DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE … · elaborato un modello prognostico suddividendo...
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UNIVERSITÀ DI PISA
DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLENUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia
Tesi di Laurea
CHEMIOTERAPIA DI I LINEA CON FOLFOXIRI IN PAZIENTI AFFETTI DACARCINOMA DEL PANCREAS AVANZATO: VALUTAZIONE DEI RISULTATI
CLINICI ED ANALISI DI POTENZIALI FATTORI PROGNOSTICI
Relatore: Chiar.mo Prof. Alfredo Falcone
Candidata: Silvia Catanese
ANNO ACCADEMICO 2013-2014
Indice
Riassunto............................................................................................................................I
Capitolo 1. Introduzione....................................................................................................1
1.1 Epidemiologia.........................................................................................................1
1.2 Cenni anatomo-fisiologici.......................................................................................3
1.3 Fattori di rischio......................................................................................................6
1.4 Predisposizione genetica.........................................................................................7
1.5 Anatomia patologica...............................................................................................9
1.6 Genetica e biologia molecolare.............................................................................19
1.7 Storia naturale.......................................................................................................22
1.8 Quadro clinico, diagnosi e stadiazione.................................................................22
1.9 Trattamento...........................................................................................................31
1.9.1 Criteri di resecabilità.....................................................................................31
1.9.2 Trattamento chirurgico..................................................................................33
1.9.3 Trattamento medico.......................................................................................36
1.10 Trattamenti palliativi nella malattia localmente avanzata e metastatica.............57
Capitolo 2. Studio osservazionale retrospettivo di chemioterapia di I linea con
FOLFOXIRI in pazienti affetti da carcinoma del pancreas avanzato..............................63
2.1 Razionale dello studio...........................................................................................63
2.2 Pazienti e metodi...................................................................................................65
2.2.1 Criteri di selezione dei pazienti e trattamento...............................................65
2.2.2. Obiettivi dello studio....................................................................................66
2.2.3. Disegno dello studio e considerazioni statistiche.........................................67
2.3 Risultati.................................................................................................................69
2.3.1 Caratteristiche dei pazienti............................................................................69
2.3.2 Efficacia e tollerabiblità................................................................................73
2.3.3 Fattori prognostici.........................................................................................79
Capitolo 3. Discussione...................................................................................................84
Bibliografia......................................................................................................................90
Riassunto
Il tumore del pancreas costituisce una delle principali cause di morte per neoplasia nei
paesi occidentali.
Circa l' 80% dei pazienti sono affetti alla diagnosi da malattia localmente avanzata o
metastatica. Negli ultimi anni il trattamento di questo stadio di malattia ha raggiunto un
considerevole miglioramento grazie all' impiego, in luogo della gemcitabina, di un
regime a base di 5-fluorouracile/acido folinico, oxaliplatino ed irinotecan denominato
FOLFIRINOX la cui efficacia ed impatto sulla sopravvivenza sono stati dimostrati in un
trial clinico di fase III pubblicato nel 2011.
Il nostro centro possiede una consolidata esperienza nel trattamento dei tumori
gastrointestinali con un regime polichemioterapico definito FOLFOXIRI, molto simile
al FOLFIRINOX, in quanto basato sulla somministrazione delle medesime molecole,
ma differente per il ridotto dosaggio di irinotecan e l'assenza del bolo di 5-fluorouracile,
somministrato invece solo in infusione continua; pertanto è stato valutato l' impiego di
tale regime anche nel trattamento dei tumori pancreatici avanzati.
Lo studio, osservazionale di coorte retrospettivo, si è posto come obiettivo quello di
valutare, in un setting di pratica clinica, l' attività e la tollerabilità del regime
FOLFOXIRI come trattamento primario o di prima linea in pazienti affetti da carcinoma
pancreatico avanzato; e l'individuazione di fattori prognostici al fine di elaborare un
modello predittivo per meglio definire la sopravvivenza dei pazienti.
I 137 pazienti risultati eleggibili, trattati dal 2008 al 2014 presso il Polo Oncologico dell'
AOUP, avevano per la gran parte un'età inferiore ai 65 anni, sebbene la quota di pazienti
più anziani fosse comunque ben rappresentata (24%). La distribuzione tra i due stadi di
malattià è risultata ben bilanciata, seppure con una maggior prevalenza della malattia
metastatica. La sede della malattia primitiva, con un 53,2% di tumori a livello della testa
e un 45,3% a livello del corpo-coda, concorda con l' evidenza della pratica clinica ed
inoltre, nel 30% della popolazione inclusa era stato realizzato un precedente
posizionamento o intervento di derivazione biliare.
Si è riscontrato un response rate (RR) del 38,6%. Ad un follow-up mediano di 30 mesi
la sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana e la sopravvivenza globale (OS)
I
mediana sono risultate rispettivamente di 8 mesi e di 12 mesi; con il 26,3% dei pazienti
non progredito ad un anno e il 19,6% vivo a due anni. Le analisi di attività e di
sopravvivenza sono state inoltre stratificate per stadio ottenendo RR, PFS ed OS
mediane pari a 42,9%, 11 mesi, 14,9 mesi nei pazienti in stadio 3 vs 35,8%, 5,8 mesi e
10,8 mesi per quelli in stadio 4. Il 46,4% dei pazienti in stadio 3 è andato incontro ad
intervento resettivo dopo la chemioterapia primaria.
Il trattamento è stato somministrato con un numero mediano di 8 cicli; nel 54% dei casi
sono stati necessari rinvii, e riduzioni di dosaggio nel 39% dei casi. La principale
tossicità riscontrata è stata lo sviluppo di neutropenia di grado G3-G4 (37% dei casi),
che ha richiesto però solo nella metà dei casi il ricorso a fattori di crescita granulocitari.
Si è verificato un unico caso di neutropenia febbrile. Tossicità di natura non ematologica
si sono riscontrate in meno del 10% dei casi. Non si sono registrate morti tossiche.
Mediante analisi univariata di correlazione con attività e sopravvivenza, seguita da
analisi multivariata secondo modello proporzionale di Cox sono stati individuati 3
fattori prognostici principali, predittivi di RR, PFS ed OS: ECOG performance status (0
vs 1); la presenza o assenza di metastasi epatiche e il valore NLR (>4 o <4). Abbiamo
elaborato un modello prognostico suddividendo la popolazione dello studio in gruppi in
funzione del numero di fattori posseduti: le differenze evidenziate sono risultate
statisticamente significative sia per RR (36,8% vs 44,9% vs 21,9%; p=0,003); che per
PFS (11 mesi vs 8,3 mesi vs 2,9 mesi; p<0,0001), che per OS (17,6 mesi vs 11,1 mesi vs
7,4 mesi; p<0,0001).
In conclusione, il regime FOLFOXIRI si è confermato, in un'ampia casistica di pazienti
con carcinoma pancreatico avanzato, attivo ed impiegabile in un setting di pratica
clinica. Il modello prognostico elaborato consente di identificare 3 gruppi di pazienti
dall' outcome nettamente differente, candidabili a possibili futuri studi di
personalizzazione della strategia terapeutica.
4
Capitolo 1. Introduzione
1.1 Epidemiologia
Negli Stati Uniti nel 2015 si stimano 48960 nuovi casi e 40560 decessi per
adenocarcinoma duttale pancreatico. Quest'ultimo rappresenta la decima neoplasia per
incidenza e la quarta per mortalità sia nell'uomo che nella donna, preceduta solo dal
cancro del polmone, della prostata e della mammella, pari al secondo posto nei due
sessi, e del colon-retto1. Tuttavia, si prevede che tra il 2020 ed il 2030 diverrà il primo
tumore per mortalità del tratto gastroenterico ed il secondo in assoluto tra le cause di
morte cancro correlate.2
La diagnosi è rara prima dei 45 anni ed anzi nell’80% dei casi è effettuata tra la sesta e
1
Figura 1.1. Proiezioni di mortalità per neoplasia al 2030.(Rahib et al., Cancer Research Aacrj, 2014)
l’ottava decade di vita, con un’età media di circa 70 anni. L’incidenza è pressoché
uguale nei due sessi e la malattia presenta una frequenza maggiore tra gli afro-americani
rispetto alla popolazione bianca.3
In Italia nel 2014 sono stati previsti 12700 nuovi casi di tumore pancreatico, circa il 3%
di tutti i tumori, e a causa di esso nel 2011 sono stati registrati 10788 decessi.
Rappresenta la nona neoplasia per incidenza nell' uomo e la sesta nella donna,
collocandosi al V posto nelle donne oltre i 70 anni (6%). L' andamento temporale dell'
incidenza di questa neoplasia, al netto di variazioni di età nella popolazione, è in
crescita significativa nelle femmine (+2,0 %/anno). Inoltre è presente anche un
2
Figura 1.2. Le dieci principali neoplasie per incidenza e mortalità, USA, 2015.(Siegel et al., CA Cancer J Clin, 2015)
gradiente Nord-Sud dal momento che rispetto all' Italia settentrionale il Centro mostra
livelli di incidenza pari a -18% nei maschi e a -23% nelle femmine ed il Sud pari a -28%
e -30% rispettivamente.
Nel trimestre 2007-2010 è risultata essere la quinta causa di morte per neoplasia nella
popolazione italiana con il 6% dei decessi, e la quarta solo nel sesso femminile (7%).
Nella sesta decade di vita è al quarto posto come causa di mortalità in entrambi i sessi e
si mantiene come tale nelle donne anche nella decade successiva. Anche per la mortaltà
si è osservata una tendenza progressiva e costante verso l'incremento (+0,6%/anno negli
uomini, +1,4% nelle donne) ed un gradiente Nord-Sud con livelli superiori di mortalità
nel Settentrione (13,1/100000 negli uomini e 9,6/100000 nelle donne) rispetto al Centro
(-23% in entrambi i sessi) ed al Meridione (-24% nel maschio e -31% nella donna).
1.2 Cenni anatomo-fisiologici
Il pancreas, la seconda più grande ghiandola extramurale anficrina annessa all'apparato
digerente, è un organo retroperitoneale situato dinanzi al tratto superiore della colonna
vertebrale lombare e posteriormente allo stomaco. Ha un orientamento trasversale
estendendosi dalla “c” duodenale fino all'ilo della milza. Nell'adulto la sua lunghezza è
in media di 15-20 cm, con un peso medio di 90 g nell'uomo e 85g nelle donne.
Sebbene non abbia una suddivisione anatomica ben definita, i vasi con cui contrae
rapporto possono essere presi come riferimento per distinguere macroscopicamente: la
testa, che si prolunga inferiormente e medialmente nel processo uncinato, il corpo e la
coda.
Il sistema dei dotti pancreatici è costituito dal dotto pancreatico principale o maggiore
(di Wirsung), che drena nel duodeno a livello della papilla maggiore (o di Vater)
assieme al coledoco, e dal dotto pancreatico accessorio o minore(di Santorini) che si
apre anch'esso nel duodeno, ma 2 cm prossimalmente, in corrispondenza della papilla
duodenale minore. Tuttavia, a causa della variabilità nell'ontogenesi, ovvero nella
fusione degli abbozzi dorsale e ventrale della ghiandola durante la rotazione
dell'intestino medio, l'architettura del sistema duttale e della confluenza epato-biliare
può essere caratterizzata da notevoli differenze interindividuali.
3
Il pancreas è riccamente irrorato. Alla vascolarizzazione della testa presiedono due
arcate arteriose pancreaticoduodenali, dorsale e ventrale, che si costituiscono per
l'inosculamento a pieno canale fra i rami di divisione dell'a. pancreaticoduodenale
superiore (dalla gastroduodenale) e i rami di divisione dell'a. pancreaticoduodenale
inferiore (dalla mesenterica superiore). Le arcate pancreaticoduodenali irrorano anche il
duodeno, e costituiscono una rete anastomotica importante tra il tripode celiaco e l'a.
mesenterica superiore. Il corpo e la coda ricevono sangue dall'a. lienale, che, decorrendo
sul margine superiore della ghiandola, emette numerosi rami, e dall'a. pancreatica
superiore (dal tripode celiaco o dall'a. mesenterica superiore), che è da considerarsi
come l'arteria propria del pancreas. Quest'ultima decorre dietro al corpo, diretta verso la
faccia inferiore di esso. Le vene sono tributarie del sistema della vena porta:
afferiscono, infatti, alla v. lienale ed alle due vene mesenteriche.
Capillari linfatici sono evidenziabili soprattutto alla superficie dei lobuli: i tronchi ai
quali danno origine si scaricano nei gruppi linfonodali pancreaticoduodenali,
mesenterici superiori, retropilorici, celiaci, pancreaticolienali e dell'ilo splenico.
4
Figura 1.3. Vascolarizzazione pancreatica.
I nervi giungono al pancreas dal plesso celiaco: pochi direttamente, la maggioranza
tramite plessi secondari che seguono le arterie parenchimali proprie della ghiandola.
Contengono fibre del simpatico toraco-lombare e fibre parasimpatiche del n. vago.
Il pancreas è una ghiandola anficrina: presenta una prevalente componente esocrina,
che costituisce l'80-85% della ghiandola, ed una componente endocrina, composta da 1
milione di gruppi cellulari, le isole di Langerhans. La porzione esocrina presenta la
struttura di una ghiandola tubuloacinosa composta a secrezione sierosa. La capsula di
rivestimento si approfonda nel parenchima sepimentandolo, talvolta in maniera
incompleta, in lobuli. All'interno di questi si osservano: numerosi adenomeri di forma
acinosa, costitutiti da cellule acinari o zimogeniche, che producono gli enzimi necessari
per la digestione; e duttuli che si convogliano e confluiscono in dotti di calibro sempre
maggiore fino a riversare il loro contenuto nei due grandi dotti pancreatici. Le cellule
che rivestono i dotti partecipano attivamente alla secrezione pancreatica, variandone il
contenuto di bicarbonato, mucina ed acqua.
Ogni giorno il pancreas secerne 2-2,5 litri di un liquido alcalino, ricco di bicarbonati ed
enzimi e proenzimi digestivi.
5
Figura 1.4. Drenaggio linfatico pancreatico.
La patologia neoplastica può avere origine sia dalla componente endocrina che da quella
esocrina, è pur vero però che l'adenocarcinoma duttale, neoplasia esocrina, costituisce il
90% delle neoplasie pancreatiche.
1.3 Fattori di rischio
L'eziologia del carcinoma pancreatico non è ben conosciuta e sebbene si riconoscano
numerosi fattori di rischio, modificabili e non, questi sono del tutto aspecifici e non vi è
concordanza tra i diversi studi che sono stati condotti al fine di definirne il loro peso.
Tra i fattori di rischio non modificabili dobbiamo includere l'età, la maggior parte delle
neoplasie si sviluppa infatti tra i 60 e gli 80 anni; la razza afroamericana; e la
discendenza ebrea Ashkenazi, probabilmente correlata a mutazioni della linea
germinale.4
Invece tra i fattori di rischio modificabili il fumo di sigaretta gioca un ruolo
significativo, infatti tra il 20% ed il 30% dei carcinomi pancreatici sono attribuibili ad
esso.4 Si è evidenziato nei fumatori un aumento del rischio pari al 75% rispetto ai non
fumatori,proporzionale alla durata ed all'intensità dell'abitudine.5 La cessazione di
questa riduce il rischio, che approssima quello di un non fumatore dopo circa 5-10
anni.6 Anche l'esposizione quotidiana al fumo passivo durante l'infanzia è stata associata
ad un' aumentata predisposizione allo sviluppo di neoplasia pancreatica.6
Le abitudini dietetiche rappresentano un altro fattore di rischio: una correlazione diretta
tra assunzione di grassi alimentari, consumo di carne rossa ed insorgenza di carcinoma è
stata evidenziata in alcuni studi.7 Tali dati non sono stati però confermati.8
Il consumo eccessivo di alcol, essendo un fattore predisponente per lo sviluppo di
pancreatite cronica, è associato ad un aumentato rischio di sviluppo della neoplasia;
come mostrato dall'incrementata incidenza negli alcolisti.9
L'incremento dell'indice di massa corporea (BMI>25), oltre ad essere associato ad un
aumentato rischio di sviluppo della neoplasia e ad una prognosi più infausta, nel caso in
cui sia già aumentato nella prima età adulta è correlato anche ad una più precoce
insorgenza.10
6
L'esposizione professionale a sostanze chimiche come la beta-naftilamina e la benzidina
rappresenta un rischio concreto di sviluppare il tumore del pancreas, dato già noto a
partire dalla fine degli anni Sessanta.11 Elevati livelli sierici di composti organoclorurati,
derivati da pesticidi e DDT, sono stati associati ad un maggiore rischio relativo.12 Altre
sostanze ritenute responsabili sono i solventi ed i derivati del petrolio.
Non è chiaro se il diabete mellito di tipo 2 sia un fattore predisponente o una
conseguenza del carcinoma pancreatico. Due metanalisi hanno mostrato una maggior
frequenza di neoplasia in pazienti con diabete diagnosticato da almeno 5 anni.13, 14
D'altra parte uno studio di coorte svedese ha dimostrato una diminuzione del rischio
proporzionale alla durata della malattia diabetica.15 Altri studi hanno però evidenziato
come spesso il diabete rappresenti una manifestazione precoce di malattia; ed a
conferma di ciò è stato osservato che l'adenocarcinoma duttale può indurre resistenza
periferica all'insulina.16,17 Inoltre un possibile fattore diabetogenico cancro correlato è
stato isolato dal mezzo di coltura di linee cellulari di carcinoma pancreatico; e
l'esistenza di questo fattore potrebbe essere confermata dal fatto che spesso il diabete si
risolve a seguito della resezione radicale del tumore primitivo.18,19
Una maggiore incidenza di neoplasia è stata osservata nei pazienti sottoposti a pregressa
gastrectomia o affetti da pancreatite cronica.20 In particolare, in un recente studio è stato
dimostrato un incremento del rischio di sviluppo di 7.2 volte nei pazienti con anamnesi
positiva per pancreatite cronica.21
Infine alcuni studi suggeriscono un'associazione tra carcinoma pancreatico, gruppo
sanguigno ABO ed infezione da H. pylori22, nonché tra eteroplasia ed infezione da
HBV23.
1.4 Predisposizione genetica
Anche nel carcinoma pancreatico oltre alle forme ereditarie è possibile riscontare la
presenza di forme familiari, che si attestano attorno al 9% del totale.24
La familiarità si definisce sulla base della presenza di almeno due parenti di primo
grado affetti da adenocarcinoma pancreatico, le cui caratteristiche non rientrino nei
criteri diagnostici di sindromi note.25 Generalmente si osserva il fenomeno
7
dell'anticipazione, ovvero la neoplasia insorge circa 10 anni prima rispetto all'età
d'esordio nel parente affetto. Nei parenti si rileva inoltre una maggior frequenza di
neoplasie extrapancreatiche come melanomi e tumori dell'endometrio.24 Spesso
all'imaging si riscontra la presenza di lesioni PanIN e IPMN.
Le forme familiari hanno un fenotipo piuttosto eterogeneo; per quanto riguarda il
genotipo, sebbene la principale mutazione predisponente non sia ancora stata
identificata, è stato riconosciuto un nesso di causa tra varianti alleliche dei geni PALB2,
BRCA2 ed ATM ed alcune forme familiari di adenocarcinoma pancreatico.25
Uno studio prospettico italiano ha confermato un'aggregazione familliare in circa il 9%
dei pazienti, con un rischio complessivo per i familiari di circa tre volte quello della
popolazione generale.26
In alcuni casi invece, le forme familiari possono essere inscritte nel contesto di sindromi
genetiche propriamente dette:
• Carcinoma pancreatico familiare associato a mutazione di BRCA2 o di geni
dell'Anemia di Fanconi.27-29 Mutazioni germinali di BRCA2 sono presenti nel
15% dei pazienti con carcinoma pancreatico familiare in famiglie prive dei
criteri per la diagnosi carcinoma mammella-ovaio familiare.28, 30 I geni FANC-C
e FANC-G appartengono al medesimo sistema di riparazione di BRCA2 e
mutazioni di questi sono state riscontrate in aggregazioni familiari di cancro del
pancreas.27, 29
• Sindrome del cancro mammella e ovaio da mutazioni germinali di BRCA231 e di
PALB2.32
• Sindrome di Peutz-Jeghers da mutazione germinale del gene SKT11 con rischio
aumentato di oltre 100 volte.33
• Sindrome del nevo displastico ( “sindrome del melanoma familiare” o “FAMM:
familial atypical multiple mole melanoma”) legata nel 35% dei casi a mutazione
germinale del gene CDKN2A(p16).34
• Sindrome del carcinoma colorettale ereditario non poliposico (HNPCC)
associata ad una maggiore suscettibilità allo sviluppo di neoplasia pancreatica di
istotipo midollare ed alla mutazione di MSH2.35
• Pancreatite ereditaria autosomica dominante da mutazioni del gene per il
tripsinogeno cationico PRSS1 aumenta il rischio di cancro pancreatico di circa
8
70 volte.36, 37 38
• Recentemente sono state identificate mutazioni germinali nel gene ATM in
pazienti provenienti da famiglie con casi multipli di tumore al pancreas. Ulteriori
analisi hanno poi rilevato mutazioni di tal gene in 4 di 166 individui con
carcinoma pancreatico familiare.39
1.5 Anatomia patologica
Le neoplasie derivanti dalla componente esocrina sono comprese secondo il sistema
classificativo WHO in un ampio gruppo di entità nosografiche, sia comuni che rare,
assieme alle loro varianti che non differiscono per trattamento.
In tabella 1 ne diamo uno schema semplificato:
9
Tumori cistici Tumori solidi
Benigni
• Cistoadenoma sieroso
• Cistoadenoma mucinoso
• IPMN (neoplasia mucinosa
papillare intraduttale)
Maligni
• Cistoadenocarcinoma sieroso
• Cistoadenocarcinoma mucinoso
• Adenocarcinoma papillare
mucinoso
• Carcinoma solido pseudopapillare
Benigni
• Adenoma duttale
Maligni
• Adenocarcinoma duttale con le sue
varianti:
◦ adenocarcinoma mucinoso non
cistico (colloide)
◦ a cellule ad anello con castone
◦ carcinoma adenosquamoso
◦ epatoide
◦ midollare
◦ misto duttale-endocrino
◦ indifferenziato (anaplastico)
◦ a cellule giganti osteoclast-like
• Carcinoma a cellule acinari
• Pancreatoblastoma
Tabella 1.1. Classificazione delle neoplasie del pancreas esocrino
Gran parte delle lesioni cistiche sono di natura benigna, rappresentate da pseudocisti
originatesi a seguito di episodi di pancreatite acuta severa. Soltanto il 10-15% di tutte le
cisti pancreatiche è di natura neoplastica, e rispetto alla totalità dei tumori pancreatici ne
costituisce il 5%.
I tumori cistici possono essere benigni, bordeline o maligni. Pertanto riferendoci a
forme benigne e bordeline parleremo di cistoadenoma, nel caso di forme maligne di
carcinoma40.40 In questo gruppo includiamo le neoplasie sierose cistiche, le neoplasie
mucinose cistiche, le neoplasie mucinose papillari intraduttali (IPMN) e le neoplasie
solide pseudopapillari; le forme a secrezione mucinosa sono prevalenti.
10
Le neoplasie cistiche sierose interessano soprattutto il sesso femminile a partire dalla
sesta decade di vita, con una lieve predominanza di sede a livello della testa pancreatica.
Sono tipicamente asintomatiche, talvolta, però, per le loro dimensioni possono
presentarsi come masse addominali palpabili associate a dolore addominale, malessere,
fatigue ed ittero ostruttivo.
Il cistoadenoma sieroso microcistico è la forma più frequente e nella stragrande
maggioranza dei casi benigna, rari i casi riportati di cistoadenocarcinoma sieroso,
caratterizzato dalla presenza di metastasi epatiche e linfonodali. Il cistoadenoma sieroso
presenta anche una variante macrocistica (oligocistica) da differenziare a fini
prognostici dalle neoplasie mucinose.
Microscopicamente presenta un rivestimento costituito da cellule uniformi, cuboidali,
ricche di glicogeno ed è in genere composto da numerose piccole cisti, contenenti un
liquido acquoso, paglierino, che gli conferiscono un aspetto a “nido d’ape” (variante
microcistica), con sottili setti e talvolta con cicatrice centrale. In alcuni casi le cisti
possono assumere dimensioni maggiori di 2 cm, e l'adenoma può essere costituito
esclusivamente da una o poche cisti voluminose (adenoma oligocistico o macrocistico).
La resezione chirurgica conservativa è risolutiva nella stragrande maggioranza dei casi e
non richiede follow-up.
Le neoplasie cistiche mucinose colpiscono anch'esse principalmente il sesso femminile,
in età perimenopausale però (quarta-quinta decade), e sono frequentemente localizzate
nel corpo-coda. Generalmente asintomatiche e rilevate incidentalmente, talvolta
possono presentarsi come masse non dolenti e con perdita di peso.
Hanno l'aspetto di singole masse uniloculate o multiloculate macrocistiche. Le cisti,
ripiene di materiale spesso e compatto, sono rivestite da epitelio colonnare mucinoso e
si associano a stroma denso simile a quello ovarico. A differenza dell'IPMN non vi è
comunicazione con i dotti pancreatici principali.
L'unico modo per distinguere la forma benigna dalla sua controparte maligna e da quella
borderline è l'esame istopatologico dopo completa resezione chirurgica: valutando lo
spessore e le variazioni strutturali dell'epitelio colonnare, le atipie citologiche e l'indice
mitotico si può discernere tra forme di displasia lieve, moderata, severa fino alle forme
invasive, caratterizzate dalla presenza di calcificazioni periferiche, pareti spesse e
11
vegetazioni intramurali ipervascolarizzate.
L'approccio chirurgico seguito da follow-up è pertanto mandatorio. Nel 30% dei casi si
riscontrano cistoadenocarcinomi, con una sopravvivenza a 5 anni del 50%.
Anche le neoplasie mucinose papillari intraduttali (IPMN) formano cisti mucinose, ma
sono più frequenti nel sesso maschile, tra i 60 ed i 70 anni. Di solito interessano la testa
del pancreas, ma nel 20-30% dei casi possono essere multifocali o, in una percentuale
minore, estendersi diffusamente all'interno della ghiandola. Originano da cellule
mucosecernenti che rivestono i dotti pancreatici. L’eccessiva produzione di muco porta
ad ectasie cistiche del dotto principale, dei collaterali, o di entrambi, e talvolta è
possibile documentare endoscopicamente il muco mentre fuoriesce dalla papilla di
Vater, che, in aggiunta, presenta un orifizio pancreatico dilatato. Il secreto denso e
vischioso presente all'interno dei dotti può condurre all'iperplasia ed alla stenosi degli
stessi, con possibile sviluppo di episodi di pancreatite acuta su un quadro sottostante di
pancreatite cronica.
Visti i rapporti con i dotti pancreatici è possibile suddividere le IPMN in: main duct
(MD), branch duct (BD) ed IPMN combinata, interessante sia il dotto pancreatico
principale che quelli secondari. Questa distinzione non è puramente nosografica, poiché
le forme main duct sembrano essere caratterizzate da una maggiore aggressività clinica
e da un più elevato potenziale di malignità.
Microscopicamente queste proliferazioni intraepiteliali di epitelio colonnare possono
essere suddivise in 4 differenti istotipi: intestinale, gastrico, pancreaticobiliare ed
oncocitico. Queste forme sono associate ad un differente tasso di sopravvivenza: il
migliore è associato a quello gastrico; il peggiore a quello pancreaticobiliare.
Dal punto di vista clinico sono generalmente asintomatiche, anche se non è escluso che
si possano manifestare con dolore addominale, perdita di peso, ittero e diabete di
recente insorgenza.
Le IPMN si rivelano maligne nel 60% delle forme main duct e nel 30% delle forme
branch duct, perciò le prime ricevono sempre un trattamento chirurgico, che sarà più o
meno conservativo in funzione della risposta dell'esame intraoperatorio in merito alla
presenza o meno di un margine negativo longitudinalmente al decorso dei dotti.41 Per le
seconde, soprattutto quando asintomatiche o in pazienti anziani e dall'elevato rischio
12
chirurgico, si predilige invece uno stretto follow-up clinico, per passare alla resezione
nel caso in cui le cisti abbiano dimensioni superiori ai 3 cm, o si riscontri la presenza di
noduli o ectasie del dotto di Wirsung, o la malattia divenga sintomatica.42
Le neoplasie solide pseudo papillari affliggono soprattutto giovani donne tra i 20 e i 30
anni. Si tratta di masse ampie, ben delimitate, caratterizzate da un'alternanza di aree
solide e cistiche, queste ultime ricche di materiale necrotico-emorragico; alla periferia
sono presenti calcificazioni.
Microscopicamente la componente solida è costituita da cellule organizzate in strutture
pseudopapillari intorno a piccoli vasi sanguigni. Causano spesso dolori addominali date
le cospicue dimensioni. Il trattamento di scelta è chirurgico, e sebbene alcuni abbiano
un'aggressività locale, la maggior parte conosce un decorso benigno se completamente
asportati.Il pathway β-catenina/APC è quasi sempre alterato.43
Nell'insieme dei tumori solidi comprendiamo l'adenocarcinoma duttale con le sue
numerose varianti, il carcinoma a cellule acinari, ed il pancreatoblastoma.
I pancreatoblastomi sono neoplasie rare che compaiono soprattutto nei bambini. Si
presentano come masse capsulate, con lobuli e foci di cellule relativamente uniformi
separati da un denso stroma fibroso. Hanno un aspetto istologico distintivo con aree di
epitelio acinare, nidi di cellule squamose e cellule endocrine sparse. Spesso presentano
la perdita di eterozigosi del braccio corto del cromosoma 11.44 Si tratta di forme
altamente maligne, un terzo dei pazienti presenta metastasi alla diagnosi.
L'adenocarcinoma duttale è l'istotipo più frequente, costituisce più del 90% delle
neoplasie pancreatiche non endocrine, sebbene l'epitelio duttale costituisca meno del
10% del volume ghiandolare. Circa il 60% insorge nella testa, che comprende anche il
processo uncinato, il 15% nel corpo, il 5% nella coda ed il 20% infiltra diffusamente
l'intera ghiandola.
13
Appare spesso come una massa solida, mal definibile, di aspetto stellato, colorito
bianco-grigiastro e cosistenza duro-lignea. Più raramente, può presentare un aspetto
disomogeneo e talora “cistico” per l'effetto di modificazioni regressive, di tipo
necrotico-emorragico.
Ha una spiccata invasività locale: i tumori della testa possono ostruire il coledoco
retropancreatico ed il dotto di Wirsung e, nelle fasi avanzate, possono estendersi alla
papilla di Vater ed infiltrare il duodeno, con conseguente sviluppo di ittero e di
pancreatite cronica ostruttiva. I tumori del corpo e della coda possono infiltrare ed
occludere esclusivamente il dotto pancreatico, con dilatazione di questo, in assenza di
variazioni a carico del dotto biliare principale. Maggiore per i tumori presenti in queste
ultime sedi l'infiltrazione di retroperitoneo, stomaco, colon trasverso, milza, omento e
surreni. Da notare l'elevata frequenza di infiltrazione vascolare, linfatica e perineurale
intra ed extrapancreatica già in una fase precoce della storia naturale della malattia.
Microscopicamente, il carcinoma del pancreas è caratterizzato dalla presenza di
strutture simil-duttali disperse in una ricca matrice stromale desmoplastica. La
componente ghiandolare ricalca, in misura variabile, i caratteri dell’epitelio colonnare
dei dotti pancreatici, ma non possiede caratteri distintivi rispetto all’epitelio del sistema
biliare o della papilla di Vater. La reazione desmoplastica conferisce alla neoplasia una
consistenza lignea ed in casi particolari un aspetto definito a "cicatrice"; induce, inoltre,
14
Figura 1.5. Sede di origine delle neoplasie pancreatiche.
una considerevole riduzione del letto vascolare, che costituisce uno dei segni utili per la
diagnosi differenziale radiologica tra tessuto normale e carcinoma. Carattere questo che,
all'esame istopatologico, è reso meno evidente dalle concomitanti modificazioni fibrose
che si instaurano nel parenchima pancreatico peritumorale (pancreatite cronica
ostruttiva).45 I caratteri immunoistochimici più rilevanti ricalcano il fenotipo della
cellula duttale, con la positività per CEA, CA19-9, DUPAN-2, per le citocheratine
7,8,18,19 e, solo raramente, per la citocheratina 20. In particolare, le cellule tumorali
esprimono le apomucine MUC1 e MUC5AC (segno di transdifferenziazione gastrica).46,
47 Più recentemente è stata riportata la positività per diversi tipi di proteine: S100,
mesotelina, antigene staminale prostatico, e claudina 4 e 18.48 All'osservazione
microscopica si osservano tubuli neoplastici delimitati da cellule cilindriche o cuboidi
con nuclei larghi e irregolari e citoplasma chiaro contenente quantità variabili di
mucina.
Sulla base delle caratteristiche citoarchitettoniche il WHO ha riconosciuto tre gradi di
differenziazione per l'adenocarcinoma pancreatico:49
• G1, ben differenziato: caratterizzato dalla presenza di ghiandole neoplastiche
tubulari distinte, associate ad acini ed isole di cellule non neoplastiche. Le
cellule sono prevalentemente colonnari mucina-secernenti, dal citosol chiaro,
eosinofilico con nuclei rotondi, a volte ovali e nucleolo ben evidente.
• G2, moderatamente differenziato: con strutture tubulari di media dimensione,
immerse in un ricco stroma desmoplastico che ha sostituito totalmente il tessuto
acinare. Rispetto alla forma ben differenziata sono presenti un maggior grado di
atipia e più figure mitotiche.
• G3, scarsamente differenziato: qualificato dalla presenza di ghiandole
fittamente ammassate. La componente acinare non è più evidente. Si
distinguono inoltre foci di differenziazione squamosa e totalmente anaplastici
(circa il 20% del tessuto tumorale). La desmoplasia è scarsa, molto più marcata
invece la presenza di aree necrotiche ed emorragiche.
Il grading istologico dell’adenocarcinoma del pancreas è un importante fattore
prognostico indipendente. In tabella 1.2 ne forniamo un riassunto sulla base del
differenziamento in senso tubulare, della capacità di produrre mucina, del numero di
15
mitosi pcm (per campo microscopico) e del grado di atipia nucleare.
Grado
tumorale
Differenziazion
e ghiandolare
Produzione di
mucina
Mitosi (pcm) Atipie
nucleari
Grado 1 Ben
differenziato
Intensa 5 Lieve
polimorfismo,
riarrangiamento
polare
Grado 2 Moderatamente
differenziato
Irregolare 6-10 Polimorfismo
moderato
Grado 3 Scarsamente
differenziato
Assente >10 Polimorfismo
marcato,
aumento
dimensioni
nucleari
Tabella 1.2 Grading istologico dei carcinomi del pancreas
Sono considerate varianti istologiche quelle neoplasie che presentano una seppure
minima componente di adenocarcinoma duttale classico associata ad altri pattern
microscopici.
La variante cistica dell’adenocarcinoma duttale, dovuta alla degenerazione cistica o alla
formazione di ectasie del dotto pancreatico, può mimare i carcinomi mucinoso-cistici e
le IPMN. Risulta pertanto fondamentale fare una corretta diagnosi differenziale in
quanto gli adenocarcinomi hanno una prognosi nettamente peggiore.
Il carcinoma mucinoso non cistico (colloide) è composto da ghiandole e cellule ben
differenziate immerse in abbondanti laghi di mucina extracellulare. Al taglio si
presentano per l'appunto gelatinosi o colloidi, in assenza di modificazioni cistiche. Ha
una frequenza dell'1-3%. La diagnosi differenziale nei confronti del carcinoma
mucinoso-cistico e di quello papillifero intraduttale è effettuata mediante il riscontro di
connessioni con il sistema duttale pancreatico e dall’osservazione del tipico struma
ovarii. La prognosi di questi due istotipi è migliore di quella dell’adenocarcinoma
16
tipico.
Il carcinoma mucosecernente a cellule ad anello con castone ha una bassa frequenza,
inferiore all'1%: ecco che, pertanto, il suo riscontro deve far porre sempre diagnosi
differenziale con carcinoma gastrico o mammario, prima di formulare la diagnosi di
primitività pancreatica.
Il carcinoma adenosquamoso è rappresentato da un insieme di due componenti: una
ghiandolare, prevalente, ed una squamosa, che ammonta a circa il 30% del totale. Ha un
comportamento clinico estremamente aggressivo, è dotato infatti di elevato potenziale
metastatico. A livello delle ripetizioni la componente adenocarcinomatosa può essere l'
unico pattern presente. La prognosi risulta peggiore rispetto a quella dell'
adenocqrcinoma tipico. La sua frequenza si attesta attorno al 3-4% di tutti i tumori
pancreatici.
Il carcinoma midollare è caratterizzato da crescita espansiva, spiccato infiltrato
infiammatorio peritumorale e da scarsa differenziazione cellulare. Ha una prognosi
migliore.
Il carcinoma misto duttale-endocrino è caratterizzato dalla presenza di una componente
endocrina superiore al 30%, e da una componente duttale positiva per mucine e CEA. Si
tratta comunque di tumori estremamente rari, il cui comportamento clinico è ascrivibile
a quello della componente duttale.
Il carcinoma indifferenziato o anaplastico è composto da cellule ampie pleomorfe,
cellule giganti o cellule fusate. Può presentare ampie aree necrotiche.
Microscopicamente si possono rilevare alcune varianti che vanno poste in diagnosi
differenziale con sarcomi, carcinosarcomi e con le metastasi di carcinomi indifferenziati
di altra origine. In passato è stato infatti descritto come tumore sarcomatoide. La
prognosi è peggiore rispetto alla forma tipica. Rappresenta il 2-7% di tutte le neoplasie
pancreatiche.
Il carcinoma indifferenziato a cellule giganti di tipo similosteoclastico (osteoclast-like)
è composto da cellule epiteliali indifferenziate con morfologia fusata o rotondeggiante,
associate ad una componente reattiva di cellule mesenchimali giganti di tipo
osteoclastico. Data la presenza di matrice osteoide, notevoli sono le somiglianze col
tumore a cellule giganti dell’osso. Questo istotipo, estremamente aggressivo e raro,
17
rappresenta solo l’1% dei tumori pancreatici. La prognosi è particolarmente severa.
Il carcinoma a cellule acinari si presenta soprattutto negli adulti, maschi, intorno alla
sesta decade e costituisce circa l' 1% delle neoplasie del pancreas esocrino.
Microscopicamente, la neoplasia presenta sia aspetti solidi, sia trabecolari e simil-
acinosi, ed è caratterizzata da cellule con abbondante citoplasma eosinofilo, granulare,
Pas-positivo e nucleo rotondeggiante con evidente nucleolo. La presenza di atipie e
necrosi consente di differenziare le varianti cistiche, classificate come
cistoadenocarcinomi acinari, dalle forme cistiche benigne o cistoadenoadenomi a cellule
acinose. La differenziazione di tipo acinare è dimostrabile con la immunoreattività per
la tripsina. Raramente può essere presente una componente cellulare neoplastica con
differenziazione endocrina. Molti pazienti presentano sintomi aspecifici legati alla
presenza di una massa pancreatica, ma un 15% circa presenta una sindrome
caratterizzata da necrosi del grasso sottocutaneo, eosinofilia e poliartralgie causata
dall’aumentato rilascio di lipasi in circolo.49
Un ampio corpo di evidenze sperimentali accumulate nell'ultimo decennio ha
dimostrato che l'adenocarcinoma duttale pancreatico segue un pattern di progressione da
epitelio non neoplastico - lesioni non invasive a livello dei piccoli dotti-carcinoma
invasivo, analogo a quello osservato nella sequenza adenoma-carcinoma colonrettale.
Queste lesioni preneoplastiche sono conosciute come “neoplasie pancreatiche
intraepiteliali”( Pancreatic Intraepithelial Neoplasias, PanIN). L'esistenza di questa
sequenza è supportata: dal riscontro di lesioni proliferative distinte istologicamente a
livello dei duttuli e dotti pancreatici in prossimità di adenocarcinomi infiltranti; da studi
clinici che hanno dimostrato una consequenzialità temporale, più o meno dilazionata nel
tempo, tra lo sviluppo di lesioni duttali e carcinoma invasivo; dalla dimostrazione di
alterazioni genetiche analoghe tra PanIN e neoplasie invasive, e soprattutto l'aumentare
di queste, in funzione dello sviluppo di atipie citologiche ed architetturali da parte delle
lesioni intraepiteliali; infine, le cellule epiteliali delle PanIN presentano un notevole
accorciamento dei telomeri, favorente l'accumulo di variazioni cromosomiche.50, 51
Le PanIN vengono classificate in funzione del grado di atipia cito-architettonica in:
• PanIN-1A : lesioni caratterizzate da un epitelio cilindrico monostratificato
mucina-secernente. Le cellule presentano nuclei basali, privi di atipie ed
18
abbondante citoplasma.
• PanIN-1B: lesioni simili alle PanIN-1A, ma l'epitelio cilindrico è organizzato in
strutture micropapillari.
• PanIN-2: lesioni caratterizzate da una proliferazione epiteliale micropapillare,
con diverse anomalie nucleari tra cui: la pseudostratificazione, l’aumento di
dimensioni, la perdita di polarità e l'ipercromatismo. Le atipie citologiche si
mantengono di grado moderato e le mitosi sono rare.
• PanIN-3: caratterizzate da un epitelio cilindrico organizzato in strutture
micropapillari o cribiformi, con necrosi intraluminale. Le atipie citologiche sono
marcate ed elevato l'indice proliferativo.
1.6 Genetica e biologia molecolare
Il protooncogene KRAS, localizzato sul cromosoma 12p, è mutato somaticamente nel
95% dei tumori pancreatici.52 Si tratta di un evento che si realizza precocemente nella
tumorigenesi, infatti la conversione della proteina kras ad oncogene assieme
all'iperespressione di HER2/neu si ritrova già nelle PanIN-1A e B.50 Kras normalmente
integra e regola segnali di trasduzione del segnale derivanti da fattori di crescita che si
legano ai propri recettori di membrana ed è responsabile della risposta cellulare a
stimoli esterni. Controlla una serie sempre crescente di pathway di trasduzione, con
altrettante strategie di espressione genica: ha un ruolo centrale nella gestione di segnali
mitogenici e metabolici, tra cui la via delle MAPK (Mitogen-Activated Protein
Kinase)/ERK (Extracellular Signal-Regulated Kinase). Le mutazioni somatiche
compromettono generalmente la sua attività GTPasica impedendogli di ritornare allo
stato inattivo. Kras diviene pertanto, a prescindere dai segnali a monte mediati da GF,
EGFR, Raf1 e Braf, costituzionalmente attivo e porta in ultima istanza, attraverso tutte
le vie di trasduzione del segnale controllate, all'attivazione dei fattori di trascrizione fos
e jun. Talvolta si riscontrano anche iperespressione di EGFR e mutazioni puntiformi
attivanti di Braf.53
Un altro gene inattivato è l'oncosoppressore CDKN2A/p16, localizzato sul cromosoma
9p, la sua perdita di funzione si realizza nel 95% dei tumori pancreatici a mezzo di
19
delezione cromosomica, perdita di eterozigosi o metilazione del promotore.54, 55
L'inattivazione di p16 accompagna il progressivo incremento di atipie citologiche ed
architetturali a carico delle lesioni duttali e si ritrova generalmente nelle PanIN-2 e nel
70% circa dei carcinomi in situ.50
La proteina p53, regolatrice dell'equilibrio tra progressione attraverso i check-points del
ciclo cellulare e l'apoptosi in caso di danno genomico riparabile o meno, risulta
inattivata in circa il 75% dei carcinomi pancreatici.56
Le proteine Smad mediano a livello nucleare la trasduzione del segnale da parte dei
recettori appartenenti alla superfamiglia del TGFß, tra queste la proteina Smad4 è quella
il cui gene SMAD4 (DPC4 o MDH4), localizzato sul cromosoma 18q, è mutato in circa
il 50% dei tumori pancreatici. Si tratta di delezioni e mutazioni puntiformi associate a
perdita di eterozigosi.57 La normale funzione di Smad4 è quella di sopprimere la crescita
cellulare e promuovere l57' apoptosi.
Talvolta si riscontrano mutazioni anche a carico dei geni per i recettori dimerici del
TGFß che provocano o sottoespressione recettoriale o resistenza all'azione del fattore di
crescita.58
Anche nelle forme sporadiche ritroviamo mutazioni di geni i cui prodotti sono implicati
nella riparazione delle rotture a doppio filamento del DNA: come BRCA2, mutato nel
20
Figura 1.6. Modello di progressione del tumore pancreatico.(Hruban et al., Cancer Research Aacrj, 2000)
7% dei casi; PALB2 che codifica per una proteina che lega Brca2 stessa; FANCC e
FANCG; in alcuni tumori sono state riscontrate mutazioni inattivanti di BRCA1.
Il gene SKT11 ancora, responsabile della Sindrome di Peutz-Jeghers associata in un
terzo dei casi a tumore pancreatico, è mutato nel 4% delle forme sporadiche.53
Da notare inoltre che la perdita di funzione di p53, DPC4 e BRCA2 sono eventi tardivi
nella carcinogenesi pancreatica e sono riscontrati in lesioni dalle marcate atipie
strutturali e citologiche, come nelle PanIN-3.50
In un articolo di recente pubblicazione, dall'analisi del sequenziamento genomico e
delle variazioni del numero di copie in 100 adenocarcinomi pancreatici è risultato che i
riarrangiamenti cromosomici sono prevalenti e generalmente conducono a rottura
proprio in corrispondenza di sequenze codificanti, note per essere preminenti nell'
oncogenesi pancreatica come TP53, SMAD4, CDKN2A, ARID1A e ROBO2 e nuovi
geni tra cui KDM6A, importante nella regolazione delle modificazioni cromatiniche e
PREX2, inattivato nel 10% degli adenocarcinomi duttali.
Sono stati individuati diversi pattern di variazioni strutturali che hanno consentito di
definire 4 sottotipi di adenocarcinoma duttale potenzialmente utili da un punto di vista
clinico: stable; locally rearranged; scattered; unstable.Il primo è caratterizzato da
aneuploidia diffusa, il che suggerirebbe un' alterazione della regolazione del ciclo e
della divisione cellulare ed infatti si caratterizza soprattutto per mutazioni puntiformi di
Kras e Smad4. Il secondo sottotipo costituisce il 30% del totale, presenta una
proporzione elevata di amplificazioni, guadagno di numero di copie di oncogeni noti
come ERBB2, MET, FGFR1, CDK6, PIK3R3 e PIK3CA: possibili bersagli di terapie
molecolari. Il sottotipo scattered è quello più frequente, caratterizzato da un esiguo
numero di variazioni strutturali, a differenza dell'ultimo sottotipo “instabile”, che ne può
presentare da un minimo di 200 ad un massimo di 558. Questa condizione è giustificata
dalla maggiore sensibilità verso agenti di danno genomico dovuta a difetti nei geni di
mantenimento e riparazione del DNA come BRCA1, BRCA2, PALB2 ed in altri sistemi
di mantenimento non BRCA2 correlati. Inoltre 8 di questi pazienti appartenenti al
fenotipo instabile hanno ricevuto una terapia con agenti intercalanti a base di platino e 4
su 5 dei pazienti con difetti in questo sistema di riparazione hanno risposto.
Dunque questi dati aprono la possibiltà, anche per l'adenocarcinoma pancreatico, alla
21
definizione di fattori predittivi molecolari di risposta agli agenti chemioterapici
attualmente disponibili.59
1.7 Storia naturale
L'estensione locoregionale della neoplasia varia a seconda della sede del tumore
primitivo: se cefalico circonda, comprime ed infiltra precocemente il coledoco o
l’ampolla di Vater e il duodeno. Determina inoltre compressione o infiltrazione delle
radici nervose e dei grossi vasi retropancreatici quali la vena porta, il tronco celiaco, le
arterie mesenterica superiore ed epatica comune e le vene. Nelle localizzazioni del
corpo e della coda può rimanere silente più a lungo accrescendosi nello spazio
retroperitoneale. A causa delle grosse dimensioni, spesso vi è coinvolgimento per
contiguità della milza, dello stomaco, del surrene sinistro e del colon.
L'interessamento linfonodale, data la ricca rete linfatica intrapancreatica, è precoce e
frequente ed è riscontrabile in circa il 40% dei pazienti alla diagnosi. I linfonodi più
frequentemente coinvolti sono i linfonodi peripancreatici, gastrici, mesenterici,
omentali, porto-cavali ed epatici.
Le ripetizioni per via ematogena si concentrano prevalentemente a livello epatico. Circa
il 30-50% dei pazienti presenta metastasi epatiche alla diagnosi, mentre nel 50-70% dei
casi il fegato è interessato come sede di recidiva a distanza dopo resezione del tumore
primitivo. Altre possibili sedi di metastasi ematogene sono i polmoni, il peritoneo e,
meno frequentemente, reni, surreni, ossa e cute.53
1.8 Quadro clinico, diagnosi e stadiazione
Il tumore del pancreas tende a rimanere silente o a dare sintomi vaghi ed aspecifici per
buona parte della storia naturale della malattia, almeno fino a che non coinvolge le
strutture anatomiche circostanti.
Le modalità e la rapidità d'esordio dei sintomi e dei segni clinici variano in rapporto alla
localizzazione del tumore (testa e processo uncinato, corpo e coda). I tumori cefalici si
22
manifestano, infatti, più precocemente rispetto alle localizzazioni del corpo-coda con
comparsa di ittero a ciel sereno legato alla compressione o alla infiltrazione della via
biliare principale. Spesso l’ittero si associa alla presenza di urine ipercromiche (color
marsala), feci ipocoliche e prurito. All'anamnesi sovente si raccolgono episodi pregressi
di coliche biliari, dispepsia o dolore epigastrico postprandiale precoce. Altri tumori della
testa non interessano la via biliare, piuttosto il duodeno potendo determinare occlusioni
intestinali alte.
Un sintomo caratteristico è il dolore mesogastrico o in ipocondrio destro, a barra,
irradiato posteriormente ed esacerbato dall'assunzione del cibo. La sua genesi è da
ricondurre all'infiltrazione perineurale e della capsula pancreatica; e, durante il pasto, al
rilascio di secretina, che stimolando la secrezione pancreatica e favorendo la
contrazione del sistema duttale, inglobato nella reazione desmolastica tumore indotta,
causa una condizione di ipertensione duttale, dunque dolore ed anoressia.
Nelle localizzazioni corpo-coda il dolore insorge quando il tumore ha raggiunto
dimensioni notevoli o ha una diffusione extraghiandolare. Inizialmente il dolore è vago,
non specifico, di lunga durata (più di sei mesi) per poi diventare molto più intenso,
opprimente, urente: diviene “Il Sintomo per eccellenza” dei pazienti affetti da
adenocarcinoma duttale. La causa è rappresentata dall'infiltrazione dei plessi celiaco e
mesenterico. Generalmente la presenza del dolore è indice di malattia avanzata non
resecabile o addirittura metastatica, anche se ancora questo non sia stato confermato
dalla diagnostica per immagini.60
L'insufficienza esocrina, testimoniata dal calo ponderale (dovuto anche al ridotto
introito calorico, per i motivi sopradetti), creatorrea e steatorrea, è infrequente come
sintomo d'esordio e mentre risulta di lieve entità e gestibile nelle sue fasi iniziali, questo
non è vero dopo terapia chirurgica resettiva o trattamento radioterapico.
Occasionalmente un episodio di pancreatite acuta può essere uno dei sintomi di
presentazione della malattia, causata dalla compressione, infiltrazione ed ostruzione del
del sistema duttale pancreatico. Pertanto, in un paziente che non presenti fattori di
rischio per lo sviluppo di episodi flogistici acuti a carico della ghiandola, un'eteroplasia
sottostante deve essere sospettata fino a prova contraria.61
Nel 10% dei casi il primo sintomo è rappresentato dall'insorgenza di ridotta tolleranza
23
glucidica, dallo sviluppo di diabete mellito franco o dallo scompenso di un diabete
mellito diagnosticato in precedenza. Anche in questo caso bisogna essere dunque vigili
di fronte ad un'alterazione del metabolismo glucidico insorta in età adulta, magari
associata a dolore, anoressia e perdita di peso.
Non è raro il riscontro in anamnesi di una sindrome ansioso-depressiva grave
precedente alla diagnosi di malattia neoplastica, probabilmente legata alla
disregolazione del sistema neuroendocrino creata dalla neoplasia stessa.
Tra i segni clinici si osservano ittero, lesioni eczematose da grattamento causate dalla
presenza in circolo di sali biliari, decadimento dello stato generale e perdita di peso
legata al depauperamento della massa magra. Nelle fasi avanzate si riscontrano
epatomegalia, colecisti palpabile (segno di Courvoisier), massa addominale e
versamento ascitico.
A volte possono associarsi alcune sindromi paraneoplastiche come la liponecrosi
sottocutanea, diffusa al tronco e agli arti inferiori, l’ipercalcemia e la tromboflebite
migrante, nota come segno di Trousseau, che si verifica nel 10% circa dei pazienti e può
essere attribuita alla produzione di fattori ad azione aggregante piastrinica e
procoagulante da parte del tumore.62, 63
Dal momento che ad oggi le opzioni terapeutiche chirurgiche ed oncologiche per il
tumore pancreatico stanno divenendo sempre più sofisticate, il ruolo della diagnostica
per immagini è sempre più importante, non solo per la diagnosi, la stadiazione e la
definizione di resecabilità ma anche per un adeguato monitoraggio del trattamento
medico.
L'ecografia addominale rappresenta la metodica di primo impiego nello studio del
pancreas, soprattutto quando la malattia si manifesta con dolore addominale ed ittero a
ciel sereno essendovi la necessità di porre diagnosi differenziale con patologie a carico
delle vie biliari; è un esame sicuro, non invasivo e poco costoso. I noduli neoplastici
appaiono come masse solide, ipoecogene, ipovascolarizzate, dai margini irregolari ed
accompagnate dalla dilatazione della via biliare principale e del dotto di Wirsung,
soprattutto in caso di tumori della testa. I tumori del corpo e della coda sono meno
rilevabili, data l'assenza di segni indiretti della loro presenza ed il frapporsi dello
stomaco e del colon trasverso. Non si tratta tuttavia di una metodica sensibile, dal
24
momento che piccoli noduli di dimensioni inferiori ai 3 cm restano generalmente
misconosciuti e che, vista la sede del pancreas nello spazio retroperitoneale, in
profondità rispetto alle anse intestinali la ghiandola risulta difficilmente indagabile. La
sensibilità è controversa ed a seconda dei diversi lavori si attesta tra il 50 ed il 90%.64, 65
Associando il controllo Doppler essa diviene dell' 84% e la specificità del 94%.66 Inoltre
l'accuratezza nella valutazione dell'interessamento vascolare sempre a mezzo dell'uso
della funzionalità Doppler è dell' 84% per quanto concerne l'asse venoso spleno-porto-
mesenterico, e dell' 87% per la definizione dell'infiltrazione della parete dei vasi
arteriosi.67
Si tratta comunque di una metodica fortemente operatore-dipendente, non oggettivabile
e dunque non indicata per la stadiazione e la valutazione della resecabilità del tumore.
La TC multistrato con mezzo di contrasto, dotata di ottima risoluzione spaziale e
temporale, dovrebbe essere l'esame di prima scelta in caso di sospetto di tumore
pancreatico, rappresenta, infatti, il gold standard non solo per la diagnosi ma anche per
la stadiazione.68, 69 Numerosi studi hanno dimostrato che il 70-85% dei pazienti
considerati potenzialmente resecabili sulla base della valutazione dell'infiltrazione
vascolare alle scansioni TC, sono risultati realmente suscettibili di trattamento
chirurgico radicale.68, 70-72
Durante la fase basale pre-contrastografica è possibile escludere la presenza di
calcificazioni, e con esse il sospetto di pancreatite cronica. La fase contrastografica
precoce arteriosa (17-25 sec. dopo l'iniezione del contrasto) consente di valutare
l'impegno dell'aorta e dell'arteria mesenterica superiore; la fase arteriosa pancreatica
(35-50 sec.) massimizza la differenza tra parenchima sano iperdenso ed il tessuto
neoplastico ipodenso, in quanto fibrotico ed ipovascolarizzato. In tale fase, inoltre, si
ottiene la miglior definizione dei rapporti del tumore con i vasi arteriosi venendo
impiegato il minimo spessore di fetta (3 mm). Da tenere presente però che una piccola
percentuale di lesioni potrebbe risultare isodensa o addirittura essere piccola a tal punto
che la sua presenza potrebbe essere sospettata solo sulla base di una dilatazione
uniforme del dotto pancreatico principale a monte di essa, o della presenza del “segno
del doppio dotto”. Durante la fase venosa portale (55-70 sec.) è previsto l'impiego di
fette dallo spessore maggiore (5 mm) ed è consentita l'esplorazione dei quadranti
addominali medi e superiori al fine di evidenziare eventuali focolai peritoneali,
25
secondarismi epatici e definire il rapporto tra la lesione pancreatica ed il tronco
splenomesenterico portale.68, 71 73
Nella fase di stadiazione è altamente raccomandato estendere la TC anche allo studio
del torace, al fine di rilevare eventuali micronoduli polmonari non apprezzabili alla
radiografia standard.
Gli svantaggi associati a quest'esame sono rappresentati dalla dose di radiazioni e dal
possibile sviluppo di nefropatia da contrasto.
Negli ultimi anni la RM ha conosciuto un miglioramento sensibile in termini di qualità
dell'immagine ed accuratezza diagnostica. Data la sua principale indicazione per lo
studio dei tessuti molli ci sono numerose situazioni in cui essa risulta superiore alla TC:
rilevazione di piccoli tumori, noduli neoplastici isodensi alla TC, infiltrazione focale
adiposa del parenchima. Le lesioni pancreatiche appaiono ipointense in sequenze T1-
pesate e, proprio in virtù dell'elevata risoluzione di contrasto tra la ghiandola ed il
tessuto adiposo circostante, la valutazione dell'infiltrazione peripancreatica appare
meglio definibile con la RMN che con altre metodiche. Si è inoltre dimostrata in alcuni
studi equivalente se non superiore ad altre metodiche di indagine per sensibilità,
specificità ed accuratezza nell’esprimere un giudizio di resecabilità.74, 75 Bisogna tenere
presente però, che, trattandosi di un'indagine multiparametrica, ha una refertazione
complessa, dunque anch'essa può essere considerata in parte operatore dipendente.
Ad ogni modo trova sempre indicazione nei pazienti con controindicazioni all'uso del
MdC iodato.
La RM viene spesso associata alla MRCP, che fornisce un'immagine tridimensionale
dettagliata dell'albero pancreatico-biliare, del parenchima epatico e delle strutture
vascolari. Consente di rilevare segni indiretti della neoplasia come alterazioni della
morfologia duttale, quali dilatazione prestenotica e successiva amputazione, o del
Wirsung o la presenza di calcoli o altre cause di alterazioni duttali e duttulari.
Rappresenta una valida alternativa all'ERCP, che ormai, visto l'elevato rischio di
sviluppare una pancreatite acuta ERCP-indotta, mantiene un'esclusiva indicazione
terapeutica e palliativa.
L'ecografia endoscopica o ecoendoscopia è un' indagine dalle molteplici potenzialità,
ma essendo altamente operatore-dipendente, ad oggi, il suo impiego è fortemente
26
limitato. In mani esperte, ha una sensibilità diagnostica superiore alla TC per lesioni
neoplastiche piccole, inferiori ai 2 cm; è complementare alla TC ed alla RMN nella
stadiazione, chiarendo l'entità del coinvolgimento vascolare e linfonodale nei casi
dubbi.76 Tuttavia, la metodica risulta accurata soprattutto nell’individuare il
coinvolgimento del sistema portale piuttosto che dell’arteria mesenterica superiore.77
Utile anche nella diagnosi differenziale tra stenosi benigne e maligne, nella
caratterizzazione delle lesioni cistiche pancreatiche e delle lesioni periampollari
invasive rispetto alle non invasive. Infine l’ecografia endoscopica è l'unica che consente
di eseguire contemporaneamente un aspirato con ago sottile (FNAB) utile per la
diagnosi citologica; mentre l'ERCP permette un prelievo mediante brushing.
L'ecoendoscopia interventistica sta emergendo come presidio palliativo dal momento
che consente di effettuare la neurolisi del plesso celiaco, ovvero una splancnicectomia
chimica78.
La PET/TC non è una metodica routinaria in considerazione dell'elevato numero di falsi
positivi e della bassa risoluzione spaziale, pertanto non può essere impiegata per
esprimere un corretto giudizio di resecabilità. Trova invece indicazione nel follow-up,
qualora vi sia un sospetto di ripresa di malattia non chiarito dalle immagini TC o RM, e
nella diagnosi differenziale tra tessuto cicatriziale post-chirurgico o post-radioterapia e
ricorrenza di malattia.79
La laparoscopia esplorativa consente di evidenziare piccole lesioni epatiche o noduli
miliariformi peritoneali non documentabili con altre metodiche e selezionare così i
pazienti da sottoporre, a ragione, a chirurgia radicale.80 Ha un ruolo nella stadiazione in
pazienti candidati alla chirurgia radicale, ma aventi valori di Ca 19.9 molto elevati.81
La diagnosi istologica della lesione pancreatica è fondamentale prima dell'inizio di un
qualsiasi trattamento medico. Nel caso in cui la malattia sia resecabile questa sarà
piuttosto agevole e verrà effettuata sul pezzo operatorio; nel caso in cui, invece, la
malattia sia localmente avanzata e richieda un trattamento preoperatorio o di prima
linea, o sia metastatica sarà necessaria l'esecuzione di una biopsia. Quest'ultima potrà
essere effettuata sotto guida eco-endoscopica o per via percutanea TC-guidata. Il primo
approccio è preferibile, soprattutto in pazienti con malattia potenzialmente resecabile,
per il più basso rischio di disseminazione tumorale, di emorragia e di infezioni.82 In rari
casi, qualora la FNA sotto guida ecoendoscopica non sia possibile, si ricorre ad altre
27
metodiche, come ad esempio biopsie intraduttali ottenute mediante colangioscopia
percutanea,83 biopsie laparoscopiche,84 brushing del dotto in corso di ERCP, come
poc'anzi anticipato.
Per quanto concerne le indagini umorali, nessun valore risulta specifico per il tumore
del pancreas. Tra i vari marcatori tumorali studiati (CEA, Ca19.9, Ca125, TPA) quello
risultato maggiormente sensibile è il Ca19.9, tuttavia nel 10% della popolazione
caucasica l'antigene di Lewis, di cui il Ca19.9 è un epitopo, è assente, dando origine
così a falsi negativi.85 Non vi è, inoltre, univocità sul valore soglia per porre diagnosi di
adenocarcinoma pancreatico. Anche dal punto di vista della specificità non si profila
come un marker di grande ausilio dal momento che sono numerose le condizioni che
provocano un suo incremento dando origine a falsi positivi: altre neoplasie del tratto
digerente; tutte le condizioni di colestasi (in cui aumenteranno anche bilirubina totale e
diretta, γGT, ALP); pancreatiti acute o croniche; ascessi pancreatici e pseudocisti.86
Controversi i dati riguardanti il suo valore predittivo in pazienti con malattia avanzata,87,
88 89 mentre risulta inconfutabile il suo valore come marcatore prognostico, dal momento
che bassi livelli ematici di Ca19.9 nel post-operatorio o un decremento dello stesso
influenzano positivamente la sopravvivenza.90, 91 Un recente studio tedesco ha
dimostrato che i valori basali di Ca19.9 e la sua cinetica hanno un valore prognostico
nei pazienti con tumore localmente avanzato durante la prima linea di chemioterapia.92
Da un punto di vista pratico, il tumore pancreatico è spesso distinto in resecabile,
localmente avanzato o metastatico. Infatti la prognosi e la sopravvivenza sono
strettamente correlate a queste definizioni, anche se queste categorizzazioni si
modificano lievemente tra le diverse scuole chirurgiche; tuttavia si sta cercando sempre
più di uniformarle. Il giudizio di resecabilità è l'aspetto più importante della stadiazione
clinica perché la chirurgia rappresenta l'unico trattamento potenzialmente curativo.
La stadiazione più corretta è quella patologica dopo resezione chirurgica, possibile,
però, alla diagnosi solo nel 20% dei casi.93 La classificazione TNM distingue i tumori
secondo il parametro T in resecabili (T1-T3) e localmente avanzati (T4), nella
stragrande maggioranza dei casi irresecabili data l'assenza di un chiaro piano di
clivaggio tra la massa neoplastica ed i vasi arteriosi, quali tripode celiaco, a. mesenterica
superiore (con alcune eccezioni), aorta e vena cava inferiore. Sulla base del TNM l '
28
American Joint Committee on Cancer's (AJCC, VII ed.) ha definito la suddivisione in
stadi del tumore pancreatico. Lo stadio I descrive una malattia precoce, limitata al
pancreas, resecabile; mentre allo stadio II appartengono tutti i tumori resecabili,
indipendentemente dallo stato linfonodale. Lo stadio III comprende tumori borderline
resectable e localmente avanzati non resecabili, con un interessamento variabile delle
stazioni linfonodali, in assenza di impegno metastatico. Infine, lo stadio IV corrisponde
alla diffusione sistemica di malattia.94
29
Stadiazione del carcinoma pancreatico esocrino
Tumore primitivo (T)
TX il tumore primitivo non può essere definito
T0 il tumore primitivo non è evidenziabile
Tis carcinoma in situ, incluso PanIN-3
T1 tumore limitato al pancreas, diametro maggiore minore o uguale a 2 cm
T2 tumore limitato al pancreas, diametro maggiore superiore a 2 cm
T3 tumore che si estende oltre il pancreas, senza coinvolgimento dell'asse celiaco o
dell'arteria mesenterica superiore
T4 tumore che interessa l'asse celiaco o l'arteria mesenterica superiore
Linfonodi regionali (N)*
Nx i linfonodi regionali non possono essere definiti
N0 assenza di metastasi ai linfonodi regionali
N1 presenza di metastasi ai linfonodi regionali
Metastasi a distanza (M)
Mx la presenza di metastasi a distanza non può essere definita
M0 assenza di metastasi a distanza
M1 presenza di metastasi a distanza
Suddivisione in Stadi
Stadio 0 TisN0M0
Stadio IA T1N0M0
Stadio IB T2N0M0
Stadio IIA T3N0M0
Stadio IIB T1-3N1M0
Stadio III T4 ogni N M0
Stadio IV ogni T ogni N M1
Tabella 1.3. Classificazione TNM e suddivisione in stadi secondo l'AJCC (VII edizione).
*: Per una corretta stadiazione patologica e per definire la categoria pN0, devono essere individuatialmeno 10 linfonodi regionali. I linfonodi regionali peripancreatici comprendono anche quelli dell’arteria
epatica, del tripode celiaco, i linfonodi pilorici e gli splenici.
30
1.9 Trattamento
L'adenocarcinoma pancreatico rappresenta ancora oggi una sfida dal punto di vista
terapeutico e prognostico. La chirurgia è di fatto l'unico trattamento potenzialmente
curativo, anche se una resezione chirurgica radicale al momento della diagnosi seguita
da chemioterapia adiuvante è possibile solo nel 10-20% dei pazienti con una
sopravvivenza a 5 anni del 20-25%.95, 96
La chirurgia resettiva pancreatica è tra le più complesse, e numerosi studi nel corso
degli ultimi 15 anni hanno dimostrato la necessità di concentrare questo genere di
interventi in poli di eccellenza e di alto volume: grazie all'esistenza di centri dedicati,
attualmente la mortalità associata a chirurgia pancreatica si attesta a valori inferiori al
5%.97 Visto l'alto potenziale curativo del trattamento chirurgico si può comprendere
come mai nel corso del tempo in centri dedicati siano stati effettuati interventi sempre
più demolitivi con resezioni vascolari e multiviscerali associate a trattamenti medici
adiuvanti e neoadiuvanti. Tuttavia non ci sono comprovate indicazioni e chiare
raccomandazioni in merito a tal genere di interventi,98 ed è recente la definizione da
parte dell' International Study Group for Pancreatic Surgery, secondo le linee guida del
National Comprehensive Cancer Network (NCCN), di criteri universalmente accettati
per la classificazione dei tumori pancreatici in resecabili, localmente avanzati
“borderline resectable” e non resecabili.99, 100
1.9.1 Criteri di resecabilità
Lo stato di non resecabilità è definito sulla base di criteri uniformemente accettati:101
1. presenza di metastasi a distanza
2. interessamento di stazioni linfonodali distanti dal “campo chirurgico” (es.
linfonodi mediastinici o sovraclaverari, linfonodi interaortocavali/periaortici)
3. infiltrazione di visceri extrapancreatici ad eccezione di via biliare principale e
duodeno
Da sottolineare il fatto che anche in situazioni tecnicamente suscettibili di asportazione
31
chirurgica radicale, quali metastasi epatica singola o interessamento dei linfonodi
interaortocavali, non vi è indicazione alla resezione dal momento che non sono stati
riscontrati benefici in termini di sopravvivenza.102
Secondo le linee guida dell'NCCN, in riferimento all'infiltrazione dei vasi
peripancreatici possono essere identificate tre differenti situazioni:
- malattia localizzata e resecabile: tumore T3 con adesione/infiltrazione segmentale
della vena porta e della vena mesenterica superiore, in presenza o meno di metastasi a
carico dei linfonodi regionali;
-malattia “borderline resectable”:
• adesione, infiltrazione non segmentale o trombosi della vena mesenterica
superiore (SMV) o della vena porta con possibilità di resezione tangenziale o a
pieno canale con ricostruzione del vaso a partire dai monconi prossimale e
distale;
• infiltrazione >180° (encasement) della circonferenza dell' a. gastroduodenale
fino alla sua origine a livello dell' a. epatica comune, con eventuale
interessamento di quest'ultima, in assenza di estensione all'asse celiaco;
• interessamento dell' a. mesenterica superiore (SMA) per un'estensione minore di
180° della propria circonferenza.
-malattia localmente avanzata, non resecabile, in assenza di metastasi a distanza:
• infiltrazione >180° (encasement) dell'a. mesenterica superiore (SMA);
• infiltrazione del tripode celiaco, dell'aorta o della vena cava inferiore;
• infiltrazione >180° od occlusione del tronco spleno-mesenterico-portale in
assenza di possibilità di ripristino della continuità vascolare, oppure in presenza
di trasformazione cavernosa della v. porta.103
Dal momento che l'asportazione macroscopicamente e microscopicamente radicale del
tumore (resezione R0) è uno dei fattori prognostici più importanti dopo resezione
chirurgica, le neoplasie bordeline resectable rappresentano condizioni a più alto rischio
di resezioni R1 e R2.104 Pertanto, nei pazienti con tumore “borderline resectable” è utile
considerare nell'ambito di un percorso multidisciplinare un approccio terapeutico
32
neoadiuvante, al fine di ottenere un miglior controllo locale di malattia alla ristadiazione
ed una eventuale successiva resezione completa.
Ad ogni modo è bene sottolineare che le resezioni vascolari arteriose, a dispetto di
quelle venose, sono associate ad una significativa mortalità e morbilità peri- e
postoperatoria. Costituiscono pertanto procedure che devono essere intraprese valutando
attentamente il rapporto rischio-beneficio per il singolo paziente e la perizia del gruppo
chirurgico.105
1.9.2 Trattamento chirurgico
Abbiamo già sottolineato l'esclusiva potenzialità curativa della chirurgia e la necessità
della sua esecuzione in centri dedicati ad alto volume al fine di ridurre la morbilità e la
mortalità associate alla pancreasectomia. Quando eseguita in centri specializzati, la
sopravvivenza mediana dopo intervento chirurgico varia da 15 a 19 mesi, e attualmente
la sopravvivenza a 5 anni dall’intervento è approssimativamente del 20%.106 Fattori
prognostici associati ad una migliore sopravvivenza dopo pancreasectomia sono:
margini di resezione negativi (R0), assenza di metastasi linfonodali, diametro del
tumore < 2 cm o comunque neoplasia confinata a livello pancreatico, tumore ben
differenziato (G1).107, 108 109
Assumendo l'istmo come discrimine tra la parte destra e sinistra dell'organo si
distinguono resezioni totali e parziali. Il tipo e l'estensione della resezione dipendono
dalla dimensione e dalla sede della neoplasia. Se alla laparotomia il tumore viene
considerato non resecabile o per estensione locale o per la presenza di metastasi a
distanza, è mandatorio eseguire una biopsia/prelievo citologico per ottenere una
diagnosi patologica di adenocarcinoma, a meno che la neoplasia non sia stata già
tipizzata in precedenza. L'obiettivo deve essere quello di ottenere una resezione
“oncologicamente radicale” associata ad un' adeguata linfoadenectomia.
L'intervento di scelta per il trattamento delle lesioni della testa e del processo uncinato è
la duodenocefalopancreasectomia, che consiste nell'asportazione “en bloc” di testa del
pancreas/processo uncinato, duodeno, via biliare principale, colecisti e prima ansa
digiunale. Il pancreas viene sezionato all'istmo o al corpo prossimale
(duodenocefalopancreasectomia allargata) mentre la via biliare viene sezionata al di
33
sopra dell'inserzione del cistico (dotto epatico comune).
La duodenocefalopancreasectomia può essere associata ad antrectomia (resezione
secondo Whipple) o preservazione del piloro, proposta da Longmire e Traverso.
L'antrectomia deve essere eseguita in caso d'infiltrazione neoplastica del bulbo
duodenale e del piloro. La preservazione del piloro ha un più prolungato tempo di
canalizzazione e non è del tutto chiaro se mantenendo l'integrità anatomo-funzionale
dello stomaco la funzione gastro-intestinale tragga un beneficio rispetto all'intervento di
Whipple, a cui seguono viceversa tutte le complicanze associate a gastrectomia parziale,
quali malassorbimento e sviluppo di Dumping syndrome. Certamente l'intervento di
Traverso è associato ad una riduzione dei tempi operatori, del sanguinamento
intraoperatorio e della necessità di trasfusioni. Le due procedure sono però comparabili
sia in termini oncologici, che di mortalità e morbilità postoperatoria (rischio di fistole,
infezione della ferita chirurgica, emorragie, deiscenza dell'anastomosi
pancreaticodigiunale).110, 111
Il tempo demolitivo prosegue con un'accurata dissezione delle strutture vascolari. La
linfoadenectomia deve comprendere le stazioni peripancreatiche, inclusi i linfonodi
dell'arteria epatica, retrocoledocici e retroportali.112, 113 In passato alcuni gruppi chirurgici
hanno eseguito linfoadenectomie estese con asportazione del tessuto compreso tra l'ilo
del rene destro ed il margine laterale dell'aorta, ed il tessuto compreso tra asse venoso
porto-mesenterico e l'origine dell'arteria mesenterica superiore. Tuttavia una meta-
analisi degli studi prospettici randomizzati in merito ha dimostrato che la
linfoadenectomia estesa non ha alcun impatto sulla sopravvivenza rispetto ad una
linfoadenectomia standard:114 ha un significato stadiativo più che curativo.
Una volta completata la fase demolitiva dell'intervento, deve essere effettuato l'esame
intraoperatorio dei margini di resezione biliare e pancreatico. In caso di positività la
resezione va allargata fino ad ottenere margini negativi, il che implica se necessario una
pancreasectomia totale. Le possibilità di ricostruzione della continuità biliare,
pancreatica e gastrointestinale sono molteplici. La morbilità associata all'intervento è
correlata principalmente alla deiscenza dell'anastomosi pancreatico-digiunale.108, 115
In caso di neoplasie del corpo e delle coda la procedura di scelta è rappresentata dalla
splenopancreasectomia sinistra. La splenectomia, assieme alla linfoadenectomia delle
34
stazioni peripancreatiche, dell'arteria splenica fino all'origine del tripode celiaco e dei
linfonodi perisplenici, viene routinariamente effettuata nell'ottica di garantire una
resezione oncologicamente radicale.116, 117 118 Da notare che l'infiltrazione dell'arteria
splenica non viene considerata come un criterio di non resecabilità, a meno che non
venga coinvolta la sua origine in corrispondenza del tripode celiaco.116 Anche in questo
caso è necessario l'esame istologico intraoperatorio della trancia di resezione
pancreatica, al fine di rimuovere una neoplasia con margini R0.119, 120 Venendo alle
complicanze dell'intervento: sebbene la mortalità postoperatoria sia estremamente
infrequente, l'incidenza di fistola pancreatica è particolarmente significativa (attorno al
30%).117-121
La pancreasectomia totale consiste nell'asportazione di tutto il pancreas insieme al
duodeno, via biliare, colecisti, prima ansa digiunale e milza. L'indicazione principale è
rappresentata dalla presenza di plurimi margini di resezione pancreatica positivi per
carcinoma all'esame intraoperatorio, per cui risulta necessario estendere la resezione
chirurgica fino ad ottenere un margine negativo; è una condizione infrequente legata ad
una multifocalità della neoplasia.122
L'intervento chirurgico di pancreasectomia totale determina per definizione
un'insufficienza esocrina ed endocrina completa postoperatoria. Invece in caso di
pancreasectomia parziale il rischio è modulato da una serie di fattori inclusi lo stato
funzionale preoperatorio, il tipo e l'estensione della resezione, e l'eventuale presenza,
nei tumori della testa, di un'occlusione del Wirsung con pancreatite cronica del corpo-
coda.123 Normalmente vi è una buona consapevolezza dell'importanza della diagnosi e
del trattamento del diabete postoperatorio, mentre l'insufficienza esocrina, causa di
malassorbimento, che può peggiorare la compliance ad eventuali trattamenti adiuvanti, è
spesso misconosciuta. Dunque è importante indagare la presenza di diarrea, steatorrea,
dispepsia, calo ponderale ed eventualmente somministrare supplementazioni
farmacologiche a base di enzimi pancreatici.
I pazienti con carcinoma del pancreas radicalmente resecato dovrebbero essere
sottoposti dopo 3 mesi a controllo clinico con dosaggio dei marcatori tumorali ed
effettuazione di un'ecografia addominale ogni 3-4 mesi per i primi due anni, quindi
annualmente. Una TC spirale torace-addome-pelvi o RMN dovrebbe essere effettuata
ogni 6 mesi (alternare TC ed eco-addome). La PET trova indicazione nel follow-up, in
35
particolare nei casi in cui vi sia il sospetto di ripresa di malattia a fronte di una TC/RMN
negative o dubbie per esiti cicatriziali legati all’intervento chirurgico. L’impiego della
scintigrafia ossea è riservato ai casi in cui vi sia il sospetto di secondarismi ossei.
1.9.3 Trattamento medico
Terapia adiuvante
La sopravvivenza mediana dei pazienti operati è tra i 15 ed i 25 mesi. La maggior parte
delle recidive dopo intervento chirurgico radicale si verifica a livello locale, sul
pancreas residuo o sull'anastomosi, a livello linfonodale o epatico. Per questo motivo i
primi studi di terapia adiuvante si sono focalizzati sulla radioterapia, al fine di
sterilizzare la sede primitiva di malattia e prevenire un'eventuale recidiva locale,
associata comunque alla somministrazione di terapia sistemica con l'obiettivo di inibire
o controllare la diffusione a distanza di malattia. Sono stati realizzati numerosi trial,
randomizzati e non, allo scopo di valutare l'efficacia di una chemioradioterapia
adiuvante basata sull'uso di 5-Fluorouracile: tre tra questi, randomizzati, meritano
particolare attenzione.
Il primo, pubblicato nel 1985, è lo studio condotto da Gastrointestinal Study Group
(GITSG): 43 pazienti sottoposti a chirurgia microscopicamente radicale (R0) furono
randomizzati o per sola osservazione o per chemioradioterapia postoperatoria con 40 Gy
in sei settimane concomitanti a 5-fluorouracile (5FU) 500 mg/m² nei giorni 1-3 e 29-31,
seguita da 5FU in bolo settimanale per due anni. Lo studio fu interrotto per
arruolamento inadeguato. I risultati in termini di sopravvivenza mediana e a 2 anni
furono rispettivamente di 11 mesi e 15% nel braccio osservazionale e 20 mesi e 42% nel
braccio sperimentale (p<0,03).124 Tuttavia lo studio presenta numerose criticità: a
prescindere infatti dalla numerosità campionaria estremamente ridotta, la popolazione
arruolata nello studio non è rappresentativa di quella tipica della pratica clinica, dal
momento che solo il 5% aveva malattia G3 ed il 28% malattia N1; inoltre, il trattamento
radiante split course e la dose somministrata sono attualmente considerati inappropriati,
così come la scelta del 5FU in bolo, la cui attività come radiosensibilizzante è inferiore
a quella del 5FU somministrato in infusione continua.
Lo studio EORTC 40891, condotto tra il 1987 ed il 1995 in una popolazione mista di
36
pazienti con neoplasie della regione periampollare (adenocarcinoma cefalopancreatico,
neoplasie del coledoco, della papilla di Vater e del duodeno), ha randomizzato 218
pazienti a ricevere lo stesso regime di chemioradioterapia adiuvante del GITSG trial, ma
senza i 2 anni di 5FU successivi, versus sola chirurgia. Lo studio ha riportato un
beneficio non significativo a favore del trattamento combinato nel subset di pazienti con
tumore pancreatico. Dopo un follow-up di 11,7 mesi, nessuna differenza statisticamente
significativa è stata osservata tra i due bracci in termini di sopravvivenza libera da
malattia (DFS) e sopravvivenza assoluta.125 Dunque i risultati del GITSG trial non
furono confermati da questo studio; che, oltretutto, nell'aggiornamento dei propri dati
pubblicato nel 2007 ancora una volta non mostrò un vantaggio statisticamente
significativo in termini di sopravvivenza nei pazienti randomizzati per
chemioradioterapia.126
In Europa, lo studio ESPAC-1 (European Study Group for pancreatic Cancer) si pose
l'ambizioso obiettivo di stabilire, con disegno fattoriale 2x2, l'efficacia della
chemioterapia sistemica post-operatoria e del trattamento chemioradioterapico, con gli
stessi schemi descritti nello studio del GITSG, in 289 pazienti con adenocarcinoma
duttale del pancreas sottoposti a chirurgia macroscopicamente radicale (R0-R1). I
pazienti, dopo la chirurgia, furono randomizzati in 4 bracci: osservazione
esclusiva,chemioterapia sistemica adiuvante,chemio-radioterapia, chemio-radioterapia
seguita da chemioterapia sistemica. I risultati, con un follow-up mediano di 47 mesi,
evidenziarono un vantaggio statisticamente significativo in termini di sopravvivenza
globale (OS) nei bracci che avevano ricevuto chemioterapia sistemica associata o meno
a chemioradioterapia rispetto a quelli che avevano ricevuto solo chemioradioterapia
oppure erano stati sottoposti a monitoraggio esclusivo (20,1 vs 15,5 mesi; p<0,009). In
merito al razionale dello studio, ovvero l'analisi del beneficio in termini di
sopravvivenza in funzione dell'essere stati sottoposti o meno a chemioterapia o a
chemioradioterapia, i risultati evidenziarono che la sopravvivenza dei pazienti trattati
con chemioradioterapia da sola o in associazione a chemioterapia sistemica era peggiore
rispetto a quella di pazienti sottoposti a chemioterapia o sola osservazione (15,9 mesi vs
17,9 mesi; p<0,05). Inoltre i pazienti che avevano ricevuto chemioterapia ebbero una
sopravvivenza mediana superiore, pari a 20,6 mesi rispetto ai 15,5 mesi dei pazienti che
non ricevettero alcun trattamento (p<0,009).127 Occorre tuttavia precisare che, l'assenza
37
di un controllo di qualità del trattamento radiante, lo schema “split course”, la dose
inappropriata, l'impiego di Co60 e di obsolete tecniche di radioterapia, rendono lo
studio fortemente criticabile. Infine, l'attività radiosensibilizzante del 5-FU in bolo,
come già ricordato, è inferiore a quella se somministrato in infusione continua.128, 129
Estremamente interessanti i risultati dello studio multicentrico di fase III CONKO-001,
condotto dal luglio 1998 al dicembre 2004 (quando ancora il ruolo della terapia medica
adiuvante nei tumori resecabili non era definito e non esistevano standard di
riferimento), in cui 368 pazienti con adenocarcinoma duttale in stadio I-III furono
randomizzati a ricevere 6 cicli di chemioterapia adiuvante con gemcitabina (giorni 1,8,
15 ogni 28 gg) oppure solo monitoraggio post-chirurgico. L'end point primario dello
studio era quello di dimostrare che il trattamento adiuvante con gemcitabina fosse in
grado di attestare la sopravvivenza libera da malattia (DFS) attorno ai 6 mesi o più.
Durante il follow-up mediano a 53 mesi è stata riscontrata una sopravvivenza libera da
recidiva di 13,4 mesi nel gruppo trattato con gemcitabina, mentre di 6,9 mesi nel gruppo
di controllo (p<0,001). I risultati finali dello studio hanno dimostrato una DFS a 3 anni
ed a 5 anni del 23,5% e del 16,5% nel gruppo trattato con chemioterapia e del 7,5% e
5,5% nel gruppo di controllo. Dunque questi dati supportano l'uso della gemcitabina
adiuvante al fine di ritardare lo sviluppo di recidiva di malattia.130
Lo studio di fase III RTOG 9704 ha valutato, dopo resezione chirurgica, la terapia con
gemcitabina o 5FU per tre settimane prima e per 12 settimane dopo radioterapia (con
38
Figura 1.8. Risultati dello studio CONKO-001: gemcitabina adiuvante vs sola osservazione.(Oettle et al., Jama, 2007)
5FU come radiosensibilizzante).131
Gli autori hanno dimostrato come nel sottogruppo di pazienti con carcinoma della testa
del pancreas (388 dei 451 pazienti arruolati) non fosse evidente alcuna differenza
statisticamente significativa, in termini di sopravvivenza mediana ed a 3 anni, tra il
braccio trattato con gemcitabina e quello trattato con 5-fluorouracile, essendo di 20.5
mesi e 31% versus 16.9 mesi e 22% rispettivamente (p<0,08). Lo schema di trattamento
RTOG 9704 prevedeva gemcitabina settimanale per tre settimane, poi radioterapia con
dose di 50,4 Gy (1,8 Gy frazione) concomitante al 5-FU 250 mg/m² die in infusione
continua e successivamente gemcitabina settimanale per tre settimane. Un
aggiornamento dei dati del RTOG 9704 a 5 anni ha confermato l’assenza di una
differenza statisticamente significativa tra i due gruppi, sebbene i pazienti con neoplasie
della regione cefalopancreatica mostrassero un trend positivo in termini di
sopravvivenza assoluta nel braccio con gemcitabina (p<0.08).132, 133 Tuttavia, ESPAC-3,
un vasto studio randomizzato condotto in oltre un migliaio di pazienti che non
prevedeva l’utilizzo della radioterapia associata a 5FU, ma randomizzava i pazienti a
ricevere un trattamento chemioterapico sistemico adiuvante con 5FU versus
gemcitabina, ha mostrato la pressoché totale equivalenza tra l’impiego di 5FU e
gemcitabina con una sopravvivenza mediana ed a 2 anni rispettivamente di 23,6 mesi e
49,1% e 23,0 mesi e 48,1%.133
Tenendo conto di questi dati, ad oggi sono definite le seguenti indicazioni:
• Il trattamento adiuvante standard nei pazienti resecati è la chemioterapia
sistemica con schedule opportune di 5-FU o gemcitabina per 6 mesi. La
gemcitabina è da preferire nella maggior parte dei pazienti per la minore
tossicità. Non indicata è invece la combinazione di doppiette di farmaci.
• Il completamento dei 6 cicli di chemioterapia programmati è un fattore
prognostico indipendente dopo l'intervento di resezione della massa tumorale, a
prescindere da un più o meno tempestivo inizio di terapia. Pare piuttosto che non
ci sia differenza in termini di outcome, nel caso in cui la terapia adiuvante sia
intrapresa non a 8-10 settimane dall'intervento ma a 12 settimane, se questo
consente un adeguato recupero post-operatorio ed il successivo completamento
39
dei cicli di chemioterapia.134
• La radioterapia adiuvante, quando eseguita, prevede la somministrazione di 45-
46 Gy (1,8-2,0 Gy/die) a livello del letto tumorale, sulle anastomosi chirurgiche
e sulle adiacenti stazioni linfonodali con un boost di 5-15 Gy a livello della sede
del tumore primitivo. La radioterapia è usualmente associata a chemioterapia
radiosensibilizzante con 5-FU, capecitabina o gemcitabina e può essere
somministrata prima o dopo la chemioterapia sistemica adiuvante. Nei casi con
margini positivi R1, la chemioradioterapia va associata alla chemioterapia
sistemica.135, 136
Terapia neoadiuvante nei pazienti con malattia resecabile
Alcuni studi condotti su casistiche retrospettive o studi di fase II riguardanti un numero
limitato di pazienti si sono posti come obiettivo quello di valutare se la
chemioradioterapia neoadiuvante in pazienti con malattia resecabile potesse avere o
meno un'attività giudicabile interessante. Il razionale dell'impiego della radioterapia pre-
operatoria si basa sui vantaggi teorici rispetto ai trattamenti post-operatori: possibilità di
agire su un letto tumorale ben perfuso, più ossigenato e pertanto maggiormente
radiosensibile; sterilizzare il campo operatorio prima dell'intervento chirurgico; down-
sizing tumorale con conseguente incremento del tasso di interventi R0.
Una revisione retrospettiva del 2001 dell’ MD Anderson riporta che l’uso della
chemioradioterapia preoperatoria ha un impatto positivo in termini di outcome nei
pazienti resecabili, tenuto conto in particolar modo del dato relativo al 25% di pazienti,
la cui malattia, al restaging pre-operatorio, era in progressione e che pertanto non
avrebbe beneficiato di una chirurgia d’emblèe.137
In uno studio randomizzato di fase II che valutava efficacia e tossicità di regimi
contenenti gemcitabina come terapia neoadiuvante in pazienti con malattia resecabile,
una maggiore percentuale di resecabilità è stata osservata nei pazienti trattati con
combinazioni di gemcitabina e cisplatino versus la sola gemcitabina.138
Uno studio prospettico, che ha valutato la radioterapia preoperatoria associata a
gemcitabina su 86 pazienti con malattia resecabile, ha dimostrato, alla ristadiazione
eseguita tra la quarta e la sesta settimana dal termine del trattamento, che tutti i pazienti
40
avevano terminato il trattamento e che solo 73 pazienti (85%) erano candidabili alla
chirurgia, mentre la maggior parte dei rimanenti pazienti erano esclusi dalla chirurgia
per presenza di malattia avanzata o scadimento delle condizioni.139 Risultati simili sono
stati osservati in un altro studio di fase II che prevedeva la somministrazione
preoperatoria di gemcitabina/cisplatino seguita da chemioradioterapia con gemcitabina.
Dei 90 pazienti coinvolti, 79 sono stati in grado di completare la terapia neoadiuvante e
52 sono stati sottoposti ad intervento chirurgico. I rimanenti pazienti sono risultati non
operabili per presenza di malattia avanzata alla ristadiazione eseguita alla fine del
trattamento neoadiuvante.140 Questi dati sottolineano la necessità di eseguire il restaging
in maniera molto accurata nei pazienti sottoposti a terapia neoadiuvante prima della
chirurgia.
Recentemente è volto a termine uno studio di fase III avente l’obiettivo di confrontare la
terapia perioperatoria (neoadiuvante + adiuvante) versus la sola terapia adiuvante
(Clinicaltrials.gov NCT01314027): i risultati dello stesso non sono stati al momento
ancora pubblicati.141
Ad ogni modo la terapia neoadiuvante non è raccomandata nella maggior parte dei
pazienti con neoplasia resecabile, data l'assenza di studi con adeguato livello di qualità e
del rischio di sovratrattamento e al contempo di progressione di eteroplasie
potenzialmente resecabili.
Terapia della malattia localmente avanzata
Alla diagnosi il 30% dei pazienti presenta un tumore localmente avanzato, con una OS
mediana di 9-13 mesi.93 Come già sottolineato questa entità può essere ulteriormente
distinta in malattia localmente avanzata a resecebilità borderline (BRPC) ed in malattia
localmente avanzata non resecabile (LAPC). Ad ogni modo in entrambi i casi il
controllo locale e sistemico dela malattia rappresentano gli obiettivi primari del
trattamento.
Nel caso di tumori borderline resectable un trattamento preoperatorio sarebbe
auspicabile sia per aumentare il tasso di pazienti candidabili a chirurgia
oncologicamente radicale dal punto di vista microscopico(R0), sia per identificare quei
pazienti con progressione precoce di malattia che dunque non beneficerebbero a
41
prescindere di un intervento chirurgico. Tuttavia l'impiego di un trattamento
neoadiuvante, e se costituito da sola terapia medica o combinata, è ad oggi oggetto di
dibattito.
Nel 2008 sono stati pubblicati i risultati di uno studio retrospettivo volto ad indagare i
benefici di un trattamento preoperatorio in 160 pazienti con BRPC trattati tra il 1999 ed
il 2006 con un regime di chemioterapia esclusiva per 2-4 mesi, seguito da un
trattamento combinato di chemio-radioterapia che impiegasse 5-fluorouracile (5-FU),
gemcitabina, capecitabina o paclitaxel come radiosensibilizzanti. Il 78% dei pazienti è
risultato aver completato il trattamento chemioterapico preoperatorio ed il 41% del
totale dopo ristadiazione è stato sottoposto ad intervento di pancreasectomia, R0 nel
94% dei casi. I 66 pazienti che hanno completato i cicli di trattamento, inclusa la
chirurgia, hanno avuto un significativo beneficio clinico con una OS mediana di 40 mesi
rispetto ai 13 mesi dei 94 pazienti non resecati (p<0.001).104
Numerosi trials hanno dimostrato che il trattamento neoadiuvante in pazienti con
malattia borderline può essere efficace e ben tollerato. Molti si sono concentrati
sull'analisi di trattamenti combinati.
Massucco et al. hanno arruolato 28 pazienti con malattia localmente avanzata e li hanno
sottoposti ad un trattamento chemioradioterapico basato su gemcitabina come
radiosensibilizzante, portando il 39% dei pazienti con malattia borderline resectable a
resezione R0 e solo uno degli otto pazienti con malattia localmente avanzata.142
Uno studio randomizzato di fase II prematuramente concluso per gravi difficoltà di
arruolamento, ha comparato due diversi regimi neoadiuvanti. Il primo gruppo di
pazienti è stato trattato con chemioradioterapia concomitante con gemcitabina, mentre il
secondo gruppo inizialmente con polichemioterapia a base di gemcitabina, cisplatino e
5FU e, a seguire, con RT associata all'infusione di 5FU. Lo studio ha mostrato che 5 (3
pazienti del primo gruppo e 2 del secondo) dei 21 pazienti arruolati è potuto accedere
all'intervento chirurgico.143
Nel 2011 un differente schema di combinazione è stato sottoposto da Patel e
collaboratori a 17 pazienti con BRPC. Questi pazienti sono stati trattati con tre cicli di
induzione di chemioterapia con gemcitabina, docetaxel e capecitabina seguita da
chemioradioterapia basata su 5FU, che si avvaleva però di fasci ad intensità modulata
42
(IMRT). Il 64,7% dei pazienti sono andati incontro a chirurgia e nel 47% di questi è
stato realizzato un intervento microscopicamente radicale, con una OS mediana di 15,64
mesi.144, 145
In uno studio retrospettivo pubblicato nel 2011, dove è stata indagata l'attività di un
regime chemioradioterapico preoperatorio basato su capecitabina in 40 pazienti con
BRPC, si è evidenziato che: si tratta di uno schema ben tollerato, dal momento che
l'85% dei pazienti è stato sottoposto alla totalità dei cicli previsti, ed efficace, in quanto
il 46% è andato incontro a resezione (nel 75% dei casi R0). Inoltre, è importante
sottolineare come la sopravvivenza sia risultata comparabile a quella di pazienti con
malattia primitivamente resecabile sottoposti a resezione.145 Ne deriva che dopo
l'intervento chirurgico è indicato effettuare una chemioterapia adiuvante per garantire
maggiori PFS ed OS.
Quindi, anche se i numeri della letteratura non sono poi cospicui, il potenziale di questo
approccio è promettente.
Spesso le forme localmente avanzate vengono trattate con gli schemi di chemioterapia
sistemica comunemente utilizzati nella malattia metastatica, ne deriva che siano
molteplici gli studi presenti in letteratura in merito a regimi polichemioterapici a base di
gemcitabina. Questi ultimi hanno dimostrato di indurre un tasso di risposta più elevato
(circa il 26%) rispetto all'esclusivo impiego della gemcitabina (4-15%). Inoltre, a parità
di schema terapeutico somministrato, il tasso di risposte ottenute in questo insieme di
pazienti è maggiore di quello osservato nei soggetti con malattia metastatica.146, 147 148
L'uso di un approccio combinato è stato inizialmente valutato in un trial del GITSG,
dove la combinazione di 5FU ed una radioterapia split-course (dose totale 4000 cGy)
era comparata con radioterapia da sola o con l'associazione di 5FU e una radioterapia
con DT 6000 cGy. L'associazione della chemioterapia con la radioterapia split-course ha
ottenuto un raddoppio della sopravvivenza assoluta mediana rispetto alla radioterapia da
sola (42,2 vs 22,9 mesi).149
Una metanalisi ha indicato che la chemioradioterapia concomitante prolunga la
sopravvivenza rispetto alla sola radioterapia.150
Studi successivi hanno valutato l'utilizzo del 5FU e della gemcitabina come
radiosensibilizzanti, abbandonando progressivamente l'uso della radioterapia split-
43
course. Una metanalisi ha dimostrato come la gemcitabina dia migliori risultati rispetto
al 5FU quando utilizzata come radiosensibilizzante.151 Tra le fluoropirimidine anche la
capecitabina può essere usata come farmaco radiosensibilizzante, anzi è risultata essere
più efficace rispetto alla gemcitabina intermini di miglioramento della sopravvivenza
mediana (15,2 vs 13,4 mesi; HR 0,50; p=0,025).152
Gillen in una review sistematica e metanalisi ha valutato 111 studi clinici, includendo
così 4394 pazienti affetti da adenocarcinoma pancreatico. La terapia neoadiuvante è
stata effettuata con chemioterapia nel 96% degli studi, mentre con radioterapia nel 94%
degli stessi. Per i pazienti non resecabili, considerando come tali BRPC e LAPC, il tasso
di risposta globale è stato del 35%, e di questi il 47% è andato incontro ad esplorazione
chirurgica. Alla fine il 33% dei pazienti è stato sottoposto all'intervento, con margini R0
nel 79% dei casi. Nei soggetti in principio non resecabili, in cui non si è riusciti a
perseguire un down-staging della malattia si è evidenziata una sopravvivenza mediana
di 10,2 mesi, mentre in quelli andati incontro a resezione dopo trattamento preoperatorio
la sopravvivenza mediana è stata di 20,5 mesi. Concludendo, quest'analisi dimostra
come un trattamento neoadiuvante costituito essenzialmente da chemio-radioterapia sia
in grado di indurre remissione e consentire un intervento resettivo radicale in circa un
terzo dei pazienti affetti da LAPC.153 Risultati analoghi sono stati ottenuti in altre
reviews e metanalisi.154 Tuttavia gli autori sono concordi nel ritenere che vista la non
elevata qualità dei dati a disposizione non sia possibile stabilire conclusioni definitive in
merito ai benefici derivanti da una chemioradioterapia neoadiuvante in questo serie di
pazienti.
Dunque le raccomandazioni cliniche per il trattamento della malattia neoplastica
localmente avanzata prevedono una chemioterapia sistemica, come trattamento iniziale,
in riferimento agli schemi utilizzati nella malattia avanzata senza finalità preoperatorie;
per quanto riguarda l'impiego della chemioradioterapia i risultati sono discordanti.
Lo studio di fase III ECOG 4201, che valutava gemcitabina rispetto all'associazione di
radioterapia+gemcitabina seguita da gemcitabina da sola è stato chiuso per serie
difficoltà di arruolamento. Tuttavia, l'analisi dei 74 pazienti arruolati ha dimostrato una
sopravvivenza assoluta mediana più lunga nel braccio di combinazione (11,1 mesi vs
9,2 mesi; p<0,02), nonostante l'evidenza di un aumento di tossicità. Purtroppo però, la
scarsa numerosità campionaria determinava una bassa potenza dello studio che dunque
44
non permetteva di trarre evidenze conclusive.155
Al contrario invece, lo studio di fase III FFCD-SFRO che randomizzava pazienti affetti
da LAPC non resecabile a ricevere gemcitabina da sola verso chemioradioterapia e
cisplatino seguito da mantenimento con gemcitabina ha evidenziato per il trattamento
esclusivo con gemcitabina un aumento del tasso di sopravvivenza a 1 anno rispetto alla
terapia combinata (53% vs 32%; HR=0.54, 0,31-0,96; p<0,006). Il peggioramento della
sopravvivenza è ascrivibile alla tossicità estrema evidenziata nel braccio di
combinazione. Questa è imputabile alla dose elevata di radioterapia (60 Gy), non
standard e chiaramente superiore alla tolleranza degli organi peripancreatici.156
Un approccio alternativo, ovvero il trattamento con gemcitabina per tre mesi e
successiva radiochemioterapia versus sola chemioterapia in pazienti che avevano
mantenuto un buon performance status e non erano progrediti è stato valutato negli studi
GERCOR di fase II e III. I ricercatori hanno riscontrato che dopo un controllo iniziale di
malattia con chemioterapia, la chemioradioterapia può migliorare significativamente
l'outcome in pazienti con LAP ( OS 15 e 11,7 mesi, rispettivamente; p=0,0009).157
Tuttavia, i risultati preliminari del LAP-07 trial volto a chiarire l'efficacia e la sicurezza
di erlotinib nel trattamento dei tumori localmente avanzati e della radioterapia, in
particolare della chemioradioterapia dopo trattamento con chemioterapia upfront non ha
fornito dati positivi in tal senso (NCT00634725).
Recentemente sono entrati nella pratica clinica due regimi chemioterapici:
FOLFIRINOX e l'uso concomitante di gemcitabina e Nab-paclitaxel come schemi di
trattamento di prima linea nella malattia metastatica. Il quesito che ci si pone è se questi
possano essere fonte di beneficio anche nel trattamento delle neoplasie localmente
avanzate. L'efficacia del FOLFIRINOX come terapia neoadiuvante nei LAPC è stata
dimostrata in numerosi studi retrospettivi e piccole serie di casi.
In particolare in un'analisi retrospettiva condotta da Hosein et al. su 18 pazienti con
malattia a resecabilità borderline o non resecabile trattati con FOLFIRINOX
neoadiuvante è stato riscontrato che 7 pazienti sono andati incontro ad intervento
chirurgico; e di questi: 5 (71%) hanno avuto una resezione R0, 1 una resezione R1 ed un
altro non è stato giudicato resecabile all'esplorazione intra-operatoria. Tra gli 11 pazienti
con malattia non resecabile, tre sono stati operati dopo un trattamento ulteriore di
45
chemio-radioterapia, con un tasso di resezione R0 del 40%.158
Gunturu ha riportato che in 16 pazienti con neoplasia localmente avanzata è stata
ottenuta una risposta globale del 50% ed un controllo di malattia nel 94% dei casi.
Interessante sottolineare che nonostante le dosi di irinotecan e del bolo di 5FU fossero
inferiori rispetto a quelle del FOLFIRINOX classico l'efficacia della chemioterapia non
è stata compromessa a vantaggio di una migliorata tollerabilità.159
Risultati simili sono stati riportati da Peddi et al. che hanno trattato 23 pazienti con
malattia localmente avanzata, a resecabilità borderline o non resecabile, con
FOLFIRINOX. Nonostante anche in questo caso il regime chemioterapico fosse stato
modificato in circa la metà dei pazienti (ad esempio era stato ridotta la dose di CPT-11,
o era stata eliminata la somministrazione di 5FU in bolo) l’efficacia nell’indurre una
parziale remissione della malattia o nel mantenere la malattia stabile (tasso di risposta
del 34%, con un controllo di malattia dell' 84%) si è mantenuta inalterata.160
Più recentemente, sono stati presentati i risultati di un'analisi retrospettiva condotta su
43 pazienti con tumore localmente avanzato borderline (18) e non resecabile (25) trattati
con il regime FOLFIRINOX modificato. La resezione è stata ottenuta nel 51,1% dei
pazienti trattati, addirittura nel 44% dei pazienti con LAPC. Il tasso di resezione R0 è
stato dell' 86,4%. La sopravvivenza libera da malattia è stata in caso di resezione di 18
mesi, un miglioramento significativo rispetto agli 8 mesi riscontrati nel caso in cui la
resezione non potesse essere stata effettuata (p<0,001).161
Un regime di chemioterapia simile, il FOLFOXIRI, con il quale il il gruppo oncologico
pisano ha una considerevole esperienza, dal momento che ampiamente utilizzato nel
trattamento dei tumori gastrointestinali162, è stato valutato in uno studio prospettico
come trattamento preoperatorio. Trentadue pazienti con PDAC localmente avanzato
borderline o non resecabile sono stati trattati con questo regime, che si è dimostrato
attivo con un tasso di risposta del 37%, ed ha consentito la resezione radicale nel 41%
dei pazienti, ottenendo una sopravvivenza mediana globale di 24,2 mesi.
Sebbene i dati in merito all'efficacia di questo regime siano promettenti, sono necessari
studi clinici prospettici randomizzati di conferma.
46
Terapia della malattia sistemica
Nella maggior parte dei pazienti la diagnosi viene posta quando la malattia è metastatica
con una sopravvivenza mediana che oscilla senza trattamento tra i 2-3 mesi. Inoltre, i
pazienti affetti presentano sovente un ricco corteo sintomatologico (dolore, nausea e
vomito, anoressia, disturbi dell'alvo, calo ponderale, ittero, astenia, fatigue) che
generalmente riduce la compliance a trattamenti medici volti a controllare la malattia.
Terapie che, nonostante questo, in due studi randomizzati hanno dimostrato migliorare
significativamente la sopravvivenza ed il benessere generale dei pazienti quando
confrontati con la migliore terapia di supporto.163, 164
I primi trials erano basati sulla somministrazione di 5FU e successivamente su
combinazioni di 5FU ed altri chemioterapici. L'attività del 5FU quando somministrato
in bolo (600 mg/m²) fu dimostrata essere praticamente nulla; invece, quando
somministrato in infusione continua o sottoforma di capecitabina apparve avere una
modesta attività. Sulla base di queste prime acquisizioni il 5FU fu considerato attivo in
pazienti con adenocarcinoma avanzato. Seguirono pertanto studi che indagarono regimi
47
Figura 1.9. Schema riassuntivo delle opzioni terapeutiche nei pazienti con malattia avanzata(Heinemann V, Ann Oncol, 2013)
con 5FU in associazione a doxorubicina e mitomicina C (FAM), oppure con
streptozocina e mitomicina C (SMF), o ancora il regime Mallison (5FU+ ciclofosfamide
+ mtx + vincristina, seguita da mantenimento con 5FU e mitomicina C). In principio in
studi di fase II si ottennero risultati incoraggianti, ma alla fine in studi randomizzati
nessuno dimostrò un vantaggio statisticamente significativo in termini di sopravvivenza
rispetto alla terapia con solo 5FU.53
L'era della Gemcitabina come terapia standard in pazienti con adenocarcinoma
pancreatico avanzato ebbe inizio nel 1997, quando, in un trial di fase III in pazienti con
malattia localmente avanzata o metastatica e Karnofsky performance status di 70, fu
confrontata con il 5FU, considerato fino a quel momento il farmaco di riferimento, e
dimostrò un modesto ma significativo miglioramento della sopravvivenza (5,65 vs 4,42
mesi). L'end point primario dello studio era quello di dimostrare un effettivo beneficio
clinico, valutato attraverso un miglioramento stabile per almeno 4 settimane in uno dei
seguenti tre parametri: dolore, peformance status ed incremento ponderale. Questo fu
evidenziato nel 23,8% dei pazienti trattati con gemcitabina ed in solo il 4,8% dei
pazienti trattati con 5FU.165
Certo è che lo studio aveva un endpoint primario, il “beneficio clinico”, non validato ed
anche il disegno statistico non era ben definito; il numero di pazienti era poi
48
Figura 1.10. Curve di OS in pazienti trattati con gemcitabina o 5FU.(Burris et al, J Clin Oncol., 1997)
assolutamente limitato (126) e nel braccio di confronto il 5FU veniva somministrato in
bolo, quando già in letteratura era stato dimostrato che questa modalità di impiego era
priva di attività.166 La monoterapia con gemcitabina è comunque un trattamento ben
tollerato, il cui principale effetto collaterale è una neutropenia di grado 3-4.
Sulla base delle recenti acquisizioni in merito alla farmacologia molecolare della
gemcitabina, numerosi studi si sono posti come obiettivo quello di acclarare la migliore
modalità di somministrazione della stessa e ricercare fattori predittivi di risposta. La
gemcitabina è infatti un profarmaco, internalizzato dalla cellula a mezzo di trasportatori
nucleosidici (hNTs, in particolare hCNT1, hENT1, hENT2) e qui fosforilato dall'enzima
deossicitidina chinasi (dCK) nella sua forma attiva (dFdCTP), capace di interferire con
la sintesi del DNA. Elevati livelli di espressione di hENT1 sono stati associati ad una
maggiore sensibilità alla gemcitabina, mentre una ridotta espressione o l'assenza, ad
un'elevata resistenza all'azione citotossica della stessa, così come della citarabina.167, 168
Nei primi anni '90 si osservò che la somministrazione di gemcitabina ad un tasso di
infusione fissa (FDR), dunque prolungando la durata di infusione e con maggiore
intensità rispetto ai 30 minuti standard, potesse massimizzare la quota di dFdCTP
intracellulare, ritenendo che la fosforilazione della dFdC da parte della dCK fosse
saturabile.169 Successivamente Tempero e collaboratori, in uno studio randomizzato di
fase II, dimostrarono un incremento in termini di sopravvivenza mediana e del tasso di
sopravvivenza ad 1-2 anni nel braccio trattato con FDR (10 mg/m²/min) rispetto alla
somministrazione in infusione standard (1000 mg/m² in 30'), sebbene con evidenza di
maggiore tossicità ematologica.170 Tuttavia in un recente studio di fase III che ha
confrontato trattamenti di prima linea effettuati con gemcitabina in infusione standard,
gemcitabina FDR e GEMOX non è stato riscontrato alcun vantaggio dell'uno rispetto
all'altro in termini di miglioramento della sopravvivenza e beneficio clinico.148
Per quanto riguarda l'utilizzo in combinazione, diversi studi di fase III hanno valutato,
con risultati piuttosto deludenti, l'associazione di gemcitabina con fluoropirimidine (sia
il 5FU, che il suo profarmaco capecitabina), oppure con pemetrexed.171, 172-173, 174 Altri
studi hanno invece saggiato l'attività di combinazioni con derivati del platino (cisplatino
ed oxaliplatino) rilevando un miglioramento nel tasso di risposte obiettive e della PFS,
senza però alcun vantaggio significativo in termini di sopravvivenza.175, 176-146, 177
Metanalisi successive, che si sono poste come obiettivo quello di dirimere il dubbio se
49
effettivamente combinazioni di gemcitabina ed altri chemioterapici migliorassero
l'efficacia del trattamento medico, hanno evidenziato un beneficio statisticamente
significativo per la sopravvivenza nelle associazioni con fluoropirimidine e derivati del
platino, sebbene l'hazard ratio fosse pari a 0,85, dunque di modesta entità e di discutibile
significatività clinica.178, 179 Inoltre, dall'analisi integrata dei risultati di trials primari, in
cui numerosi parametri concorrevano a definire il PS dei pazienti trattati, è emerso che
coloro i quali presentavano buon PS basale beneficiavano maggiormente di regimi di
combinazione con un HR pari a 0,76.178
Uno studio italiano randomizzato di fase III ha mostrato la possibilità di ottenere un
vantaggio dall’impiego di uno schema con quattro farmaci.180 In questo studio, 99
pazienti sono stati randomizzati a ricevere o una associazione di cisplatino, gemcitabina,
epirubicina e 5-FU o la sola gemcitabina: una maggiore percentuale di pazienti nel
braccio di combinazione ha avuto una sopravvivenza libera da progressione a 4 mesi
50
Figura 1.11. Metanalisi dei diversi regimi chemioterapici basati su combinazioni di gemcitabinaversus sola gemcitabina, nel tumore del pancreas.
(Heinemann et al., BMC Cancer, 2008)
(60% vs 28%), con una sopravvivenza ad un anno del 38.5% vs il 21.3%. La tossicità
osservata, in particolare quella midollare, è stata più elevata nel braccio di
combinazione anche se non ha dimostrato ripercussioni sulla qualità di vita dei
pazienti.181
Per quanto riguarda il ruolo dei farmaci biologici, i risultati dello studio NCIC-CTG
hanno evidenziato che l’aggiunta di Erlotinib, un inibitore di EGFR, alla Gemcitabina
incrementa la sopravvivenza mediana rispetto al solo antimetabolita, di circa 10 giorni e
la PFS mediana di circa 6 giorni, a fronte di un incremento degli effetti collaterali come
diarrea e rash cutaneo, seppure di grado 1-2. Tuttavia la riduzione del rischio di morte
(HR 0.82) non è rilevante dal punto di vista clinico e pertanto non è raccomandato
l’utilizzo routinario di Erlotinib nel trattamento della malattia.182
Recentemente, Miyabayashi e collaboratori hanno dimostrato, in un modello murino di
adenocarcinoma pancreatico, che erlotinib è in grado di bloccare l'attivazione della
cascata delle MAPK indotta dalla gemcitabina. Quest'ultima sembrerebbe infatti in
grado di indurre l'espressione di ligandi di EGFR e l'attivazione di ERBB2 a mezzo di
un incremento dell'eterodimerizzazione con EGFR, con l'effetto ultimo di mantenere
51
Figura 1.12. Curve di OS in pazienti affetti da carcinoma pancreas, trattati congemcitabina o con gemcitabina associata a erlotinib.
(Moore et al., J Clin Oncol, 2007)
elevati i livelli di ERBB2 nelle cellule neoplastiche.183
Nel 2011 sono stati pubblicati i risultati di uno studio multicentrico francese di fase III
in cui 342 pazienti con adenocarcinoma pancreatico metastatico, ECOG PS tra 0 ed 1 ed
età inferiore ai 76 anni, reclutati dal dicembre 2005 all'ottobre 2009, sono stati
randomizzati tra un trattamento di prima linea con FOLFIRINOX o con gemcitabina.
Lo schema di terapia FOLFIRINOX prevede la somministrazione di oxaliplatino alla
dose di 85 mg/m² ev in 2 ore, subito seguita da leucovorin alla dose di 400 mg/m² ev
sempre in 2 ore, con l'aggiunta, dopo 30 minuti, di irinotecan al dosaggio di 180 mg/m²
in 90 minuti. A questo si aggiunge il fluorouracile: 400 mg/m² in bolo e 2400 mg/m² in
infusione ev continua per 46 ore a mezzo di elastomero. I cicli sono ripetuti ogni due
settimane. Lo schema ha ottenuto un vantaggio significativo in termini di PFS (6,4 mesi
versus 3,3 mesi; p<0,001) e di OS (11,1 mesi versus 6,8 mesi; 1-y OS 48,4% versus
20,6%; p<0,001).184
52
53
Figura 1.13. Curve di OS e PFS in pazienti affetti da carcinoma del pancreas avanzato, trattaticon gemcitabina o con FOLFIRINOX.
(Conroy T et al., NEJM 2011)
Tuttavia i risultati dello studio debbono essere interpretati sulla base dei più severi
criteri di selezione applicati per il reclutamento dei pazienti (ECOG PS tra 0 ed 1, età
inferiore ai 76 anni, bilirubina <1,5 con una limitata presenza di portatori di stent
biliari), che ha pertanto richiesto ben 4 anni perché 48 centri arruolassero 342 pazienti, e
da cui sono derivati risultati superiori alle aspettative ottenuti nel braccio di controllo.
Senza tralasciare il fatto che la necessità di escludere pazienti con livelli elevati di
bilirubina, per l'aumentato rischio di tossicità indotta dall'irinotecan, ha condotto ad una
situazione per cui solo il 38% dei pazienti avevano un carcinoma della testa, una
percentuale molto più bassa rispetto ai trials precedenti.
In merito al profilo di sicurezza dello schema FOLFIRINOX si può notare come
certamente sia meno favorevole rispetto alla ben tollerata gemcitabina; è infatti
associato a neutropenia di grado 3 e 4 (46% vs 21%), neutropenia febbrile (5,4% vs
1,2%), trombocitopenia (9,1% vs 3,6%), vomito (15% vs 8%), diarrea (13% vs 2%),
neuropatia sensitiva periferica (9% vs 0%) ed astenia (23% vs 18%). Infine, sebbene nel
disegno dello studio non fosse raccomandato come profilassi primaria, l'uso dei fattori
di crescita granulocitari è stato affatto non trascurabile (42,5% versus 5,3%). A
prescindere però dall'elevata incidenza di eventi avversi associati a questo regime, per
cui sembra dunque ragionevole un buon PS come prerequisito iniziale, è stato osservato
un netto incremento della qualità di vita.185, 186
Gli ulteriori studi condotti si sono concentrati nel tentativo di ovviare ad uno dei
principali problemi del trattamento dell'adenocarcinoma pancreatico: la scarsa
biodisponibilità degli agenti chemioterapici a livello tumorale. Questo è da ascrivere
principalmente allo stroma tumorale, costituito da matrice extracellulare, vasi ematici,
fibroblasti,cellule immunoinfiammatorie e prime fra tutte le cellule stellate
pancreatiche, aventi un ruolo chiave nella secrezione di fattori di crescita importanti per
l'oncogenesi e per la matrice extracellulare stessa. Tra la moltitudine delle componenti
stromali troviamo la presenza di SPARC (secreted protein acidic and rich in cysteine),
una glicoproteina legante il calcio e l'albumina. Dai risultati di alcuni studi preclinici è
stato ipotizzato che SPARC potesse facilitare il trasporto di albumina dalla matrice
extracellulare nelle cellule tumorali. Ecco che pertanto sono iniziati trials clinici di fase
I/II in cui venivano saggiate MTD, attività e profilo di sicurezza di un trattamento di
combinazione con gemcitabina e Nab-paclitaxel. Quest'ultimo è una sospensione
54
colloidale di nanoparticelle di paclitaxel legate ad albumina, dunque si è ritenuto di
poter trarre vantaggio dal legame di quest'ultima con SPARC per l'accumulo peri- ed
intratumorale dell'agente citotossico.187, 188 Gli interessanti risultati ottenuti, tra cui una
correlazione tra i livelli di SPARC stromali e l'efficacia del trattamento, hanno costituito
la base razionale per lo studio randomizzato di fase III MPACT, anche se in realtà il
ruolo di tale proteina come target e come possibile fattore prognostico non è stato poi
alla fine del tutto chiarito. Accertato è invece che il Nab-paclitaxel diminuisce i livelli di
citidina deaminasi, primo enzima del metabolismo della gemcitabina, contribuendo così
ad aumentarne le concentrazioni intracellulari.189
Lo studio MPACT è stato condotto su 861 pazienti con adenocarcinoma del pancreas
metastatico non precedentemente trattati, con età media di 63 anni, in un range di 27-88
anni -addirittura il 10% dei pazienti avevano come minimo 75 anni- e Karnofsky PS di
almeno 70. Ha dimostrato che la combinazione gemcitabina-Nab-paclitaxel è in grado
di migliorare PFS (5,5 mesi versus 3,7 mesi; HR 0,69; p<0,001) e OS (8,7 mesi versus
6,6 mesi; HR 0,72; p<0,001) rispetto alla sola gemcitabina. Inoltre i tassi di
sopravvivenza ad un anno ed a due anni sono stati significativamente più elevati per il
regime di combinazione (35% e 10% versus 22% e 5%), con una precoce divergenza tra
le due curve di sopravvivenza. In entrambi i regimi non vi è stata necessità di riduzione
di dose o di rinvii.
55
La tossicità osservata è stata più elevata nel braccio di combinazione, in cui più
comunemente si è osservata neutropenia (38% vs 27%), fatigue (17% vs 7%) e
neuropatia (17% vs 1%). Tuttavia, la neuropatia è stata rapidamente reversibile, e il 44%
di questi pazienti erano in grado di riprendere il trattamento. Quindi in conclusione Nab-
paclitaxel potenzia l'attività della gemcitabina permettendo un miglioramento in termini
di OS, PFS e HR anche se con un profilo di tossicità più marcato, seppure molto minore
rispetto a quello dello schema FOLFIRINOX, divenendo più indicato in pazienti più
anziani.190
56
Figura 1.14. Curve di OS e PFS in pazienti affetti da carcinoma del pancreas avanzato, trattaticon nab-Paclitaxel-Gemcitabina o con Gemcitabina. (Von Hoff et al., NEJM, 2013)
Terapia di II linea
Una classe di pazienti in progressione dopo una prima linea di terapia, si presenta
spesso con un performance status sufficientemente buono da poter ricevere un
trattamento di seconda linea il cui obiettivo rimane il prolungamento della
sopravvivenza e il controllo dei sintomi.
Nel 2011 uno studio multicentrico di fase III del gruppo tedesco CONKO ha dimostrato
per la prima volta l'esistenza di un vantaggio in termini di sopravvivenza grazie a
trattamenti chemioterapici di seconda linea rispetto alle sole cure normali (BSC) in
pazienti con malattia metastatica in progressione documentata agli esami strumentali,
dopo una prima linea con gemcitabina. Il regime studiato nel braccio sperimentale
consisteva nella combinazione di acido folinico, 5-FU, ed oxaliplatino (OFF) e grazie ad
esso la sopravvivenza mediana dopo seconda linea è stata di 4,82 mesi, a fronte di una
con BSC di 2,30 mesi (p=0,008). 191
Successivamente i risultati dello studio di fase III CONKO-003 hanno evidenziato un
vantaggio di 2,6 mesi in termini di sopravvivenza globale derivante dall'impiego del
regime OFF rispetto alla somministrazione del fluoro-folato (FF) (p=0,01), a fronte di
un incremento di neurotossicità di grado G1 e G2.192
Alla luce di questi lavori e di numerosi altri studi di fase II bisognerebbe pertanto
avvalersi di trattamenti di seconda linea basati sull'impiego di fluoropirimidine
(fluorouracile, capecitabina) da sole o in associazione ad oxaliplatino (anche se il
regime FOLFOX è preferito sovente rispetto ad OFF) o irinotecan, in pazienti che siano
stati già sottoposti a prima linea di terapia con gemcitabina.
I pazienti che invece abbiano ricevuto FOLFIRINOX come I linea sono generalmente
trattati con seconde linee basate sull'impiego di gemcitabina.
1.10 Trattamenti palliativi nella malattia localmente avanzata e metastatica
La maggior parte di pazienti con carcinoma pancreatico presenta una malattia non
resecabile, localmente avanzata o metastatica alla diagnosi. In questi pazienti la gestione
multidisciplinare di sintomi dovuti a ostruzione biliare ed a occlusione digestiva “alta”
57
da infiltrazione neoplastica del duodeno o dell’angolo duodeno-digiunale di Treitz è di
fondamentale importanza non solo per il mantenimento di una accettabile qualità di vita,
ma anche per poter effettuare un eventuale trattamento chemioterapico o
chemioradioterapico nelle migliori condizioni cliniche.
La moderna medicina offre ai pazienti con carcinoma pancreatico avanzato e sintomi da
ostruzione biliare e/o digestiva diversi approcci terapeutici, chirurgici ed endoscopici. In
generale le procedure palliative chirurgiche sono principalmente riservate ai pazienti
con aspettativa di vita più lunga.
Ostruzione biliare
Dal 65% al 75% circa dei pazienti con carcinoma pancreatico sviluppa sintomi dovuti
ad ostruzione biliare nel corso della malattia.193 Per i pazienti affetti da malattia
avanzata, non resecabile, con ittero ostruttivo alla diagnosi, la migliore palliazione è
rappresentata dal posizionamento di uno stent biliare per via endoscopica, soprattutto se
l’aspettativa di vita è limitata (malattia metastatica). Esistono diversi tipi di stent biliari,
plastici e metallici, totalmente o parzialmente coperti, rigidi o auto-espandibili. La
complicanza più frequente degli stent biliari è rappresentata dall’ostruzione dello stent
che provoca ricorrenti episodi di colangite. Diversi studi, retrospettici e prospettici, e
una meta-analisi hanno dimostrato che gli stent biliari metallici sono associati ad un
rischio ridotto di occlusione. Il rischio di occlusione di uno stent plastico aumenta
significativamente dopo tre mesi dal suo posizionamento. Va ricordato, inoltre, che
mentre gli stent plastici possono essere facilmente sostituiti, la sostituzione di uno stent
metallico è estremamente più problematica. Pertanto in linea generale è consigliabile il
posizionamento di uno stent biliare endoscopico di tipo metallico nei pazienti con
malattia avanzata non suscettibili di alcun trattamento chirurgico. Nei pazienti con
malattia metastatica, in scadute condizioni generali, che verranno sottoposti a terapia
palliativa e in cui l’aspettativa di vita è di pochi mesi, trova indicazione anche il
posizionamento di uno stent plastico che dovrebbe essere posizionato anche in quei
pazienti con malattia localmente avanzata in cui si ritiene teoricamente possibile un
eventuale intervento chirurgico nel caso di down-staging dopo
chemioterapia/chemioradioterapia.194, 195 Se lo stent non può essere posizionato per via
endoscopica (per la presenza di una infiltrazione neoplastica del duodeno o per pregressi
58
interventi sul tratto digestivo superiore, es. gastroresezione o per difficoltà di accesso
alla papilla di Vater), allora vi è indicazione al posizionamento di uno stent percutaneo
transepatico che in un secondo tempo può essere internalizzato.196
Nei pazienti con occlusione digestiva da stenosi neoplastica duodenale,
indipendentemente dallo stadio di malattia, deve essere considerato un intervento
chirurgico di duplice derivativa bilio-digestiva.197, 198
Altre indicazioni alla palliazione chirurgica dell’ostruzione biliare sono rappresentate
da:
riscontro intraoperatorio di carcinoma metastatico o localmente avanzato in pazienti
sottoposti a laparotomia esplorativa per malattia giudicata inizialmente resecabile;
colangiti ricorrenti in pazienti con ostruzione duodenale già sottoposti a plurimi
posizionamenti/sostituzioni di stent biliari.
Diverse sono le procedure chirurgiche che possono essere considerate.193 Si possono
effettuare interventi di derivazione delle vie biliari (coledoco-duodenostomia o
coledoco-digiunostomia) per ovviare all’ittero crescente, o il bypass digestivo in caso di
stenosi duodenale o con effetto preventivo rispetto alla stenosi stessa.
Il bypass chirurgico bilio-digestivo ha il vantaggio di offrire una soluzione durevole al
problema dell’ostruzione biliare e di poter essere associata ad altre procedure palliative
(bypass gastrico e/o blocco del plesso celiaco).
59
Va ricordato che tale chirurgia non è priva da complicanze, soprattutto in pazienti con
malattia avanzata e cattivo stato nutrizionale, ed è inoltre associata ad una mortalità
postoperatoria non trascurabile.199 Pertanto tale chirurgia dovrebbe essere evitata nei
pazienti con aspettativa di vita limitata, nei pazienti con carcinosi peritoneale ed in
pazienti con cachessia neoplastica/scadute condizioni generali.
Infine nelle fasi avanzate di malattia un paziente inizialmente non itterico può
sviluppare ostruzione biliare. In questa fase di malattia, non solo la progressione
neoplastica locale, ma anche metastasi epatiche e metastasi linfonodali possono
determinare una stenosi biliare. L’identificazione della sede dell’ostruzione è di
fondamentale importanza per valutare la strategia terapeutica più appropriata. In questa
condizione è pertanto raccomandabile sempre l’esecuzione di una colangiowirsung
risonanza (MRCP) che fornisca l’esatto livello della stenosi ed identifichi esattamente la
causa della ostruzione.
Ostruzione gastrica
Una ostruzione del tratto digestivo superiore (antro/regione pilorica, duodeno, passaggio
duodeno-digiunale) si sviluppa in circa il 15-25% dei pazienti con carcinoma
60
Figura 1.15. Intervento di triplice bypass. (1) Gastrodigiunostomia. (2)Colecistodigiunostomia. (3) Digiunostomia a valle dell'anastomosi bilio-digestiva.
pancreatico nel corso della malattia.193
I pazienti con malattia metastatica associata a scadute condizioni generali e ridotta
aspettativa di vita (< 3 mesi) possono essere sottoposti ad un tentativo di palliazione
endoscopica mediante posizionamento di stent duodenale o, alternativamente, al
posizionamento di una gastrostomia percutanea (PEG).196
Negli altri casi l’opzione chirurgica viene preferita dal momento che garantisce una
migliore e più efficace palliazione rispetto allo stent duodenale200, 201 202. L’intervento di
scelta è rappresentato da una gastroenteroanastomosi sulla parete posteriore dello
stomaco.
Nei pazienti senza sintomi di occlusione digestiva “alta” sottoposti a laparotomia, nei
quali si evidenzi una malattia metastatica o localmente avanzata, bisogna valutare
l’opportunità di eseguire una gastroenteroanastomosi profilattica. Due studi prospettici
randomizzati hanno dimostrato che circa il 20% dei pazienti non sottoposti a
gastroenteronastomosi profilattica hanno successivamente sviluppato un quadro clinico
di occlusione digestiva da ostruzione gastrica con necessità d’intervento chirurgico in
condizioni generali più scadute. In entrambi gli studi la gastroenteroanastomosi
profilattica ha ridotto l’incidenza di occlusione digestiva tardiva senza determinare un
incremento dell’incidenza di complicanze.203
Complicanze tromboemboliche
Il rischio di sviluppare un evento tromboembolico è sostanzialmente aumentato nei
pazienti affetti da carcinoma pancreatico.204, 205 Pertanto, le linee guida internazionali
raccomandano l’impiego profilattico di eparina a basso peso molecolare (EBPM),
preferibile all’uso di anticoagulanti, nel gruppo di pazienti affetti da neoplasia del
pancreas che presentano un episodio di tromboembolismo venoso (TEV).
Le evidenze scientifiche che supportano queste raccomandazioni sono rappresentate dai
2 studi clinici randomizzati e prospettici: lo studio CLOT232 e lo studio CONKO
004233.
Nel primo studio, nei pazienti sottoposti a profilassi con dalteparina, dopo un primo
episodio di TEV si osservava a sei mesi una riduzione d’incidenza di 2 volte di
sviluppare un secondo episodio tromboembolico, rispetto al braccio dei pazienti trattati
61
con warfarin.206
Nello studio CONKO 004, i pazienti con tumore del pancreas avanzato venivano
randomizzati a ricevere chemioterapia palliativa in associazione o meno a trattamento
profilattico con EBPM (enoxaparina): il rischio di sviluppare un episodio sintomatico di
TEV era significativamente più basso nei pazienti del braccio trattato con
l’anticoagulante, mentre il rischio di emorragia risultava sovrapponibile in entrambi i
gruppi.
Dolore addominale severo associato al tumore
La maggior parte dei pazienti con tumore localmente avanzato o metastatico riferisce
dolore addominale,207 che può essere dovuto all’infiltrazione neoplastica dei plessi
nervosi retroperitoneali. Per questo motivo la neurolisi con etanolo del plesso celiaco
può essere una soluzione. In due studi randomizzati è stata associata ad un
miglioramento della sintomatologia dolorosa e questi dati sono stati confermati in un
recente studio su 96 pazienti con adenocarcinoma non operabile.207, 208 209
In pazienti selezionati con dolore irradiato posteriormente refrattario agli antidolorifici,
può essere considerata una RT (tipicamente 25-36 Gy in frazioni di 2,4-5 Gy).
62
Capitolo 2. Studio osservazionale retrospettivo di
chemioterapia di I linea con FOLFOXIRI in pazienti
affetti da carcinoma del pancreas avanzato
2.1 Razionale dello studio
Il carcinoma del pancreas rappresenta una delle principali cause di morte per tumore nei
paesi occidentali.
Circa il 20% dei pazienti si presenta alla diagnosi con un tumore localmente avanzato o
borderline resectable secondo le attuali classificazioni, mentre il 60% risulta affetto da
malattia metastatica. La prognosi per questi pazienti è assai deludente dal momento che
solo il 2% dei pazienti con malattia avanzata è vivo a 5 anni.101
Negli ultimi anni il trattamento medico della malattia avanzata ha conosciuto un
notevole miglioramento, in termini di impatto sulla sopravvivenza, grazie all'impiego di
regimi polichemioterapici, in luogo del trattamento con la sola gemcitabina. In
particolare il regime FOLFIRINOX, sviluppato da Conroy e collaboratori, ha ottenuto
una sopravvivenza mediana di 11.1 mesi in pazienti affetti da tumore in stadio IV. In
questo studio inoltre, i ricercatori hanno identificato come fattori prognostici
indipendenti di sopravvivenza la presenza di metastasi sincrone e di singole ripetizioni a
livello epatico, livelli di albumina basale inferiori a 3,5 g/dl ed un'età superiore a 65
anni. Questi risultati sono stati ottenuti a mezzo di un'analisi multivariata in cui i
pazienti sono stati stratificati sulla base dell'ECOG PS, della sede del tumore primitivo e
della presenza o meno di metastasi polmonari, ottenendo valori omogenei in tutti e tre i
sottogruppi. 184
Due anni dopo, lo studio MPACT ha raggiunto, grazie all'impiego di gemcitabina
associata a Nab-paclitaxel, una sopravvivenza mediana di 8.5 mesi in pazienti affetti da
malattia metastatica. Nell'analisi preliminare l' ECOG performance status e la presenza
o l'assenza di mestastasi epatiche sono stati identificati come fattori prognostici
indipendenti di sopravvivenza.190
63
Una successiva analisi volta a stabilire le relazioni esistenti tra le caratteristiche cliniche
basali della popolazione dello studio e i parametri di sopravvivenza ha evidenziato che,
oltre all' ECOG PS e alla presenza di metastasi epatiche, anche l'età maggiore o minore
di 65 anni è un fattore prognostico indipendente di sopravvivenza. Questi tre fattori si
sono rivelati essere associati, inoltre, anche ad un maggior rischio di progressione.
Inoltre pure un numero di sedi metastatiche superiorea 3 è risultato influire sull'OS,
sebbene con una significatività statistica inferiore rispetto agli altri fattori considerati
(p=0,089). Il Ca19.9 invece, che è stato dimostrato essere un fattore prognostico
indipendente in numerosi studi condotti su pazienti con carcinoma avanzato trattati con
regimi a base di gemcitabina,88, 210 non è emerso come tale dalle analisi condotte sulla
popolazione dell' MPACT trial.211
Sulla base di queste premesse abbiamo deciso di rivedere la nostra casistica di pazienti
affetti da carcinoma pancreatico localmente avanzato e metastatico trattati con
FOLFOXIRI, al fine di confrontare i valori di sopravvivenza libera da progressione e la
sopravvivenza globale ottenuti a mezzo di questo regime polichemioterapico con quelli
riscontrati nel principale studio randomizzato di fase III in questo setting di pazienti. Il
regime FOLFOXIRI è sempre basato sulla combinazione di 5-FU/acido folinico,
irinotecan ed oxaliplatino, ed analogo dunque al FOLFIRINOX, ma privo del bolo di 5-
FU e con un dosaggio di irinotecan lievemente ridotto. Ulteriore proponimento dello
studio è stato quello di verificare se le stratificazioni prognostiche fondate sulle
caratteristiche clinico-patologiche sopracitate fossero valide anche nella nostra serie di
pazienti.
Abbiamo studiato inoltre il possibile ruolo dei valori basali del rapporto tra neutrofili e
linfociti (NLR: neutrophil to limphocite ratio) e tra piastrine e linfociti (PLR: platelet-
lymphocyte ratio) come fattori prognostici di sopravvivenza e la loro possibile
correlazione con altri parametri clinico-patologici al fine di elaborare degli scores
prognostici. Questa nostra decisione ha preso spunto dalle numerose evidenze emerse
negli ultimi anni in merito al ruolo dell'infiammazione nel microambiente tumorale
dell'adenocarcinoma pancreatico come fattore promuovente l'acquisizione di un
fenotipo neoplastico sempre più invasivo. Tra i diversi indici di flogosi studiati fino ad
ora (mGPS, PI, PNI, NLR, PLR), l' NLR, più che il PLR, è risultato maggiormente
valido come fattore prognostico indipendente di sopravvivenza.212-215
64
Nel trattamento dell'adenocarcinoma pancreatico la necessità di definire marcatori
prognostici clinici al fine di stabilire un piano terapeutico quanto più personalizzato
possibile è cruciale, dal momento che fino ad oggi, nonostante i progressi negli studi di
patologia molecolare, i biomarker individuati non sono risultati applicabili nella
routinaria pratica clinica.216-218 219
2.2 Pazienti e metodi
2.2.1 Criteri di selezione dei pazienti e trattamento
Sono stati individuati retrospettivamente pazienti affetti da carcinoma pancreatico
localmente avanzato e metastatico trattati presso il polo oncologico dell'AOUP dal 2008
al 2014 con CT di prima linea o primaria secondo regime FOLFOXIRI. I criteri di
inclusione nello studio erano:
• età superiore ai 18 anni e inferiore ai 75 anni
• trattamento primario per malattia localmente avanzata o di prima linea per
malattia metastatica con FOLFOXIRI
• diagnosi istologica o citologica di carcinoma del pancreas; e, nel caso di pazienti
con malattia localmente avanzata non metastatica non tipizzabili all'indagine
bioptica, la presenza di una diagnosi radiologica ed umorale tipica di carcinoma
pancreatico
• stadio di malattia classificabile come III o IV secondo l' AJCC94
• disponibilità di dati clinico-patologici, umorali, e radiologici
• rivalutazioni intermedie del quadro di malattia e dati di sopravvivenza
• performance status valutato secondo la scala ECOG di 0 o 1
Tutti i pazienti che soddisfacessero i sopramenzionati criteri sono stati inclusi
nell'analisi, dunque anche coloro che fossero progrediti dopo un intervento di chirurgia
resettiva seguito da un trattamento di chemioterapia adiuvante. Tutti i dati sono stati
raccolti in un database specifico.
65
I pazienti sono stati trattati con il regime chemioterapico FOLFOXIRI che consiste in:
• Oxaliplatino 85 mg/mq in infusione ev di 2 ore al giorno 1
• Irinotecan 165 mg/mq in infusione ev di 1 ora al giorno 1
• Acido Folinico 200 mg/mq in infusione ev di 2 ore al giorno 1
• 5-Fluorouracile 3200 mg/mq in infusione continua ev di 48 ore dal giorno 1 al
giorno 3
Nei primi pazienti trattati le dosi di 5-Fluorouracile e di Irinotecan sono state utilizzate a
dosaggio lievemente ridotto, rispettivamente a 2800 e 150 mg/mq, per monitorare
meglio la tossicità al trattamento.
I cicli di terapia sono stati ripetuti ogni 14 giorni con monitoraggio clinico-chimico
della tossicità prima di ogni ciclo di trattamento.
La tossicità è stata riportata secondo i criteri "Common Toxicity Criteria" del National
Cancer Institute (NCI-CTC).
I pazienti hanno proseguito il trattamento per un massimo di 12 cicli di terapia,
effettuando una rivalutazione clinico-strumentale di malattia ogni 4 cicli di trattamento.
Le risposte sono state riportate secondo i criteri RECIST (Response Evaluation Criteria
in Solid Tumors).
Le riduzioni di dosi/rinvii sono state applicate in caso di tossicità secondo pratica clinica
attuale.
2.2.2. Obiettivi dello studio
Obiettivo iniziale dello studio era quello di valutare l’attività (in termini di risposte
obiettive, sopravvivenza libera da progressione e globale) e la tollerabilità di un
trattamento medico con FOLFOXIRI in pazienti con carcinoma del pancreas localmente
avanzato o metastatico in un setting di pratica clinica reale al di fuori di studi clinici
controllati.
Inoltre abbiamo deciso di valutare eventuali fattori prognostico/predittivi di maggiore
sopravvivenza con il trattamento medico e di creare uno score prognostico con questi
66
fattori per identificare gruppi di pazienti che possano avere maggiore o minore beneficio
dal trattamento.
2.2.3. Disegno dello studio e considerazioni statistiche
Lo studio è stato condotto come studio osservazionale di coorte retrospettivo,
identificando i pazienti eleggibili dall’archivio del Polo Oncologico dell’Azienda
Ospedaliero-Universitaria Pisana utilizzando i criteri citati.
È stato creato un database elettronico in cui sono stati registrati i dati clinici dei pazienti
e i parametri di malattia; al termine della compilazione il database è stato anonimizzato
assegnando ai singoli pazienti dei codici numerici che permettano di associare i dati
clinici con i dati patologici ma non consentano di risalire all’identità dei pazienti stessi;
le versioni non anonime del database sono state cancellate. Le analisi sono state
effettuate al termine della compilazione del database dopo la sua anonimizzazione.
Sono stati registrati i seguenti dati clinico-patologici:
• correlati al paziente e alla malattia: sesso, età alla diagnosi di malattia,
performance status, stadio di malattia, istologia, grading, precedente chirurgia,
precedenti trattamenti adiuvanti, sedi di malattia (numero e localizzazione),
eventuali precedenti interventi di derivazione biliare o gastro-intestinale;
• correlati al trattamento: data di inizio del trattamento, dosi dei farmaci, numero
di cicli di terapia, riduzione di dosi/rinvii, massima tossicità riportata, migliore
risposta ottenuta, data di progressione, eventuali trattamenti successivi, data di
decesso;
• ematochimici al momento di inizio del trattamento: neutrofili, linfociti, piastrine,
CA19.9, LDH.
Le risposte obiettive e le tossicità sono state analizzate in termini di frequenza
percentuale.
La PFS e la OS sono state analizzate costruendo le curve di sopravvivenza secondo il
metodo di Kaplan-Meier; vengono riportati i valori di sopravvivenza mediana e a
determinati end-point (6, 12, 18 e 24 mesi per la PFS; 12, 24, 36 e 48 mesi per la OS).
67
L’associazione dei parametrici clinico-patologici con la risposta o la tossicità è stata
valutata mediante l’utilizzo di tabelle di contingenza analizzate con il test del Chi
quadrato; è stata posta la significatività a un livello di p<0.05.
L’associazione dei parametri in studio con la sopravvivenza (PFS e OS) è stata invece
valutata attraverso il log rank test considerando una p significativa se <0.02 come
correzione statistica per le analisi multiple effettuate.
Nell'analisi univariata della risposta alla terapia, della PFS e della OS abbiamo incluso i
seguenti fattori:
• età maggiore o minore di 65 anni;
• M vs F;
• Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) PS (0 vs 1);
• sede del tumore primitivo (testa-processo uncinato vs corpo-coda);
• istologia (adenocarcinoma duttale vs adenocarcinoma insorto su IPMN);
• chirurgia resettiva su tumore primitivo (si vs no);
• trattamento di chemioterapia adiuvante (si vs no);
• estensione di malattia (localmente avanzata vs metastatica);
• numero di sedi di malattia;
• presenza o assenza di metastasi epatiche, peritoneali, polmonari, scheletriche o
di recidiva locale;
• eventuale deviazione biliare (si vs no);
• valori di antigene carboidratico 19.9 (CA19.9);
• indici ematologici di flogosi: NLR e PLR;
• LDH
Le variabili di laboratorio sono state raccolte inzialmente come variabili continue e solo
successivamente sono state rese discontinue in riferimento ai cut-off riscontrati in
letteratura per ciascuna. In particolare l'antigene carboidratico è stato categorizzato in
tre gruppi (normale, compreso tra 0 e 35 U/ml; aumentato, ma minore di 59 volte del
68
limite superiore del range normale- <59xULN; aumentato, >59xULN);184, 190 così come
il PLR (<150; 150-300; >300);213 mentre la variabile NLR è stata dicotomizzata a
seconda che fosse maggiore o minore di 4.220
I fattori risultati significativi all’analisi univariata sono stati testati successivamente in
un’analisi multivariata secondo il modello proporzionale di Cox considerando
significativa una p<0.05.
Le analisi statistiche sono state effettuate attraverso l’utilizzo del software SPSS
Statistics (IBM, Chicago, IL, USA) v20.
2.3 Risultati
2.3.1 Caratteristiche dei pazienti
Da maggio 2008 a gennaio 2015 sono stati trattati 137 pazienti che soddisfacessero i
criteri di inclusione della nostra analisi.
Il 76% dei pazienti alla diagnosi aveva meno di 65 anni, con un'età mediana di 60 anni
ed un range compreso tra 33 e 75 anni.
Il rapporto tra i due generi era piuttosto ben bilanciato: essendo le femmine il 51,8% del
totale ed i maschi il 48,2%.
Una buona frazione di pazienti, 92 su 137, si presentava alla diagnosi con un ECOG PS
pari a 0.
Dal punto di vista dell'istologia la maggioranza dei pazienti era affetta da
adenocarcinoma duttale, l' 89% del totale, mentre l'11% aveva un adenocarcinoma
insorto su IPMN.
Il dato riguardante il grado di differenziazione della malattia è stato valutabile solo nel
35,8% dei casi: la maggioranza dei quali, 44 pazienti (32,1%) si presentava alla diagnosi
con un grading istologico intermedio (G2), 4 pazienti (2,9) con una neoplasia
scarsamente differenziata (G3) e solo 1 paziente (0,7%) con una neoplasia ben
differenziata (G1).
69
In merito alla sede di malattia, 73 pazienti, appena più della metà (53,2%), avevano un
tumore localizzato all'estremità cefalica della ghiandola; 62 (45,3%) a livello del corpo-
coda; mentre soltanto 2 pazienti (1,5) avevano una forma multicentrica.
Al momento dell'inizio del trattamento con FOLFOXIRI 56 pazienti risultavano affetti
da uno stadio III di malattia, mentre 81 da uno stadio IV, rispettivamente il 40,9% ed il
59,1%. I pazienti presentavano una mediana di 2 sedi di malattia, in un range compreso
tra 1 e 5. La sede più frequente di ripetizioni è risultata essere il fegato, infatti 64
pazienti (46,7%) presentavano localizzazioni di malattia a quel livello. A seguire per
frequenza, il peritoneo (19%), il polmone (10,2) e in egual misura lo scheletro e la
ghiandola pancreatica residua (2,9%).
Precedentemente alla terapia di prima linea da noi indagata, 15 pazienti (10,9%) erano
stati sottoposti ad intervento di chirurgia resettiva sul tumore primitivo, e 11 tra questi
anche a chemioterapia adiuvante con gemcitabina.
La palliazione dell' ittero è stata necessaria prima dell'inizio del trattamento per 38
pazienti (27,7%) a mezzo di deviazione biliare, ovvero mediante posizionamento di
drenaggio biliare esterno o interno, o a mezzo di epaticodigiunostomia, che è stata
realizzata in 11 tra questi pazienti, ovvero nel 30% dei casi.
L' antigene carboidratico (CA19.9) si è rivelato disponibile per 91 pazienti (66,5%): 13
(9,5%) presentavano un valore entro il range di normalità; aumentato, ma minore di 59
volte il limite superiore del range normale in 56 pazienti (41%) e maggiore di tale
valore in 22 pazienti (16%).
Sulla base dei valori ematochimici raccolti abbiamo calcolato l' NLR ed il PLR,
valutabili per 119 (86,9%) e 117 (85,4%) pazienti rispettivamente. Il 71,6% dei pazienti
aveva un valore di NLR minore di 4 all'inizio del primo ciclo di chemioterapia, mentre
solo il 15,3% aveva un valore superiore ad esso. Neppure per il PLR si è riscontrata un'
equa distribuzione nei tre gruppi: infatti 82 pazienti (60%) avevano valori inferiori a
150; 33 (24%) tra 150 e 300 ed infine solo 2 (1,4%) valori superiori a 300.
Il dato sul valore basale della LDH è risultato reperibile in 93 (67,9%) pazienti con una
mediana di 198 ed un range compreso tra 101 e 653. Inoltre è risultato essere maggiore
del limite superiore (225) del range dei valori di riferimento nel 32,1% dei casi.
70
Le caratteristiche basali dei pazienti sono riassunte in tabella 2.1.
Caratteristiche basali dei pazienti (N=137) N (%)
Età
mediana
range
<65 anni
≥65 anni
60 anni
33-75 anni
104 (76)
33 (24)
Sesso
femmine
maschi
71 (51,8)
66 (48,2)
ECOG performance status score
0
1
92 (67,2)
45 (32,8)
Istologia
adenocarcinoma duttale
adenocarcinoma insorto su IPMN
122 (89)
15 (11)
Grado
1
2
3
x
1 (0,7)
44 (32,1)
4 (2,9)
88 (64,2)
Sede del tumore pancreatico
testa-processo uncinato
corpo-coda
multicentrico
73 (53,2)
62 (45,3)
2 (1,5)
Stadio
III
IV
56 (40,9)
81 (59,1)
Numero di sedi di malattia
mediana
range
2
1-5
71
Caratteristiche basali dei pazienti (N=137) N (%)
Sedi di metastasi per numero di pazienti
fegato
pancreas (recidiva locale)
peritoneo
polmone
scheletro
64 (46,7)
4 (2,9)
26 (19,0)
14 (10,2)
4 (2,9)
Valori di CA19.9
normale
aumentato, <59x ULN
aumentato, ≥59xULN
non valutabili
13 (9,5)
56 (41)
22 (16)
46 (33,5)
Valori NLR
<4
>4
non valutabili
98 (71,6)
21 (15,3)
18 (13,1)
Valori PLR
<150
150-300
>300
non valutabili
82 (60)
33 (24)
2 (1,4)
20 (14,6)
LDH
mediana
range
198,00
101-653
Valori di LDH
<225§
≥225
non valutabili
59 (43,1)
34 (24,8)
44 (32,1)
Trattamenti precedenti
chirurgia resettiva
chemioterapia adiuvante
15 (10,9)
11 (8,0)
72
Caratteristiche basali dei pazienti (N=137) N (%)
Deviazione biliare
si
no
38 (27,7)
99 (72,3)§ Il range di normalità per la LDH è 135-225 U/L
Tabella 2.1 Caratteristiche cliniche basali dei pazienti inclusi nell'analisi
2.3.2 Efficacia e tollerabiblità
Risposta obiettiva al trattamento
Al momento dell'analisi dei dati, effettuata ad aprile 2015, dei 137 pazienti trattati, 131
(95,6%) sono risultati valutabili per risposta obiettiva al trattamento. Nello specifico: un
paziente (0,6%) ha avuto una risposta completa; risposte parziali sono state osservate in
52 pazienti (38,0%); mentre una sostanziale stabilità del quadro di malattia è stata
osservata in 46 pazienti (33,6%). Una progressione di malattia come miglior risposta è
stata riscontrata invece in 32 pazienti (23,4%). L’attività del trattamento è stata valutata
secondo i criteri RECISTv1.1, i dati umorali e l'evidenza clinica di scadimento delle
condizioni generali.
Dei 56 pazienti con malattia localmente avanzata, 26 sono andati incontro a resezione
chirurgica dopo la chemioterapia preoperatoria con FOLFOXIRI. Dunque il 19%, del
totale dei pazienti, e il 46,4% dei pazienti in stadio III.
Confrontando i tassi di risposta tra pazienti affetti da malattia localmente avanzata e
metastatica si è constatata una maggiore attività nei pazienti in stadio III con un RR del
42,9% di contro al 35,8% dei pazienti con malattia metastatica. Una stabilità del quadro
di malattia si è osservata nel 41,1% e nel 28,4% rispettivamente. In merito alla
progressione invece, il tasso nello stadio IV è risultato essere superiore di circa due
volte quello nello stadio III (29,6% vs 14,3%).
73
Miglior Risposta al
trattamento
Tutti i pazienti
no. (%)
Stadio 3
%
Stadio 4
%
Risposta completa
(RC)
1 (0,6) 1,8 -
Risposta parziale
(RP)
52 (38,0) 41,1 35,8
Stabilità (SD) 46 (33,6) 41,1 28,4
Progressione (PD) 32 (23,4) 14,3 29,6
Non valutabile (NV) 6 (4,4) 1,8 6,2
Tabella 2.2 Attività del trattamento
Sopravvivenza
All'ultima analisi dei dati nell' aprile 2015, con un follow up mediano di 30 mesi, 28
pazienti (20,4%) risultavano ancora non progrediti, a differenza dei restanti 109 (79,6%)
che avevano avuto una progressione di malattia e di cui 99 pazienti (90,8%) erano
deceduti.
La sopravvivenza mediana libera da progressione di malattia (PFS) è risultata essere di
8,0 mesi (95% CI 6,19-9,81), con il 26,3% dei pazienti non ancora progredito a 12 mesi
ed il 3,7% a 24 mesi.
74
Figura 2.1. Curva di PFS in tutti i pazienti.
La sopravvivenza globale mediana (OS) è risultata essere di 12 mesi (95% CI 9,75-
14,25), con il 19,6% dei pazienti vivo a 24 mesi e l'8,4% ancora vivo a 48 mesi.
Nel sottogruppo di 26 pazienti sottoposti a chirurgia resettiva dopo la chemioterapia
pre-operatoria con FOLFOXIRI la PFS mediana è stata di 14,9 mesi (95% CI 10,39-
19,41), con una sopravvivenza globale mediana di 17,7 mesi (95% CI 4,68-30,72).
Dal momento che la nostra casistica comprendeva pazienti con un quadro di malattia sia
localmente avanzato che metastatico è doveroso sottolineare che nello stadio III si sono
registrate una mediana di sopravvivenza libera da progressione di 11 mesi ed una
sopravvivenza globale di 14,9 mesi; mentre, nello stadio IV una PFS mediana di 5,8
mesi, ed una OS mediana di 10,8 mesi.
75
Figura 2.2. Curva di OS in tutti i pazienti.
76
Figura 2.4. Curva di OS in pazienti in stadio IV.
Figura 2.3. Curva di PFS in pazienti in stadio IV.
Tollerabilità
La mediana del numero di cicli somministrati ai pazienti inclusi nell'analisi è stata di 8
cicli, con un range compreso tra 1 e 16. Il 6,3% dei pazienti ha iniziato il regime
chemioterapico con un dosaggio del 5-FU in infusione continua pari a 2400-2600
mg/mq e dunque inferiore rispetto al dosaggio standard di 2800-3200 mg/mq. Invece
per quanto riguarda l'irinotecan nel 5,5 % dei pazienti il dosaggio somministrato al
primo ciclo è stato inferiore ai 150-165 mg/mq previsti. Un rinvio nella cadenza
quindicinale dei cicli è stato necessario almeno una volta in 74 pazienti (54%) e un
trattamento a dosaggio ridotto è stato effettuato in 53 pazienti (38,7%).
In 132 pazienti è stato possibile valutare le tossicità sviluppate nel corso del trattamento
chemioterapico: 73 pazienti (55,3%) hanno sviluppato una o più tossicità di grado 3-4
(valutate secondo i criteri CTCAE v4.0).
Per quanto riguarda le tossicità ematologiche di grado 3-4, sono stati evidenziati 51 casi
(37,2%) di neutropenia, e solo un caso di neutropenia febbrile; ad ogni modo l' uso di
fattori di crescita granulocitari si è reso necessario solo in 27 pazienti (20,6%). Ancora, i
casi di trombocitopenia si sono attestati a 11 (8,0%), e quelli di anemia a 7 (5,1%).
Le tossicità non ematologiche di grado 3-4 osservate sono state: astenia ed anoressia di
grado 3 in 3 e 4 casi rispettivamente (2,1% e 2,9%); nausea in 10 casi (7,2%) e vomito
in 5 (3,6%); diarrea in 11 pazienti (8,0%). Tossicità epatica di grado 3 (rialzo della
bilirubina e/o delle transaminasi) si è verificata in 6 pazienti (4,3%). Stomatiti e
mucositi di grado 3 si sono verificate in 6 (4,3%) e 4 (2,9%) casi rispettivamente.
Solo 3 pazienti (2,1%) hanno sviluppato neuropatia sensitiva di grado 3.
Da sottolineare, inoltre, in 7 pazienti (5,1%) lo sviluppo di eventi tromboembolici.
Le tossicità sviluppate sono riassunte in tabella 2.3.
77
Tossicità G3-G4 No. (%)
Ematologiche
Neutropenia
Neutropenia febbrile
Trombocitopenia
Anemia
51 (37,2)
1 (0,72)
11 (8,0)
7 (5,1)
Non ematologiche
Astenia
Anoressia
Nausea
Vomito
Diarrea
Epatica
Stomatite
Mucosite
Neuropatia sensitiva
Eventi tromboembolici
4 (2,9)
3 (2,1)
10 (7,2)
5 (3,6)
11 (8,0)
6 (4,3)
6 (4,3)
4 (2,9)
3 (2,1)
7 (5,1)
Tabella 2.3 Tossicità di grado 3 e 4 sviluppate nel corso del trattamento.
Seconde linee di terapia
Una seconda linea di terapia dopo FOLFOXIRI è stata somministrata a 74 pazienti. Tre
sono stati trattati con esclusivo trattamento radiante data la presenza di sola recidiva
locale di malattia. I restanti 71 sono stati sottoposti a trattamenti medici: il regime
chemioterapico maggiormente utilizzato è stata la gemcitabina, somministrata a 32
pazienti (45,1%). Una terapia combinata a base di gemcitabina e capecitabina (9
pazienti) od oxaliplatino (5 pazienti) è stata impiegata nel 19,8% dei casi; mentre
l'associazione gemcitabina/Nab-paclitaxel è stata somministrata a 13 pazienti (18,3%).
Regimi combinati col 5-FU (FOLFIRI, FOLFOXIRI, FOLFOX) sono stati utilizzati
nell' 11,2 % dei casi. In tabella 2.4 sono riassunti i regimi di seconda linea
somministrati.
78
Seconda linea No.(%)
Gemcitabina
Gemcitabina+Nab-Paclitaxel
Gecitabina+Capecitabina
GEMOX
FOLFIRI
FOLFOXIRI
XELOX
FOLFOX
Nab-Paclitaxel
Paclitaxel
Gemcitabina+Carboplatino
32 (45,1)
13 (18,3)
9 (12,7)
5 (7,1)
4 (5,6)
3 (4,2)
1 (1,4)
1 (1,4)
1 (1,4)
1 (1,4)
1 (1,4)
Tabella 2.4 Seconde linee post-FOLFOXIRI
2.3.3 Fattori prognostici
Analisi dell' attività e della sicurezza del trattamento
Sono stati studiati a mezzo di un'analisi univariata eventuali fattori clinico-patologici
che potessero influenzare l' attività del trattamento in termini di presenza o meno di
progressione documentata.Ne è emerso che fattori predittivo-prognostici statisticamente
significativi di risposta obiettiva alla terapia sono: lo stadio di malattia (p=0,025); la
presenza/assenza di metastasi epatiche (p=0,01) e l'NLR maggiore o minore di 4
(p=0,021).
Procedendo ulteriormente nell'analisi abbiamo stratificato i pazienti per stadio al fine di
rilevare quali fattori mantenessero una significatività statistica: ne abbiamo evinto che
nello stadio IV la presenza o meno di ripetizioni epatiche rimane effettivamente come
tale (p=0,014).
Dalle analisi statistiche effettuate non è risultata alcuna differenza statisticamente
significativa in termini di compliance alla chemioterapia sulla base dei fattori
considerati. Non esiste infatti alcuna correlazione in termini di tossicità di grado 3-4
sviluppate ed età, ECOG PS, stadio, sedi di malattia, precedente pancreasectomia e
79
presenza o assenza di deviazione biliare.
Analisi della sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS)
All'analisi univariata i fattori clinico-patologici ed umorali associati ad una differenza
statisticamente significativa in termini di PFS sono risultati: l' ECOG performance
status (p=0,013); l'istologia (p=0,007); lo stadio (p=0,00008); la presenza/assenza di
metastasi epatiche (p=0,000018); il numero di sedi di malattia (p=0,02); l' NLR
(p=0,0002) ed il PLR (p=0,001).
Quando poi questi stessi fattori sono stati rivalutati in un'analisi multivariata, solo i
seguenti sono risultati essere indipendenti e statisticamente significativi da un punto di
vista prognostico: l'ECOG performance status (p=0,01; HR: 2,29; 95% CI 1,43-3,67), l'
NLR (p=0,019; HR: 2,03; 95% CI 1,12-3,69) e l' assenza di metastasi epatiche
(p=0,036; HR: 0,51; 95% CI 0,27-0,96).
Infatti la PFS mediana per i pazienti con ECOG PS 0 è di 8,9 mesi (95% CI 7,86-9,94),
mentre per quelli con ECOG PS 1 di 5,2 mesi (95% CI 3,22-7,18). In caso di assenza di
metastasi epatiche la PFS mediana è di 10,3 mesi (95% CI 8,52-12,09), di contro ad una
di 4,7 mesi nel caso di positività di malattia epatica (95% CI 3,54-5,86). Invece la
sopravvivenza mediana libera da malattia per i pazienti con NLR<4 si è attestata a 8,3
mesi (95% CI 6,34-10,26), mentre per i pazienti con NLR>4 a 3,1 mesi (95% CI 1,48-
4,72).
Analisi della sopravvivenza globale (OS)
Come per la PFS anche per l'OS è stata eseguita un'analisi univariata volta ad
identificare fattori prognosticamente favorevoli per la sopravvivenza. Da questa è
emerso che sono associati a variazioni statisticamente significative di OS: l'ECOG
performance status (p=0,001); la presenza o l'assenza di mestastasi epatiche (p=0,003);
il CA19.9 (p=0,034); l' NLR (p=0,000041) e il PLR (p=0,001).
Una volta rivalutati nell' analisi multivariata, gli unici fattori risultati essere indipendenti
e significativi da un punto di vista statistico sono stati anche in questo caso l'ECOG
performance status (p=0,001; HR: 2,26; 95% CI 1,42-3,59), l'assenza di metastasi
epatiche (p=0,019; HR: 0,59; 95% CI 0,38-0,96) e l'NLR superiore a 4 (p= 0,002; HR:
80
2,42; 95% CI 1,38- 4,25).
Difatti la OS mediana in pazienti con ECOG PS pari a 0 è di 14,9 mesi (95% CI 10,77-
19,03), mentre nel caso di pazienti con ECOG PS 1 osserviamo una mediana di 9,0 mesi
(95% CI 8,21-9,80). La mediana di sopravvivenza globale invece in presenza di
metastasi epatiche è di 9,5 mesi (95% CI 7,86-11,14), mentre in assenza è di 14,9 mesi
(95% CI 11,19-18,61). Nel caso di un NLR<4 la OS mediana si attesta a 12,5 mesi
(95% CI 10,01-14,99) verso i 5,1 mesi (95% CI 2,29-7,91) nel caso in cui il rapporto sia
superiore a 4.
Stratificando la nostra analisi per stadio di malattia è risultato che nei pazienti in stadio
IV l'assenza o la presenza di metastasi epatiche rimane statisticamente significativa in
termini di sopravvivenza globale con una mediana di 21,8 mesi (95% CI 7,08-36,52) e
9,5 mesi (95% CI 7,86-11,14) rispettivamente (p=0,016).
Modello prognostico
Una volta evidenziate a mezzo dell'analisi multivariata la significatività statistica
dell'ECOG performance status 1, della presenza di metastasi epatiche e del valore
dell'NLR maggiore di 4 come fattori prognostici negativi di sopravvivenza sono state
eseguite analisi sull' attività del trattamento e sulla sopravvivenza stratificando i pazienti
in funzione della presenza di nessuno, uno, o più di due tra questi fattori prognostici.
La stratificazione applicata all' attività del regime chemioterapico ha mostrato una
variabilità statisticamente significativa (p=0,003) nei tre insiemi di pazienti-assenza (0)-
presenza di uno(1)- più di due fattori (2/3): tassi di risposta (RR) del 36,8% e del 44,9%
si sono registrati nei gruppi 0 e 1, molto più basso nel gruppo con due o più fattori, dove
risposte parziali si sono verificate nel 21,9% dei casi. In quest' ultimo in aggiunta, la
progressione come risposta obiettiva al trattamento è stata una prerogativa della metà
dei pazienti. Al contrario i tassi di progressione sono stati sensibilmente più bassi nei
primi due, nello specifico del 7,9% nel gruppo 0.
81
Miglior Risposta al
trattamento
Gruppo 0
%
Gruppo 1
%
Gruppo 2/3
%
RP 36,8 44,9 21,9
SD 50 32,7 21,9
PD 7,9 18,4 50
NV 5,3 4,1 6,2
Tabella 2.5 Attività del trattamento sulla base dei fattori prognostici.
Le differenze di sopravvivenza libera da progressione (PFS) e globale (OS) riscontrate
nei tre gruppi sono statisticamente significative (p<0,0001).
La PFS mediana si è attestata a 11 mesi (95% CI 7,4-14,7), 8,3 mesi (95% CI 5,6-11,0),
e 2,9 mesi (95% CI 1,68-4,12) rispettivamente nei gruppi 0, 1 e 2/3.
Al contempo la sopravvivenza globale mediana dei tre gruppi è stata di 17,6 mesi (95%
82
Figura 2.5. Curva di PFS sulla base dei fattori prognostici.
CI 13,107-22,093), 11,1 mesi (95% CI 5,964-16,236) e 7,4 mesi (95% CI 4,569-10,231)
rispettivamente. A 12 mesi la percentuale di pazienti vivi nel gruppo 0 era del 70,4%,
del 50% nel gruppo 1 e del 9,6% nel gruppo 2/3. Il 32,1 % e il 24,9% dei pazienti
appartenenti rispettivamente ai primi due gruppi erano vivi a 24 mesi; nessuno era
ancora in vita invece dei pazienti che presentavano due o tre dei fattori individuati.
Infine a 36 mesi il 19,2%, e la metà di questi, l' 8,9%, tra i soggetti del gruppo 1.
83
Figura 2.6. Curve di OS sulla base dei fattori prognostici.
Capitolo 3. Discussione
In questo studio è stata presentata una casistica ampia ed omogenea, costituita da 137
pazienti affetti da carcinoma pancreatico avanzato trattati con il regime terapeutico
FOLFOXIRI e seguiti con controlli periodici di rivalutazione per una durata mediana di
30 mesi.
FOLFOXIRI si è confermato essere un regime dall' attività interessante nella malattia
avanzata, dal momento che si è osservato un response rate del 38,6% ed una stabilità di
malattia nel 33,6% dei casi. Progressioni del quadro clinico si sono realizzate nel 23,4%
dei casi. Otto, i mesi di sopravvivenza mediana libera da progressione, con il 26,3% dei
pazienti non ancora progredito a 1 anno; e 12, i mesi di sopravvivenza globale mediana,
con il 19,6% dei pazienti vivo a 24 mesi.
I pazienti in stadio IV costituivano il 59,1% del totale ed i dati in termini di efficacia e
sopravvivenza in questa compagine hanno riprodotto quelli riportati in letteratura. In
particolare riferendoci allo studio PRODIGE 4/ ACCORD 11184 possiamo osservare una
buona corrispondenza tra il RR del 35,8% da noi rilevato ed il 31% riportato a seguito
di chemioterapia con FOLFIRINOX. Un poco più discordanti i valori riferiti alle
percentuali di stabilità e progressione pari al 28,4% e 29,6% nei pazienti da noi trattati,
ed il 38,6% e 15,2% nei pazienti dello studio francese. Simili, invece, i valori di PFS
mediana pari a 5,8 mesi e 6,4 mesi, e di OS mediana pari a 10,8 mesi e 11,1 mesi
rispettivamente. Le piccole differenze evidenziate potrebbero ricondursi al fatto che la
nostra analisi si è svolta in un setting di pratica clinica, anziché in uno studio clinico
controllato randomizzato con rigidi criteri di arruolamento.
La nostra analisi ha incluso però anche pazienti in stadio III (56, il 40,9%), in cui il
FOLFOXIRI ha dimostrato ancora una volta la sua promettente efficacia come regime
primario. I risultati ottenuti sono infatti sovrapponibili a quelli di numerosi studi
retrospettivi e prospettici condotti negli ultimi anni con l'obiettivo di valutare l'attività
del FOLFIRINOX classico o modificato in tumori pancreatici localmente avanzati:160, 161,
221 si è ottenuto un RR del 42,9%, con un controllo di malattia nell'84% dei casi,
quest'ultimo valore identico a quello riportato da Peddi et al su 23 pazienti, che
registrava però un response rate più basso, pari al 34%. Le PFS ed OS mediane di 11
84
mesi e 14,9 mesi hanno raggiunto i 14,9 e 17,7 mesi nel sottogruppo di pazienti che
sono stati sottoposti ad intervento di chirurgia resettiva dopo chemioterapia
neoadiuvante. Il tasso di resezione del 46,4%, così come la OS mediana nei resecati
sono ancora una volta comparabili al 51,1% ed ai 18 mesi di OS mediana riscontrati da
Blazer et al in una revisione retrospettiva su 43 pazienti. Questi dati necessiterebbero di
una conferma in studi prospettici randomizzati.
Il profilo di tollerabilità del regime è stato soddisfacente: non è stata registrata alcuna
morte tossica, mentre le tossicità prevalenti, di natura ematologica, in particolare
neutropenia e trombocitopenia di grado G3-G4 nel 37,2% e 8% dei casi, sono state
controllate per mezzo di riduzioni di dosaggio (39% dei casi) e rinvii (54% dei casi) e
nel 20,6% dei casi con fattori di crescita granulocitari. Si tratta in effetti di un regime
piuttosto impegnativo, ma che è risultato essere attuabile anche in pazienti non
selezionati, portatori di deviazione biliare o con comorbidità; con un numero di cicli
somministrati mediano pari a 8. Sicuramente una delle criticità in merito a questo
aspetto deriva dal fatto che il nostro centro possiede una lunga esperienza nell' impiego
e nella necessaria modulazione di questo regime, in quanto ampiamente utilizzato in
altri tumori gastrointestinali; pertanto questi risultati dovrebbero essere validati in uno
studio multicentrico. Altro possibile limite della nostra analisi risiede nella sua natura
osservazionale retrospettiva, aspetto che ha limitato la raccolta dei dati clinico-
patologici ai soli disponibili dalla disamina delle cartelle cliniche. Inoltre, essendo i
pazienti stati trattati in un setting di pratica clinica, ne è derivata una certa
personalizzazione del trattamento (ad esempio nelle dosi iniziali), a differenza di quanto
non si sarebbe potuto verificare in un rigido studio controllato. Quest' aspetto tuttavia
rappresenta anche un punto di forza dello studio.
Come già sottolineato la disponibilità di nuove opzioni terapeutiche per la malattia
avanzata ha fatto emergere sempre di più la necessità di biomarker tumorali affidabili e
ripetibili, capaci di predire la risposta al trattamento e dotati di valenza prognostica, al
fine di guidare il clinico nella scelta del trattamento più appropriato per il singolo
assistito. Le aspettative rivolte verso il ruolo preddittivo di SPARC per la combinazione
Gem/Nab-Paclitaxel e di hENT1 per la gemcitabina sono state frustrate dall' assenza di
correlazione significativa tra l'attività farmacologica e l' espressione tumorale di queste
molecole.216, 219 Attualmente l'unico marcatore di cui ci si avvale nella pratica clinica è il
85
Ca19.9, non dotato però né di elevata sensibilità, dal momento che il 10% della
popolazione caucasica non esprime l' antigene di Lewis, né di specificità.
Nell'aggiornamento dello studio MPACT non ha infatti dimostrato una valenza
prognostica indipendente, ma esclusivamente predittiva di risposta in quei pazienti in
cui si realizzava una risposta biochimica precoce, ovvero una riduzione dei suoi valori
superiore al 20%, nelle prime 8 settimane di trattamento.211 Alle medesime conclusioni è
giunta un'analisi retrospettiva per sottogruppi dei pazienti trattati nello studio PRODIGE
4/ ACCORD 11. Anche nella nostra casistica il valore di Ca19.9, sebbene all'analisi
univariata fosse risultato associato a differenze statisticamente significative (p=0,034),
non ha dimostrato un impatto prognostico rilevante all'analisi multivariata.
Questa la ragione per cui nella nostra analisi ci siamo concentrati sulla ricerca di fattori
prognostici clinico-umorali. L' ECOG PS, la presenza di metastasi epatiche ed un
rapporto neutrofili/linfociti (NLR) maggiore di 4 si sono delineati come fattori
prognostici indipendenti di attività del trattamento, PFS ed OS in analisi multivariate.
Il performance status (OS: HR: 2,26; 95% CI 1,42-3,59; p<0,001), sebbene privo di una
oggettività assoluta, è risultato un fattore di stratificazione prognostica indipendente
anche in altri lavori, come nell' analisi retrospettiva della popolazione randomizzata
nello studio MPACT (OS: HR: 1,60; 95% CI 1,35-1,90; p<0,001)211 e in studi
retrospettivi222, 223 effettuati su pazienti affetti da carcinoma pancreatico avanzato trattati
con una prima linea di terapia a base gemcitabina o S-1 (profarmaco del 5FU). In uno di
questi studi, su una casistica di 66 pazienti, l' analisi multivariata effettuata ha condotto
all' elaborazione di uno score prognostico basato sull' ECOG PS, la sede del tumore
primitivo e i livelli di proteina C reattiva, un altro indice di flogosi dunque, con una
differenza tra i 3 gruppi statisticamente significativa (p<0,0001).222
Anche la presenza di metastasi epatiche come fattore di stratificazione prognostico (OS:
HR:1,69; 95% CI 1,04-2,63; P<0,001) trova riscontro in letteratura, infatti la sua
valenza negativa in termini di outcome è stata rilevata anche nei più volte citati studi
ACCORD 11/PRODIGE4 (OS: HR.1,58; 95% CI 0,99-2,49; P<0,001) e MPACT (OS:
1,81 95%CI 1,40-2,33; P<0,001). In corso d' opera ci siamo chiesti se avendo incluso
nella nostra analisi anche pazienti in stadio III, la presenza di metastasi non fosse
associata allo stadio, piuttosto che un fattore indipendente, ma analizzando la propria
valenza stratificando i risultati per stadio abbiamo rilevato che la malattia epatica è un
86
fattore prognostico sfavorevole in termini di OS anche all' interno della popolazione
metastatica (21,8 vs 9,5 mesi; p=0,016).
L'NLR è stato dimostrato essere in una recente meta-analisi-che includeva studi in cui
tale rapporto veniva valutato come fattore prognostico, in pazienti con carcinoma
pancreatico sottoposti a resezione,o a chemioterapia o a radioterapia o ad una
combinazione delle due, sia con finalità terapeutiche che palliative-un fattore associato
ad elevata metastatizzazione, scarso differenziamento tumorale, elevati livelli di
proteina C reattiva, bassi livelli di albumina e ad uno scarso performance status. In tale
meta-analisi elevati livelli di NLR (considerati al di sopra di un cut-off compreso tra
2,3-5) sono stati associati ad un impatto sfavorevole sulla sopravvivenza globale (HR:
2,61; 95% CI 1,68-4,06; p=0,000).214 Ancora, in uno studio volto a chiarire quale avesse
una maggior correlazione con l'outcome di pazienti affetti da neoplasia pancreatica tra i
diversi indici di flogosi sistemica, come ad esempio il Glasgow Prognostic score
modificato (mGPS), il PI (PCR e conta leucocitaria), il PNI (albumina e conta
leucocitaria), il PLR ed infine l' NLR, proprio quest'ultimo ha dimostrato la propria
superiorità in termini di significatività prognostica sulla sopravvivenza (OS: HR: 2,54
95% CI 1,31-4,90; p=0,006).215 Questi dati si confanno a quelli da noi ottenuti per un
NLR>4 (OS: HR: 2,42; 95% CI 1,38- 4,25; p= 0,002); questo cut-off è stato fissato
facendo riferimento ad un' altra recente meta-analisi in cui tale valore risultava essere
quello mediano tra il rapporto neutofili/linfociti di 100 studi in cui l'impatto sulla
sopravvivenza di esso veniva valutato non solo per l'adenocarcinoma pancreatico, bensì
per i tumori solidi in generale. Anche in quel lavoro la significatività statistica dell' NLR
in termini di impatto sulla sopravvivenza è stata dimostrata con una p<0,001.220 Questi
lavori ed il nostro studio incoraggiano pertanto l'uso di tale marcatore come indice
prognostico, tenendo presente che la facile misurabilità ed il suo basso costo lo rendono
ancora più adatto per tale ruolo. Tuttavia sarebbero necessari degli studi di coorte più
ampi al fine di stabilirne un cut-off definitivo.
Possibile limite delle nostre analisi statistiche sta nel fatto che abbiamo deciso di
analizzare molteplici fattori potenzialmente prognostico-predittivi per valutarne il ruolo;
per contenere tale problema, abbiamo però previsto una correzione della significatività
statistica tenendo conto delle analisi multiple e abbiamo effettuato un'analisi
multivariata dei fattori risultati significativi. Inoltre i fattori discussi hanno portato alla
87
realizzazione di un modello prognostico che consente di stratificare i pazienti in tre
gruppi eterogenei per attività del trattamento ed outcome, in quanto: l' assenza (0) o la
presenza di uno (1) di questi si associa ad RR variabile dal 37% al 45% con tassi di
progressione tra l' 8% ed il 18%, mentre la presenza di più di due (2/3) ad un RR scarso,
pari a circa il 22%, con un indice di progressione del 50% (p=0,003); la PFS mediana
passa dagli 11 mesi del gruppo 0, agli 8,3 del gruppo 1 fino ai 2,9 mesi del gruppo 2/3,
mentre l'OS mediana dai 17,6 mesi del gruppo 0, agli 11,1 del gruppo 1 ai 7,4 del
gruppo 2/3 (p<0,0001). Ebbene, questo modello è valido; a mezzo di fattori
precipuamente clinici, consente, infatti, di distinguere gruppi in cui l'attività del
trattamento e l'outcome sono diversificati con una eterogeneità statisticamente
comprovata.
Sarebbe interessante validare i nostri risultati, sia per quanto attiene all' efficacia sia per
il modello prognostico elaborato, in serie indipendenti di pazienti trattati con
FOLFOXIRI/FOLFIRINOX in altri Centri, magari arruolati in studi clinici controllati.
Inoltre potrebbe essere proficuo verificarne la validità in database di studi randomizzati,
come quello dello studio ACCORD 11/ PRODIGE 4, al fine di chiarire se il modello
abbia o meno un' esclusiva valenza predittivo-prognostica, o possa invece essere esteso
al trattamento della malattia metastatica con regimi differenti.
Bisognerebbe approfondire quale sia la miglior strategia terapeutica per i pazienti del
gruppo 2/3. Questi presentano un tasso di risposta estremamente esiguo con una PFS
mediana di 2,9 mesi ed una OS mediana di 7,4 mesi. Tale coorte di pazienti non traendo
beneficio da una chemioterapia con FOLFOXIRI rende pertanto necessario lo sviluppo
di terapie più efficaci, o conduce invece a prediligere un trattamento meno tossico, ad
esempio con gemcitabina? Anche per questo interrogativo sarebbe importante chiarire la
valenza del modello.
Infine, data l' ampiezza della casistica, sarebbe utile effettuare analisi sul materiale
istologico disponibile (biopsie/pezzi operatori) al fine di studiare eventuali fattori
prognostici/predittivi molecolari che possano meglio guidare le scelte terapeutiche nel
singolo paziente.
In conclusione, sebbene con i limiti discussi, il presente studio rappresenta una delle più
ampie casistiche di pazienti con carcinoma del pancreas avanzato trattati con
88
FOLFOXIRI e mette in evidenza alcuni semplici fattori clinici che permettono di creare
un modello fortemente predittivo della prognosi dei pazienti.
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