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UNIVERSITÀ DI PISA DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia Tesi di Laurea CHEMIOTERAPIA DI I LINEA CON FOLFOXIRI IN PAZIENTI AFFETTI DA CARCINOMA DEL PANCREAS AVANZATO: VALUTAZIONE DEI RISULTATI CLINICI ED ANALISI DI POTENZIALI FATTORI PROGNOSTICI Relatore: Chiar.mo Prof. Alfredo Falcone Candidata: Silvia Catanese ANNO ACCADEMICO 2013-2014

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLENUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

CHEMIOTERAPIA DI I LINEA CON FOLFOXIRI IN PAZIENTI AFFETTI DACARCINOMA DEL PANCREAS AVANZATO: VALUTAZIONE DEI RISULTATI

CLINICI ED ANALISI DI POTENZIALI FATTORI PROGNOSTICI

Relatore: Chiar.mo Prof. Alfredo Falcone

Candidata: Silvia Catanese

ANNO ACCADEMICO 2013-2014

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Indice

Riassunto............................................................................................................................I

Capitolo 1. Introduzione....................................................................................................1

1.1 Epidemiologia.........................................................................................................1

1.2 Cenni anatomo-fisiologici.......................................................................................3

1.3 Fattori di rischio......................................................................................................6

1.4 Predisposizione genetica.........................................................................................7

1.5 Anatomia patologica...............................................................................................9

1.6 Genetica e biologia molecolare.............................................................................19

1.7 Storia naturale.......................................................................................................22

1.8 Quadro clinico, diagnosi e stadiazione.................................................................22

1.9 Trattamento...........................................................................................................31

1.9.1 Criteri di resecabilità.....................................................................................31

1.9.2 Trattamento chirurgico..................................................................................33

1.9.3 Trattamento medico.......................................................................................36

1.10 Trattamenti palliativi nella malattia localmente avanzata e metastatica.............57

Capitolo 2. Studio osservazionale retrospettivo di chemioterapia di I linea con

FOLFOXIRI in pazienti affetti da carcinoma del pancreas avanzato..............................63

2.1 Razionale dello studio...........................................................................................63

2.2 Pazienti e metodi...................................................................................................65

2.2.1 Criteri di selezione dei pazienti e trattamento...............................................65

2.2.2. Obiettivi dello studio....................................................................................66

2.2.3. Disegno dello studio e considerazioni statistiche.........................................67

2.3 Risultati.................................................................................................................69

2.3.1 Caratteristiche dei pazienti............................................................................69

2.3.2 Efficacia e tollerabiblità................................................................................73

2.3.3 Fattori prognostici.........................................................................................79

Capitolo 3. Discussione...................................................................................................84

Bibliografia......................................................................................................................90

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Riassunto

Il tumore del pancreas costituisce una delle principali cause di morte per neoplasia nei

paesi occidentali.

Circa l' 80% dei pazienti sono affetti alla diagnosi da malattia localmente avanzata o

metastatica. Negli ultimi anni il trattamento di questo stadio di malattia ha raggiunto un

considerevole miglioramento grazie all' impiego, in luogo della gemcitabina, di un

regime a base di 5-fluorouracile/acido folinico, oxaliplatino ed irinotecan denominato

FOLFIRINOX la cui efficacia ed impatto sulla sopravvivenza sono stati dimostrati in un

trial clinico di fase III pubblicato nel 2011.

Il nostro centro possiede una consolidata esperienza nel trattamento dei tumori

gastrointestinali con un regime polichemioterapico definito FOLFOXIRI, molto simile

al FOLFIRINOX, in quanto basato sulla somministrazione delle medesime molecole,

ma differente per il ridotto dosaggio di irinotecan e l'assenza del bolo di 5-fluorouracile,

somministrato invece solo in infusione continua; pertanto è stato valutato l' impiego di

tale regime anche nel trattamento dei tumori pancreatici avanzati.

Lo studio, osservazionale di coorte retrospettivo, si è posto come obiettivo quello di

valutare, in un setting di pratica clinica, l' attività e la tollerabilità del regime

FOLFOXIRI come trattamento primario o di prima linea in pazienti affetti da carcinoma

pancreatico avanzato; e l'individuazione di fattori prognostici al fine di elaborare un

modello predittivo per meglio definire la sopravvivenza dei pazienti.

I 137 pazienti risultati eleggibili, trattati dal 2008 al 2014 presso il Polo Oncologico dell'

AOUP, avevano per la gran parte un'età inferiore ai 65 anni, sebbene la quota di pazienti

più anziani fosse comunque ben rappresentata (24%). La distribuzione tra i due stadi di

malattià è risultata ben bilanciata, seppure con una maggior prevalenza della malattia

metastatica. La sede della malattia primitiva, con un 53,2% di tumori a livello della testa

e un 45,3% a livello del corpo-coda, concorda con l' evidenza della pratica clinica ed

inoltre, nel 30% della popolazione inclusa era stato realizzato un precedente

posizionamento o intervento di derivazione biliare.

Si è riscontrato un response rate (RR) del 38,6%. Ad un follow-up mediano di 30 mesi

la sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana e la sopravvivenza globale (OS)

I

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mediana sono risultate rispettivamente di 8 mesi e di 12 mesi; con il 26,3% dei pazienti

non progredito ad un anno e il 19,6% vivo a due anni. Le analisi di attività e di

sopravvivenza sono state inoltre stratificate per stadio ottenendo RR, PFS ed OS

mediane pari a 42,9%, 11 mesi, 14,9 mesi nei pazienti in stadio 3 vs 35,8%, 5,8 mesi e

10,8 mesi per quelli in stadio 4. Il 46,4% dei pazienti in stadio 3 è andato incontro ad

intervento resettivo dopo la chemioterapia primaria.

Il trattamento è stato somministrato con un numero mediano di 8 cicli; nel 54% dei casi

sono stati necessari rinvii, e riduzioni di dosaggio nel 39% dei casi. La principale

tossicità riscontrata è stata lo sviluppo di neutropenia di grado G3-G4 (37% dei casi),

che ha richiesto però solo nella metà dei casi il ricorso a fattori di crescita granulocitari.

Si è verificato un unico caso di neutropenia febbrile. Tossicità di natura non ematologica

si sono riscontrate in meno del 10% dei casi. Non si sono registrate morti tossiche.

Mediante analisi univariata di correlazione con attività e sopravvivenza, seguita da

analisi multivariata secondo modello proporzionale di Cox sono stati individuati 3

fattori prognostici principali, predittivi di RR, PFS ed OS: ECOG performance status (0

vs 1); la presenza o assenza di metastasi epatiche e il valore NLR (>4 o <4). Abbiamo

elaborato un modello prognostico suddividendo la popolazione dello studio in gruppi in

funzione del numero di fattori posseduti: le differenze evidenziate sono risultate

statisticamente significative sia per RR (36,8% vs 44,9% vs 21,9%; p=0,003); che per

PFS (11 mesi vs 8,3 mesi vs 2,9 mesi; p<0,0001), che per OS (17,6 mesi vs 11,1 mesi vs

7,4 mesi; p<0,0001).

In conclusione, il regime FOLFOXIRI si è confermato, in un'ampia casistica di pazienti

con carcinoma pancreatico avanzato, attivo ed impiegabile in un setting di pratica

clinica. Il modello prognostico elaborato consente di identificare 3 gruppi di pazienti

dall' outcome nettamente differente, candidabili a possibili futuri studi di

personalizzazione della strategia terapeutica.

4

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Capitolo 1. Introduzione

1.1 Epidemiologia

Negli Stati Uniti nel 2015 si stimano 48960 nuovi casi e 40560 decessi per

adenocarcinoma duttale pancreatico. Quest'ultimo rappresenta la decima neoplasia per

incidenza e la quarta per mortalità sia nell'uomo che nella donna, preceduta solo dal

cancro del polmone, della prostata e della mammella, pari al secondo posto nei due

sessi, e del colon-retto1. Tuttavia, si prevede che tra il 2020 ed il 2030 diverrà il primo

tumore per mortalità del tratto gastroenterico ed il secondo in assoluto tra le cause di

morte cancro correlate.2

La diagnosi è rara prima dei 45 anni ed anzi nell’80% dei casi è effettuata tra la sesta e

1

Figura 1.1. Proiezioni di mortalità per neoplasia al 2030.(Rahib et al., Cancer Research Aacrj, 2014)

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l’ottava decade di vita, con un’età media di circa 70 anni. L’incidenza è pressoché

uguale nei due sessi e la malattia presenta una frequenza maggiore tra gli afro-americani

rispetto alla popolazione bianca.3

In Italia nel 2014 sono stati previsti 12700 nuovi casi di tumore pancreatico, circa il 3%

di tutti i tumori, e a causa di esso nel 2011 sono stati registrati 10788 decessi.

Rappresenta la nona neoplasia per incidenza nell' uomo e la sesta nella donna,

collocandosi al V posto nelle donne oltre i 70 anni (6%). L' andamento temporale dell'

incidenza di questa neoplasia, al netto di variazioni di età nella popolazione, è in

crescita significativa nelle femmine (+2,0 %/anno). Inoltre è presente anche un

2

Figura 1.2. Le dieci principali neoplasie per incidenza e mortalità, USA, 2015.(Siegel et al., CA Cancer J Clin, 2015)

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gradiente Nord-Sud dal momento che rispetto all' Italia settentrionale il Centro mostra

livelli di incidenza pari a -18% nei maschi e a -23% nelle femmine ed il Sud pari a -28%

e -30% rispettivamente.

Nel trimestre 2007-2010 è risultata essere la quinta causa di morte per neoplasia nella

popolazione italiana con il 6% dei decessi, e la quarta solo nel sesso femminile (7%).

Nella sesta decade di vita è al quarto posto come causa di mortalità in entrambi i sessi e

si mantiene come tale nelle donne anche nella decade successiva. Anche per la mortaltà

si è osservata una tendenza progressiva e costante verso l'incremento (+0,6%/anno negli

uomini, +1,4% nelle donne) ed un gradiente Nord-Sud con livelli superiori di mortalità

nel Settentrione (13,1/100000 negli uomini e 9,6/100000 nelle donne) rispetto al Centro

(-23% in entrambi i sessi) ed al Meridione (-24% nel maschio e -31% nella donna).

1.2 Cenni anatomo-fisiologici

Il pancreas, la seconda più grande ghiandola extramurale anficrina annessa all'apparato

digerente, è un organo retroperitoneale situato dinanzi al tratto superiore della colonna

vertebrale lombare e posteriormente allo stomaco. Ha un orientamento trasversale

estendendosi dalla “c” duodenale fino all'ilo della milza. Nell'adulto la sua lunghezza è

in media di 15-20 cm, con un peso medio di 90 g nell'uomo e 85g nelle donne.

Sebbene non abbia una suddivisione anatomica ben definita, i vasi con cui contrae

rapporto possono essere presi come riferimento per distinguere macroscopicamente: la

testa, che si prolunga inferiormente e medialmente nel processo uncinato, il corpo e la

coda.

Il sistema dei dotti pancreatici è costituito dal dotto pancreatico principale o maggiore

(di Wirsung), che drena nel duodeno a livello della papilla maggiore (o di Vater)

assieme al coledoco, e dal dotto pancreatico accessorio o minore(di Santorini) che si

apre anch'esso nel duodeno, ma 2 cm prossimalmente, in corrispondenza della papilla

duodenale minore. Tuttavia, a causa della variabilità nell'ontogenesi, ovvero nella

fusione degli abbozzi dorsale e ventrale della ghiandola durante la rotazione

dell'intestino medio, l'architettura del sistema duttale e della confluenza epato-biliare

può essere caratterizzata da notevoli differenze interindividuali.

3

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Il pancreas è riccamente irrorato. Alla vascolarizzazione della testa presiedono due

arcate arteriose pancreaticoduodenali, dorsale e ventrale, che si costituiscono per

l'inosculamento a pieno canale fra i rami di divisione dell'a. pancreaticoduodenale

superiore (dalla gastroduodenale) e i rami di divisione dell'a. pancreaticoduodenale

inferiore (dalla mesenterica superiore). Le arcate pancreaticoduodenali irrorano anche il

duodeno, e costituiscono una rete anastomotica importante tra il tripode celiaco e l'a.

mesenterica superiore. Il corpo e la coda ricevono sangue dall'a. lienale, che, decorrendo

sul margine superiore della ghiandola, emette numerosi rami, e dall'a. pancreatica

superiore (dal tripode celiaco o dall'a. mesenterica superiore), che è da considerarsi

come l'arteria propria del pancreas. Quest'ultima decorre dietro al corpo, diretta verso la

faccia inferiore di esso. Le vene sono tributarie del sistema della vena porta:

afferiscono, infatti, alla v. lienale ed alle due vene mesenteriche.

Capillari linfatici sono evidenziabili soprattutto alla superficie dei lobuli: i tronchi ai

quali danno origine si scaricano nei gruppi linfonodali pancreaticoduodenali,

mesenterici superiori, retropilorici, celiaci, pancreaticolienali e dell'ilo splenico.

4

Figura 1.3. Vascolarizzazione pancreatica.

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I nervi giungono al pancreas dal plesso celiaco: pochi direttamente, la maggioranza

tramite plessi secondari che seguono le arterie parenchimali proprie della ghiandola.

Contengono fibre del simpatico toraco-lombare e fibre parasimpatiche del n. vago.

Il pancreas è una ghiandola anficrina: presenta una prevalente componente esocrina,

che costituisce l'80-85% della ghiandola, ed una componente endocrina, composta da 1

milione di gruppi cellulari, le isole di Langerhans. La porzione esocrina presenta la

struttura di una ghiandola tubuloacinosa composta a secrezione sierosa. La capsula di

rivestimento si approfonda nel parenchima sepimentandolo, talvolta in maniera

incompleta, in lobuli. All'interno di questi si osservano: numerosi adenomeri di forma

acinosa, costitutiti da cellule acinari o zimogeniche, che producono gli enzimi necessari

per la digestione; e duttuli che si convogliano e confluiscono in dotti di calibro sempre

maggiore fino a riversare il loro contenuto nei due grandi dotti pancreatici. Le cellule

che rivestono i dotti partecipano attivamente alla secrezione pancreatica, variandone il

contenuto di bicarbonato, mucina ed acqua.

Ogni giorno il pancreas secerne 2-2,5 litri di un liquido alcalino, ricco di bicarbonati ed

enzimi e proenzimi digestivi.

5

Figura 1.4. Drenaggio linfatico pancreatico.

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La patologia neoplastica può avere origine sia dalla componente endocrina che da quella

esocrina, è pur vero però che l'adenocarcinoma duttale, neoplasia esocrina, costituisce il

90% delle neoplasie pancreatiche.

1.3 Fattori di rischio

L'eziologia del carcinoma pancreatico non è ben conosciuta e sebbene si riconoscano

numerosi fattori di rischio, modificabili e non, questi sono del tutto aspecifici e non vi è

concordanza tra i diversi studi che sono stati condotti al fine di definirne il loro peso.

Tra i fattori di rischio non modificabili dobbiamo includere l'età, la maggior parte delle

neoplasie si sviluppa infatti tra i 60 e gli 80 anni; la razza afroamericana; e la

discendenza ebrea Ashkenazi, probabilmente correlata a mutazioni della linea

germinale.4

Invece tra i fattori di rischio modificabili il fumo di sigaretta gioca un ruolo

significativo, infatti tra il 20% ed il 30% dei carcinomi pancreatici sono attribuibili ad

esso.4 Si è evidenziato nei fumatori un aumento del rischio pari al 75% rispetto ai non

fumatori,proporzionale alla durata ed all'intensità dell'abitudine.5 La cessazione di

questa riduce il rischio, che approssima quello di un non fumatore dopo circa 5-10

anni.6 Anche l'esposizione quotidiana al fumo passivo durante l'infanzia è stata associata

ad un' aumentata predisposizione allo sviluppo di neoplasia pancreatica.6

Le abitudini dietetiche rappresentano un altro fattore di rischio: una correlazione diretta

tra assunzione di grassi alimentari, consumo di carne rossa ed insorgenza di carcinoma è

stata evidenziata in alcuni studi.7 Tali dati non sono stati però confermati.8

Il consumo eccessivo di alcol, essendo un fattore predisponente per lo sviluppo di

pancreatite cronica, è associato ad un aumentato rischio di sviluppo della neoplasia;

come mostrato dall'incrementata incidenza negli alcolisti.9

L'incremento dell'indice di massa corporea (BMI>25), oltre ad essere associato ad un

aumentato rischio di sviluppo della neoplasia e ad una prognosi più infausta, nel caso in

cui sia già aumentato nella prima età adulta è correlato anche ad una più precoce

insorgenza.10

6

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L'esposizione professionale a sostanze chimiche come la beta-naftilamina e la benzidina

rappresenta un rischio concreto di sviluppare il tumore del pancreas, dato già noto a

partire dalla fine degli anni Sessanta.11 Elevati livelli sierici di composti organoclorurati,

derivati da pesticidi e DDT, sono stati associati ad un maggiore rischio relativo.12 Altre

sostanze ritenute responsabili sono i solventi ed i derivati del petrolio.

Non è chiaro se il diabete mellito di tipo 2 sia un fattore predisponente o una

conseguenza del carcinoma pancreatico. Due metanalisi hanno mostrato una maggior

frequenza di neoplasia in pazienti con diabete diagnosticato da almeno 5 anni.13, 14

D'altra parte uno studio di coorte svedese ha dimostrato una diminuzione del rischio

proporzionale alla durata della malattia diabetica.15 Altri studi hanno però evidenziato

come spesso il diabete rappresenti una manifestazione precoce di malattia; ed a

conferma di ciò è stato osservato che l'adenocarcinoma duttale può indurre resistenza

periferica all'insulina.16,17 Inoltre un possibile fattore diabetogenico cancro correlato è

stato isolato dal mezzo di coltura di linee cellulari di carcinoma pancreatico; e

l'esistenza di questo fattore potrebbe essere confermata dal fatto che spesso il diabete si

risolve a seguito della resezione radicale del tumore primitivo.18,19

Una maggiore incidenza di neoplasia è stata osservata nei pazienti sottoposti a pregressa

gastrectomia o affetti da pancreatite cronica.20 In particolare, in un recente studio è stato

dimostrato un incremento del rischio di sviluppo di 7.2 volte nei pazienti con anamnesi

positiva per pancreatite cronica.21

Infine alcuni studi suggeriscono un'associazione tra carcinoma pancreatico, gruppo

sanguigno ABO ed infezione da H. pylori22, nonché tra eteroplasia ed infezione da

HBV23.

1.4 Predisposizione genetica

Anche nel carcinoma pancreatico oltre alle forme ereditarie è possibile riscontare la

presenza di forme familiari, che si attestano attorno al 9% del totale.24

La familiarità si definisce sulla base della presenza di almeno due parenti di primo

grado affetti da adenocarcinoma pancreatico, le cui caratteristiche non rientrino nei

criteri diagnostici di sindromi note.25 Generalmente si osserva il fenomeno

7

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dell'anticipazione, ovvero la neoplasia insorge circa 10 anni prima rispetto all'età

d'esordio nel parente affetto. Nei parenti si rileva inoltre una maggior frequenza di

neoplasie extrapancreatiche come melanomi e tumori dell'endometrio.24 Spesso

all'imaging si riscontra la presenza di lesioni PanIN e IPMN.

Le forme familiari hanno un fenotipo piuttosto eterogeneo; per quanto riguarda il

genotipo, sebbene la principale mutazione predisponente non sia ancora stata

identificata, è stato riconosciuto un nesso di causa tra varianti alleliche dei geni PALB2,

BRCA2 ed ATM ed alcune forme familiari di adenocarcinoma pancreatico.25

Uno studio prospettico italiano ha confermato un'aggregazione familliare in circa il 9%

dei pazienti, con un rischio complessivo per i familiari di circa tre volte quello della

popolazione generale.26

In alcuni casi invece, le forme familiari possono essere inscritte nel contesto di sindromi

genetiche propriamente dette:

• Carcinoma pancreatico familiare associato a mutazione di BRCA2 o di geni

dell'Anemia di Fanconi.27-29 Mutazioni germinali di BRCA2 sono presenti nel

15% dei pazienti con carcinoma pancreatico familiare in famiglie prive dei

criteri per la diagnosi carcinoma mammella-ovaio familiare.28, 30 I geni FANC-C

e FANC-G appartengono al medesimo sistema di riparazione di BRCA2 e

mutazioni di questi sono state riscontrate in aggregazioni familiari di cancro del

pancreas.27, 29

• Sindrome del cancro mammella e ovaio da mutazioni germinali di BRCA231 e di

PALB2.32

• Sindrome di Peutz-Jeghers da mutazione germinale del gene SKT11 con rischio

aumentato di oltre 100 volte.33

• Sindrome del nevo displastico ( “sindrome del melanoma familiare” o “FAMM:

familial atypical multiple mole melanoma”) legata nel 35% dei casi a mutazione

germinale del gene CDKN2A(p16).34

• Sindrome del carcinoma colorettale ereditario non poliposico (HNPCC)

associata ad una maggiore suscettibilità allo sviluppo di neoplasia pancreatica di

istotipo midollare ed alla mutazione di MSH2.35

• Pancreatite ereditaria autosomica dominante da mutazioni del gene per il

tripsinogeno cationico PRSS1 aumenta il rischio di cancro pancreatico di circa

8

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70 volte.36, 37 38

• Recentemente sono state identificate mutazioni germinali nel gene ATM in

pazienti provenienti da famiglie con casi multipli di tumore al pancreas. Ulteriori

analisi hanno poi rilevato mutazioni di tal gene in 4 di 166 individui con

carcinoma pancreatico familiare.39

1.5 Anatomia patologica

Le neoplasie derivanti dalla componente esocrina sono comprese secondo il sistema

classificativo WHO in un ampio gruppo di entità nosografiche, sia comuni che rare,

assieme alle loro varianti che non differiscono per trattamento.

In tabella 1 ne diamo uno schema semplificato:

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Tumori cistici Tumori solidi

Benigni

• Cistoadenoma sieroso

• Cistoadenoma mucinoso

• IPMN (neoplasia mucinosa

papillare intraduttale)

Maligni

• Cistoadenocarcinoma sieroso

• Cistoadenocarcinoma mucinoso

• Adenocarcinoma papillare

mucinoso

• Carcinoma solido pseudopapillare

Benigni

• Adenoma duttale

Maligni

• Adenocarcinoma duttale con le sue

varianti:

◦ adenocarcinoma mucinoso non

cistico (colloide)

◦ a cellule ad anello con castone

◦ carcinoma adenosquamoso

◦ epatoide

◦ midollare

◦ misto duttale-endocrino

◦ indifferenziato (anaplastico)

◦ a cellule giganti osteoclast-like

• Carcinoma a cellule acinari

• Pancreatoblastoma

Tabella 1.1. Classificazione delle neoplasie del pancreas esocrino

Gran parte delle lesioni cistiche sono di natura benigna, rappresentate da pseudocisti

originatesi a seguito di episodi di pancreatite acuta severa. Soltanto il 10-15% di tutte le

cisti pancreatiche è di natura neoplastica, e rispetto alla totalità dei tumori pancreatici ne

costituisce il 5%.

I tumori cistici possono essere benigni, bordeline o maligni. Pertanto riferendoci a

forme benigne e bordeline parleremo di cistoadenoma, nel caso di forme maligne di

carcinoma40.40 In questo gruppo includiamo le neoplasie sierose cistiche, le neoplasie

mucinose cistiche, le neoplasie mucinose papillari intraduttali (IPMN) e le neoplasie

solide pseudopapillari; le forme a secrezione mucinosa sono prevalenti.

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Le neoplasie cistiche sierose interessano soprattutto il sesso femminile a partire dalla

sesta decade di vita, con una lieve predominanza di sede a livello della testa pancreatica.

Sono tipicamente asintomatiche, talvolta, però, per le loro dimensioni possono

presentarsi come masse addominali palpabili associate a dolore addominale, malessere,

fatigue ed ittero ostruttivo.

Il cistoadenoma sieroso microcistico è la forma più frequente e nella stragrande

maggioranza dei casi benigna, rari i casi riportati di cistoadenocarcinoma sieroso,

caratterizzato dalla presenza di metastasi epatiche e linfonodali. Il cistoadenoma sieroso

presenta anche una variante macrocistica (oligocistica) da differenziare a fini

prognostici dalle neoplasie mucinose.

Microscopicamente presenta un rivestimento costituito da cellule uniformi, cuboidali,

ricche di glicogeno ed è in genere composto da numerose piccole cisti, contenenti un

liquido acquoso, paglierino, che gli conferiscono un aspetto a “nido d’ape” (variante

microcistica), con sottili setti e talvolta con cicatrice centrale. In alcuni casi le cisti

possono assumere dimensioni maggiori di 2 cm, e l'adenoma può essere costituito

esclusivamente da una o poche cisti voluminose (adenoma oligocistico o macrocistico).

La resezione chirurgica conservativa è risolutiva nella stragrande maggioranza dei casi e

non richiede follow-up.

Le neoplasie cistiche mucinose colpiscono anch'esse principalmente il sesso femminile,

in età perimenopausale però (quarta-quinta decade), e sono frequentemente localizzate

nel corpo-coda. Generalmente asintomatiche e rilevate incidentalmente, talvolta

possono presentarsi come masse non dolenti e con perdita di peso.

Hanno l'aspetto di singole masse uniloculate o multiloculate macrocistiche. Le cisti,

ripiene di materiale spesso e compatto, sono rivestite da epitelio colonnare mucinoso e

si associano a stroma denso simile a quello ovarico. A differenza dell'IPMN non vi è

comunicazione con i dotti pancreatici principali.

L'unico modo per distinguere la forma benigna dalla sua controparte maligna e da quella

borderline è l'esame istopatologico dopo completa resezione chirurgica: valutando lo

spessore e le variazioni strutturali dell'epitelio colonnare, le atipie citologiche e l'indice

mitotico si può discernere tra forme di displasia lieve, moderata, severa fino alle forme

invasive, caratterizzate dalla presenza di calcificazioni periferiche, pareti spesse e

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vegetazioni intramurali ipervascolarizzate.

L'approccio chirurgico seguito da follow-up è pertanto mandatorio. Nel 30% dei casi si

riscontrano cistoadenocarcinomi, con una sopravvivenza a 5 anni del 50%.

Anche le neoplasie mucinose papillari intraduttali (IPMN) formano cisti mucinose, ma

sono più frequenti nel sesso maschile, tra i 60 ed i 70 anni. Di solito interessano la testa

del pancreas, ma nel 20-30% dei casi possono essere multifocali o, in una percentuale

minore, estendersi diffusamente all'interno della ghiandola. Originano da cellule

mucosecernenti che rivestono i dotti pancreatici. L’eccessiva produzione di muco porta

ad ectasie cistiche del dotto principale, dei collaterali, o di entrambi, e talvolta è

possibile documentare endoscopicamente il muco mentre fuoriesce dalla papilla di

Vater, che, in aggiunta, presenta un orifizio pancreatico dilatato. Il secreto denso e

vischioso presente all'interno dei dotti può condurre all'iperplasia ed alla stenosi degli

stessi, con possibile sviluppo di episodi di pancreatite acuta su un quadro sottostante di

pancreatite cronica.

Visti i rapporti con i dotti pancreatici è possibile suddividere le IPMN in: main duct

(MD), branch duct (BD) ed IPMN combinata, interessante sia il dotto pancreatico

principale che quelli secondari. Questa distinzione non è puramente nosografica, poiché

le forme main duct sembrano essere caratterizzate da una maggiore aggressività clinica

e da un più elevato potenziale di malignità.

Microscopicamente queste proliferazioni intraepiteliali di epitelio colonnare possono

essere suddivise in 4 differenti istotipi: intestinale, gastrico, pancreaticobiliare ed

oncocitico. Queste forme sono associate ad un differente tasso di sopravvivenza: il

migliore è associato a quello gastrico; il peggiore a quello pancreaticobiliare.

Dal punto di vista clinico sono generalmente asintomatiche, anche se non è escluso che

si possano manifestare con dolore addominale, perdita di peso, ittero e diabete di

recente insorgenza.

Le IPMN si rivelano maligne nel 60% delle forme main duct e nel 30% delle forme

branch duct, perciò le prime ricevono sempre un trattamento chirurgico, che sarà più o

meno conservativo in funzione della risposta dell'esame intraoperatorio in merito alla

presenza o meno di un margine negativo longitudinalmente al decorso dei dotti.41 Per le

seconde, soprattutto quando asintomatiche o in pazienti anziani e dall'elevato rischio

12

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chirurgico, si predilige invece uno stretto follow-up clinico, per passare alla resezione

nel caso in cui le cisti abbiano dimensioni superiori ai 3 cm, o si riscontri la presenza di

noduli o ectasie del dotto di Wirsung, o la malattia divenga sintomatica.42

Le neoplasie solide pseudo papillari affliggono soprattutto giovani donne tra i 20 e i 30

anni. Si tratta di masse ampie, ben delimitate, caratterizzate da un'alternanza di aree

solide e cistiche, queste ultime ricche di materiale necrotico-emorragico; alla periferia

sono presenti calcificazioni.

Microscopicamente la componente solida è costituita da cellule organizzate in strutture

pseudopapillari intorno a piccoli vasi sanguigni. Causano spesso dolori addominali date

le cospicue dimensioni. Il trattamento di scelta è chirurgico, e sebbene alcuni abbiano

un'aggressività locale, la maggior parte conosce un decorso benigno se completamente

asportati.Il pathway β-catenina/APC è quasi sempre alterato.43

Nell'insieme dei tumori solidi comprendiamo l'adenocarcinoma duttale con le sue

numerose varianti, il carcinoma a cellule acinari, ed il pancreatoblastoma.

I pancreatoblastomi sono neoplasie rare che compaiono soprattutto nei bambini. Si

presentano come masse capsulate, con lobuli e foci di cellule relativamente uniformi

separati da un denso stroma fibroso. Hanno un aspetto istologico distintivo con aree di

epitelio acinare, nidi di cellule squamose e cellule endocrine sparse. Spesso presentano

la perdita di eterozigosi del braccio corto del cromosoma 11.44 Si tratta di forme

altamente maligne, un terzo dei pazienti presenta metastasi alla diagnosi.

L'adenocarcinoma duttale è l'istotipo più frequente, costituisce più del 90% delle

neoplasie pancreatiche non endocrine, sebbene l'epitelio duttale costituisca meno del

10% del volume ghiandolare. Circa il 60% insorge nella testa, che comprende anche il

processo uncinato, il 15% nel corpo, il 5% nella coda ed il 20% infiltra diffusamente

l'intera ghiandola.

13

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Appare spesso come una massa solida, mal definibile, di aspetto stellato, colorito

bianco-grigiastro e cosistenza duro-lignea. Più raramente, può presentare un aspetto

disomogeneo e talora “cistico” per l'effetto di modificazioni regressive, di tipo

necrotico-emorragico.

Ha una spiccata invasività locale: i tumori della testa possono ostruire il coledoco

retropancreatico ed il dotto di Wirsung e, nelle fasi avanzate, possono estendersi alla

papilla di Vater ed infiltrare il duodeno, con conseguente sviluppo di ittero e di

pancreatite cronica ostruttiva. I tumori del corpo e della coda possono infiltrare ed

occludere esclusivamente il dotto pancreatico, con dilatazione di questo, in assenza di

variazioni a carico del dotto biliare principale. Maggiore per i tumori presenti in queste

ultime sedi l'infiltrazione di retroperitoneo, stomaco, colon trasverso, milza, omento e

surreni. Da notare l'elevata frequenza di infiltrazione vascolare, linfatica e perineurale

intra ed extrapancreatica già in una fase precoce della storia naturale della malattia.

Microscopicamente, il carcinoma del pancreas è caratterizzato dalla presenza di

strutture simil-duttali disperse in una ricca matrice stromale desmoplastica. La

componente ghiandolare ricalca, in misura variabile, i caratteri dell’epitelio colonnare

dei dotti pancreatici, ma non possiede caratteri distintivi rispetto all’epitelio del sistema

biliare o della papilla di Vater. La reazione desmoplastica conferisce alla neoplasia una

consistenza lignea ed in casi particolari un aspetto definito a "cicatrice"; induce, inoltre,

14

Figura 1.5. Sede di origine delle neoplasie pancreatiche.

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una considerevole riduzione del letto vascolare, che costituisce uno dei segni utili per la

diagnosi differenziale radiologica tra tessuto normale e carcinoma. Carattere questo che,

all'esame istopatologico, è reso meno evidente dalle concomitanti modificazioni fibrose

che si instaurano nel parenchima pancreatico peritumorale (pancreatite cronica

ostruttiva).45 I caratteri immunoistochimici più rilevanti ricalcano il fenotipo della

cellula duttale, con la positività per CEA, CA19-9, DUPAN-2, per le citocheratine

7,8,18,19 e, solo raramente, per la citocheratina 20. In particolare, le cellule tumorali

esprimono le apomucine MUC1 e MUC5AC (segno di transdifferenziazione gastrica).46,

47 Più recentemente è stata riportata la positività per diversi tipi di proteine: S100,

mesotelina, antigene staminale prostatico, e claudina 4 e 18.48 All'osservazione

microscopica si osservano tubuli neoplastici delimitati da cellule cilindriche o cuboidi

con nuclei larghi e irregolari e citoplasma chiaro contenente quantità variabili di

mucina.

Sulla base delle caratteristiche citoarchitettoniche il WHO ha riconosciuto tre gradi di

differenziazione per l'adenocarcinoma pancreatico:49

• G1, ben differenziato: caratterizzato dalla presenza di ghiandole neoplastiche

tubulari distinte, associate ad acini ed isole di cellule non neoplastiche. Le

cellule sono prevalentemente colonnari mucina-secernenti, dal citosol chiaro,

eosinofilico con nuclei rotondi, a volte ovali e nucleolo ben evidente.

• G2, moderatamente differenziato: con strutture tubulari di media dimensione,

immerse in un ricco stroma desmoplastico che ha sostituito totalmente il tessuto

acinare. Rispetto alla forma ben differenziata sono presenti un maggior grado di

atipia e più figure mitotiche.

• G3, scarsamente differenziato: qualificato dalla presenza di ghiandole

fittamente ammassate. La componente acinare non è più evidente. Si

distinguono inoltre foci di differenziazione squamosa e totalmente anaplastici

(circa il 20% del tessuto tumorale). La desmoplasia è scarsa, molto più marcata

invece la presenza di aree necrotiche ed emorragiche.

Il grading istologico dell’adenocarcinoma del pancreas è un importante fattore

prognostico indipendente. In tabella 1.2 ne forniamo un riassunto sulla base del

differenziamento in senso tubulare, della capacità di produrre mucina, del numero di

15

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mitosi pcm (per campo microscopico) e del grado di atipia nucleare.

Grado

tumorale

Differenziazion

e ghiandolare

Produzione di

mucina

Mitosi (pcm) Atipie

nucleari

Grado 1 Ben

differenziato

Intensa 5 Lieve

polimorfismo,

riarrangiamento

polare

Grado 2 Moderatamente

differenziato

Irregolare 6-10 Polimorfismo

moderato

Grado 3 Scarsamente

differenziato

Assente >10 Polimorfismo

marcato,

aumento

dimensioni

nucleari

Tabella 1.2 Grading istologico dei carcinomi del pancreas

Sono considerate varianti istologiche quelle neoplasie che presentano una seppure

minima componente di adenocarcinoma duttale classico associata ad altri pattern

microscopici.

La variante cistica dell’adenocarcinoma duttale, dovuta alla degenerazione cistica o alla

formazione di ectasie del dotto pancreatico, può mimare i carcinomi mucinoso-cistici e

le IPMN. Risulta pertanto fondamentale fare una corretta diagnosi differenziale in

quanto gli adenocarcinomi hanno una prognosi nettamente peggiore.

Il carcinoma mucinoso non cistico (colloide) è composto da ghiandole e cellule ben

differenziate immerse in abbondanti laghi di mucina extracellulare. Al taglio si

presentano per l'appunto gelatinosi o colloidi, in assenza di modificazioni cistiche. Ha

una frequenza dell'1-3%. La diagnosi differenziale nei confronti del carcinoma

mucinoso-cistico e di quello papillifero intraduttale è effettuata mediante il riscontro di

connessioni con il sistema duttale pancreatico e dall’osservazione del tipico struma

ovarii. La prognosi di questi due istotipi è migliore di quella dell’adenocarcinoma

16

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tipico.

Il carcinoma mucosecernente a cellule ad anello con castone ha una bassa frequenza,

inferiore all'1%: ecco che, pertanto, il suo riscontro deve far porre sempre diagnosi

differenziale con carcinoma gastrico o mammario, prima di formulare la diagnosi di

primitività pancreatica.

Il carcinoma adenosquamoso è rappresentato da un insieme di due componenti: una

ghiandolare, prevalente, ed una squamosa, che ammonta a circa il 30% del totale. Ha un

comportamento clinico estremamente aggressivo, è dotato infatti di elevato potenziale

metastatico. A livello delle ripetizioni la componente adenocarcinomatosa può essere l'

unico pattern presente. La prognosi risulta peggiore rispetto a quella dell'

adenocqrcinoma tipico. La sua frequenza si attesta attorno al 3-4% di tutti i tumori

pancreatici.

Il carcinoma midollare è caratterizzato da crescita espansiva, spiccato infiltrato

infiammatorio peritumorale e da scarsa differenziazione cellulare. Ha una prognosi

migliore.

Il carcinoma misto duttale-endocrino è caratterizzato dalla presenza di una componente

endocrina superiore al 30%, e da una componente duttale positiva per mucine e CEA. Si

tratta comunque di tumori estremamente rari, il cui comportamento clinico è ascrivibile

a quello della componente duttale.

Il carcinoma indifferenziato o anaplastico è composto da cellule ampie pleomorfe,

cellule giganti o cellule fusate. Può presentare ampie aree necrotiche.

Microscopicamente si possono rilevare alcune varianti che vanno poste in diagnosi

differenziale con sarcomi, carcinosarcomi e con le metastasi di carcinomi indifferenziati

di altra origine. In passato è stato infatti descritto come tumore sarcomatoide. La

prognosi è peggiore rispetto alla forma tipica. Rappresenta il 2-7% di tutte le neoplasie

pancreatiche.

Il carcinoma indifferenziato a cellule giganti di tipo similosteoclastico (osteoclast-like)

è composto da cellule epiteliali indifferenziate con morfologia fusata o rotondeggiante,

associate ad una componente reattiva di cellule mesenchimali giganti di tipo

osteoclastico. Data la presenza di matrice osteoide, notevoli sono le somiglianze col

tumore a cellule giganti dell’osso. Questo istotipo, estremamente aggressivo e raro,

17

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rappresenta solo l’1% dei tumori pancreatici. La prognosi è particolarmente severa.

Il carcinoma a cellule acinari si presenta soprattutto negli adulti, maschi, intorno alla

sesta decade e costituisce circa l' 1% delle neoplasie del pancreas esocrino.

Microscopicamente, la neoplasia presenta sia aspetti solidi, sia trabecolari e simil-

acinosi, ed è caratterizzata da cellule con abbondante citoplasma eosinofilo, granulare,

Pas-positivo e nucleo rotondeggiante con evidente nucleolo. La presenza di atipie e

necrosi consente di differenziare le varianti cistiche, classificate come

cistoadenocarcinomi acinari, dalle forme cistiche benigne o cistoadenoadenomi a cellule

acinose. La differenziazione di tipo acinare è dimostrabile con la immunoreattività per

la tripsina. Raramente può essere presente una componente cellulare neoplastica con

differenziazione endocrina. Molti pazienti presentano sintomi aspecifici legati alla

presenza di una massa pancreatica, ma un 15% circa presenta una sindrome

caratterizzata da necrosi del grasso sottocutaneo, eosinofilia e poliartralgie causata

dall’aumentato rilascio di lipasi in circolo.49

Un ampio corpo di evidenze sperimentali accumulate nell'ultimo decennio ha

dimostrato che l'adenocarcinoma duttale pancreatico segue un pattern di progressione da

epitelio non neoplastico - lesioni non invasive a livello dei piccoli dotti-carcinoma

invasivo, analogo a quello osservato nella sequenza adenoma-carcinoma colonrettale.

Queste lesioni preneoplastiche sono conosciute come “neoplasie pancreatiche

intraepiteliali”( Pancreatic Intraepithelial Neoplasias, PanIN). L'esistenza di questa

sequenza è supportata: dal riscontro di lesioni proliferative distinte istologicamente a

livello dei duttuli e dotti pancreatici in prossimità di adenocarcinomi infiltranti; da studi

clinici che hanno dimostrato una consequenzialità temporale, più o meno dilazionata nel

tempo, tra lo sviluppo di lesioni duttali e carcinoma invasivo; dalla dimostrazione di

alterazioni genetiche analoghe tra PanIN e neoplasie invasive, e soprattutto l'aumentare

di queste, in funzione dello sviluppo di atipie citologiche ed architetturali da parte delle

lesioni intraepiteliali; infine, le cellule epiteliali delle PanIN presentano un notevole

accorciamento dei telomeri, favorente l'accumulo di variazioni cromosomiche.50, 51

Le PanIN vengono classificate in funzione del grado di atipia cito-architettonica in:

• PanIN-1A : lesioni caratterizzate da un epitelio cilindrico monostratificato

mucina-secernente. Le cellule presentano nuclei basali, privi di atipie ed

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abbondante citoplasma.

• PanIN-1B: lesioni simili alle PanIN-1A, ma l'epitelio cilindrico è organizzato in

strutture micropapillari.

• PanIN-2: lesioni caratterizzate da una proliferazione epiteliale micropapillare,

con diverse anomalie nucleari tra cui: la pseudostratificazione, l’aumento di

dimensioni, la perdita di polarità e l'ipercromatismo. Le atipie citologiche si

mantengono di grado moderato e le mitosi sono rare.

• PanIN-3: caratterizzate da un epitelio cilindrico organizzato in strutture

micropapillari o cribiformi, con necrosi intraluminale. Le atipie citologiche sono

marcate ed elevato l'indice proliferativo.

1.6 Genetica e biologia molecolare

Il protooncogene KRAS, localizzato sul cromosoma 12p, è mutato somaticamente nel

95% dei tumori pancreatici.52 Si tratta di un evento che si realizza precocemente nella

tumorigenesi, infatti la conversione della proteina kras ad oncogene assieme

all'iperespressione di HER2/neu si ritrova già nelle PanIN-1A e B.50 Kras normalmente

integra e regola segnali di trasduzione del segnale derivanti da fattori di crescita che si

legano ai propri recettori di membrana ed è responsabile della risposta cellulare a

stimoli esterni. Controlla una serie sempre crescente di pathway di trasduzione, con

altrettante strategie di espressione genica: ha un ruolo centrale nella gestione di segnali

mitogenici e metabolici, tra cui la via delle MAPK (Mitogen-Activated Protein

Kinase)/ERK (Extracellular Signal-Regulated Kinase). Le mutazioni somatiche

compromettono generalmente la sua attività GTPasica impedendogli di ritornare allo

stato inattivo. Kras diviene pertanto, a prescindere dai segnali a monte mediati da GF,

EGFR, Raf1 e Braf, costituzionalmente attivo e porta in ultima istanza, attraverso tutte

le vie di trasduzione del segnale controllate, all'attivazione dei fattori di trascrizione fos

e jun. Talvolta si riscontrano anche iperespressione di EGFR e mutazioni puntiformi

attivanti di Braf.53

Un altro gene inattivato è l'oncosoppressore CDKN2A/p16, localizzato sul cromosoma

9p, la sua perdita di funzione si realizza nel 95% dei tumori pancreatici a mezzo di

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delezione cromosomica, perdita di eterozigosi o metilazione del promotore.54, 55

L'inattivazione di p16 accompagna il progressivo incremento di atipie citologiche ed

architetturali a carico delle lesioni duttali e si ritrova generalmente nelle PanIN-2 e nel

70% circa dei carcinomi in situ.50

La proteina p53, regolatrice dell'equilibrio tra progressione attraverso i check-points del

ciclo cellulare e l'apoptosi in caso di danno genomico riparabile o meno, risulta

inattivata in circa il 75% dei carcinomi pancreatici.56

Le proteine Smad mediano a livello nucleare la trasduzione del segnale da parte dei

recettori appartenenti alla superfamiglia del TGFß, tra queste la proteina Smad4 è quella

il cui gene SMAD4 (DPC4 o MDH4), localizzato sul cromosoma 18q, è mutato in circa

il 50% dei tumori pancreatici. Si tratta di delezioni e mutazioni puntiformi associate a

perdita di eterozigosi.57 La normale funzione di Smad4 è quella di sopprimere la crescita

cellulare e promuovere l57' apoptosi.

Talvolta si riscontrano mutazioni anche a carico dei geni per i recettori dimerici del

TGFß che provocano o sottoespressione recettoriale o resistenza all'azione del fattore di

crescita.58

Anche nelle forme sporadiche ritroviamo mutazioni di geni i cui prodotti sono implicati

nella riparazione delle rotture a doppio filamento del DNA: come BRCA2, mutato nel

20

Figura 1.6. Modello di progressione del tumore pancreatico.(Hruban et al., Cancer Research Aacrj, 2000)

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7% dei casi; PALB2 che codifica per una proteina che lega Brca2 stessa; FANCC e

FANCG; in alcuni tumori sono state riscontrate mutazioni inattivanti di BRCA1.

Il gene SKT11 ancora, responsabile della Sindrome di Peutz-Jeghers associata in un

terzo dei casi a tumore pancreatico, è mutato nel 4% delle forme sporadiche.53

Da notare inoltre che la perdita di funzione di p53, DPC4 e BRCA2 sono eventi tardivi

nella carcinogenesi pancreatica e sono riscontrati in lesioni dalle marcate atipie

strutturali e citologiche, come nelle PanIN-3.50

In un articolo di recente pubblicazione, dall'analisi del sequenziamento genomico e

delle variazioni del numero di copie in 100 adenocarcinomi pancreatici è risultato che i

riarrangiamenti cromosomici sono prevalenti e generalmente conducono a rottura

proprio in corrispondenza di sequenze codificanti, note per essere preminenti nell'

oncogenesi pancreatica come TP53, SMAD4, CDKN2A, ARID1A e ROBO2 e nuovi

geni tra cui KDM6A, importante nella regolazione delle modificazioni cromatiniche e

PREX2, inattivato nel 10% degli adenocarcinomi duttali.

Sono stati individuati diversi pattern di variazioni strutturali che hanno consentito di

definire 4 sottotipi di adenocarcinoma duttale potenzialmente utili da un punto di vista

clinico: stable; locally rearranged; scattered; unstable.Il primo è caratterizzato da

aneuploidia diffusa, il che suggerirebbe un' alterazione della regolazione del ciclo e

della divisione cellulare ed infatti si caratterizza soprattutto per mutazioni puntiformi di

Kras e Smad4. Il secondo sottotipo costituisce il 30% del totale, presenta una

proporzione elevata di amplificazioni, guadagno di numero di copie di oncogeni noti

come ERBB2, MET, FGFR1, CDK6, PIK3R3 e PIK3CA: possibili bersagli di terapie

molecolari. Il sottotipo scattered è quello più frequente, caratterizzato da un esiguo

numero di variazioni strutturali, a differenza dell'ultimo sottotipo “instabile”, che ne può

presentare da un minimo di 200 ad un massimo di 558. Questa condizione è giustificata

dalla maggiore sensibilità verso agenti di danno genomico dovuta a difetti nei geni di

mantenimento e riparazione del DNA come BRCA1, BRCA2, PALB2 ed in altri sistemi

di mantenimento non BRCA2 correlati. Inoltre 8 di questi pazienti appartenenti al

fenotipo instabile hanno ricevuto una terapia con agenti intercalanti a base di platino e 4

su 5 dei pazienti con difetti in questo sistema di riparazione hanno risposto.

Dunque questi dati aprono la possibiltà, anche per l'adenocarcinoma pancreatico, alla

21

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definizione di fattori predittivi molecolari di risposta agli agenti chemioterapici

attualmente disponibili.59

1.7 Storia naturale

L'estensione locoregionale della neoplasia varia a seconda della sede del tumore

primitivo: se cefalico circonda, comprime ed infiltra precocemente il coledoco o

l’ampolla di Vater e il duodeno. Determina inoltre compressione o infiltrazione delle

radici nervose e dei grossi vasi retropancreatici quali la vena porta, il tronco celiaco, le

arterie mesenterica superiore ed epatica comune e le vene. Nelle localizzazioni del

corpo e della coda può rimanere silente più a lungo accrescendosi nello spazio

retroperitoneale. A causa delle grosse dimensioni, spesso vi è coinvolgimento per

contiguità della milza, dello stomaco, del surrene sinistro e del colon.

L'interessamento linfonodale, data la ricca rete linfatica intrapancreatica, è precoce e

frequente ed è riscontrabile in circa il 40% dei pazienti alla diagnosi. I linfonodi più

frequentemente coinvolti sono i linfonodi peripancreatici, gastrici, mesenterici,

omentali, porto-cavali ed epatici.

Le ripetizioni per via ematogena si concentrano prevalentemente a livello epatico. Circa

il 30-50% dei pazienti presenta metastasi epatiche alla diagnosi, mentre nel 50-70% dei

casi il fegato è interessato come sede di recidiva a distanza dopo resezione del tumore

primitivo. Altre possibili sedi di metastasi ematogene sono i polmoni, il peritoneo e,

meno frequentemente, reni, surreni, ossa e cute.53

1.8 Quadro clinico, diagnosi e stadiazione

Il tumore del pancreas tende a rimanere silente o a dare sintomi vaghi ed aspecifici per

buona parte della storia naturale della malattia, almeno fino a che non coinvolge le

strutture anatomiche circostanti.

Le modalità e la rapidità d'esordio dei sintomi e dei segni clinici variano in rapporto alla

localizzazione del tumore (testa e processo uncinato, corpo e coda). I tumori cefalici si

22

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manifestano, infatti, più precocemente rispetto alle localizzazioni del corpo-coda con

comparsa di ittero a ciel sereno legato alla compressione o alla infiltrazione della via

biliare principale. Spesso l’ittero si associa alla presenza di urine ipercromiche (color

marsala), feci ipocoliche e prurito. All'anamnesi sovente si raccolgono episodi pregressi

di coliche biliari, dispepsia o dolore epigastrico postprandiale precoce. Altri tumori della

testa non interessano la via biliare, piuttosto il duodeno potendo determinare occlusioni

intestinali alte.

Un sintomo caratteristico è il dolore mesogastrico o in ipocondrio destro, a barra,

irradiato posteriormente ed esacerbato dall'assunzione del cibo. La sua genesi è da

ricondurre all'infiltrazione perineurale e della capsula pancreatica; e, durante il pasto, al

rilascio di secretina, che stimolando la secrezione pancreatica e favorendo la

contrazione del sistema duttale, inglobato nella reazione desmolastica tumore indotta,

causa una condizione di ipertensione duttale, dunque dolore ed anoressia.

Nelle localizzazioni corpo-coda il dolore insorge quando il tumore ha raggiunto

dimensioni notevoli o ha una diffusione extraghiandolare. Inizialmente il dolore è vago,

non specifico, di lunga durata (più di sei mesi) per poi diventare molto più intenso,

opprimente, urente: diviene “Il Sintomo per eccellenza” dei pazienti affetti da

adenocarcinoma duttale. La causa è rappresentata dall'infiltrazione dei plessi celiaco e

mesenterico. Generalmente la presenza del dolore è indice di malattia avanzata non

resecabile o addirittura metastatica, anche se ancora questo non sia stato confermato

dalla diagnostica per immagini.60

L'insufficienza esocrina, testimoniata dal calo ponderale (dovuto anche al ridotto

introito calorico, per i motivi sopradetti), creatorrea e steatorrea, è infrequente come

sintomo d'esordio e mentre risulta di lieve entità e gestibile nelle sue fasi iniziali, questo

non è vero dopo terapia chirurgica resettiva o trattamento radioterapico.

Occasionalmente un episodio di pancreatite acuta può essere uno dei sintomi di

presentazione della malattia, causata dalla compressione, infiltrazione ed ostruzione del

del sistema duttale pancreatico. Pertanto, in un paziente che non presenti fattori di

rischio per lo sviluppo di episodi flogistici acuti a carico della ghiandola, un'eteroplasia

sottostante deve essere sospettata fino a prova contraria.61

Nel 10% dei casi il primo sintomo è rappresentato dall'insorgenza di ridotta tolleranza

23

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glucidica, dallo sviluppo di diabete mellito franco o dallo scompenso di un diabete

mellito diagnosticato in precedenza. Anche in questo caso bisogna essere dunque vigili

di fronte ad un'alterazione del metabolismo glucidico insorta in età adulta, magari

associata a dolore, anoressia e perdita di peso.

Non è raro il riscontro in anamnesi di una sindrome ansioso-depressiva grave

precedente alla diagnosi di malattia neoplastica, probabilmente legata alla

disregolazione del sistema neuroendocrino creata dalla neoplasia stessa.

Tra i segni clinici si osservano ittero, lesioni eczematose da grattamento causate dalla

presenza in circolo di sali biliari, decadimento dello stato generale e perdita di peso

legata al depauperamento della massa magra. Nelle fasi avanzate si riscontrano

epatomegalia, colecisti palpabile (segno di Courvoisier), massa addominale e

versamento ascitico.

A volte possono associarsi alcune sindromi paraneoplastiche come la liponecrosi

sottocutanea, diffusa al tronco e agli arti inferiori, l’ipercalcemia e la tromboflebite

migrante, nota come segno di Trousseau, che si verifica nel 10% circa dei pazienti e può

essere attribuita alla produzione di fattori ad azione aggregante piastrinica e

procoagulante da parte del tumore.62, 63

Dal momento che ad oggi le opzioni terapeutiche chirurgiche ed oncologiche per il

tumore pancreatico stanno divenendo sempre più sofisticate, il ruolo della diagnostica

per immagini è sempre più importante, non solo per la diagnosi, la stadiazione e la

definizione di resecabilità ma anche per un adeguato monitoraggio del trattamento

medico.

L'ecografia addominale rappresenta la metodica di primo impiego nello studio del

pancreas, soprattutto quando la malattia si manifesta con dolore addominale ed ittero a

ciel sereno essendovi la necessità di porre diagnosi differenziale con patologie a carico

delle vie biliari; è un esame sicuro, non invasivo e poco costoso. I noduli neoplastici

appaiono come masse solide, ipoecogene, ipovascolarizzate, dai margini irregolari ed

accompagnate dalla dilatazione della via biliare principale e del dotto di Wirsung,

soprattutto in caso di tumori della testa. I tumori del corpo e della coda sono meno

rilevabili, data l'assenza di segni indiretti della loro presenza ed il frapporsi dello

stomaco e del colon trasverso. Non si tratta tuttavia di una metodica sensibile, dal

24

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momento che piccoli noduli di dimensioni inferiori ai 3 cm restano generalmente

misconosciuti e che, vista la sede del pancreas nello spazio retroperitoneale, in

profondità rispetto alle anse intestinali la ghiandola risulta difficilmente indagabile. La

sensibilità è controversa ed a seconda dei diversi lavori si attesta tra il 50 ed il 90%.64, 65

Associando il controllo Doppler essa diviene dell' 84% e la specificità del 94%.66 Inoltre

l'accuratezza nella valutazione dell'interessamento vascolare sempre a mezzo dell'uso

della funzionalità Doppler è dell' 84% per quanto concerne l'asse venoso spleno-porto-

mesenterico, e dell' 87% per la definizione dell'infiltrazione della parete dei vasi

arteriosi.67

Si tratta comunque di una metodica fortemente operatore-dipendente, non oggettivabile

e dunque non indicata per la stadiazione e la valutazione della resecabilità del tumore.

La TC multistrato con mezzo di contrasto, dotata di ottima risoluzione spaziale e

temporale, dovrebbe essere l'esame di prima scelta in caso di sospetto di tumore

pancreatico, rappresenta, infatti, il gold standard non solo per la diagnosi ma anche per

la stadiazione.68, 69 Numerosi studi hanno dimostrato che il 70-85% dei pazienti

considerati potenzialmente resecabili sulla base della valutazione dell'infiltrazione

vascolare alle scansioni TC, sono risultati realmente suscettibili di trattamento

chirurgico radicale.68, 70-72

Durante la fase basale pre-contrastografica è possibile escludere la presenza di

calcificazioni, e con esse il sospetto di pancreatite cronica. La fase contrastografica

precoce arteriosa (17-25 sec. dopo l'iniezione del contrasto) consente di valutare

l'impegno dell'aorta e dell'arteria mesenterica superiore; la fase arteriosa pancreatica

(35-50 sec.) massimizza la differenza tra parenchima sano iperdenso ed il tessuto

neoplastico ipodenso, in quanto fibrotico ed ipovascolarizzato. In tale fase, inoltre, si

ottiene la miglior definizione dei rapporti del tumore con i vasi arteriosi venendo

impiegato il minimo spessore di fetta (3 mm). Da tenere presente però che una piccola

percentuale di lesioni potrebbe risultare isodensa o addirittura essere piccola a tal punto

che la sua presenza potrebbe essere sospettata solo sulla base di una dilatazione

uniforme del dotto pancreatico principale a monte di essa, o della presenza del “segno

del doppio dotto”. Durante la fase venosa portale (55-70 sec.) è previsto l'impiego di

fette dallo spessore maggiore (5 mm) ed è consentita l'esplorazione dei quadranti

addominali medi e superiori al fine di evidenziare eventuali focolai peritoneali,

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secondarismi epatici e definire il rapporto tra la lesione pancreatica ed il tronco

splenomesenterico portale.68, 71 73

Nella fase di stadiazione è altamente raccomandato estendere la TC anche allo studio

del torace, al fine di rilevare eventuali micronoduli polmonari non apprezzabili alla

radiografia standard.

Gli svantaggi associati a quest'esame sono rappresentati dalla dose di radiazioni e dal

possibile sviluppo di nefropatia da contrasto.

Negli ultimi anni la RM ha conosciuto un miglioramento sensibile in termini di qualità

dell'immagine ed accuratezza diagnostica. Data la sua principale indicazione per lo

studio dei tessuti molli ci sono numerose situazioni in cui essa risulta superiore alla TC:

rilevazione di piccoli tumori, noduli neoplastici isodensi alla TC, infiltrazione focale

adiposa del parenchima. Le lesioni pancreatiche appaiono ipointense in sequenze T1-

pesate e, proprio in virtù dell'elevata risoluzione di contrasto tra la ghiandola ed il

tessuto adiposo circostante, la valutazione dell'infiltrazione peripancreatica appare

meglio definibile con la RMN che con altre metodiche. Si è inoltre dimostrata in alcuni

studi equivalente se non superiore ad altre metodiche di indagine per sensibilità,

specificità ed accuratezza nell’esprimere un giudizio di resecabilità.74, 75 Bisogna tenere

presente però, che, trattandosi di un'indagine multiparametrica, ha una refertazione

complessa, dunque anch'essa può essere considerata in parte operatore dipendente.

Ad ogni modo trova sempre indicazione nei pazienti con controindicazioni all'uso del

MdC iodato.

La RM viene spesso associata alla MRCP, che fornisce un'immagine tridimensionale

dettagliata dell'albero pancreatico-biliare, del parenchima epatico e delle strutture

vascolari. Consente di rilevare segni indiretti della neoplasia come alterazioni della

morfologia duttale, quali dilatazione prestenotica e successiva amputazione, o del

Wirsung o la presenza di calcoli o altre cause di alterazioni duttali e duttulari.

Rappresenta una valida alternativa all'ERCP, che ormai, visto l'elevato rischio di

sviluppare una pancreatite acuta ERCP-indotta, mantiene un'esclusiva indicazione

terapeutica e palliativa.

L'ecografia endoscopica o ecoendoscopia è un' indagine dalle molteplici potenzialità,

ma essendo altamente operatore-dipendente, ad oggi, il suo impiego è fortemente

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limitato. In mani esperte, ha una sensibilità diagnostica superiore alla TC per lesioni

neoplastiche piccole, inferiori ai 2 cm; è complementare alla TC ed alla RMN nella

stadiazione, chiarendo l'entità del coinvolgimento vascolare e linfonodale nei casi

dubbi.76 Tuttavia, la metodica risulta accurata soprattutto nell’individuare il

coinvolgimento del sistema portale piuttosto che dell’arteria mesenterica superiore.77

Utile anche nella diagnosi differenziale tra stenosi benigne e maligne, nella

caratterizzazione delle lesioni cistiche pancreatiche e delle lesioni periampollari

invasive rispetto alle non invasive. Infine l’ecografia endoscopica è l'unica che consente

di eseguire contemporaneamente un aspirato con ago sottile (FNAB) utile per la

diagnosi citologica; mentre l'ERCP permette un prelievo mediante brushing.

L'ecoendoscopia interventistica sta emergendo come presidio palliativo dal momento

che consente di effettuare la neurolisi del plesso celiaco, ovvero una splancnicectomia

chimica78.

La PET/TC non è una metodica routinaria in considerazione dell'elevato numero di falsi

positivi e della bassa risoluzione spaziale, pertanto non può essere impiegata per

esprimere un corretto giudizio di resecabilità. Trova invece indicazione nel follow-up,

qualora vi sia un sospetto di ripresa di malattia non chiarito dalle immagini TC o RM, e

nella diagnosi differenziale tra tessuto cicatriziale post-chirurgico o post-radioterapia e

ricorrenza di malattia.79

La laparoscopia esplorativa consente di evidenziare piccole lesioni epatiche o noduli

miliariformi peritoneali non documentabili con altre metodiche e selezionare così i

pazienti da sottoporre, a ragione, a chirurgia radicale.80 Ha un ruolo nella stadiazione in

pazienti candidati alla chirurgia radicale, ma aventi valori di Ca 19.9 molto elevati.81

La diagnosi istologica della lesione pancreatica è fondamentale prima dell'inizio di un

qualsiasi trattamento medico. Nel caso in cui la malattia sia resecabile questa sarà

piuttosto agevole e verrà effettuata sul pezzo operatorio; nel caso in cui, invece, la

malattia sia localmente avanzata e richieda un trattamento preoperatorio o di prima

linea, o sia metastatica sarà necessaria l'esecuzione di una biopsia. Quest'ultima potrà

essere effettuata sotto guida eco-endoscopica o per via percutanea TC-guidata. Il primo

approccio è preferibile, soprattutto in pazienti con malattia potenzialmente resecabile,

per il più basso rischio di disseminazione tumorale, di emorragia e di infezioni.82 In rari

casi, qualora la FNA sotto guida ecoendoscopica non sia possibile, si ricorre ad altre

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metodiche, come ad esempio biopsie intraduttali ottenute mediante colangioscopia

percutanea,83 biopsie laparoscopiche,84 brushing del dotto in corso di ERCP, come

poc'anzi anticipato.

Per quanto concerne le indagini umorali, nessun valore risulta specifico per il tumore

del pancreas. Tra i vari marcatori tumorali studiati (CEA, Ca19.9, Ca125, TPA) quello

risultato maggiormente sensibile è il Ca19.9, tuttavia nel 10% della popolazione

caucasica l'antigene di Lewis, di cui il Ca19.9 è un epitopo, è assente, dando origine

così a falsi negativi.85 Non vi è, inoltre, univocità sul valore soglia per porre diagnosi di

adenocarcinoma pancreatico. Anche dal punto di vista della specificità non si profila

come un marker di grande ausilio dal momento che sono numerose le condizioni che

provocano un suo incremento dando origine a falsi positivi: altre neoplasie del tratto

digerente; tutte le condizioni di colestasi (in cui aumenteranno anche bilirubina totale e

diretta, γGT, ALP); pancreatiti acute o croniche; ascessi pancreatici e pseudocisti.86

Controversi i dati riguardanti il suo valore predittivo in pazienti con malattia avanzata,87,

88 89 mentre risulta inconfutabile il suo valore come marcatore prognostico, dal momento

che bassi livelli ematici di Ca19.9 nel post-operatorio o un decremento dello stesso

influenzano positivamente la sopravvivenza.90, 91 Un recente studio tedesco ha

dimostrato che i valori basali di Ca19.9 e la sua cinetica hanno un valore prognostico

nei pazienti con tumore localmente avanzato durante la prima linea di chemioterapia.92

Da un punto di vista pratico, il tumore pancreatico è spesso distinto in resecabile,

localmente avanzato o metastatico. Infatti la prognosi e la sopravvivenza sono

strettamente correlate a queste definizioni, anche se queste categorizzazioni si

modificano lievemente tra le diverse scuole chirurgiche; tuttavia si sta cercando sempre

più di uniformarle. Il giudizio di resecabilità è l'aspetto più importante della stadiazione

clinica perché la chirurgia rappresenta l'unico trattamento potenzialmente curativo.

La stadiazione più corretta è quella patologica dopo resezione chirurgica, possibile,

però, alla diagnosi solo nel 20% dei casi.93 La classificazione TNM distingue i tumori

secondo il parametro T in resecabili (T1-T3) e localmente avanzati (T4), nella

stragrande maggioranza dei casi irresecabili data l'assenza di un chiaro piano di

clivaggio tra la massa neoplastica ed i vasi arteriosi, quali tripode celiaco, a. mesenterica

superiore (con alcune eccezioni), aorta e vena cava inferiore. Sulla base del TNM l '

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American Joint Committee on Cancer's (AJCC, VII ed.) ha definito la suddivisione in

stadi del tumore pancreatico. Lo stadio I descrive una malattia precoce, limitata al

pancreas, resecabile; mentre allo stadio II appartengono tutti i tumori resecabili,

indipendentemente dallo stato linfonodale. Lo stadio III comprende tumori borderline

resectable e localmente avanzati non resecabili, con un interessamento variabile delle

stazioni linfonodali, in assenza di impegno metastatico. Infine, lo stadio IV corrisponde

alla diffusione sistemica di malattia.94

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Stadiazione del carcinoma pancreatico esocrino

Tumore primitivo (T)

TX il tumore primitivo non può essere definito

T0 il tumore primitivo non è evidenziabile

Tis carcinoma in situ, incluso PanIN-3

T1 tumore limitato al pancreas, diametro maggiore minore o uguale a 2 cm

T2 tumore limitato al pancreas, diametro maggiore superiore a 2 cm

T3 tumore che si estende oltre il pancreas, senza coinvolgimento dell'asse celiaco o

dell'arteria mesenterica superiore

T4 tumore che interessa l'asse celiaco o l'arteria mesenterica superiore

Linfonodi regionali (N)*

Nx i linfonodi regionali non possono essere definiti

N0 assenza di metastasi ai linfonodi regionali

N1 presenza di metastasi ai linfonodi regionali

Metastasi a distanza (M)

Mx la presenza di metastasi a distanza non può essere definita

M0 assenza di metastasi a distanza

M1 presenza di metastasi a distanza

Suddivisione in Stadi

Stadio 0 TisN0M0

Stadio IA T1N0M0

Stadio IB T2N0M0

Stadio IIA T3N0M0

Stadio IIB T1-3N1M0

Stadio III T4 ogni N M0

Stadio IV ogni T ogni N M1

Tabella 1.3. Classificazione TNM e suddivisione in stadi secondo l'AJCC (VII edizione).

*: Per una corretta stadiazione patologica e per definire la categoria pN0, devono essere individuatialmeno 10 linfonodi regionali. I linfonodi regionali peripancreatici comprendono anche quelli dell’arteria

epatica, del tripode celiaco, i linfonodi pilorici e gli splenici.

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1.9 Trattamento

L'adenocarcinoma pancreatico rappresenta ancora oggi una sfida dal punto di vista

terapeutico e prognostico. La chirurgia è di fatto l'unico trattamento potenzialmente

curativo, anche se una resezione chirurgica radicale al momento della diagnosi seguita

da chemioterapia adiuvante è possibile solo nel 10-20% dei pazienti con una

sopravvivenza a 5 anni del 20-25%.95, 96

La chirurgia resettiva pancreatica è tra le più complesse, e numerosi studi nel corso

degli ultimi 15 anni hanno dimostrato la necessità di concentrare questo genere di

interventi in poli di eccellenza e di alto volume: grazie all'esistenza di centri dedicati,

attualmente la mortalità associata a chirurgia pancreatica si attesta a valori inferiori al

5%.97 Visto l'alto potenziale curativo del trattamento chirurgico si può comprendere

come mai nel corso del tempo in centri dedicati siano stati effettuati interventi sempre

più demolitivi con resezioni vascolari e multiviscerali associate a trattamenti medici

adiuvanti e neoadiuvanti. Tuttavia non ci sono comprovate indicazioni e chiare

raccomandazioni in merito a tal genere di interventi,98 ed è recente la definizione da

parte dell' International Study Group for Pancreatic Surgery, secondo le linee guida del

National Comprehensive Cancer Network (NCCN), di criteri universalmente accettati

per la classificazione dei tumori pancreatici in resecabili, localmente avanzati

“borderline resectable” e non resecabili.99, 100

1.9.1 Criteri di resecabilità

Lo stato di non resecabilità è definito sulla base di criteri uniformemente accettati:101

1. presenza di metastasi a distanza

2. interessamento di stazioni linfonodali distanti dal “campo chirurgico” (es.

linfonodi mediastinici o sovraclaverari, linfonodi interaortocavali/periaortici)

3. infiltrazione di visceri extrapancreatici ad eccezione di via biliare principale e

duodeno

Da sottolineare il fatto che anche in situazioni tecnicamente suscettibili di asportazione

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chirurgica radicale, quali metastasi epatica singola o interessamento dei linfonodi

interaortocavali, non vi è indicazione alla resezione dal momento che non sono stati

riscontrati benefici in termini di sopravvivenza.102

Secondo le linee guida dell'NCCN, in riferimento all'infiltrazione dei vasi

peripancreatici possono essere identificate tre differenti situazioni:

- malattia localizzata e resecabile: tumore T3 con adesione/infiltrazione segmentale

della vena porta e della vena mesenterica superiore, in presenza o meno di metastasi a

carico dei linfonodi regionali;

-malattia “borderline resectable”:

• adesione, infiltrazione non segmentale o trombosi della vena mesenterica

superiore (SMV) o della vena porta con possibilità di resezione tangenziale o a

pieno canale con ricostruzione del vaso a partire dai monconi prossimale e

distale;

• infiltrazione >180° (encasement) della circonferenza dell' a. gastroduodenale

fino alla sua origine a livello dell' a. epatica comune, con eventuale

interessamento di quest'ultima, in assenza di estensione all'asse celiaco;

• interessamento dell' a. mesenterica superiore (SMA) per un'estensione minore di

180° della propria circonferenza.

-malattia localmente avanzata, non resecabile, in assenza di metastasi a distanza:

• infiltrazione >180° (encasement) dell'a. mesenterica superiore (SMA);

• infiltrazione del tripode celiaco, dell'aorta o della vena cava inferiore;

• infiltrazione >180° od occlusione del tronco spleno-mesenterico-portale in

assenza di possibilità di ripristino della continuità vascolare, oppure in presenza

di trasformazione cavernosa della v. porta.103

Dal momento che l'asportazione macroscopicamente e microscopicamente radicale del

tumore (resezione R0) è uno dei fattori prognostici più importanti dopo resezione

chirurgica, le neoplasie bordeline resectable rappresentano condizioni a più alto rischio

di resezioni R1 e R2.104 Pertanto, nei pazienti con tumore “borderline resectable” è utile

considerare nell'ambito di un percorso multidisciplinare un approccio terapeutico

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neoadiuvante, al fine di ottenere un miglior controllo locale di malattia alla ristadiazione

ed una eventuale successiva resezione completa.

Ad ogni modo è bene sottolineare che le resezioni vascolari arteriose, a dispetto di

quelle venose, sono associate ad una significativa mortalità e morbilità peri- e

postoperatoria. Costituiscono pertanto procedure che devono essere intraprese valutando

attentamente il rapporto rischio-beneficio per il singolo paziente e la perizia del gruppo

chirurgico.105

1.9.2 Trattamento chirurgico

Abbiamo già sottolineato l'esclusiva potenzialità curativa della chirurgia e la necessità

della sua esecuzione in centri dedicati ad alto volume al fine di ridurre la morbilità e la

mortalità associate alla pancreasectomia. Quando eseguita in centri specializzati, la

sopravvivenza mediana dopo intervento chirurgico varia da 15 a 19 mesi, e attualmente

la sopravvivenza a 5 anni dall’intervento è approssimativamente del 20%.106 Fattori

prognostici associati ad una migliore sopravvivenza dopo pancreasectomia sono:

margini di resezione negativi (R0), assenza di metastasi linfonodali, diametro del

tumore < 2 cm o comunque neoplasia confinata a livello pancreatico, tumore ben

differenziato (G1).107, 108 109

Assumendo l'istmo come discrimine tra la parte destra e sinistra dell'organo si

distinguono resezioni totali e parziali. Il tipo e l'estensione della resezione dipendono

dalla dimensione e dalla sede della neoplasia. Se alla laparotomia il tumore viene

considerato non resecabile o per estensione locale o per la presenza di metastasi a

distanza, è mandatorio eseguire una biopsia/prelievo citologico per ottenere una

diagnosi patologica di adenocarcinoma, a meno che la neoplasia non sia stata già

tipizzata in precedenza. L'obiettivo deve essere quello di ottenere una resezione

“oncologicamente radicale” associata ad un' adeguata linfoadenectomia.

L'intervento di scelta per il trattamento delle lesioni della testa e del processo uncinato è

la duodenocefalopancreasectomia, che consiste nell'asportazione “en bloc” di testa del

pancreas/processo uncinato, duodeno, via biliare principale, colecisti e prima ansa

digiunale. Il pancreas viene sezionato all'istmo o al corpo prossimale

(duodenocefalopancreasectomia allargata) mentre la via biliare viene sezionata al di

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sopra dell'inserzione del cistico (dotto epatico comune).

La duodenocefalopancreasectomia può essere associata ad antrectomia (resezione

secondo Whipple) o preservazione del piloro, proposta da Longmire e Traverso.

L'antrectomia deve essere eseguita in caso d'infiltrazione neoplastica del bulbo

duodenale e del piloro. La preservazione del piloro ha un più prolungato tempo di

canalizzazione e non è del tutto chiaro se mantenendo l'integrità anatomo-funzionale

dello stomaco la funzione gastro-intestinale tragga un beneficio rispetto all'intervento di

Whipple, a cui seguono viceversa tutte le complicanze associate a gastrectomia parziale,

quali malassorbimento e sviluppo di Dumping syndrome. Certamente l'intervento di

Traverso è associato ad una riduzione dei tempi operatori, del sanguinamento

intraoperatorio e della necessità di trasfusioni. Le due procedure sono però comparabili

sia in termini oncologici, che di mortalità e morbilità postoperatoria (rischio di fistole,

infezione della ferita chirurgica, emorragie, deiscenza dell'anastomosi

pancreaticodigiunale).110, 111

Il tempo demolitivo prosegue con un'accurata dissezione delle strutture vascolari. La

linfoadenectomia deve comprendere le stazioni peripancreatiche, inclusi i linfonodi

dell'arteria epatica, retrocoledocici e retroportali.112, 113 In passato alcuni gruppi chirurgici

hanno eseguito linfoadenectomie estese con asportazione del tessuto compreso tra l'ilo

del rene destro ed il margine laterale dell'aorta, ed il tessuto compreso tra asse venoso

porto-mesenterico e l'origine dell'arteria mesenterica superiore. Tuttavia una meta-

analisi degli studi prospettici randomizzati in merito ha dimostrato che la

linfoadenectomia estesa non ha alcun impatto sulla sopravvivenza rispetto ad una

linfoadenectomia standard:114 ha un significato stadiativo più che curativo.

Una volta completata la fase demolitiva dell'intervento, deve essere effettuato l'esame

intraoperatorio dei margini di resezione biliare e pancreatico. In caso di positività la

resezione va allargata fino ad ottenere margini negativi, il che implica se necessario una

pancreasectomia totale. Le possibilità di ricostruzione della continuità biliare,

pancreatica e gastrointestinale sono molteplici. La morbilità associata all'intervento è

correlata principalmente alla deiscenza dell'anastomosi pancreatico-digiunale.108, 115

In caso di neoplasie del corpo e delle coda la procedura di scelta è rappresentata dalla

splenopancreasectomia sinistra. La splenectomia, assieme alla linfoadenectomia delle

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stazioni peripancreatiche, dell'arteria splenica fino all'origine del tripode celiaco e dei

linfonodi perisplenici, viene routinariamente effettuata nell'ottica di garantire una

resezione oncologicamente radicale.116, 117 118 Da notare che l'infiltrazione dell'arteria

splenica non viene considerata come un criterio di non resecabilità, a meno che non

venga coinvolta la sua origine in corrispondenza del tripode celiaco.116 Anche in questo

caso è necessario l'esame istologico intraoperatorio della trancia di resezione

pancreatica, al fine di rimuovere una neoplasia con margini R0.119, 120 Venendo alle

complicanze dell'intervento: sebbene la mortalità postoperatoria sia estremamente

infrequente, l'incidenza di fistola pancreatica è particolarmente significativa (attorno al

30%).117-121

La pancreasectomia totale consiste nell'asportazione di tutto il pancreas insieme al

duodeno, via biliare, colecisti, prima ansa digiunale e milza. L'indicazione principale è

rappresentata dalla presenza di plurimi margini di resezione pancreatica positivi per

carcinoma all'esame intraoperatorio, per cui risulta necessario estendere la resezione

chirurgica fino ad ottenere un margine negativo; è una condizione infrequente legata ad

una multifocalità della neoplasia.122

L'intervento chirurgico di pancreasectomia totale determina per definizione

un'insufficienza esocrina ed endocrina completa postoperatoria. Invece in caso di

pancreasectomia parziale il rischio è modulato da una serie di fattori inclusi lo stato

funzionale preoperatorio, il tipo e l'estensione della resezione, e l'eventuale presenza,

nei tumori della testa, di un'occlusione del Wirsung con pancreatite cronica del corpo-

coda.123 Normalmente vi è una buona consapevolezza dell'importanza della diagnosi e

del trattamento del diabete postoperatorio, mentre l'insufficienza esocrina, causa di

malassorbimento, che può peggiorare la compliance ad eventuali trattamenti adiuvanti, è

spesso misconosciuta. Dunque è importante indagare la presenza di diarrea, steatorrea,

dispepsia, calo ponderale ed eventualmente somministrare supplementazioni

farmacologiche a base di enzimi pancreatici.

I pazienti con carcinoma del pancreas radicalmente resecato dovrebbero essere

sottoposti dopo 3 mesi a controllo clinico con dosaggio dei marcatori tumorali ed

effettuazione di un'ecografia addominale ogni 3-4 mesi per i primi due anni, quindi

annualmente. Una TC spirale torace-addome-pelvi o RMN dovrebbe essere effettuata

ogni 6 mesi (alternare TC ed eco-addome). La PET trova indicazione nel follow-up, in

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particolare nei casi in cui vi sia il sospetto di ripresa di malattia a fronte di una TC/RMN

negative o dubbie per esiti cicatriziali legati all’intervento chirurgico. L’impiego della

scintigrafia ossea è riservato ai casi in cui vi sia il sospetto di secondarismi ossei.

1.9.3 Trattamento medico

Terapia adiuvante

La sopravvivenza mediana dei pazienti operati è tra i 15 ed i 25 mesi. La maggior parte

delle recidive dopo intervento chirurgico radicale si verifica a livello locale, sul

pancreas residuo o sull'anastomosi, a livello linfonodale o epatico. Per questo motivo i

primi studi di terapia adiuvante si sono focalizzati sulla radioterapia, al fine di

sterilizzare la sede primitiva di malattia e prevenire un'eventuale recidiva locale,

associata comunque alla somministrazione di terapia sistemica con l'obiettivo di inibire

o controllare la diffusione a distanza di malattia. Sono stati realizzati numerosi trial,

randomizzati e non, allo scopo di valutare l'efficacia di una chemioradioterapia

adiuvante basata sull'uso di 5-Fluorouracile: tre tra questi, randomizzati, meritano

particolare attenzione.

Il primo, pubblicato nel 1985, è lo studio condotto da Gastrointestinal Study Group

(GITSG): 43 pazienti sottoposti a chirurgia microscopicamente radicale (R0) furono

randomizzati o per sola osservazione o per chemioradioterapia postoperatoria con 40 Gy

in sei settimane concomitanti a 5-fluorouracile (5FU) 500 mg/m² nei giorni 1-3 e 29-31,

seguita da 5FU in bolo settimanale per due anni. Lo studio fu interrotto per

arruolamento inadeguato. I risultati in termini di sopravvivenza mediana e a 2 anni

furono rispettivamente di 11 mesi e 15% nel braccio osservazionale e 20 mesi e 42% nel

braccio sperimentale (p<0,03).124 Tuttavia lo studio presenta numerose criticità: a

prescindere infatti dalla numerosità campionaria estremamente ridotta, la popolazione

arruolata nello studio non è rappresentativa di quella tipica della pratica clinica, dal

momento che solo il 5% aveva malattia G3 ed il 28% malattia N1; inoltre, il trattamento

radiante split course e la dose somministrata sono attualmente considerati inappropriati,

così come la scelta del 5FU in bolo, la cui attività come radiosensibilizzante è inferiore

a quella del 5FU somministrato in infusione continua.

Lo studio EORTC 40891, condotto tra il 1987 ed il 1995 in una popolazione mista di

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pazienti con neoplasie della regione periampollare (adenocarcinoma cefalopancreatico,

neoplasie del coledoco, della papilla di Vater e del duodeno), ha randomizzato 218

pazienti a ricevere lo stesso regime di chemioradioterapia adiuvante del GITSG trial, ma

senza i 2 anni di 5FU successivi, versus sola chirurgia. Lo studio ha riportato un

beneficio non significativo a favore del trattamento combinato nel subset di pazienti con

tumore pancreatico. Dopo un follow-up di 11,7 mesi, nessuna differenza statisticamente

significativa è stata osservata tra i due bracci in termini di sopravvivenza libera da

malattia (DFS) e sopravvivenza assoluta.125 Dunque i risultati del GITSG trial non

furono confermati da questo studio; che, oltretutto, nell'aggiornamento dei propri dati

pubblicato nel 2007 ancora una volta non mostrò un vantaggio statisticamente

significativo in termini di sopravvivenza nei pazienti randomizzati per

chemioradioterapia.126

In Europa, lo studio ESPAC-1 (European Study Group for pancreatic Cancer) si pose

l'ambizioso obiettivo di stabilire, con disegno fattoriale 2x2, l'efficacia della

chemioterapia sistemica post-operatoria e del trattamento chemioradioterapico, con gli

stessi schemi descritti nello studio del GITSG, in 289 pazienti con adenocarcinoma

duttale del pancreas sottoposti a chirurgia macroscopicamente radicale (R0-R1). I

pazienti, dopo la chirurgia, furono randomizzati in 4 bracci: osservazione

esclusiva,chemioterapia sistemica adiuvante,chemio-radioterapia, chemio-radioterapia

seguita da chemioterapia sistemica. I risultati, con un follow-up mediano di 47 mesi,

evidenziarono un vantaggio statisticamente significativo in termini di sopravvivenza

globale (OS) nei bracci che avevano ricevuto chemioterapia sistemica associata o meno

a chemioradioterapia rispetto a quelli che avevano ricevuto solo chemioradioterapia

oppure erano stati sottoposti a monitoraggio esclusivo (20,1 vs 15,5 mesi; p<0,009). In

merito al razionale dello studio, ovvero l'analisi del beneficio in termini di

sopravvivenza in funzione dell'essere stati sottoposti o meno a chemioterapia o a

chemioradioterapia, i risultati evidenziarono che la sopravvivenza dei pazienti trattati

con chemioradioterapia da sola o in associazione a chemioterapia sistemica era peggiore

rispetto a quella di pazienti sottoposti a chemioterapia o sola osservazione (15,9 mesi vs

17,9 mesi; p<0,05). Inoltre i pazienti che avevano ricevuto chemioterapia ebbero una

sopravvivenza mediana superiore, pari a 20,6 mesi rispetto ai 15,5 mesi dei pazienti che

non ricevettero alcun trattamento (p<0,009).127 Occorre tuttavia precisare che, l'assenza

37

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di un controllo di qualità del trattamento radiante, lo schema “split course”, la dose

inappropriata, l'impiego di Co60 e di obsolete tecniche di radioterapia, rendono lo

studio fortemente criticabile. Infine, l'attività radiosensibilizzante del 5-FU in bolo,

come già ricordato, è inferiore a quella se somministrato in infusione continua.128, 129

Estremamente interessanti i risultati dello studio multicentrico di fase III CONKO-001,

condotto dal luglio 1998 al dicembre 2004 (quando ancora il ruolo della terapia medica

adiuvante nei tumori resecabili non era definito e non esistevano standard di

riferimento), in cui 368 pazienti con adenocarcinoma duttale in stadio I-III furono

randomizzati a ricevere 6 cicli di chemioterapia adiuvante con gemcitabina (giorni 1,8,

15 ogni 28 gg) oppure solo monitoraggio post-chirurgico. L'end point primario dello

studio era quello di dimostrare che il trattamento adiuvante con gemcitabina fosse in

grado di attestare la sopravvivenza libera da malattia (DFS) attorno ai 6 mesi o più.

Durante il follow-up mediano a 53 mesi è stata riscontrata una sopravvivenza libera da

recidiva di 13,4 mesi nel gruppo trattato con gemcitabina, mentre di 6,9 mesi nel gruppo

di controllo (p<0,001). I risultati finali dello studio hanno dimostrato una DFS a 3 anni

ed a 5 anni del 23,5% e del 16,5% nel gruppo trattato con chemioterapia e del 7,5% e

5,5% nel gruppo di controllo. Dunque questi dati supportano l'uso della gemcitabina

adiuvante al fine di ritardare lo sviluppo di recidiva di malattia.130

Lo studio di fase III RTOG 9704 ha valutato, dopo resezione chirurgica, la terapia con

gemcitabina o 5FU per tre settimane prima e per 12 settimane dopo radioterapia (con

38

Figura 1.8. Risultati dello studio CONKO-001: gemcitabina adiuvante vs sola osservazione.(Oettle et al., Jama, 2007)

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5FU come radiosensibilizzante).131

Gli autori hanno dimostrato come nel sottogruppo di pazienti con carcinoma della testa

del pancreas (388 dei 451 pazienti arruolati) non fosse evidente alcuna differenza

statisticamente significativa, in termini di sopravvivenza mediana ed a 3 anni, tra il

braccio trattato con gemcitabina e quello trattato con 5-fluorouracile, essendo di 20.5

mesi e 31% versus 16.9 mesi e 22% rispettivamente (p<0,08). Lo schema di trattamento

RTOG 9704 prevedeva gemcitabina settimanale per tre settimane, poi radioterapia con

dose di 50,4 Gy (1,8 Gy frazione) concomitante al 5-FU 250 mg/m² die in infusione

continua e successivamente gemcitabina settimanale per tre settimane. Un

aggiornamento dei dati del RTOG 9704 a 5 anni ha confermato l’assenza di una

differenza statisticamente significativa tra i due gruppi, sebbene i pazienti con neoplasie

della regione cefalopancreatica mostrassero un trend positivo in termini di

sopravvivenza assoluta nel braccio con gemcitabina (p<0.08).132, 133 Tuttavia, ESPAC-3,

un vasto studio randomizzato condotto in oltre un migliaio di pazienti che non

prevedeva l’utilizzo della radioterapia associata a 5FU, ma randomizzava i pazienti a

ricevere un trattamento chemioterapico sistemico adiuvante con 5FU versus

gemcitabina, ha mostrato la pressoché totale equivalenza tra l’impiego di 5FU e

gemcitabina con una sopravvivenza mediana ed a 2 anni rispettivamente di 23,6 mesi e

49,1% e 23,0 mesi e 48,1%.133

Tenendo conto di questi dati, ad oggi sono definite le seguenti indicazioni:

• Il trattamento adiuvante standard nei pazienti resecati è la chemioterapia

sistemica con schedule opportune di 5-FU o gemcitabina per 6 mesi. La

gemcitabina è da preferire nella maggior parte dei pazienti per la minore

tossicità. Non indicata è invece la combinazione di doppiette di farmaci.

• Il completamento dei 6 cicli di chemioterapia programmati è un fattore

prognostico indipendente dopo l'intervento di resezione della massa tumorale, a

prescindere da un più o meno tempestivo inizio di terapia. Pare piuttosto che non

ci sia differenza in termini di outcome, nel caso in cui la terapia adiuvante sia

intrapresa non a 8-10 settimane dall'intervento ma a 12 settimane, se questo

consente un adeguato recupero post-operatorio ed il successivo completamento

39

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dei cicli di chemioterapia.134

• La radioterapia adiuvante, quando eseguita, prevede la somministrazione di 45-

46 Gy (1,8-2,0 Gy/die) a livello del letto tumorale, sulle anastomosi chirurgiche

e sulle adiacenti stazioni linfonodali con un boost di 5-15 Gy a livello della sede

del tumore primitivo. La radioterapia è usualmente associata a chemioterapia

radiosensibilizzante con 5-FU, capecitabina o gemcitabina e può essere

somministrata prima o dopo la chemioterapia sistemica adiuvante. Nei casi con

margini positivi R1, la chemioradioterapia va associata alla chemioterapia

sistemica.135, 136

Terapia neoadiuvante nei pazienti con malattia resecabile

Alcuni studi condotti su casistiche retrospettive o studi di fase II riguardanti un numero

limitato di pazienti si sono posti come obiettivo quello di valutare se la

chemioradioterapia neoadiuvante in pazienti con malattia resecabile potesse avere o

meno un'attività giudicabile interessante. Il razionale dell'impiego della radioterapia pre-

operatoria si basa sui vantaggi teorici rispetto ai trattamenti post-operatori: possibilità di

agire su un letto tumorale ben perfuso, più ossigenato e pertanto maggiormente

radiosensibile; sterilizzare il campo operatorio prima dell'intervento chirurgico; down-

sizing tumorale con conseguente incremento del tasso di interventi R0.

Una revisione retrospettiva del 2001 dell’ MD Anderson riporta che l’uso della

chemioradioterapia preoperatoria ha un impatto positivo in termini di outcome nei

pazienti resecabili, tenuto conto in particolar modo del dato relativo al 25% di pazienti,

la cui malattia, al restaging pre-operatorio, era in progressione e che pertanto non

avrebbe beneficiato di una chirurgia d’emblèe.137

In uno studio randomizzato di fase II che valutava efficacia e tossicità di regimi

contenenti gemcitabina come terapia neoadiuvante in pazienti con malattia resecabile,

una maggiore percentuale di resecabilità è stata osservata nei pazienti trattati con

combinazioni di gemcitabina e cisplatino versus la sola gemcitabina.138

Uno studio prospettico, che ha valutato la radioterapia preoperatoria associata a

gemcitabina su 86 pazienti con malattia resecabile, ha dimostrato, alla ristadiazione

eseguita tra la quarta e la sesta settimana dal termine del trattamento, che tutti i pazienti

40

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avevano terminato il trattamento e che solo 73 pazienti (85%) erano candidabili alla

chirurgia, mentre la maggior parte dei rimanenti pazienti erano esclusi dalla chirurgia

per presenza di malattia avanzata o scadimento delle condizioni.139 Risultati simili sono

stati osservati in un altro studio di fase II che prevedeva la somministrazione

preoperatoria di gemcitabina/cisplatino seguita da chemioradioterapia con gemcitabina.

Dei 90 pazienti coinvolti, 79 sono stati in grado di completare la terapia neoadiuvante e

52 sono stati sottoposti ad intervento chirurgico. I rimanenti pazienti sono risultati non

operabili per presenza di malattia avanzata alla ristadiazione eseguita alla fine del

trattamento neoadiuvante.140 Questi dati sottolineano la necessità di eseguire il restaging

in maniera molto accurata nei pazienti sottoposti a terapia neoadiuvante prima della

chirurgia.

Recentemente è volto a termine uno studio di fase III avente l’obiettivo di confrontare la

terapia perioperatoria (neoadiuvante + adiuvante) versus la sola terapia adiuvante

(Clinicaltrials.gov NCT01314027): i risultati dello stesso non sono stati al momento

ancora pubblicati.141

Ad ogni modo la terapia neoadiuvante non è raccomandata nella maggior parte dei

pazienti con neoplasia resecabile, data l'assenza di studi con adeguato livello di qualità e

del rischio di sovratrattamento e al contempo di progressione di eteroplasie

potenzialmente resecabili.

Terapia della malattia localmente avanzata

Alla diagnosi il 30% dei pazienti presenta un tumore localmente avanzato, con una OS

mediana di 9-13 mesi.93 Come già sottolineato questa entità può essere ulteriormente

distinta in malattia localmente avanzata a resecebilità borderline (BRPC) ed in malattia

localmente avanzata non resecabile (LAPC). Ad ogni modo in entrambi i casi il

controllo locale e sistemico dela malattia rappresentano gli obiettivi primari del

trattamento.

Nel caso di tumori borderline resectable un trattamento preoperatorio sarebbe

auspicabile sia per aumentare il tasso di pazienti candidabili a chirurgia

oncologicamente radicale dal punto di vista microscopico(R0), sia per identificare quei

pazienti con progressione precoce di malattia che dunque non beneficerebbero a

41

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prescindere di un intervento chirurgico. Tuttavia l'impiego di un trattamento

neoadiuvante, e se costituito da sola terapia medica o combinata, è ad oggi oggetto di

dibattito.

Nel 2008 sono stati pubblicati i risultati di uno studio retrospettivo volto ad indagare i

benefici di un trattamento preoperatorio in 160 pazienti con BRPC trattati tra il 1999 ed

il 2006 con un regime di chemioterapia esclusiva per 2-4 mesi, seguito da un

trattamento combinato di chemio-radioterapia che impiegasse 5-fluorouracile (5-FU),

gemcitabina, capecitabina o paclitaxel come radiosensibilizzanti. Il 78% dei pazienti è

risultato aver completato il trattamento chemioterapico preoperatorio ed il 41% del

totale dopo ristadiazione è stato sottoposto ad intervento di pancreasectomia, R0 nel

94% dei casi. I 66 pazienti che hanno completato i cicli di trattamento, inclusa la

chirurgia, hanno avuto un significativo beneficio clinico con una OS mediana di 40 mesi

rispetto ai 13 mesi dei 94 pazienti non resecati (p<0.001).104

Numerosi trials hanno dimostrato che il trattamento neoadiuvante in pazienti con

malattia borderline può essere efficace e ben tollerato. Molti si sono concentrati

sull'analisi di trattamenti combinati.

Massucco et al. hanno arruolato 28 pazienti con malattia localmente avanzata e li hanno

sottoposti ad un trattamento chemioradioterapico basato su gemcitabina come

radiosensibilizzante, portando il 39% dei pazienti con malattia borderline resectable a

resezione R0 e solo uno degli otto pazienti con malattia localmente avanzata.142

Uno studio randomizzato di fase II prematuramente concluso per gravi difficoltà di

arruolamento, ha comparato due diversi regimi neoadiuvanti. Il primo gruppo di

pazienti è stato trattato con chemioradioterapia concomitante con gemcitabina, mentre il

secondo gruppo inizialmente con polichemioterapia a base di gemcitabina, cisplatino e

5FU e, a seguire, con RT associata all'infusione di 5FU. Lo studio ha mostrato che 5 (3

pazienti del primo gruppo e 2 del secondo) dei 21 pazienti arruolati è potuto accedere

all'intervento chirurgico.143

Nel 2011 un differente schema di combinazione è stato sottoposto da Patel e

collaboratori a 17 pazienti con BRPC. Questi pazienti sono stati trattati con tre cicli di

induzione di chemioterapia con gemcitabina, docetaxel e capecitabina seguita da

chemioradioterapia basata su 5FU, che si avvaleva però di fasci ad intensità modulata

42

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(IMRT). Il 64,7% dei pazienti sono andati incontro a chirurgia e nel 47% di questi è

stato realizzato un intervento microscopicamente radicale, con una OS mediana di 15,64

mesi.144, 145

In uno studio retrospettivo pubblicato nel 2011, dove è stata indagata l'attività di un

regime chemioradioterapico preoperatorio basato su capecitabina in 40 pazienti con

BRPC, si è evidenziato che: si tratta di uno schema ben tollerato, dal momento che

l'85% dei pazienti è stato sottoposto alla totalità dei cicli previsti, ed efficace, in quanto

il 46% è andato incontro a resezione (nel 75% dei casi R0). Inoltre, è importante

sottolineare come la sopravvivenza sia risultata comparabile a quella di pazienti con

malattia primitivamente resecabile sottoposti a resezione.145 Ne deriva che dopo

l'intervento chirurgico è indicato effettuare una chemioterapia adiuvante per garantire

maggiori PFS ed OS.

Quindi, anche se i numeri della letteratura non sono poi cospicui, il potenziale di questo

approccio è promettente.

Spesso le forme localmente avanzate vengono trattate con gli schemi di chemioterapia

sistemica comunemente utilizzati nella malattia metastatica, ne deriva che siano

molteplici gli studi presenti in letteratura in merito a regimi polichemioterapici a base di

gemcitabina. Questi ultimi hanno dimostrato di indurre un tasso di risposta più elevato

(circa il 26%) rispetto all'esclusivo impiego della gemcitabina (4-15%). Inoltre, a parità

di schema terapeutico somministrato, il tasso di risposte ottenute in questo insieme di

pazienti è maggiore di quello osservato nei soggetti con malattia metastatica.146, 147 148

L'uso di un approccio combinato è stato inizialmente valutato in un trial del GITSG,

dove la combinazione di 5FU ed una radioterapia split-course (dose totale 4000 cGy)

era comparata con radioterapia da sola o con l'associazione di 5FU e una radioterapia

con DT 6000 cGy. L'associazione della chemioterapia con la radioterapia split-course ha

ottenuto un raddoppio della sopravvivenza assoluta mediana rispetto alla radioterapia da

sola (42,2 vs 22,9 mesi).149

Una metanalisi ha indicato che la chemioradioterapia concomitante prolunga la

sopravvivenza rispetto alla sola radioterapia.150

Studi successivi hanno valutato l'utilizzo del 5FU e della gemcitabina come

radiosensibilizzanti, abbandonando progressivamente l'uso della radioterapia split-

43

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course. Una metanalisi ha dimostrato come la gemcitabina dia migliori risultati rispetto

al 5FU quando utilizzata come radiosensibilizzante.151 Tra le fluoropirimidine anche la

capecitabina può essere usata come farmaco radiosensibilizzante, anzi è risultata essere

più efficace rispetto alla gemcitabina intermini di miglioramento della sopravvivenza

mediana (15,2 vs 13,4 mesi; HR 0,50; p=0,025).152

Gillen in una review sistematica e metanalisi ha valutato 111 studi clinici, includendo

così 4394 pazienti affetti da adenocarcinoma pancreatico. La terapia neoadiuvante è

stata effettuata con chemioterapia nel 96% degli studi, mentre con radioterapia nel 94%

degli stessi. Per i pazienti non resecabili, considerando come tali BRPC e LAPC, il tasso

di risposta globale è stato del 35%, e di questi il 47% è andato incontro ad esplorazione

chirurgica. Alla fine il 33% dei pazienti è stato sottoposto all'intervento, con margini R0

nel 79% dei casi. Nei soggetti in principio non resecabili, in cui non si è riusciti a

perseguire un down-staging della malattia si è evidenziata una sopravvivenza mediana

di 10,2 mesi, mentre in quelli andati incontro a resezione dopo trattamento preoperatorio

la sopravvivenza mediana è stata di 20,5 mesi. Concludendo, quest'analisi dimostra

come un trattamento neoadiuvante costituito essenzialmente da chemio-radioterapia sia

in grado di indurre remissione e consentire un intervento resettivo radicale in circa un

terzo dei pazienti affetti da LAPC.153 Risultati analoghi sono stati ottenuti in altre

reviews e metanalisi.154 Tuttavia gli autori sono concordi nel ritenere che vista la non

elevata qualità dei dati a disposizione non sia possibile stabilire conclusioni definitive in

merito ai benefici derivanti da una chemioradioterapia neoadiuvante in questo serie di

pazienti.

Dunque le raccomandazioni cliniche per il trattamento della malattia neoplastica

localmente avanzata prevedono una chemioterapia sistemica, come trattamento iniziale,

in riferimento agli schemi utilizzati nella malattia avanzata senza finalità preoperatorie;

per quanto riguarda l'impiego della chemioradioterapia i risultati sono discordanti.

Lo studio di fase III ECOG 4201, che valutava gemcitabina rispetto all'associazione di

radioterapia+gemcitabina seguita da gemcitabina da sola è stato chiuso per serie

difficoltà di arruolamento. Tuttavia, l'analisi dei 74 pazienti arruolati ha dimostrato una

sopravvivenza assoluta mediana più lunga nel braccio di combinazione (11,1 mesi vs

9,2 mesi; p<0,02), nonostante l'evidenza di un aumento di tossicità. Purtroppo però, la

scarsa numerosità campionaria determinava una bassa potenza dello studio che dunque

44

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non permetteva di trarre evidenze conclusive.155

Al contrario invece, lo studio di fase III FFCD-SFRO che randomizzava pazienti affetti

da LAPC non resecabile a ricevere gemcitabina da sola verso chemioradioterapia e

cisplatino seguito da mantenimento con gemcitabina ha evidenziato per il trattamento

esclusivo con gemcitabina un aumento del tasso di sopravvivenza a 1 anno rispetto alla

terapia combinata (53% vs 32%; HR=0.54, 0,31-0,96; p<0,006). Il peggioramento della

sopravvivenza è ascrivibile alla tossicità estrema evidenziata nel braccio di

combinazione. Questa è imputabile alla dose elevata di radioterapia (60 Gy), non

standard e chiaramente superiore alla tolleranza degli organi peripancreatici.156

Un approccio alternativo, ovvero il trattamento con gemcitabina per tre mesi e

successiva radiochemioterapia versus sola chemioterapia in pazienti che avevano

mantenuto un buon performance status e non erano progrediti è stato valutato negli studi

GERCOR di fase II e III. I ricercatori hanno riscontrato che dopo un controllo iniziale di

malattia con chemioterapia, la chemioradioterapia può migliorare significativamente

l'outcome in pazienti con LAP ( OS 15 e 11,7 mesi, rispettivamente; p=0,0009).157

Tuttavia, i risultati preliminari del LAP-07 trial volto a chiarire l'efficacia e la sicurezza

di erlotinib nel trattamento dei tumori localmente avanzati e della radioterapia, in

particolare della chemioradioterapia dopo trattamento con chemioterapia upfront non ha

fornito dati positivi in tal senso (NCT00634725).

Recentemente sono entrati nella pratica clinica due regimi chemioterapici:

FOLFIRINOX e l'uso concomitante di gemcitabina e Nab-paclitaxel come schemi di

trattamento di prima linea nella malattia metastatica. Il quesito che ci si pone è se questi

possano essere fonte di beneficio anche nel trattamento delle neoplasie localmente

avanzate. L'efficacia del FOLFIRINOX come terapia neoadiuvante nei LAPC è stata

dimostrata in numerosi studi retrospettivi e piccole serie di casi.

In particolare in un'analisi retrospettiva condotta da Hosein et al. su 18 pazienti con

malattia a resecabilità borderline o non resecabile trattati con FOLFIRINOX

neoadiuvante è stato riscontrato che 7 pazienti sono andati incontro ad intervento

chirurgico; e di questi: 5 (71%) hanno avuto una resezione R0, 1 una resezione R1 ed un

altro non è stato giudicato resecabile all'esplorazione intra-operatoria. Tra gli 11 pazienti

con malattia non resecabile, tre sono stati operati dopo un trattamento ulteriore di

45

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chemio-radioterapia, con un tasso di resezione R0 del 40%.158

Gunturu ha riportato che in 16 pazienti con neoplasia localmente avanzata è stata

ottenuta una risposta globale del 50% ed un controllo di malattia nel 94% dei casi.

Interessante sottolineare che nonostante le dosi di irinotecan e del bolo di 5FU fossero

inferiori rispetto a quelle del FOLFIRINOX classico l'efficacia della chemioterapia non

è stata compromessa a vantaggio di una migliorata tollerabilità.159

Risultati simili sono stati riportati da Peddi et al. che hanno trattato 23 pazienti con

malattia localmente avanzata, a resecabilità borderline o non resecabile, con

FOLFIRINOX. Nonostante anche in questo caso il regime chemioterapico fosse stato

modificato in circa la metà dei pazienti (ad esempio era stato ridotta la dose di CPT-11,

o era stata eliminata la somministrazione di 5FU in bolo) l’efficacia nell’indurre una

parziale remissione della malattia o nel mantenere la malattia stabile (tasso di risposta

del 34%, con un controllo di malattia dell' 84%) si è mantenuta inalterata.160

Più recentemente, sono stati presentati i risultati di un'analisi retrospettiva condotta su

43 pazienti con tumore localmente avanzato borderline (18) e non resecabile (25) trattati

con il regime FOLFIRINOX modificato. La resezione è stata ottenuta nel 51,1% dei

pazienti trattati, addirittura nel 44% dei pazienti con LAPC. Il tasso di resezione R0 è

stato dell' 86,4%. La sopravvivenza libera da malattia è stata in caso di resezione di 18

mesi, un miglioramento significativo rispetto agli 8 mesi riscontrati nel caso in cui la

resezione non potesse essere stata effettuata (p<0,001).161

Un regime di chemioterapia simile, il FOLFOXIRI, con il quale il il gruppo oncologico

pisano ha una considerevole esperienza, dal momento che ampiamente utilizzato nel

trattamento dei tumori gastrointestinali162, è stato valutato in uno studio prospettico

come trattamento preoperatorio. Trentadue pazienti con PDAC localmente avanzato

borderline o non resecabile sono stati trattati con questo regime, che si è dimostrato

attivo con un tasso di risposta del 37%, ed ha consentito la resezione radicale nel 41%

dei pazienti, ottenendo una sopravvivenza mediana globale di 24,2 mesi.

Sebbene i dati in merito all'efficacia di questo regime siano promettenti, sono necessari

studi clinici prospettici randomizzati di conferma.

46

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Terapia della malattia sistemica

Nella maggior parte dei pazienti la diagnosi viene posta quando la malattia è metastatica

con una sopravvivenza mediana che oscilla senza trattamento tra i 2-3 mesi. Inoltre, i

pazienti affetti presentano sovente un ricco corteo sintomatologico (dolore, nausea e

vomito, anoressia, disturbi dell'alvo, calo ponderale, ittero, astenia, fatigue) che

generalmente riduce la compliance a trattamenti medici volti a controllare la malattia.

Terapie che, nonostante questo, in due studi randomizzati hanno dimostrato migliorare

significativamente la sopravvivenza ed il benessere generale dei pazienti quando

confrontati con la migliore terapia di supporto.163, 164

I primi trials erano basati sulla somministrazione di 5FU e successivamente su

combinazioni di 5FU ed altri chemioterapici. L'attività del 5FU quando somministrato

in bolo (600 mg/m²) fu dimostrata essere praticamente nulla; invece, quando

somministrato in infusione continua o sottoforma di capecitabina apparve avere una

modesta attività. Sulla base di queste prime acquisizioni il 5FU fu considerato attivo in

pazienti con adenocarcinoma avanzato. Seguirono pertanto studi che indagarono regimi

47

Figura 1.9. Schema riassuntivo delle opzioni terapeutiche nei pazienti con malattia avanzata(Heinemann V, Ann Oncol, 2013)

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con 5FU in associazione a doxorubicina e mitomicina C (FAM), oppure con

streptozocina e mitomicina C (SMF), o ancora il regime Mallison (5FU+ ciclofosfamide

+ mtx + vincristina, seguita da mantenimento con 5FU e mitomicina C). In principio in

studi di fase II si ottennero risultati incoraggianti, ma alla fine in studi randomizzati

nessuno dimostrò un vantaggio statisticamente significativo in termini di sopravvivenza

rispetto alla terapia con solo 5FU.53

L'era della Gemcitabina come terapia standard in pazienti con adenocarcinoma

pancreatico avanzato ebbe inizio nel 1997, quando, in un trial di fase III in pazienti con

malattia localmente avanzata o metastatica e Karnofsky performance status di 70, fu

confrontata con il 5FU, considerato fino a quel momento il farmaco di riferimento, e

dimostrò un modesto ma significativo miglioramento della sopravvivenza (5,65 vs 4,42

mesi). L'end point primario dello studio era quello di dimostrare un effettivo beneficio

clinico, valutato attraverso un miglioramento stabile per almeno 4 settimane in uno dei

seguenti tre parametri: dolore, peformance status ed incremento ponderale. Questo fu

evidenziato nel 23,8% dei pazienti trattati con gemcitabina ed in solo il 4,8% dei

pazienti trattati con 5FU.165

Certo è che lo studio aveva un endpoint primario, il “beneficio clinico”, non validato ed

anche il disegno statistico non era ben definito; il numero di pazienti era poi

48

Figura 1.10. Curve di OS in pazienti trattati con gemcitabina o 5FU.(Burris et al, J Clin Oncol., 1997)

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assolutamente limitato (126) e nel braccio di confronto il 5FU veniva somministrato in

bolo, quando già in letteratura era stato dimostrato che questa modalità di impiego era

priva di attività.166 La monoterapia con gemcitabina è comunque un trattamento ben

tollerato, il cui principale effetto collaterale è una neutropenia di grado 3-4.

Sulla base delle recenti acquisizioni in merito alla farmacologia molecolare della

gemcitabina, numerosi studi si sono posti come obiettivo quello di acclarare la migliore

modalità di somministrazione della stessa e ricercare fattori predittivi di risposta. La

gemcitabina è infatti un profarmaco, internalizzato dalla cellula a mezzo di trasportatori

nucleosidici (hNTs, in particolare hCNT1, hENT1, hENT2) e qui fosforilato dall'enzima

deossicitidina chinasi (dCK) nella sua forma attiva (dFdCTP), capace di interferire con

la sintesi del DNA. Elevati livelli di espressione di hENT1 sono stati associati ad una

maggiore sensibilità alla gemcitabina, mentre una ridotta espressione o l'assenza, ad

un'elevata resistenza all'azione citotossica della stessa, così come della citarabina.167, 168

Nei primi anni '90 si osservò che la somministrazione di gemcitabina ad un tasso di

infusione fissa (FDR), dunque prolungando la durata di infusione e con maggiore

intensità rispetto ai 30 minuti standard, potesse massimizzare la quota di dFdCTP

intracellulare, ritenendo che la fosforilazione della dFdC da parte della dCK fosse

saturabile.169 Successivamente Tempero e collaboratori, in uno studio randomizzato di

fase II, dimostrarono un incremento in termini di sopravvivenza mediana e del tasso di

sopravvivenza ad 1-2 anni nel braccio trattato con FDR (10 mg/m²/min) rispetto alla

somministrazione in infusione standard (1000 mg/m² in 30'), sebbene con evidenza di

maggiore tossicità ematologica.170 Tuttavia in un recente studio di fase III che ha

confrontato trattamenti di prima linea effettuati con gemcitabina in infusione standard,

gemcitabina FDR e GEMOX non è stato riscontrato alcun vantaggio dell'uno rispetto

all'altro in termini di miglioramento della sopravvivenza e beneficio clinico.148

Per quanto riguarda l'utilizzo in combinazione, diversi studi di fase III hanno valutato,

con risultati piuttosto deludenti, l'associazione di gemcitabina con fluoropirimidine (sia

il 5FU, che il suo profarmaco capecitabina), oppure con pemetrexed.171, 172-173, 174 Altri

studi hanno invece saggiato l'attività di combinazioni con derivati del platino (cisplatino

ed oxaliplatino) rilevando un miglioramento nel tasso di risposte obiettive e della PFS,

senza però alcun vantaggio significativo in termini di sopravvivenza.175, 176-146, 177

Metanalisi successive, che si sono poste come obiettivo quello di dirimere il dubbio se

49

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effettivamente combinazioni di gemcitabina ed altri chemioterapici migliorassero

l'efficacia del trattamento medico, hanno evidenziato un beneficio statisticamente

significativo per la sopravvivenza nelle associazioni con fluoropirimidine e derivati del

platino, sebbene l'hazard ratio fosse pari a 0,85, dunque di modesta entità e di discutibile

significatività clinica.178, 179 Inoltre, dall'analisi integrata dei risultati di trials primari, in

cui numerosi parametri concorrevano a definire il PS dei pazienti trattati, è emerso che

coloro i quali presentavano buon PS basale beneficiavano maggiormente di regimi di

combinazione con un HR pari a 0,76.178

Uno studio italiano randomizzato di fase III ha mostrato la possibilità di ottenere un

vantaggio dall’impiego di uno schema con quattro farmaci.180 In questo studio, 99

pazienti sono stati randomizzati a ricevere o una associazione di cisplatino, gemcitabina,

epirubicina e 5-FU o la sola gemcitabina: una maggiore percentuale di pazienti nel

braccio di combinazione ha avuto una sopravvivenza libera da progressione a 4 mesi

50

Figura 1.11. Metanalisi dei diversi regimi chemioterapici basati su combinazioni di gemcitabinaversus sola gemcitabina, nel tumore del pancreas.

(Heinemann et al., BMC Cancer, 2008)

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(60% vs 28%), con una sopravvivenza ad un anno del 38.5% vs il 21.3%. La tossicità

osservata, in particolare quella midollare, è stata più elevata nel braccio di

combinazione anche se non ha dimostrato ripercussioni sulla qualità di vita dei

pazienti.181

Per quanto riguarda il ruolo dei farmaci biologici, i risultati dello studio NCIC-CTG

hanno evidenziato che l’aggiunta di Erlotinib, un inibitore di EGFR, alla Gemcitabina

incrementa la sopravvivenza mediana rispetto al solo antimetabolita, di circa 10 giorni e

la PFS mediana di circa 6 giorni, a fronte di un incremento degli effetti collaterali come

diarrea e rash cutaneo, seppure di grado 1-2. Tuttavia la riduzione del rischio di morte

(HR 0.82) non è rilevante dal punto di vista clinico e pertanto non è raccomandato

l’utilizzo routinario di Erlotinib nel trattamento della malattia.182

Recentemente, Miyabayashi e collaboratori hanno dimostrato, in un modello murino di

adenocarcinoma pancreatico, che erlotinib è in grado di bloccare l'attivazione della

cascata delle MAPK indotta dalla gemcitabina. Quest'ultima sembrerebbe infatti in

grado di indurre l'espressione di ligandi di EGFR e l'attivazione di ERBB2 a mezzo di

un incremento dell'eterodimerizzazione con EGFR, con l'effetto ultimo di mantenere

51

Figura 1.12. Curve di OS in pazienti affetti da carcinoma pancreas, trattati congemcitabina o con gemcitabina associata a erlotinib.

(Moore et al., J Clin Oncol, 2007)

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elevati i livelli di ERBB2 nelle cellule neoplastiche.183

Nel 2011 sono stati pubblicati i risultati di uno studio multicentrico francese di fase III

in cui 342 pazienti con adenocarcinoma pancreatico metastatico, ECOG PS tra 0 ed 1 ed

età inferiore ai 76 anni, reclutati dal dicembre 2005 all'ottobre 2009, sono stati

randomizzati tra un trattamento di prima linea con FOLFIRINOX o con gemcitabina.

Lo schema di terapia FOLFIRINOX prevede la somministrazione di oxaliplatino alla

dose di 85 mg/m² ev in 2 ore, subito seguita da leucovorin alla dose di 400 mg/m² ev

sempre in 2 ore, con l'aggiunta, dopo 30 minuti, di irinotecan al dosaggio di 180 mg/m²

in 90 minuti. A questo si aggiunge il fluorouracile: 400 mg/m² in bolo e 2400 mg/m² in

infusione ev continua per 46 ore a mezzo di elastomero. I cicli sono ripetuti ogni due

settimane. Lo schema ha ottenuto un vantaggio significativo in termini di PFS (6,4 mesi

versus 3,3 mesi; p<0,001) e di OS (11,1 mesi versus 6,8 mesi; 1-y OS 48,4% versus

20,6%; p<0,001).184

52

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53

Figura 1.13. Curve di OS e PFS in pazienti affetti da carcinoma del pancreas avanzato, trattaticon gemcitabina o con FOLFIRINOX.

(Conroy T et al., NEJM 2011)

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Tuttavia i risultati dello studio debbono essere interpretati sulla base dei più severi

criteri di selezione applicati per il reclutamento dei pazienti (ECOG PS tra 0 ed 1, età

inferiore ai 76 anni, bilirubina <1,5 con una limitata presenza di portatori di stent

biliari), che ha pertanto richiesto ben 4 anni perché 48 centri arruolassero 342 pazienti, e

da cui sono derivati risultati superiori alle aspettative ottenuti nel braccio di controllo.

Senza tralasciare il fatto che la necessità di escludere pazienti con livelli elevati di

bilirubina, per l'aumentato rischio di tossicità indotta dall'irinotecan, ha condotto ad una

situazione per cui solo il 38% dei pazienti avevano un carcinoma della testa, una

percentuale molto più bassa rispetto ai trials precedenti.

In merito al profilo di sicurezza dello schema FOLFIRINOX si può notare come

certamente sia meno favorevole rispetto alla ben tollerata gemcitabina; è infatti

associato a neutropenia di grado 3 e 4 (46% vs 21%), neutropenia febbrile (5,4% vs

1,2%), trombocitopenia (9,1% vs 3,6%), vomito (15% vs 8%), diarrea (13% vs 2%),

neuropatia sensitiva periferica (9% vs 0%) ed astenia (23% vs 18%). Infine, sebbene nel

disegno dello studio non fosse raccomandato come profilassi primaria, l'uso dei fattori

di crescita granulocitari è stato affatto non trascurabile (42,5% versus 5,3%). A

prescindere però dall'elevata incidenza di eventi avversi associati a questo regime, per

cui sembra dunque ragionevole un buon PS come prerequisito iniziale, è stato osservato

un netto incremento della qualità di vita.185, 186

Gli ulteriori studi condotti si sono concentrati nel tentativo di ovviare ad uno dei

principali problemi del trattamento dell'adenocarcinoma pancreatico: la scarsa

biodisponibilità degli agenti chemioterapici a livello tumorale. Questo è da ascrivere

principalmente allo stroma tumorale, costituito da matrice extracellulare, vasi ematici,

fibroblasti,cellule immunoinfiammatorie e prime fra tutte le cellule stellate

pancreatiche, aventi un ruolo chiave nella secrezione di fattori di crescita importanti per

l'oncogenesi e per la matrice extracellulare stessa. Tra la moltitudine delle componenti

stromali troviamo la presenza di SPARC (secreted protein acidic and rich in cysteine),

una glicoproteina legante il calcio e l'albumina. Dai risultati di alcuni studi preclinici è

stato ipotizzato che SPARC potesse facilitare il trasporto di albumina dalla matrice

extracellulare nelle cellule tumorali. Ecco che pertanto sono iniziati trials clinici di fase

I/II in cui venivano saggiate MTD, attività e profilo di sicurezza di un trattamento di

combinazione con gemcitabina e Nab-paclitaxel. Quest'ultimo è una sospensione

54

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colloidale di nanoparticelle di paclitaxel legate ad albumina, dunque si è ritenuto di

poter trarre vantaggio dal legame di quest'ultima con SPARC per l'accumulo peri- ed

intratumorale dell'agente citotossico.187, 188 Gli interessanti risultati ottenuti, tra cui una

correlazione tra i livelli di SPARC stromali e l'efficacia del trattamento, hanno costituito

la base razionale per lo studio randomizzato di fase III MPACT, anche se in realtà il

ruolo di tale proteina come target e come possibile fattore prognostico non è stato poi

alla fine del tutto chiarito. Accertato è invece che il Nab-paclitaxel diminuisce i livelli di

citidina deaminasi, primo enzima del metabolismo della gemcitabina, contribuendo così

ad aumentarne le concentrazioni intracellulari.189

Lo studio MPACT è stato condotto su 861 pazienti con adenocarcinoma del pancreas

metastatico non precedentemente trattati, con età media di 63 anni, in un range di 27-88

anni -addirittura il 10% dei pazienti avevano come minimo 75 anni- e Karnofsky PS di

almeno 70. Ha dimostrato che la combinazione gemcitabina-Nab-paclitaxel è in grado

di migliorare PFS (5,5 mesi versus 3,7 mesi; HR 0,69; p<0,001) e OS (8,7 mesi versus

6,6 mesi; HR 0,72; p<0,001) rispetto alla sola gemcitabina. Inoltre i tassi di

sopravvivenza ad un anno ed a due anni sono stati significativamente più elevati per il

regime di combinazione (35% e 10% versus 22% e 5%), con una precoce divergenza tra

le due curve di sopravvivenza. In entrambi i regimi non vi è stata necessità di riduzione

di dose o di rinvii.

55

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La tossicità osservata è stata più elevata nel braccio di combinazione, in cui più

comunemente si è osservata neutropenia (38% vs 27%), fatigue (17% vs 7%) e

neuropatia (17% vs 1%). Tuttavia, la neuropatia è stata rapidamente reversibile, e il 44%

di questi pazienti erano in grado di riprendere il trattamento. Quindi in conclusione Nab-

paclitaxel potenzia l'attività della gemcitabina permettendo un miglioramento in termini

di OS, PFS e HR anche se con un profilo di tossicità più marcato, seppure molto minore

rispetto a quello dello schema FOLFIRINOX, divenendo più indicato in pazienti più

anziani.190

56

Figura 1.14. Curve di OS e PFS in pazienti affetti da carcinoma del pancreas avanzato, trattaticon nab-Paclitaxel-Gemcitabina o con Gemcitabina. (Von Hoff et al., NEJM, 2013)

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Terapia di II linea

Una classe di pazienti in progressione dopo una prima linea di terapia, si presenta

spesso con un performance status sufficientemente buono da poter ricevere un

trattamento di seconda linea il cui obiettivo rimane il prolungamento della

sopravvivenza e il controllo dei sintomi.

Nel 2011 uno studio multicentrico di fase III del gruppo tedesco CONKO ha dimostrato

per la prima volta l'esistenza di un vantaggio in termini di sopravvivenza grazie a

trattamenti chemioterapici di seconda linea rispetto alle sole cure normali (BSC) in

pazienti con malattia metastatica in progressione documentata agli esami strumentali,

dopo una prima linea con gemcitabina. Il regime studiato nel braccio sperimentale

consisteva nella combinazione di acido folinico, 5-FU, ed oxaliplatino (OFF) e grazie ad

esso la sopravvivenza mediana dopo seconda linea è stata di 4,82 mesi, a fronte di una

con BSC di 2,30 mesi (p=0,008). 191

Successivamente i risultati dello studio di fase III CONKO-003 hanno evidenziato un

vantaggio di 2,6 mesi in termini di sopravvivenza globale derivante dall'impiego del

regime OFF rispetto alla somministrazione del fluoro-folato (FF) (p=0,01), a fronte di

un incremento di neurotossicità di grado G1 e G2.192

Alla luce di questi lavori e di numerosi altri studi di fase II bisognerebbe pertanto

avvalersi di trattamenti di seconda linea basati sull'impiego di fluoropirimidine

(fluorouracile, capecitabina) da sole o in associazione ad oxaliplatino (anche se il

regime FOLFOX è preferito sovente rispetto ad OFF) o irinotecan, in pazienti che siano

stati già sottoposti a prima linea di terapia con gemcitabina.

I pazienti che invece abbiano ricevuto FOLFIRINOX come I linea sono generalmente

trattati con seconde linee basate sull'impiego di gemcitabina.

1.10 Trattamenti palliativi nella malattia localmente avanzata e metastatica

La maggior parte di pazienti con carcinoma pancreatico presenta una malattia non

resecabile, localmente avanzata o metastatica alla diagnosi. In questi pazienti la gestione

multidisciplinare di sintomi dovuti a ostruzione biliare ed a occlusione digestiva “alta”

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da infiltrazione neoplastica del duodeno o dell’angolo duodeno-digiunale di Treitz è di

fondamentale importanza non solo per il mantenimento di una accettabile qualità di vita,

ma anche per poter effettuare un eventuale trattamento chemioterapico o

chemioradioterapico nelle migliori condizioni cliniche.

La moderna medicina offre ai pazienti con carcinoma pancreatico avanzato e sintomi da

ostruzione biliare e/o digestiva diversi approcci terapeutici, chirurgici ed endoscopici. In

generale le procedure palliative chirurgiche sono principalmente riservate ai pazienti

con aspettativa di vita più lunga.

Ostruzione biliare

Dal 65% al 75% circa dei pazienti con carcinoma pancreatico sviluppa sintomi dovuti

ad ostruzione biliare nel corso della malattia.193 Per i pazienti affetti da malattia

avanzata, non resecabile, con ittero ostruttivo alla diagnosi, la migliore palliazione è

rappresentata dal posizionamento di uno stent biliare per via endoscopica, soprattutto se

l’aspettativa di vita è limitata (malattia metastatica). Esistono diversi tipi di stent biliari,

plastici e metallici, totalmente o parzialmente coperti, rigidi o auto-espandibili. La

complicanza più frequente degli stent biliari è rappresentata dall’ostruzione dello stent

che provoca ricorrenti episodi di colangite. Diversi studi, retrospettici e prospettici, e

una meta-analisi hanno dimostrato che gli stent biliari metallici sono associati ad un

rischio ridotto di occlusione. Il rischio di occlusione di uno stent plastico aumenta

significativamente dopo tre mesi dal suo posizionamento. Va ricordato, inoltre, che

mentre gli stent plastici possono essere facilmente sostituiti, la sostituzione di uno stent

metallico è estremamente più problematica. Pertanto in linea generale è consigliabile il

posizionamento di uno stent biliare endoscopico di tipo metallico nei pazienti con

malattia avanzata non suscettibili di alcun trattamento chirurgico. Nei pazienti con

malattia metastatica, in scadute condizioni generali, che verranno sottoposti a terapia

palliativa e in cui l’aspettativa di vita è di pochi mesi, trova indicazione anche il

posizionamento di uno stent plastico che dovrebbe essere posizionato anche in quei

pazienti con malattia localmente avanzata in cui si ritiene teoricamente possibile un

eventuale intervento chirurgico nel caso di down-staging dopo

chemioterapia/chemioradioterapia.194, 195 Se lo stent non può essere posizionato per via

endoscopica (per la presenza di una infiltrazione neoplastica del duodeno o per pregressi

58

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interventi sul tratto digestivo superiore, es. gastroresezione o per difficoltà di accesso

alla papilla di Vater), allora vi è indicazione al posizionamento di uno stent percutaneo

transepatico che in un secondo tempo può essere internalizzato.196

Nei pazienti con occlusione digestiva da stenosi neoplastica duodenale,

indipendentemente dallo stadio di malattia, deve essere considerato un intervento

chirurgico di duplice derivativa bilio-digestiva.197, 198

Altre indicazioni alla palliazione chirurgica dell’ostruzione biliare sono rappresentate

da:

riscontro intraoperatorio di carcinoma metastatico o localmente avanzato in pazienti

sottoposti a laparotomia esplorativa per malattia giudicata inizialmente resecabile;

colangiti ricorrenti in pazienti con ostruzione duodenale già sottoposti a plurimi

posizionamenti/sostituzioni di stent biliari.

Diverse sono le procedure chirurgiche che possono essere considerate.193 Si possono

effettuare interventi di derivazione delle vie biliari (coledoco-duodenostomia o

coledoco-digiunostomia) per ovviare all’ittero crescente, o il bypass digestivo in caso di

stenosi duodenale o con effetto preventivo rispetto alla stenosi stessa.

Il bypass chirurgico bilio-digestivo ha il vantaggio di offrire una soluzione durevole al

problema dell’ostruzione biliare e di poter essere associata ad altre procedure palliative

(bypass gastrico e/o blocco del plesso celiaco).

59

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Va ricordato che tale chirurgia non è priva da complicanze, soprattutto in pazienti con

malattia avanzata e cattivo stato nutrizionale, ed è inoltre associata ad una mortalità

postoperatoria non trascurabile.199 Pertanto tale chirurgia dovrebbe essere evitata nei

pazienti con aspettativa di vita limitata, nei pazienti con carcinosi peritoneale ed in

pazienti con cachessia neoplastica/scadute condizioni generali.

Infine nelle fasi avanzate di malattia un paziente inizialmente non itterico può

sviluppare ostruzione biliare. In questa fase di malattia, non solo la progressione

neoplastica locale, ma anche metastasi epatiche e metastasi linfonodali possono

determinare una stenosi biliare. L’identificazione della sede dell’ostruzione è di

fondamentale importanza per valutare la strategia terapeutica più appropriata. In questa

condizione è pertanto raccomandabile sempre l’esecuzione di una colangiowirsung

risonanza (MRCP) che fornisca l’esatto livello della stenosi ed identifichi esattamente la

causa della ostruzione.

Ostruzione gastrica

Una ostruzione del tratto digestivo superiore (antro/regione pilorica, duodeno, passaggio

duodeno-digiunale) si sviluppa in circa il 15-25% dei pazienti con carcinoma

60

Figura 1.15. Intervento di triplice bypass. (1) Gastrodigiunostomia. (2)Colecistodigiunostomia. (3) Digiunostomia a valle dell'anastomosi bilio-digestiva.

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pancreatico nel corso della malattia.193

I pazienti con malattia metastatica associata a scadute condizioni generali e ridotta

aspettativa di vita (< 3 mesi) possono essere sottoposti ad un tentativo di palliazione

endoscopica mediante posizionamento di stent duodenale o, alternativamente, al

posizionamento di una gastrostomia percutanea (PEG).196

Negli altri casi l’opzione chirurgica viene preferita dal momento che garantisce una

migliore e più efficace palliazione rispetto allo stent duodenale200, 201 202. L’intervento di

scelta è rappresentato da una gastroenteroanastomosi sulla parete posteriore dello

stomaco.

Nei pazienti senza sintomi di occlusione digestiva “alta” sottoposti a laparotomia, nei

quali si evidenzi una malattia metastatica o localmente avanzata, bisogna valutare

l’opportunità di eseguire una gastroenteroanastomosi profilattica. Due studi prospettici

randomizzati hanno dimostrato che circa il 20% dei pazienti non sottoposti a

gastroenteronastomosi profilattica hanno successivamente sviluppato un quadro clinico

di occlusione digestiva da ostruzione gastrica con necessità d’intervento chirurgico in

condizioni generali più scadute. In entrambi gli studi la gastroenteroanastomosi

profilattica ha ridotto l’incidenza di occlusione digestiva tardiva senza determinare un

incremento dell’incidenza di complicanze.203

Complicanze tromboemboliche

Il rischio di sviluppare un evento tromboembolico è sostanzialmente aumentato nei

pazienti affetti da carcinoma pancreatico.204, 205 Pertanto, le linee guida internazionali

raccomandano l’impiego profilattico di eparina a basso peso molecolare (EBPM),

preferibile all’uso di anticoagulanti, nel gruppo di pazienti affetti da neoplasia del

pancreas che presentano un episodio di tromboembolismo venoso (TEV).

Le evidenze scientifiche che supportano queste raccomandazioni sono rappresentate dai

2 studi clinici randomizzati e prospettici: lo studio CLOT232 e lo studio CONKO

004233.

Nel primo studio, nei pazienti sottoposti a profilassi con dalteparina, dopo un primo

episodio di TEV si osservava a sei mesi una riduzione d’incidenza di 2 volte di

sviluppare un secondo episodio tromboembolico, rispetto al braccio dei pazienti trattati

61

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con warfarin.206

Nello studio CONKO 004, i pazienti con tumore del pancreas avanzato venivano

randomizzati a ricevere chemioterapia palliativa in associazione o meno a trattamento

profilattico con EBPM (enoxaparina): il rischio di sviluppare un episodio sintomatico di

TEV era significativamente più basso nei pazienti del braccio trattato con

l’anticoagulante, mentre il rischio di emorragia risultava sovrapponibile in entrambi i

gruppi.

Dolore addominale severo associato al tumore

La maggior parte dei pazienti con tumore localmente avanzato o metastatico riferisce

dolore addominale,207 che può essere dovuto all’infiltrazione neoplastica dei plessi

nervosi retroperitoneali. Per questo motivo la neurolisi con etanolo del plesso celiaco

può essere una soluzione. In due studi randomizzati è stata associata ad un

miglioramento della sintomatologia dolorosa e questi dati sono stati confermati in un

recente studio su 96 pazienti con adenocarcinoma non operabile.207, 208 209

In pazienti selezionati con dolore irradiato posteriormente refrattario agli antidolorifici,

può essere considerata una RT (tipicamente 25-36 Gy in frazioni di 2,4-5 Gy).

62

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Capitolo 2. Studio osservazionale retrospettivo di

chemioterapia di I linea con FOLFOXIRI in pazienti

affetti da carcinoma del pancreas avanzato

2.1 Razionale dello studio

Il carcinoma del pancreas rappresenta una delle principali cause di morte per tumore nei

paesi occidentali.

Circa il 20% dei pazienti si presenta alla diagnosi con un tumore localmente avanzato o

borderline resectable secondo le attuali classificazioni, mentre il 60% risulta affetto da

malattia metastatica. La prognosi per questi pazienti è assai deludente dal momento che

solo il 2% dei pazienti con malattia avanzata è vivo a 5 anni.101

Negli ultimi anni il trattamento medico della malattia avanzata ha conosciuto un

notevole miglioramento, in termini di impatto sulla sopravvivenza, grazie all'impiego di

regimi polichemioterapici, in luogo del trattamento con la sola gemcitabina. In

particolare il regime FOLFIRINOX, sviluppato da Conroy e collaboratori, ha ottenuto

una sopravvivenza mediana di 11.1 mesi in pazienti affetti da tumore in stadio IV. In

questo studio inoltre, i ricercatori hanno identificato come fattori prognostici

indipendenti di sopravvivenza la presenza di metastasi sincrone e di singole ripetizioni a

livello epatico, livelli di albumina basale inferiori a 3,5 g/dl ed un'età superiore a 65

anni. Questi risultati sono stati ottenuti a mezzo di un'analisi multivariata in cui i

pazienti sono stati stratificati sulla base dell'ECOG PS, della sede del tumore primitivo e

della presenza o meno di metastasi polmonari, ottenendo valori omogenei in tutti e tre i

sottogruppi. 184

Due anni dopo, lo studio MPACT ha raggiunto, grazie all'impiego di gemcitabina

associata a Nab-paclitaxel, una sopravvivenza mediana di 8.5 mesi in pazienti affetti da

malattia metastatica. Nell'analisi preliminare l' ECOG performance status e la presenza

o l'assenza di mestastasi epatiche sono stati identificati come fattori prognostici

indipendenti di sopravvivenza.190

63

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Una successiva analisi volta a stabilire le relazioni esistenti tra le caratteristiche cliniche

basali della popolazione dello studio e i parametri di sopravvivenza ha evidenziato che,

oltre all' ECOG PS e alla presenza di metastasi epatiche, anche l'età maggiore o minore

di 65 anni è un fattore prognostico indipendente di sopravvivenza. Questi tre fattori si

sono rivelati essere associati, inoltre, anche ad un maggior rischio di progressione.

Inoltre pure un numero di sedi metastatiche superiorea 3 è risultato influire sull'OS,

sebbene con una significatività statistica inferiore rispetto agli altri fattori considerati

(p=0,089). Il Ca19.9 invece, che è stato dimostrato essere un fattore prognostico

indipendente in numerosi studi condotti su pazienti con carcinoma avanzato trattati con

regimi a base di gemcitabina,88, 210 non è emerso come tale dalle analisi condotte sulla

popolazione dell' MPACT trial.211

Sulla base di queste premesse abbiamo deciso di rivedere la nostra casistica di pazienti

affetti da carcinoma pancreatico localmente avanzato e metastatico trattati con

FOLFOXIRI, al fine di confrontare i valori di sopravvivenza libera da progressione e la

sopravvivenza globale ottenuti a mezzo di questo regime polichemioterapico con quelli

riscontrati nel principale studio randomizzato di fase III in questo setting di pazienti. Il

regime FOLFOXIRI è sempre basato sulla combinazione di 5-FU/acido folinico,

irinotecan ed oxaliplatino, ed analogo dunque al FOLFIRINOX, ma privo del bolo di 5-

FU e con un dosaggio di irinotecan lievemente ridotto. Ulteriore proponimento dello

studio è stato quello di verificare se le stratificazioni prognostiche fondate sulle

caratteristiche clinico-patologiche sopracitate fossero valide anche nella nostra serie di

pazienti.

Abbiamo studiato inoltre il possibile ruolo dei valori basali del rapporto tra neutrofili e

linfociti (NLR: neutrophil to limphocite ratio) e tra piastrine e linfociti (PLR: platelet-

lymphocyte ratio) come fattori prognostici di sopravvivenza e la loro possibile

correlazione con altri parametri clinico-patologici al fine di elaborare degli scores

prognostici. Questa nostra decisione ha preso spunto dalle numerose evidenze emerse

negli ultimi anni in merito al ruolo dell'infiammazione nel microambiente tumorale

dell'adenocarcinoma pancreatico come fattore promuovente l'acquisizione di un

fenotipo neoplastico sempre più invasivo. Tra i diversi indici di flogosi studiati fino ad

ora (mGPS, PI, PNI, NLR, PLR), l' NLR, più che il PLR, è risultato maggiormente

valido come fattore prognostico indipendente di sopravvivenza.212-215

64

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Nel trattamento dell'adenocarcinoma pancreatico la necessità di definire marcatori

prognostici clinici al fine di stabilire un piano terapeutico quanto più personalizzato

possibile è cruciale, dal momento che fino ad oggi, nonostante i progressi negli studi di

patologia molecolare, i biomarker individuati non sono risultati applicabili nella

routinaria pratica clinica.216-218 219

2.2 Pazienti e metodi

2.2.1 Criteri di selezione dei pazienti e trattamento

Sono stati individuati retrospettivamente pazienti affetti da carcinoma pancreatico

localmente avanzato e metastatico trattati presso il polo oncologico dell'AOUP dal 2008

al 2014 con CT di prima linea o primaria secondo regime FOLFOXIRI. I criteri di

inclusione nello studio erano:

• età superiore ai 18 anni e inferiore ai 75 anni

• trattamento primario per malattia localmente avanzata o di prima linea per

malattia metastatica con FOLFOXIRI

• diagnosi istologica o citologica di carcinoma del pancreas; e, nel caso di pazienti

con malattia localmente avanzata non metastatica non tipizzabili all'indagine

bioptica, la presenza di una diagnosi radiologica ed umorale tipica di carcinoma

pancreatico

• stadio di malattia classificabile come III o IV secondo l' AJCC94

• disponibilità di dati clinico-patologici, umorali, e radiologici

• rivalutazioni intermedie del quadro di malattia e dati di sopravvivenza

• performance status valutato secondo la scala ECOG di 0 o 1

Tutti i pazienti che soddisfacessero i sopramenzionati criteri sono stati inclusi

nell'analisi, dunque anche coloro che fossero progrediti dopo un intervento di chirurgia

resettiva seguito da un trattamento di chemioterapia adiuvante. Tutti i dati sono stati

raccolti in un database specifico.

65

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I pazienti sono stati trattati con il regime chemioterapico FOLFOXIRI che consiste in:

• Oxaliplatino 85 mg/mq in infusione ev di 2 ore al giorno 1

• Irinotecan 165 mg/mq in infusione ev di 1 ora al giorno 1

• Acido Folinico 200 mg/mq in infusione ev di 2 ore al giorno 1

• 5-Fluorouracile 3200 mg/mq in infusione continua ev di 48 ore dal giorno 1 al

giorno 3

Nei primi pazienti trattati le dosi di 5-Fluorouracile e di Irinotecan sono state utilizzate a

dosaggio lievemente ridotto, rispettivamente a 2800 e 150 mg/mq, per monitorare

meglio la tossicità al trattamento.

I cicli di terapia sono stati ripetuti ogni 14 giorni con monitoraggio clinico-chimico

della tossicità prima di ogni ciclo di trattamento.

La tossicità è stata riportata secondo i criteri "Common Toxicity Criteria" del National

Cancer Institute (NCI-CTC).

I pazienti hanno proseguito il trattamento per un massimo di 12 cicli di terapia,

effettuando una rivalutazione clinico-strumentale di malattia ogni 4 cicli di trattamento.

Le risposte sono state riportate secondo i criteri RECIST (Response Evaluation Criteria

in Solid Tumors).

Le riduzioni di dosi/rinvii sono state applicate in caso di tossicità secondo pratica clinica

attuale.

2.2.2. Obiettivi dello studio

Obiettivo iniziale dello studio era quello di valutare l’attività (in termini di risposte

obiettive, sopravvivenza libera da progressione e globale) e la tollerabilità di un

trattamento medico con FOLFOXIRI in pazienti con carcinoma del pancreas localmente

avanzato o metastatico in un setting di pratica clinica reale al di fuori di studi clinici

controllati.

Inoltre abbiamo deciso di valutare eventuali fattori prognostico/predittivi di maggiore

sopravvivenza con il trattamento medico e di creare uno score prognostico con questi

66

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fattori per identificare gruppi di pazienti che possano avere maggiore o minore beneficio

dal trattamento.

2.2.3. Disegno dello studio e considerazioni statistiche

Lo studio è stato condotto come studio osservazionale di coorte retrospettivo,

identificando i pazienti eleggibili dall’archivio del Polo Oncologico dell’Azienda

Ospedaliero-Universitaria Pisana utilizzando i criteri citati.

È stato creato un database elettronico in cui sono stati registrati i dati clinici dei pazienti

e i parametri di malattia; al termine della compilazione il database è stato anonimizzato

assegnando ai singoli pazienti dei codici numerici che permettano di associare i dati

clinici con i dati patologici ma non consentano di risalire all’identità dei pazienti stessi;

le versioni non anonime del database sono state cancellate. Le analisi sono state

effettuate al termine della compilazione del database dopo la sua anonimizzazione.

Sono stati registrati i seguenti dati clinico-patologici:

• correlati al paziente e alla malattia: sesso, età alla diagnosi di malattia,

performance status, stadio di malattia, istologia, grading, precedente chirurgia,

precedenti trattamenti adiuvanti, sedi di malattia (numero e localizzazione),

eventuali precedenti interventi di derivazione biliare o gastro-intestinale;

• correlati al trattamento: data di inizio del trattamento, dosi dei farmaci, numero

di cicli di terapia, riduzione di dosi/rinvii, massima tossicità riportata, migliore

risposta ottenuta, data di progressione, eventuali trattamenti successivi, data di

decesso;

• ematochimici al momento di inizio del trattamento: neutrofili, linfociti, piastrine,

CA19.9, LDH.

Le risposte obiettive e le tossicità sono state analizzate in termini di frequenza

percentuale.

La PFS e la OS sono state analizzate costruendo le curve di sopravvivenza secondo il

metodo di Kaplan-Meier; vengono riportati i valori di sopravvivenza mediana e a

determinati end-point (6, 12, 18 e 24 mesi per la PFS; 12, 24, 36 e 48 mesi per la OS).

67

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L’associazione dei parametrici clinico-patologici con la risposta o la tossicità è stata

valutata mediante l’utilizzo di tabelle di contingenza analizzate con il test del Chi

quadrato; è stata posta la significatività a un livello di p<0.05.

L’associazione dei parametri in studio con la sopravvivenza (PFS e OS) è stata invece

valutata attraverso il log rank test considerando una p significativa se <0.02 come

correzione statistica per le analisi multiple effettuate.

Nell'analisi univariata della risposta alla terapia, della PFS e della OS abbiamo incluso i

seguenti fattori:

• età maggiore o minore di 65 anni;

• M vs F;

• Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) PS (0 vs 1);

• sede del tumore primitivo (testa-processo uncinato vs corpo-coda);

• istologia (adenocarcinoma duttale vs adenocarcinoma insorto su IPMN);

• chirurgia resettiva su tumore primitivo (si vs no);

• trattamento di chemioterapia adiuvante (si vs no);

• estensione di malattia (localmente avanzata vs metastatica);

• numero di sedi di malattia;

• presenza o assenza di metastasi epatiche, peritoneali, polmonari, scheletriche o

di recidiva locale;

• eventuale deviazione biliare (si vs no);

• valori di antigene carboidratico 19.9 (CA19.9);

• indici ematologici di flogosi: NLR e PLR;

• LDH

Le variabili di laboratorio sono state raccolte inzialmente come variabili continue e solo

successivamente sono state rese discontinue in riferimento ai cut-off riscontrati in

letteratura per ciascuna. In particolare l'antigene carboidratico è stato categorizzato in

tre gruppi (normale, compreso tra 0 e 35 U/ml; aumentato, ma minore di 59 volte del

68

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limite superiore del range normale- <59xULN; aumentato, >59xULN);184, 190 così come

il PLR (<150; 150-300; >300);213 mentre la variabile NLR è stata dicotomizzata a

seconda che fosse maggiore o minore di 4.220

I fattori risultati significativi all’analisi univariata sono stati testati successivamente in

un’analisi multivariata secondo il modello proporzionale di Cox considerando

significativa una p<0.05.

Le analisi statistiche sono state effettuate attraverso l’utilizzo del software SPSS

Statistics (IBM, Chicago, IL, USA) v20.

2.3 Risultati

2.3.1 Caratteristiche dei pazienti

Da maggio 2008 a gennaio 2015 sono stati trattati 137 pazienti che soddisfacessero i

criteri di inclusione della nostra analisi.

Il 76% dei pazienti alla diagnosi aveva meno di 65 anni, con un'età mediana di 60 anni

ed un range compreso tra 33 e 75 anni.

Il rapporto tra i due generi era piuttosto ben bilanciato: essendo le femmine il 51,8% del

totale ed i maschi il 48,2%.

Una buona frazione di pazienti, 92 su 137, si presentava alla diagnosi con un ECOG PS

pari a 0.

Dal punto di vista dell'istologia la maggioranza dei pazienti era affetta da

adenocarcinoma duttale, l' 89% del totale, mentre l'11% aveva un adenocarcinoma

insorto su IPMN.

Il dato riguardante il grado di differenziazione della malattia è stato valutabile solo nel

35,8% dei casi: la maggioranza dei quali, 44 pazienti (32,1%) si presentava alla diagnosi

con un grading istologico intermedio (G2), 4 pazienti (2,9) con una neoplasia

scarsamente differenziata (G3) e solo 1 paziente (0,7%) con una neoplasia ben

differenziata (G1).

69

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In merito alla sede di malattia, 73 pazienti, appena più della metà (53,2%), avevano un

tumore localizzato all'estremità cefalica della ghiandola; 62 (45,3%) a livello del corpo-

coda; mentre soltanto 2 pazienti (1,5) avevano una forma multicentrica.

Al momento dell'inizio del trattamento con FOLFOXIRI 56 pazienti risultavano affetti

da uno stadio III di malattia, mentre 81 da uno stadio IV, rispettivamente il 40,9% ed il

59,1%. I pazienti presentavano una mediana di 2 sedi di malattia, in un range compreso

tra 1 e 5. La sede più frequente di ripetizioni è risultata essere il fegato, infatti 64

pazienti (46,7%) presentavano localizzazioni di malattia a quel livello. A seguire per

frequenza, il peritoneo (19%), il polmone (10,2) e in egual misura lo scheletro e la

ghiandola pancreatica residua (2,9%).

Precedentemente alla terapia di prima linea da noi indagata, 15 pazienti (10,9%) erano

stati sottoposti ad intervento di chirurgia resettiva sul tumore primitivo, e 11 tra questi

anche a chemioterapia adiuvante con gemcitabina.

La palliazione dell' ittero è stata necessaria prima dell'inizio del trattamento per 38

pazienti (27,7%) a mezzo di deviazione biliare, ovvero mediante posizionamento di

drenaggio biliare esterno o interno, o a mezzo di epaticodigiunostomia, che è stata

realizzata in 11 tra questi pazienti, ovvero nel 30% dei casi.

L' antigene carboidratico (CA19.9) si è rivelato disponibile per 91 pazienti (66,5%): 13

(9,5%) presentavano un valore entro il range di normalità; aumentato, ma minore di 59

volte il limite superiore del range normale in 56 pazienti (41%) e maggiore di tale

valore in 22 pazienti (16%).

Sulla base dei valori ematochimici raccolti abbiamo calcolato l' NLR ed il PLR,

valutabili per 119 (86,9%) e 117 (85,4%) pazienti rispettivamente. Il 71,6% dei pazienti

aveva un valore di NLR minore di 4 all'inizio del primo ciclo di chemioterapia, mentre

solo il 15,3% aveva un valore superiore ad esso. Neppure per il PLR si è riscontrata un'

equa distribuzione nei tre gruppi: infatti 82 pazienti (60%) avevano valori inferiori a

150; 33 (24%) tra 150 e 300 ed infine solo 2 (1,4%) valori superiori a 300.

Il dato sul valore basale della LDH è risultato reperibile in 93 (67,9%) pazienti con una

mediana di 198 ed un range compreso tra 101 e 653. Inoltre è risultato essere maggiore

del limite superiore (225) del range dei valori di riferimento nel 32,1% dei casi.

70

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Le caratteristiche basali dei pazienti sono riassunte in tabella 2.1.

Caratteristiche basali dei pazienti (N=137) N (%)

Età

mediana

range

<65 anni

≥65 anni

60 anni

33-75 anni

104 (76)

33 (24)

Sesso

femmine

maschi

71 (51,8)

66 (48,2)

ECOG performance status score

0

1

92 (67,2)

45 (32,8)

Istologia

adenocarcinoma duttale

adenocarcinoma insorto su IPMN

122 (89)

15 (11)

Grado

1

2

3

x

1 (0,7)

44 (32,1)

4 (2,9)

88 (64,2)

Sede del tumore pancreatico

testa-processo uncinato

corpo-coda

multicentrico

73 (53,2)

62 (45,3)

2 (1,5)

Stadio

III

IV

56 (40,9)

81 (59,1)

Numero di sedi di malattia

mediana

range

2

1-5

71

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Caratteristiche basali dei pazienti (N=137) N (%)

Sedi di metastasi per numero di pazienti

fegato

pancreas (recidiva locale)

peritoneo

polmone

scheletro

64 (46,7)

4 (2,9)

26 (19,0)

14 (10,2)

4 (2,9)

Valori di CA19.9

normale

aumentato, <59x ULN

aumentato, ≥59xULN

non valutabili

13 (9,5)

56 (41)

22 (16)

46 (33,5)

Valori NLR

<4

>4

non valutabili

98 (71,6)

21 (15,3)

18 (13,1)

Valori PLR

<150

150-300

>300

non valutabili

82 (60)

33 (24)

2 (1,4)

20 (14,6)

LDH

mediana

range

198,00

101-653

Valori di LDH

<225§

≥225

non valutabili

59 (43,1)

34 (24,8)

44 (32,1)

Trattamenti precedenti

chirurgia resettiva

chemioterapia adiuvante

15 (10,9)

11 (8,0)

72

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Caratteristiche basali dei pazienti (N=137) N (%)

Deviazione biliare

si

no

38 (27,7)

99 (72,3)§ Il range di normalità per la LDH è 135-225 U/L

Tabella 2.1 Caratteristiche cliniche basali dei pazienti inclusi nell'analisi

2.3.2 Efficacia e tollerabiblità

Risposta obiettiva al trattamento

Al momento dell'analisi dei dati, effettuata ad aprile 2015, dei 137 pazienti trattati, 131

(95,6%) sono risultati valutabili per risposta obiettiva al trattamento. Nello specifico: un

paziente (0,6%) ha avuto una risposta completa; risposte parziali sono state osservate in

52 pazienti (38,0%); mentre una sostanziale stabilità del quadro di malattia è stata

osservata in 46 pazienti (33,6%). Una progressione di malattia come miglior risposta è

stata riscontrata invece in 32 pazienti (23,4%). L’attività del trattamento è stata valutata

secondo i criteri RECISTv1.1, i dati umorali e l'evidenza clinica di scadimento delle

condizioni generali.

Dei 56 pazienti con malattia localmente avanzata, 26 sono andati incontro a resezione

chirurgica dopo la chemioterapia preoperatoria con FOLFOXIRI. Dunque il 19%, del

totale dei pazienti, e il 46,4% dei pazienti in stadio III.

Confrontando i tassi di risposta tra pazienti affetti da malattia localmente avanzata e

metastatica si è constatata una maggiore attività nei pazienti in stadio III con un RR del

42,9% di contro al 35,8% dei pazienti con malattia metastatica. Una stabilità del quadro

di malattia si è osservata nel 41,1% e nel 28,4% rispettivamente. In merito alla

progressione invece, il tasso nello stadio IV è risultato essere superiore di circa due

volte quello nello stadio III (29,6% vs 14,3%).

73

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Miglior Risposta al

trattamento

Tutti i pazienti

no. (%)

Stadio 3

%

Stadio 4

%

Risposta completa

(RC)

1 (0,6) 1,8 -

Risposta parziale

(RP)

52 (38,0) 41,1 35,8

Stabilità (SD) 46 (33,6) 41,1 28,4

Progressione (PD) 32 (23,4) 14,3 29,6

Non valutabile (NV) 6 (4,4) 1,8 6,2

Tabella 2.2 Attività del trattamento

Sopravvivenza

All'ultima analisi dei dati nell' aprile 2015, con un follow up mediano di 30 mesi, 28

pazienti (20,4%) risultavano ancora non progrediti, a differenza dei restanti 109 (79,6%)

che avevano avuto una progressione di malattia e di cui 99 pazienti (90,8%) erano

deceduti.

La sopravvivenza mediana libera da progressione di malattia (PFS) è risultata essere di

8,0 mesi (95% CI 6,19-9,81), con il 26,3% dei pazienti non ancora progredito a 12 mesi

ed il 3,7% a 24 mesi.

74

Figura 2.1. Curva di PFS in tutti i pazienti.

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La sopravvivenza globale mediana (OS) è risultata essere di 12 mesi (95% CI 9,75-

14,25), con il 19,6% dei pazienti vivo a 24 mesi e l'8,4% ancora vivo a 48 mesi.

Nel sottogruppo di 26 pazienti sottoposti a chirurgia resettiva dopo la chemioterapia

pre-operatoria con FOLFOXIRI la PFS mediana è stata di 14,9 mesi (95% CI 10,39-

19,41), con una sopravvivenza globale mediana di 17,7 mesi (95% CI 4,68-30,72).

Dal momento che la nostra casistica comprendeva pazienti con un quadro di malattia sia

localmente avanzato che metastatico è doveroso sottolineare che nello stadio III si sono

registrate una mediana di sopravvivenza libera da progressione di 11 mesi ed una

sopravvivenza globale di 14,9 mesi; mentre, nello stadio IV una PFS mediana di 5,8

mesi, ed una OS mediana di 10,8 mesi.

75

Figura 2.2. Curva di OS in tutti i pazienti.

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76

Figura 2.4. Curva di OS in pazienti in stadio IV.

Figura 2.3. Curva di PFS in pazienti in stadio IV.

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Tollerabilità

La mediana del numero di cicli somministrati ai pazienti inclusi nell'analisi è stata di 8

cicli, con un range compreso tra 1 e 16. Il 6,3% dei pazienti ha iniziato il regime

chemioterapico con un dosaggio del 5-FU in infusione continua pari a 2400-2600

mg/mq e dunque inferiore rispetto al dosaggio standard di 2800-3200 mg/mq. Invece

per quanto riguarda l'irinotecan nel 5,5 % dei pazienti il dosaggio somministrato al

primo ciclo è stato inferiore ai 150-165 mg/mq previsti. Un rinvio nella cadenza

quindicinale dei cicli è stato necessario almeno una volta in 74 pazienti (54%) e un

trattamento a dosaggio ridotto è stato effettuato in 53 pazienti (38,7%).

In 132 pazienti è stato possibile valutare le tossicità sviluppate nel corso del trattamento

chemioterapico: 73 pazienti (55,3%) hanno sviluppato una o più tossicità di grado 3-4

(valutate secondo i criteri CTCAE v4.0).

Per quanto riguarda le tossicità ematologiche di grado 3-4, sono stati evidenziati 51 casi

(37,2%) di neutropenia, e solo un caso di neutropenia febbrile; ad ogni modo l' uso di

fattori di crescita granulocitari si è reso necessario solo in 27 pazienti (20,6%). Ancora, i

casi di trombocitopenia si sono attestati a 11 (8,0%), e quelli di anemia a 7 (5,1%).

Le tossicità non ematologiche di grado 3-4 osservate sono state: astenia ed anoressia di

grado 3 in 3 e 4 casi rispettivamente (2,1% e 2,9%); nausea in 10 casi (7,2%) e vomito

in 5 (3,6%); diarrea in 11 pazienti (8,0%). Tossicità epatica di grado 3 (rialzo della

bilirubina e/o delle transaminasi) si è verificata in 6 pazienti (4,3%). Stomatiti e

mucositi di grado 3 si sono verificate in 6 (4,3%) e 4 (2,9%) casi rispettivamente.

Solo 3 pazienti (2,1%) hanno sviluppato neuropatia sensitiva di grado 3.

Da sottolineare, inoltre, in 7 pazienti (5,1%) lo sviluppo di eventi tromboembolici.

Le tossicità sviluppate sono riassunte in tabella 2.3.

77

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Tossicità G3-G4 No. (%)

Ematologiche

Neutropenia

Neutropenia febbrile

Trombocitopenia

Anemia

51 (37,2)

1 (0,72)

11 (8,0)

7 (5,1)

Non ematologiche

Astenia

Anoressia

Nausea

Vomito

Diarrea

Epatica

Stomatite

Mucosite

Neuropatia sensitiva

Eventi tromboembolici

4 (2,9)

3 (2,1)

10 (7,2)

5 (3,6)

11 (8,0)

6 (4,3)

6 (4,3)

4 (2,9)

3 (2,1)

7 (5,1)

Tabella 2.3 Tossicità di grado 3 e 4 sviluppate nel corso del trattamento.

Seconde linee di terapia

Una seconda linea di terapia dopo FOLFOXIRI è stata somministrata a 74 pazienti. Tre

sono stati trattati con esclusivo trattamento radiante data la presenza di sola recidiva

locale di malattia. I restanti 71 sono stati sottoposti a trattamenti medici: il regime

chemioterapico maggiormente utilizzato è stata la gemcitabina, somministrata a 32

pazienti (45,1%). Una terapia combinata a base di gemcitabina e capecitabina (9

pazienti) od oxaliplatino (5 pazienti) è stata impiegata nel 19,8% dei casi; mentre

l'associazione gemcitabina/Nab-paclitaxel è stata somministrata a 13 pazienti (18,3%).

Regimi combinati col 5-FU (FOLFIRI, FOLFOXIRI, FOLFOX) sono stati utilizzati

nell' 11,2 % dei casi. In tabella 2.4 sono riassunti i regimi di seconda linea

somministrati.

78

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Seconda linea No.(%)

Gemcitabina

Gemcitabina+Nab-Paclitaxel

Gecitabina+Capecitabina

GEMOX

FOLFIRI

FOLFOXIRI

XELOX

FOLFOX

Nab-Paclitaxel

Paclitaxel

Gemcitabina+Carboplatino

32 (45,1)

13 (18,3)

9 (12,7)

5 (7,1)

4 (5,6)

3 (4,2)

1 (1,4)

1 (1,4)

1 (1,4)

1 (1,4)

1 (1,4)

Tabella 2.4 Seconde linee post-FOLFOXIRI

2.3.3 Fattori prognostici

Analisi dell' attività e della sicurezza del trattamento

Sono stati studiati a mezzo di un'analisi univariata eventuali fattori clinico-patologici

che potessero influenzare l' attività del trattamento in termini di presenza o meno di

progressione documentata.Ne è emerso che fattori predittivo-prognostici statisticamente

significativi di risposta obiettiva alla terapia sono: lo stadio di malattia (p=0,025); la

presenza/assenza di metastasi epatiche (p=0,01) e l'NLR maggiore o minore di 4

(p=0,021).

Procedendo ulteriormente nell'analisi abbiamo stratificato i pazienti per stadio al fine di

rilevare quali fattori mantenessero una significatività statistica: ne abbiamo evinto che

nello stadio IV la presenza o meno di ripetizioni epatiche rimane effettivamente come

tale (p=0,014).

Dalle analisi statistiche effettuate non è risultata alcuna differenza statisticamente

significativa in termini di compliance alla chemioterapia sulla base dei fattori

considerati. Non esiste infatti alcuna correlazione in termini di tossicità di grado 3-4

sviluppate ed età, ECOG PS, stadio, sedi di malattia, precedente pancreasectomia e

79

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presenza o assenza di deviazione biliare.

Analisi della sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS)

All'analisi univariata i fattori clinico-patologici ed umorali associati ad una differenza

statisticamente significativa in termini di PFS sono risultati: l' ECOG performance

status (p=0,013); l'istologia (p=0,007); lo stadio (p=0,00008); la presenza/assenza di

metastasi epatiche (p=0,000018); il numero di sedi di malattia (p=0,02); l' NLR

(p=0,0002) ed il PLR (p=0,001).

Quando poi questi stessi fattori sono stati rivalutati in un'analisi multivariata, solo i

seguenti sono risultati essere indipendenti e statisticamente significativi da un punto di

vista prognostico: l'ECOG performance status (p=0,01; HR: 2,29; 95% CI 1,43-3,67), l'

NLR (p=0,019; HR: 2,03; 95% CI 1,12-3,69) e l' assenza di metastasi epatiche

(p=0,036; HR: 0,51; 95% CI 0,27-0,96).

Infatti la PFS mediana per i pazienti con ECOG PS 0 è di 8,9 mesi (95% CI 7,86-9,94),

mentre per quelli con ECOG PS 1 di 5,2 mesi (95% CI 3,22-7,18). In caso di assenza di

metastasi epatiche la PFS mediana è di 10,3 mesi (95% CI 8,52-12,09), di contro ad una

di 4,7 mesi nel caso di positività di malattia epatica (95% CI 3,54-5,86). Invece la

sopravvivenza mediana libera da malattia per i pazienti con NLR<4 si è attestata a 8,3

mesi (95% CI 6,34-10,26), mentre per i pazienti con NLR>4 a 3,1 mesi (95% CI 1,48-

4,72).

Analisi della sopravvivenza globale (OS)

Come per la PFS anche per l'OS è stata eseguita un'analisi univariata volta ad

identificare fattori prognosticamente favorevoli per la sopravvivenza. Da questa è

emerso che sono associati a variazioni statisticamente significative di OS: l'ECOG

performance status (p=0,001); la presenza o l'assenza di mestastasi epatiche (p=0,003);

il CA19.9 (p=0,034); l' NLR (p=0,000041) e il PLR (p=0,001).

Una volta rivalutati nell' analisi multivariata, gli unici fattori risultati essere indipendenti

e significativi da un punto di vista statistico sono stati anche in questo caso l'ECOG

performance status (p=0,001; HR: 2,26; 95% CI 1,42-3,59), l'assenza di metastasi

epatiche (p=0,019; HR: 0,59; 95% CI 0,38-0,96) e l'NLR superiore a 4 (p= 0,002; HR:

80

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2,42; 95% CI 1,38- 4,25).

Difatti la OS mediana in pazienti con ECOG PS pari a 0 è di 14,9 mesi (95% CI 10,77-

19,03), mentre nel caso di pazienti con ECOG PS 1 osserviamo una mediana di 9,0 mesi

(95% CI 8,21-9,80). La mediana di sopravvivenza globale invece in presenza di

metastasi epatiche è di 9,5 mesi (95% CI 7,86-11,14), mentre in assenza è di 14,9 mesi

(95% CI 11,19-18,61). Nel caso di un NLR<4 la OS mediana si attesta a 12,5 mesi

(95% CI 10,01-14,99) verso i 5,1 mesi (95% CI 2,29-7,91) nel caso in cui il rapporto sia

superiore a 4.

Stratificando la nostra analisi per stadio di malattia è risultato che nei pazienti in stadio

IV l'assenza o la presenza di metastasi epatiche rimane statisticamente significativa in

termini di sopravvivenza globale con una mediana di 21,8 mesi (95% CI 7,08-36,52) e

9,5 mesi (95% CI 7,86-11,14) rispettivamente (p=0,016).

Modello prognostico

Una volta evidenziate a mezzo dell'analisi multivariata la significatività statistica

dell'ECOG performance status 1, della presenza di metastasi epatiche e del valore

dell'NLR maggiore di 4 come fattori prognostici negativi di sopravvivenza sono state

eseguite analisi sull' attività del trattamento e sulla sopravvivenza stratificando i pazienti

in funzione della presenza di nessuno, uno, o più di due tra questi fattori prognostici.

La stratificazione applicata all' attività del regime chemioterapico ha mostrato una

variabilità statisticamente significativa (p=0,003) nei tre insiemi di pazienti-assenza (0)-

presenza di uno(1)- più di due fattori (2/3): tassi di risposta (RR) del 36,8% e del 44,9%

si sono registrati nei gruppi 0 e 1, molto più basso nel gruppo con due o più fattori, dove

risposte parziali si sono verificate nel 21,9% dei casi. In quest' ultimo in aggiunta, la

progressione come risposta obiettiva al trattamento è stata una prerogativa della metà

dei pazienti. Al contrario i tassi di progressione sono stati sensibilmente più bassi nei

primi due, nello specifico del 7,9% nel gruppo 0.

81

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Miglior Risposta al

trattamento

Gruppo 0

%

Gruppo 1

%

Gruppo 2/3

%

RP 36,8 44,9 21,9

SD 50 32,7 21,9

PD 7,9 18,4 50

NV 5,3 4,1 6,2

Tabella 2.5 Attività del trattamento sulla base dei fattori prognostici.

Le differenze di sopravvivenza libera da progressione (PFS) e globale (OS) riscontrate

nei tre gruppi sono statisticamente significative (p<0,0001).

La PFS mediana si è attestata a 11 mesi (95% CI 7,4-14,7), 8,3 mesi (95% CI 5,6-11,0),

e 2,9 mesi (95% CI 1,68-4,12) rispettivamente nei gruppi 0, 1 e 2/3.

Al contempo la sopravvivenza globale mediana dei tre gruppi è stata di 17,6 mesi (95%

82

Figura 2.5. Curva di PFS sulla base dei fattori prognostici.

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CI 13,107-22,093), 11,1 mesi (95% CI 5,964-16,236) e 7,4 mesi (95% CI 4,569-10,231)

rispettivamente. A 12 mesi la percentuale di pazienti vivi nel gruppo 0 era del 70,4%,

del 50% nel gruppo 1 e del 9,6% nel gruppo 2/3. Il 32,1 % e il 24,9% dei pazienti

appartenenti rispettivamente ai primi due gruppi erano vivi a 24 mesi; nessuno era

ancora in vita invece dei pazienti che presentavano due o tre dei fattori individuati.

Infine a 36 mesi il 19,2%, e la metà di questi, l' 8,9%, tra i soggetti del gruppo 1.

83

Figura 2.6. Curve di OS sulla base dei fattori prognostici.

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Capitolo 3. Discussione

In questo studio è stata presentata una casistica ampia ed omogenea, costituita da 137

pazienti affetti da carcinoma pancreatico avanzato trattati con il regime terapeutico

FOLFOXIRI e seguiti con controlli periodici di rivalutazione per una durata mediana di

30 mesi.

FOLFOXIRI si è confermato essere un regime dall' attività interessante nella malattia

avanzata, dal momento che si è osservato un response rate del 38,6% ed una stabilità di

malattia nel 33,6% dei casi. Progressioni del quadro clinico si sono realizzate nel 23,4%

dei casi. Otto, i mesi di sopravvivenza mediana libera da progressione, con il 26,3% dei

pazienti non ancora progredito a 1 anno; e 12, i mesi di sopravvivenza globale mediana,

con il 19,6% dei pazienti vivo a 24 mesi.

I pazienti in stadio IV costituivano il 59,1% del totale ed i dati in termini di efficacia e

sopravvivenza in questa compagine hanno riprodotto quelli riportati in letteratura. In

particolare riferendoci allo studio PRODIGE 4/ ACCORD 11184 possiamo osservare una

buona corrispondenza tra il RR del 35,8% da noi rilevato ed il 31% riportato a seguito

di chemioterapia con FOLFIRINOX. Un poco più discordanti i valori riferiti alle

percentuali di stabilità e progressione pari al 28,4% e 29,6% nei pazienti da noi trattati,

ed il 38,6% e 15,2% nei pazienti dello studio francese. Simili, invece, i valori di PFS

mediana pari a 5,8 mesi e 6,4 mesi, e di OS mediana pari a 10,8 mesi e 11,1 mesi

rispettivamente. Le piccole differenze evidenziate potrebbero ricondursi al fatto che la

nostra analisi si è svolta in un setting di pratica clinica, anziché in uno studio clinico

controllato randomizzato con rigidi criteri di arruolamento.

La nostra analisi ha incluso però anche pazienti in stadio III (56, il 40,9%), in cui il

FOLFOXIRI ha dimostrato ancora una volta la sua promettente efficacia come regime

primario. I risultati ottenuti sono infatti sovrapponibili a quelli di numerosi studi

retrospettivi e prospettici condotti negli ultimi anni con l'obiettivo di valutare l'attività

del FOLFIRINOX classico o modificato in tumori pancreatici localmente avanzati:160, 161,

221 si è ottenuto un RR del 42,9%, con un controllo di malattia nell'84% dei casi,

quest'ultimo valore identico a quello riportato da Peddi et al su 23 pazienti, che

registrava però un response rate più basso, pari al 34%. Le PFS ed OS mediane di 11

84

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mesi e 14,9 mesi hanno raggiunto i 14,9 e 17,7 mesi nel sottogruppo di pazienti che

sono stati sottoposti ad intervento di chirurgia resettiva dopo chemioterapia

neoadiuvante. Il tasso di resezione del 46,4%, così come la OS mediana nei resecati

sono ancora una volta comparabili al 51,1% ed ai 18 mesi di OS mediana riscontrati da

Blazer et al in una revisione retrospettiva su 43 pazienti. Questi dati necessiterebbero di

una conferma in studi prospettici randomizzati.

Il profilo di tollerabilità del regime è stato soddisfacente: non è stata registrata alcuna

morte tossica, mentre le tossicità prevalenti, di natura ematologica, in particolare

neutropenia e trombocitopenia di grado G3-G4 nel 37,2% e 8% dei casi, sono state

controllate per mezzo di riduzioni di dosaggio (39% dei casi) e rinvii (54% dei casi) e

nel 20,6% dei casi con fattori di crescita granulocitari. Si tratta in effetti di un regime

piuttosto impegnativo, ma che è risultato essere attuabile anche in pazienti non

selezionati, portatori di deviazione biliare o con comorbidità; con un numero di cicli

somministrati mediano pari a 8. Sicuramente una delle criticità in merito a questo

aspetto deriva dal fatto che il nostro centro possiede una lunga esperienza nell' impiego

e nella necessaria modulazione di questo regime, in quanto ampiamente utilizzato in

altri tumori gastrointestinali; pertanto questi risultati dovrebbero essere validati in uno

studio multicentrico. Altro possibile limite della nostra analisi risiede nella sua natura

osservazionale retrospettiva, aspetto che ha limitato la raccolta dei dati clinico-

patologici ai soli disponibili dalla disamina delle cartelle cliniche. Inoltre, essendo i

pazienti stati trattati in un setting di pratica clinica, ne è derivata una certa

personalizzazione del trattamento (ad esempio nelle dosi iniziali), a differenza di quanto

non si sarebbe potuto verificare in un rigido studio controllato. Quest' aspetto tuttavia

rappresenta anche un punto di forza dello studio.

Come già sottolineato la disponibilità di nuove opzioni terapeutiche per la malattia

avanzata ha fatto emergere sempre di più la necessità di biomarker tumorali affidabili e

ripetibili, capaci di predire la risposta al trattamento e dotati di valenza prognostica, al

fine di guidare il clinico nella scelta del trattamento più appropriato per il singolo

assistito. Le aspettative rivolte verso il ruolo preddittivo di SPARC per la combinazione

Gem/Nab-Paclitaxel e di hENT1 per la gemcitabina sono state frustrate dall' assenza di

correlazione significativa tra l'attività farmacologica e l' espressione tumorale di queste

molecole.216, 219 Attualmente l'unico marcatore di cui ci si avvale nella pratica clinica è il

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Ca19.9, non dotato però né di elevata sensibilità, dal momento che il 10% della

popolazione caucasica non esprime l' antigene di Lewis, né di specificità.

Nell'aggiornamento dello studio MPACT non ha infatti dimostrato una valenza

prognostica indipendente, ma esclusivamente predittiva di risposta in quei pazienti in

cui si realizzava una risposta biochimica precoce, ovvero una riduzione dei suoi valori

superiore al 20%, nelle prime 8 settimane di trattamento.211 Alle medesime conclusioni è

giunta un'analisi retrospettiva per sottogruppi dei pazienti trattati nello studio PRODIGE

4/ ACCORD 11. Anche nella nostra casistica il valore di Ca19.9, sebbene all'analisi

univariata fosse risultato associato a differenze statisticamente significative (p=0,034),

non ha dimostrato un impatto prognostico rilevante all'analisi multivariata.

Questa la ragione per cui nella nostra analisi ci siamo concentrati sulla ricerca di fattori

prognostici clinico-umorali. L' ECOG PS, la presenza di metastasi epatiche ed un

rapporto neutrofili/linfociti (NLR) maggiore di 4 si sono delineati come fattori

prognostici indipendenti di attività del trattamento, PFS ed OS in analisi multivariate.

Il performance status (OS: HR: 2,26; 95% CI 1,42-3,59; p<0,001), sebbene privo di una

oggettività assoluta, è risultato un fattore di stratificazione prognostica indipendente

anche in altri lavori, come nell' analisi retrospettiva della popolazione randomizzata

nello studio MPACT (OS: HR: 1,60; 95% CI 1,35-1,90; p<0,001)211 e in studi

retrospettivi222, 223 effettuati su pazienti affetti da carcinoma pancreatico avanzato trattati

con una prima linea di terapia a base gemcitabina o S-1 (profarmaco del 5FU). In uno di

questi studi, su una casistica di 66 pazienti, l' analisi multivariata effettuata ha condotto

all' elaborazione di uno score prognostico basato sull' ECOG PS, la sede del tumore

primitivo e i livelli di proteina C reattiva, un altro indice di flogosi dunque, con una

differenza tra i 3 gruppi statisticamente significativa (p<0,0001).222

Anche la presenza di metastasi epatiche come fattore di stratificazione prognostico (OS:

HR:1,69; 95% CI 1,04-2,63; P<0,001) trova riscontro in letteratura, infatti la sua

valenza negativa in termini di outcome è stata rilevata anche nei più volte citati studi

ACCORD 11/PRODIGE4 (OS: HR.1,58; 95% CI 0,99-2,49; P<0,001) e MPACT (OS:

1,81 95%CI 1,40-2,33; P<0,001). In corso d' opera ci siamo chiesti se avendo incluso

nella nostra analisi anche pazienti in stadio III, la presenza di metastasi non fosse

associata allo stadio, piuttosto che un fattore indipendente, ma analizzando la propria

valenza stratificando i risultati per stadio abbiamo rilevato che la malattia epatica è un

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fattore prognostico sfavorevole in termini di OS anche all' interno della popolazione

metastatica (21,8 vs 9,5 mesi; p=0,016).

L'NLR è stato dimostrato essere in una recente meta-analisi-che includeva studi in cui

tale rapporto veniva valutato come fattore prognostico, in pazienti con carcinoma

pancreatico sottoposti a resezione,o a chemioterapia o a radioterapia o ad una

combinazione delle due, sia con finalità terapeutiche che palliative-un fattore associato

ad elevata metastatizzazione, scarso differenziamento tumorale, elevati livelli di

proteina C reattiva, bassi livelli di albumina e ad uno scarso performance status. In tale

meta-analisi elevati livelli di NLR (considerati al di sopra di un cut-off compreso tra

2,3-5) sono stati associati ad un impatto sfavorevole sulla sopravvivenza globale (HR:

2,61; 95% CI 1,68-4,06; p=0,000).214 Ancora, in uno studio volto a chiarire quale avesse

una maggior correlazione con l'outcome di pazienti affetti da neoplasia pancreatica tra i

diversi indici di flogosi sistemica, come ad esempio il Glasgow Prognostic score

modificato (mGPS), il PI (PCR e conta leucocitaria), il PNI (albumina e conta

leucocitaria), il PLR ed infine l' NLR, proprio quest'ultimo ha dimostrato la propria

superiorità in termini di significatività prognostica sulla sopravvivenza (OS: HR: 2,54

95% CI 1,31-4,90; p=0,006).215 Questi dati si confanno a quelli da noi ottenuti per un

NLR>4 (OS: HR: 2,42; 95% CI 1,38- 4,25; p= 0,002); questo cut-off è stato fissato

facendo riferimento ad un' altra recente meta-analisi in cui tale valore risultava essere

quello mediano tra il rapporto neutofili/linfociti di 100 studi in cui l'impatto sulla

sopravvivenza di esso veniva valutato non solo per l'adenocarcinoma pancreatico, bensì

per i tumori solidi in generale. Anche in quel lavoro la significatività statistica dell' NLR

in termini di impatto sulla sopravvivenza è stata dimostrata con una p<0,001.220 Questi

lavori ed il nostro studio incoraggiano pertanto l'uso di tale marcatore come indice

prognostico, tenendo presente che la facile misurabilità ed il suo basso costo lo rendono

ancora più adatto per tale ruolo. Tuttavia sarebbero necessari degli studi di coorte più

ampi al fine di stabilirne un cut-off definitivo.

Possibile limite delle nostre analisi statistiche sta nel fatto che abbiamo deciso di

analizzare molteplici fattori potenzialmente prognostico-predittivi per valutarne il ruolo;

per contenere tale problema, abbiamo però previsto una correzione della significatività

statistica tenendo conto delle analisi multiple e abbiamo effettuato un'analisi

multivariata dei fattori risultati significativi. Inoltre i fattori discussi hanno portato alla

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realizzazione di un modello prognostico che consente di stratificare i pazienti in tre

gruppi eterogenei per attività del trattamento ed outcome, in quanto: l' assenza (0) o la

presenza di uno (1) di questi si associa ad RR variabile dal 37% al 45% con tassi di

progressione tra l' 8% ed il 18%, mentre la presenza di più di due (2/3) ad un RR scarso,

pari a circa il 22%, con un indice di progressione del 50% (p=0,003); la PFS mediana

passa dagli 11 mesi del gruppo 0, agli 8,3 del gruppo 1 fino ai 2,9 mesi del gruppo 2/3,

mentre l'OS mediana dai 17,6 mesi del gruppo 0, agli 11,1 del gruppo 1 ai 7,4 del

gruppo 2/3 (p<0,0001). Ebbene, questo modello è valido; a mezzo di fattori

precipuamente clinici, consente, infatti, di distinguere gruppi in cui l'attività del

trattamento e l'outcome sono diversificati con una eterogeneità statisticamente

comprovata.

Sarebbe interessante validare i nostri risultati, sia per quanto attiene all' efficacia sia per

il modello prognostico elaborato, in serie indipendenti di pazienti trattati con

FOLFOXIRI/FOLFIRINOX in altri Centri, magari arruolati in studi clinici controllati.

Inoltre potrebbe essere proficuo verificarne la validità in database di studi randomizzati,

come quello dello studio ACCORD 11/ PRODIGE 4, al fine di chiarire se il modello

abbia o meno un' esclusiva valenza predittivo-prognostica, o possa invece essere esteso

al trattamento della malattia metastatica con regimi differenti.

Bisognerebbe approfondire quale sia la miglior strategia terapeutica per i pazienti del

gruppo 2/3. Questi presentano un tasso di risposta estremamente esiguo con una PFS

mediana di 2,9 mesi ed una OS mediana di 7,4 mesi. Tale coorte di pazienti non traendo

beneficio da una chemioterapia con FOLFOXIRI rende pertanto necessario lo sviluppo

di terapie più efficaci, o conduce invece a prediligere un trattamento meno tossico, ad

esempio con gemcitabina? Anche per questo interrogativo sarebbe importante chiarire la

valenza del modello.

Infine, data l' ampiezza della casistica, sarebbe utile effettuare analisi sul materiale

istologico disponibile (biopsie/pezzi operatori) al fine di studiare eventuali fattori

prognostici/predittivi molecolari che possano meglio guidare le scelte terapeutiche nel

singolo paziente.

In conclusione, sebbene con i limiti discussi, il presente studio rappresenta una delle più

ampie casistiche di pazienti con carcinoma del pancreas avanzato trattati con

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FOLFOXIRI e mette in evidenza alcuni semplici fattori clinici che permettono di creare

un modello fortemente predittivo della prognosi dei pazienti.

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