Dentro 1/2015

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“DENTRO” la voce della Casa Circondariale di Trento 1 “Dentro” vuole essere la voce della Casa Circondariale di Trento, pertanto la voce di tutti quelli che ci vivono e vi operano. Della redazione fanno parte alcuni detenuti che si ritrovano due volte in settimana, il martedì e il venerdì, per dibattere e discutere di argomenti vari e con il proposito di scrivere su questo giornalino. Per scrivere su questo giornalino non è necessario far parte del gruppo di redazione. Se qualcuno è interessato a farci giungere la propria voce attraverso uno scritto, un disegno, un commento, una valutazione, è bene accetto. Il progetto di questo giornalino è sostenuto da APAS (Associazione Provinciale di Aiuto Sociale) ed è coordinato da Annalisa Dolzan e Piergiorgio Bortolotti. Hanno partecipato alla realizzazione di questo numero: Bruna, Narcisa, Ivan, Vittorio Kristo, Nunzio, Claudio Supplemento al n° 1 del 2015 di Oltre il muro 2 ANNI DENTRO Mentre scrivo spira un vento forte e il cielo è carico di pioggia: con questo tempo a nessuno viene voglia di uscire; mi è capitato spesso, però, di passeggiare al sole, lungo il fiume Adige, libera da impegni e da pensieri, e riflettere che quel lungofiume verde scuro spettinato dalla brezza, il sole nel cielo percorso dagli uccelli e dal passaggio allegro delle prime farfalle hanno il gusto ed il senso ineffabile della parola “libertà”. Inspiegabile e imprendibile come la farfalla. E come lei, bellissima. Ma non è la sola parola importante che abbiamo condiviso e che avete letto. Col tema della libertà si è aperta nel 2013 la storia di questo giornalino. Nel tempo, si è arricchita: vivide come il cielo, libere come fiori, struggenti e faticose come la vita, sono le parole della redazione, fino a questo numero che tenete in mano ora. L'8 gennaio scorso, infatti, il progetto del giornalino “DENTRO” ha “compiuto” due anni. Negli incontri settimanali che teniamo qui a Spini migliaia di parole sono state scambiate, discusse, scritte, cancellate, ripensate. Pronunciate con rabbia o con dolore, trattenute con malinconia, mescolate a pentimento o speranza. Ognuno, a modo suo, comunica ciò che ritiene importante e così facendo riscrive la sua storia e la realtà. A Spini ho incontrato decine di persone - liberi e detenuti - donne e uomini - giovani e non - italiani e stranieri – colpevoli e innocenti – e a mio ricordo, non c'è stata persona o momento banale. Al contrario, gli incontri e i discorsi fatti in redazione del giornalino spesso mi hanno fatto riflettere anche fuori prigione. Mi hanno fatto pensare all'essere umano e al senso della vita, al significato degli errori, (sia miei che di altri). Ma, forse, più di tutto, le ore dedicate a questo progetto mi hanno fatto sentire quanto è importante (ma a volte estremamente difficile) abbattere i silenzi forzati. Spero che il nostro progetto continui con tanti nuovi numeri, arricchendosi di autori e di stimoli. Rinnoviamo a tutti i lettori e alle lettrici l'invito a partecipare al giornalino: potete anche farci avere illustrazioni, ricette, giochi o disegni, poesie, canzoni o barzellette. Buona lettura! Annalisa

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“DENTRO” la voce della Casa Circondariale di Trento

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“Dentro” vuole essere la voce della Casa Circondariale di Trento, pertanto la voce di tutti quelli che ci vivono e vi operano. Della redazione

fanno parte alcuni detenuti che si ritrovano due volte in settimana, il martedì e il venerdì, per dibattere e discutere di argomenti vari e con il proposito di scrivere su questo giornalino. Per scrivere su questo giornalino non è necessario far parte del gruppo di redazione. Se qualcuno è interessato a farci giungere la propria voce attraverso uno scritto, un disegno, un commento, una valutazione, è bene accetto. Il progetto di questo giornalino è sostenuto da APAS (Associazione Provinciale di Aiuto Sociale) ed è coordinato da Annalisa Dolzan e Piergiorgio Bortolotti. Hanno partecipato alla realizzazione di questo numero: Bruna, Narcisa, Ivan, Vittorio Kristo, Nunzio, Claudio Supplemento al n° 1 del 2015 di Oltre il muro

2 ANNI DENTRO

Mentre scrivo spira un vento forte e il cielo è carico di pioggia: con

questo tempo a nessuno viene voglia di uscire; mi è capitato spesso,

però, di passeggiare al sole, lungo il fiume Adige, libera da impegni e

da pensieri, e riflettere che quel lungofiume verde scuro spettinato

dalla brezza, il sole nel cielo percorso dagli uccelli e dal passaggio

allegro delle prime farfalle hanno il gusto ed il senso ineffabile della

parola “libertà”.

Inspiegabile e imprendibile come la farfalla. E come lei, bellissima.

Ma non è la sola parola importante che abbiamo condiviso e che

avete letto. Col tema della libertà si è aperta nel 2013 la storia di

questo giornalino. Nel tempo, si è arricchita: vivide come il cielo,

libere come fiori, struggenti e faticose come la vita, sono le parole

della redazione, fino a questo numero che tenete in mano ora.

L'8 gennaio scorso, infatti, il progetto del giornalino “DENTRO” ha

“compiuto” due anni. Negli incontri settimanali che teniamo qui a

Spini migliaia di parole sono state scambiate, discusse, scritte,

cancellate, ripensate. Pronunciate con rabbia o con dolore,

trattenute con malinconia, mescolate a pentimento o speranza.

Ognuno, a modo suo, comunica ciò che ritiene importante e così

facendo riscrive la sua storia e la realtà.

A Spini ho incontrato decine di persone - liberi e detenuti - donne e

uomini - giovani e non - italiani e stranieri – colpevoli e innocenti – e

a mio ricordo, non c'è stata persona o momento banale.

Al contrario, gli incontri e i discorsi fatti in redazione del giornalino

spesso mi hanno fatto riflettere anche fuori prigione.

Mi hanno fatto pensare all'essere umano e al senso della vita, al

significato degli errori, (sia miei che di altri). Ma, forse, più di tutto,

le ore dedicate a questo progetto mi hanno fatto sentire quanto è

importante (ma a volte estremamente difficile) abbattere i silenzi

forzati.

Spero che il nostro progetto continui con tanti nuovi numeri,

arricchendosi di autori e di stimoli.

Rinnoviamo a tutti i lettori e alle lettrici l'invito a partecipare al

giornalino: potete anche farci avere illustrazioni, ricette, giochi o

disegni, poesie, canzoni o barzellette.

Buona lettura!

Annalisa

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RITRATTIRITRATTIRITRATTIRITRATTI

E = mc²

n uomo non più giovane, dalla folta criniera scomposta e candida che fa il gesto irriverente della linguaccia; questa, nell’immaginario collettivo, la figura di Albert Einstein, così come la ritrasse il famoso artista della pop art americana Andy Warrol.

Certo si può obiettare circa la qualità artistica - la pop art può piacere o meno- ma non vi è dubbio che tale dipinto riesca, in modo esemplare, a rendere su tela la personalità del grande fisico - filosofo tedesco, la sua irriverenza verso il potere, l’innato senso dell’ironia e del paradosso. Nato a Ulm in Germania nel 1879, Einstein fu spirito partecipe di tutte le inquietudini che attraversarono il suo tempo - i primi terribili cinquant’anni del XX secolo - ed assistette non senza prendere precise posizioni a due guerre

mondiali, la shoa, l’uso del nucleare a scopi militari. Fu un tedesco che detestò i tedeschi ben prima dei campi di sterminio, tanto che all’età di 16 anni rinunziò alla cittadinanza germanica e si fece espellere dal Luitpold Gymnasium di Monaco perché ”la sua presenza in classe è di grave disturbo e reca danno agli altri allievi”. In questo periodo aveva già le idee chiare circa il suo futuro: “non mi trovo molto tra la gente e non sono fatto per la famiglia. Desidero stare in pace. Voglio saper come Dio ha creato l’universo. Mi interessa il suo pensiero, tutto il resto è marginale”. L’idea che il cosmo sia un tutto ordinato non lo abbandonò mai, perché “Dio è elusivo ma non malizioso”, ed è certo che “non gioca a dadi con il mondo”. Nemmeno quando la quantistica introdusse il principio di indeterminazione si rassegnò a pensarla diversamente, e cercò fino all’ultimo giorno della sua vita

una legge di natura che avrebbe collegato non più semplici probabilità, ma dati inoppugnabili. Contribuì alla causa del sionismo, ma non come da più parti gli veniva chiesto; lo fece a modo suo, giungendo a ipotizzare un accordo tra ebrei e arabi e, soprattutto, non accogliendo l’accorato invito rivoltogli da Weizman a prendere la direzione della nascente Università di Gerusalemme. Infine, fu pacifista, ma ancora a modo suo: “ho commesso un grande errore nella mia vita quando firmai la lettera al presidente Roosvelt caldeggiando la costruzione della bomba (atomica), ma l’atto non era del tutto ingiustificato, dato il pericolo che la fabbricassero i tedeschi.” Il grande fisico dopo aver lasciato Berlino si trasferì ad insegnare a Princeton, nel New Jersey, a metà strada tra New York e Filadelfia. Una sera giunse una telefonata alla segreteria dell’università: “per favore vorrei parlare con il rettore”, e sentendosi rispondere che questi era già uscito, la voce aggiunse: “forse mi potrebbe dire lei dove abita il Dottor Einstein”. La segretaria che aveva ricevuto espresse consegne rispose di non poterlo fare, ed allora la voce ridotta ad un bisbiglio supplicò: “la prego, non lo dica a nessuno, sono il Dottor Einstein. Vorrei tornare a casa ma ho dimenticato il nome della strada”. Straordinario, come il nido di vespe che l’immenso genio portava sopra la testa.

GIOVANNI

ccade, non di rado, che gioia e malinconia si presentino a braccetto. In questi casi non si può provare l’una senza provare anche l’altra, sono stati d’animo

intrecciati di cui non si può avere una sensazione pura. Me ne convinsi molti anni orsono all’uscita dalla sala di un cinema. Era dicembre ed avevo assistito da poco alla proiezione pomeridiana del film “Fino alla fine del mondo” del cineasta tedesco Wim Wenders. Quel film mi aveva profondamente affascinato ed aveva lasciato la mia anima felice e meravigliata. È la storia di uno scienziato che in una caverna nel deserto australiano si spinge fino al limite dell’impossibile; registrare e riprodurre sullo schermo i sogni della moglie, da tempo caduta in cecità, con l’intento di costruire un macchinario che le restituisca la vista, sebbene nella sua sola forma di vista interiore. Al termine della proiezione di continuo rivisitavo le immagini più belle, quasi volessi fissarle in modo indelebile, ma al contempo sentivo che in tutto ciò si stava consumando qualcosa, che quel film non l’avrei più potuto scoprire, o

U

A

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meglio non ci saremmo più potuti incontrare per una “prima volta”. Fuori nevicava e ricordo che le macchine correvano veloci alzando schizzi di neve fradicia frammista a smog. Forse solo l’incontro con l’arte o con una persona non ordinaria può mettere in tale subbuglio, creare questo dolcissimo corto circuito dell’anima; la tensione tra meraviglia e coeva nostalgia. Giovanni è un uomo di 45 anni. Il suo fisico è robusto, le spalle larghe e le mani grandi di chi nella vita ha lavorato senza risparmiarsi. Il taglio del viso è spigoloso, sebbene addolcito da un naso non particolarmente pronunciato né adunco. Vive in montagna, ha una moglie, due figli e molte passioni. Taglia la legna in autunno, scia durante l’inverno e nelle altre stagioni corre per tenersi in forma. Segue, insomma, il senso radicato nel divenire natura, come ogni individuo consapevole dovrebbe fare. Nel tempo che rimane assiste come volontario gli ospiti della Cooperativa Punto d’Incontro di Trento. Si tratta di servire pasti caldi e rincuorare le persone in uno stato di disagio. Accade spesso, poi, di trovarlo in giardino ad armeggiare con la sua rumorosa motosega, ma quando sente le voci dei suoi bimbi che si avvicinano subito la spegne e la depone a terra. “Il problema è che poi non mi ricordo mai dove l’ho messa”, dice sorridendo. Gioca con i suoi bimbi, Giovanni, e il più piccolo si diverte distendendosi per terra quando lo sente incedere lentamente. “Penso che voglia capire se lo vedo o meno, e non è così innaturale che ciò accada. Mi capita spesso che le persone mi mettano alla prova, per capire”. Ci racconta come “sapersi prendere in giro, scherzare di sé stessi e con sé stessi sia la cosa più importante nella vita di un uomo”. Ma non si tratta di un’ (auto) ironia vuota che vuole appropriarsi del nulla, di uno scetticismo che annichilisce ogni possibile senso delle cose; nel caso di Giovanni è piuttosto un’ironia significativa, socratica, che nasconde un positivo. Per dirla con una splendida intuizione di Jaspers è nient’altro che “il pudore della verità immediata e diretta”. “Si impara presto” ci insegna “a sentire le persone in modo diverso, a cogliere il flusso di energia che arriva dall’altro corpo”, ed invero durante il nostro incontro ho provato la sensazione intensa del suo sguardo che non mi lasciava mai, sebbene i suoi occhi non fossero rivolti ai miei. “Subito non l’ho presa bene, ero disperato e in questa condizione non riuscivo a starci. Mi arrabbiavo perché le cose più banali erano divenute ostacoli insormontabili, e in questo modo trasferivo la mia inquietudine sugli altri. Ma così li obbligavo a vivere in una situazione che io stesso non avrei accettato se mi fossi trovato al loro posto”. “Lentamente è iniziata per me una nuova vita, anche se non è stato facile. Dovevo terminare la costruzione della mia casa, far crescere due figli piccoli e non avevo più un lavoro su cui far conto”. “Tutta questa esperienza mi ha insegnato a non avere più frivoli pregiudizi nei confronti delle persone. Non ho più l’immagine di ciò che si presenta innanzi a me, ma solo una voce, un corpo che non vedo ma posso toccare”. Toccare. Tra gli animali non parlanti alcuni vedono meglio di noi, altri hanno un migliore olfatto ma nessuno di questi è in grado di toccare con la delicatezza dell’uomo, animale parlante. Nel tatto si nasconde il senso

Evasione?

Chiunque viva o abbia vissuto la condizione di detenuto ha pensato ed elaborato, anche solo per gioco, un piano per evadere, qualcuno riuscendoci; sarebbe innaturale non farlo. Nella maggior parte dei casi però subentra la ragionevolezza e la constatazione della realtà; pesanti sarebbero le conseguenze dell’eventuale cattura: perdita di ogni beneficio per il futuro oltre al supplemento di pena per una nuova condanna, perciò, nel caso di periodi detentivi più o meno brevi proprio non ne vale la pena, nel pieno senso del termine. Allettante potrebbe apparire l’idea nell’ipotesi di una durata detentiva molto lunga, 10/15 anni ed oltre ma anche in questo caso, a ben riflettere, il gioco non vale la candela, per una serie di ragioni che certamente possono variare da persona a persona ma che comunque influenzerebbero costantemente lo svolgimento della vita in condizione di ricercato. Pur riuscendo a procurarsi i documenti per una nuova identità, occorrerebbe vivere in un altro paese; così si perderebbero tutti i rapporti con le persone che si amano e che probabilmente non riuscirebbero a condividere una situazione sempre e comunque condizionata dal timore di essere riconosciuti e scoperti. Insomma, credo che a ben vedere quel genere di situazione equivarrebbe ad una prigionia forse anche peggiore di quella che si limita alla detenzione in un carcere; certo, spazi maggiori con una parvenza di libertà ma comunque sempre turbata e precaria; non ci si potrebbe fidare mai di alcuno, le amicizie sarebbero quasi impossibili per non parlare poi di un’eventuale oltreché indispensabile attività lavorativa a meno che con si riprendesse a delinquere. Certo, tutto ciò nella mia personale visione ed esperienza complessiva, ma a ben pensarci chiunque si troverebbe costantemente solo con se stesso con le relative paure e sensi di colpa. Tutto sommato, anche nel caso di una detenzione ingiusta, credo converrebbe non rassegnarsi e continuare a combattere per via legale dall’interno del sistema poiché, in quanto evasi, non saremmo più credibili e difficilmente difendibili; questo è l’aspetto più grave che si produrrebbe contro noi stessi. Personalmente evado nei bei ricordi della vita coniugale e familiare; contemporaneamente cerco di coltivare gli interessi culturali personali fin nei minimi dettagli, il tempo non mi manca, infatti, per la lettura e lo studio. Inoltre cerco di non abbandonare mai la propensione ad avere dei rapporti umani con le altre persone che popolano questa stazione detentiva, tutte, nell’ambito delle regole formali e del quieto vivere civile, pur in condizioni di ristrettezza e nei limiti personali di ognuno. Qualcuno, molti mesi fa, mi ha detto che in questo luogo non moriremo. Già!

Ivan.

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dell’altro, e sfregando una delle mie mani sull’altra posso intuire cosa significhi toccare ed essere toccato (reduplicazione tattile). Lasciando Giovanni ho provato quello stato d’animo di cui parlavo all’inizio, meraviglia e melanconia a braccetto. Prima una stretto di mano e poi un caloroso e lungo abbraccio. Spero che il destino mi dia la possibilità di incontrarlo nuovamente.

INTROSPEZIONE

“LA VITA”

a vita è un’ombra che cammina e come un’ombra rispecchia il soggetto a cui si

riferisce. Questa vita, la nostra vita, nel corso degli anni ci prospetta innumerevoli situazioni che alle volte possono essere piacevoli e quindi ben accette, ma molte volte ci riserva situazioni che mettono a dura prova il nostro essere uomini con tutti i pregi e i difetti, i lati positivi e quelli negativi, la forza e le debolezze dell’essere umano. La vita è il bene più prezioso che ci è stato donato e come tale avremmo il dovere di tenerla in grande considerazione nonché di viverla al meglio per noi stessi ma anche per gli altri. Nel momento in cui si viene alla luce ed inizia la vita, il nostro destino è già segnato ma comunque abbiamo la possibilità di modellarlo in qualche modo, sfruttando al meglio le possibilità e le occasioni che nel corso degli anni ci vengono offerte. Certo è che sta a noi cercare di sviluppare positivamente questi input che ci vengono dati; in poche parole sta a noi decidere di indirizzare la nostra vita verso una strada piuttosto che verso un’altra. E’ pur vero che è necessaria anche una dose di fortuna che sempre aiuta, soprattutto nelle situazioni più critiche e difficili, ma la cosa più importante è essere coscienti della realtà in cui si vive e rendersi conto che il primo aiuto viene da noi stessi. A questo riguardo mi permetto di citare un proverbio che a mio avviso, visto che sono credente, calza a pennello in tale contesto e che recita così : “Aiutati che il ciel ti aiuta”. Sono pienamente convinto

che è necessario credere in qualche cosa al di là della vita terrena per avere uno scopo e una forte motivazione a vivere la nostra vita nel migliore dei modi, pensando che un giorno, quello che si è fatto durante la nostra esistenza, potrà essere di utilità a noi ma anche agli altri. E’ normale che ognuno di noi vorrebbe il meglio ed in tal senso cerca di attivarsi, ma a volte, indipendentemente dalla nostra volontà, subentrano circostanze “funeste” che vanno a inficiare quelle che sono le nostre intenzioni ed i nostri buoni propositi. Quindi “mai dire mai”, le sorprese sono sempre dietro l’angolo e fino a quando sono sorprese “belle”, tutto va bene, ma quando sono brutte, mettono a dura prova il nostro io nel più profondo. Si spera sempre che certe cose, quelle brutte, non capitino a noi e quando succedono agli altri magari stiamo male e soffriamo un po’; ma quando “la tegola” cade sulla nostra testa, allora sì, fa tanto male e magari non ci rendiamo conto del perché ciò sia accaduto e magari diciamo anche: “perché proprio a me?” Ma possiamo cercare questo “perché” , forse riusciamo anche a dare una risposta a questa domanda; il motivo per cui sia accaduto, per colpa nostra o no, se poteva essere evitato o meno. Resta però il fatto che la realtà è cambiata, che la nostra vita non è più come prima, quella di prima; che la situazione in cui ci siamo venuti a trovare è

totalmente “anomala” e per questo molto difficile da affrontare nell’intento di modificarla e farla tornare come era prima. Non ci si rende comunque conto che, nonostante tutti gli sforzi profusi nella ricerca di ripristinare quanto “rovinato”, quello che era prima non sarà mai più! Sicuramente con il passare del tempo si evidenzieranno miglioramenti che andranno a rendere la nostra esistenza quasi “normale”, ma lo “status quo” che caratterizzava la nostra vita precedente non sarà mai più lo stesso! Gli eventi che possono subentrare a modificare o addirittura a stravolgere la nostra vita, possono essere casuali, fortuiti, dovuti a cause esterne,

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indipendenti dalla nostra volontà e ciò determina un dolore incolmabile, ma almeno non è presente quel senso di colpa e frustrazione che ci assale allorquando siamo noi gli artefici di tale “danno”. Allo scopo vorrei precisare, perché vissuto in prima persona, che lo stato d’animo in cui ci si viene a trovare a seguito di detti eventi, è veramente di frustrazione e di grande rabbia. Non tanto per ciò che ci sta accadendo, ma soprattutto perché siamo coscienti di essere stati noi stessi la causa di tanto “male”. Solo in questi momenti ci si rende veramente conto di ciò che si è perso, a partire dalla libertà, dalla dignità, dal rispetto e la stima di

tutte le persone conosciute, a noi care e non, ma in particolar modo quello che più è struggente, è l’aver perduto l’amore, il vero amore, come quello di una figlia. In questi momenti ti vengono alla mente tanti pensieri, ti passano davanti tutti i momenti della tua vita ed inevitabilmente dici a te stesso: “perché l’ho fatto”? Vorresti poter tornare indietro ma sai bene che ciò non è più possibile; allora inizi a pensare a quale potrà essere il futuro, come si evolveranno le cose, consapevole che la strada sarà ardua e tutta in salita. Forse riesci anche a fantasticare un po’, memore degli antichi proverbi quali: “Si chiude una porta, si apre un portone”, con la speranza che ciò che ti è capitato potrà offrirti una vita migliore nel futuro. Ti aggrappi a questa speranza, a questo sogno, perché hai bisogno di sognare, hai bisogno di credere ad un domani migliore, per avere la forza di andare avanti e non perderti nei meandri della solitudine, per non pensare ad azioni scellerate ed estreme, per avere fiducia e credere che qualcuno da lassù ti vede e prima o poi ti tenderà la mano. Abbiate fede!

Nunzio

Ciao raga come butta…..

Oggi parliamo dell’uso improprio delle parole. Credo che anche a voi sia capitato di cominciare a

leggere un articolo di una rivista e quando si arriva a metà si di dica “ma che cazz”.., Non si e capito

praticamente nulla per quante parole improbabili vi sono.

Potremmo prendere in esame qualsiasi argomento ( cronaca, politica, sport, etc.), molti termini

sembrano vere e proprie parolacce ad esempio, il Mattarelum, per non parlare del Porcellum, di

Coguari, Balottate, Cassanate.

Vi faccio un esempio, trascriverò un pezzo dell’articolo che mi ha ispirato questa confusione, già il

titolo potrebbe bastare ma essendo amante del dolore “altrimenti non sarei entrato in galera”

soffrite con me:

DALLO SCONCERTO AL CONCERTO

“Credo che pochi italiani abbiano tanto pelo sullo stomaco da non avvertire un profondo sconcerto

per le notizie che da qualche mese stanno rendendo inquietanti i nostri giorni. Sconcerto che spesso

e volentieri muta in vera paura, quella che erige i muri, spinge al riarmo, rinforza le frontiere e ci

richiude nelle torri. Tocca allora alzare lo sguardo per non soccombere. Non serve più a nulla, però,

farlo da soli, da eroi che sperano di cavarsela da soli.

Credo che ormai sia giunto il tempo per combattere lo sconcerto, di un piccolo grande esercito di

eroi del concerto.”

Non so quanto ciò che è scritto possa essere comprenso, comunque l’articolo riportato fa

riferimento alla situazione drammatica tra Ucraina e Russia.

Claudio

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SGUARDI SUL MONDO il commento

GIUDICARE

l giudicare è un atteggiamento, direi quasi spontaneo dell’essere umano. Nella maggior parte delle occasioni si tende a dare giudizi, addirittura a criticare comportamenti e quindi azioni o linguaggi di persone che secondo il

nostro parere non rispecchiano il nostro punto di vista. Questi giudizi che noi esprimiamo ci vengono spontanei, nessuno ci obbliga a manifestarli, ma sono solamente delle reazioni, che possono essere positive o negative, a comportamenti da noi ritenuti “anomali” e che per questo necessitano di una critica. Tali giudizi, a volte, vengono palesati soprattutto quando non si conoscono le persone e quindi di primo acchito ci permettiamo di giudicarle e di giudicare il loro modo d’essere e di agire; a pelle ci permettiamo di dire se quella persona è simpatica o antipatica, se è intelligente o meno, se ci piace o no. A tal proposito posso dire, che a volte, la nostra intuizione ed il nostro giudizio

colpiscono nel segno, descrivendo la vera personalità, le caratteristiche insomma della persona che abbiamo avuto modo di incontrare o di conoscere. La maggior parte delle volte però il nostro giudizio si dimostra inesatto, proprio per il motivo che, prima di giudicare ed emanare sentenze, è necessario avere una conoscenza approfondita e non esprimere il proprio giudizio puramente sulla base di semplici azioni o di cose dette nei primi momenti conoscitivi. Questo preambolo mi serve per far capire quanto mi accingo a scrivere nelle prossime righe, con parole che nascono per una vera ed attuale esperienza personale, dove parlerò sempre del “giudicare”, ma di quel “giudicare” da parte delle persone che lo fanno come professione. Mi preme inoltre precisare che il nostro “giudicare” è di norma inteso come “critica”, in quanto siamo portati a guardare più gli aspetti negativi che quelli positivi. A tal proposito e qui entro nel merito, riferendomi a quelle persone che il “giudicare” lo fanno di professione, in molti casi agiscono, attenendosi rigorosamente al codice deontologico della “LEGGE”, senza scavare più approfonditamente, sviscerando le problematiche il più delle volte importanti, che possono portare un qualsiasi soggetto, che nella vita è stato sempre integerrimo e ligio alla correttezza ed alla onestà, a compiere azioni scellerate, non certo giustificabili, ma comunque capibili. Per questo mi sento veramente di

poter affermare che la scritta, che si vede a caratteri cubitali nelle aule dei Tribunali e che recita così: “LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI”, non è veritiera. Anzi, mi sento di poter dire che molte volte agevola quelle persone che compiono azioni illegali, perseverando in questo intento, piuttosto che quelle che per vari motivi e situazioni avverse, si trovano a commettere un errore dopo avere vissuto la propria vita nella legalità, lavorando e attenendosi attentamente alle regole fondamentali dell’onestà e della correttezza. Questa è la nota dolente sulla quale vorrei

soffermarmi; è proprio ciò che sto vivendo in prima persona e per questo la rabbia che ho dentro è indicibile. Una rabbia che non nasce tanto per la situazione di costrizione che sto vivendo, vista la detenzione in carcere, bensì una rabbia mista ad amarezza per il fatto che la mia persona è stata giudicata ed ancor oggi viene giudicata alla stregua di quei soggetti che hanno fatto del “delinquere” una ragione di vita. Per questo motivo ribadisco nuovamente e fortemente il concetto che la “LEGGE “ non è uguale per tutti !!!. E’ per questo motivo che le persone preposte a “giudicare “ in merito ai così detti “reati” e che per questo hanno nelle loro mani la vita di chi li ha commessi, dovrebbero avere la coscienza di andare a verificare “lo storico” della vita di ogni singolo soggetto e poi “sputare” la sentenza e condannare. Purtroppo molto spesso ciò non accade ed a volte, con il loro “giudizio della legge”, massacrano chi, pur avendo sbagliato, sta pagando il fio della sua colpa e la cui volontà è quella di riabilitarsi al più presto, conscio

del fatto che l’azione per la quale è stato giudicato, non fa parte della propria indole. Ma purtroppo anche questa benedetta riabilitazione non viene concessa. In conclusione vorrei gridare quanto segue: “Voi che avete il permesso ed il dovere di “giudicare”, fatelo perché è giusto che sia così, ma fatelo con coscienza, agendo non da automi ma da persone che un cuore ce l’hanno ed impegnatevi a considerare ed a valutare “l’excursus” della vita di ogni singolo individuo. In certi casi mettetevela quella mano sul cuore!!”. (Nunzio)

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DENTROFUORI: OPPORTUNITÀ, OCCASIONI

l mese di dicembre è il mese più bello. È il mese che inizia a nevicare. È il mese del Natale, della pace. Anche del perdono. Perfino i soldati inglesi e tedeschi hanno smesso di combattere nella prima guerra mondiale, il giorno di

Natale. Al posto di combattere con le armi, si sono sfidati a una partita di calcio, si sono seduti insieme, hanno parlato, si sono scambiati sigarette, e pure gli indirizzi di casa, per rivedersi al termine della guerra, che purtroppo durò ancora a lungo. Il mese di dicembre, anche per noi detenuti, è stato un mese importante. Anche noi, per prima volta, abbiamo disputato una partita di pallone con la squadra di Gardolo. Per la cronaca, la partita l’hanno vinta i nostri avversari. Ma questo non è importante. La cosa bella è che per quasi due ore ci siamo sentiti LIBERI. L’incontro è durato quasi due ore, poi, a fine partita, i giocatori della squadra di Gardolo ci hanno regalato le magliette e quattro palloni. I partecipanti alla gara sono stati premiati con una medaglietta, dataci dal sindaco di Trento. In seguito abbiamo festeggiato tutti assieme, con dolci e bibite. Eventi del genere si devono fare più spesso, non una volta l’anno. Anche perché quando arriva l’ inverno, tutte le attività sportive vengono sospeso qui in carcere. Ma quando il tempo permette di giocare, il campo potrebbe rimanere aperto. Così potremmo giocare anche durante l’

inverno, per scaricare un po’ di energia. È vero che c’è la palestra, ma ci si può andare solo una volta in settimana. È troppo poco, così molti preferiscono nemmeno andarci. Qualcuno non ci va perché è occupato in altre attività. Possiamo andare “all’aria”? Certo! Abbiamo quattro ore al giorno per questo, ma lo spazio a disposizione è cosi piccolo, che ti gira la testa solo a camminare. Figuriamoci correre! Quindi grazie alla squadra di Gardolo che ci ha offerto la “gioia” di sentirci liberi per un momento. Il mese di dicembre e stato importante anche per altri motivi. Il gruppo del giornalino e i ragazzi del corso di letteratura, hanno avuto un incontro con gli studenti di

Cavalese nella sala teatro. L’obiettivo era quello di far conoscere agli studenti, quindi alle persone di fuori, la realtà che viviamo qui dentro. Molte persone pensano che qui dentro si viva come nei film Americani… Che esista una gerarchia tra i detenuti, che siamo divisi in gruppi di bande rivali che cercano di imporsi l’una sull’altra per comandare… Invece qui non esiste niente di tutto questo; non in questo carcere, per lo meno. È vero che siamo persone che hanno sbagliato, ma qui ogni singola persona sconta la sua pena come si deve, lavorando, andando a scuola, facendo corsi molto utili, tutte cose che possono aiutare a comprendere dove abbiamo sbagliato e prepararci alla vita di fuori quando usciremo. Ecco che allora le persone che operano in carcere, a vari livelli, e che non sono detenute, possono essere molto di aiuto. Da soli è impossibile risolvere i propri problemi e intraprendere una strada diversa, nuova. L’incontro con gli studenti è stato molto utile per noi, ma anche per loro. Raccontare loro la nostra esperienza, penso sia stato utile per loro, perché e molto facile a finire in questo posto, e può succedere a tutti. È molto difficile, dopo, uscirne. Speriamo che incontri del genere se ne facciano ancora. Forse per chi ci incontra, per chi viene a visitare il carcere, l’esperienza diventa un monito a non finirci dentro e quindi, indirettamente, a far diminuire il numero di detenuti… che purtroppo è molto alto. A fare capire alle persone che se vivi illegalmente, prima a poi finisci qui “dentro” e dopo e molto difficile uscirne. Sempre a dicembre, alcuni detenuti di questo istituto, assieme a otto attori e attrice provenienti dall’esterno, hanno fatto un spettacolo teatrale dal titolo “Qui si resta passando”. La rappresentazione parlava di cronaca, di fatti quotidiani. Parlava di persone che affondano in mezzo al mare mentre tentano di raggiungere altri Paesi in cerca di un futuro migliore, e di persone che se ne fregano di tali tragedie. Parlava di crisi di lavoro, di giovani che non riescano a trovare lavoro. Parlava di un extracomunitario che vende accendini e fazzoletti per portare un pezzo di pane ai suoi figli. Parlava di barboni che non esistono per nessuno; di un sindaco che arrabbiato con le sue segretarie incapaci di fare quello che voleva. Parlava di giovani innamorati che non riescano a mettere su famiglia perché non vedono più un futuro. Parlava di mariti che tradiscono la moglie, ma anche il contrario. Lo spettacolo era molto critico su tutti questi temi e verso le persone che preferiscono girare la testa da un’altra parte. Lo spettacolo si sarebbe dovuto fare anche all’esterno del carcere, presso il teatro Sambapolis. Noi eravamo molti contenti di poter recitare ance all’esterno, oltre che in carcere. Avevamo avvisato anche famigliari e amici, per dire loro: anche io valgo, anche io posso fare cose positive in questo mondo. Ma tre giorni prima della data programmata, ci hanno informati che lo spettacolo era stato annullato. Non sappiamo perché. Non ci è stata fornita nessuna spiegazione. A quanto pare noi non possiamo chiedere spiegazioni; non abbiamo questo diritto noi… è stato deciso che non si sarebbe fatto, e basta. Cosi lo spettacolo si è svolto solo qui in carcere. Doveva essere per i detenuti, ma dal

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“DENTRO” la voce della Casa Circondariale di Trento

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momento che era stato annullato quello esterno, si è finito con il consentire che di detenuti potessero partecipare soltanto una parte per lasciare posto a gente venuta dall’esterno. E i detenuti hanno dovuto decidere tra loro chi sarebbe andato a vedere e chi no lo spettacolo. La recita è durata due ore. Per i protagonisti è stata una esperienza unica. Non c’era nessuna differenza tra attori professionisti e gli altri. Il pubblico ha ringraziato con un caloroso e lungo applauso. Questo è quanto è avvenuto in carcere nel mese di dicembre. Anche noi detenuti, come i soldati che hanno fatto la pace per un giorno, nella prima guerra mondiale, ci siamo sentiti liberi per qualche momento. Ci si è ricordati di noi a fine anno. Bisognerebbe fare più spesso cose come quelle descritte e farle al meglio, così da trasformare questa casa circondariale in una vera “casa di educazione”. Sarebbe un’ “azienda” che produce educazione, restituendo persone utili alla società. Fare spettacoli ogni settimana per i detenuti, una volta al mese per le persone esterne, a pagamento. Permettere ai detenuti di lavorare all’esterno, trattenendo una % piccola del loro compenso. Far incontrare il mondo esterno con quello interno. Facendo tutte queste cose i numeri dei detenuti diminuirebbe di molto. La recidiva non sarebbe più del 70% ma calerebbe al 5-10% al massimo. E l’ emergenza carceri non esisterebbe più. La società sarebbe più sicura. (Kristo)

Vittime di violenza

Quante volte abbiamo immaginato di chiudere gli occhi e...volare in un sogno che ci permettesse di vivere i nostri desideri più nascosti? Eppure altrettante volte ci siamo svegliati dicendoci che il vento si era levato e che bisognava tentare di vivere. Questo è anche un mio modo di pensare quando mi sento a terra. Quando non ho nessuno con cui parlare. Quando sei sola e non puoi chiedere aiuto. Sono una donna adulta che crede ancora nel bene, e non concepisce il male gratuito. Alla mia età, mi chiedo molto spesso come si possa concepire l'umanità maschile così cruda e violenta nei confronti delle donne. Perché? Gli uomini si considerano il sesso forte, i padroni dominatori incontrastati delle donne. Vogliono a tutti i costi tenerci schiave, sottomesse e obbedienti alle loro volontà, senza pensare che entrambi apparteniamo allo stesso genere umano. A mio giudizio “il sesso forte” dell'umanità siamo noi. Siamo noi donne che portiamo in grembo la nuova vita e ci battiamo per la vita dei nostri figli; siamo sempre noi donne che per aiutare i nostri figli incappati nella droga, li denunciamo. Sì, qualche volta questo atto di coraggio lo facciamo perché il sangue non è acqua, e perché ad entrambi (genitori e figli) serve aiuto. Cosa fanno gli uomini per le donne o qualche volta per i figli? Quali aiuti veri e propri mettono a disposizione della donna in famiglia? Ben s'intende, le eccezioni ci sono, ma, sono mosche rare. Gli uomini (per un mio personale pensiero) vorrebbero la donna sempre sottomessa alla loro volontà, farla sentire incapace di tutto, anche quando non viene dato loro un erede maschio. Purtroppo ancora ai giorni nostri, questo e altro accade Sia fatta eccezione per qualche donna che ammazza i propri figli appena nati, forse per un problema psicologico, forse per un capriccio. Mi ricordo una frase che dice: ”È una donna che decide di formare una famiglia, ed è sempre una donna che se le cose non vanno bene, decide che la famiglia si sciolga.” La maggior parte delle volte la donna si assume la responsabilità dei figli anche senza l'aiuto del compagno. Quando ci rendiamo conto che siamo in pericolo, a volte è troppo tardi. Dovremmo credere di più anche nelle istituzioni.

Bruna

Salve a tutti voi, sono sempre io. Questa volta mi sento un po’ diversa. Voglio vivere! Voglio confrontare tutto quello che mi ha offerto questa vita. Ho capito che il nostro destino è già scritto. Vado a dormire con una speranza, ma quanto mi sveglio tutto già è cambiato. Non capisco cosa devo fare se oggi ricevo una buona notizia, se fra un giorno la ricevo brutta. Se ricevo una brutta notizia, allora per forza sto giù di morale; perdo la pazienza, non riesco a andare avanti. Però non si può neanche fregarsene. I pensieri continuano ad essere più forti e cambiano da un giorno all’altro. Non puoi essere né negativo né positivo. La vita non è facile, a volte sembra un gioco e se non lo sai fermare a un certo punto la tua vita è distrutta per sempre. Un reato non si cancella mai! Non si cancella neanche dal nostro cuore, lì rimarrà tutta la nostra vita. Anche se noi usciremo un giorno, tutto però sarà cambiato! Pensa: un giorno è tanto per le persone che ci amano. Quando le settimane, i mesi, gli anni, passano e tutti ti stanno dimenticando, tu chi sei? Non sei nessuno!! Dove sono i tuoi amici, i fratelli, le tue sorelle, i tuoi figli? Non troverai nessuno. Ecco come io vedo i miei sbagli, e ora che devo fare io? Anche se io ho pagato con la mia libertà, nel mio cuore non trovo nessuna ragione Che riesca ad avere una luce nel mio cuore. Come ho resistito tutto questo tempo senza voi miei fiori? Narcisa