESSERE CERTO ED INDIVIDUATO. Non è necessario che l’individuazione esita già dal principio , basta che fin dall’inizio esistano gli elementi necessari per individuare la prestazione quando dovrà essere eseguita.

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VARIE SPECIE DI OBBLIGAZIONI IN RAPPORTO ALLA PRESTAZIONE E ALL’OGGETTO:

Esaminando il contenuto della prestazione si può trovare:

1. Una prestazione POSITIVA che ha ad oggetto un dare o un fare

2. Una prestazione NEGATIVA che ha ad oggetto UN NON FARE, UN NON DARE O IL SOPPORTARE UNA ATTIVITA’ ALTRUI ALTRIMENTI NON PERMESSE

L’obbligazione di dare, che ha per oggetto la disponibilità materiale della cosa, può avere, nel minor numero di casi, un contenuto speciale quando mira al TRASEFERIMENTO DI UN DIRITTO REALE, come avviene nelle ipotesi in cui la compravendita non ha efficacia reale. Nella maggior parte dei casi obbligo di consegna vuol dire solo TRADIZIONE DEL POSSESSO, essendo la proprietà già passata nel compratore. L’art 1177 c.c. prevede come obbligo accessorio delle obbligazioni di consegnare, l’obbligo di custodire la cosa fino alla consegna. Sottospecie delle obbligazioni di consegnare è quella di RESTITUIRE ;

Le prestazioni di fare hanno ad oggetto un SERVIGIO che può essere il più vario

Le obbligazioni negative hanno ad oggetto non il mutamento di una situazione, ma la conservazione della situazione . le obbligazioni negative si caratterizzano per il fatto che la subordinazione del debitore è messa in evidenza solo con l’inadempimento del debitore e ad esse non si applica la disciplina della mora debendi in quanto ogni violazione dell’obbligo costituisce di se per se inadempimento

3. Obbligazioni generiche e obbligazioni specifiche: generica se oggetto della prestazione è un genus o una cosa considerata fungibile (analogamente si può considerare generica una prestazione ad un fare fungibile, quando il servigio non è intuitu personae ma può essere compiuto anche da un III). L’art 1178 dispone che nelle obbligazioni generiche il debitore deve prestare una cosa di qualità non inferiore alla media, ma la convenzione delle parti possono stabilire criteri diversi

4. Obbligazioni accessorie: sono le obbligazioni che hanno fondamento in un altro rapporto giuridico, e vi rimangono connesse in modo da dipendere da quest’ultimo. Es: obbligazioni di garanzia; obbligazione modale, nella quale l’obbligazione assunta non va oltre il vantaggio acquisito dal donatario; cosi per l’obbligazione alimentare del donatario contenuta entro i limiti dell’art 438; l’obbligazione di pagare gli interessi del debito principale.

B e C: i soggetti delle obbligazione

I soggetti delle obbligazione sono due: creditore e debitore , che sono i cardini per l’esistenza stessa dell’obbligazione e per la stessa vita del rapporto obbligatorio: NON PUO’ ESISTERE PRETESA DI UN SOGGETTO, e quindi un obbligazione, SENZA UN SOGGETTO CHE LA SOSTENGA.

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Quando sorge l’obbligazione non è necessario che i oggetti siano determinati in modo certo fin dall’inizio, ma è sufficiente che siano DETERMINABILI: es debitore nel legato obbligatorio in favore di un soggetto che deve essere scelto dall’onerato o da un III all’interno di un gruppo di persone; ipotesi importante di soggetto determinabile ma non determinato è LA PROMESSA AL PUBBLICO, che impegna il promittente ad una data prestazione nei confronti di che si trovi in una data situazione o compia una data azione.

Quando la persona dell’uno o dell’altro soggetto sia mutevole si parla di obbligazioni ambulatorie. L’ambulatorietà va intesa nel senso che la titolarità del rapporto dipende dalla titolarità di un altro rapporto e quindi la stessa titolarità del rapporto muta con il mutare dei soggetti a cui il rapporto si riferisce.

Tra le obbligazioni con soggetti mediatamente determinati bisogna ricordare le obbligazioni reali, o propter rem o ob rem, nelle quali il debitore può mutare (ambulatorietà passiva) in dipendenza del rapporto di proprietà o possesso che viene ad esistere fra il soggetto e una determinata cosa.

Le obbligazioni reali vanno tenute distinte dagli oneri reali, categoria alla quale molto si avvicinano , tanto che alcuni autori negano che la differenza sia netta. Entrambe le figure sono caratterizzate dalla connessione con una cosa e dalla determinazione del debitore fatta in base al suo rapporto con la cosa stessa:

Negli oneri reali obbligata è la cosa, in quanto l’obbligo di chi si trova in godimento con la cosa si estende anche alle prestazione maturate precedentemente al suo rapporto. Si tratta in genere di prestazioni periodiche per le quali la cosa funge da garanzia, ma è una categoria che perde terreno.

Nelle obbligazioni reali obbligata può dirsi soltanto la persona la quale assume obblighi di regola solo per le prestazioni maturate dopo l’inizio del rapporto relativo al bene ( nella comunione, però, la legge accolla al subentrante pure le spese dovute dall’alienante; e ancora, dall’acquirente di una azienda o di una eredità si può pretendere, in solido con l’alienante, il pagamento dei debiti dell’universitas acquistata.

Si può pertanto dire che nell’onere reale si considera il peso che è fatto gravare obbiettivamente sul fondo per ottenere la prestazione di cui si tratta da colui che risponde con la cosa stessa; nelle obbligazioni reali la proprietà non è gravata da un peso, ma l’appartenenza del bene individua il soggetto che resta personalmente obbligato. L’onere reale, quindi, è tutelato con un azione reale, l’obbligazione reale con azione personale verso l’obbligato. L’onere ha sempre come contenuto una prestazione positiva (dare o fare), mentre l’obbligazione reale può consistere anche in un non facere.

La dottrina e la giurisprudenza sono orientate nel senso che le obbligazioni reali costituiscano un numero chiuso e ne sono esempi:

L’obbligazione del proprietario di rimborsare le spesse fatte sulla cosa sua dal possessore

Quella del proprietario che deve rispettare gli obblighi derivanti dai contratti di locazione conclusi dal suo dante causa

Quella della riparazione del muro comune

L’obbligo di pagamento per le spese della comunione e in particolare del condominio

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Un principio che riguarda entrambi i soggetti dell’obbligazione è fissato dall’art 1175 c.c. che sancisce , in piena aderenza con il principio per il quale la buona fede è la regola aurea nei rapporti obbligatori del diritto moderno, che sempre il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza in relazione alle esigenze del mercato e ai principi di solidarietà umana e sociale. A TALE OBBLIGO DI COMPORTAMENTO E’ SOTTOPOSTO PURE IL CREDITORE e ciò è espressione di una tendenza verso gli abusi di diritto in quanto limita il riconoscimento di posizioni di posizioni formalistiche di puro diritto quando esse siano invocate per pretese contrarie agli scopi sociali dell’ordinamento.

Obbligo di correttezza e di buona fede rispondono ad uno stesso criteri, anche se vi è chi distingue, attribuendo all’obbligo di buona fede oltre il dovere di rispetto (correttezza) anche un atteggiamento positivo di cooperazione e di impegno. Tale criterio trova corrispondenza in numerose norme del codice:

La buona fede è richiesta come contegno delle parti nelle trattative;

La buona fede è richiesta nell’interpretazione e nella esecuzione del contratto

L’art 1338 che impone l’obbligo di mettere sull’avviso la controparte circa le possibili cause di invalidità del contratto che si vuole concludere

L’art 1358 impone all’obbligato un contegno secondo buona fede durante la pendenza della condizione

Nella stessa ottica vanno lette le norme degli artt. 33 e ss. del codice del consumatore, per le quali le clausole inserite nei contratti dei consumatori possono essere considerate vessatorie in quanto lo squilibrio fra diritti e obblighi da esse derivanti risulti essere in contrasto con i dettami della buona fede.

Qui si parla di una buona fede oggettiva, quale obbligo etico di comportamento onesto; cosa ben diversa dalla buona fede soggettiva quale situazione psicologica di ignoranza sulla lesione dell’altrui sfera giuridica.

In sede di adempimento, la dottrina moderna indica l’esistenza di obbligazioni di protezione da osservare, secondo un contegno da tenere anche oltre il perseguimento di interessi direttamente creditori, per la salvaguardia della persona e del patrimonio del debitore: osservando la buona fede non si può ad esempio arrivare anche i valori della persona del debitore non direttamente implicati nella situazione di fatto dell’inadempimento. In una visione moderna la malafede è vista come l’abuso dei poteri riconosciuti ai privati di comportarsi liberamente nelle relazioni umane.

Bisogna, però, osservare che, per evitare arbitrarie estensioni della regola di comportamento ora illustrata, la sua applicazione non può sconvolgere il sistema relativo alle cause di invalidità previste dal sistema: la buona fede è un criterio di valutazione e la sua violazione può portare ad una responsabilità, ma non si può invocare la malafede di un soggetto, come causa generica, non specificamente prevista, come causa per far dipendere l’inefficacia degli atti posti in essere dal soggetto stesso.

L’IDENTIFICAZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORI: UNA PROBLEMATICA SOTTESA alle obbligazione è quella di vedere entro quali limiti esista una distinta obbligazione per ogni obbligo di prestazione. Un

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‘altro problema è quello di vedere se esita una sola o più obbligazioni, quando l’obbligo di prestazione ha più oggetti da fornire contemporaneamente o periodicamente.

Non è un elemento essenziale per individuare un rapporto obbligatorio l’indicazione dei soggetti: la persona del debitore è, infatti, idealmente separabile dal rapporto, che ne diritto moderno tende ad oggettivarsi (in alcune ipotesi si ammette pure la successione nel debito senza che il rapporti muti).

Invece gli elementi che ci consentono di individuare l’obbligazione sono:

Il contenuto, che si ottiene rispondendo alla domanda quid debeatur?: il contenuto va inteso in senso largo compresi eventualmente anche gli elementi di tempo e di luogo

la causa che fornisce la risposta alla domanda cur debeatur? Che è figura connessa alla fonte del singolo rapporto obbligatorio, concetto diverso dalla causa del contratto che risponde alla domanda cur contractum est?

Servono entrambi questi elementi per individuare un obbligazione: il contenuto da solo non è sufficiente (lo si vede già dalla disciplina dell’imputazione dei pagamenti, dove fra le stesse persone sono tenuti distinti più debiti fra le stesse persone. Ma neppure la causa da sola è sufficiente: da una stessa fonte possono sorgere obbligazioni diverse e anche contrapposte. Quindi ogni obbligazione si distingue dalle altre in per il contenuto che essa ha in relazione a una causa determinata.

Ciò detto, se contenuto e causa individuano una singola obbligazione, resta il problema se ad ogni prestazione corrisponde una singola obbligazione. a tale problema si può rispondere che un’unica obbligazione può avere come contenuto più prestazioni e una singola prestazione può avere più oggetti: all’interno di una singola obbligazioni si possono distinguere più obblighi e si avrà una obbligazione complessa dal punto di vista oggettivo, quando più prestazioni sono dovute in virtù di unico vincolo, quando vi è un nesso, una unità collegante, che le stringe tutte: es l’impegno assunto verso altri di amministrargli l’intero patrimonio.

LE DIVERSE SPECIE DI OBBLIGAZIONI NEL CODICE CIVILE

Nel codice un intero capo è dedicato alla disciplina di quattro categorie di obbligazioni: pecuniarie, alternative, solidali e indivisibili

INDIVISIBILI E DIVISIBILI: quando vi sono più creditori o più debitore bisogna, in primo luogo, vedere se la prestazione è divisibile o no: se è indivisibile è esclusa la prestazione parziale a carico o a favore di singoli interessati. [quando il debitore sia solo e debba eseguire la prestazione a favore di un solo creditore non ha rilievo il carattere divisibile o meno della prestazione: infatti , anche se la prestazione è divisibile, l’adempimento deve essere unitario e non parziario ex art 1181; le regole sulle obbligazioni indivisibili mirano all’unitarietà dell’adempimento nonostante la pluralità dei debitori e dei creditori].

Nelle obbligazioni indivisibili ciascun debitore ha l’obbligo di eseguire la prestazione per intero al creditore (indivisibilità passiva) e ciascun creditore ha diritto di ricevere la prestazione per intero dal o dai debitore/i (indivisibilità attiva). Per quanto riguarda la disciplina, l’art 1317 rinvia alla disciplina delle obbligazioni solidali, ma, bisogna osservare,che l’indivisibilità è più radicale della solidarietà: ex art 1318 opera anche

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nei confronti degli eredi del debitore o del creditore e ciò perché le regole sull’indivisibilità derivano dal modo in cui la prestazione si presenta o da come viene considerata, onde l’esecuzione deve sempre avvenire per intero. Ma l’erede del creditore che agisce per ottenere il soddisfacimento di tutto il credito deve dare cauzione o garanzia ai coeredi. L’art 1320 prevede l’ipotesi che sia intervenuto un fatto estintivo dell’obbligazione nei confronti di uno dei creditori: gli altri creditori non perdono il diritto di richiedere il totum (una esecuzione parziale è esclusa dalla natura indivisibile della prestazione), ma devono addebitarsi o rimborsare al debitore, il valore della parte di colui verso il quale il debito si è estinto.

PARZIARIE E SOLIDALI: nelle obbligazioni con più soggetti, pur quando non ci sarebbero difficoltà nell’eseguire singolarmente le prestazioni, bisogna distinguere, in base alla struttura del vincolo, secondo che il dovere di adempimento incida sugli obbligati:

pro rata

pro toto

lo stesso vale per il lato attivo, cioè se il diritto all’esazione del debitore è per la sua rata o parte o per l’intero.

Sulla base di questi criteri si distinguono:

a. obbligazioni parziarie, quando l’obbligo o il diritto di ognuno è proporzionale alla sua partecipazione al vincolo

b. obbligazioni solidali attive, quando essendoci più concreditori ciascuno ha diritto di pretendere la prestazione per intero

c. obbligazioni solidali passive, quando più sono i debitori e ciascuno ha l’obbligo di eseguire la prestazione per intero

Nella obbligazione solidale passiva l’adempimento di un debitore libera anche gli altri nei confronti del creditore (facendo nascere, però, in capo a colui che ha adempiuto l’intero un diritto di regresso nei confronti degli altri debitori per la loro parte: come si dirà la solidarietà è solo nei rapporti esterni); nella solidale attiva l’adempimento ottenuto da uno dei creditori libera il debitore verso tutti.

L’obbligazione solidale non presuppone un solo vincolo, ma tanti sono i rapporti obbligatori quanti sono i debitori o i creditori ( la Cass ha affermato, infatti, che l’obbligazione solidale passiva non fa sorgere un rapporto inscindibile ed unico e non dà luogo ad un litisconsorzio necessario [che aggraverebbe la posizione del creditore che per instaurare correttamente il processo di condanna dovrebbe chiamare in giudizio tutti i debitori; mentre la solidarietà mira ad agevolare il creditore potendo chiedere l’adempimento a quello dei debitori che ha un maggior patrimonio ad esempio] e neppure sotto il profilo della dipendenza di cause, bensì a rapporti giuridici distinti, anche se fra loro connessi e potendo il creditore ripetere da ciascuno dei suoi debitori l’intero suo credito è sempre possibile una scissione dei rapporto processuale). Il totale che si deve pagare, però, non è la somma di singole prestazioni: LA PRESTAZIONE E’ UNA SOLA. Tali rapporti devono essere identici, cioè avere la stessa causa e uguale contenuto e devono avere un’unica fonte obbligatoria e l’identità dell’obbligazione non viene esclusa per la presenza di modalità che si riferiscono all’una o all’altra delle obbligazioni.

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La solidarietà presuppone una coincidenza di interessi e da ciò deriva la regola fondamentale che, di norma, non si comunicano agli altri cointeressati i fatti pregiudizievoli e si estendono, invece, quelli vantaggiosi. Tale regola trova conferma:

nell’art 1308 per il quale la costituzione in mora fatta ad uno dei debitori in solido non ha effetti nei confronti degli altri; mentre la costituzione in mora fatta da uno dei concreditori nei confronti dell’unico debitore giova anche agli altri creditori

nell’art 1309 per il quale il riconoscimento del debito di uno dei debitori in solido non ha effetto riguardo agli altri; mentre il riconoscimento del debito fatto dal debitore ad uno dei concreditori in solido giova anche agli altri

1310 2 co per il quale la sospensione della prescrizione nei rapporti di uno dei debitori o di uno dei creditori in solido non è suscettibile di estensione e non ha effetto nei riguardi degli altri

Fa eccezione al principio sopra detto per cui, di norma, si estendono agli altri cointeressati del rapporto solo i fatti favorevoli, la disciplina della interruzione della prescrizione, che presuppone l’esercizio del diritto, ed HA EFFETTO ANCHE RIGUARDO A TUTTI GLI ALTRI.

Per quanto riguarda le eccezioni che il chiamato all’adempimento integrale può opporre bisogna distinguere:

a. Eccezioni comuni: quelle che tutti e indistintamente i debitori hanno interesse ad opporre. Possono essere visti anche come un onere nei confronti degli altri condebitori, in quanto questi potranno rifiutare di rifondere la loro quota al debitore che ha pagato se dimostrano l’esistenza di una eccezione comune che blocca la pretesa del creditore. Sono tali quelle che si riferiscono al comune sorgere o all’esistenza dell’obbligazione ( es difetto di forma, illiceità della prestazione prescrizione del debito …)

b. Eccezioni personali: quelle che ex art 1297 non possono essere opposte agli altri creditori nella solidarietà attiva o al creditore comune dagli altri debitori nella solidarietà passiva, e si riferiscono, nel primo caso, alla persona del creditore e, nel secondo caso, alla persona di ciascun altro debitore.

c. Altre eccezioni sono variabili: ne senso che, secondo le circostanze, possono essere sollevate da tutti o solo da alcuni debitori: es

La remissione del debito ha di norma effetto nei confronti di tutti, ma il creditore nel rimettere il debito ad uno dei debitori può riservare il suo credito nei confronti degli altri

Idem per la transazione fatta con uno dei debitori in solido, la cu efficacia nei confronti degli altri dipende dalla dichiarazioni che essi abbiano fatto di volerne approfittare.

Prima di vedere come sorgono le obbligazioni solidali, bisogna notare sia quelle attive che quelle passive sono sottoposte ad alcune regole comuni:

Operano solo nei rapporti esterni. A norma dell’art 1298 non esiste solidarietà nei rapporti interni e l’obbligazione si divide fra i vari soggetti. Così a seguito del pagamento dell’intero da parte di uno dei debitori si crea un diritto di credito all’interno del gruppo detto diritto di regresso, per il quale colui che ha pagato può ripetere dai condebitori la parte di ciascuno di essi. Importante è quindi il

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modo in cui vengono ripartite le quote interne. Regola generale fissata dall’art 1298 2 co è che le parti di ciascuno si presumono uguali, ma è ammesso provare l’incontrario. Tuttavia quando la solidarietà ha fonte in un illecito extracontrattuale o aquiliano, in base all’art 2055, il carico viene ripartito in base a due criteri:

1.la gravità delle colpe

2. l’entità delle conseguenze che sono derivate dal comportamento di ciascuno

Nel dubbio le singole colpe si presumono uguali.

Nel caso di insolvenza di una delle parti, la sua quota si suddivide fra gli altri.

Vediamo come nasce la solidarietà:

a. Passiva: è un fenomeno molto importante e frequente. L’art 1294 c.c. pone come disposizione generale che se in un rapporto ci sono più debitori QUESTI SI PRESUMONO OBBLIGATI SOLIDALMENTE: LA SOLIDARIETA’ PASSIVA E’ LA REGOLA.

Il codice regola analogicamente alla solidarietà passiva il diritto del creditore garantito nei confronti del debitore principale e del suo fideiussore. Concettualmente si possono distinguere le obbligazioni solidali dipendenti, nelle quali il debito di un soggetto sorge in quanto bisogna adempiere al debito di un altro soggetto ( fideiussione, il Checchini parla di solidarietà diseguale, alludendo al fatto che pur essendoci una facoltà di scelta del creditore circa il soggetto a cui chiedere l’adempimento, in vero il debitore principale è solo uno e il debito del fideiussore è accessorio, esiste solo in quanto sia validamente sorto e sia ancora in esistenza il debito principale), dalle obbligazioni solidali paritarie nelle quali l’obbligazione principale di ogni soggetto non dipende dall’esistenza di altra obbligazione.

b. L’obbligazione sarà parziaria quindi solo quando lo prevede espressamente la legge (come ad esempio il debito che passa a più coeredi) o il titolo ( vi sono però obbligazioni in cui la solidarietà non ammette deroghe: es responsabilità dei soci in nome collettivo e degli accomandatari nei riguardi delle obbligazioni sociali. Ciò non esclude, però, che il singolo socio possa rinunciare di perseguire il singolo corresponsabile).

c. la solidarietà attiva è un fatto raro. ESSA NON SI PRESUME . quando la solidarietà non è espressamente prevista il debitore che sia di fronte a più creditori è obbligato al pagamento frazionato e non si libera verso gli altri se paga il totum ad uno solo.

OBBLIGAZIONI OGGETTIVAMENTE COMPLESSE: tanto che l’obbligato sia debitore di 1 o di 10 l’obbligazione resta unica, ma nelle obbligazioni con pluralità d’oggetti si può stabilire che il debitore è obbligato alla prestazione di tutti gli oggetti cumulativamente oppure dell’uno o dell’altro alternativamente.

OBBLIGAZIONI CUMULATIVE: il debito ha contenuto multiplo e il debitore è liberato solo con l’adempimento di tutto ciò che è in obbligazione

OBBLIGAZIONI ALTERNATIVE: vi è un unico rapporto con due (1285), o più (1291), oggetti, ma il debitore si libera con la prestazione di uno solo: DUE RES, VEL PLURIBUS, SUNT IN OBBLIGATIONE, UNA AUTEM IN SOLUTIONE. In queste obbligazioni si è liberati quando si adempie all’una o all’altra obbligazione; il

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creditore non è tenuto a ricevere parte dell’una e parte dell’altra obbligazione. La fonte è di regola la volontà delle parti, ma a volte può essere pure la legge, come ad esempio nell’art 1179 c.c.

Il codice fissa delle regole in base alle quali si individua il soggetto tenuto alla scelta della prestazione da eseguire:

a. di regola la scelta spetta al debitore

b. le parti possono attribuirla al creditore o a un III

c. se il debitore è condannato alternativamente al compimento di due prestazioni e non ne esegue nessuna delle due nel termine assegnatoli, la scelta passa al creditore

d. nel caso in cui la scelta spetti al creditore e questi non la eserciti nel termine assegnatoli o in quello fissato dal debitore, la scelta passa a quest’ultimo

e. nel caso in cui la scelta era rimessa ad un III e questi non la fa nel termine assegnatoli, la scelta spetterà al giudice.

Fatta la scelta avviene la c.d. CONCENTRAZIONE dell’obbligazione: da questo momento cessa lo ius variandi e l’obbligazione si intende come semplice. La scelta diviene irrevocabile anche con l’esecuzione di una delle due prestazioni. La scelta per divenire irrevocabile deve essere comunicata all’altra parte o, se la scelta spetta ad un III, ad entrambe le parti.

Come si è detto nel contenuto della prestazione entrano contemporaneamnete più prestazioni, da ciò deriva la regola per la quale l’obbligazione non si estingue se prima della scelta una delle prestazioni diviene impossibile per causa NON imputabile al debitore: l’obbligazione si concentra sull’altra prestazione e si considera semplice fin dall’inizio (lo stesso avviene se una delle prestazioni era impossibile fin dall’inizio).

Se una delle prestazioni diviene impossibile DOPO la scelta, l’obbligazione si estingue perché in seguito alla concentrazione l’obbligazione era divenuta semplice.

Se l’impossibilità di una delle prestazioni, PRIMA della scelta, derivi da colpa del creditore, il debitore, se aveva la facoltà di scelta, è liberato , salvo che non preferisca adempiere all’altra prestazione e chiedere il risarcimento dei danni per atto illecito che lo ha privato della facoltà di scegliere una prestazione per lui meno onerosa.

Se, invece, l’impossibilità di una delle prestazioni, PRIMA della scelta, deriva da colpa del creditore, ma la scelta spettava a questo, il debitore è liberato, salvo che il creditore non preferisca chiedere l’adempimento dell’altra prestazione e risarcire il danno.

Se la colpa dell’impossibilità, PRIMA DELLA SCELTA, è del debitore, il creditore può o esigere l’altra prestazione o chiedere il risarcimento del danno.

Infine se entrambe le prestazioni divengono impossibili, PRIMA DELLA SCELTA, e il debitore deve rispondere di una di esse, dovrà pagare l’equivalente di quella divenuta impossibile per ultima se la scelta spettava a lui; se la scelta spettava al creditore, egli può chiedere l’equivalente dell’una o dell’altra prestazione.

OBBLIGAZIONI FACOLTATIVE: qui vi è una sola prestazione obbligatoria, ma il debitore ha la possibilità di eseguirne una diversa: UNA RES EST IN OBBLIGATIONE, DUAE AUTEM IN FACULTATE SOLUTIONIS.

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Posto che in questo genere di obbligazioni vi è un solo contenuto è sufficiente che l’adempimento della prestazione principale divenga impossibile per causa non imputabile al debitore perché l’obbligazione si estingua. Es: quando è stipulato il diritto di recesso, una prestazione può essere sostituita dal pagamento della multa poenitentialis.

L’ADEMPIMENTO

l’obbligazione tende ad un fine e il modo normale di estinzione del vincolo, ma non l’unico, è l’adempimento da parte dell’obbligato. Il termine usato dal codice adempimento, corrisponde a quello che tradizionalmente era chiamato pagamento (più precisamente il termine pagamento andrebbe riservato a quelle prestazioni che richiedono una attività del creditore , non facendovi rientrare l’adempimento di obbligazioni negative per le quali il debitore è obbligato a un non fare o a lasciar fare). E SOLUTIO EST PREASTATIO EIUS QUOD EST IN OBBLIGATIONE. E’ la forma di estinzione tipica dell’obbligazione con soddisfazione del interesse creditorio.

Il pagamento non è un negozio giuridico che richiede una specifica volontà del debitore, né è necessaria per la validità del pagamento la volontà di accettarlo da parte del creditore. In una classificazione degli atti giuridici esso costituirebbe il tipico ATTO DOVUTO (si deve, però, ritenere di natura negoziale l’adempimento di una obbligazione naturale, che richiede nel solvens capacità e volontà).

Posto che il pagamento non è un negozio giuridico non è necessaria la capacità d’agire nel solvens (1191, per il quale il debitore che ha eseguito la prestazione non può impugnare il pagamento a causa della propria incapacità) e la sua validità non può essere posta in questione per vizi del volere.

Per quanto riguarda l’adempimento esistono due norme generali: l’art 1176, secondo il quale il debitore nell’adempimento delle obbligazioni deve usare la diligenza del buon padre di famiglia; e l’art 1218 che dice che l’obbligazione deve essere esattamente adempiuta (la dottrina moderna tende a riconoscere carattere prevalente all’art 1176 per l’adempimento delle obbligazioni in generale, affermando che la diligenza deve essere valutata in rapporto all’utile che ci si può attendere dall’attività del debitore e si ritiene diligente la prestazione che sia finalisticamente utile, ossia la prestazione eseguita a regola d’arte. Soggettivo rimarrebbe il criterio del 1218 per le conseguenze dell’inadempimento ).

Presupposto del pagamento e suo oggetto: non c’è pagamento se non esiste un debito corrispondente ed è proprio la preesistenza di un debito che qualifica il pagamento come adempimento, cioè come fatto estintivo dell’obbligazione. dove non vi è debito non ci può essere un fatto estintivo e ciò che viene dato varrà a far sorgere una diverso rapporto, come fonte dell’obbligazione di restituire: la CONDICTIO INDEBITI.

L’oggetto del pagamento deve corrispondere al contenuto della prestazione obbligatoria (SOLUTIO EST PRAESTATIO EIUS QUOD EST IN OBLIGATIONE): non si è obbligati a prestare qualcosa di diverso, ma neppure

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ci si può liberare prestando qualcosa di diverso (salvo la disciplina della datio in soluto). Conseguenza di ciò è che il creditore può rifiutare legittimamente un parziale adempimento dell’obbligazione (1181), anche se la prestazione è divisibile. Tale criterio si applica anche quando le prestazioni sono volute dalle parti come inscindibili, quando, cioè, esista alla base un collegamento tra atti connessi per la loro funzione. Inoltre le Sez Un della Cass ravvisano nell’art 1181 la disposizione che legittima, oltre al rifiuto di un parziale adempimento, anche la richiesta di un parziale adempimento ex latere creditoris: si afferma che in mancanza di espresse disposizioni o di principi generali desumibili dal sistema, deve riconoscersi al creditore di una somma, dovuta in base ad un unico rapporto, la facoltà di chiedere giudizialmente, anche in via monitoria, un adempimento parziale, in correlazione con la facoltà di accettarlo attribuitagli dall’art 1181, con riserva di azione per il residuo, essendo un potere che risponde ad un interesse meritevole di tutela del creditore senza sacrificare in alcun modo il diritto del debitore alla difesa delle proprie ragioni. La regola dell’art 1181 ammette però eccezioni fondate su leggi speciali o usi in contrario che consentono il pagamento rateale o per acconti : in tutti questi casi le garanzie rimangono fino al pagamento del totale.

AUTORE DEL PAGAMENTO: chi deve adempiere è essenzialmente il creditore; tuttavia ex art 1180 anche un III qualsiasi può pagare per lui, pur contro la volontà del creditore, quando non si tratti di una prestazione in fungibile che il creditore abbia un interesse obbiettivamente valutabile di vedere eseguita dal debitore personalmente. Il pagamento del III può essere rifiutato legittimamente dal creditore, però, quando il debitore abbia manifestato la sua opposizione.: quindi l’opposizione del debitore legittima il rifiuto del creditore, ma non è vincolante per lui, il quale può accettare il pagamento del III.

Naturalmente il III deve essere consapevole di essere estraneo al rapporto obbligatorio, in quanto se fosse convinto di essere il debitore si configurerebbe un’ipotesi di indebito soggettivo.

DESTINATARIO DEL PAGAMENTO: per il destinatario dl pagamento non può esserci una larghezza come quella prevista per l’autore del pagamento e il codice dispone che il pagamento va fatto:

AL CREDITORE AL SUO RAPPRESENTANTE O A UN III LEGITTIMATO A RICEVERLO (il c.d. adiectus solutioni causa, che è un semplice esattore per conto del creditore indicato di norma dal creditore, eccezionalmente dalla legge o dal giudice che autorizza l’esazione del III).

Nel momento il cui il debitore adempie deve prestare attenzione alla capacità del creditore, in quanto se paga ad un incapace potrebbe essere costretto ad eseguire una seconda volta il pagamento: nel caso di pagamento ad un incapace il debitore è liberato solo se prova che il pagamento è andato a buon fine, cioè è andato a vantaggio dell’incapace (1190).

Il pagamento effettuato ad un III non libera il debitore, salvo che il creditore non ne abbia approfittato o lo ratifichi.

Eccezionalmente, però, il debitore è liberato se paga ad un III, se quest’ultimo può essere qualificato come creditore apparente. Infatti secondo l’art 1189 estingue l’obbligazione il pagamento fatto al creditore apparente, cioè i l pagamento fatto in buona fede (e in questo caso la buona fede non è presunta, ma va provata dal debitore) a colui che in base a criteri obbiettivi o in base a circostanze univoche, appariva come legittimato a riceverlo. La Cass richiede per l’efficacia liberatoria del pagamento a chi non era legittimato a

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riceverlo la presenza di un comportamento colposo del vero creditore. Questa regola è applica il principio dell’APPARENZA.

TEMPO DELL’ADEMPIMENTO: se non è stato fissato alcun termine per l’esecuzione della prestazione, il creditore può esigerla immediatamente (quod sine die debetur statim debetur), salvo che la natura della prestazione, gli usi o le modalità dell’esecuzione non richiedano necessariamente l’esistenza di un termine di adempimento, che può essere fissato dal giudice, su richiesta delle parti se queste non si accordano. E’ anche lasciato al giudice la fissazione del termine, quando la determinazione del termine è lasciata ad uno dei contraenti e questi non provvede.

Il termine può essere fissato a favore o del debitore o del creditore o di entrambe le parti; ma se non risulta una volontà diversa, si presume a favore del debitore,

quando il termine è a favore del debitore egli se vuole adempiere anche prima della scadenza del termine, ma il creditore non può esigere la prestazione prima della scadenza del termine (c.d. TERMINE DI ESIGIBILITA’).

Se il debitore paga prima della scadenza del termine dovuto, anche se avviene per un errore incolpevole, non può chiedere la restituzione di ciò che ha pagato, ma potrà richiedere solo la restituzione di ciò di cui si è impoverito, nei limiti dell’arricchimento ingiusto percepito dal creditore

Quando il termine è fissato esclusivamente a vantaggio del creditore, il creditore è legittimato ad esigere la prestazione anche subito, ma il debitore non può adempiere prima della scadenza del termine (c.d. termine di eseguibilità).

Il termine è quindi un vantaggio per la parte in favore della quale è stabilito.

Non sempre tale beneficio viene conservato al debitore ed ex art 1186 il DEBITORE PERDE IL BENEFICIO DEL TERMINE, e il creditore può chiedere subito la prestazione del termine, se esiste un pericolo che minaccia il soddisfacimento del credito:

1. sopraggiunta insolvenza del debitore

2. diminuzione delle garanzie reali o personali sia per caso fortuito sia per fatto del debitore

3. mancata prestazione delle garanzie promesse.

Le parti possono fissare un termine anche a vantaggio di entrambi, in tal caso né il creditore può esigere la prestazione prima del termine, né il debitore eseguirla prima del della scadenza del termine.

Importante è il termine essenziale che si ha quando una prestazione deve essere fatta in un momento preciso, in modo che una prestazione successiva non avrebbe più valore o non può essere più eseguita. Il mancato rispetto di un siffatto termine comporta la risoluzione del contatto sinallagmatico ipso iure (fatta salva la volontà dell’interessato di concedere un termine supplementare massimo di 3 giorni).

Per quanto attiene alle norme che valgono per il computo del termine si applicano quelle fissate per calcolare il passaggio del tempo nella prescrizione, compresa la proroga del termine che scade in un giorno festivo.

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LUOGO DELL’ADEMPIMENTO: in primo luogo è riconosciuta valore prevalente alla volontà delle parti , che nell’atto da cui sorge l’obbligazione possono precisare dove le singole prestazioni saranno eseguite.

In secondo luogo, in mancanza di convenzioni valgono gli usi

In terzo luogo vengono in considerazione la natura della prestazione o altre circostanze.

Infine se ne la convenzione delle parti, ne gli usi, ne la natura della prestazione o le circostanze del rapporto determinano il luogo dell’adempimento, valgono le regole suppletive dell’art 1182:

1. l’obbligazione di consegnare una cosa determinata va adempiuta nel luogo in cui la cosa si trovava quando l’obbligazione è sorta

2. l’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro va eseguita al domicilio del creditore (debiti portabili). Si ha riguardo al domicilio che il creditore aveva alla scadenza del termine; ma se tale domicilio è diverso da quello che aveva il creditore quando è sorta l’obbligazione e tale mutamento rende più gravoso l’adempimento il debitore ha diritto di eseguire il pagamento al proprio domicilio

3. negli altri casi i debiti sono chiedibili , cioè devono essere eseguiti nel domicilio che il debitore ha al momento della scadenza. Se il debito è chiedibile, finché il creditore non si presenta al domicilio del debitore per chiedere l’adempimento, il debitore non cade in mora, anche se il termine dell’obbligazione è scaduto

[va rilevato che la Cass di recente, seguendo un consolidato orientamento giurisprudenziale che interpreta l’art 1182 3 co in modo restrittivo, ha ribadito la regola che il pagamento di una somma di denaro va eseguito al domicilio del creditore solo nel caso in cui l’obbligazione ha per oggetto una somma determinata nel suo ammontare, ovvero quando il credito in denaro è determinabile con un semplice calcolo aritmetico. Quando la somma deve essere ancora liquidata dalle parti, o dal giudice mediante indagini o operazioni diverse dal calcolo aritmetico, trova applicazione il 4co dell’art 1182 e l’obbligazione va adempiuta al domicilio del creditore. In questo ultimo caso, secondo i giudici di legittimità, non sono dovuti gli interessi corrispettivi ex art 1282 e trattandosi di debiti chiedibili la mora si determina non alla scadenza del termine in cui l’obbligazione andava adempiuta (mora ex re), ma mediante richiesta formulata per intimazione o atto scritto (mora ex persona) e solo da tale momento decorrono gli interessi moratori]

L’imputazione dei pagamenti: la disciplina dell’imputazione dei pagamenti serve per ovviare al problema in cui una persona abbia nei confronti di uno stesso soggetto più debiti della stessa specie (es: Tizio deve a Caio 10.000 euro a titolo di restituzione di una somma pagata a mutuo; 2.000 per il pagamento del prezzo di una vendita; 5.000 per il risarcimento di un danno e Tizio paga solo 3.000 euro. Qua sorge il problema quale debito tale pagamento va ad estinguere).

Il codice dispone che, in primo luogo, spetta al debitore quando paga IL DIRITTO DI DICHIARARE QUALE DEBITO INTENDE SODDISFARE. Vi è però un limite: il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi scaduti o alle spese senza il consenso del creditore

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Se il debitore non fa l’imputazione del pagamento, questa può essere fatta dal creditore al momento del rilascio della quietanza: se il debitore riceve senza protestare una quietanza con l’imputazione e non vi è stato dolo o sorpresa del creditore, si intende eseguita l’imputazione secondo l’indicazione.

Se né il debitore né il creditore fanno l’indicazione del debito che si intende soddisfatto, la legge fissa un ordine secondo vari criteri:

1. prima si estinguono i debiti scaduti

2. se tutti sono scaduti i meno garantiti

3. tra più debiti ugualmente garantiti il più oneroso per il debitore

4. tra debiti ugualmente onerosi l’imputazione è a quello più antico

Quando tali criteri non soccorrano, l’imputazione si intende fatta proporzionalmente.

Al pagamento sono connessi obblighi e diritti. Il pagamento talora richiede delle spese : in mancanza di patti in contrario, le spese sono a carico del debitore, così che il creditore ha diritto al netto.

Il debitore ha diritto di ottenere, a sue spese, una quietanza che attesti il pagamento ricevuto. Inoltre se del credito esiste un documento e questo non viene restituito il debitore può esigere che nel titolo sia fatta menzione del pagamento.

Analizzando la disciplina dell’imputazione del pagamento si è rivelato come il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi scaduti: ne consegue che il rilascio di una quietanza per il capitale fra presumere il pagamento anche degli interessi.

Se non viene rilasciata una quietanza il pagamento può essere provato in altro modo. Per la prova l’art 2726 sottopone la prova del pagamento agli stessi limiti e regole fissate per la prova dei contratti.

In seguito al pagamento cessano le garanzie e l’art 1200 fa obbligo al creditore di consentire la liberazione dei beni dalle garanzie reali avute per il credito e da ogni altro vincolo che limiti la disponibilità dei beni del debitore o di altri garanti.

MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO

L’adempimento è il modo normale in cui un obbligazione dovrebbe sciogliersi; tuttavia, esistono altre ipotesi che portano allo scioglimento dell’obbligazione , quali, ad esempio, l’impossibilità sopravvenuta dell’obbligazione per fatto non imputabile al debitore. Esistono molte cause di estinzione dell’obbligazione e la legge facilita lo scioglimento del vincolo in favore della libertà economica dei soggetti (si può ricordare come causa che si riferisce direttamente al negozio, il verificarsi della condizione risolutiva o lo scadere del termine l’intimazione di una disdetta o la manifestazione di una volontà di recesso ius poenitendi).

La morte è causa di estinzione solo di alcuni rapporti: può causare la fine del rapporto di mandato, dell’obbligo di lavoro in qualche caso di società, mentre di norma non fa cessare le altre obbligazioni. Quindi è di regola la successione mortis causa sia dal lato attivo che dal lato passivo.

Alcuni fatti o negozi sono previsti come modi diretti dell’estinzione delle obbligazioni e vi sono modi di estinzione a carattere satisfattorio, con i quali si realizza il vantaggio del credito; con altri modi il debito si estingue senza che vi sia il soddisfacimento del creditore.

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In alcuni casi l’estinzione avviene ope legis in altri è conseguenza della volontà del debitore.

Tra i modi di estinzione a carattere satisfattorio si possono annoverare, oltre all’adempimento:

1. la dazione in pagamento

2. la compensazione

3. la confusione

Fra i modi di estinzione a carattere non satisfattorio:

1. l’impossibilità sopravvenuta

2. la novazione

3. la remissione del debito.

Dazione in pagamento: a volte capita che il debitore, per liberarsi dalla obbligazione, offra al creditore una prestazione diversa da quella che era oggetto dell’obbligazione: se il creditore accetta questo surrogato l’obbligo si può estinguere con l’adempimento di una prestazione in luogo dell’adempimento chiamata DATIO IN SOLLUTUM. L’ART 1197 DISPONE CHE NEL CASO DI ADEMPIMENTO IN LUOGO DI PRESTAZIONE, L’OBBLIGAZIONE SI ESTINGUE SOLO AL MOMENTO IN CUI VIENE ESECUITA LA PRESTAZIONE DIVERSA.

La datio in solutm è UN NEGOZIO TRASLATIVO ONEROSO, per tale motivo si estendono ad essa i principi della compravendita (in particolare la disciplina sull’evizione e sulla garanzia dei vizi della cosa. L’azione in garanzia, ex art 1197 2 co, è concessa in via alternativa con quella diretta a far valere il credito originario)

Quando in luogo dell’adempimento è ceduto un credito, la cessione si intende fatta pro solvendo e non pro soluto, ossia, se le parti non hanno stabilito diversamente, l’obbligazione si estingue con la riscossione del credito, viene garantito oltre al NOMEN VERUM ANCHE IL NOMEN BONUM.

COMPENSAZIONE: quando fra le stesse persone intercorrono due diversi rapporti di debito e credito in direzione reciproca è sicuramente più comodo ed economico evitare un duplice pagamento: I DUE DEBITI SI ESTINGUONO FINO ALLA CONCORRENZA DELLO STESSO VALORE.

LA COMPENSAZIONE è QUINDI UN MODO DI ESTINZIONE A CARATTERE SATISFATTORIO, in quanto ciascuno creditore resta soddisfatto nel suo diritto ottenendo l’estinzione del proprio debito.

La compensazione può essere:

1. legale quando si tratta di due debiti omogenei (debiti entrambi di una somma di denaro o di cose fungibili della stesso genere) liquidi (debiti la cui esistenza è certa e che siano determinati precisamente sia in quantità che in qualità) ed esigibili (non derivanti da obbligazioni naturali, non sottoposti a condizione sospensiva né a termine, anche se la legge fallimentare ammette la compensazione per crediti ancora non scaduti al momento della dichiarazione di fallimento). Non è d’ostacola la dilazione concessa gratuitamente da uno dei creditori. In questo caso la compensazione è legale, in quanto opera ope legis (compensatio necessaria est), per il semplice

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fatto della coesistenza di due debiti reciproci con le qualità sopra dette e non necessita di un atto di volontà delle parti o del giudice. Tuttavia non può essere rilevata d’ufficio dal giudice , ma uno degli interessati deve dichiarare di volersene avvalere: eccezione in senso stretto exceptio compensationis. La compensazione ha effetto automatico dal giorno della coesistenza dei due debiti e l’eventuale sentenza che la dichiari avrà effetto ex tunc: da ciò deriva che il controinteressato non potrà invocare a suo favore la prescrizione che fosse successivamente intervenuta rispetto al suo debito

2. giudiziale: quando uno dei due debiti, pur non essendo liquido è di facile e pronta liquidazione . In tal caso la compensazione non avviene di diritto, ma il giudice la può dichiarare con effetto ex nunc, per la parte del debito che appare sicura e può sospendere la condanna al pagamento del debito liquido fino all’accertamento del credito opposto in compensazione

3. volontaria: quando avviene per accordo delle parti pur non ricorrendo i presupposti richiesti per il verificarsi di una delle altre forme

La compensazione può attuarsi anche solo parzialmente, cioè fino alla concorrenza del minore dei due debiti.

L’art 1246 prevede alcune ipotesi in cui la compensazione non si attua:

1. con credito per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato

2. domanda per la restituzione di cosa depositata o data in comodato

3. crediti impignorabili

4. debiti rispetto ai quali il debitore ha preventivamente rinunciato alla compensazione

5. negli altri casi stabiliti dalla legge

L’eccezione di compensazione può essere sollevata:

1. dal debitore

2. da un III che ha data garanzia personale, fideiussore, o reale, III datore di pegno o ipoteca.

Inoltre posto che colui che paga un debito senza eccepire la compensazione nuoce ai III garanti del credito non utilizzato in compensazione (che altrimenti sarebbero stati liberati) il codice dispone che se il debitore paga CONOSCENDO l’esistenza del proprio credito, PERDE LE GARANZIE A SUO FAVORE, ossia quando si accinge a riscuoterlo perde il diritto di valersi delle garanzie previste dai III.

In caso di cessione del credito, il debitore ceduto può opporre anche al cessionario la compensazione che poteva opporre al cedente; ma dal momento in cui la cessione gli viene notificata, potrà opporre solo i suoi crediti che erano già sorti verso il cedente PRIMA della cessione. Inoltre se il debitore cedente ha ACCETTATO la cessione puramente e semplicemente NON può opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente.

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NOVAZIONE: la novazione attiene alla figura del contratto liberatorio. Attraverso la novazione i soggetti del rapporto obbligatorio sostituiscono un nuovo rapporto al precedente. La novazione si distingue dalla datio in solutum, perché quest’ultima è un modo di estinzione dell’obbligazione satisfattorio, è un atto di prestazione (SI DA), anche se l’oggetto è diverso da quello che formava in origine il contenuto del rapporto; CON LA NOVAZIONE non si ha adempimento, ma SOSTITUZIONE DI UN’OBBLIGAZIONE CON UN’ALTRA (si promette) ed è un modo di estinzione non satisfattorio, nel senso che non viene soddisfatto l’interesse alla prestazione dovuta.

Ancora attuale è la definizione delle fonti romane per la quale con la novazione PRIORIS DEBITI IN ALIAM OBBLIGATIONEM TRANSFUSIO ATQUE TRANSALATIO.

Si conoscono due generi di obbligazione:

1. soggettiva: l’art 1235 dispone che quando un debitore è sostituito a quello originario che viene liberato, si applicano le norme in tema di delegazione, espromissione accollo

2. oggettiva disciplinata dagli artt 1230 e ss.

NOVAZIONE OGGETTIVA: ELEMENTI ESSENZIALI SONO:

1. l’obbligazione originaria da novare

2. un aliquid novi

3. l’animus novandi

1.il 1234 dispone che la novazione è senza effetto se non esiste l’obbligazione originaria. E’ una nullità per mancanza di causa, in quanto la nuova obbligazione non sarebbe giustificata se nascesse per sostituire ciò che non esiste (ad es se l’obbligazione originaria è nulla). Se l’obbligazione originaria deriva da un titolo annullabile, la novazione è valida solo se il debitore ha assunto il nuovo debito conoscendo il vizio del titolo originari

2.aliquid novi: l’art 1230 dispone che la nuova obbligazione deve avere un oggetto o un titolo diverso. E’ necessaria una vera trasformazione e non è sufficiente a determinare la novazione una modifica delle modalità accessorie e in particolare ex art 1231 non determinano novazione:

il rilascio di un documento o la sua rinnovazione

Apposizione di un termine o modifica di un termine

Ogni altra modificazione accessoria

3.deve risultare l’animus novandi che deve risultare in modo inequivoco: CHE E’ LA VOLONTA’ DI ESTINGUERE LA PRECEDENTE OBBLIGAZIONE ATTRAVERSO LA CREAZIONE DI UN NUOVO VINCOLO

Dove non si dimostri l’esistenza dell’animus novandi si avrà, anziché novazione, assunzione di un rapporto obbligatorio accanto all’altro.

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Se le parti non stabiliscono diversamente, con la novazione si estinguono i privilegi, il pegno e le ipoteche del credito originario.

REMISSIONE DEL DEBITO: posto che il diritto di credito consiste nel riconoscimento del prevalere di una volontà, è normale che il rapporto obbligatorio si estingua quando il soggetto ATTIVO vi rinunzi. Su questo principio si fonda la remissione che è un modo estintivo dell’obbligazione, costruita come atto ABDICATIVO UNILATERALE. Quindi primo elemento essenziale è LA VOLONTA’ DEL CREDITORE.

Accanto a tale principio, però, ve ne è un altro riassumibile nella massima: NOLENTI NON FIT DONATIO, ossia è libero di non ricevere, se vuole, un atto di libertà del creditore.

Unendo questi due principi l’art 1236 stabilisce che il DEBITO SI ESTINGUE PER SEMPLICE VOLONTA’ DEL CREDITORE, PURCHE’ IL DEBITORE NON DICHIARI ENTRO UN CONGRUO TERMINE DI NON VOLERNE APPROFITTARE.

La remissione oltre per atto fra vivi è possibile per atto mortis causa (legato da liberazione da debito 658).

La compensazione può essere espressa o tacita:

La dichiarazione espressa produce i suoi effetti, come di regola per gli atti recettizi, quando è comunicata al debitore

Tacitamente la remissione avviene:

1.con la restituzione volontaria del documento originale del credito fatta dal creditore al debitore. Questa restituzione, detta remissione reale, costituisce presunzione assoluta e ha effetti non solo nei confronti della persona alla quale il titolo è restituito, ma anche a favore degli altri debitori in solido (lo stesso effetto si ha anche con la remissione personale, purché il creditore non abbia nella remissione espressa riservato il suo diritto nei cfr degli altri debitori in solido);

2. il 2 co 1237 afferma che la consegna della copia del titolo originario spedita in forma esecutiva, fa presumere la liberazione, salvo prova contraria.

La rinunzia al credito fa cadere le relative garanzie personali e reali, MA LA RINUNZIA ALLE GARANZIE NON IMPLICA REMISSIONE AL DEBITO.

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