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Lettura continua delle Lettere di san Paolo Proposta individuale

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Presentazione

Carissime,

nell’Anno santo della Misericordia abbiamo letto e meditato personalmente e comunitariamente la Lettera agli Efesini, per immergerci nella «straordinaria ricchezza della sua grazia» (Ef 2,7). Quest’anno ci soffermeremo sulla Lettera di san Paolo ai Filippesi.

Forse, cammin facendo, potrebbe sorgere la domanda: «Ma perché dobbiamo mettere tanto impegno a leggere le Lettere di san Paolo?». Lasciamo che sia proprio il Beato Giacomo Alberione a rispondere: «Tutte le anime che presero gusto nel leggere san Paolo, divennero anime robuste. Chi legge san Paolo, chi si familiarizza con lui, viene ad acquistare poco per volta, uno spirito simile al suo. La sola lettura degli scritti paolini ottiene la grazia di divenire veri Paolini[e]»1. «Chiedere a san Paolo la grazia di comprendere bene le sue Lettere: questa grazia egli la ottiene volentieri»2. «Chiediamo al Signore la grazia di essere figli e figlie di san Paolo! Degni del nome!»3.

Non credo sia necessario aggiungere altro, se non ricordare con gratitudine che nella Chiesa e nel mondo «il nostro nome esprime una relazione fondamentale con san Paolo, l’Apostolo delle genti. Egli è il padre della Congregazione, il modello del nostro vivere in Cristo, l’ispiratore della nostra missione» (Cost.3). Conoscere, amare e comunicare Cristo attraverso l’interpretazione dell’apostolo Paolo, per noi Figlie di san Paolo diventa anche una questione vocazionale. Quanto più la nostra identità paolina sarà chiara in termini di somiglianza con il mistico e apostolo Paolo tanto più saremo contente e le giovani generazioni potranno trovare una luce significativa nelle nostre comunità. Facciamo conoscere

1 Prediche San Paolo, 265, Collezione FSP, Grottaferrata. 2 Ibid. 283. 3 Ibid. 313.

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san Paolo, diventiamo Paolo. La sua vita, il suo insegnamento, la sua passione per Cristo formano la trama della nostra spiritualità e della nostra missione. È in Paolo che troviamo la perfetta integrazione tra preghiera, studio, apostolato e povertà. È in Paolo che la mistica diventa apostolica. È in Paolo la nostra identità. Con san Paolo e con la Chiesa sentiamoci ogni giorno debitrici del Vangelo che salva.

Auguro a ogni comunità e a ogni singola sorella di «risplendere come stelle nel mondo tenendo alta la Parola di vita» (cfr. Fil 2,15-16).

Con affetto.

sr Dolores Melis Superiora provinciale

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Noteintroduttive

La Lettera ai Filippesi, da molti definita «la lettera della gioia», nasce paradossalmente da una situazione di profonda sofferenza, di fatica, di prigionia e di rischio di morte. Paolo apre ai Filippesi il suo cuore raccontando delle sue catene, ma getta nel silenzio tutto ciò che riguarda il luogo specifico della prigione. L’Apostolo delle genti non ha paura di manifestare i suoi sentimenti e, forzatamente inattivo, si rallegra che il Vangelo sia annunciato da altri, sotto qualsiasi forma ciò avvenga. La prospettiva di una possibile morte non lo spaventa, tanto che sarà pronto ad affermare: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21). Tutta la vita di Paolo è stata un lasciare per guadagnare Cristo Gesù, suo Signore.

Autore ed epoca di composizione. Oggi quasi tutti gli esegeti sono concordi nel riconoscere l’autenticità paolina dello scritto. Ma se per l’autore non ci sono grossi problemi, più complicato è stabilire la datazione della lettera. Quando fu scritta? Da dove fu scritta? Tale questione è chiaramente legata anche al luogo di composizione che corrisponde a quello di detenzione di Paolo. Tre sono le ipotesi principali sulle quali verte il dibattito degli studiosi: Roma, Efeso, Cesarea Marittima. È chiaro che il problema ha delle conseguenze sulla datazione della lettera: se è stata scritta da Roma la sua data si colloca tra il 60 e il 62 d.C.; se invece proviene da Cesarea allora la data si sposta tra il 59 e il 61; e se invece è stata scritta ad Efeso allora la datazione è tra il 53 e il 56. Efeso è comunque da preferire, anche perché il rapporto di scambio sotteso alla lettera si concilia meglio con la distanza tra Filippi ed Efeso. Oggi, infatti, la maggior parte degli studiosi propende per l’ipotesi efesina.

La città «romanizzata» di Filippi. La città di Filippi, situata a nord della Grecia, a una quindicina di chilometri dal mar Egeo, rivestiva, ai

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tempi dell’apostolo Paolo, grande importanza per la sua posizione strategica; ricca d’oro e d’argento nel sottosuolo, si trovava sulla famosa Via Egnatia che collega Durazzo con Bisanzio. Conobbe un forte sviluppo e ottenne anche lo ius italicum4 che le conferiva gli stessi diritti di cui godevano le città in Italia. Filippi, a metà del primo secolo d.C., diventò una fiorente colonia della provincia romana della Macedonia, passata sotto il senato dopo un periodo di dipendenza diretta dall’imperatore. Proviamo a immaginare l’incontro tra l’Apostolo e la città di Filippi. Giungendo da Oriente, Paolo entra proprio in un altro mondo. Pur avendo visto colonie romane in Asia Minore, nessuna è così «romana» come Filippi. La lingua ufficiale era il latino ma, nel linguaggio parlato, la lingua predominante era il greco. Questa profonda romanizzazione, poco diffusa nel mondo greco, era legata senza dubbio alla presenza della Via Egnatia che attraversava la città.

La comunità cristiana di Filippi. La lettera ci presenta il rapporto tra Paolo e i Filippesi come caratterizzato da una calda amicizia. La comunità fondata da Paolo a Filippi doveva essere composta sostan-zialmente da pagano-cristiani, vista l’assenza di Ebrei nella città (secondo la testimonianza di At 16,13 la preghiera avveniva lungo il fiume, probabilmente non c’era neanche la sinagoga). Si tratta di una comunità aperta ai valori umanistici della tradizione ellenistica. Il fatto che i Filippesi sostengano con i loro proventi sia l’attività missionaria di Paolo, sia la colletta per la Chiesa di Gerusalemme, è indizio del buon livello sociale ed economico di almeno alcuni dei componenti della comunità. Il contesto di vita della comunità di Filippi non doveva essere del tutto pacifico, perché Paolo più volte insiste sul tema dell’unità e pone in rilievo la minaccia costituita da oscuri avversari.

4 ius italicum (diritto italico): locuzione usata nell’antica Roma per designare privilegi

accordati a colonie romane fuori dall’Italia.

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Lingua e stile. La lettera è scritta in greco con un carattere deci-samente epistolare e un tono profondamente confidenziale. Non sono trattati grandi temi né sono risolte particolari questioni. Paolo vuole informare i Filippesi sulla sua situazione personale e ringraziarli per l’attenzione dimostrata nei suoi confronti ed esortarli a proseguire sulla via dell’amore evangelico.

Lessico e contesto culturale. Il linguaggio utilizzato nello scritto è testimone dell’influenza esercitata dallo sfondo culturale del I secolo d.C. Certi termini della lettera provengono dall’organizzazione politica, alcuni dalla filosofia di quel tempo, altri derivano dalla retorica greco-romana e altri ancora dal mondo biblico.

Composizione retorico-letteraria. Una prima caratteristica evidente della lettera è l’alternanza tra sezioni di comunicazione epistolare e sezioni esortative, che costituiscono la maggior parte dello scritto. Mancano invece delle serrate argomentazioni teologiche caratterizzanti altri scritti paolini. Uniche eccezioni potrebbero essere considerati due brani tra loro significativamente paralleli:

Fil 2,6-11 CRISTO e la sua kenosi5

Fil 3,4-11 PAOLO e la sua kenosi

Questi due testi hanno la funzione di «fondare» l’esortazione rivolta alla comunità.

Articolazione del testo. Poiché la lettera combina assieme principal-mente sezioni epistolari ed esortative, la sua strutturazione non è da ricercare secondo i criteri e i metodi dell’antica retorica (che invece saranno utili per altre lettere). La Lettera ai Filippesi ha una sua retorica interna specifica e la si comprende soprattutto nello specifico intento comunicativo e persuasivo. Lo scopo della lettera sarà soprattutto

5 kenosis è una parola greca che letteralmente significa svuotamento o svuotarsi.

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esortativo. Paolo esorta i Filippesi a lasciarsi trasformare dal Vangelo per assumere la forma Christi.

COMPOSIZIONE

I. Prescritto e ringraziamento Fil 1,1-11

II. Corpus epistolare Fil 1,12 - 4,1

III. Esortazioni conclusive e postscritto Fil 4,2-23

Linee teologiche fondamentali. Paolo scrive alla comunità di Filippi impegnata ad affrontare nella storia sfide del tutto particolari, come la sfida politica (contestazione del carrierismo tipicamente romano: cursus honorum), la sfida etica (esempio vissuto e da comunicare), la sfida della verità (conoscenza del bene da compiere), la sfida filosofica (discernere ciò che è meglio per gli altri e per sé). A queste sfide Paolo risponde con la sua forte comunicazione di fede vissuta tra le catene di un carcere. L’orizzonte cristologico è centrale in Filippesi. Gesù Cristo riceve per l’unica volta nelle lettere protopaoline il titolo di sōtēr cioè di «Salvatore». Ma è l’importanza che il brano di Fil 2,6-11 assume nella lettera a indicare il ruolo centrale di Cristo. Ma c’è un altro elemento che in Filippesi riveste una particolare importanza: la comunione fraterna o comunitaria, elemento particolarmente sotto-lineato da un punto di vista terminologico dal sostantivo koinōnia (comunione, vita in comune, partecipazione, condivisione: Fil 1,5; 2,1; 3,10) e da tutti suoi derivati. In Filippesi si pone in luce la proposta di una vita cristiana nella somiglianza con Cristo.

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PROPOSTADILETTURAQUOTIDIANA

Questo itinerario quando può essere utilizzato? Nei diversi periodi dell’anno liturgico. Ciò che resta importante è la consapevolezza dell’importanza di questa lettura quotidiana per scoprire sempre più le meraviglie della vocazione paolina.

ITINERARIO DI LETTURA QUOTIDIANA DELLA LETTERA AI FILIPPESI (*)

Prescritto e ringraziamento (1,1-11)

Fil 1,1-2 Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù

Fil 1,3-11 Vi amo con il cuore di Cristo Gesù

Corpus epistolare (1,12 - 4,1)

Fil 1,12-18b Le mie catene...

Fil 1,18c-26 Il vivere di Paolo è Cristo

Fil 1,27-30 La grazia di soffrire per Cristo

Fil 2,1-4 Non fate nulla per rivalità o vanagloria

Fil 2,5-11 La forma dell’amore: Cristo Gesù

Fil 2,12-18 Brillate come stelle, tenendo alta la parola di vita

Fil 2,19-24 Timoteo ha servito il Vangelo insieme con me

Fil 2,25 - 3,1a Epafrodìto mio collaboratore

Fil 3,1b-16 Per Cristo ho lasciato tutte queste cose…

Fil 3,17 - 4,1 Diventate come me

Esortazione conclusiva e postscritto (4,2-23)

Fil 4,2-9 Gioite nel Signore sempre

Fil 4,10-20 Gesù mi rende forte

Fil 4,21-23 Salutate ciascuno… in Cristo Gesù

(*) Bibbia, testo traduzione CEI 2008.

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PRIMOGIORNO

PaoloeTimoteo,servidiCristoGesùFil1,1‐2

Invocazione allo Spirito

Padre di tutti e Dio nostro, nel nome di Gesù, ti chiediamo umilmente il dono dello Spirito, affinchè possa aprire il nostro cuore all’ascolto profondo della lettera inviata da Paolo alla cara comunità di Filippi. Donaci di ritrovarci insieme, per scrutare nella fede le Scritture, e per diventare testimoni credibili dell’amore, alla scuola dell’Apostolo delle genti. Per Cristo nostro Signore. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 1,1-2)

1Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi:2 grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

Ambientazione. La lettera si apre con il consueto modulo epistolare che ritroviamo in tutte le lettere antiche, sia quelle letterarie sia quelle familiari. Fil 1,1-2 costituisce il classico praescriptum. Il termine deriva dal latino prae (prima) e scriptum (scritto) e indica l’indirizzo presente all’inizio della lettera. Il praescriptum o prescritto è composto di tre elementi: il nome del mittente, quello dei destinatari e una formula di saluto. In Filippesi l’apertura della lettera appare così:

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Mittente Paolo e Timoteo servi di Cristo Gesù

di Cristo Gesù

Destinatari a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi

in Cristo Gesù

Saluto Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo

dal Signore Gesù Cristo

In questo prescritto, la prima cosa che risulta evidente è la specificità cristiana della lettera. Il nome Cristo Gesù appare per ben 3 volte, caratterizzando il mittente, specificando il destinatario, determinando il saluto. Tutto avviene in Cristo Gesù. Da ciò possiamo intuire il forte carattere cristologico di tutta la Lettera ai Filippesi, che potremmo definire: «Vangelo in forma di lettera».

Commento

Paolo e Timoteo. Questo significa che Paolo non è solo; dietro c’è un altro fratello: Timoteo che, pur non essendo coautore, è coinvolto direttamente con Paolo nella fondazione della comunità di Filippi (cfr. At 16,1-15). L’annuncio del Vangelo non è basato sulla forza di determinate azioni, gesti o competenze acquisite nel tempo. Il Vangelo è prima di tutto «relazione» e come tale deve essere annunciato. La prima evangelizzazione è data da una testimonianza relazionale di fraternità, comunione, amicizia e collaborazione: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uniamore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

Servi di Cristo Gesù. Paolo e Timoteo sono servi (in greco douloi, schiavi) di Cristo Gesù che, per primo, svuotò se stesso prendendo forma di schiavo (doulos). Già da queste prime parole possiamo intravedere da lontano quello che sarà il cuore, il centro cristologico della Lettera ai Filippesi: «Cristo Gesù svuotò se stesso assumendo una condizione di servo/schiavo» (Fil 2,7). Certo che, in un ambiente come poteva essere quello della città romana di Filippi, proporsi come schiavi di qualcuno era impensabile, una follia! A Filippi, lo schiavo è colui che non ha proprietà, anzi lui stesso è proprietà altrui, totalmente vincolato a un proprietario che ne dispone come vuole, privo di personalità giuridica; che non può avere famiglia propria,

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poiché giuridicamente non ha capacità matrimoniali. Paolo e Timoteo si presentano come schiavi e non come apostoli. I due mittenti della lettera hanno legato la loro vita a qualcuno che ritengono loro esclusivo Signore, così da non appartenere più né a se stessi né a nessun altro (cfr. Fil 3,7-8). Ma chi è il servo nella mentalità ebraica e biblica di Paolo? È «l’obbediente»: colui che ascolta e fa ciò che dice il Signore. Ma il servo è anche «colui che non grida né alza il tono, non fa udire in piazza la sua voce, non spezza una canna incrinata, non spegne uno stoppino dalla fiamma smorta» (cfr. Is 42,2-3). Il servo entra decisamente in una dimensione di amore e di mitezza e non dice mai: «Basta non c’è più niente da fare! Ormai è inutile!» Ma va in cerca di quel poco di bene, di quel poco di vita, di quella piccola scintilla che ancora può far ardere il cuore e salvare qualcuno.

a tutti i santi in Cristo Gesù. I destinatari sono chiamati «santi in Cristo Gesù». Questo linguaggio getta luce su Paolo stesso che se da una parte non conosce l’appellativo di cristiani (sostantivo riportato in epoca più tardiva dal libro degli Atti degli Apostoli) per rivolgersi ai Filippesi, dall’altra svela un originale concetto di santità. La santità non è prima una conquista morale o ascetica ma è dono di grazia in Cristo, che nella sua morte e risurrezione ci rende santi. Si tratta quindi di un concetto evangelico di santità, intesa come «dono di Dio» che nel battesimo, e in base alla fede, ci raggiunge e ci fa santi. Questo non significa escludere la risposta al dono.

grazia a voi e pace da Dio. La formula di saluto richiama i due versanti culturali certamente familiari a Paolo: quello greco e quello giudaico. Grazia (charis) deriva dal saluto greco chaire (che significa: sta bene! oppure: gioisci), implicando l’idea di benevolenza, gratuità e simpatia. Pace, invece, richiama il saluto semitico-ebraico shalom. Pace/shalom ha delle sfumature diverse dal saluto greco, infatti, mentre da una parte saluta, augurando pienezza di salute, pace e prosperità, dall’altra offre disponibilità a che ciò avvenga. In tutte le lettere paoline, e anche in Filippesi, questi saluti, auguri, vengono agganciati a Dio padre nostro e a Gesù il Cristo. Essi ne sono gli autori: è da loro che devono provenire.

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BEATO GIACOMO ALBERIONE

«Timoteo era specialmente caro a san Paolo per la sua fedeltà: e per questo l’apostolo l’aveva il più del tempo vicino a sé,

come un padre suo figlio, e l’ebbe compagno nelle predicazioni,

nei travagli, nella prigionia». (L’Apostolo Paolo, ispiratore e modello, p. 31)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………….……………………… ………………………………………………………………………………………………………

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Noi ti ringraziamo, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, perché ci fai gratuitamente ascoltare la tua Parola che è all’origine della nostra fede, della nostra vocazione, della nostra missione nel mondo.

Ti chiediamo che questo cammino di lettura, meditazione e preghiera, sulle vie tracciate dalla Lettera di san Paolo ai Filippesi, sia per noi un significativo ritorno all’essenziale, un’occasione di verità e autenticità, una riscoperta gioiosa dell’identità paolina.

Per Cristo nostro Signore. Amen.

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SECONDOGIORNO

ViamoconilcuorediCristoGesùFil1,3‐11

Invocazione allo Spirito

Signore Dio nostro, manda su di noi il tuo Spirito Santo, affinchè possa aprire la mente all’intelligenza della Parola, e la nostra vita comunitaria e apostolica alla tua volontà. Ci insegni ad amare le persone a noi affidate, a nutrire e coltivare relazioni di affetto in Cristo, e ci porti a pregare e a intercedere perché la comunità cristiana nel mondo cresca nell’amore, nel discernimento delle vie di Dio. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 1,3-11)

3Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. 4Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia 5a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. 6Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. 7È giusto, del resto, che io provi questi sentimenti per tutti voi, perché vi porto nel cuore, sia quando sono in prigionia, sia quando difendo e confermo il Vangelo, voi che con me siete tutti partecipi della grazia. 8Infatti, Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. 9E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, 10perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, 11ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

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Ambientazione. Le lettere paoline cominciano sempre con un rendimento di grazie e con un riferimento costante ai destinatari (unica eccezione è la Lettera ai Galati). In questa pagina, di straordinaria bellezza, prevale il campo semantico della «relazione» caratterizzata da affetto e reciprocità. Rispetto ai ringraziamenti delle altre lettere, in Filippesi, Paolo insiste sulla sincerità della sua attitudine per i destinatari. Fil 1,3-11 può essere diviso in due parti:

ringrazio il mio Dio: azione di grazie (Fil 1,3-8); prego per questo: preghiera d’intercessione (Fil 1,9-11).

Commento

Rendo grazie al mio Dio. Paolo vive la sofferenza del carcere nella luce della gratitudine a Dio. Dopo i saluti del prescritto, il verbo ringraziare è la prima parola della Lettera ai Filippesi. «Rendo grazie al mio Dio»: questa frase rinvia al cuore della fede cristiana, alla dimensione eucaristica, non nel senso rituale, ma esistenziale. Quando ringraziamo immettiamo tra noi e le cose «uno spazio sacro» e sottraiamo ogni relazione al consumo, orientando tutto alla comunione. Si tratta di assumere la «dimensione eucaristica» come stile di vita: chi ringrazia Dio è umile, povero, distaccato, gioioso.

ogni volta che mi ricordo di voi. Nel testo greco Paolo ringrazia Dio dicendo: «per ogni ricordo di voi». Questa formulazione in effetti dà una doppia possibilità di interpretazione. Di conseguenza, la domanda che sorge è questa: «È Paolo che si ricorda dei Filippesi o sono i Filippesi che si ricordano di Paolo?». Alcuni esegeti giungono a considerare quel «di voi» come soggetto e non come oggetto. Paolo ringrazia il suo Signore, perché i Filippesi si ricordano di lui in stato di prigionia.

del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. Questa frase, in una traduzione più letterale, corrisponderebbe a: «desidero tutti voi con le viscere di Cristo Gesù». L’originale greco è molto forte, e sorprende quando usa un campo semantico che riguarda sia il divino sia l’utero materno. Il sostantivo «viscere» di Cristo e il relativo verbo sono impiegati per indicare

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un profondo sentimento di amore e di compassione, per esprimere la misericordia di Dio che in Gesù ha mostrato pienamente il suo volto (cfr. Mt 9,36; Lc 15,20; 23,34). Amare i Filippesi, con le stesse viscere di Cristo, per Paolo significa che prima e al di sopra del suo amore c’è sempre l’amore misericordioso di Cristo che tutto e tutti avvolge e sostiene.

la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento. Paolo prega perché la capacità di amare cresca «in conoscenza e discernimento». Sotto questa preghiera si sente tutto l’influsso del mondo biblico, sapienziale e profetico, e della filosofia del primo secolo. L’amore cristiano deve quindi unirsi alla «consapevolezza» (cfr. Fil 1,9) di dover perseguire e accogliere la volontà di Dio, come si legge nella tradizione sapienziale: «Se tu ti impegnerai in una ricerca anche faticosa della sapienza, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la conoscenza di Dio» (cfr. Pr 2,4-5).

per distinguere le cose migliori. Paolo prega perché la comunità cristiana di Filippi sia sempre più in grado di «distinguere le cose migliori». Perché? L’apostolo aveva appena affermato che l’amore è chiamato a discernere. La costruzione logica-sintattica, con valore finale, impiega un verbo molto caro a san Paolo: «distinguere». Distinguere le cose eccellenti, quelle migliori (dokimazo è un verbo speciale perché implica un processo impegnativo che si dispiega nel tempo e che avviene a tappe: a) esaminare; b) valutare; c) approvare; d) accettare come sperimentato) che in Fil 1,10 indica la conseguenza diretta del discernimento. Questo versetto diventa pienamente comprensibile alla luce di Rm 2,18 che usando le stesse parole greche di Fil 1,10 le amplifica e le chiarisce: «Conosci ciò che Dio vuole e istruito dalla Legge distingui le cose migliori (eccellenti, importanti, migliori)». L’amore punta sempre al meglio e il meglio è possibile conoscerlo attraverso un cammino fatto alla luce della Parola (Sal 119,105).

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BEATO GIACOMO ALBERIONE

È necessaria una grazia del tutto speciale per perseverare fino alla morte nella vocazione e nella santità:

questa perseveranza è il grande dono di Dio. San Paolo scrive:

«Colui che in voi cominciò l’opera della salvezza, la condurrà a termine...» (Fil 1,6).

(Brevi meditazioni per ogni giorno dell’anno, p. 145)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………….……………………… ………………………………………………………………………………………………………

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

O Dio, noi ti ringraziamo, perché la tua Parola ci esorta e ci conferma, ci sprona e ci consola. Stabilisci i nostri cuori nella gioia, rendici perseveranti fino alla fine.

Metti in noi l’amore per te e per le nostre comunità, accresci in noi la speranza per attendere la venuta gloriosa di tuo Figlio, Gesù Cristo, nella sapienza e nel discernimento, crescendo nell’integrità che tu ci domandi e che ci doni. Sii benedetto ora e sempre. Amen.

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TERZOGIORNO

Lemiecatene…Fil1,12‐18b

Invocazione allo Spirito

Signore e Dio nostro, apri l’orecchio del nostro cuore, fa’ riposare in noi il tuo Spirito Santo e donaci di accogliere, comprendere e mettere in pratica il messaggio della tua Parola. Insegnaci, o Padre, che il vivere è Cristo, e che noi possiamo vivere il Vangelo in ogni situazione. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 1,12-18b)

12Desidero che sappiate, fratelli, come le mie vicende si siano volte piuttosto per il progresso del Vangelo, 13[cosicché le mie catene risplendono di Cristo in tutto il pretorio e fra tutti gli altri]6. 14In tal modo la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor più ardiscono annunciare senza timore la Parola. 15Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. 16Questi lo fanno per amore, sapendo che io sono stato incaricato della difesa del Vangelo; 17quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non rette, pensando di accrescere dolore alle mie catene. 18Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato, io me ne rallegro.

6 La traduzione di Fil 1,13 è letterale e non proviene dalla traduzione CEI.

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Ambientazione. Con Fil 1,12-18b inizia il corpus della lettera. Dopo l’esordio generale (Fil 1,3-11), Paolo si accinge a inviare informazioni sulla propria situazione di prigionia che deve aver suscitato sicuramente interrogativi angosciosi tra i cristiani, divisi se vedere in essa una smentita o una conferma divina della missione di Paolo. Per questo egli afferma che la sua condizione è paradossale, perché l’imprigionamento non impedisce la diffusione del Vangelo, anzi la facilita. Siamo di fronte alla logica paolina della forza nella debolezza (cfr. 2Cor 12,5-10). La forza divina opera proprio nella fragilità del comunicatore, in contro-tendenza netta con l’esaltazione dei grandi della città di Filippi e degli oratori che riuscivano a convincere tutti con la loro bravura.

Commento

Desidero che sappiate, fratelli. Si apre uno squarcio sulla situazione particolare dell’Apostolo. Paolo desidera comunicare alla comunità di Filippi la sua situazione di prigioniero, probabilmente nel carcere di Efeso. Si rivolge ai cristiani chiamandoli «fratelli» con un solenne incipit: «voglio che sappiate». Paolo non decide di comunicare la sua vita in prigione per fare la lista delle lamentele, dei pianti o delle sue sofferenze, magari anche scagliandosi contro chi l’ha letteralmente sbattuto in prigione. Paolo sta dando una lettura di fede della sua situazione personale o meglio legge la sua prigionia alla luce del mistero pasquale di Cristo, solo questo gli interessa comunicare.

come le mie vicende si siano volte piuttosto per il progresso del Vangelo. Paolo legge il suo essere in catene a causa di Cristo come potente evangelizzazione. Con estrema intelligenza spirituale arriva a dire che le sue catene stanno evangelizzando, la sua situazione di incatenato a motivo di Cristo è paradossalmente un forte annuncio evangelico.

le mie catene risplendono di Cristo in tutto il pretorio e fra tutti gli altri. Paolo, servo di Cristo, qui non parla tanto di sé quanto piuttosto della sorte del Vangelo, al cui servizio egli si è posto. Se Paolo è incatenato, certamente non è incatenata la Parola. Bella la metafora delle catene che

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risplendono; esse, infatti, brillano di Cristo, cioè testimoniano lui, lasciando passare la sua luce attraverso le prove a cui Paolo è sottoposto.

incoraggiati dalle mie catene, ancor più ardiscono annunciare senza timore la Parola. L’esempio dell’Apostolo incoraggia indubbiamente tutti i discepoli del Vangelo a non fermarsi, a non arrendersi di fronte alle difficoltà. Quelle catene, cioè quella situazione di limite e di croce, non fermano Paolo né la Parola. Questa è davvero una buona notizia per tutti. Ogni situazione difficile, ogni sofferenza, ogni tipo di prigione, da quella vera e propria a quella simbolica, se è vissuta in Cristo e nel suo mistero pasquale, diventa luce e forza per il Vangelo.

per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato. Questo quadro di annuncio, sereno e positivo, cede subito il passo a un risvolto negativo evocato da Paolo. Se da una parte c’è la buona volontà di chi s’impegna per amore, ponendosi sulla stessa lunghezza d’onda dell’Apostolo, dall’altra purtroppo c’è «invidia e spirito di contesa» proprio di chi agisce con spirito di rivalità. La reazione di Paolo qui è davvero inaspettata. In altre lettere egli assume un linguaggio polemico contro comportamenti del genere e lo fa declassandoli, bollandoli, dichiarandoli intollerabili, e, a volte, assume un tono addirittura sarcastico. Qui in modo del tutto nuovo, frutto sicuramente di un cammino personale e di una notevole apertura del cuore, Paolo si concentra totalmente sul Vangelo uscendo dalle strettoie umane.

BEATO GIACOMO ALBERIONE

Neppure le catene lo (Paolo) fermavano, gli rimaneva sempre qualcosa di possibile: la preghiera e la sofferenza per le anime.

(Prediche San Paolo, 288, Collezione FSP, Grottaferrata)

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VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………….……………………… ………………………………………………………………………………………………………

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Donaci, Padre della consolazione e della misericordia, di comprendere in profondità l’evento «delle catene di Paolo».

Catene che ancora oggi illuminano e sostengono tutte le situazioni di sofferenza, di limite, di fragilità, di fatica, di sconforto.

Catene che brillano nella notte del mondo e raccontano che la vita vissuta per Cristo è sempre degna di essere vissuta, anche quando qualcosa o qualcuno si pone come ostacolo alla libertà dell’annuncio.

Padre santo, fa’ che le catene vissute da Paolo per il Vangelo sostengano la Chiesa di tutti i tempi a comunicare con coraggio la parola che salva. Amen.

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QUARTOGIORNO

IlviverediPaoloèCristoFil1,18c‐26

Invocazione allo Spirito

Spirito che aleggi sulle acque, calma in noi le dissonanze, i flutti inquieti, il rumore delle parole, i turbini di vanità, e fa’ sorgere nel silenzio la Parola che ci ricrea.

(Frère Pierre-Yves di Taizé)

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 1,18c-26)

18cContinuerò a rallegrarmene. 19So, infatti, che questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all’aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, 20secondo la mia ardente attesa e la speranza che in nulla rimarrò deluso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.

21Per me, infatti, il vivere è Cristo e il morire un guadagno. 22Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. 23Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; 24ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. 25Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede, 26affinché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo Gesù, con il mio ritorno fra voi.

Ambientazione. Quasi in forma di soliloquio dal carcere, Paolo detta uno dei paragrafi più intensi e toccanti del suo epistolario. La paradossale gioia di Paolo in catene si proietta anche sul futuro, nella ferma fiducia che egli ce

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la farà a uscire dalla presente situazione di sofferenza. L’Apostolo non parla più del passato e del presente ma del suo avvenire e giudica tutto in relazione al Vangelo, anche la sua situazione futura manifestando il proprio convincimento che essa, in ogni caso (anche di morte), risulterà a vantaggio dell’annuncio con un positivo esito salvifico; di tutto questo egli continua a rallegrarsi. In altre parole «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28).

Commento

Continuerò a rallegrarmene. Alla gioia per la diffusione del Vangelo, nonostante la sofferenza per la prigionia e le intenzioni non rette di alcuni, si aggiunge quella per il futuro. Paolo sostiene che non solo gioisce nel presente, ma continuerà a gioire anche in futuro, nonostante l’esito incerto della sua prigionia.

so che questo servirà alla mia salvezza. Il v. 19 inizia con una forte certezza: «so» che si protende verso il futuro. Nel corso della Lettera ai Filippesi, questo «so» è ripetuto tre volte, quasi per focalizzare le certezze di Paolo (Fil 1,19.25; 4.12).

Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Paolo è convinto che Cristo sarà «magnificato nel suo corpo». Il glorificato del testo è in realtà un magnificato. Si tratta del Magnificat di Paolo, visto che per Maria il Vangelo secondo Luca userà lo stesso verbo. In questo caso tocchiamo l’anima salmica di Paolo che da buon ebreo era abituato al linguaggio e all’esperienza dei salmi: «Magnificate con me il Signore» (Sal 34,4). Davvero Paolo glorificherà Cristo nel suo «corpo». Prosegue così il motivo del giusto perseguitato: Paolo, come Giobbe e il salmista, non perde la fiducia nel Signore ma ne magnifica-glorifica il nome con la sua lode e il suo comportamento, nonostante le avversità, fino alle estreme conseguenze.

Per me, infatti, il vivere è Cristo. La frase «il vivere è Cristo» non va vista in parallelo con Gal 2,20, dove Paolo afferma: «Cristo vive in me». In effetti, il nome di Cristo in Fil 1,21 non è soggetto della frase, cioè Paolo non sta dicendo: «Cristo è la mia vita o vita interiore». Soggetto della frase è il verbo

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«vivere», sicché il senso è che la vita intera di Paolo è per Cristo. Allora è importante distinguere: Gal 2,20 ha una portata mistica, Fil 1,21 ha una dimensione apostolica. In altre parole Paolo vuol dire che tutta la sua esistenza sul piano dell’impegno ha come scopo Gesù Cristo; cioè tutto ciò che egli fa mediante l’annuncio del Vangelo e la cura delle sue comunità cristiane non tende ad altro se non a promuovere Cristo.

BEATO GIACOMO ALBERIONE

Togliamo a san Paolo Gesù Cristo, e non avrà più ragione di essere né la sua conversione,

né la sua vita, né il suo apostolato, né le sue catene, né il suo martirio. (L’Apostolo Paolo, ispiratore e modello, p. 145)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………….……………………… ………………………………………………………………………………………………………

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Signore Dio nostro, noi ti ringraziamo, perché con la tua Parola ci hai ricordato la lotta necessaria per vivere la vita cristiana.

Insegnaci a desiderare di essere con Cristo, e a lavorare per i fratelli con sollecitudine e amore, così la nostra stessa vita sarà annuncio del Vangelo e testimonianza di Gesù Cristo che con te e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

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QUINTOGIORNO

LagraziadisoffrireperCristoFil1,27‐30

Invocazione allo Spirito

Dio e Padre nostro, versa nei nostri cuori il tuo Spirito, affinché germini il seme della tua Parola e lo faccia crescere e fruttificare in opere di santità e di amore. Te lo chiediamo per Gesù Cristo, tuo figlio e nostro Signore, che con te e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 1,27-30)

27[Solo] comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo perché, sia che io venga e vi veda, sia che io rimanga lontano, abbia notizie di voi: che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del Vangelo, 28senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo per loro è segno di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio 29perché, riguardo a Cristo, a voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 30sostenendo la stessa lotta che mi avete visto sostenere e sapete che sostengo anche ora.

Ambientazione. Passando dalla sua situazione a quella dei Filippesi, Paolo presenta per la prima volta un’esortazione. Secondo un originale punto di vista, Paolo intende far prendere coscienza ai Filippesi che la difesa e il progresso del Vangelo non sono esclusivi degli apostoli e dei loro collaboratori, ma propri di ogni credente. Il brano di Fil 1,27-30 è costituito

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da un’unica proposizione in dipendenza da un imperativo iniziale al quale si saldano altri verbi in una connessione a cascata. L’esortazione di 1,27-30 fa seguito alle notizie sulla prigionia di Paolo tirandone le pratiche conseguenze: poiché la situazione dei credenti di Filippi è uguale alla sua, egli indica loro come comportarsi in un contesto di persecuzione.

Commento

Solo comportatevi dunque in modo degno del Vangelo di Cristo. Il testo originale dice: «solo in modo degno del buon annuncio di Cristo vivete da cittadini». Nel testo originale l’imperativo «comportatevi» è reso con «politeuesthe» cioè comportatevi da cittadini, verbo che ha come suo originario significato quello di «condurre una vita politica» evocando la vita del cittadino con i propri diritti e doveri nei confronti della città. Nel greco ellenistico il verbo assumerà poi il significato generico di «vivere-comportarsi». Paolo chiede ai Filippesi di tenere un comportamento tale che vada a vantaggio del Vangelo e cioè un modo di vivere che esprima in pienezza collaborazione, comunione e unità d’intenti, proprio come i cittadini che vivono e abitano insieme in una mutua e corporativa responsabilità per la città.

combattete unanimi per la fede del Vangelo. Partendo da Fil 1,27 Paolo esorta in senso generale i Filippesi a comportarsi, tutti insieme, in maniera conforme al Vangelo: nell’ambito della loro situazione è la sola cosa importante da fare. Ciò richiede, a prescindere dalla presenza o assenza dell’Apostolo tra loro, una forte unità interna della comunità, in dipendenza dall’azione dello Spirito, ma anche una difesa e allo stesso tempo una comunicazione del Vangelo in cui si crede. Un Vangelo che va testimoniato nonostante il contesto ostile nel quale vivono i cristiani di Filippi.

a voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui. L’affermazione paolina non costituisce un’esaltazione del dolore, bensì tende a ricordare il valore di una coraggiosa testimonianza per il Vangelo. Il patire per amore di Cristo è la vera prova di un’autentica sequela.

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Se Cristo è veramente il tutto del credente allora si sopporta serenamente ogni difficoltà, ogni fatica, ogni ristrettezza. La sofferenza smaschera la falsità e pone in luce solo ciò che è vero e autentico. Dietro l’affermazione «a voi è stata data la grazia di soffrire per lui» si può intravedere la risposta di Paolo alle difficoltà dei Filippesi, i quali dovevano trovare l’idea di patire per Dio come radicalmente nuova (e strana), provenendo dalla religiosità pagana.

BEATO GIACOMO ALBERIONE

Importa non tanto dove si trova la persona, ma ciò che pensa. San Paolo tra le catene scrive:

«Il cuore mi trabocca di gioia in mezzo a tutte le nostre tribolazioni»; altri si disperano e maledicono Dio, gli uomini e se stessi.

(Carissimi in San Paolo, p. 1165)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ………………………………………………………………………………………………………. ……………………………………………………………………………….………………………

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

O Dio, nostro Padre, ricolmaci della tua grazia fortificante affinché nell’amore sappiamo combattere la buona battaglia della fede.

In mezzo all’umanità smarrita e angosciata rendici persone di speranza, forti nelle prove della vita, gioiose nel cammino! Amen.

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SESTOGIORNO

NonfatenullaperrivalitàovanagloriaFil2,1‐4

Invocazione allo Spirito

Donaci, o Padre, lo Spirito di verità affinché ci riveli l’essenza della vita e delle cose create. Lo Spirito renda attenta la nostra mente e ci renda docili alla Parola che è Cristo; ci conduca all’amore fraterno e ci aiuti ad agire sempre con retta intenzione, senza rivalità, competizione e vanagloria. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 2,1-4)

1Se dunque c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, 2rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. 3Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. 4Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.

Ambientazione. Dopo l’esortazione di Fil 1,27-30, con Fil 2 inizia una prima serie di esortazioni legate alla vita comunitaria. Anche qui, in Filippesi, la parenesi (cioè l’esortazione), come avviene anche nelle altre lettere di Paolo, trova ragion d’essere nella profonda motivazione cristologica. In altre parole il

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comportamento da assumere sgorga sempre da Cristo Gesù. Solo guardando a Cristo, il credente scopre il giusto modo di agire. Il capitolo 2 è formato da 5 parti, tutte legate all’esortazione anche se con diverse modalità. Le prime tre parti sono incastonate in Fil 2,1-18 che forma un testo armonico con le sue logiche interne: a) Fil 2,1-4 relazioni comunitarie: esortazione all’unità e all’umiltà; b) Fil 2,5-11: l’elogio di Cristo Gesù; c) Fil 2,12-18: conseguente esortazione comuni-taria e apostolica. Le altri due parti Fil 2,19-24 e Fil 2,25-3,1 riguardano due testimoni concreti Timoteo ed Epafrodìto.

Commento

Se dunque c’è. Fil 2,1 presenta quattro proposizioni ipotetiche, introdot-te dalla congiunzione greca ei (se), che devono essere intese in senso assertivo: «se è vero, come è vero, che c’è […]». Queste frasi articolano l’unità di pensiero. Se nel testo precedente il contesto semantico si riferiva alla lotta e alla testimonianza pubblica del Vangelo, adesso l’attenzione si sposta decisamente sulle relazioni comunitarie interne. È la testimonianza comunitaria a rendere pieno di gioia il cuore di Paolo. Qui è presentata l’ideale atmosfera comunitaria dei credenti in Cristo precisata da alcuni elementi: consolazione in Cristo, conforto, carità, comunione di spirito, sentimenti di amore e di compassione.

rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire. Tante volte l’Apostolo ha parlato ai Filippesi della sua «gioia»: egli prega per loro con gioia; con gioia vive nella fede la sua situazione di prigioniero per Cristo; con gioia constata che l’annuncio del Vangelo si sta diffondendo. A questa gioia ora aggiunge un altro aspetto molto importante: quello della comunione, di cui i Filippesi possono fargli dono crescendo sempre più nella vita di vera fraternità in Cristo. L’amore fraterno rende piena la gioia di Paolo pur nella chiara consapevolezza che la vita fraterna comporta fatica. Paolo non si immagina una vita di comunione senza difficoltà nei rapporti interpersonali, ma augura che, allo spuntare delle quasi inevitabili contese, i cristiani abbiano la capacità di comprendersi, di sostenersi vicendevolmente, di continuare ad amarsi e a perdonarsi.

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non fate nulla per rivalità o vanagloria. In Fil 2,3 la lista delle virtù è bruscamente interrotta da una preposizione disposta secondo un paral-lelismo linguistico, in cui si contrappongono «rivalità e vanagloria» contro «stima vicendevole e umiltà». Dove c’è rivalità: l’altro/a è un nemico non un fratello o una sorella per cui Cristo è morto. Dove c’è vanagloria: c’è l’apparire, l’esteriorità, il protagonismo e l’affermazione di sé. Questi sono ostacoli veri e propri per la realizzazione di uno stile di vita evangelica e fraterna. Paolo esorta tutti a coltivare l’umiltà e a ricercare il bene degli altri piuttosto che l’interesse personale. Nell’umiltà non sorge la rivalità, perché ciascuno pone l’altro prima di se stesso in una gara di reciproca stima e di sincero affetto.

ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. La vita cristiana non è fatta solo di un sentire interiore, ma ancor più di un esercizio concreto e costante che, eliminando ogni presunzione di superiorità personale, consideri gli altri positivamente dal punto di vista del loro valore. Si tratta di abbandonare con decisione ogni forma di egocentrismo, sempre latente, che tende a considerare gli altri a proprio servizio. Per arrivare a questo sarà necessario tenere lo sguardo fisso su Gesù che si abbassa a lavare i piedi dei suoi discepoli (cfr. Gv 13,1-17) e che si abbassa fino alla croce (cfr. Fil 2,5-11).

ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. L’esortazione a cercare l’interesse altrui comporta necessariamente l’idea di promuovere l’altro, cioè il prossimo, proprio nella sua diversità, la quale può perciò contribuire alla ricchezza dell’insieme.

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BEATO GIACOMO ALBERIONE

«Considero e prego con le parole di san Paolo: “Se vi è qualche consolazione in Cristo,

se qualche conforto nella carità… rendete perfetto il mio gaudio:

abbiate un solo pensiero, un solo amore, una sola anima, un solo sentimento.

Nulla fate per spirito di parte né per vana gloria; ma con umiltà l’uno reputi l’altro dappiù di sé;

mirando ciascuno non ai propri interessi, ma agli altrui”».

(Brevi meditazioni per ogni giorno dell’anno II, p. 258)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………….………………………

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Donaci, o Padre, di donare Gesù con la nostra vita, affinché la nostra testimonianza possa consolare la Chiesa locale e universale, la nostra carità confortare i vicini e i lontani.

Donaci di costruire la nostra comunità nell’umile ascolto quotidiano, nel servizio perseverante, nella parola edificante, con il cuore libero da ogni vanagloria e rivalità, cercando in tutto e sempre la gloria del Vangelo. Amen.

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SETTIMOGIORNO

Laformadell’amore:CristoGesùFil2,5‐11

Invocazione allo Spirito

Vieni o Spirito Creatore, visita le nostre menti riempi della tua grazia i cuori che hai creato. Difendici dal nemico, reca in dono la pace, luce d’eterna sapienza, svelaci il grande mistero di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo amore. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 2,5-11)

5Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: 6egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, 7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

Ambientazione. Nel passato si era soliti definirlo come «inno cristo-logico», considerandolo una composizione liturgica utilizzata dalle prime comunità cristiane e successivamente inserita da Paolo nel tessuto della lettera. Questa prospettiva generale è oggi messa in discussione da molti esegeti, perché il testo paolino non ha alcuna corrispondenza né con l’innodia semitica né con l’innodia greco-romana; piuttosto è possibile trovare nel testo lo schema «dell’elogio», in quanto si parla, con finalità laudativa, dell’origine di Cristo (v. 6), degli atti virtuosi da lui compiuti (vv. 6-8) e della sua superiorità rispetto a tutta la creazione (vv. 9-11).

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Commento

Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. «Abbiate lo stesso pensiero»: il v. 5 fa proprio da ponte tra l’esortazione che precede e quella che segue, cioè tra la comunità e Cristo, e lo fa attraverso un imperativo che pone il pensare/il pensiero della comunità in ginocchio davanti al Kyrios che, pur essendo Dio, si è fatto servo. La comunità si lascia guidare soprattutto nel pensare. L’elogio più alto dato a Cristo parte dalla mente.

non ritenne un privilegio l’essere come Dio. La seconda parte del versetto 6 offre una descrizione essenziale del modo in cui Cristo Gesù ha vissuto il suo status divino, il suo essere in condizione Dio. Cristo non ha approfittato, non ha usato per se stesso la sua condizione divina.

ma svuotò se stesso. Il verbo svuotò è un famoso verbo greco che ha dato il nome a tutto il processo di abbassamento del Cristo, visto come kenosi, che secondo Fil 2,5-11 si snoda in due momenti decisivi della vita di Cristo: l’incarnazione e la morte di croce.

Assumendo una condizione di servo diventando simile agli uomini. «Prendendo forma di schiavo»: questa seconda parte del versetto 7 è da leggere in piena contrapposizione al «pur essendo in forma Dio» del v. 6. Queste poche parole ci aiutano a rispondere alla domanda: «In che modo Cristo ha svuotato se stesso?». Assumendo la condizione di servo e diventando simile agli uomini.

dall’aspetto riconosciuto come uomo. Gesù segnò per gli uomini una svolta: prima d’allora la conoscenza e l’incontro con Dio erano un atto di fede nel Dio di Israele mediante l’ascolto della Sacra Scrittura, a cui era ed è necessario appoggiarsi. Ma con l’avvento di Gesù la relazione con Dio è un incontro con una persona in carne e ossa.

umiliò se stesso. Il verbo utilizzato è un termine molto caro a Paolo, del quale egli fa uso per spiegare la sua relazione con Dio e con gli altri. Nella relazione con Dio in Cristo Gesù, Paolo contempla un abbassamento senza

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precedenti. Cristo si è lasciato abbassare e immergere nella natura umana, nell’ascolto obbediente della Parola, nella morte di croce.

Facendosi obbediente fino alla morte. Lo svuotamento/abbassamento/ svilimento di Cristo (kenōsis) continua ancora nel v. 8b, trovando però il punto di arrivo, il suo termine o punto estremo, cioè la morte. Ma c’è una parola molto importante che fa da sfondo a tutta l’avventura di Cristo: «obbedienza». Alla lettera il versetto 8b risulta così: «diventando obbediente fino alla morte». Obbediente in greco è un aggettivo che denota un atteggiamento di ascolto costante e abituale definito: «fedeltà totale alla volontà di Dio». Tra le righe Paolo si collega al terzo canto del profeta Isaia (cfr. Is 50), dove l’obbedienza è radicale e sofferta.

e alla morte di croce. La prima parte dell’elogio a Cristo si chiude con questa specificazione: morte di croce. Alcuni esegeti la considerano come «aggiunta tipicamente paolina». Siamo al culmine dei vv. 6-8, il sintagma centrale della pericope. L’umiliazione estrema sofferta da Gesù viene messa in rilievo tramite il carattere crudele, raccapricciante e ignominioso della sua morte. Nel mondo romano la pena capitale della crocifissione come forma di esecuzione era riservata agli schiavi e ai ribelli. Notevole deve essere stato l’impatto della crocifissione su una comunità di origine gentile come quella di Filippi.

per questo. È il Padre che solleva il Figlio da quella voragine e ne mostra all’universo la sovraeminente gloria; quella gloria che certo il Figlio aveva da tutta l’eternità, ma che si rivela pienamente solo in seguito alla morte per amore in obbedienza all’amore del Padre.

Dio lo esaltò. Dopo la morte di croce abbiamo un brusco cambio di soggetto, spia di un repentino mutamento di scena: fino a quel momento era stato Gesù attore principale della propria diminutio; d’ora in poi Dio diventa attore esclusivo dell’innalzamento.

che è al di sopra di ogni nome. Qual è il nome che è al di sopra di ogni altro nome nell’Antico Testamento? Nientemeno che il nome stesso di Dio, che veniva scritto in ebraico «Yhwh» ma che non veniva pronunciato per rispetto. Il testo greco in realtà dice: Signore è Gesù Cristo. Il Kyrios è Gesù!

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Ogni lingua è invitata a proclamare la fede nel Signore riconosciuto in Gesù, quell’uomo di Nazaret umiliato, tradito, crocifisso, ucciso.

BEATO GIACOMO ALBERIONE

Gesù fu esaltato perché si era umiliato. Chi non fa come Gesù che è la Via, sbaglia strada.

Chi guadagna è colui che ama la vita nascosta, che opera solo per amore di Dio.

La santità non sta nel fare, ma nell’umiliarsi. (Alle FSP, Meditazioni e Istruzioni 1929-1933 (1932), p. 329)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………….……………………… ……………………………………………………………………………………………………….

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Padre, fa’ che l’umiltà di Gesù sia la nostra luce, la sua kenosi sia memoria viva per non cadere nella ricerca dei propri interessi, ma per andare verso il futuro considerando gli altri un vero segno della tua provvidenza. Amen.

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OTTAVOGIORNO

Brillatecomestelletenendoaltalaparoladivita

Fil2,12‐18

Invocazione allo Spirito

Con il tuo Santo Spirito, forma in noi, Signore, un cuore orante e delicato che si prenda a cuore il bene di coloro che incontriamo sul nostro cammino. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 2,12-18)

12 Quindi, miei cari, voi che siete stati sempre obbedienti, non solo quando ero presente ma molto più ora che sono lontano, dedicatevi alla vostra salvezza con rispetto e timore. 13È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore. 14Fate tutto senza mormorare e senza esitare, 15per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo, 16tenendo salda la parola di vita. Così nel giorno di Cristo io potrò vantarmi di non aver corso invano, né invano aver faticato. 17Ma, anche se io devo essere versato sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento e ne godo con tutti voi. 18Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me.

Ambientazione. In Fil 2,12-18 si riprende l’esortazione iniziata già in Fil 2,1-4 e ritmata sull’itinerario kenotico di Cristo in Fil 2,5-11. Questi versetti, dal tono parenetico, possono essere suddivisi in due parti: vv. 12-13 e vv. 14-18. La prima parte (vv. 12-13) presenta una calda esorta-zione a operare per

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la propria salvezza facendo leva sull’obbedienza perseverante dei Filippesi. La seconda parte che va dal v. 14 al v. 18 è un’esortazione forte e decisa a fare tutto senza mormorazioni e contestazioni, seguita da una descrizione della vita credente e dall’invito a gioire.

Commento

Quindi, miei cari. «Dunque, miei amati-diletti». Nel rivolgersi ai Filip-pesi, Paolo usa un linguaggio molto affettuoso, riprendendo lo stile col-loquiale che era stato interrotto dalla digressione dell’inno cristologico.

voi che siete stati sempre obbedienti. Paolo inizia la sua nuova esorta-zione a partire da un grande valore vissuto dalla comunità di Filippi: l’obbedienza effettiva e affettiva. Questo diventa un elogio discreto e profondo nei confronti dei destinatari. Paolo, usando un verbo che richiama l’obbedienza di Cristo (cfr. Fil 2,8), lascia intendere che la comunità di Filippi vive una profonda accoglienza del Vangelo, al di là della presenza o assenza di Paolo, che scaturisce da una grande capacità di ascolto della Parola che è Cristo. L’obbedienza radicale del cristiano consiste nella fede intesa come autoconsegna a Dio e quindi come accettazione incondizionata della via della salvezza tracciata nel sangue di Cristo sulla croce.

è Dio, infatti, che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore. Se Fil 2,12 richiama i lettori al loro personale impegno, in Fil 2,13 la riflessione si ferma sul buon volere di Dio. È davanti a lui che deve approdare ogni nostro interrogativo ed è a lui che va rimessa ogni decisione. Il volere e l’operare secondo il disegno di amore di Dio vengono soltanto da lui. Dio s’impegna in prima persona a lavorare in noi e con noi per la nostra salvezza.

Fate tutto senza mormorare e senza esitare. La seconda parte del-l’esortazione invita i Filippesi a evitare atteggiamenti negativi come la mormorazione e la discussione. Le mormorazioni sono fattori di malcontento individuale in forma di borbottamenti che provocano divisione comunitaria in forma di contese varie. Il verbo mormorare è un misto di malcontento, risentimento, scoraggiamento che nella pratica si trasforma in tristezza,

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accusa gratuita e mancanza di trasparenza. Quanto al secondo termine «senza esitare» il greco preferisce dire «senza critiche». Paolo non nasconde la sua preoccupazione; teme che, tra le critiche inutili e le vane mormorazioni, la comunità possa lacerarsi in tensioni sterili e controproducenti.

risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita. Per essere irreprensibili, onesti e retti, per poter risplendere come astri nel mondo è necessario conservare e alimentare un legame profondo con la parola di vita (verbum vitae). Si può facilmente notare il retroterra profetico. Per comprendere meglio il nesso tra il risplendere e il tener ferma la parola di vita è necessario far riferimento all’interessante traduzione greca del testo ebraico di Dn 12,3 che risulta essere diversa nella forma: «E coloro che tengono ferma la mia parola (sono) come le stelle del cielo per i secoli dei secoli».

BEATO GIACOMO ALBERIONE

La grazia celeste chiama, eccita, sollecita, stimola, trascina al bene.

È un aiuto vero e reale. La madre non solo sollecita il bambino,

ancora debole, a camminare, ma lo aiuta, lo sostiene, gli muove anche i piedini.

San Paolo dice: «È il Signore che compie in noi le buone risoluzioni

e la pratica di esse» (Fil 2,13). (Brevi meditazioni per ogni giorno dell’anno, pp. 143-144)

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VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: …………………………………………………………………………….………………………… ……………………………………………………………………………………………………….

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Padre della luce, sappiamo che dipende da noi lavorare per la nostra salvezza con timore e tremore; sappiamo anche che tu, Dio nostro, attui in noi sia il buon volere che il retto agire.

Tutto è dono tuo. Aiutaci a compiere tutto senza borbottamenti, senza problematizzare, per edificare la comunità ogni giorno. Per Cristo nostro Signore. Amen.

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NONOGIORNO

TimoteohaservitoilVangeloinsiemeconme

Fil2,19‐24

Invocazione allo Spirito

O Spirito Santo, anima dell’anima mia, in te solo posso esclamare: Abbà, Padre. Sei tu, o Spirito di Dio, che mi rendi capace di chiedere e mi suggerisci che cosa chiedere. O Spirito d’amore, suscita in me il desiderio di camminare con Dio: solo tu lo puoi suscitare. O Spirito di santità, tu scruti le profondità dell’anima nella quale abiti, e non sopporti in lei neppure le minime imperfezioni: bruciale in me, tutte, con il fuoco del tuo amore. O Spirito dolce e soave, orienta sempre più la mia volontà verso la tua, perché la possa conoscere chiaramente, amare ardentemente e compiere efficacemente. Amen.

(San Bernardo)

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 2,19-24)

19Spero nel Signore Gesù di mandarvi presto Timoteo, per essere anch’io confortato nel ricevere vostre notizie. 20Infatti, non ho nessuno che condivida come lui i miei sentimenti e prenda sinceramente a cuore ciò che vi riguarda: 21tutti in realtà cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo. 22Voi conoscete la buona prova da lui data, poiché ha servito il Vangelo insieme con me, come un figlio con il padre. 23Spero

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quindi di mandarvelo presto, appena avrò visto chiaro nella mia situazione. 24Ma ho la convinzione nel Signore che presto verrò anch’io di persona.

Ambientazione. Si apre un’altra sezione (Fil 2,19 - 3,1a) divisa in due parti, nelle quali Paolo parla dei suoi amati collaboratori: Timoteo (cfr. Fil 2,19-24) ed Epafrodìto (cfr. Fil 2,25 - 3,1a). Il rapporto tra le parti è costruito essenzialmente sulla ripetizione del verbo «mandare» (Fil 2,19.23.25.28). Poiché in genere le notizie sui progetti di viaggio di Paolo o dei suoi delegati sono collocate verso la conclusione delle sue lettere, la postazione di Fil 2,19 - 3,1 crea diverse difficoltà, offrendo spazio alle ipotesi sulla natura frammentaria della lettera.

Commento

Spero nel Signore Gesù di mandarvi presto Timoteo. La lettera adotta ora i toni dell’informazione e dei progetti personali, che portano in scena la figura di Timoteo. Paolo spera di inviare presto Timoteo in sua rappresentanza, per visitare la comunità di Filippi. Evidentemente egli era a stretto contatto con Paolo benché fosse in carcere, forse si trova anche nella stessa città; questo spiegherebbe anche il perché Timoteo sia co-mittente con Paolo della Lettera ai Filippesi (cfr. Fil 1,1). Spero nel Signore Gesù: il verbo sperare compare diverse volte nelle lettere di Paolo e quasi sempre in connessione con progetti di viaggio.

non ho nessuno che condivida come lui i miei sentimenti. Paolo parla di Timoteo facendone un elogio eccezionale e per descriverlo usa una parola greca inedita per il Nuovo Testamento: «isopsychos», che alla lettera significa «di animo uguale». In questi termini, infatti, si parla solo di un amico e di un confidente intimo (cfr. Sal 55,14). Dire isopsychos significa qualificare la relazione rendendola più profonda di quella che potrebbe esserci con un fratello di sangue, più forte di quella stabilita con un collaboratore, molto più vicina a quella che invece unisce un padre con un figlio. In altre parole più di un fratello, più di un collaboratore, come un

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figlio; ma il paragone non insiste sul rapporto in quanto tale, poiché serve solo per evidenziare la loro vicendevole comunione al servizio del Vangelo. tutti in realtà cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo. Per evidenziare la bontà d’animo e la premura di Timoteo, Paolo allude breve-mente all’atteggiamento di altri evangelizzatori, stabilendo un confronto o un paragone tra il comportamento di tutti e quello di Timoteo. Il «tutti» è certamente un’iperbole, un’esagerazione, che produce l’effetto di esaltare l’esempio di Timoteo. Però nell’eccesso del «tutti», Paolo richiama in modo implicito l’accusa contro coloro che per invidia, contesa, vanagloria e rivalità annunziano Cristo (cfr. Fil 1,15.17). L’orizzonte dell’esempio negativo qui menzionato sarà ripreso in Fil 3,18-20 a proposito dei nemici della croce di Cristo. Pertanto, mentre tutti gli avversari di Paolo si preoc-cupano degli interessi personali, senza badare a quelli di Gesù Cristo, Timoteo è elogiato per la sua instancabile dedizione alla causa del Vangelo, diventando modello per tutti i destinatari.

Timoteo ha servito il Vangelo insieme con me, come un figlio con il padre. Nella lingua greca il nome Timoteo significa «colui che onora Dio». Nato a Listra (a circa 200 chilometri a nord-ovest di Tarso), da padre pagano e madre ebrea, Timoteo, menzionato per ben 17 volte nell’epistolario paolino, fu scelto da Paolo come compagno di viaggio e di evangelizzazione durante il secondo viaggio missionario. Lo troviamo con Paolo a Troade, a Filippi, a Berea, a Tessalonica, ad Atene, a Corinto, e ancora a Efeso. Paolo lo incaricò di alcune missioni importanti che lo rivelano quasi come un vicario dell’Apostolo.

appena avrò visto chiaro nella mia situazione. È una sfumatura importante: veder chiaro nelle situazioni per agire con convinzione. Paolo preferisce aspettare che le situazioni diventino più chiare di fronte al suo continuo discernimento fatto nel Signore. Questo dice molto di Paolo, uomo paziente e intelligente, capace di leggere gli eventi della vita nel Signore, per scoprire la via da prendere appena si alza il vento dello Spirito.

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BEATO GIACOMO ALBERIONE

Quale affetto non nutrì per i suoi primi discepoli: Tito, Timoteo, Tecla, Luca e Filemone! Quanti santi non gli fiorirono intorno!

Gli fiorirono allora, gli fioriranno anche adesso!

(Prediche San Paolo, 268, Collezione FSP, Grottaferrata)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………….……………………… ……………………………………………………………………………….………………………

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Noi ti ringraziamo, Signore, per la Parola che ci hai rivolto, Parola che consola e ammonisce.

Liberaci dal male della mormorazione e infondi in noi l’umile risolutezza di chi serve il Vangelo fino alla fine.

Donaci un cuore di carne attento alle persone, alle loro necessità, un cuore accogliente e gioioso nei confronti della comunità ecclesiale, un cuore fiducioso nei confronti dei collaboratori per il Vangelo.

Te lo chiediamo per Cristo, nostro Signore. Amen.

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DECIMOGIORNO

EpafrodìtomiocollaboratoreFil2,25‐3,1a

Invocazione allo Spirito

Vieni in me, Spirito Santo, Spirito di verità: concedimi di pervenire alla conoscenza della verità in tutta la sua pienezza. Vieni in me, Spirito Santo, Spirito dell’amore: riversa sempre più la carità nel mio cuore. Amen.

(Agostino d’Ippona)

VERITÀ: attenzione al testo Fil 2,25 - 3,1a

25Ho creduto necessario mandarvi Epafrodìto, fratello mio, mio compagno di lavoro e di lotta e vostro inviato per aiutarmi nelle mie necessità. 26Aveva grande desiderio di rivedere voi tutti e si preoccupava perché eravate a conoscenza della sua malattia. 27 È stato grave, infatti, e vicino alla morte. Ma Dio ha avuto misericordia di lui, e non di lui solo ma anche di me, perché non avessi dolore su dolore. 28Lo mando quindi con tanta premura, perché vi rallegriate al vederlo di nuovo e io non sia più preoccupato. 29Accoglietelo dunque nel Signore con piena gioia e abbiate grande stima verso persone come lui, 30perché ha sfiorato la morte per la causa di Cristo, rischiando la vita, per supplire a ciò che mancava al vostro servizio verso di me. 3,1a Per il resto, fratelli miei, siate lieti nel Signore.

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Ambientazione. I piani di Paolo devono modificarsi. Nella speranza di poter inviare al più presto Timoteo e nella convinzione di recarsi lui stesso dai Filippesi, Paolo intanto manda Epafrodìto (incaricato di portare la lettera a Filippi). Si tratta della stessa persona, appartenente alla comunità di Filippi, che ha portato a Paolo quell’aiuto così gradito: «Ho ricevuto tutto e sono nell’abbondanza, avendo avuto da Epafrodìto i vostri doni, profumo soave, sacrificio gradito, che piace a Dio» (cfr. Fil 4,18). Come già Timoteo anche Epafrodìto sarà elogiato da Paolo.

Commento

Ho creduto necessario mandarvi Epafrodìto fratello mio, mio compagno di lavoro e di lotta. Il nome proprio Epafrodìto deriva da quello della dea Afrodite e significa appunto: «caro ad Afrodite». Si tratta di un nome diffuso nell’antichità pagana che poneva in rilievo l’amabilità di una persona. Questo nome appare due volte nel Nuovo Testamento ed entrambe nel contesto della Lettera ai Filippesi (cfr. Fil 2,25; 4,18). Le parole stesse di Paolo ci aiutano a scoprire chi è Epafrodìto. Di lui dice che è fratello, collaboratore e compagno di lotta. Le tre qualifiche sono chiaramente relative alla relazione tra Epafrodìto e Paolo. La prima parola è fratello, si tratta di una parola che nel corpus paolino è usata per comprendere come vivere concretamente la fraternità (cfr. Rm 14,10; 1Cor 8,13; Fm 16). Paolo lo chiama fratello indicando la relazione affettuosa e profonda che li unisce. La seconda parola è collaboratore o compagno di lavoro: in realtà la parola greca suggerisce una sinergia tra l’azione di Paolo e quella di Epafrodìto. Epafrodìto è una persona capace di lavorare insieme per produrre un risultato non ottenibile singolarmente. La terza parola: compagno di lotta, richiama il linguaggio militare. Paolo chiamando Epafrodìto compagno di lotta sta dicendo molto di più. Sta invitando tutti a rimanere uniti combattendo unanimi la lotta per il Vangelo (cfr. Fil 1,27-30). Epafrodìto è un uomo che vive per il Vangelo, capace di lotta e di cooperazione, nonostante tutte le difficoltà e le sofferenze. Ecco colui che Paolo sta inviando con fiducia a Filippi.

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vostro inviato per aiutarmi nelle mie necessità. Paolo definisce Epafrodìto: vostro inviato e servitore. Queste due parole qualificano e descrivono Epafrodìto in rapporto ai Filippesi. Egli è un apostolo nel senso di delegato della Chiesa di Filippi. A nome della comunità, Epafrodìto è servitore in diversi ambiti, compreso quello cultuale.

perché ha sfiorato la morte per la causa di Cristo. Paolo precisa che Epafrodìto ha sfiorato la morte a motivo di Cristo. Il verbo usato per descrivere il rischio della vita per Cristo è rarissimo, anzi unico in tutto il Nuovo Testamento. Si tratta, infatti, del verbo greco paraboleuomai, porre in gioco, in origine era associato al gioco d’azzardo. Epafrodìto per favorire l’opera di Cristo non ha temuto di giocarsi la vita. Ma Dio ha avuto misericordia di Epafrodìto mantenendolo in vita. Questa grazia ha avuto un impatto positivo anche su Paolo perché non avesse «dolore su dolore».

BEATO GIACOMO ALBERIONE

Tutte e tutti possono essere cooperatori in questo grande ministero.

San Paolo dice: «Agli altri miei cooperatori» (Fil 4,3).

Allora noi dobbiamo ricordare che la Chiesa ci ha assunti, vi ha assunte a collaboratrici della Parola di Dio,

della predicazione del Vangelo (Alle FSP, Meditazioni ed istruzioni 1960, p. 370)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………….……………………… ……………………………………………………………………………….………………………

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VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Signore Gesù, ti adoriamo e tingraziamo per tutti coloro che, con Paolo e come Paolo, soffrono e lottano per il tuo Vangelo.

Ti affidiamo tutti i collaboratori che, per il Vangelo, offrono tempo, disponibilità, generosità, aiuti concreti che profumano di gioia, di amore fraterno, di passione per Dio e per l’evangelizzazione.

Grazie, Signore Gesù, per tutti i nostri cari collaboratori e benefattori, angeli della tua Presenza sulle strade del mondo. Amen.

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UNDICESIMOGIORNO

PerCristoholasciatotuttequestecose…Fil3,1b‐16

Invocazione allo Spirito

O Spirito Santo, vieni nel mio cuore: per la tua potenza attiralo a te, o Dio, e concedimi la carità con il tuo timore. Liberami, o Cristo, da ogni mal pensiero: riscaldami e infiammami del tuo dolcissimo amore, così ogni pena mi sembrerà leggera. Santo mio Padre, e dolce mio Signore, ora aiutami in ogni mia azione. Cristo amore, Cristo amore. Amen.

(Caterina da Siena)

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 3,1b-16)

3,1b Per il resto, fratelli miei, siate lieti nel Signore. Scrivere a voi le stesse cose, a me non pesa e a voi dà sicurezza. 2Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno mutilare! 3I veri circoncisi siamo noi, che celebriamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci vantiamo in Cristo Gesù senza porre fiducia nella carne, 4sebbene anche in essa io possa confidare. Se qualcuno ritiene di poter avere fiducia nella carne, io più di lui: 5circonciso all’età di otto giorni, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo; 6quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile. 7Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. 8Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù,

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mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo 9ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: 10perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, 11nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. 12Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. 13Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, 14corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. 15Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. 16Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo.

Ambientazione. Improvvisamente Paolo cambia tono. Questo ci fa comprendere che siamo in una nuova situazione. Lo scenario cambia. I segni della mutazione sono diversi sia dal punto di vista formale sia dal punto di vista contenutistico. Sul piano formale il cambiamento è abbastanza evidente perché Fil 3,1-16 si stacca dal contesto immediato, in altre parole si gira pagina. Infatti, rispetto a quanto precede, Paolo non parla più dei suoi collaboratori; adesso, invece, sembra che affronti direttamente gli oppositori.

Commento

Se qualcuno ritiene di poter avere fiducia nella carne, io più di lui. Paolo si schiera contro coloro che pongono la loro fiducia nella carne e se ne vantano poggiandosi su tutta una serie di titoli ritenuti vantaggiosi al fine di ottenere la giustificazione, cioè la salvezza. Questi titoli recano tutti l’impronta di una identità giudaica. Eppure Paolo ha un di più anche sul piano giudaico che gli permette un vanto maggiore. Segue perciò una sequenza di 7 qualifiche

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ritenute più che onorevoli, sulle quali Paolo stesso avrebbe avuto il buon diritto di vantarsi.

circonciso all’età di otto giorni. Ecco che Paolo continua a riprendere il discorso della circoncisione che da un punto di vista storico era praticata anche fra le popolazioni nomadiche per motivazioni igieniche. A partire da Abramo la circoncisione diventa il segno distintivo dell’Alleanza con il Signore, cioè il segno della sua elezione e dunque della sua apparte-nenza a lui (cfr. Gen 17,1-14).

della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio di Ebrei. Il ribadire e il ripetere quasi martellante di essere «ebreo figlio di Ebrei» serve a rimarcare la sua piena ebraicità. L’opzione per «ebreo» con valenza etnica, più che religiosa, sembra confermare il dato del confronto che accomuna Paolo ai suoi avversari: si tratta di credenti in Cristo che provengono dallo stesso popolo ebraico.

quanto alla Legge, fariseo. Il nome fariseo proviene dalla radice verbale ebraica pāraš che significa separare. I farisei costituivano un gruppo religioso i cui componenti si distinguevano per la stretta fedeltà alla Legge scritta (Pentateuco) e orale (tradizione dei padri). Qui si completa il profilo ebraico impeccabile di Paolo, il suo vanto giudaico.

quanto allo zelo, persecutore della Chiesa. La parola zelo (dal greco zēlos) indica in questo caso un ardore di natura religiosa, per il quale l’ebreo fedele è disposto a mettere a repentaglio la propria vita e a uccidere gli altri pur di difendere la Legge e il tempio7. Anche in Gal 1,13-14 Paolo ricorda di aver perseguitato la Chiesa a motivo del suo zelo. Paolo porta sempre con sé il ricordo vivo della sua violenza nei confronti dei cristiani; infatti ne parla ripetutamente, come se avesse una spina nell’anima.

quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile. Insomma, si tratta di un Giudeo «doc». È evidente che lo zelo di cui Paolo parlava prima non si esercitava solo ad extra, contro i cristiani, ma

7 Cfr. Nm 25,6-11; 1Mac 2,54.58; Sal 69,10.

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consisteva in un continuo esercizio su se stesso mediante l’attenzione prestata alle prescrizioni della Torah per metterle scrupolo-samente in pratica.

ma queste cose, che per me erano guadagni. «Guadagni… perdita»: è un linguaggio tipicamente finanziario. Ecco che, con Fil 3,7, Paolo confessa la realizzazione di una svolta, anzi di una vera e propria virata di bordo avvenuta nel vissuto della sua esperienza storica. Ciò che era un guadagno va identificato con l’insieme delle sette qualifiche dei vv. 5-6:

1. circonciso l’ottavo giorno 2. della stirpe d’Israele 3. della tribù di Beniamino 4. ebreo da ebrei 5. quanto alla Legge fariseo 6. quanto allo zelo persecutore della Chiesa 7. quanto alla giustizia richiesta dalla Legge, irreprensibile.

Ecco tutti i titoli di Paolo di Tarso. Ma strada facendo, entra in gioco un fattore decisivo, anzi scatenante, che permette e favorisce il totale ribaltamento dei valori, il crollo dei vanti: Cristo Gesù.

ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù. Il v. 8 preme sul concetto di perdita: non solo le sette caratteristiche elencate prima sono una perdita, ma adesso «tutto», senza eccezioni, è una perdita.

mio Signore. È importantissimo notare la qualifica di Cristo Gesù: «mio Signore». Questa formulazione è straordinaria, perché mentre Paolo parla molto spesso di Cristo come «Signore nostro», e cioè in prospettiva comunitaria, qui e solo qui (in Fil 3,8) per l’unica volta nelle sue lettere lo chiama «mio Signore».

le considero spazzatura, per guadagnare Cristo. Al concetto «perdita/ danno» ripetuto 3 volte nei vv. 7-8 si aggiunge la metafora della «spazzatura» il cui significato si allarga ad altre parole come rifiuti e letame.

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BEATO GIACOMO ALBERIONE

San Paolo nell’ora di Damasco morì a tutto il suo passato di colpa,

di errori, di ostinazione, di fariseismo, e a tutto quanto lo incatenava alla terra:

consanguineità, tradizione di stirpe, avvenire terreno, progetti per la vita:

ecco l’uomo vecchio che morì a Damasco! (L’Apostolo Paolo, ispiratore e modello, p. 177)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………….……………………………… ……………………………………………………………………………………………………….

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Ti benedico, Gesù, per aver dato a San Paolo un cuore tanto pieno di amore a Dio e alla Chiesa, e di aver salvato per il suo zelo tante anime. Amen.

(Beato Giacomo Alberione)

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DODICESIMOGIORNODiventatecomeme…

Fil3,17‐4,1

Invocazione allo Spirito

O santo divino Spirito, amore eterno del Padre e del Figlio, ti adoriamo, ti ringraziamo, ti amiamo, ti domandiamo perdono per tutte le volte che ti abbiamo contristato. A te, Spirito di Verità, doniamo la mente, la fantasia, la memoria: illuminaci affinché possiamo conoscere Gesù Cristo l’unico Maestro. A te, Spirito santificatore, doniamo la volontà, guidaci nei tuoi voleri, affinché la nostra vita sia coerente ai tuoi comandamenti. A te, Spirito vivificatore, offriamo il nostro cuore: custodisci e accresci in noi la vita di Dio. Concedici il dono della preghiera. Amen.

(cfr. Beato Giacomo Alberione)

VERITÀ: attenzione al testo Fil 3,17 - 4,1

17Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. 18Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. 19La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. 20La nostra

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cittadinanza, infatti, è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, 21il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose. 4,1Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!

Ambientazione. In netta contrapposizione con il precedente invito di Fil 3,2-4 a fuggire i cattivi modelli: «Guardatevi dai cani…», ora l’Apostolo invita a imitare l’esempio buono: il suo e quello dei suoi stretti collabo-ratori. Il testo si presenta così strutturato: al v. 17 abbiamo un’esortazione; e ai vv. 18-19 e 20-21 due giustificazioni. Il v. 17 segna il passaggio dal precedente versetto, dove si usa il «noi», al versetto successivo dove Paolo vuole raggiungere un «voi» con una fraterna esortazione. I Filippesi sono chiamati a osservare coloro che già si comportano secondo il modello offerto da Paolo e dai suoi stretti collaboratori.

Commento

Fratelli, fatevi insieme miei imitatori. Si tratta di un’esortazione forte e decisa indirizzata a un’intera comunità: «insieme». Paolo invita i cristiani a imitare lui stesso, sottolineando che tale imitazione deve essere «un atto comunitario» e relazionale.

Molti, con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo. Questa comunicazione, molto dolorosa per Paolo, avviene nelle lacrime. Tra i nemici della croce di Cristo ci sono anche i propagandisti giudaizzanti, i quali predicano la necessità della circoncisione. Contro costoro Paolo mette in guardia i Filippesi. Il rischio che essi corrono è, infatti, quello di imitare qualcuno che va in una direzione sbagliata. È molto facile cadere in contraddizione con la croce di Cristo: basta un po’ di vanagloria, rivalità comunitaria, mormorazione e super-ficialità (cfr. Fil 2).

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fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi! L’accumulazione di cinque epiteti che caratterizzano i destinatari (amati, desiderati, gioia, corona, amati; in greco c’è la ripetizione di amati), insieme a quel «fratelli miei», è unica in tutto il corpus paolino. Questo tipo di comunicazione intende suscitare negli ascoltatori un pathos positivo, affinché i Filippesi accolgano le indicazioni dell’Apostolo. C’è anche una ripresa del motivo della gioia, ampiamente diffuso nella lettera; tanto da far capire che l’invito alla gioia è il sottofondo di tutta la vita cristiana proposta ai Filippesi. Complessivamente questo versetto non costituisce una nuova esortazione, ma un richiamo sintetico a rimanere saldi nel Signore.

BEATO GIACOMO ALBERIONE

Paolo per noi si è fatto forma, onde in lui siamo forgiati

per vivere secondo Gesù Cristo. San Paolo forma non lo è per una riproduzione fisica, ma per possedere al massimo la personalità di Cristo:

mente, pietà, cuore, virtù, zelo. La Famiglia Paolina è suscitata da san Paolo

per continuare la sua opera; è san Paolo, vivo, ma che oggi è composto di tanti membri.

Non abbiamo eletto noi san Paolo; è lui che ha eletto e chiamato noi.

Vuole che facciamo quello che egli farebbe se oggi vivesse. (Alle FSP, Meditazioni e istruzioni 1954, p. 144)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………….……………………… ……………………………………………………………………………….………………………

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VITA: la Parola mi apre alla preghiera

O santo Apostolo, che con i tuoi insegnamenti e con il tuo amore hai comunicato la Verità di Cristo, volgi il tuo sguardo su di noi.

Tutto aspettiamo dalla tua preghiera di intercessione.

Fa’ che possiamo sempre meglio conoscerti soprattutto attraverso la lettura e la meditazione assidua delle tue lettere, tesoro inestimabile di Sapienza, vera rivelazione del Vangelo.

Fa’ che possiamo amarti e imitarti con passione apostolica e responsabilità storica.

Fa’ che tutti possano arrivare a conoscere l’immenso ed eterno amore del Signore Gesù. Amen.

(cfr. Beato Giacomo Alberione)

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TREDICESIMOGIORNO

GioitenelSignoresempreFil4,2‐9

Invocazione allo Spirito

Signore, manda su di noi il tuo Spirito Santo, affinchè apra i nostri cuori all’accoglienza della tua Parola, ed essa infondi in noi la tua pace. Pace più forte del nostro sentire, pace più forte delle nostre emozioni, pace più forte dei nostri umori, ed essa ci renda saldi in Cristo, ci radichi nel sentire che fu in Cristo Gesù, il tuo Unico Figlio, che con te e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

(Luciano Manicardi, priore di Bose)

VERITÀ: attenzione al testo Fil 4,2-9

2Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche ad andare d’accordo nel Signore. 3E prego anche te, mio fedele cooperatore, di aiutarle, perché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me, con Clemente e con altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita. 4Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. 5La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! 6Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. 7E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.

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8In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. 9Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

Ambientazione. Il tono della lettera ridiventa ora caldo e familiare. Lasciando la polemica, Paolo si rivolge ai suoi lettori con rinnovata cordialità. Le raccomandazioni conclusive si dividono in tre brevi paragrafi: esortazione alla concordia tra Evòdia e Sìntiche (vv. 2-3), appello alla gioia e alla fiducia nel Signore (vv. 4-7), invito a pensare e agire da cristiani sull’esempio di Paolo (vv. 8-9).

Commento

Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche ad andare d’accordo nel Signore. Qui si apre il sipario sulla vera correzione fraterna, tanto necessaria alla vita delle comunità cristiane. Paolo ci insegna che la correzione è un’esortazione fatta per portare la vera consolazione del cuore: conoscere che ci sono nuove possibilità di vita nel Signore. E che, inoltre, la correzione nasce dalla preghiera e dalla vicinanza del cuore, cioè dall’affetto sincero; soltanto allora si può sollecitare al cambiamento, alla trasformazione che può avvenire solo nel Signore. Ma chi sono Evòdia e Sìntiche? Si tratta di nomi greci, diffusi nel I-II secolo e attribuibili sia all’uomo che alla donna. I due nomi significano rispettivamente «buon cammino» e «incontro». Soltanto al v. 3 i pronomi femminili a loro riferiti ci assicurano che si tratta di due donne.

hanno combattuto per il Vangelo insieme con me. Evòdia e Sìntiche hanno combattuto con Paolo per il Vangelo. Il combattimento di cui si parla è una metafora di risonanza agonistico-militare e appartiene al linguaggio dell’Apostolo quando allude a un impegno particolarmente costoso a favore del Vangelo.

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i cui nomi sono nel libro della vita. La bella metafora del libro della vita, su cui sono scritti i nomi dei collaboratori per il Vangelo, sembra essere di antica origine egiziana. Altri pareri sostengono che il libro si riferisce a quel registro dove i Filippesi, essendo cittadini romani, avevano ricevuto l’iscrizione nel libro dei cittadini romani della colonia. Concludendo, il riferimento più sicuro è quello proveniente dallo sfondo biblico e apocalittico8, dove il fatto di essere scritti nel libro della vita significava essere destinati alla vita eterna.

Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La gioia (frutto dello Spirito in Gal 5,22) è considerata un fattore importante non soltanto per un individuale equilibrio interiore, quanto soprattutto per l’armonia interna della comunità. Paolo propone alla sua comunità «la mistica della gioia». Soltanto avendo lo sguardo fisso sulla kenosi di Cristo (cfr. Fil 2,5-11) e sulla kenosi di Paolo (cfr. Fil 3,4-11) è possibile vivere nella gioiosa serenità di essere amati dal Signore Gesù e dal suo servo Paolo. La gioia è una via kenotica e spirituale che aiuta a superare le immancabili sofferenze sia per le piccole cose del quotidiano sia per le grandi legate alla lotta per il Vangelo. La gioia è quel sole che combatte gli eventuali dissapori vicendevoli che sorgono nelle relazioni comunitarie, la gioia è un perdono sempre in atto, la gioia è la casa del Signore.

La vostra amabilità sia nota a tutti. Con questa esortazione Paolo ci spinge verso l’esterno, provoca la comunità a uscire verso tutti. Come? Attraverso l’amabilità, l’affabilità. C’è qualcosa, infatti, che deve trasparire all’esterno, verso tutti gli uomini indifferentemente. All’origine c’è l’esempio di Cristo stesso, la sua mansuetudine.

Il Signore è vicino! La frase può essere compresa sia in senso spaziale, indicando che Dio è a fianco di chi pone in lui la sua speranza, sia in senso temporale: il Signore sta per venire. Il Signore è vicino! In una frase carica

8 Cfr. Sal 69,29; Lc 10,20; Ap 3,5; 13,8; 17,8; 20,15.

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di significato della Lettera ai Romani Paolo afferma: «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore» (Rm 10,8). È proprio la Parola che rende Dio molto vicino. L’ascolto della Parola fa crescere la nostra fede e fa sentire la presenza del Signore nel nostro quotidiano. Ma il Signore si avvicina anche attraverso la qualità del nostro comportamento. Quando incontriamo sul nostro cammino una persona gioiosa, affabile, cordiale e mansueta sentiamo subito che il Signore è vicino.

Non angustiatevi per nulla. Un nuovo versante esortativo riguarda il non preoccuparsi o l’agitarsi per nulla, che in termini positivi consiste nel far conoscere le proprie richieste a Dio mediante la preghiera. Fil 4,6 inizia con un «non», cioè in negativo (per nulla, in nulla), e con l’imperativo presente del verbo merimnaō (affannarsi, preoccuparsi, darsi pensiero, angustiarsi). Paolo non specifica l’oggetto della preoccupazione, ma preferisce riferirsi a qualsiasi realtà o situazione che può provocare ansia e forte preoccupazione. Il verbo merimnaō ci collega direttamente ai Vangeli: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,41-42). Il versante positivo dell’esortazione è rivolto ai Filippesi in questi termini: «Ma in ogni cicostanza, fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti» (Fil 4,6).

Quello che è vero, nobile, giusto… questo sia oggetto dei vostri pensieri. In Fil 4,8 è riportato un elenco di aggettivi; si tratta di un cumulo di termini per conferire particolare enfasi alla sua raccoman-dazione finale. Il testo paolino qui si avvicina molto all’antica cultura filosofica stoica. «Tutto ciò che è bello, onesto, nobile… è pieno di gioia» lo ribadiva anche Cicerone.

BEATO GIACOMO ALBERIONE

Possiamo inserirci nel numero di quelli che san Paolo chiamava suoi intimi compagni:

Timoteo, Tito ed altri. Quanto amore aveva per essi

e come glielo esprimeva anche!

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Erano sinceramente e teneramente da lui amati. Anche con noi fa così san Paolo,

poiché egli è costituito protettore, guida e procuratore nostro. Egli è l’incaricato a ottenerci le grazie

e tutto ciò di cui abbiamo bisogno. (Prediche San Paolo, 248, Collezione FSP, Grottaferrata)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………….……………………… ………………………………………………………………………………………………………

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Signore, fa’ che il nostro sguardo si alzi verso te sempre pieno di gratitudine.

Possa la pace di Cristo, quella che sorpassa ogni immaginazione, custodire i nostri pensieri e i nostri sentimenti.

Per il resto, tutto ciò che è vero, degno di onore, giusto, puro, amabile, sia il contenuto scelto e voluto per nutrire la nostra mente affinché il bene sia compiuto. Amen.

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QUATTORDICESIMOGIORNO

GesùmirendeforteFil4,10‐20

Invocazione allo Spirito

Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Vieni, padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori. Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto. Vieni, Santo Spirito!

VERITÀ: attenzione al testo Fil 4,10-20

10Ho provato grande gioia nel Signore perché finalmente avete fatto rifiorire la vostra premura nei miei riguardi: l’avevate anche prima, ma non ne avete avuto l’occasione. 11Non dico questo per bisogno, perché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione. 12So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. 13Tutto posso in colui che mi dà la forza. 14Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. 15Lo sapete anche voi, Filippesi, che all’inizio della predicazione del Vangelo, quando partii dalla Macedonia, nessuna Chiesa mi aprì un conto di dare e avere, se non voi soli; 16e anche a

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Tessalònica mi avete inviato per due volte il necessario. 17Non è però il vostro dono che io cerco, ma il frutto che va in abbondanza sul vostro conto. 18Ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodìto, che sono un piacevole profumo, un sacrificio gradito, che piace a Dio. 19Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù. 20Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Ambientazione. Il tono del discorso si mantiene molto cordiale e personale, ma tende ad andare ben oltre l’esortazione e a coinvolgere chi legge nella descrizione della relazione che intercorre tra Paolo e i Filippesi. Il testo è diviso in tre parti secondo le unità tematiche:

a) Fil 4,10-13: la gioia di Paolo per il dono; b) Fil 4,14-17: il vero valore del dono dei Filippesi; c) Fil 4,18-20: la ricompensa di Dio.

Commento

Ho provato grande gioia nel Signore. Ho gioito «grandemente» (megalōs, avverbio unico nel Nuovo Testamento). Paolo manifesta la sua gioia radicata nel Signore. Gioisce per la rinnovata esperienza di amicizia e di vicinanza dei Filippesi.

perché finalmente avete fatto rifiorire la vostra premura nei miei riguardi. Il verbo usato in questa frase (anathallō; ana = su, sopra; thallō: fiorire) è unico in tutto il Nuovo Testamento, mentre è possibile incontrarlo in diverse pagine del Siracide. Suggerisce l’immagine della ripresa della vita legata alla fioritura della campagna dopo l’inverno (cfr. Sir 50,10). Paolo non ha mai dubitato dei sentimenti dei Filippesi nei suoi riguardi, ai quali mancava l’occasione per manifestarli.

l’avevate anche prima, ma non ne avete avuto l’occasione. Anche qui c’è un verbo unico in tutta la Bibbia: «non avete avuto l’occasione». Questo verbo significa mancanza di «tempo opportuno, favorevole» che non può essere assolutamente forzato. Il tempo opportuno è sempre dono di Dio. In

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questo contesto però, l’occasione è data paradossalmente dalla situazione di prigionia in cui Paolo si trova, a cui i Filippesi sono venuti incontro con l’invio a lui del caro Epafrodìto.

ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione. Sebbene apprezzi l’aiuto dei Filippesi, Paolo dichiara di aver imparato a bastare a se stesso in ogni circostanza. Secondo la tradizione sapienziale questo atteggia-mento risulterebbe un po’ problematico: «Non dire: “sono autosufficiente” e basto a me stesso» (cfr. Sir 5,1). L’Apostolo parlando della sua autosufficienza si riferisce all’autarkeia (concetto, tipicamente stoico, che significa condizione agiata che non necessita di sostegno) che costituisce la virtù per eccellenza del filosofo della scuola cirenaica che, svincolato da tutto e da tutti, è giunto a contare solo su se stesso, accettando ogni condizione di vita e giungendo quindi alla vera libertà. Ma Paolo si stacca nettamente da questa posizione giustificando la sua autosufficienza come capacità di far fronte alle difficoltà, puntando tutto su Dio e in piena dipendenza da lui.

Tutto posso in colui che mi dà la forza. Questa è una delle frasi più note dell’intero corpus paolino che alla lettera è: «tutto posso nel Fortificante me» (la lettura cristologica del Fortificante è molto attendibile. Cristo è il Fortificante). Il verbo greco endynamoō (en = in e dynamis = potenza, dare forza) si lega all’azione del Risorto nei confronti dei credenti. Tutto posso ha il suo fondamento in Cristo. Il pensiero stoico rischiava di sconfinare nell’individualismo, nell’indifferenza e nella chiusura verso gli altri, ma per Paolo, come per ogni cristiano, c’è Cristo che apre alla vita con la sua dynamis! La relazione profonda con lui è principio di perenne forza.

BEATO GIACOMO ALBERIONE

È chiaro che da soli nulla possiamo, ma con Cristo tutto è possibile:

«Omnia possum in eo qui me confortat» (Fil 4,13).

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In Gesù la forza di compiere i doveri, per osservare i voti,

per adempiere agli uffici che si hanno. Bisogna però far morire il nostro io, per far posto a Dio.

(Alle FSP, Meditazioni e istruzioni 1940-1945, p. 186)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………….……………………… …………………………………………………………………………….…………………………

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Mi rallegrerò in te, Signore mio, senza lamentarmi dell’indigenza, imparando ad accontentarmi sempre e ovunque, perché lì, Signore, con me ci sei tu.

Saprò lasciarmi umiliare dalla necessità, e saprò vivere nell’abbondanza. In te posso fare tutto, perché mi rendi forte.

Credo fermamente che tu colmerai ogni mia e nostra necessità secondo l’immensa ricchezza che in Cristo troverò. Amen.

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QUINDICESIMOGIORNO

Salutateciascuno…inCristoGesùFil4,21‐23

Invocazione allo Spirito

O Signore, concedici i doni dello Spirito Santo perché conosciamo la tua gloria e viviamo sulla terra nella concordia. Così spariranno odio, guerra e nemici e regnerà solo l’amore. Signore misericordioso ascolta la nostra preghiera e fa’ che tutti i popoli della terra ti conoscano mediante il tuo Spirito.

(Silvano del Monte Athos)

VERITÀ: attenzione al testo Fil 4,21-23

21Salutate ciascuno dei santi in Cristo Gesù. 22Vi salutano i fratelli che sono con me. Vi salutano tutti i santi, soprattutto quelli della casa di Cesare. 23La grazia del Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito.

Ambientazione. Il poscritto di Filippesi se, da una parte, ripropone gli elementi base dei saluti (vv. 21-22) e della benedizione (v. 23), dall’altra, rimane in silenzio sui destinatari specifici, contrariamente a quanto accade nelle altre lettere. Perché tale omissione proprio nei riguardi di una comunità con la quale l’Apostolo ha intessuto ottime relazioni? I pareri sono tanti e diversi. Ma una cosa è sicura: il tenore affettivo e intenso di Fil 4,2-20, testo

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che precede il poscritto, esclude l’ipotesi che dietro saluti così brevi si trovino attriti gravi fra i membri della comunità. La struttura del saluto finale ricorre a una triplice ripetizione del verbo: salutare.

Commento

Salutate ciascuno dei santi in Cristo Gesù. L’inizio della frase di saluto finale è per certi aspetti enigmatico: infatti non si rivolge direttamente alla comunità, ma incarica dei personaggi innominati di trasmettere i saluti: «salutate». «Santi in Cristo Gesù» sono le stesse parole che aprono la lettera nel prescritto, ma adesso invece sono usate per chiudere la comunicazione (naturale inclusione tra l’inizio e la fine). C’è una piccola, ma importante differenza da notare; se nel prescritto Paolo saluta tutti: «a tutti i santi in Cristo Gesù»; invece nel poscritto si rivolge: «a ciascuno dei santi in Cristo Gesù». La Lettera ai Filippesi si rivolge al lettore di ogni tempo. I saluti raggiungono ciascun battezzato: «Paolo si rivolge a te che leggi, a te che ricevi l’eredità di Paolo, a te che sei chiamata/o a vivere in Cristo Gesù!».

Vi salutano tutti i santi. Ai fratelli che sono con Paolo si aggiungono i saluti di tutti i santi della città da cui è inviata la lettera. In questione non è il fatto che tutti i fratelli siano santi, che per Paolo rappresenta un dato acquisito «per il loro essere in Cristo», bensì il passaggio da quanti sono con Paolo a tutti gli altri membri delle comunità domestiche dell’Urbe. Con tale estensione Paolo fa percepire attraverso la comunione fraterna le dimensioni della Chiesa universale che abbraccia tutti i credenti oltre il tempo e lo spazio.

La grazia del Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito. Uno dei tratti di continuità che accomuna i poscritti paolini è l’augurio finale: Paolo augura a tutti i destinatari delle sue lettere la «grazia». Introdotta nei saluti iniziali delle lettere (anche in Fil 1,2), dov’è augurata insieme alla pace divina, la charis, cioè la grazia, è concentrata su Cristo nei saluti finali. Fil 4,23 sottolinea l’origine cristologica della grazia, cioè la fedeltà gratuita di Dio si è resa visibile ed è giunta alla sua definitiva rivelazione in Cristo. Destinataria della grazia di Cristo è la vita stessa dei credenti, affinché in una

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situazione così minacciata siano sorretti da Cristo. «La grazia del Signore Gesù Cristo» è quanto di meglio i credenti possano augurarsi tra di loro.

BEATO GIACOMO ALBERIONE

Quello che vi nutre è lo spirito paolino. Voi avete una spiritualità cristiana paolina e niente altro;

e cioè: la spiritualità cristiana come è interpretata da san Paolo. Diciamo «spirito paolino» per dire che il Vangelo

interpretato e presentato da san Paolo nelle sue predicazioni e nelle sue Lettere.

(Prediche Costituzioni, 691, Collezione FSP, Grottaferrata)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento efficace per la mia vita e che desidero ricordare: ……………………………………………………………………………….……………………… ……………………………………………………………………………………………………….

VITA: la Parola mi apre alla preghiera

Padre santo, donaci di sentirci Chiesa amata, interpellata e inviata.

Purifica il nostro sguardo e il nostro cuore, affinché possiamo guardare con occhi nuovi le vicende liete o tristi, banali o eccezionali, che ritmano il nostro pellegrinaggio.

Concedici di comprendere come tutta la nostra vicenda abbia la sua radice e la sua sorgente nel cuore umile e mite di Cristo, uomo fra gli uomini, servo obbediente, per amore crocifisso. Amen.

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INDICE

Presentazione .......................................................................................... 2 Note introduttive ..................................................................................... 4 Proposta di lettura quotidiana ................................................................. 8 Prescritto e ringraziamento (1,1-11) Primo giorno: Paolo e Timoteo, servi di Gesù Cristo ............................ 9 Secondo giorno: Vi amo con il cuore di Cristo Gesù ........................... 13 CORPUS EPISTOLARE (1,12 - 4,1) Terzo giorno: Le mie catene… .............................................................. 17 Quarto giorno: Il vivere di Paolo è Cristo ............................................. 21 Quinto giorno: La grazia di soffrire per Cristo ..................................... 24 Sesto giorno: Non fate nulla per rivalità o vanagloria .......................... 27 Settimo giorno: La forma dell’amore: Cristo Gesù .............................. 31 Ottavo giorno: Brillate come stelle, tenendo alta la parola di vita ........ 35 Nono giorno: Timoteo ha servito il Vangelo insieme con me ............... 39 Decimo giorno: Epafròdito mio collaboratore ...................................... 43 Undicesimo giorno: Per Cristo ho lasciato tutte queste cose… ............ 47 Dodicesimo giorno: Diventate come me… .......................................... 52 Esortazione conclusiva (4,2-23) Tredicesimo giorno: Gioite nel Signore sempre ................................... 56 Quattordicesino giorno: Gesù mi rende forte ....................................... 61 Quindicesimo giorno: Salute ciascuno… in Cristo Gesù ...................... 65

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Casa provinciale FSP - Roma, marzo 2017Uso manoscritto