De là del mur - Provincia Monza Brianza · Come già è stato per La mort della Gussona anche la...

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De là del mur Poesia di Delio Tessa in milanese in buona parte riferita a Mombello. Traduzione e commento di Gino Cervi Come già è stato per La mort della Gussona anche la composizione di 383 versi di De là del mur occuparono un tempo assai esteso nella vita del Tessa. I primi 75, che corrispondono alla prima parte, vengono fatti risalire addirittura a prima del 1915; molto più tarda è invece la stesura della II e della III parte, che dovettero impegnare il Tessa dal 1931 data che è apposta, anche con la menzione del mese di dicembre, a chiusura di una redazione non ancora definitiva contenuta in un manoscritto fino al 1933 o 1934, come testimonia la memoria di Fortunato Rosti, raccolta nelle note dell‟edizione De Silva 1947. Questa poesia avrebbe dovuto prestare il titolo alla raccolta di cinque poesie che Tessa aveva approntato intorno alla metà degli anni Trenta: oltre a questa, erano previste I deslipp di Càmol, La poesia della Olga, On mort in pee e infine il trittico Viv, articolato in un preludio (Pupin sul trii), a un notturno (I cà) e a un finale (Grimett al sô). Il progetto abortì; scrive il Tessa nel dicembre del 1935, in occasione di una lettura delle sue poesie per la Radio della Svizzera italiana: «Già tutto era pronto ma poi vi ho rinunciato. Perché, mi son detto, porgere al lettore un altro non desiderato specchio in cui debba mirare il suo volto corrucciato? Aspetterò così che la bufera si plachi. Se la calma verrà rimarranno i miei ultimi versi come il ricordo di un incubo notturno, ma se i tempi volgeranno al peggio ancora una volta verrà dimostrato che poesia è sovente profezia». Fu infatti il secondo caso. Dapprincipio il tema si presenta nelle forme note della “passeggiata” come espediente letterario per rappresentare il distacco dal quotidiano affanno, la scelta del disimpegno, ma anche, d‟altro lato, l‟accettazione degli accadimenti casuali, non programmatici: il girovagare lascia aperta la porta alle occasioni. È una struttura che abbiamo già visto in Primavera, significativamente coeva (1911) ai primi versi di De là del mur. Poi, con l‟inizio della seconda parte, avviene lo scarto, come al solito

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De là del mur

Poesia di Delio Tessa in milanese in buona parte riferita a Mombello.

Traduzione e commento di Gino Cervi

Come già è stato per La mort della Gussona anche la composizione di 383 versi di

De là del mur occuparono un tempo assai esteso nella vita del Tessa. I primi 75, che

corrispondono alla prima parte, vengono fatti risalire addirittura a prima del 1915;

molto più tarda è invece la stesura della II e della III parte, che dovettero impegnare il

Tessa dal 1931 – data che è apposta, anche con la menzione del mese di dicembre, a

chiusura di una redazione non ancora definitiva contenuta in un manoscritto – fino al

1933 o 1934, come testimonia la memoria di Fortunato Rosti, raccolta nelle note

dell‟edizione De Silva 1947. Questa poesia avrebbe dovuto prestare il titolo alla

raccolta di cinque poesie che Tessa aveva approntato intorno alla metà degli anni

Trenta: oltre a questa, erano previste I deslipp di Càmol, La poesia della Olga, On

mort in pee e infine il trittico Viv, articolato in un preludio (Pupin sul trii), a un

notturno (I cà) e a un finale (Grimett al sô). Il progetto abortì; scrive il Tessa nel

dicembre del 1935, in occasione di una lettura delle sue poesie per la Radio della

Svizzera italiana: «Già tutto era pronto ma poi vi ho rinunciato. Perché, mi son detto,

porgere al lettore un altro non desiderato specchio in cui debba mirare il suo volto

corrucciato? Aspetterò così che la bufera si plachi. Se la calma verrà rimarranno i

miei ultimi versi come il ricordo di un incubo notturno, ma se i tempi volgeranno al

peggio ancora una volta verrà dimostrato che poesia è sovente profezia». Fu infatti il

secondo caso.

Dapprincipio il tema si presenta nelle forme note della “passeggiata” come espediente

letterario per rappresentare il distacco dal quotidiano affanno, la scelta del

disimpegno, ma anche, d‟altro lato, l‟accettazione degli accadimenti casuali, non

programmatici: il girovagare lascia aperta la porta alle occasioni. È una struttura che

abbiamo già visto in Primavera, significativamente coeva (1911) ai primi versi di De

là del mur. Poi, con l‟inizio della seconda parte, avviene lo scarto, come al solito

dettato da un‟incoercibile presa di distanza da una realtà storica in cui non ci si

riconosce e che si rifiuta: la vita stentata dell‟avvocato di piccolo cabotaggio, il

traffico delle automobili… La gita fuori porta ha condotto il Tessa a Mombello, paese

dove si trova un noto manicomio: un prato, un muro e questo è il traguardo. Come

scrive Giuseppe Anceschi (Delio Tessa. Profilo di un poeta, p. 104 ) quello che è

posto de là del mur è «centro atteso e sinistro dell‟intera narrazione, giro di boa cui

tendere e da cui ripartire come una vera e propria metafora della vita». Da qui in poi,

e per tutta la seconda parte, la lirica si fa «esaltazione del potere illimitato della

parola» (Tessa) e rivela la profonda istanza anti-realistica della poetica tessiana: il

discorso si rifrange in brandelli di suoni, di visioni slabbrate, tenute insieme da

concatenazioni analogiche, o sconnesse da continui salti di scena – dalla campagna

milanese ai notturni interni di appartamento, agli allucinati spazi immaginati del

manicomio e dell‟ospizio. Pier Vincenzo Mengaldo sottolinea come proprio con De

là del mur Tessa diventi l‟unico poeta dialettale del Novecento «che sia giunto a un

uso propriamente surreale e onirico del dialetto: qui la frantumazione ed arbitrarietà

verbale raggiunge il suo culmine, giusta l‟impianto fantastico-allucinatorio della

“favola”, con la memorabile chiusa dello «struzz / viv, che me guarda» nel pieno

trambusto di Porta Volta». Il tema del bestiario filosofico tessiano che altrove

assumeva ancora il tono del bozzetto (El cavall de bara, El gatt del sur Pinin)

acquista qui un valore di disperata tragicità: nello sguardo dello struzzo, anch‟egli

vittima della violenza della modernità, il poeta, proprio come confessava nella prosa

del 1935, pare riconoscere come in uno specchio «il suo volto corrucciato».

A

P G V

D T1

1 A / P G V / D T: dedica cifrata da leggersi “A / P(ier) G(iorgio) V(anni) / D(elio) T(essa)”.

I.

Foeura de porta Volta

de paes in paes

a la longa di sces

pedalavi in la molta

5 de la Comasna2 vuna

de sti mattinn passaa:3 …

me seri dessedaa

con tant de grinta, in luna

sbiessa4 e in setton sul lett

10 pensavi: «cossa femm

incoeu?… l‟è festa… andemm…

aria!… de sti fodrett…

moeuvet! te sèntet no

la pendola? Madonna!

15 hin i noeuv or che sona

e sont in lett ammò!

Giò con sti gamb… coragg,

2 Foeura de porta Volta… de la Comasna: oltrepassati i bastioni di porta Volta, la direttrice prendeva in direzione della

strada Comacina, che attraversando la Brianza occidentale, si dirige verso Erba e da qui verso Como. L‟espansione

urbanistica a nord di Milano, che oggi rende praticamente indistinguibile la fine della città dai centri dell‟hinterland, era

ancora di là da venire negli anni del Tessa. Il fango, e più avanti la nebbia, sono indizi di un tardo autunno, o di

un‟incipiente stagione invernale. Nelle note di dizione viene raccomandato di insistere su «una nota unica, la monotonia

di questo viaggio domenicale» in cui «tutto è velato, tutto è melanconico intorno intorno». 3 vuna de sti mattinn passaa: probabile ricordo dell‟attacco del Miserere del Porta (vv. 1-2): «Vuna de sti mattinn

tornand indree / de la scoeura de lengua del Verzee». 4 tant de grinta, in luna sbiessa: un‟espressione rincara l‟altra: la grinta è la “faccia scura”, la luna sbiessa (che ai vv.

117-18 diventa stramba) è il malumore, la “luna storta”.

ciappa la porta e proeuva

la bicicletta noeuva!»5

20 A seri de vïagg

donca e de mja in mja

intant che pedalavi

quiettin… quiettin… vardavi

la campagna drevia,

25 vardavi i campi, i praa

noster chì de Milan,

qui cari patanflan

di noster praa, settaa

denter in la scighera,

30 denter a moeuj coi sò

fir de moron, coi sò

med de ganga… in filera

giò… giò… longa e longhera…

cassinn e cassinott,

35 paes e paesott

sgreg, pien de viran…6

5 Ciappa la porta… noeuva: è il tema della passeggiata che ritroviamo qui, dopo averlo già incontrato in Primavera e in

Caporetto 1917. 6 A seri de viagg… pien de viran…: sempre dalle note del Tessa: «La dizione continua con un po‟ di fatica e sempre

monotona, si appoggia sulle accentuazioni di strofa come sui pedali della macchina per tirare innanzi, rinforza poi e

prende colore rappresentandoci la campagna umida (a moeuj) fitta di gelsi (de moron), pingue di letame (de ganga),

seminata di borgate rustiche zeppe di villani!». In particolare il senso ritmato, da pedalata scandita, è dato dalle

frequenti iterazioni dei vocaboli: de mja in mja (v. 21); quiettin… quiettin (v. 23); i praa noster… di noster praa (vv.

25-26 e 28); denter… denter (vv. 29-30); coi so… coi so (vv. 30-31); giò… giò… (v. 33); e dalla sequenza di variazioni

lessicali: «longa e longhera… / cassinn e cassinott, / paes e paesott» (vv. 33-35).

l‟era

ona mattina grisa

d‟ottober senza el vol

d‟on passer, senza sol!…

40 … L‟inverna… qui de Pisa…7

riven adess in troppa

e la terra per lor

la smonta de color!

(… un‟utomôbel… s‟cioppa!)

45 A manzina, chinscì,

che bella stradioeula!…

(… macchin… macchin8… la spoeula

fan…)… e voo giò de chì!

Gabb e gabbett9… firagn;

50 terra sutta… che gira

intorna al milla lira

la pertega… dagn

per mi che ghe n‟óo minga!10

7 L‟inverna… qui de Pisa: gioco di parole sul nome Pisa, che chiama per assonanza l‟appisolarsi, il dormire. È come

dire che con l‟inverno, arriva la stagione del sonno, quasi un esercito (riven adess in troppa) e con loro la campagna

smette (smonta) i suoi colori, che fino a poco tempo prima s‟incendiavano delle ultime tonalità autunnali. 8 macchin… macchin: reiterato a dare quasi un suono allo sfrecciare dei mezzi; ritorna, ancora più evidente nella sua

intenzione onomatopeica, ai vv. 329 («macchin… macchin… zam… zam…») e 366 («macchin… macchin… sott…

sott…»). 9 gabb: sono gli alberi scapitozzati, in particolar modo salici.

10 Dagn… minga: battuta sarcastica sul proprio stato che introduce la seguente lamentazione sullo scarso profitto

dell‟attività professionale. Il passo, anche per il successivo riferimento a una vita rustica come via di fuga dalle miserie

della città, richiama quello di Primavera (vv. 7-13 e 81-103): e se là era questione di fortuna, de cavicc (v. 122), qui

Anca a fa l‟avvocatt

55 aaah… te gh‟ee pocch de sbatt…

… client che te siringa,11

l‟Irma,12

el padron de cà,

la lus, el calorifer…

l‟è la storta del chiffer

60 che besogna trovà,

la tetta de tettà!…

Cantell13

… cisto… Cantell…

Zappà patati… quell

magara l‟è de fà!

65 Torna come el Frigeri

alla scimma di scimm,

al caroeu dol Regimm…14

al Viro15

… ai someneri

torna!

T‟el là ol Pà-Bolla16

bisognerebbe “trovare la curva del kipfel”, cioè la formula del far fortuna. Il Kipfel è un panino a mezza luna della

tradizione panificatrice austriaca, già noto a Milano ai tempi del Porta: rientra infatti, all‟interno di una tipica

elencazione, in una sestina del Meneghin biroeu di ex monegh (vv. 58-60: «on affar seri / che ha traa sott sora asee,

spiret, reliqui, / pret, ciccolatt, ex fraa, chiffer, devott» 11

te siringa: un espressionistico neologismo tessiano per “ti fregano”. 12

l‟Irma: Irma Salmini, la segretaria dello studio. 13

Cantell: Cantello, paese del Varesotto, nei pressi di Viggiù. L‟avvocato Catullo Frigerio (citato al v. 65) vi si era

ritirato dopo aver lasciato la professione, tornando alle origini («alla scimma di scimm», al principio dei principi).

Presso lo studio del Frigerio, in via Durini, il Tessa aveva iniziato il suo apprendistato legale. 14

al caroeu dol Regimm: il contadino, almeno nella retorica ufficiale di regime, era considerato un pilastro portante

della nazione fascista, il beniamino (caroeu, diminutivo di car). 15

Viro: è un‟invenzione lessicale del Tessa che adatta il termine viran (villano, contadino: v. 36) alla forma latina di vir,

l‟eroe romano eretto a modello antropologico dalla propaganda fascista.

70 su l‟uss ch‟al temp ol stròlega!

A battegh la cattolega

proeuvi d‟ona parolla!

«O vu Regiò17

… disii

ch‟a paes l‟è cost chi?»

80 «A l‟è Mombell18

… a l‟è!»

II.

Mombell…

… che strano effett

me fan certi paroll!…

… tra capp e coll

piómben e m‟insarzissen

85 lor!19

Per di or e di or

qui calavron che ronza

16

ol Pà-Bolla: la graduale immersione nel mondo contadino è segnata dall‟adozione di una fonetica di un milanese

rustico, “arioso”, che si connota attraverso le forme dei pronomi, degli articoli e delle preposizioni articolate: ol per el

(vv. 69 e 70), ch’al al posto di ch’el (v. 70), ch’a al posto di che (v. 70), cost chì per quest chì (v. 75) e la forma A l’è,

ripetuta due volte, al posto di L’è (v. 75). 17

Regiò: dal lat. rectorem, come il precedente Pà (v. 69) indica il capo della famiglia contadina, a cui ci si rivolge, per

rispettarne l‟autorità dandogli del vu, del voi. 18

Mombell: Mombello, tra Limbiate e Seveso, ospitava un manicomio. Andà a Mombell è locuzione popolare per

indicare l‟uscir di senno. Ma la forma fonetica del toponimo (nesso -nt- nasalizzato si confonde con -nd-) si presta a

risemantizzare la parola in mond bell, reazione al “mondo orrido” in cui la gente vive prigioniera e dal quale invano

cerca di trovare una via di fuga. È in questo punto, con il passaggio dal primo al secondo tempo della poesia, che si

rompe lo schema descrittivo della passeggiata e si entra in una diversa dimensione, nella riflessione sul valore delle

parole, tra il sogno e l‟allucinazione. 19

che strano effett… lor: nelle note di dizione si raccomanda di sussurrare la prima frase, di renderla a pena udibile, per

poi alzare il tono con la seconda, per ribadire la forza con cui penetrano a fondo (s’insarzissen).

règnen in del cozzon

tant che m‟insormentissen…20

90 … Nivol... fantasma… nebbi…

sit…

omen… ideij… on mond,

mi disariss ch‟intorna

tutt on mond ghe se forma,

95 rimm ghe ressònen… vuna

la ciama

l‟altra a campana e via

via te filet via

– vol de la fantasia! – …21

95 … Mombell!…

… Mombell!…22

dilla… redilla

quella parolla lì

e poeu tórnela a dì

e allora… te comincet

100 a s‟ciariss… a capì…

… bolla d‟aria nell‟aria

parolla solitaria…

20

Per di or… m‟insormentissen: le parole si aggirano nella testa come sciami di calabroni, e la tramortiscono. Si noti il

tessuto fonico che insiste sui suoni fricativi sonori (la z di insarzissen, ronza, cozzon) per rendere quasi il senso di

stordimento. 21

Nivol… de la fantasia: in dieci rapidi versi una sintetica esposizione di poetica. Tutto ha inizio dalle parole che danno

vita alle cose, che si richiamano l‟un l‟altra a comporre a un mondo – appunto un mond bell – che invita alla fuga («via /

via te filet via») lungo i sentieri della fantasia. 22

Mombell!: la dizione che prima, secondo le indicazioni dell‟autore, doveva essere «circolare, legata, concatenata» qui

torna a insistere, a levarsi, nella ripetizione della parola-magica (poco più sotto, vv. 96b-98: «dilla… redilla / quella

parolla lì / e poeu tórnela a dì»), di nuovo isolata dallo spazio bianco che il testo le lascia intorno. È così «rende visibile

il concetto, crea il paesaggio, genera l‟idea».

… ferma, che se colora…23

La te dà no l‟ideia

105 d‟on sit avert e voeuij?

te vèdet minga on praa?…24

Ma per vedell polid

Te gh‟ee de sarà i oeucc…

perché… l‟è on pradesell

110 quest… che te par comè

d‟avell gemò veduu

on‟altra volta ti…

…ah sì…

... a corda molla…25

… fra on bosch e ona muraja…

115 ona mattina… in sogn…

Me seri dessedaa

con tant de grinta, in luna

stramba e in setton sul lett,

cont ona gamba su

120 e l‟altra giò26

… pensavi:

23

bolla d‟aria… se colora: è la personificazione della creatività verbale-intellettiva che sta all‟origine del fare poesia.

Come fa notare Isella le rime interne (bolla : parolla; aria : aria : solitaria) creano «una sorta di sospensione estatica,

ondulante», accentuata dall‟alternanza di toniche e atone tra la a (aria, solitaria)e la o (bolla, parolla, colora). 24

on sit… on praa: comincia a delinearsi il luogo che fuoriesce dalla memoria (meglio se rievocata a occhi chiusi, vv.

«Ma per vedell polid / te gh‟ee de sarà i oeucc»), da un‟esperienza pregressa, ma ancora indefinita se attinta dal reale o

dal sogno. E «così, per successivi stadi si va formando il fantasma poetico», come ancora si legge nelle note del Tessa. 25

a corda molla: soccorre in aiuto all‟interpretazione una nota di Gadda nell‟Adalgisa: «dicesi di una lunga strada che

avvalli e nobilmente risalga, descrivendo una catenaria […] la figura di equilibrio della catena sospesa per i due capi».

Qui si può adattare al lento declivio di un terreno, di un prato.

Oh tra la vuna e i do…

– Vanni! – 27

…qui pesciatoni

to… tutt a torna al lett…

par che te me rotólet

125 sul cô!

– disevi –

…tas ch‟el se quietta giò…

(forsi el mangia on limon…

o fors…)

…ma, no…

130 sent ch‟el se moeuv ammò,

ch‟el torna a camminà!28

L‟è in de quell fond de tomba

di so penser ch‟el luma,

el tasta

135 e come se l‟andass

26

Me seri dessedaa… e l‟altra giò: con una ripresa variata dei vv. 7-10 si scarta su un‟altra scena. Un‟interno di casa,

nel cuore della notte, svegliato dal rumore di passi che si sente al piano di sopra. 27

Vanni!: «una nuova parola è caduta, una nuova idea è nata, un nuovo fantasma si va formando…». È quello di Pier

Giorgio Vanni, l‟amico cui è dedicata – in sigla – la poesia. Insieme a Fortunato Rosti e a Elisabetta Keller, il Vanni –

che già compare nei versi di Primavera (vedi le note 7 e 8 a quel componimento) – fu tra gli amici più cari del Tessa.

Proprio insieme alla Keller, che sposò in seconde nozze, andò ad abitare a fine anni Venti in via Beatrice d‟Este 17,

dove da poco si era trasferito, in un appartamento esattamente al piano inferiore, il Tessa con la madre. Il Vanni era

ingegnere e si distinse in numerosi brevetti meccanici nel campo dei motori e delle macchine tessili. 28

sent… camminà: le testimonianze degli amici raccontano che il Vanni soffriva d‟insonnia e passava le notte girando

per casa, pensando a soluzioni tecniche per le sue invenzioni e prendendo appunti (i «numeritt / in su ona carta scritt»

dei vv. 141-42).

adree a ona nasta29

… sèntel adess ch‟el va

in sala… de là.

Alla mattina poeu,

140 alla mattina dopo…

gh‟è lì di numeritt

in su ona carta scritt…

…«oooh… bell!…»

(…Nott… sogn…)

fiaa

de la mamma che dorma30

145 Ma se „l plafon el scrizza31

(presonee che cammina…

cammína)32

disi che l‟è tornaa

de chì,

150 per dopo la mattina

quand el se desgarbia33

trovass in del ciffon

quell‟orinari ras

29

ona nasta: è l‟usta dei cani, il seguire il fiuto (nasta deriva dal tardo latino nasitare). Ma quel girovagare inquieto per

le stanze, sospinto dai pensieri scrutati come da un fondo di buio sepolcro («quell fond de tomba / di so penser ch‟el

luma») pare già un preannuncio delle scene di follia che prenderanno corpo nelle allucinate proiezioni a seguire. Una

simile rappresentazione la si trova ai vv. 45-50 de La mort della Gussona, con la descrizione della cugina Erminia

colpita da un cancro alla testa che la faceva vagare di notte in cucina come folle. 30

Nott… sogn: ripetuti anche più sotto ai vv. 154a e 159a quasi a scandire il tempo notturno, come il movimento di un

orologia a pendola, insieme al rumore del respiro della madre nel sonno. 31

scrizza: lo scricchiolio degli impiantiti a cannette delle vecchie case milanesi. 32

presonee che cammina… cammina: ancora un‟eco della Mort della Gussona (vv. II, 39-40 e III, 28). 33

desgarbia: ancora La mort della Gussona, v. III, 42: è il risveglio, il districarsi dall‟avvolgente matassa del sonno.

de pissa…

…«ooh… bell!!!…»

(Nott… sogn… nott…)

155 …i pee,

i pee…

sent qui pee… mi senti

sul cô

fintant che m‟indormenti

adree…

(…nott…sogn…)

160 …voo giò,

giò…

– tenebror de sepolcher! –34

(Vvanni!)

qui pesciatoni

to…

(VVVanni!)

165 qui cappelloni

negher… qui cascianivol…35

34

m‟indormenti… sepolcher: finalmente il sonno ha la meglio, e si cade nel buio più profondo, come in un sepolcro

(ma che assomiglia al fond de tomba del v. 132 in cui il Vanni insonne cerca i suoi pensieri).

… se podess regordamm!

ma poss no… ma poss no…

… on‟ideina gh‟óo,

170 on‟ideina appena36

… e l‟è…

… quell de vèssom insognaa

ch‟el Gianetti… el Vanni e el Cros37

pascolaven in d‟on praa,

175 mutignaven38

… (cru… cru… cru…)39

e savevi

che quell pradesell rapaa

l‟era giusta… e quella mura…

(… cru… cru…)

180 quella riga… bianca… longa…

… longa… e de qui trij

vun col pugn alla muraja…

– pumm… pumm…pumm… –

(al de là del mur cantaven!)40

35

VVanni!… cascianivol: ma l‟immagine dell‟amico ritorna in sogno. Al Vanni il Tessa dedica una delle più riuscite

sue prose, Lui e la lettera (in Ore di città, pp. 50-51); lo descrive nell‟inquieto suo andirivieni per la città: «Viene non si

sa da dove, l‟ingegnerone; pare da molto lontano, perché ha le scarpe impolverate e una cert‟aria afflosciata e stanca.

[…] Viene al suo vecchio studio come se un vento lo spinga. Naviga. Torna a quel piccolo porto ove ammainò il

soprabito per anni. Torna senza avvedersene quasi e a volte per niente. Entra. «Frr… frr…». Pende un po‟ di lato, una

mano gli trema… fa quel piccolo verso: «Frr…» frulla: è come un uccello che abbia un‟ala rotta.» Forse può spiegarsi

così, con un effetto sonoro che richiama il frullo, il fruscio strascinato del suo camminare nella notte, il rafforzamento

dell‟iniziale del nome. Vanni era solito calcarsi in testa dei neri cappellacci a larghe tese, che vengono qui

scherzosamente chiamati “caccianuvole”. 36

on‟ideina appena: di quell‟agitato sonno e dell‟incubo che lo ha abitato resta solo una minima idea, una larva di

memoria. 37

Gianetti… Cros: a parte il Vanni, degli altri due nomi non si ha alcuna notizia per identificarli; sono probabilmente

altri due amici. 38

mutignaven: «raspavano per terra con la bocca» chiosa il Tessa; qualcosa come brucare, ma che nel suono ricorda il

mugolio dei sordomuti, tra gli altri infermi che abitano il manicomio. 39

cru… cru… cru: onomatopea ribadita poi al v. 179, che risuona col rumore dei colpi battuti sul muro pumm…

pumm… pumm dei vv. 182 e 184a.

– pumm… pumm… –

185 … veder – tremor –

robetitt sul marmor…

… vos,

vos…

e qui colp…41

«Cossa te fottet?!»42

«Flitt43

… flitt… pompa del flitt…»

190 Sent el panscia44

come el salta,

come el picca… «Flitt…

flitt…» l‟à vist on zanzaron!

L‟è in quel torbor de qui so

Penser ch‟el picca

195 «Flitt!…» … ch‟el picca alla stramezza,

par ch‟el voeubbia vegnì foeura45

«Flitt…» on bus e vegnì foeura,

foeura… on bus «pompa del flitt!»

Pantopon… Calminn… gh‟óo via

200 mi do parolett per ti

40

al de la del mur cantaven: inciso che anticipa le scene interne al recinto del manicomio. Ma ormai l‟ordine logico-

sintattico dei discorso è sul punto di esplodere; il filo conduttore è soltanto quello delle parole, delle analogie. 41

Veder… colp: altro passaggio di scena e ritorno all‟interno notturno: i passi dell‟inquilino di sopra fanno vibrare i

vetri, fanno tremare i soprammobili poggiati sul comodino (robetitt sul marmor); e poi voci e colpi… 42

Cossa de fottet: “che cosa sbatti?”, impreca contro l‟amico di sopra che non lo lascia prender sonno. Ma è l‟avvio di

un altro ricordo, questa volta reale, dell‟amico alle prese con la caccia a una zanzara. 43

Flitt: fino al secondo dopoguerra il Flit era un popolare insetticida a forma di pompetta, che polverizzava nell‟aria un

veleno per mosche e zanzare (poi si scoprì non solo per loro… e venne ritirato dal commercio). 44

el panscia: il Vanni era di grossa corporatura tanto da venire chiamato “l‟ingegnerone”. 45

vegnì foeura: l‟immagine richiama quella in sogno dei matti che picchiano al muro. Ma si comincia a intuire che i

veri prigionieri (vv. 146-47 «presonee che cammina… cammina») stanno fuori dal manicomio.

ch‟hin on Sedobroll… on Dial46

che te calma… che te mett

quiett…

… arbor – on pradesin

205 verd;

… arbor – varda – ona finestra

averta su qui primm

butt…47

Studi de Rugabella!

210 «Telefona la Costanza48

per savè cossa „l voeur

a mezz dì»

«Cottolett

frett49

cottolett frett…»

215 responden da quella stanza.

«Cottolett frett…»

46

Pantopon… Dial: sono nomi commerciali di farmaci sedativi. Ma per il Vanni ci vogliono altri rimedi: e l‟amico ha

pronte due altre paroline magiche, come si vedrà poco sotto. 47

arbor… primm butt: gli alberi e il praticello verde richiamano un altro verde, quello che si vede dalle finestre del

pianterreno di via Rugabella, dove il Tessa e il Vanni avevano i loro studi professionali, l‟uno di avvocato, l‟altro

d‟ingegnere. 48

la Costanza: è la cameriera del Vanni. 49

Cottolett frett: è il piatto preferito dal Vanni. Come già per Mombell prima e per Vanni poi queste altre due parole

innescano altri mondi. Non sono allora i rimedi chimico-farmacologici che ci vogliono per calmare l‟inquietudine del

Vanni: si legge nelle note: «All‟amico esagitato offro a calmarlo le due strane parolette fredde e bianche…» che fanno

l‟effetto delle pezzuole ghiacciate che si mettono sulla fronte agli ammalati con febbre alta. Dette e ridette (ritornano

ben cinque volte nel corso di 14 versi, da 211b a 225).

Hin qui do parolett

chì…

ciar e che te res‟ciara…50

220 … che te padima51

lì…

Hin qui pezzoeu giazzaa

che cambien ai malaa

de la fever alta…

«Cottolett frett… cottolett

225 frett…»

Nun per sti parolett…

(incatèsem… deliri…)

passom quella muraja!!!…52

…Ona banca… ona pianta…

230 …ona banca… ona pianta,

ona cort stermenada

e di càmes a s‟cera…53

«È arrivato l’ambasciatore,

tantirom-lirom-lera…»

235 «Che cosa volete

tantirom-lirom-là?» 50

che te res‟ciara: scrive nelle note il Tessa: «La visione si illumina, si purifica, la dizione è svagata, leggera, fresca,

trasparente, acquarellata…». 51

padima: da padimà, voce arcaica (usata dal Maggi, ad esempio), per mitigare, alleviare (l‟etimologia viene dal lat.

pathema). 52

Nun… passom quella muraja!!!: il potere evocativo della parola – quindi della poesia – è il lasciapassare per varcare i

confini del “mondo brutto”, che rende prigionieri, ed entrare nel “mondo bello”, quello della pazzia, della libertà dalle

costrizioni, dalle convenzioni. 53

Ona banca… a s‟cera: ecco la prima raffigurazione del mondo De là del mur. Canzoni senza senso, in libertà,

un‟allegria folle, che dilaga.

Canten i càmes bianch!54

«Vogliamo la più bella

tantirom-lirom-lella!»

240 «Che cosa ne farete

tantirom-lirom-là?»

Bèvela l‟alegria

Matta che se spampana!...

«che cosa volete

245 tantirom-lirom-lella…»

Voeurom on coo de gatt

per podè liberass

di penser… andà in oca55

,

voeurom desmentegass

250 del Roveda56

, di Edison

che tracolla57

… la gent

balenga,58

i scagg de guerra59

tutto óo lassaa de là.

54

cames bianch: sono le camice di forza dei folli. 55

Voeurom… in oca: la soluzione è questa: dimenticarsi di tutto (andà in oca), svuotare la testa dai pensieri. Proprio

come fanno i gatti, sublimi e indifferenti al mondo che gira attorno (vedi El gatt del sciur Pinin, p. xxx). 56

del Roveda: probabilmente una banca, la “Roveda & C.”, attiva fino al 1931, e poi spazzata via dalle conseguenze

della crisi economica e finanziaria internazionale. Ricordiamo che l‟elaborazione della poesia fu molto complessa e

durò parecchi anni, a partire dal periodo prima della Grande Guerra, ma che venne di fatto condotta a termine nei primi

anni Trenta. 57

di Edison che tracolla: le quotazioni in Borsa della Edison che precipitano, sempre a causa della crisi. 58

la gent balenga: balenga sta per “quasi matta”, o perlomeno non clinicamente matta, ma altrettanto, se non di più,

folle di quelli che invece sono ricoverati come tali. 59

i scagg de guerra: le paure della guerra. La guerra, anche a distanza di anni dalla conclusione del conflitto mondiale,

resta per Tessa un motivo di sgomento, al punto che in alcuni momenti – e in particolar modo dalla seconda metà degli

anni Trenta – sembra scorgerne chiaramente in segni di un‟incombente riproposizione.

Mi seri fors «quell tescia»

255 del Milio, sceticasc

troia d‟on avvocatt

giudes conciliador?60

chi se regorda ammò

alias de quell che seri?…

260 Mi, come l‟Arrigona,

(Mombell!) come el maester

Annon61

, chì sont el Matt

– capìsset –

canti coi càmes bianch,

265 magni in di piatt de tolla,

caghi in del fazzolett.

Mi son el Matt e ti

(Cesan Boscon!62

)

te set on patta molla,63

on navascee64

270 «Idioti

e semi idioti, scemi,

ciechi» – …t‟han miss in lista…

60

Mi seri fors… conciliador?: oltre il muro l‟identità è smarrita. Il Tessa qui si lascia alle spalle quello che era, il suo

carattere (sceticas troia, l‟inguaribile scettico), la sua professione (avvocatt giudes conciliador: il Tessa svolse per anni

quest‟ufficio presso il 7° mandamento del tribunale di Milano, prima che venisse sospeso dalle funzioni perché non in

possesso della tessera del partito fascista. Che sia stato per sua deliberata scelta, o per semplice dimenticanza (come

sostiene Carlo Linati nel suo famoso ritratto del poeta: El Tessa, in Il bel Guido e altri ritratti, Milano 1982), non si

hanno storiche documentazioni al riguardo. Chi egli sia, il poeta lo mette in bocca al Milio, ovvero a Emilio Maiocchi,

l‟ingegnere che abitava in via Olmetto 1, come la famiglia Tessa prima del trasferimento in via Beatrice d‟Este, e che lo

chiamava, storpiando apposta il cognome, «quell tescia». 61

L‟Arrigona… el maester Annon: tutti conoscenti del Tessa finiti in manicomio, secondo la testimonianza del Rosti. Il

secondo, maestro di musica, abitava al piano terreno dello stesso palazzo abitato dai Tessa in via Beatrice d‟Este al 17. 62

Cesan Boscon: l‟Ospizio della Sacra Famiglia, di Cesano Boscone, sobborgo a sud-ovest di Milano, e altro luogo di

ricovero per infermi. Forse il Tessa ne doveva avere avuta conoscenza in qualche modo diretta se, come afferma anche

ai vv.277-78, possiede un prospett, stampato sul retro di un‟immagine sacra (quella maistaa), forse un documento

distribuito ai benefattori dell‟istituto (come si deduce dalle note d‟autore), e che viene citato a mo‟ di elenco ai vv.

270b-275, 279-282 e 300-302a. 63

patta molla: letteralmente, una braghetta vuota; sprezzante termine per indicare gli impotenti, altra possibile

conseguenza di varie infermità mentali e non. 64

navascee: la navascia era il carro utilizzato dal servizio urbano di svuotamento e trasporto dei pozzi neri; ma qui è

utilizzato nel senso di chi è incontinente delle proprie funzioni corporali.

– «paralitici, vecchi

impotenti» – …in quell

275 prospett te see «dei nostri

ricoverati»

che gh‟óo in studi dedree

a quella maistaa…

– «Epilettici, infermi,

280 orfani di guerra;

Totale: Numer:

domilatresentses» –

T‟ee imparaa dalla monega

a fa i calzett, te fee

285 i pattinn di fer

e se ven la Lily

a trovatt, te ghe dee

quell che t‟ee faa in d‟on mes.65

Te gh‟ee mai „vuu per sort

290 on coo che lavorava?

(… grand-laminage?… sistema

Vanni?…

…motor?66

…)

65

T‟ee imparaa… on mes: nel sogno il Vanni è tra i ricoverati dell‟Ospizio, ai quali, per far passare il tempo, le suore

che li assistono, insegnano loro a fare dei lavoretti: fare le calze a maglia, oppure le presine da usare per impugnare il

ferro da stiro. Piccole cose che vengono date ai parenti in visita: a trovare il Vanni c‟è la Lily, l‟Elisabetta Keller, che lo

ha sposato in seconde nozze. 66

Te gh‟ee mai… motor?: la domanda dell‟amico che gli chiede se si ricorda più di avere avuto una testa pensante («un

coo che lavorava») suscita solo labili e confusi ricordi della propria attività di progettista: un brevetto di filatura (grand-

laminage) denominato sistema Vanni, e un motore (anche in Primavera, a v. 44, si accenna al progetto di un motore a

due tempi).

Te gh‟avèvet quaidun

ti che te cognossevet?

295 (………Maman?67

………)

Te fee la tomma in terra!68

Vess come la gallina

sull‟era, el boeu in stalla!

Te giughet a la balla!

300 – «Idioti e semi idioti,

amputati, rachitici,

infermi…» –

Su ona banca

de preia come on sacch

de strasc, insemenii69

305 (Viganon?… Casablanca?70

…)

… te rimiret el sô

che tramonta…

67

Te gh‟avevet… Maman?: allo stesso modo, sollecitato a pensare a qualcuno a lui un tempo vicino, riemerge,

vaghissimo, e quasi annegato nei puntini di sospensione, il nome di Maman: Pier Giorgio Vanni era infatti figlio di una

signora francese, la signora Lucie. 68

Te fee la tomma in terra: è il preambolo all‟ambita identificazione (vess come… v. 297) con la condizione bestiale,

quella della gallina che razzola nell‟aia, o del bue nella stalla. 69

Insemenii: instupidito, rinscemito; come nota Isella voce di area veneta: insemenìo. 70

Viganon?… Casablanca?: altri incerti nomi e luoghi che affiorano indistinti nella memoria.

- paralitici, sordo

muti… -

i rusen in cà

310 l‟è l‟ora del mangià,

brugissen71

come besti!

… ariomvia…

al limet di groann…72

«chichinscì l’è sempru festa,

315 leraj!

col ciondol

leraj!73

…»

…da ona quaj ostaria

sponta on fil de canzon…

…………………………

III.

……………………………………

320 … «chichinscì l’è sempru festa,

liriliraj!»

71

brugissen: come il mutignaven del v. 175 indica la condizione degradata degli infermi, quasi bestie, che vengono

sospinte dentro l‟edificio per l‟ora dei pasti. Brugì è qualcosa di più del muggire, è il verso dell‟animale che urla di

sofferenza. Si chiude qui la lunga, allucinata scena del manicomio e dell‟ospizio degli infermi, che ha sovrapposto e

confuso, tra memoria e sogno, due distinti luoghi: Mombello e Cesano Boscone. Gli ultimi versi della seconda parte

introducono alla terza e ultima: il ritorno verso la città. 72

Ariomvia… groann: di lontano, dalle parti delle Groane. Le Groane sono una distesa di brughiera, dalla bassa

vegetazione – oggi area naturale protetta – che si trova a nord di Milano, sul confine occidentale della Brianza, tra

Bollate e Saronno. 73

Chichinsì… leraj: è una canzone che esce da un‟osteria; ricompaiono i suoni del dialetto rustico (sempru).

Mombell,

Vared74

… cassinn…paes…

a la longa di sces

pedalavi bell bell

325 vegnèndes a Milan…

«Sô che se volta indree

– disevi – acqua ai pee;75

scometti che doman…»

Macchin… macchin… zam…zam…

330 Motociclett che sgatta…

– Noeuva… Cassina Matta –

e l‟oggiatton del tram!76

Dopo i dì de laô

sira della domènega.77

335 «chichinscì l’è sempru festa

leraj,

col ciondol

leraj…»

74

Vared: Varedo, lungo la strada che da Mombello ritorna a Milano. 75

Sô… ai pee: proverbio popolare che predice il maltempo nel giorno seguente quando il sole fa capolino tra le nubi

che lo hanno oscurato per tutta la giornata poco prima di tramontare. 76

Macchin… tram!: l‟approssimarsi alla città è indicato dall‟intensificarsi del traffico (ritornano le macchine, che già

avevano disturbato la passeggiata in bicicletta ai v. 44 e 47); e infine la comparsa del tram, con il suo grande faro

centrale, segnala l‟ingresso nell‟area metropolitana raggiunta dai trasporti urbani. Noeuva è Nova Milanese, mentre

Cassina Matta, ora Cascina Amata – secondo una nobilitazione toponomastica dell‟italiano – è una frazione di Paderno

Dugnano. 77

Dopo i dì… domènega: le voci rustiche dei viran escono della osterie alla fine della giornata di festa. Qui e altrove

forme lessicali rustiche, di un milanese di campagna: laô per lavor; domènega per domènica; negan per neghen; zô per

sô; tipicamente contadine sono le bestemmie isto-vacca, cramentu e isto-d’ona-madonna. Come già nella prima scena

dell‟incontro col viran sull‟uscio che scruta il cielo, ol Pà-Bolla del v. 69, anche qui l‟io poetante si mimetizza

linguisticamente con le voci rustiche, e solo la presenza del virgolettato consente di distinguere le provenienze.

«i botteglion a negan

340 i magon…»78

«chichinscì l’è sempru festa

liriliraj…»

«… ol zô

al par on marenghin

isto-vacca!» i a sentu

345 hin i viri, cramentu!

«Bœtta-scià on careghin79

isto-d‟ona-madonna!»

«chichinscì l’è sempru festa

liriliraj!»

350 Disi che quand ven nott

l‟unega hin i grappott…

…la surbuij… la rentrona…

la piola… «ses… cinqu…» «…butta

scià…» «…briscola da Re…»

355 «cinqu…ses…» «…giò…giò…che l‟è

78

i botteglion… magon: anche i viri aspirano all‟evasione, alla stesse smemoratezza cercata oltre il muro del

manicomio. I loro “lasciapassare” per la follia sono però i botteglion e i grappott (v. 351: voce, quest‟ultima, “raccolta”

e fatta propria dal poeta). 79

Boetta-scià on careghin: dalle osterie il vociare dei giocatori di carte. Boetta-scià è forma prettamente brianzola, più

di quella successiva dei vv. 354-55: butta scià. Alle grida del tavolo di briscola (careghin, briscola da Re) si

confondono quelle del gioco della morra.

bona…» «…cinqu…sett…ses…tutta!»

Vundes chilometritt

al dazi…ona mezz‟ora

e ghe semm…80

«vott…sett…mora!!»

360 somenza de lumitt,

de ciaritt per la piana

intorna…intorna…albor

che monta là…s‟ciaror

della Cittaa lontana81

365 Camïons…side-car

…macchin…macchin…sott…sott82

che se rusen adoss!…

rómben e in quell caldar

piómben de tutt i part!

370 Úlulen83

e con questi

rivi, tant che me pesti

80

Vundes… ghe semm: il ciclista va di buon passo, quasi un moderno cicloturista che pedala a una media di oltre 20

km/h. Il dazi, le porte del dazio, dove un tempo venivano riscossi i tributi di transito commerciale, segnano i confini

della città (vedi anche Caporetto 1917, vv. 154-55: «se sent gemò el canon / foeura di dazi!. 81

somenza de lumitt… Cittaa lontana: è tutto un gioco di luci quello che accoglie il rientro in città. Dapprima lumitt (v.

360), ciaritt (v. 361), e poi via via, approssimandosi alla metropoli, un più vasto albor (v. 362), un abbagliante s’ciaror

(v. 363), contro il quale, stordito dai rumori e dal ribollente (in quell caldar v. 368) movimento del traffico, il ciclista

finisce quasi per andare a sbattere («tant che me pesti / a la contra qui ciar» vv. 371-72) come una falena contro a un

lampione. 82

sott… sott: oltre al senso di accumulo di auto, è evidente anche l‟intenzione onomatopeica di rendere i suoi dei

clacson (si veda il passo assai simile di El bell maghetta, vv. 62-69). 83

rómben… piómben… Úlulen: crescendo di frastuono sonoro e dinamico; sono tutti termini peraltro mediati

dall‟italiano, quasi a sottolineare l‟estraneità del dialetto – e del suo mondo “superato” – alla modernità caotica della

città. Ma proprio per questo motivo sono elementi di fortissima espressività.

a la contra qui ciar.

Rivi… ghe sont…e lì,

scolta mo, cossa vedi!

375 Matta puttana! vedi

on struzz a porta Volta!84

Reclam del Trader-horn85

del Film-miracol, chì

tra duu tram, incazzii86

380 troeuvi on struzz… t‟ee capii?!87

Sotta a on barocc-reclam

gh‟è on struzz

viv, che me guarda!!88

Al di là del muro || I. Fuori di Porta Volta, di paese in paese, lungo le siepi, pedalavo

nel fango | della strada Comacina una di queste mattine passate:… | mi ero svegliato

storto, con la luna | di traverso e seduto sul letto pensavo: «cosa facciamo oggi?… è

festa… andiamo… aria!… da queste federe… | muoviti! non senti la pendola?

Madonna! suonano le nove e sono ancora a letto! | giù con „ste gambe… coraggio,

prendi l‟uscio e prova la bicicletta nuova!» | Ero in viaggio | dunque e di miglio in

miglio mentre pedalavo pianino… pianino… guardavo intorno la campagna, |

guardavo i campi, i prati nostri qui di Milano, quei cari paciocconi di nostri prati,

seduti | dentro alla nebbia, dentro a mollo con le loro fila di gelsi, con i loro mucchi di

letame… in fila | giù… giù… che sembrano non finire mai… cascine e casolari, paesi

84

on struzz a porta Volta: apparizione sconvolgente, nel pieno traffico cittadino, la figura di uno struzzo, animale

esotico quanto mai. 85

Trader-horn: è il titolo del film (1931) del regista W. Van Dyke, già assistente di regia di Griffith. Si tratta di uno dei

primi kolossal della produzione americana. Per le strade di Milano viene fatta pubblicità al film portando in giro uno

struzzo. Non è cosa inconsueta, come trovata pubblicitaria: sempre negli anni Trenta si ricorda come, al seguito della

carovana del Giro d‟Italia, un anno venne portato nientemeno che un leone in gabbia, a reclamizzare i film della Metro-

Goldwin Mayer, la cui famosa sigla ha per protagonista un leone ruggente. 86

incazzii: il frastuono delle macchine non doveva certo tranquillizzare l‟animale. 87

t‟ee capii?!: stupore, incredulità, a evidenziare la dimensione allucinata della visione. 88

viv, che me guarda!!: un altro animale nel repertorio del simbolico bestiario tessiano. E quel suo sguardo

nervosamente interrogativo è forse di nuovo allusivo di una condizione di irrimediabile cattività rappresentata, per

rovescio delle parti, non dallo stato coatto dei malati mentali, ma da quelli (la gent balenga) che sta al di qua del muro.

e villaggi rustici, pieni di villani… | era | una mattina di grigia di ottobre, senza il volo

di un passero, senza sole!… | … L‟inverno … quelli che dormono… arrivano adesso

in folla e la terra per loro cambia di colore! (… un‟automobile… scoppia!» | A

sinistra, qui vicino, che bella stradina!… (auto… auto… fanno la spola) e vado per di

qua! | Salici scapitozzati, grandi, piccoli… filari; terra asciutta… che si aggira intorno

alle mille lire la pertica… peggio | per me che non ne ho! Anche a far l‟avvocato

aaah… hai poco da sbatterti… clienti che ti siringano, | l‟Irma, il padrone di casa, la

luce, il riscaldamento… è la storta del chiffl che bisogna trovare, | la tetta da tettare!

Cantello… cribbio… Cantello… zappare patate… quello forse è da fare! | Ritorna

come il Frigerio al principio delle cose, al beniamino del Regime, al Viro… ritorna |

alle semine! Eccolo là il Pà-Bolla, sull‟uscio che indovina il tempo! provo a

chiedergli il favore di una parola! «Ehi capo, dico a voi… ditemi che paese è questo

qui?» «È Mombello… è!»

II. Mombello… che strano effetto mi fanno certe parole!… | … tra capo e collo

piombano e m‟incastrano, loro! | Per ore e ore quei calabroni ronzanti la fanno da

padrone nella mia testa tanto che mi stordiscono… Nuvole… fantasmi… nebbie…

luoghi… uomini… idee… un mondo, io direi che intorno tutto un mondo gli si

forma, rime che risuonano… una chiama l‟altra come le campane e via, via scappi via

– volo della fantasia! - … | …Mombello!!… Mombello!!… | dilla… ridilla | quella

parola lì e poi torna a dirla e allora… incominci a schiarirti… a capire… | bolla d‟aria

nell‟aria, parola solitaria… ferma, che si colora… | Non ti dà l‟idea di un posto aperto

e vuoto? non vedi un prato?… | Ma per vederlo bene devi chiudere gli occi…

perché… è un praticello questo… che ti sembra come di averlo già visto un‟altra

volta, tu… ah sì… | giù in lento declivio… fra un bosco e una muraglia… una

mattina… in sogno… | Mi ero svegliato di traverso, con la luna storta e seduto sul

letto, con una gamba su e una giù… pensavo: Oh tra l‟una e le due… | - Vanni! - | …

quei tuoi piedoni… tutt‟intorno al letto… | sembra che mi rotoli sulla testa! – dicevo -

… taci che adesso si calma… | (forse mangia un limone… o forse…) | … ma, no…

senti che si muove ancora, che torna a camminare! | È in quel fondo di tomba dei suoi

pensieri che lui scruta, tasta e come se andasse dietro a un‟usta… sentilo adesso che

va in sala… di là. | Alla mattina, poi, la mattina dopo… ci sono dei numerini scritti su

una carta… | «ooh… strano!…» (… notte… sonno…) respiro della mamma che

dorme… | Ma se il soffitto scricchiola (prigioniero che cammina… cammina) dico

che è tornato di qua, per poi, la mattina quando si risveglia trovarsi nel comodino

quell‟orinale pieno raso di piscia… | «oh… strano!!» (notte… sonno…notte…) | i

piedi, i piedi… senti quei piedi… me li sento sulla testa fintanto che non mi appisolo

via… | (… notte … sonno) | … vado giù, giù… - tenebrore di sepolcro! - | (VVanni!)

| quei piedoni tuoi… | (VVVanni!) | quei cappelloni neri… quegli scaccianuvole… |

se potessi ricordarmi! ma non posso… ma non posso… ho una vaga idea, appena una

vaga idea… … ed è… | … che mi sono sognato che il Giannetti… il Vanni e il Croci

pascolavano in un prato, brucavano… (cru… cru… cru…) e sapevo… che quel

praticello spelacchiato era proprio… e quel muro… (…cru… cru…) quella riga…

bianca… lunga… … lunga… e di quei tre uno col pugno contro il muro – pumm…

pumm… pumm… - (al di là del muro cantavano!) – pumm… pumm… - | …vetri –

tremolii – piccole cose sul marmo… … voci, voci… quei colpi… | «Cosa sbatti?!» |

«Flitt… flitt… pompa del flitt…» Senti il pancia come salta, come picchia… «Flitt…

flitt…» ha visto una grossa zanzara! È nel torpore di quei suoi pensieri che picchia

«Flitt!…» … che picchia alla tramezza, sembra che voglia venir fuori… «Flitt…» un

buco e venir fuori, fuori… un buco «pompa del flitt!» | Pantopon… Calminn… ho

qui apposta per te due parolette che sono un Sedobroll… un Dial… che ti calmano…

che ti mettono quieto… | … alberi – pensa – un praticello verde; … alberi – guarda –

una finestra aperta sui quei primi getti… | Studio di Rugabella! | «Telefona la

Costanza per sapere che cosa vuole a mezzo giorno» | «Cotolette fredde… cotolette

fredde…» | rispondono da quella stanza. | «Cotolette fredde» | Sono quelle due

paroline qui… chiare e che ti rischiarano… che ti quietano lì… Sono quelle pezzuole

ghiacciate che cambiano ai malati con la febbre alta… | «Cotolette fredde… cotolette

fredde…» | Noi per queste paroline… (incantesimo… delirio…) passiamo quella

muraglia!!… | … Una panca… una pianta… una panca… una pianta, un cortile

immenso e una schiera di camici… | «È arrivato l‟ambasciatore, tantirom-lirom-

lera…» «Che cosa volete tantirom-lirom-là?» | Cantano i camici bianchi! | «Vogliamo

la più bella tantirom-lirom-lella!» «Che cosa ne farete tantirom-lirom-là?» | Bevila

l‟allegria matta che si spande!… | «Che cosa volete tantirom-lirom-là?» | Vogliamo

una testa da gatto per poterci liberare dai pensieri… andare in oca, vogliamo

dimenticarci del Roveda, delle Edison che tracollano… la gente un po‟ matta, le

paure della guerra tutto ho lasciato di là. Ero forse «quel Tescia» che diceva l‟Emilio,

quel gran scettico, quella troia di un avvocato giudice conciliatore?… chi si ricorda

ancora di quello che ero un tempo?… Io, come la Arrigoni, (Mombello!), come il

maestro Annoni, qui sono il Matto – capisci – canto coi camici bianchi, mangio nei

piatti di latta, cago nel fazzoletto. Io sono il Matto e tu (Cesano Boscone!) sei una

patta vuota, un cagasotto… - «Idioti e semi idioti, scemi, ciechi» - … ti hanno messo

in lista… - «paralitici, vecchi impotenti» - … in quel prospetto sei «dei nostri

ricoverati» che tengo in studio stampato dietro a quell‟immagine sacra… -

«Epilettici, infermi, orfani di guerra: Totale: numero: duemilatrecentosei» - | Hai

imparato dalla suora a fare le calzette, fai le presine per i ferri da stiro e se viene la

Lily a trovarti le dai quello che hai fatto in un mese. Non hai mai avuto per caso una

testa che lavorava? | (grand-laminage?… sistema Vanni?… motori ?) | Avevi

qualcuno tu, che conoscevi? | (….. Maman?….) | Fai una toma per terra! | Esser come

la gallina sull‟aia, il bue nella stalla! | Giochi con la palla! | - «Idioti e semi idioti,

amputati, rachitici, infermi…» - | Su una panca di pietra come un sacco di stracci,

instupidito… | (Viganone?… Casablanca?…) | … fissi il sole che tramonta… | -

paralitici, sordo muti… - | li spingono in casa è l‟ora di mangiare, mandano versi

come bestie! | … non si sa da dove …sul limite delle Groane… | «chichinscì l’è

sempru festa, leraj! col ciondol leraj!…» | … da una qualche osteria esce un filo di

canzone…

III. «chichinscì l’è sempru festa, leraj! col ciondol leraj!…» | Mombello, Varedo…

cascine… paesi… lungo le siepi pedalavo bel bello | tornandomene a Milano… «Sole

che si volta indietro – dicevo – acqua ai piedi; scommetto che domani…» |

Macchine… macchine… zam… zam… motociclette che scappano via… - Nuova…

Cascina Matta – e il grande occhio del tram! | Dopo i giorni di lavoro sera della

domenica. | «chichinscì l’è sempru festa, leraj! col ciondol leraj!…» | «i bottiglioni

annegano i magoni» | «chichinscì l’è sempru festa, liriliraj…» | «… il sole sembra n

marenghino, cisto-vacca!», li sento, sono i viri, sacramento! «Butta qui un carico,

cisto di una madonna!» | «chichinscì l’è sempru festa, liriliraj!» | Dico che quando

viene notte l‟unica sono i bicchierotti di grappa… sobbolle… rintrona… | la bettola…

«sei… cinque...» «…butta giù…» «briscola di re…» «cinque… sei…» «… giù…

giù… che è buona…» «cinque… sette… sei… tutta!» | Undici chilometrini al

dazio… una mezz‟ora e ci siamo… «otto… sette… morra!!» | una semina di lumini, |

di lucette per la pianura tutt‟intorno… albore che sale di là… chiarore della città

lontana… | Camion… side-car… macchine… macchine… sotto… sotto che si

accalcano una sull‟altra!… rombano in quel calderone | piombano da tutte le parti!

Ululano e insieme a questi arrivo, tanto che mi trovo di colpo addosso a quelle luci. |

Arrivo… ci sono… e lì, ascolta mo‟, cosa vedo! Matta puttana! Vedo uno struzzo a

porta Volta! | Réclame del Trader-horn del film-miracolo, qui tra due tram, incazzato

trovo uno struzzo… hai capito ?! | Sotto a un carrozzone pubblicitario c‟è uno struzzo

vivo, che mi guarda!!