devianza e criminalità

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riassunto di criminologia

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FRANK P. WILLIAMS III

MARILYN D. McSHANE

DEVIANZA E CRIMILALITA’

CAPITOLO 1 1- INTRODUZIONE Molte persone sono convinte che la teoria sia qualcosa di astratto che non ha relazione con il mondo reale; in realtà la teoria è parte della vita quotidiana. Le teorie possono essere semplici o complesse secondo il numero di relazioni che esprimono (la teoria di Einstein p.es. è astratta, come anche quelle che analizzano gli effetti della criminalità sulla struttura sociale).

L’aspetto più importante delle teorie è che ne abbiamo bisogno per vivere; esse rappresentano un certo tipo di generalizzazione spiegano cioè in che modo due o più eventi sono in relazione tra loro e in quali condizioni il fenomeno avviene. La generalizzazione dipende dal grado di conoscenza che usiamo in un dato momento, a sua volta essa è acquisita attraverso l’esperienza, l’intuizione, il senso comune o la conoscenza scientifica. Così per esempio tutti conoscono le cause della criminalità: condizione familiare irregolare, mancanza di fede, frequentazione di cattive compagnie, la povertà e così via; queste spiegazioni sono in realtà delle teorie anche se non valide perché molto semplicistiche, infatti, non è vero che le persone in queste situazioni possono essere dei criminali, del resto le teorie implicano anche situazioni contrarie ovvero persone provenienti da ambiente familiari regolari, religiose e con buone frequentazioni siano immuni dal commettere reati.

Le teorie di tutti i giorni presentano il problema di essere spesso illogiche o il prodotto di osservazioni selettive e ci inducono in errore proprio perché il comportamento umano è complesso, ancora più complesse sono le teorie riguardanti la criminalità giacché devono spiegare comportamenti molto dissimili.

In che cosa consiste una buona teoria? Si ritiene buona una teoria se e possibile sottoporla a verifica e se è congrua con i risultati della ricerca empirica.

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La scienza sociale condivide con quella naturale gli stessi criteri nel valutare la qualità di una teoria, la difficoltà esiste solo nella misurazione di alcune variabili (classi sociali) che non possono essere misurate nello stesso modo e con la stessa accuratezza di variabili quali il tempo o la distanza. Pertanto una teoria è cattiva finché non saremo capaci di produrre risultati empirici e per questo avremo sempre bisogno di ulteriori verifiche e riesami. I migliori sistemi di verifica sono proprio le tecniche di misurazione multiple che ci consentono una validazione quantitativa.

Si può procedere anche ad un approccio di tipo qualitativo che ci permette di risolvere i problemi legati al carattere contingente dei risultati empirici. I criteri qualitativi consistono:

La coerenza logica – significa che la teoria non deve proporre relazioni illogiche e che sia

internamente coerente (il problema più diffuso è l’ordine temporale per questo si assume che

un evento verificatosi dopo un altro ne sia stato la causa);

La capacità di dare valore a posizioni divergenti significa che quando i risultati empirici

indicano che ci sono due o più fatti opposti, piuttosto che avere una teoria che li spieghi

singolarmente è meglio averne una in grado di conciliarli (teoria dell’associazione

differenziale);

La capacità di sensibilizzazione ovvero la capacità di suggerire nuovi ambiti di ricerca o nuove

interpretazioni;

Infine la notorietà ovvero se una teoria diviene famosa presso i criminologi allora sembra

essere una buona teoria.

Una buona teoria sarà dunque strutturata logicamente, confermata da risultati empirici e

sostenuta da ricerche ripetute. Inoltre rende plausibili fatti diversi e ci rende consapevoli degli

effetti che il situazione ha sul fenomeno che cerca di spiegare.

2 – TIPI DI TEORIE

Vi sono due tipi generali di teorie:

- teorie specifiche che mettono in risalto un problema particolare e formulano enunciazioni

verificabili;

- le metateorie ovvero le teorie delle teorie, esse discutono dei tipi di concetti che dovrebbero

essere usati, dell’approccio generale a ognuno di essi e del modo in cui le teorie specifiche

dovrebbero essere costruite.

Classificare le teorie è abbastanza complicato, ma la classificazione è indispensabile poiché cerca di far luce sulle similitudini e sulle differenze tra esse.

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Secondo il livello di ASTRAZIONE distinguiamo:

- MACROTEORIE (teoria dell’anomia e teoria del conflitto) che tracciano un quadro generale sul

funzionamento del mondo (struttura sociale) e si concentrano sui tassi di criminalità, non

parlano mai del comportamento individuale;

- MICROTEORIE (teoria del controllo sociale e teoria dell’apprendimento sociale) che spiegano

come le persone diventano criminali (eziologia), focalizzandosi su individui o gruppi specifici;

- TEORIE PONTE (teoria della subcultura e teoria delle opportunità differenziali) che tentano di

spiegare sia il modo in cui la struttura sociale funziona (macroteoria) sia come le persone

diventano criminali (microteorie).

Queste tre categorie possono essere esaminate anche sulla base dei punti focali oggetto della loro spiegazione, il livello di spiegazione di una teoria è proprio ciò che essa tenta di spiegare.

Secondo altri schemi classificatori troviamo la dicotomia tra: TEORIE CLASSICHE che focalizzano le loro analisi sugli ordinamenti legali, le istituzioni dello Stato e i diritti umani e TEORIE POSITIVISTE che si concentrano sul carattere patologico del comportamento criminale, sul trattamento e sulla correzione dell’individuo, adottando un metodo scientifico per lo studio dei fenomeni.

Possiamo suddividere ancora le teorie in:

- STRUTTURALI – analizzano l’organizzazione sociale e i suoi effetti sul comportamento (teorie della tensione);

- PROCEDURALI – tentano di spiegare come le persone diventano criminali.

Infine abbiamo ancora:

- TEORIE DEL CONSENSO che si basano sull’assunto che tra gli individui di una società esista un

certo grado di consenso (condivisione di valori comuni);

- TEORIE DEL CONFLITTO che partono dal concetto che la società sia poco concorde e che le

persone sono portatrici di conflitto (spiegano la criminalità partendo dai conflitti di classe).

3 – CONTESTO SOCIALE E TEORIA

Un ulteriore modo per comprendere le teorie consiste nel considerare la loro storia sociale poiché non è possibile comprendere una teoria senza conoscere il contesto in cui è nata. In ogni contesto si possono distinguere due aspetti principali: quello sociale ovvero il mondo attorno a noi e quello intellettuale che si riferisce all’influenza personale di docenti, amici, familiari e anche a volte di persone con cui lo studioso non ha avuto mai contatto.

CAPITOLO 2

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LA SCUOLA CLASSICA

Le diverse interpretazioni della criminalità e della giustizia penale che troviamo nel diciottesimo secolo vengono definite come scuola classica. Due sono gli autori di questo periodo, Cesare Beccaria e Jeremy Bentham, questi si opponevano alla natura arbitraria del sistema giudiziario dell’epoca e proponevano come base delle leggi la razionalità e i diritti umani.

- IL CONTESTO SOCIALE

Il diciottesimo secolo conobbe grandi cambiamenti, la vecchia aristocrazia è messa in discussione e nasce una nuova classe sociale - la borghesia; si afferma anche l’etica protestante che legittima le aspettative delle persone di ottenere il successo attraverso il lavoro. La Chiesa e l’Aristocrazia si sentono minacciate da questi processi. Questo periodo fu caratterizzato anche da un alto livello di riflessioni teoriche e di espressioni artistiche e da due rivoluzioni quella americana e quella francese. Anche il sistema giudiziario fu segnato da profondi cambiamenti, finora non vi erano leggi scritte ed erano applicate soprattutto ai ceti non aristocratici; la stessa inquisizione spagnola e romana utilizza le leggi solo per difendere la chiesa e lo stato.

- IL CONTESTO INTELLETTUALE

Nel 1700 prevalsero le idee riformatrici, il naturalismo sosteneva che l’esperienza e l’osservazione potevano ampliare la comprensione del mondo specialmente se si usava la ragione. L’etica, la morale e la responsabilità divennero i principali temi di discussione e la teoria edonista tentava di spiegare il comportamento umano; secondo questa teoria l’individuo agisce automaticamente per massimizzare il piacere e minimizzare il dolore. Secondo Bentham, la cui teoria divenne la base del concetto di deterrenza, il valore di tutti i piaceri e dolori era determinato dalla loro intensità, durata e certezza.

Secondo la filosofia sono fondamentali i diritti naturali (vita, libertà e proprietà), lo Stato esisteva in base ad un contratto sociale con cui i cittadini accettavano di trasferire all’autorità statale solo la quantità di libertà necessaria a garantire la protezione dei loro diritti. Chiaramente questo contratto sociale tra popolo e Stato serviva agli interessi della borghesia che vedeva nello Stato l'erogatore ideale dei servizi quali porti, strade ecc.. Infine questo periodo fu contraddistinto dall’enfasi posta sul concetto di dignità umana proveniente dall’illuminismo.

2 – LA PROSPETTIVA TEORICA DELLA SCUOLA

La scuola classica contribuì ad una concezione umanista del sistema legale e della giustizia penale; lo scopo principale della legge era di proteggere sia la società sia l’individuo e di fungere da deterrente al comportamento criminale. Ogni individuo, prima di agire, deve ponderare il piacere derivante dall’azione illegale, rapportandolo alla punizione prevista dalla legge, in questo senso la punizione ha finalità deterrenti.

La scuola classica distingue due tipi di deterrenza:

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- deterrenza specifica o individuale – applicata all’individuo che ha commesso il reato (dolore

commisurato al piacere ottenuto dalla commissione del reato);

- deterrenza generale – scoraggiare i potenziali rei.

Vi sono tre elemento nella deterrenza, la celerità (rapidità con cui è applicata la punizione), la certezza (punizione certa) e la severità (quantità di dolore da infliggere al reo).

Per razionalizzare le procedure legali Bentham suddivise i reati in classi – offese pubbliche e private, crimini contro la persona e la proprietà, violazione di fiducia – e creò anche il calcolo felicifico, una combinazione di punizioni che dovevano considerare anche il piacere e le circostanze attenuanti. Infine gli esponenti della scuola classica erano generalmente contrari alla pena di morte, Beccaria sosteneva che nessun cittadino ha diritto di togliersi la vita e quindi non può trasferire questa facoltà allo Stato.

3- CLASSIFICAZIONE DELLA TEORIA

La scuola classica può essere classificata come strutturale perché mette in risalto l’effetto delle istituzioni sociali sulle persone e come gli Stati emanano le leggi e in che modo la vita dei cittadini ne è influenzata. L’orientamento della scuola classica è dunque macroteorico anche se si possono ritrovare alcuni aspetti procedurali e microteorici.

4- SVILUPPI ATTUALI E IMPLICAZIONI POLITICHE

Molti paesi ancora oggi aderiscono a molti principi classici in particolare alla deterrenza e alla razionalità. Un rinnovato interesse nei confronti della deterrenza si è verificato in seguito agli atteggiamenti più conservatori e punitivi dell’opinione pubblica, nonostante molte ricerche abbiano dimostrato che le sanzioni penali non producono effetti sostanziali sulla criminalità.

Per quanto riguarda la razionalità troviamo il concetto di “criminale razionale” ciò permette di far ricadere sul reo tutti gli aspetti del crimine, senza dividere le colpe con la società; questo evita i problemi legati alla rieducazione e alla riabilitazione con conseguente risparmio economico.

Attualmente disponiamo di teorie sulla scelta razionale e teorie punitive: le prime sostengono che esiste una connessione tra le opportunità di commettere un reato, le condizioni ambientali e la prontezza del reo; le seconde dette del just desert sostengono, in linea con la teoria classica che i rei scelgono di violare la legge e quindi meritano di essere puniti.

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CAPITOLO 3

LA SCUOLA POSITIVA

I positivisti si ponevano lo scopo di ordinare e spiegare scientificamente il mondo attorno a loro, vedevano il comportamento umano come determinato da tratti biologici, psicologici e sociali. Le caratteristiche principali del pensiero criminologico positivista sono:

- una visione deterministica del comportamento criminale in sé più che gli aspetti legali quali i

diritti, la prevenzione del crimine, la cura e la riabilitazione;

- l’uso di tecniche di ricerca scientifica.

1- IL CONTESTO DELLA SCUOLA

Il contesto sociale

Negli ultimi anni del XIX secolo, grazie alle numerose invenzioni e scoperte la scienza divenne uno strumento importante per gli studiosi e il mondo conobbe una vera rivoluzione nel campo della conoscenza favorita dal progresso delle comunicazioni che riuscì ad avvicinare culture lontane.

La scienza fu applicata ai problemi quotidiani e ciò creò l’aspettativa che lo studio scientifico potesse aiutare l’umanità.

Il contesto intellettuale

L’estensione dell’uso della scienza nell’epoca positivista come possibilità per sviluppare e verificare la propria conoscenza era già stata affermata nella scuola classica; in questo contesto troviamo l’affermazione della filosofia positiva che sottolinea l’importanza dell’esperienza rispetto alla metafisica, il concetto di evoluzione (ancora prima delle teorie di Darwin) e l’emergere dell’antropologia.

2 – LA PROSPETTIVA TEORICA DELLA SCUOLA

Il positivismo può essere considerato più una filosofia che una teoria la cui versione del XX secolo è nota con il nome di “ positivismo logico” ed è legata al ragionamento matematico, alle analisi statistiche e alla logica. L’elemento comune a ogni forma di positivismo è l’interesse a classificare e categorizzare ogni aspetto di interesse scientifico; i positivisti dunque studiano il comportamento da una prospettiva biologia, psicologica e sociologica. A. Comte è ritenuto il padre della sociologia mentre i primi lavori di criminologia furono gli studi di due statistici Quetelet e Guerry che esaminarono le statistiche sociali formulando il concetto di “persona media”, inoltre scoprirono variazioni dei tassi di criminalità secondo il clima, la stagione, il sesso e l’età.

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Anche i frenologi quali Gall e Spurzheim cominciarono a documentare le relazioni esistenti tra le caratteristiche del cervello (rigonfiamenti cranici) e il comportamento.

I POSITIVISTI ITALIANI

Tre sono i rappresentanti del positivismo italiano: Lombroso, Ferri e Garofalo.

- Lombroso affermò che i criminali sono affetti da anormalità multiple di natura atavica (ATAVISMO cioè subumana o primitiva) o degenerativa. Queste inferiorità caratterizzavano un prototipo che Lombroso chiamò “ delinquente nato”; ma prevedeva anche altri tipi di criminali: il malato mentale, l’epilettico e l’occasionale; comunque per Lombroso i fattori economici e sociali son secondari a quelli biologici.

- Ferri, allievo di Lombroso, oltre alla figura del delinquente nato individuò altri fattori causali:

quelli di tipo fisico (razza, geografia, temperatura e clima), quelli antropologici (età, sesso,

psiche e organismo), e infine quelli sociali come i costumi, la religione, l’economia e la densità

di popolazione.

- Garofalo riteneva che i popoli civilizzati avessero dei sentimenti profondi sul valore della vita,

dei diritti umani e della proprietà; egli individuava nel comportamento criminale un’assenza di

sensibilità altruistica prodotta da un minor sviluppo morale. Garofalo coniò la definizione più

universale di “crimine naturale” che racchiudeva tutti gli atti ritenuti criminali in tutte le

società.

IL POSITIVISMO DEL XX SECOLO

In campo biologico furono esaminati i precedenti familiari dei criminali per individuare un’ereditarietà che fu confermata dagli studi di Dugdale. Lo stesso Binet mise a punto dei test di intelligenza allo scopo di spiegare la criminalità attraverso il concetto di labilità mentale.

Per le teorie della tipologia fisica vi sono determinate caratteristiche del corpo che predispongono al crimine, Sheldon nei suoi lavori propose tre categorie di somatotipi:

- ectomorfo – individuo con ossa piccole, magro, gracile e personalità sensibile e introversa;

- mesomorfo – corpo muscoloso, ossa larghe e personalità aggressiva, estroversa e attiva;

- endomorfo – costituzione grassa, personalità rilassata, gioviale ed estroversa.

Sheldon dedusse che i delinquenti avevano di solito le caratteristiche fisiche del mesomorfo.

Le ricerche sui gemelli, infine, rappresentano l’esempio più interessante degli studi genetici; esse confrontano il comportamento dei gemelli omozigoti e eterozigoti ; gli studi di Lange condotti su gemelli detenuti e non, dimostrarono che esiste un alto livello di concordanza specialmente per gli omozigoti. Sono stati intrapresi anche studi sui figli

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adottivi che ha confermato l’ipotesi genetica ovvero questi ricalcano il comportamento dei genitori biologici piuttosto che di quelli adottivi.

Lo studio dei fattori psicologici si fonda sui lavori di Freud nonostante egli avesse affrontato il tema della criminalità solo marginalmente; molti psichiatri hanno esaminato gli effetti del conflitto inconscio, Healy esaminò i giovani all’interno di un istituto psichiatrico e riscontrò che avevano subito a un certo punto della vita un trauma emotivo.

Altri approcci infine si sono concentrati sulle differenze di personalità con l’uso del MMPI (minnesota multiphasic personality inventory); sul versante sociologico G.Tarde distinse comportamenti a breve termine – moda – e a lungo termine – abitudine- rilevando la presenza del processo di imitazione in tutti i comportamenti compreso quello criminale.

2- CLASSIFICAZIONE DELLA TEORIA

La scuola positiva può essere collocata nella prospettiva del consenso e tutte le sue teorie presentano un nucleo di valori sociali in base ai quali individuare e trattare la devianza. E’ comunque molto difficile ricondurre tutte le teorie positiviste esistenti entro categorie stabilite, si può affermare che di regola le teorie positiviste sociologiche sono strutturali e macroteoriche mentre quelle psicologiche e biologiche sono procedurale e microteoriche.

4 – SVILUPPI ATTUALI E IMPLICAZIONI POLITICHE

Tra gli anni 70 e 90 hanno prevalso correnti più conservatrici che hanno fatto riemergere teorie non sociali, specialmente in America dove la società presentava scarsa volontà nel prevedere politiche sociali per la rieducazione. Ne è conseguito un nuovo interesse per le teorie biologiche, biochimiche e psicologiche della criminalità.

Teorie Biologiche

Nel campo della biologia troviamo la teoria Biosociale di Mednick che ritiene le caratteristiche biologiche di un individuo solo come una parte del comportamento, le altre parti sono l’ambiente fisico e sociale e l’apprendere il controllo degli impulsi naturali verso il comportamento antisociale e criminale, apprendimento che inizia in famiglia e nel gruppo dei pari e si basa sulla punizione del comportamento indesiderato.

Anche Jeffery offre una teoria biosociale che considera l’organismo il risultato di tre sistemi: il patrimonio genetico, la struttura e le funzioni cerebrali, l’apprendimento.

In altri studi i criminologi hanno visto l’intelligenza non come causa del crimine ma come un fattore che predispone alla scelta di commettere un crimine. Le più recenti teorie evoluzioniste sui geni ipotizzano che alcune strutture genetiche influenzano indirettamente il comportamento agendo sul funzionamento del cervello.

Teorie psicologiche

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Gli studi psicologici ammettono l’esistenza di una personalità criminale cioè esistono schemi mentali nei criminali (Samenow afferma di averne trovati 52). Un esempio di teoria cognitiva su base psicologica è quella proposta da Walters e White. Essi sostengono che il comportamento criminale è il prodotto di un pensiero erroneo e irrazionale influenzato dalla riduzione delle opzioni ambientali. I criminali di professione secondo questi studiosi hanno modelli mentali simili a quelli presenti nella pre-adolescenza quindi vi è scarsa concezione di responsabilità e autodisciplina, lo sviluppo cognitivo fermandosi a questo stadio produce un fallimento di questi individui anche nella scuola, nel lavoro, nella famiglia, presentando fin dall’infanzia difficoltà di autogestione.

Un altro approccio allo studio della personalità criminale è stato elaborato da Eysenck, la sua teoria afferma che vi sono tre tipi di personalità: psicotico, estroverso e nevrotico e che il criminale concentra le caratteristiche dei tre tipi, inoltre lo studioso sostiene che lo sviluppo della coscienza è legato al condizionamento , il criminale poiché si lascia condizionare poco, sviluppa la coscienza molto lentamente.

Infine un altro noto approccio al comportamento criminale è quello della teoria dell’apprendimento sociale, elaborata da Bandura essa afferma che noi impariamo osservando gli altri ricevere ricompense o punizioni in seguito alle loro azioni e pertanto tendiamo a imitare comportamenti che ricevono ricompense.

Le teorie positiviste hanno grandi implicazioni politiche e poiché pongono la loro attenzione sul trattamento e sulla patologia sono diventate la base delle riforme sociali. Le teorie biologiche in questo senso hanno avuto poco seguito, mentre le prospettive psicologiche sono diventate correnti all’interno del sistema giudiziario. La teoria cognitiva insiste sulle differenze negli schemi mentali tra individui normali e criminali contribuendo al pensiero che il comportamento criminale sia prodotto da una carenza mentale; ciò porta al non trattamento ma solo alla punizione; gli psicologi generalmente non si sono adeguati a questa filosofia e hanno sviluppato tecniche che hanno lo scopo di insegnare ai rei come pensare razionalmente e realisticamente.

CAPITOLO 4

LA SCUOLA DI CHICAGO

La scuola di Chicago pensava agli individui come creature complesse e la comunità come il principale elemento di influenza sul comportamento dei singoli. Questa scuola attraverso lo sviluppo della sociologia empirica, la storia di vita e lo studio ecologico riuscì a costruire un quadro d’insieme sul quale si basano le moderne teorie criminologiche.

1 – IL CONTESTO DELLA SCUOLA

Il contesto sociale

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All’inizio del XX secolo gli studiosi dovettero confrontarsi con inediti fenomeni sociali (sviluppo delle grandi città, immigrazione, rapida industrializzazione, proibizionismo, effetti della prima guerra mondiale), gli studiosi della scuola di Chicago considerarono le città, a causa dell’urbanizzazione, come le maggiori responsabili dei problemi sociali. Chicago nel giro di trenta anni aveva raddoppiato la popolazione in seguito all’afflusso di manodopera a basso costo e quando l’industrializzazione rese i lavoratori superflui, emersero una serie di gravi problemi sociali quali inadeguatezza degli alloggi e dei servizi sanitari, senzatetto, bande giovanili e comportamenti illegali, migliaia di disoccupati che per non pesare su amici e parenti si diedero al vagabondaggio. Per alleviare questa situazione sorsero molte organizzazioni sociali e furono fatti programmi di assistenza rivolti in particolare agli immigrati dei ghetti che subivano la discriminazione dei residenti rifugiandosi spesso nella criminalità. La ricerca di una soluzione trasformò Chicago in un laboratorio per i sociologi della sua università.

Il contesto intellettuale

Fino all’inizio del XX secolo la criminologia americana si era ispirata a quella europea facendo proprie le spiegazioni positiviste e in particolare quelle biologiche; man mano però che la sociologia si interessava della criminalità cominciò a prevalere la scuola tedesca che era prevalentemente di tipo sociale e culturale; nello stesso periodo Boas guidava gli studi di antropologia che cercava di dimostrare che la natura umana era un prodotto culturale e non biologico.

2 – LA PROSPETTIVA TEORICA DELLA SCUOLA

Due sono le principali tecniche di ricerca utilizzate dalla scuola di Chicago:

a) l’uso dei dati ufficiali (dati relativi alla criminalità, risultati di censimenti, dati relativi alla

sicurezza sociale e situazione abitativa) che erano raccolti e analizzati per ogni area della città

e ripetuti più volte evidenziando una stabilità che rivoluzionò la spiegazione delle cause della

criminalità (per esempio in una certa area continuava a esserci delinquenza nonostante i

cambiamenti di etnia);

b) la storia di vita che illustrava il processo sociopsicologico del criminale; Thomas fu il primo a

studiare la psicologia dei popoli ponendola alla base di una nuova disciplina – l’etnografia –

I sociologi vivevano con i soggetti dei loro studi tentando di ricostruire una ecologia umana che interpretasse il comportamento nel tempo e nello spazio.

Il contributo più importante della scuola di Chicago fu l’approccio organico alla vita di comunità di Robert Park e Ernest Burgess; l’idea era che la crescita delle città e la dislocazione di aree e problemi sociali non avvengono a caso ma obbediscono a un modello: il modello delle zone concentriche con usi dominanti in ciascuna zona.

La prima zona è quella del quartiere centrale degli affari – pochi residenti e numerose fabbriche e uffici-

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La seconda zona è quella di transizione dove sconfinavano gli edifici della prima zona e dove risiedevano gli immigrati perché più a basso costo;

La terza zona è quella dei lavoratori:

Le ricerche evidenziarono che i problemi sociali erano più frequenti nella prima zona dove era più evidente la superficialità della vita sociale, le persone non si conoscono, le relazioni sono transitorie e i legami amicali e parentali sono deboli; la scuola di Chicago vide in questo indebolimento delle relazioni sociali primarie un processo di disgregazione che divenne la chiave di lettura dell’origine della criminalità.

Shaw e McKay notarono durante le loro ricerche che la zona di transizione presentava un livello di disgregazione sociale maggiore delle altre aree soprattutto per la presenza di immigrati che a causa delle difficoltà ad avere relazioni primarie si rifugiavano nella loro cultura di origine perciò il legame tra immigrati e criminalità era il prodotto della disgregazione sociale e del conflitto con la cultura americana del tempo. Gli stessi studiosi elaborarono la teoria della trasmissione culturale secondo la quale i giovani che vivono in aree disgregate hanno maggior possibilità di avere contatti con i delinquenti e ciò produce la trasmissione di generazione in generazione delle tradizioni criminali in modo del tutto simile a come si trasmette il linguaggio o le altre forme sociali.

L’INTERAZIONISMO SIMBOLICO

La scuola di Chicago elabora la teoria dell’interazionismo simbolico la cui idea centrale è che la mente e il sé non sono elementi innati ma costruiti dall’ambiente sociale attraverso il processo di simbolizzazione mediate il quale gli individui definiscono se stessi e gli altri. In realtà noi definiamo noi stessi partendo dalla percezione di ciò che gli altri pensano di noi (l’altro generalizzato di Mead) ovvero definiamo la nostra identità riflettendoci negli altri. Thomas rilevò che noi possiamo avere molteplici identità che dipendono dal contesto in cui ci troviamo, ovvero ogni situazione prevede un proprio ruolo, identità e comportamenti. La scuola di Chicago concettualizzando il comportamento umano come “relativo” permise di comprendere la devianza; così che un comportamento ritenuto normale in un gruppo può essere non conforme in un altro (es. hobo jungles= persone che si spostano continuamente per motivi di lavoro il cui comportamento non è deviante rispetto al contesto specifico ma in relazione al resto della società) e inoltre capita anche di fraintendere le situazioni e quindi comportarsi in modo non conforme.

LA TEORIA DEL CONFLITTO CULTURALE

La scuola di Chicago riconosce che il conflitto è diffuso all’interno della società ed è innescato dalle differenze di valori esistenti tra i vari gruppi di individui. Il miglior lavoro su questa teoria ci viene tuttavia fornito da Thorsten Sellin che non era membro della scuola di Chicago con il libro “Culture, Conflict and Crime”. La teoria di Sellin è imperniata sull’idea delle norme di condotta o regole che governano il comportamento; le norme variano da cultura a cultura e sono l’espressione dei gruppi che detengono il potere sociale e politico. Sellin suggerisce l’esistenza di due forme di conflitto:

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- conflitto primario quando uno stesso comportamento può essere rilevante per due culture

diverse; per esempio in caso di migrazione da un’area ad un'altra, la vecchia cultura continua

per un certo periodo a influenzare il comportamento di una persona;

- conflitto secondario ovvero la presenza di culture minori (subcultura) all’interno di una cultura

più vasta che hanno un proprio nucleo di valori e pur non totalmente differente dalla cultura

più vasta produce comunque un conflitto.

3 – CLASSIFICAZIONE DELLA TEORIA

La scuola di Chicago di base era di ispirazione positivista, di posizione determinista, i suoi lavori mettono in risalto l’osservazione sistematica e la verificabilità; è difficile definire la scuola di Chicago come procedurale o strutturale, sebbene l’orientamento dominante è il processo in seguito al quale si diventa deviante piuttosto che l’influenza sociale sul criminale. I teorici di questa scuola erano consensualisti anche se riconoscevano l’importanza dei conflitti; infine essa ha prodotto microteorie, con l’eccezione della teoria del conflitto culturale che è una macroteoria.

4 – SVILUPPI ATTUALI E IMPLICAZIONI POLITICHE

Gli studi della scuola di Chicago continuarono per tutti gli anni 40 ma in realtà non si sono mai conclusi. Alcune tematiche della criminologia ecologica riapparvero negli anni 70 sotto la denominazione di design ambientale e criminologia geografica. Newman, un architetto, elaborò il concetto di “spazio difendibile”: l’idea era che qualunque spazio fisico che gli abitanti consideravano come il loro territorio era immune dal crimine poiché essi vigilavano sulla zona. Il concetto di design ambientale ispirò molti degli odierni programmi di prevenzione della criminalità e vigilanza dei quartieri.

Una nuova direzione della teoria ecologica fu lo studio delle “Carriere criminali” delle comunità; questa nuova direzione teorica si chiede in che modo i cambiamenti interni ed esterni delle aree urbane influenzano l’andamento dei tassi di criminalità. Stark presenta una teoria ecologia denominata “dei luoghi devianti” che consiste di trenta proposizioni con molti riferimenti al concetto di inciviltà.

Per quanto riguarda le implicazioni politiche, le teorie della scuola di Chicago furono applicate a programmi di prevenzione concentrati sulla struttura sociale o sul controllo all’interno di comunità; anche i dipartimenti di polizia usano da anni la spot map (formulata da questa scuola), una mappa geografica delle città su cui si registrano le strade criminali; studi ecologici recenti le hanno modificate trasformandole in hot spots (zone calde).

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Determinismo= dottrina filosofica secondo la quale tutto ciò che accade, comprese le conoscenze e le azioni umane è determinato in modo causale da una catena ininterrotta di eventi avvenuti in precedenza. Principale conseguenza de determinismo è l’esclusione completa del libero arbitrio.

CAPITOLO 5

LA TEORIA DELL’ASSOCIAZIONE DIFFERENZIALE

Sutherland elaborò una teoria insistendo sul fatto che il comportamento criminale viene appreso all’interno di un certo ambiente nella stessa maniera in cui vengono appresi gli altri tipi di condotta, di conseguenza la differenza tra il comportamento conforme e quello criminale sta in che cosa si apprende e non nel come lo si apprende.

1- IL CONTESTO DELLA TEORIA

Il contesto sociale

Molti eventi degli anni 20 – 30 influenzarono la teoria di Sutherland: i rapporti annuali dell’FBI sui crimini da cui emergeva il dato che certe categorie di persone delinquevano più di altre e il fenomeno della grande depressione che produsse un aumento dei crimini legati alla povertà. Dunque secondo lo studioso la criminalità e le altre forme di comportamento deviante non sono innati, né causati dalla labilità mentale , ma sono il prodotto di situazioni, opportunità e valori. Anche le nuove forme di criminalità legate al proibizionismo e alla criminalizzazione dell’uso delle droghe insegnarono a Sutherland che esse sono in parte governate dal sistema legale che criminalizza comportamenti ritenuti normali fino all’introduzione delle nuove norme.

Il contesto intellettuale

Gli esponenti della scuola di Chicago e in particolare Thomas influenzarono il pensiero di Sutherland, fondamentali per lo sviluppo della sua teoria furono anche i lavori dell’interazionismo simbolico di Mead, Park e Burgess e il lavoro ecologico di Shaw e

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McKay. Le due principali metodologie sviluppate dalla scuola di Chicago, l’analisi delle statistiche giudiziarie e le storie di vita, furono importanti per Sutherland per comprendere come il conflitto tra culture dei diversi gruppi fosse la causa del persistere di tassi di criminalità in determinate zone della città dove le culture native o private si intrecciavano con la cultura americana o pubblica.

La definizione di associazione differenziale appare per la prima volta in uno scritto di Sutherland che raccoglieva storie di immigrati detenuti e interviste di un ladro professionista e che rappresentò la prima analisi di come un gruppo, che si associa con canoni diversi, arrivi a svilupparsi al di fuori della cultura generale rafforzando i suoi valori. Sutherland si ispirò dunque a tre dei principali concetti della scuola di Chicago e cioè alla teoria ecologica e della trasmissione culturale, all’interazionismo simbolico e alla teoria del conflitto culturale; riunendo questi tre filoni egli cercò di spiegare sia il comportamento criminale individuale sia la variazione per gruppi dei tassi di criminalità.

2 – LA PROSPETTIVA TEORICA

La prima versione completa della teoria fu proposta nel 1939nella terza edizione dei “Principi”, in essa Sutherland definisce il concetto di comportamento criminale sistematico riferendosi sia alle carriere criminali che al crimine organizzato; quest’ultimo comprende comportamenti indotti da definizioni (valori) provenienti dall’interno della comunità, a differenza del comportamento avventizio che designa il comportamento criminale non sistematico. Nella versione finale della teoria però il termine sistematico scompare forse perché lo studioso percepì che quasi tutti i comportamenti criminali sono sistematici.

3 – L’ASSOCIAZIONE DIFFERENZIALE

Con questa espressione Sutherland intendeva che “i contenuti dei modelli dell’associazione” variano a seconda degli individui; ciò non significa che la sola associazione criminale provoca il comportamento criminale ma è il contenuto della comunicazione a essere il punto focale. Egli vedeva il crimine come conseguenza del conflitto di valori, l’individuo seguiva un comportamento culturalmente approvato ma che il resto della società americana disapprovava e sanzionava penalmente. A livello individuale la teoria dell’associazione differenziale è il prodotto sia dell’ambiente sociale che dei valori trasmessi da persone che in quel contesto ricoprono un ruolo primario.

4 – ORGANIZZAZIONE SOCIALE DIFFERENZIALE

La prima versione della teoria spiegava il processo attraverso cui gli individui diventano delinquenti; per Sutherland il conflitto, diffuso nella società ,è il prodotto di una società disgregata, frammentata, che crea diversi tipi di valori e interessi all’interno dei vari gruppi sociali e se questi sono difformi dalla legge diventano devianti.

5 – LA VERSIONE DEFINITIVA DELLA TEORIA

In questa ultima versione, articolata su nove punti, Sutherland afferma che il comportamento criminale viene appreso mediante l’associazione con persone con cui si

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trattengono rapporti intimi, in un processo di comunicazione interattiva. Due sono le cose principali che si apprendono da questa relazione.

a) le tecniche necessarie al comportamento criminale ovvero i come di una determinata azione:

b) le definizioni che sostengono tale comportamento ovvero i perché, o le ragioni per cui viene

commessa l’azione (valori, motivazioni, pulsioni, atteggiamenti);

Secondo Sutherland il comportamento criminale avviene quando le definizioni a suo favore prevalgono su quelle che incoraggiano il comportamento conforme; il comportamento prescelto non è determinato solo dall’influenza cui siamo esposti ma anche all’assenza di modelli alternativi.

La teoria differenziale dunque non si concentra sul CHI si associa a qualcuno ma sulle definizioni fornite da questa associazioni poiché una volta apprese le tecniche del comportamento criminale, i valori che lo sostengono possono essere trasmesse a chiunque. Ciò implica che gli individui e i gruppi siano esposti ad associazioni differenti così che la propensione al crimine o il rigetto dipende dai parametri culturali degli associati, in particolar modo di quelli con cui si trascorre più tempo.

6 – CLASSIFICAZIONE DELLA TEORIA

La teoria differenziale è:

- positivista cioè si concentra sui criminali e sul loro comportamento;

- microteoria quando ricerca le cause del comportamento criminale ma ha componenti macroteorici perché basata su concetti di organizzazione sociale differenziale e di conflitto culturale;

- orientata verso il conflitto e riconosce all’interno della società l’esistenza di valori favorevoli e altri contrari al rispetto delle leggi;

- procedurale più che strutturale infatti pur tenendo conto dei fattori della struttura sociale verte

essenzialmente sul processo attraverso cui si diventa criminale.

In conclusione secondo questa teoria, le interazioni che abbiamo con gli altri individui, insieme ai valori che questi ci trasmettono, stanno alla base del comportamento criminale.

7 – SVILUPPI ATTUALI E IMPLICAZIONI POLITICHE

Nel corso degli anni è possibile individuare tre diversi filoni teorici:

- negli anni 50 abbiamo le subculture delinquenziali, come si formano, perché continuano e in

che modo si trasmettono i valori e le definizioni criminali;

- tra gli anni 50 e 60 abbiamo la teoria dei ruoli; Cressy prevedeva un vocabolario di motivazioni

veicolato dal ruolo nel quale un individuo si identifica in un determinato momento;

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- tra la metà e la fine degli anni 60 la tendenza cercava di spiegare i processi di apprendimento

dell’associazione differenziale attraverso l’uso di teorie dell’apprendimento sociale.

Nel campo delle politiche, la teoria di Sutherland ha avuto implicazioni sia per lo studio che per il trattamento di tipologie alternative di crimine, egli diede vita alla ricerca e allo studio della criminalità dei “colletti bianchi” spiegando che le persone provenienti dalle classi alte apprendono la criminalità allo stesso modo di quelli delle classi basse, che in larga parte commettono crimini di strada.

CAPITOLO 6

TEORIA DELL’ANOMIA

Il concetto di anomia è legato a due studiosi: Emile Durkheim e Robert K. Merton.

Durkheim lo utilizzò sia per descrivere la “deregolamentazione” che avveniva all’interno di una società (quando le regole riferite al comportamento da seguire nei rapporti con gli altri perdono di efficacia, le persone non sanno più cosa aspettarsi l’uno dall’altra) che riferendosi alla condizione moralmente deregolata per cui le persone non controllano in modo adeguato il loro comportamento. La tesi centrale di Durkheim è che le società si sono evolute da una forma semplice o meccanica in cui la gente si comporta e pensa in modo simile e i loro fini sono orientati al gruppo, verso una società complessa o organica dove vi sono relazioni altamente interattive e in cui i fini sono individuali. Le persone in questa società organica non hanno più legami parentali e amicali ma fondati su contratti la cui caratteristica è la fluidità, per cui le condizioni di socialità sono a rischio di disgregazione e quindi di anomia. Se le norme sociali perdono di significato non guidano più gli individui, questi non riescono a collocarsi ai loro posti e hanno difficoltà a adattarsi ai cambiamenti; tale processo provoca di conseguenza insoddisfazione e frustrazione, conflitto e devianza.

Merton espresse una sua formulazione per il concetto di anomia; egli distinse le norme sociali in due tipi: mete sociali e mezzi accettabili per raggiungerle, ridefinendo l’anomia come la discrepanza o incongruenza tra mezzi e fini prodotta dalla struttura sociale che propone mete senza che vengano forniti tutti i mezzi per conseguirle, così che la devianza diventa il frutto dell’anomia.

1 – IL CONTESTO DELLA TEORIA

Il contesto sociale

La grande depressione degli anni 30 in USA fornì ai sociologi nuovi spunti di studio; Merton notò che la criminalità non era necessariamente intrinseca nella persona ma aveva connessione con la struttura sociale; gli studiosi allora abbandonarono gli ambiti ristretti dei loro studi e si spostarono verso l’analisi della struttura sociale nella sua

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interezza grazie anche agli sforzi riformatori che il governo americano intraprese con il New Deal. Un altro elemento che influenzò la criminologia di questi anni fu lo studio dei dati demografici dal cui esame emerse che parti sociali presentavano più criminalità e in esse si notava una costante anomia che chiaramente produceva la devianza. Infine in questo periodo si fece strada l’idea che le classi sociali fossero un elemento cruciale per spiegare gli eventi sociali ovvero i criminologi ritennero che la devianza si potesse spiegare partendo dalle differenze sociali.

Il contesto intellettuale

Merton fu allievo di Parsons la cui prospettiva divenne nota come strutturalfunzionalismo. Parsons considerava la società come il risultato di un equilibrio di forze (simile a quello di un pendolo) che serviva a produrre ordine. Se le varie componenti della struttura sociale giungono in una posizione di squilibrio allora l’organizzazione sociale si sta disgregando. Merton inoltre fu anche influenzato dalla psicoterapia freudiana (conflitti interni) e gli studi di Hooton che aveva trattato, nel suo libro, l’inferiorità biologica dei criminali. Merton criticò comunque questi approcci e si concentrò sugli effetti della struttura sociale.

2 – LA PROSPETTIVA TEORICA

La teoria dell’anomia di Merton è basata principalmente sulla devianza più che sulla criminalità; per Merton è deviante quel comportamento che, in una società che prevede per i suoi membri mete strutturate e mezzi adeguati per raggiungerle, non segue i valori condivisi; egli usa il termine devianza sia per riferirsi al comportamento criminale che a quello burocratico. Merton notò che certe mete sociali vengono esaltate più di altre e che la società ritiene legittimi certi mezzi per raggiungere quelle mete, così che, come succedeva nella società americana mete molto enfatizzate creavano anomia in quanto non avendo tutti la possibilità di accesso economico a queste mete con mezzi legittimi si cercavano quelli illegittimi. Ciò è più evidente per le classi inferiori o le minoranze che si trovano svantaggiate a causa di questa disuguaglianza che se è imputabile alla struttura sociale avremo una società anomica.

L’individuo cerca conseguentemente dei modi per adattarsi all’anomia, Merton ne presenta cinque:

1) Conformità – se l’individuo, preso atto che l’accesso a mete e mezzi è limitato, accetta di

ritenerli ancora legittimi;

2) Innovazione – si accettano le mete ma si ricorre a mezzi illegittimi per raggiungerle (è il

tipo di devianza più diffuso);

3) Ritualismo – si rinuncia alle mete per ricorrere solo ai mezzi legittimi (comportamento

burocratico);

4) Rinuncia – si rinuncia a mete e mezzi e si abbandona ogni tentativo di andare avanti nella

vita (vagabondi, alcolizzati, drogati);

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5) Ribellione – consiste nella sostituzione di mezzi e mete; secondo Merton questa modalità di

adattamento conduce gli individui fuori dalla struttura sociale per cercare di realizzarne una

nuova, ciò presuppone l’alienazione da obbiettivi e parametri dominanti (gli individui sono

ribelli e rivoluzionari).

3 – CLASSIFICAZIONE DELLA TEORIA

La teoria dell’anomia è positivista; al contrario di molte altre teorie di questo tipo colloca la patologia all’interno della struttura sociale e spiega in che modo essa induce una tensione in alcuni segmenti sociali spingendoli verso la devianza. L’anomia è una teoria strutturale perché concentra la sua analisi sulla struttura sociale e sulla sua funzione nel creare la devianza senza però specificare il processo attraverso il quale gli individui diventano devianti. Essa è una macroteoria e può essere definita funzionalista perché spiega il fenomeno sociale sotto l’aspetto degli effetti e delle conseguenze.

4 – SVILUPPI ATTUALI E IMPLICAZIONI POLITICHE

La teoria dell’anomia continua a godere una certa importanza anche se i criminologi hanno la tendenza a usarla in forma generalizzata come teoria della TENSIONE. Tali teorie pongono al centro la motivazione nel senso che le persone commettono atti criminali mossi da una motivazione e in sua assenza hanno un comportamento conforme. Queste teorie strutturali della tensione cercano le origini di tali tensioni nella struttura e organizzazione sociale mentre Merton le identifica con i messaggi culturali e le disuguaglianze sociali. Lavori recenti che seguono le teorie mertoniane esaminano il divario tra aspirazioni e aspettative che porta frustrazione e comportamento criminale specialmente negli adolescenti.

Anche la disuguaglianza tra ricchi e poveri è importante per determinare i tassi di criminalità; ad esempio nelle aree in cui convivono individui molto poveri e altri molto ricchi dobbiamo aspettarci tassi di criminalità elevati. Elliot e Voss alla teoria della tensione hanno aggiunto la delinquenza della classe media, considerando i fini immediati più che le aspirazioni a lungo termine connesse alla teoria della tensione, rilevando che i giovani si concentrano maggiormente sui fini immediati piuttosto che sul loro futuro.

La versione contemporanea più conosciuta della teoria della tensione è quella elaborata da Agnew il quale sostiene che non bisogna considerare solo i fini positivi ma anche il desiderio di evitare situazioni dolorose o negative; così il raggiungimento di un obiettivo può essere impedito proprio dalla esigenza di evitare eventi stressanti, in questo caso il livello di tensione è tale che potrebbe produrre devianza.

Un altro adattamento contemporaneo della teoria della tensione è sostenuto da Messner e Rosenfeld, secondo questi autori un quadro più completo dei vincoli strutturali sulla devianza deve includere anche istituzioni quali la famiglia, la scuola, la religione e la legge ovvero perché l’anomia agisca non basta il divario tra fini e mezzi ma bisogna che le istituzioni sociali siano indebolite.

Implicazioni politiche

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Per combattere l’anomia bisognerebbe modificare la struttura sociale dalle sue fondamenta, eliminare per esempio le divisioni in classi, il razzismo, i pregiudizi; secondo altri approcci sarebbe auspicabile accrescere le opportunità occupazionali, le opportunità educative o addirittura ridurre le aspirazioni.

CAPITOLO 7

TEORIE DELLA SUBCULTURA

Negli anni 50 e 60 i criminologi studiarono principalmente la delinquenza giovanile analizzandone l’origine e il contesto, creando il nuovo contesto sociobiologico di subcultura. Vi sono vari tipi di approccio a questa teoria :

- la teoria delle subculture delinquenziali di Cohen;

- la teoria delle opportunità differenziali di Cloward e Ohlin;

- la teoria di Miller;

- la teoria di Wolfgang e Ferracuti

1 – IL CONTESTO DELLA TEORIA

Il contesto sociale

Gli anni 50 sono caratterizzati da un periodo di prosperità e da una grande crescita dei consumi; la classe media ha dimostrato la sua superiorità e imposto i suoi valori. Per la prima volta gli americani considerarono l’istruzione come un diritto di tutti ; nello stesso periodo assistiamo a una crescente urbanizzazione degli USA e a un crescente deterioramento delle aree centrali delle città che presentavano numerosi problemi in particolare nelle classi inferiori dove le bande giovanili rappresentavano la forma più visibile di delinquenza. Secondo il senso comune dell’epoca gli individui erano responsabili della loro situazione non avendo fatto nulla per migliorare la loro condizione di povertà; solo successivamente, grazie al movimento per i diritti civili il concetto di povertà fu riportato entro spiegazioni di tipo sociale.

Il contesto intellettuale

La tradizione intellettuale alla base degli studi sulla subcultura degli anni 50 è costituita sia dalla scuola di Chicago che dalla teoria mertoniana dell’anomia. Una significativa influenza fu esercitata anche dal lavoro di Solomon Kobrin, che insieme ad altri studiosi analizzò le bande di strade e studiò le relazioni esistenti tra le generazioni di sesso maschile all’interno di una comunità di classe inferiore, trovando un legame tra gerarchia politica e organizzazione della criminalità. Kobrin elaborò il concetto di Comunità integrata: il grado di controllo sociale all’interno di una comunità dipende

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dalla quantità di organizzazioni criminali e dalla relazione che esse hanno con la leadership politica dell’aggregato sociale di appartenenza.

2- LA SUBCULTURA DELLA DELINQUENZA DI COHEN

Cohen riscontrò che il comportamento delinquente si verifica più speso tra i maschi delle classi inferiori e che la forma più comune è la delinquenza delle bande giovanili. Egli notò che in questo tipo di delinquenza non vi era nessuna motivazione razionale; i giovani devianti provavano soddisfazione nel causare disagio agli altri, in particolare, cercavano di oltraggiare i valori delle classi medie; le bande erano versatili (diverse forme di delinquenza), edoniste con obbiettivi immediati e autonomisti (ostili a coloro che non facevano parte del gruppo). Cohen afferma che tutti i giovani vanno alla ricerca di uni status sociale, tuttavia non tutti possono competere con le stesse opportunità per raggiungerlo. I primi problemi sorgono tra bambini delle elementari quando quelli più poveri si trovano a competere con quelli provenienti dalle classi medie e inoltre devono anche essere valutati da adulti che usano i parametri delle classi medie. Valori quali la condivisione, la gratificazione posticipata, gli obiettivi a lungo termine e il rispetto per la proprietà altrui non appartengono ai ragazzi delle classi inferiori perché le loro famiglie non possono dare per scontato nessuno di questi valori e quindi non possono trasmetterli.

Allora i ragazzi alla ricerca di uno status soffrono di frustrazione e ricorrendo al meccanismo di reazione – formazione illustrato da Freud, reagiscono in modo ostile ai valori delle classi medie trovando una forma di adattamento nella soluzione collettiva che, secondo Cohen, rende necessario modificare i mezzi per raggiungere lo status. E’ così che si viene a creare una nuova forma di cultura, la subcultura delinquente che conferisce alle bande le sue caratteristiche di non utilitariste, prevaricatorie e negative. Se i giovani dei ceti subalterni diventano delinquenti molto dipende dalla forza e dal grado di interazione con i membri della subcultura delinquenziale; infatti essi cominciano a considerare i componenti delle bande come “Altri significativi” e finiscono con l’identificare la soluzione dei problemi con questa subcultura. Cohen formulò anche teorie sulla delinquenza femminile e su quella dei maschi delle classi medie. Le donne sarebbero frustrate dal doppio standard sessuale a cui reagirebbero assumendo comportamenti sessuali devianti; gli uomini delle classi medie per reagire alla responsabilità maggiore che le donne si assumono nel crescere i figli, esaltano comportamenti tipicamente maschili che ruotano intorno all’automobile quali:

joy riding = corse in auto anche con veicolo rubati, drag racing = giri con le auto per rimorchiare ragazze o prostitute e atteggiamento da duri.

CLASSIFICAZIONE DELLA TEORIA

La teoria della subcultura di Cohen è stata definita della tensione o strutturale, essa però subisce anche l’influenza dell’orientamento procedurale della scuola di Chicago in quanto mette in luce il processo attraverso il quale viene creata la subcultura. Questa dualità la fa classificare come una teoria ponte. Cohen utilizza la prospettiva del consenso in quanto la società propone mete raggiungibili dalla classe media e i giovani delle classi inferiori cercano mezzi alternativi come conseguenza della frustrazione. La

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teoria infine è un esempio di positivismo sociologico in quanto ci dice che certi comportamenti vanno spiegati e il concetto di subcultura è lo strumento adatto alla loro comprensione.

3 – LA TEORIA DELLE OPPORTUNITA’ DIFFERENZIALI DI CLOWARD E OHLIN

Per Cloward e Ohlin non esiste solo un insieme di mezzi legittimi per raggiungere le mete ma anche mezzi illegittimi, detti struttura illegittima delle opportunità, ma anch’essi sono limitati nell’accesso come quelli legittimi. I due autori affermano che ogni forma di subcultura delinquenziale dipende dal grado di integrazione presente nella comunità e ne proposero tre tipi ideali. La prima, definita subcultura criminale; è una comunità completamente integrata in cui le bande giovanili funzionano da apprendistato per le attività criminali da intraprendere da adulti; essi svolgono loro affari (furti, ricettazione, estorsioni) sotto la supervisione delle organizzazioni criminali (per esempio oggi si usano i minori per lo spaccio della droga in quanto non perseguibili penalmente).

La seconda, la subcultura conflittuale, si verifica in comunità disgregate in cui la struttura illegale è disorganizzata e non è in grado di esercitare alcun controllo comunitario sui giovani. Le bande in questo caso sono violente e imprevedibili e danneggiano sia adulti criminali che conformi.

Infine ci possono essere dei giovani che non hanno accesso a nessuna delle due strutture precedenti; in questo caso avremo la subcultura astensionista. L’obiettivo principale dei soggetti di questa subcultura è assumere droga e svolgere attività legate esclusivamente a ottenere i soldi necessari per comprarla. Questi giovani sono doppiamente falliti perché non sono riusciti ad avere successo né nel mondo legale né in quello illegale probabilmente per due ragioni:

- hanno assimilato le proibizioni dei comportamenti violenti

- hanno fallito nel tentativo di ottenere uno status sia in una banda criminale sia in quella

conflittuale.

La teoria delle opportunità differenziali è una teoria della tensione pur presentando elementi sia procedurali che strutturali; è positivista e consensuale (tenta di spiegare i modi in cui il comportamento viene trasmesso e assume che l’obiettivo principale dei membri della società sia il raggiungimento delle mete.

4 – ALTRE TEORIE DELLA SUBCULTURA

La teoria incentrata sulle classi inferiori di Miller

Miller, grazie alle sue conoscenze dell’etnografia, esaminò i quartieri popolari di Boston e concluse che per le classi inferiori i valori delle classi medie non erano così importanti come avevano affermato Cohen e gli altri. La prospettiva teorica di Miller sottolineò la differenza esistente tra le varie classi sul piano degli stili di vita, ogni classe aveva infatti una propria subcultura che aveva con le altre similitudini e differenze. Miller adottò il concetto di preoccupazione focale cioè gli aspetti di ogni particolare cultura

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che richiedono attenzione e cura costante (es. la maternità nella subcultura femminile). Miller individuò una serie di preoccupazioni focali che sono alla base delle motivazioni di molte forme di comportamento criminale delle classi inferiori che adottavano questo comportamento nel tentativo di adeguarsi agli standard della loro classe di appartenenza. Miller descrive sei preoccupazioni focali della classe operaia americana: la molestia, la durezza, la scaltrezza, l’eccitamento, sorte e fortuna, autonomia.

Nelle subculture delle classi inferiori inoltre gli incentivi a intraprendere la via del crimine sono più forti che nelle altre classi, e in particolare sono i giovani ad avere comportamenti devianti; Miller notò anche che in molte famiglie delle classi inferiori la carenza della figura paterna provocava problemi specialmente nei figli maschi che non avevano un modello a cui rapportarsi per cui spesso le bande rappresentavano la soluzione più adeguata a questo problema in quanto fornivano benefici psicologici quali senso di appartenenza, possibilità di ottenere prestigio e rispetto, difficilmente ottenibili in famiglia o a scuola.

Riassumendo, secondo Miller il motivo principale del comportamento criminale delle bande giovanili è il tentativo di raggiungere lo status, condizioni qualità all’interno del loro ambiente culturale, tale condotta è ritenuta normale all’interno del loro contesto subculturale.

La subcultura della violenza di Wolfgang e Ferracuti

Wolfgang e Ferracuti affermarono che la subcultura della violenza risulta dalla combinazione di diverse teorie; la loro teoria può essere riassunta in questo modo: malgrado i valori posseduti dai membri di una subcultura siano diversi da quelli dominanti, non necessariamente sono opposti o in netto conflitto con il resto della società. Coloro che fanno parte della subcultura della violenza apprendono la predisposizione a praticarla, anche se questo comportamento può essere appreso a tutte le età, attrae soprattutto gli individui della fascia tra adolescenza e maturità.

5 – SVIPUPPI ATTUALI E IMPLICAZIONI POLITICHE

Le teorie della subcultura, ad esclusione di quella della violenza, si basano sul legame tra classi inferiori e criminalità. Intorno agli anni 50 emerge la critica a questa impostazione teorica grazie ai nuovi metodi per misurare la devianza basati sulle autodenunce (questionari e interviste in cui i giovani autodenunciavano i loro atti delinquenziali). Questi studi rilevarono che la relazione tra classe e criminalità era molto debole. Sykesn e Matza criticarono la concezione di Cohen, che vede i valori delle classi medie opposti a quelli delle classi inferiori: i due criminologi sostengono che i giovani dei gruppi subalterni non hanno bisogno dell’opposizione dei valori per commettere crimini; è necessario invece una serie di razionalizzazioni o neutralizzazioni, che aiuti ad aggirare i valori convenzionali; inoltre prevedono l’esistenza di valori sotterranei (divertimento o tolleranza verso certi tipi di conflitto e violenza) per cui anche giovani con origini sociali diverse possono condividere la stessa opposizione di valori delle classi inferiori.

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Dopo gli anni 60 la tesi della subcultura della violenza si estende nella “ipotesi della meridionalità” che vuole spiegare la presenza di una più alta percentuale di omicidi nelle regioni meridionali degli USA sostenendo la tesi che i maschi del sud hanno una subcultura più incline alla violenza rispetto al confronto verbale. Infine Fischer teorizza che la densità della popolazione influisce direttamente sulla partecipazione alle attività devianti.

Implicazioni politiche

Le teorie della subcultura hanno avuto importanti implicazioni politiche, le amministrazioni di Kennedy e Johnson nell’intento di risanare la società dalle fondamenta, seguendo le teorie della subcultura, diedero il via a molti progetti:

il MFY (mobilization for Yout Project) creato per incrementare le opportunità di lavoro e istruzione dei giovani;

progetti relativi alla delinquenza giovanile quale l’interazione di gruppo guidata

progetti scolastici per aiutare i bambini ad avere un miglior rendimento e a non abbandonare la scuola.

CAPITOLO 8

TEORIA DELL’ETICHETTAMENTO

La teoria dell’etichettamento nasce all’inizio degli anni 60 ed è considerata una svolta teorica perché sfidava le definizioni precedenti della devianza. Gli studiosi che adottarono questo punto di vista teorico sostennero che le teorie passate avevano prestato eccessiva attenzione alla devianza individuale, trascurando i modi in cui la società reagiva ad essa (perciò essa venne denominata scuola della reazione sociale). La teoria dell’etichettamento sostiene che il significato del concetto di crimine è sottoposto a continue ridefinizioni spazio – temporali e i teorici mettono in discussione la convinzione comune che fa coincidere la natura dei criminali con il crimine commesso.

Alcuni criminologi hanno messo in discussione la teoria dell’etichettamento considerandola un’articolazione dell’interazionismo simbolico, tuttavia l’etichettamento formula affermazioni causali e proposizioni verificabili, qualità che non tutte le teorie possono vantare.

1 – IL CONTESTO DELLA TEORIA

Il contesto sociale

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Alla fine degli anni 50 la società civile prese coscienza della disuguaglianza razziale e della segregazione dei diritti civili; l’istruzione divenne il tema principale del movimento per i diritti civili; nel campo della giustizia minorile vennero istituiti nuovi programmi che avevano lo scopo di evitare che i giovani potessero essere considerati con l’etichetta di delinquente. Anche se l’uguaglianza non fu raggiunta, i bianchi si resero consapevoli del modo in cui trattavano le minoranze e gli stessi criminologi e sociologi estesero le loro teorizzazioni sugli effetti che la classe sociale e l’etnia avevano su coloro che venivano a contatto con il sistema penale.

Il contesto intellettuale

La teoria dell’etichettamento è un erede dell’interazionismo simbolico della scuola di Chicago e il suo maggior esponente fu BECKER. Alcuni studiosi (Lilly, Cullen eBall) sostennero che il concetto di “profezia che si auto adempie” sviluppato da Merton, rappresentò un elemento importante per la popolarità della teoria in quanto una falsa etichetta, per il solo fatto di essere stata applicata, può diventare la verità per quelli pronti a credervi.

2 – LA PROSPETTIVA TEORICA

Molti criminologi fanno risalire la teoria dell’etichettamento al libro Crime and the Community di Frank Tannenbaum in cui affermava che il comportamento criminale scaturisce dal conflitto tra un gruppo e la società nel suo insieme e quindi la “drammatizzazione del male” deriva dall’adattamento dell’individuo in un gruppo particolare piuttosto che dalla mancanza di adattamento alla società. L’autore dice che ogni volta che un bambino viene sorpreso a commettere un atto deviante, gli viene data una etichetta che ne modifica l’autoimmagine e fa in modo che gli altri reagiscano all’etichetta e non al bambino. L’affissione delle etichette sarebbe dunque la causa reale della devianza. Becker affermò che l’esistenza della devianza è legata al punto di vista dell’osservatore, infatti vi possono essere concezioni diverse di ciò che è conforme o meno all’interno dei vari gruppi e tale conformità varia anche in base alle situazioni; inoltre affinché esista la devianza è necessario che venga scoperta e che produca una “reazione”. Becker dunque definisce la devianza a partire da coloro che reagiscono e non dal soggetto deviante.

L’approccio dell’etichettamento può essere distinto in due parti:

- la ricerca delle cause (come e perché certi individui vengono etichettati)

- gli effetti dell’etichettamento sul comportamento deviante

Secondo Becker i gruppi sociali creano la devianza stabilendo delle regole la cui violazione costituisce un atto deviante, i devianti vengono perciò etichettati outsiders (criminali). La devianza allora è creata dalla reazione sociale, non è necessario che il comportamento deviante esista, basta che coloro che reagiscono credano che esista. E’ dunque la reazione a creare la devianza, esse sta nello sguardo di chi osserva. Becker individuò 4quattro diversi casi di devianza:

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1) ingiustamente accusato – atti non commessi e conformi contro i quali vi è una reazione

come se fossero devianti;

2) deviante puro; 3) deviante conforme – in ambedue i casi sono atti in cui percezione e

realtà coincidono

3) segretamente deviante – atti che restano segreti e quindi non considerati devianti.

Questo approccio alla devianza portò a spiegare la criminalità in modo diverso in quanto la reazione sella società risultava selettiva nei confronti di individui o gruppi etichettati. Le persone etichettate subivano un processo di espansione della criminalità dando avvio a una carriera deviante; ciò avveniva con due modalità. - l’etichetta attrae l’attenzione di chi etichetta producendo un rafforzamento

- la persona interiorizza l’etichetta arrivando ad autodefinirsi deviante.

Chiaramente anche il sistema penale finisce per vigilare più attentamente su tali individui per cui condannati usciti dal carcere per buona condotta, in libertà condizionata o ex detenuti subiranno maggiori controlli e di conseguenza comportamenti successivi saranno osservati e etichettati (ciò succede specialmente per le classi inferiori). Una volta etichettati le possibilità di riuscita nel mondo conforme si riducono e spesso essendo preclusi i canali leciti, gli illeciti restano l’unica alternativa.

Uno studio condotto da Schwartz e Skolnick illustra gli effetti criminogeni dell’etichetta deviante; essi condussero un esperimento sul campo, inviarono 4 domande di lavoro identiche tranne che per la sezione della situazione penale ( arrestato e condannato per aggressione, processato e assolto per lo stesso reato, processato e assolto con lettera del giudice su non colpevolezza, nessun precedente penale). Il risultato dell’indagine fu che non solo i precedenti penali riducono notevolmente la possibilità di trovare lavoro, ma lo stesso effetto viene prodotto da qualunque accenno alla loro esistenza.

La seconda forma di etichetta è ciò che Lemert definisce devianza secondaria; accanto alla reazione sociale bisogna cioè tener conto anche di quella individuale. La persona etichettata, se non ha un’immagine di sé ben definita, può accettare quella offerta dagli altri, modificando la propria identità con un feedback negativo (più si subisce l’etichettamento più si interiorizza) che porta la persona ad accettare l’etichetta come una identità reale.

Altri due importanti concetti della teoria dell’etichettamento sono:

- status egemone – status che costituiscono le caratteristiche primarie di una persona (sesso,

lavoro, status di criminale);

- interpretazione retrospettiva – le identità vengono ricostruite per adattarsi alla nuova

etichetta; avviene un processo di riesame che interpreta i fatti e gli eventi del passato per farli

coincidere con la nuova identità.

3 – CLASSIFICAZIONE DELLA TEORIA

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La teoria dell’etichettamento è principalmente procedurale perché si interessa del modo in cui le persone vengono etichettate, tuttavia presenta elementi di tipo strutturale quando si occupa della tipologia di individui. E’ una teoria classica perché sottolinea il ruolo della criminalità, della legge e delle procedure ma ha aspetti positivisti quando vengono analizzati gli effetti del processo di etichetta mento nella devianza secondaria di Lemert. La teoria è una variante dell’approccio conflittuale basandosi sul pluralismo culturale e sul conflitto di valori; infine si può definire una micro teoria perché rileva gli effetti delle reazioni sociali al comportamento individuale.

4 – SVILUPPI ATTUALI E IMPLICAZIONI POLITICHE

Edwin Schur aggiunge alle concezioni iniziali della teoria altri tre diversi gruppi soggetti della devianza:

- il gruppo dell’altro significativo – composto da coloro che esercitano una influenza autorevole

sul singolo;

- agenzie del controllo sociale tra cui le autorità pubbliche;

- il gruppo della società in senso lato – definisce il confine tra buoni e cattivi sollecitando l’azione

delle autorità.

Schur avrebbe potuto aggiungere anche la categoria dell’autoetichettamento cioè l’etichetta che ognuno di noi in base alla nostra coscienza ci diamo.

Alcuni criminologi hanno criticato la teoria dell’etichettamento affermando che essa manca di sufficienti riscontri empirici, altri perché è troppo semplicistica. In realtà esse è abbastanza complessa ed è solo una faccia della medaglia (l’altra è costituita da fattori concorrenti all’atto originario). Un diverso modo di considerare le etichette è quello di definirle “categorie” e quindi generalizzarle. Alcuni autori hanno concentrato i loro studi sulla vergogna che è ovvia estensione dell’etichettamento.

Melossi sviluppa la teoria fondata dell’etichettamento in cui le motivazioni di individuali vanno integrate ad un contesto storico sociale definito.

Gusfield infine include l’etichettamento tra le forze necessarie per mantenere l’ordine sociale; egli ne individua quattro tipi:

1) devianti malati – persone incapaci di controllare i loro comportamenti (rafforzano l’ordine

sociale);

2) devianti pentiti – persone che si sono ravvedute del loro comportamento e che svolgono

attività di volontariato in favore di altri deviati (es. ex alcolisti);

3) devianti cinici – persone consapevoli di comportarsi in modo deviante, ma non se ne

curano né si pentono (minacciano l’ordine sociale);

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4) devianti nemici – persone che sono convinte che il loro comportamento non è sbagliato ma

essere sbagliate sono le regole sociali, essi minacciano l’ordine sociale sia violando le

regole che tentando di istituirne di nuove.

Implicazioni politiche

Le teorie dell’etichettamento hanno dato impulso a nuove sperimentazioni che hanno preso quattro direzioni diverse:

1) la diversion – deriva dalla tesi che le etichette possono provocare danni e quindi vanno

evitate;

2) l’equità processuale – sosteneva che le diverse caratteristiche individuali possono produrre

reazioni diverse che si possono ripercuotere in un diverso trattamento processuale;

3) la depenalizzazione – era chiesto che determinati comportamenti in particolare quelli legati

allo status di minore (es. fuggire da casa, vagabondare) non fossero puniti con la prigione

perché ciò aumentava la possibilità di apprendere comportamenti criminali dagli altri

prigionieri, infatti, il sistema fu successivamente corretto e i minori sono affidati ai servizi

sociali.

4) La de istituzionalizzazione – grazie a tale politica alla fine degli anni 60 i malati di mente,

tranne i casi estremi, furono dimessi dai manicomi, che furono chiusi, e affidati a strutture

sanitarie aperte.

CAPITOLO 9

TEORIA DEL CONFLITTO

La teoria del conflitto si basa sull’assunto che a caratterizzare la società sia la conflittualità più che il consenso.

Vi sono due filoni:

- le teorie pluraliste per le quali in ogni società esistono gruppi diversi, a dimensione variabile e

durata temporanea, che lottano per tutelare i loro interessi in determinati ambiti;

- le teorie del conflitto di classe per cui in ogni società vi sono due classi, due gruppi sociali che

tentano di assumere una posizione dominante sull’altro.

Dunque le teorie del conflitto non si interessano del comportamento individuale ma della genesi e applicazione delle norme.

1 – IL CONTESTO DELLA TEORIA

Il contesto sociale

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Il decennio compreso fra il 1065 e 1975 fu per la società americana un periodo inquieto; le delusioni delle questioni sociali irrisolte e il successo ottenuto dal movimento per i diritti sociali, spinsero molti gruppi, fino ad allora senza potere, quali le donne, omosessuali e studenti, a manifestare per ottenere legittimazione politica e pari opportunità.

Si assiste a grandi manifestazioni giovanili specialmente contro la guerra del Vietnam; ciò rifletteva lo spirito dei giovani che metteva in discussione i valori delle classi medie; perfino il codice penale era considerato un prodotto del potere di gruppi che lo usavano per imporre i propri valori. Infine lo scandalo Watergate gettò un’ombra di sospetto sulla moralità e integrità dello stato americano.

Il contesto intellettuale

Per certi versi le teorie del conflitto si svilupparono da quelle dell’etichettamento ma a differenza di queste i sociologi dell’epoca iniziarono a porsi delle domande sulla natura delle strutture sociali e sul sistema legale.

2 – LA PROSPETTIVA TEORICA

Vi sono varie versioni di teoria del conflitto che si basano tutte sull’assunto che la conflittualità è un elemento naturale della società. Distinguiamo versioni conservatrici e versioni critico – radicali.

La teoria del conflitto: versione conservatrice

Le teorie conservatrici si basano sul concetto di “potere”, nel senso che i conflitti insorgono tra gruppi che tentano di esercitare un controllo su eventi o situazioni particolari e per i quali è cruciale la detenzione delle risorse. Infatti sarà vittorioso il gruppo che detiene il controllo del territorio, dei mezzi finanziari e del potere politico. (esempio di potere e interessi particolari sono le sessioni parlamentari dove i gruppi con la persuasione o la corruzione tentano di influenzare i legislatori)

Gli individui che occupano le posizioni sociali più alte hanno più risorse e dunque più potere e riescono così ad influenzare le decisioni sociali, ad imporre i loro valori. Anche le leggi, essendo una risorsa, rafforzano il potere dei gruppi dominanti che le emanano e le applicano a loro beneficio; ne deriva che la legge incarna i valori di questi gruppi pertanto criminalizza maggiormente i comportamenti degli individui che appartengono ai gruppi perdenti.

VOLD sottolinea come una società sia strutturata in gruppi in competizione tra loro; tale conflitto nasce quando interessi e scopi tendono a sovrapporsi, sconfinando nel campo altrui e scatenando la competizione.

TURK vede l’ordine sociale come il prodotto del tentativo dei gruppi dominanti di controllare la società; ciò avviene immettendo i valori nelle leggi e influenzando le autorità che le devono applicare. Nella relazione autorità – soggetto egli definisce criminali i trasgressori delle norme sociali che non riescono a percepire anticipatamente

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il risultato delle proprie azioni, ciò accade per esempio ai giovani in quanto individui più semplici. Questa relazione autorità – soggetto e i più deboli sottomessi ai più forti, portano questo autore ad indicare due modi per controllare la società:

- la coercizione o l’uso della forza , in questo caso più una popolazione è costretta dalle autorità

ad obbedire più è difficile controllarla;

- il sistema legale e i tempi di vita, per il primo la legge è ritenuta più importante delle persone

per cui una legge modellata sui gruppi dominanti si trasforma in una forma di controllo sottile;

per quanto riguarda i sistemi di vita in una società dove si alternano coercizione e controllo i

tassi di criminalità sono più elevati inoltre maggiore è il potere del gruppo dominante più alta

sarà la criminalizzazione di quello subalterno.

QUINNEY elaborò la teoria della realtà sociale del crimine che articolò in sei proposizioni. Egli considera il crimine come prodotto dalla reazione sociale e in particolare di coloro che detengono il potere politico, che non solo reagiscono a certi comportamenti, ma definiscono le condotte criminali creando le norme per tutti i comportamenti considerati indesiderabili. Così il comportamento criminale è socialmente costruito e lo stesso si può dire per quello legale.

La teoria del conflitto: versione radicale

La maggior parte delle versioni radicali delle teorie del conflitto si richiamano agli scritti di Karl Marx (benché le posizioni radicali spaziano dall’anarchismo al marxismo, dal materialismo economico alla teoria delle diversità dei valori).

La prima versione di questa teoria è rappresentata dal lavoro di Chambliss: la sua analisi della legislazione inglese sul vagabondaggio mise in evidenza che la creazione e le modifiche di questa legge fossero il riflesso degli interessi delle classi dominanti. Chambliss e Seidman nel loro lavoro “Law, Order and Power” affermavano che le classi dominanti controllano le risorse e usano la legge come mezzo di controllo.

Il dominio di classe avviene in due modi:

- creando leggi centrate sui comportamenti delle classi inferiori

- diffondendo il mito della legge come strumento al servizio di tutti, coinvolgendo le classi

inferiori al controllo di se stesse:

CRIMINOLOGIA MARXISTA

Marx attribuiva le cause del conflitto sociale sia alla scarsità di risorse che alle disuguaglianze storiche della loro distribuzione a causa del potere. Questo squilibrio generava un conflitto di interessi tra le due classi economiche della società, il proletariato e la borghesia. Oggetto del conflitto di classe era il controllo dei mezzi di produzione ovvero il possesso e il controllo della proprietà privata. La lotta di classe era originata dallo sfruttamento della classe lavoratrice portata a credere (falsa coscienza)

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che il capitalismo servisse anche i loro interessi, ma preso coscienza della reale posizione nella società questa classe ha iniziato a lottare contro la classe dominante fino a produrre una rivoluzione che avrebbe rovesciato le struttura di dominio e affermata una società senza classi , in un mondo socialista privo di ogni forma di sfruttamento economico.

I criminologi marxisti individuarono tre connessioni tra lotta di classe e criminalità:

1) la legge è di per sé uno strumento in mano alle classi dominanti

2) tutti i tipi di criminalità ,nei paesi capitalisti, sono il prodotto delle lotte di classe

3) la criminalità si può spiegare attraverso la relazione con i mezzi di produzione.

CONCETTI PRINCIPALI DELLA CRIMINOLOGIA RADICALE

Le versioni radicali e marxiste ella criminologia utilizzano altri 5 concetti:

1) classe sociale – è un elemento costitutivo del capitalismo che genera borghesia e

proletariato;

2) economia politica – in essa si distinguono le istituzioni e le strutture economiche cioè i

modi in cui sono organizzate multinazionali, sistemi monetari e borse per assicurare il

profitto alla borghesia, ciò crea disuguaglianze economiche e sociali;

3) disgregazione familiare – se il controllo esercitato sui lavoratori è di tipo autoritario, ciò

crea ostilità che si ripercuote sulle altre relazioni dell’individuo con la scuola, la famiglia e il

gruppo dei pari, dando origine ad ambienti indesiderabili. Inoltre questi genitori useranno

lo stesso tipo di controllo sui figli che avranno così più probabilità di comportamenti

devianti;

4) le condizioni economiche – la disoccupazione è la variabile più associata alla criminalità;

5) il plusvalore è lo sfruttamento capitalista della differenza fra costi di produzione e valore

del prodotto (sfruttamento della mano d’opera a basso costo), ciò provocare crimini contro

la proprietà.

REALISMO DI SINISTRA

Negli anni 50 in G.B. è emersa una nuova forma di criminologia radicale che traduce le idee radicali in una politica sociale realista che è molto simile alla teoria dell’etichettamento di Melossi. Negli Stati Uniti l’obiettivo di questa nuova forma fu di fornire ai policymakers analisi specifiche della criminalità e politiche criminali. I realisti affermano che la criminalità è un problema di tutti i tipi di società, produce una perdita della qualità della vita in tutte le classi sociali e in particolare in quella operaia. Jones, McLean e Young elaborarono 4 variabili per spiegare la criminalità: la vittima, il reo, lo stato e la comunità.

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LA CRIMINOLOGIA ANARCHICA

L’anarchia è una teoria radicale diversa dal pensiero marxista; gli anarchici si oppongono a ogni forma i gerarchia, sfidano tutte le forme di dominio (politiche, religiose o di altro genere). FERREL sostiene che il dominio non è raggiunto solo attraverso la coercizione ma anche attraverso strutture della conoscenza, della percezione e della comprensione; ciò significa che dominare implica il modo in cui definiamo, percepiamo e comprendiamo la realtà circostante; se essa è definita da altri, gli anarchici ritengono che a costoro dobbiamo opporci. Un criminologo anarchico, quindi, cerca di demitologgizzare i concetti che stanno dietro al sistema penale e all’ordine legale su cui si basa preferendo, al loro posto, un nucleo di idee e di ragionamenti e un mondo ambiguo caratterizzato da cose incerte, senza scopi o significati concreti.

3 – CLASSIFICAZIONE DELLA TEORIA

Le teorie del conflitto danno per scontato che la società si basi sul conflitto più che sul consenso, ponendo particolare attenzione alla struttura politica in particolare alla produzione e applicazione delle leggi. Ha prospettive classiche che mettono in rilievo più la criminalità che i criminali. Sono teorie strutturali più che processuali e vanno classificate tra le macroteorie.

4 – SVILUPPI SOCIALI E IMPLICAZIONI POLITICHE

Implicazioni attuali

Le attuali teorie del conflitto seguono due strade:

- la prima affronta lo studio dei differenziali di potere tra i gruppi e i processi dicriminatori; in

materia vi sono risultati controversi, molti teorici ritengono la discriminazione un falso

problema e considerano rilevante solo lo studio delle leggi infatti tutti i membri della società

sono sottoposti a procedure eque anche se sono prodotte leggi discriminatorie per certi gruppi

sociali.

- La seconda direzione riguarda la trascendenza delle idee dominanti sul controllo sociale, che

cerca di sviluppare nuove concezioni che non siano basate sulle analisi tradizionali; la

criminologia moderna ha quattro filoni: la criminologia realista, quella pacifista, una nuova

forma di criminologia radicale femminista e una teoria post-moderna o decostruttivista.

Implicazioni politiche

Le teorie del conflitto hanno contribuito a suscitare un maggior interesse verso il sistema penale. In una visione più ampia i criminologi radicali propongono di eliminare razzismo e maschilismo dal sistema penale e da tutta la società, di accrescere le opportunità di lavoro, di migliorare la formazione nonché di ridurre le disuguaglianze e la stratificazione sociale.

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CAPITOLO 10

TEORIA DEL CONTROLLO SOCIALE

La teoria del controllo indica tutti gli approcci analitici che studiano il controllo del comportamento umano

( genetica, neurochimica, personalità e ambiente).

Le teorie del controllo sociale attribuiscono le cause della criminalità e della delinquenza a variabili di tipo sociologico (struttura familiare, istruzione e gruppo dei pari); esse non si pongono la domanda cosa fa delle persone dei criminali ma piuttosto perché le persone rispettano le regole; tenta perciò di spiegare i fattori che impediscono alle persone di diventare criminali. Le teorie del controllo sociale possono essere definite teorie della socializzazione in quanto attraverso il processo di socializzazione sono insegnate le regole e le norme (il fare le cose in modo giusto) informalmente in famiglia e formalmente a scuola.

1 – IL CONTESTO DELLA TEORIA

Il contesto sociale

La teoria del controllo sociale abbraccia molti anni per cui l’analisi delle sue matrici sociali riguarda più la recente popolarità che non le sue origini. L’avvicendarsi negli anni di movimenti e teorie non deve farci pensare che tutti i cittadini avessero posizioni di protesta, anzi la maggioranza erano conservatori, tuttavia nonostante questi ultimi abbiano contribuito alla popolarità di queste teorie esse non sono di per sé conservatrici.

Il contesto intellettuale

Le versioni attuali della teoria si sono originate in alternativa alle teorie della tensione; successivamente sono sorte come critica alle teorie dell’anomia e della subcultura; anche le idee della scuola di Chicago e soprattutto il concetto di disgregazione sociale hanno contribuito al suo sviluppo. Inoltre esse sono state associate alla tecnica di inchiesta self – report basate sull’autodenuncia (teoria di Hirschi).

2 – LA PROSPETTIVA TEORICA

La teoria del controllo sociale di Durkheim

Durkheim teorizzò che all’interno di ogni società la devianza è un fenomeno normale perciò la criminalità è presente in ogni tipo di società. Se questo è vero significa che la criminalità svolge una funzione specifica nelle struttura sociale, secondo Durkheim la

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devianza contribuisce a mantenere l’ordine sociale ed è la reazione sociale a determinati atti che ne stabilisce la conformità o meno.

Per dimostrare questa tesi lo studioso fece l’esempio della “società dei santi”; in questa società senza crimini pure ci sarebbe una criminalità come per esempio non dire la preghiera prima di ogni pasto, che per noi sarebbe un comportamento irrilevante, è considerato qui una insidia per l’ordine sociale e pertanto necessita di un controllo. Inoltre Durkheim metteva l’anomia in relazione al controllo, se in una società cominciano a incrinarsi le relazioni sociali e le norme, anche il controllo si deteriora e ciò porta alla criminalità e al suicidio.

Teorie del controllo sociale basate sulla personalità

Dopo Durkheim il concetto di controllo sociale ha subito diversi adattamenti e i concetti di personalità e socializzazione sono entrati a far parte di molti lavori sociologici sulla devianza. Le tesi di REISS rappresentano il miglior riassunto della teoria del controllo sociale, egli affermò che la delinquenza era il prodotto parziale o totale di:

1) mancato sviluppo, durante l’infanzia di un adeguato autocontrollo;

2) allentarsi di questo autocontrollo;

3) assenza di (o conflitto con) quelle regole sociali introiettate dall’influenza dei gruppi sociali

(famiglia, scuola, gruppo dei pari).

Teorie del contenimento

Walter Reckless nella sua teoria, spiega sia la devianza sia la conformità come un’interazione tra la forma di controllo interna e quella esterna; non sostenne mai di poter spiegare tutte le forme di devianza anzi considerò la sua teoria a medio raggio. Escluse dalla sua analisi sia i comportamenti derivanti da pulsioni interne (psicosi, nevrosi, distorsioni della personalità) sia quelli causati dal ruolo svolto (imposizioni subculturali e criminalità organizzata). Il contenimento interno è presentato come una componente del Sé (autocontrollo, buon livello di autostima, un ego forte, un super ego sviluppato, alto grado di responsabilità, capacità di trovare modi alternativi di soddisfazione ecc.). Le persone dice Reckless possiedono una concezione di sé che si forma in età molto giovane e avere una buona concezione di sé funge da ammortizzatore alle influenze esterne poiché tutti facciamo esperienza delle spinte e attrazioni verso il crimine. Se queste spinte si trasformano o meno in atti criminali dipende dalla forza di contenimento interno ed esterno di ognuno; se la concezione del sé è negativa, i controlli sociali hanno effetti marginali, se al contrario è positiva allora gli individui anche in presenza di un controllo sociale debole riescono a non essere devianti. Il contenimento esterno è costituito dunque dall’ambiente sociale (famiglia, scuola, disciplina, alternative alle devianze, avere un’identità e un senso di appartenenza).

Le teorie del legame sociale

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Il concetto di controllo sociale esterno assume un ruolo primario nel lavoro realizzato da Matza e Sykes. Gli studiosi ipotizzano che gli individui diventano liberi di essere delinquenti usando le tecniche di neutralizzazione che consentono di sospendere temporaneamente la loro fedeltà ai valori sociali.

Essi hanno elencato cinque forme di neutralizzazione:

1) negazione della responsabilità – non volevo farlo;

2) negazione del danno – non intendevo fare del male a nessuno;

3) negazione della vittima – mi hanno portato fino a questo punto;

4) condanna di chi condanna – ce l’hanno con me;

5) richiamo a lealtà più alte – non l’ho fatto per me.

In un lavoro successivo Matza tratta il legame con l’ordine morale che indica il legame esistente tra gli individui e i valori sociali dominanti. Per l’autore la devianza è spiegata dalla neutralizzazione che una volta messa in atto colloca l’individuo in una sorta di limbo o deriva che rende più accessibile l’atto criminale. A questo punto l’individuo può rientrare nella conformità o divenire deviante ciò dipende dalla sua volontà che si attiva in due modi: la preparazione, che rimette in moto vecchi comportamenti; la disperazione che accelera i nuovi comportamenti. Questi due modi tolgono l’individuo dalla deriva e provocano un certo tipo di condotta che sarà conforme o deviante in relazione alla situazione e alla tecnica di neutralizzazione adottata.

La teoria del controllo sociale di HIRSCHI

Hirschi non divide gli individui in conformi e devianti ma ritiene, come Durkeim, che ogni comportamento riflette gradi diversi di moralità e che il potere delle norme interiorizzate, la coscienza e il desiderio di approvazione incoraggiano comportamenti conformi. Egli ritiene che ogni persona è libera di intraprendere la via della delinquenza e questa scelta è dovuta all’indebolimento o alla rottura dei legami sociali. Nella sua visione gli individui sono mossi da interessi egoistici e agiscono in modo da ottenere maggiori benefici possibili, la società serve per limitare questi interessi ma, se i limiti si indeboliscono, automaticamente il comportamento egoista si manifesta.

Hirschi distinse nei legami sociali quattro elementi:

1) attaccamento – la forza dei legami verso altri significativi (genitori, amici) o verso le istituzioni

(scuole, associazioni) può inibire la devianza;

2) coinvolgimento – è il grado di attività, di tempo ed energia a disposizione di ogni

comportamento;

3) impegno – è l’investimento che un individuo ha effettuato nella società conforme (istruzione,

buona reputazione);

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4) convinzione – riguarda il riconoscimento della validità delle regole sociali vigenti che è sentito

come un obbligo morale basato sul rispetto di valori condivisi.

Hirschi non affronta quanto l’assenza o la debolezza di uno degli elementi del legame sociale influenzi gli altri, certo è che la libertà di scegliere un comportamento deviante cresce in proporzione all’indebolimento anche di uno di essi. Infine è da dire che questa teoria, come le altre del controllo sociale sono vincolate alla metodologia del self – report in quanto l’uso di altri metodi quali statistiche ufficiali o i dati di vittimizzazione, la penalizzano.

3 – TEORIA GENERALE DELLA CRIMINALITA’ DI GOTTFREDSON E HIRSCHI

I due autori hanno basato la loro teoria sull’esame del reato e sulla criminalità, infatti, i punti chiave sono le inclinazioni alla criminalità e le condizioni in cui tali inclinazioni si trasformano in reati. Per estendere il concetto di reato a più forme di crimini (es. i colletti bianchi) essi lo ridefinirono affermando che i crimini sono atti di forza o frode intrapresi per raggiungere uno scopo individuale. Gottfredson e Hirschi erano convinti che il crimine è soprattutto un problema di autocontrollo in particolar modo quando si tratta di valutare le conseguenze dell’atto. Secondo gli autori è il modo di educare i bambini che influenza certe inclinazioni; i tratti criminali fanno parte di della natura umana e la mancanza di socializzazione aumenta la probabilità per il bambino di divenire deviante; inoltre gli autori vedono il crimine come un evento collocato nello spazio e nel tempo e che necessita di vari fattori affinché possa verificarsi anche se gli individui predisposti ne siano attratti.

4 – CLASSIFICAZIONE DELLA TEORIA

Le teorie del controllo sociale sono positiviste, in quanto si sforzano di spiegare il comportamento anche se si concentrano su quello conforme; analizzano il processo di indebolimento dei legami sociali più che le ragioni strutturali della sua esistenza; sono teorie orientate verso una visione consensuale della società postulando l’esistenza di un ordine morale dominante anche se il conflitto sembra inevitabile data la natura umana neutra o malvagia (Hobb). Infine esse sono microteoriche perché indagano l’eziologia del crimine più che la struttura sociale. La teoria dell’autocontrollo è processuale e consensuale, positivista e microteorica con una componente macro (strutturazione dell’educazione dei figli).

5 – SVILUPPI ATTUALI E IMPLICAZIONI POLITICHE

La teoria del controllo sociale spiega bene la piccola devianza poiché si basa sulle indagini self – report che si sono concentrate su reati minori.

Hirschi dimostrò anche una relazione tra attaccamento e delinquenza nel senso che esiste una correlazione positiva tra amicizia e delinquenza; in effetti l’attaccamento al gruppo dei pari incide sugli atti criminali che a loro volta influenzano i legami con la scuola così che l’indebolimento dei legami sociali potrebbe essere considerato l’effetto e non la causa della delinquenza.

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Nella teoria è anche importante l’ipotesi della maturazione del crimine il fenomeno per cui molti delinquenti abbandonano i comportamenti devianti senza alcun intervento esterno, Hirschi ipotizza che se i minori e i giovani aumentano il loro impegno in attività conformi giungono a una maturazione che conduce fuori della criminalità.

Per quanto riguarda le implicazioni politiche le teorie del controllo suggeriscono di usare politiche ispirate al buon senso; ne sono un esempio i programmi ricreativi ,le associazioni, gli eventi sportivi che cercano di coinvolgere i bambini partendo dal concetto che più attività conformi essi intraprendono, minore sarà il tempo a loro disposizione per le eventuali attività devianti.

Secondo la teoria dell’autocontrollo punizioni più severe, aggressione delle cause (combattere l’abbandono scolastico) e riducendo la povertà o altre piaghe sociali, non danno il risultato che si attende, perché queste misure non riducono gli impulsi a commettere reati. Per ridurre la criminalità bisogna, secondo la teoria del basso autocontrollo, rafforzare la socializzazione dei bambini tra i sei e gli otto anni e dunque bisogna migliorare le politiche volte a migliorare le capacità delle istituzioni familiari.

CAPITOLO 11

TEORIA DELL’APPRENDIMENTO SOCIALE

La teoria dell’apprendimento sociale comprende due teorie quella di Jeffery, di stampo psicologico e quella di Akers che è una estensione della teoria dell’associazione differenziale di Sutherland. Entrambe le teorie si basano sulla psicologia comportamentista, Jeffery si rifà all’approccio di Skinner, mentre Akers si basa sulle varie teorie dell’apprendimento sociale.

1 - IL CONTESTO DELLA TEORIA

All’inizio degli anni 60 gli psicologi erano convinti che molti problemi di comportamento potessero essere affrontati con le terapie comportamentali dell’epoca. Le scuole psicologiche, coinvolte nel progetto di Great Society, sperimentarono nuovi modelli per modificare il comportamento e li applicarono nelle scuole ( vedi es. film arancia meccanica). Anche nelle carceri e nel sistema giudiziario minorile furono applicati programmi sperimentali tesi alla modificazione del comportamento, applicati all’interno delle istituzioni e sostenuti da finanziamenti statali. Alla fine del decennio però i movimenti politici radicali si opposero all’uso di queste tecniche ritenendole strumenti delle classi dirigenti per sottoporre al lavaggio del cervello chi minacciava lo Stato.

2 – LA PROSPETTIVA TEORICA

Le prospettive dell’apprendimento operante e sociale

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La teoria dell’apprendimento operante si occupa delle conseguenze dei comportamenti individuali sull’ambiente sociale e sulle ricadute di questi effetti sull’individuo. Secondo Skinner ogni comportamento prende forma e persiste in seguito alle sue conseguenze; ogni comportamento aumenta o diminuisce a seconda che sia oggetto

di rinforzo o di punizione.

Nella psicologia skinneriana si possono distinguere sei elementi:

1) il rinforzo positivo – elargisce una ricompensa

2) il rinforzo negativo – evita una punizione

3) la punizione – riduce la frequenza di ogni comportamento cui consegue

4) l’assenza di ricompensa – è una forma di punizione che consiste nell’eliminare la ricompensa

conseguente ad un certo comportamento

5) gli stimoli discriminanti – sono presenti sia prima sia durante un certo comportamento e

avvisano dell’arrivo di una ricompensa o punizione; essi fungono da sollecitazioni che aiutano

l’individuo a scegliere la condotta appropriata. La società è costituita quasi totalmente da

stimoli discriminanti (es. la pubblicità)

6) la previsione delle conseguenze – l’individuo è influenzato maggiormente dalle conseguenze

immediate di un certo comportamento; viceversa se aspettiamo a lungo per punire qualcuno,

la punizione perderà i suoi effetti.

La teoria dell’apprendimento sociale considera il concetto di imitazione o modelling come elemento centrale del processo di apprendimento (Bandura); si impara a comportarsi osservando gli altri ovvero si verifica un rinforzo mediato. Questa teoria include nel processo di apprendimento la variabile ambientale, si può apprendere dalle persone che ci circondano ma anche dai film e dalla televisione.

La teoria del rinforzo differenziale di Jeffery

Nella sua teoria Jeffery descrisse i sei elementi del comportamento operante di Skinner a cui ne aggiunse un settimo quello della sazietà e deprivazione: uno stimolo sarà più o meno incentivante secondo la condizione dell’individuo in quel momento (es. una persona ricca -sazio- avrà meno probabilità di rubare danaro rispetto a un povero –deprivato- che considererà il danaro come rinforzo). Secondo Jeffery gli individui vivono in modo diverso le esperienze, gli stimoli hanno significati diversi e producono rinforzi di qualità diversificata; molti stimoli influenzano anche il comportamento criminale e alcuni individui possono essere rinforzati da esso, altri puniti; ciò però nella maggior parte dei casi non avviene immediatamente in quanto le conseguenze si manifestano in modo intermittente. Jeffery ha sottolineato che i rinforzi più importanti sono quelli materiali (soldi e auto) e che non c’è bisogno che i rinforzi siano forniti da altri affinché abbia luogo il comportamento criminale in quanto i risultati costituiscono già un incentivo. Jeffery integra il suo pensiero con la sociobiologia affermando che la qualità

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incentivante di tutti i comportamenti ha origine nel cervello in quanto contiene i centri del piacere e del dolore che mediano e interpretano gli stimoli. I rinforzi sociali hanno perciò solo un ruolo secondario ed esistono in quanto legati alle forme primarie di rinforzi biologici. Jeffery attualmente ritiene che una teoria generale della criminalità debba avere tre elementi: la genetica, la struttura e le funzioni cerebrali, la teoria dell’apprendimento nonché una comprensione e conoscenza della legislazione penale.

La teoria dell’apprendimento sociale di Akers

Akers e Burgess cercarono di mettere insieme la teoria dell’apprendimento psicologico e l’associazione differenziale; venne fuori una nuova teoria che essi battezzarono teoria dell’associazione – rinforzo differenziale.

Al contrario di Jeffery, Akers considera l’ambiente sociale come la fonte più importante di rinforzi, anzi ipotizza che l’apprendimento del comportamento deviante sia il prodotto dell’interazione sociale; in realtà è la presenza di subculture diverse a farci predire quali stimoli saranno dei veri rinforzi.

In questa teoria le definizioni hanno un ruolo fondamentale, esse rappresentano le componenti morali dell’interazione sociale che ci indicano cosa è giusto e cosa è sbagliato e ci suggeriscono le aspettative relative alle conseguenze di un comportamento. Le definizioni che approvano certi comportamenti svolgono un’azione positiva e avranno una ricompensa (rinforzo positivo); altre definizioni neutralizzano alcune punizioni attese e giustificano il comportamento (rinforzo negativo). La teoria dell’apprendimento sociale afferma che le persone apprendono sia il comportamento deviante sia le definizioni che lo accompagnano.

3 – CLASSIFICAZIONE DELLA TEORIA

La teoria dell’apprendimento sociale è una teoria positivista che verte sul comportamento e suggerisce rimedi e trattamenti della devianza. E’ una microteoria in quanto la sua analisi parte dall’individuo; è procedurale in quanto spiega i processi e le ragioni del comportamento deviante; è consensuale perché pone al centro i valori condivisi benché Jeffery è incline a una lettura consensuale e Akers a quella conflittuale.

4 – SVILUPPI ATTUALI E IMPLICAZIONI POLITICHE

Sviluppi attuali

Molti criminologi hanno tentato di verificare questo approccio teorico in particolare la versione di Akers; attualmente vi sono molti riscontri empirci che indicano la teoria dell’apprendimento sociale come la più adatta per spiegare la delinquenza e la devianza. Vi sono stati altri approcci di questa teoria, tra questi Glaser propose una teoria dell’anticipazione differenziale rielaborando la teoria dell’associazione differenziale; egli affermò che sono le aspettative a determinare la condotta distinguendone tre fonti: legami sociali pro e contro il crimine, apprendimento differenziale, opportunità percepite. L’idea principale di Glaser è che un individuo

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commetterà un reato quando il guadagno che si aspetta di ottenere (anticipato) supera la punizione prevista; naturalmente queste aspettative sono apprese dal proprio ambiente sociale.

Implicazioni politiche

Vi sono diversi esempi di progetti di modificazioni del comportamento applicati a detenuti e delinquenti; i progetti prevedevano un programma di ricompensa per i detenuti che si comportavano bene e di punizioni per quelli che continuavano a comportarsi male. Lo schema definito M&M attraverso varie fasi l’individuo apprende un nuovo comportamento; le persone riescono ad acquisire nuove forme di condotta ma una volta allontanati dall’ambiente controllato il comportamento appreso tende a scomparire.

Un’altra applicazione politica della teoria dell’apprendimento sociale è il design ambientale. Jeffery ha collaborato al design di negozi strutturati in modo da rendere più difficile realizzare un crimine.

Altre politiche comprendono l’insegnamento delle definizioni conformi nelle scuole, la divulgazione dei valori religiosi e di quelli insiti nelle leggi, nonché la trasmissione del comportamento conforme mediante l’istruzione.

CAPITOLO 12

TEORIE RAZIONALI

Le teorie razionali comprendono una vasta gamma di teorie psicologiche e sociologiche, tra esse troviamo le teorie degli stili di vita e quelle delle attività di routine.

1 – IL CONTESTO DELLA TEORIA

Il contesto sociale

Gli anni 80 sono caratterizzati da un’egemonia politica, culturale ed economica di stampo conservatore; gli americani si sono sentiti minacciati dagli eventi di questi anni (crisi petrolifera e incidenti ostaggi iraniani) per questo si sono rifugiati nei valori tradizionali. La giustizia penale e la criminalità vede in questo periodo un aumento di controllo e limitazione del crimine e di politiche punitive. I criminali erano visti come persone malvagie che meritavano di essere puniti, l’opinione pubblica americana ha

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creduto allora che l’unica risposta alla criminalità fosse di inasprire le pene e essere meno tolleranti.

Il contesto intellettuale

Negli anni 80 la teoria criminologica fu definita uno spreco di danaro e di energie, l’America pensò di aver bisogno di cose semplici: un sistema penale più efficiente, un numero maggiore di prigioni e più polizia per le strade.

Nonostante la teoria della personalità criminale di Yochelson e Samenow che cercava di spiegare perché i criminali pensassero in modo diverso i criminologi di questo periodo ritornarono alle idee della scuola Classica: razionalità degli esseri umani, deterrenza e punizione, questa nuova criminologia fu definita neoclassica e la sua ossatura era costituita dalle statistiche sulla vittimizzazione.

2 – LA PROSPETTOVA TEORICA

Ispirandosi all’approccio economico i teorici razionali ogni volta che analizzano le scelte dei criminali di commettere un reato, si esprimono in termini di opportunità, costi e benefici, riportando così la criminologia nella teoria classica con cui condivide la visione edonista della razionalità. L’idea della teoria era che bisognava individuare ciò che sta alla base della decisione di commettere un reato su cui influiscono fattori quali: facilità a commettere un reato, disponibilità di bersagli interessanti, presenza o meno di testimoni.

TEORIA DELLE ATTIVITA’ DI ROUTINE

La teoria delle attività di routine di Cohen e Felson si connetteva sia alla vittimologia che al nuovo approccio ecologico alla prevenzione della criminalità. La teoria sostiene che la quantità di crimini è collegata alla natura degli schemi quotidiani di interazione sociale; se uno schema subisce un cambiamento, cambia anche il numero dei reati. Le attività di routine sono quelle attività regolarmente svolte per soddisfare i bisogni primari (es. lavoro, tempo libero, allevare i figli, dormire) e quando queste sono sconvolte dai mutamenti sociali si può provocare un processo di disgregazione sociale (in questo senso la teoria può essere considerata come una continuazione della scuola di Chicago).

I tre elementi costitutivi del reato secondo questa teoria sono:

1) la presenza di un aggressore motivato;

2) la presenza di una vittima designata;

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3) l’assenza di un guardiano capace e che nessuno tra i presenti sia in grado di impedire che il

reato sia commesso.

L’approccio teorico che originalmente comprendeva solo la vittimizzazione diventa anche teoria dell’aggressione, Felson e altri autori sostengono che una socializzazione non strutturata e non vigilata può aumentare la devianza, ciò accade a causa della mancanza di figure investite di autorità, di una riduzione del controllo sociale, di una disponibilità di tempo libero e di un aumento delle probabilità di ricompensa per il comportamento deviante.

TEORIA DEGLI STILI DI VITA

Secondo questa teoria alcune categorie sociali hanno stili di vita che le pongono più a rischio di essere vittime di atti criminali. Per Hindelang, Gottfredson e Garofalo certi stili di vita comportano l’esistenza di tassi di vittimizzazione diversi. Gli stili di vita, a loro volta sono influenzati da tre elementi:

- i ruoli sociali che le persone ricoprono all’interno della società;

- la posizione nella struttura sociale, più alta è la posizione meno si rischia la vittimizzazione;

- la componente razionale che fa decidere quale comportamento sia desiderabile.

In base al ruolo e alla posizione sociale, si può decidere se limitare le attività di routine o accettare il rischio; i giovani, ad esempio, scegliendo attività più rischiose nello spazio e nel tempo (frequentare discoteche o eventi sportivi) aumentano la probabilità di essere vittimizzati.

PROSPETTIVA DELLA SCELTA RAZIONALE

La teoria della scelta razionale spiega la motivazione dell’aggressore a compiere l’atto criminale come tentativo di soddisfare bisogni ordinari. La razionalità è il processo decisionale con cui stabiliamo le opportunità per soddisfare tali bisogni, i costi potenziali dell’azione e i benefici previsti.

I teorici della scelta razionale dividono il processo decisionale in due aree:

- le decisioni di coinvolgimento ovvero scegliere di essere coinvolti, continuare o ritirarsi dal

reato (calcolo tra costi e benefici);

- le decisioni di evento, stabilire cioè la tattica per compiere l’atto criminale.

I teorici puntano l’attenzione sulla prevenzione dei singoli tipi di reato, prevenzione che si fonda sulla riduzione delle opportunità e della desiderabilità di specifici reati.

3 – CLASSIFICAZIONE DELLE TEORIE

Le teorie razionali sono classiche perché si caratterizzano per il libero arbitrio; sono consensuali in quanto l’individuo decidendo di commettere un crimine sceglie di opporsi

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all’ordine sociale; sono microteoriche e procedurali perché sottolineano la natura individuale della decisione.

4 – SVILUPPI ATTUALI E IMPLICAZIONI POLITICHE

I teorici hanno fuso le attività di routine e gli stili di vita in una unica teoria, in particolare per spiegare i reati sulla proprietà. La teorie razionali poiché ritengono gli aggressori pienamente responsabili delle loro azioni è un approccio molto vicino alla pubblica opinione, in primo luogo perché i criminali meritano e vanno puniti non avendo saputo valutare le conseguenze del loro gesto e in secondo luogo perché queste teorie mettono in risalto le vittime. I programmi di assistenza alle vittime, infatti, prevedono la loro preparazione ad affrontare il processo penale, inoltre responsabilizzano le vittime potenziali a individuare e prevenire le situazioni a rischio. Infine i concetti di guardiano capace e bersaglio designato fanno emergere l’importanza di misure relative al territorio, come l’intensificazione della sorveglianza nei quartieri, l’illuminazione di aree buie, la protezione dei bersagli.