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w w w . e d it .h r/ l a v o c e A n n o V I I n . 5 4 M e r c o l e dì, 2 8 d ic e m b r e 2 0 1 1 musica LA VOCE DEL POPOLO DEL POPOLO il pentagramma di Patrizia Venucci Merdžo De «homuncolo globalis» et de «traditione» antiqua Gentilissimi, mi sto chiedendo con quale stato d’animo la gente si prepari a “festeggiare” questo “morente” (amen) 2011 e a salutare l’imminente anno nuovo, la cui nascita avvie- ne sotto gli auspici più preoccupanti. Ma la speranza – per quanto a volte infondata - e la voglia di vivere sono le ul- time a morire (meglio così), per cui, probabilmente, come tradizione vuole, ancora una volta le persone cercheranno stordimento per un paio d’ore in lustrini, spumanti, feste fracassone e nella barbarie dei petardi, con il solito bilan- cio di incidenti ed accidenti. Il Natale, invece, è un’altra cosa. A parte i forti signi- cati prettamente teologici – il Logos che si fa carne per ri- scattare l’uomo dalla sua natura malata di peccato, per ri- portalo, previa puricazione, in uno stato di Grazia e quin- di a nuova e incorruttibile vita -, il Natale è l’unica festa in Occidente che celebra la nascita, la genitorialità, la fami- glia; ed è anche da questo profondo umanesimo, nel quale le persone si riconoscono, che attraverso i secoli è scaturita l’immensa e antica produzione di canti natalizi, patrimonio spirituale dell’umanità. Ora, siccome l’“homo globalis” o meglio, il “nanerot- tolo globale” - che si ciba di hot dog e big brother e veste da cowboy – più in là di “Jingle bells” non ci arriva, colgo l’occasione per ricordare per sommi capi, le melodie nata- lizie del popolo, come pure quelle d’autore - spesso palpi- tanti di poesia e commozione, pur nella loro semplicità, - veri e propri veicoli d’ identità storica e culturale. A Dignano, il canto natalizio autoctono è considerato “Siam pastori e pastorele”, melodia nota pure come “U se vrime godišća” e cantata in tutta la Croazia, tanto da es- sere ritenuto un canto tipicamente croato. In realtà, come dimostra Giuseppe Radole nel suo libro dedicato ai canti dell’Istria, la detta melodia era in origine il tema di un Ca- priccio per organo di Dino Frescobaldi, che fu importato in Istria nel ‘700 probabilmente dai sacerdoti della Sere- nissima e quindi diffuso nel Quarnero, in Dalmazia e nel resto della Croazia. A Rovigno veniva e viene tuttora intonato, dopo la ri- tuale messa di mezzanotte, il “Canto della Natività”, - co- nosciuto pure con il suo primo verso “Siam venuti in que- sta casa” e/o “El xe nato il venticinque”- e la melodia “Ve- nite su pastori” di C. Fabretto. Il cuore dei umani si è allargato e commosso per de- cenni al canto di “Pastori festeggiate”, la rafnata pasto- rella ed unico canto natalizio autoctono di Fiume. Lievi- tante in tempo ternario nella deliziosa ed ondulante quanto semplice melodia sfocia nel ritornello festoso di “Gioite, fe- steggiate, con gli angeli cantate, sia gloria a Dio d’amore e pace agli uomini ancor”, con un basso a modo di bordone, per esaltare appunto il carattere rustico e popolareggian- te. Esiste un manoscritto d’ inizio Novecento di questa Pa- storella, nella versione, abbastanza orita, per pianoforte e voce, che apparteneva alla biblioteca del Duomo di Fiume. E che dire dell’Italia, patria del Presepe e della straor- dinaria oritura di melodie natalizie avvenuta nel corso dei secoli? Dalle gustose laudi popolari quali, “Io scesi giù dal cielo” risalente al Quattrocento (!), alle laude lippine “Oggi è nato un bel bambino” e “Questo nobil bambino”, a “Cantiam tutti cantiam”, “Porta celato”, “O bambino celeste mio sole”, “Lieti pastori”, “Resonet in laudibus”, “Puer nobis nascitur”... antichi e poetici canti risalen- ti al ‘500. Ed ancora le austere e nobili melodie gregoria- ne quali “Puer natus in Bethleem” (siamo nel Trecen- to!), “Tota silescit”, “Parvulus lius”, “In Natali Domini”, “Magnum nomen Domini”.... basta, ci fermiamo qua. Le melodie sono una più bella dell’altra, spesso in tempo ter- nario e rivelano l’interiore spinta gioiosa dell’autore ano- nimo che si fa interprete dello spirito creativo degli animi più semplici. Su questa tradizione si inserì S. Alfonso Ma- ria de’ Liguori, autore della celebe “Tu scendi dalle stelle”, e di una serie di novene natalizie che ancora oggi vengono cantate in molte chiese dell’Italia centro-meridionale. Austero e di antico lignaggio, intenso e soave nel re- gale incedere dell’armonia, è “Adeste deles” un piccolo capolavoro di canto liturgico del tardo barocco. L’autore (testo e musica) è un oscuro musicista inglese del ‘700, tale John Francis Wade, 1711-1786), un compositore ingle- se, epigono del grande Haendel. Il testo è stato attribuito a San Bonaventura. Splendida e doviziosa fonte di melodie natalizie è la Croazia, i cui canti raccolti e solenni, sono pervasi a vol- te del colorito elemento popolare folkloristico e animati da schiettezza e letizia contagiosa. In Polonia si cantano le antiche kolenda, le kodgy e le pastoralki. E ancora “Stille Nacht”...“Oh Tannenbaum!”... ecc. Ora, mi chiedo: ma come fanno - con tutto questo po’ po’ di roba, molta della quale risale a prima della sco- perta dell’America - i lobotomizzati della TV, ogni anno, puntualmente, ad iniggerci con banalità al quadrato tipo “Jingle jingle”? Sarà sicuramente una politica mediatica che si ispira al rispetto delle diversità di culture e popoli! Specicamente e identitariamente Vostra

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www.edit.hr/lavoce Anno VII • n. 54 • Mercoledì, 28 dicembre 2011

musica

LA VOCEDEL POPOLODEL POPOLO

il pentagramma

di Patrizia Venucci MerdžoDe «homuncolo globalis» et de «traditione» antiqua

Gentilissimi,mi sto chiedendo con quale stato d’animo la gente si

prepari a “festeggiare” questo “morente” (amen) 2011 e a salutare l’imminente anno nuovo, la cui nascita avvie-ne sotto gli auspici più preoccupanti. Ma la speranza – per quanto a volte infondata - e la voglia di vivere sono le ul-time a morire (meglio così), per cui, probabilmente, come tradizione vuole, ancora una volta le persone cercheranno stordimento per un paio d’ore in lustrini, spumanti, feste fracassone e nella barbarie dei petardi, con il solito bilan-cio di incidenti ed accidenti.

Il Natale, invece, è un’altra cosa. A parte i forti signifi -cati prettamente teologici – il Logos che si fa carne per ri-scattare l’uomo dalla sua natura malata di peccato, per ri-portalo, previa purifi cazione, in uno stato di Grazia e quin-di a nuova e incorruttibile vita -, il Natale è l’unica festa in Occidente che celebra la nascita, la genitorialità, la fami-glia; ed è anche da questo profondo umanesimo, nel quale le persone si riconoscono, che attraverso i secoli è scaturita l’immensa e antica produzione di canti natalizi, patrimonio spirituale dell’umanità.

Ora, siccome l’“homo globalis” o meglio, il “nanerot-tolo globale” - che si ciba di hot dog e big brother e veste da cowboy – più in là di “Jingle bells” non ci arriva, colgo l’occasione per ricordare per sommi capi, le melodie nata-lizie del popolo, come pure quelle d’autore - spesso palpi-tanti di poesia e commozione, pur nella loro semplicità, - veri e propri veicoli d’ identità storica e culturale.

A Dignano, il canto natalizio autoctono è considerato “Siam pastori e pastorele”, melodia nota pure come “U se vrime godišća” e cantata in tutta la Croazia, tanto da es-

sere ritenuto un canto tipicamente croato. In realtà, come dimostra Giuseppe Radole nel suo libro dedicato ai canti dell’Istria, la detta melodia era in origine il tema di un Ca-priccio per organo di Dino Frescobaldi, che fu importato in Istria nel ‘700 probabilmente dai sacerdoti della Sere-nissima e quindi diffuso nel Quarnero, in Dalmazia e nel resto della Croazia.

A Rovigno veniva e viene tuttora intonato, dopo la ri-tuale messa di mezzanotte, il “Canto della Natività”, - co-nosciuto pure con il suo primo verso “Siam venuti in que-sta casa” e/o “El xe nato il venticinque”- e la melodia “Ve-nite su pastori” di C. Fabretto.

Il cuore dei fiumani si è allargato e commosso per de-cenni al canto di “Pastori festeggiate”, la raffinata pasto-rella ed unico canto natalizio autoctono di Fiume. Lievi-tante in tempo ternario nella deliziosa ed ondulante quanto semplice melodia sfocia nel ritornello festoso di “Gioite, fe-steggiate, con gli angeli cantate, sia gloria a Dio d’amore e pace agli uomini ancor”, con un basso a modo di bordone, per esaltare appunto il carattere rustico e popolareggian-te. Esiste un manoscritto d’ inizio Novecento di questa Pa-storella, nella versione, abbastanza fiorita, per pianoforte e voce, che apparteneva alla biblioteca del Duomo di Fiume.

E che dire dell’Italia, patria del Presepe e della straor-dinaria fi oritura di melodie natalizie avvenuta nel corso dei secoli? Dalle gustose laudi popolari quali, “Io scesi giù dal cielo” risalente al Quattrocento (!), alle laude filippine “Oggi è nato un bel bambino” e “Questo nobil bambino”, a “Cantiam tutti cantiam”, “Porta celato”, “O bambino celeste mio sole”, “Lieti pastori”, “Resonet in laudibus”, “Puer nobis nascitur”... antichi e poetici canti risalen-

ti al ‘500. Ed ancora le austere e nobili melodie gregoria-ne quali “Puer natus in Bethleem” (siamo nel Trecen-to!), “Tota silescit”, “Parvulus filius”, “In Natali Domini”, “Magnum nomen Domini”.... basta, ci fermiamo qua. Le melodie sono una più bella dell’altra, spesso in tempo ter-nario e rivelano l’interiore spinta gioiosa dell’autore ano-nimo che si fa interprete dello spirito creativo degli animi più semplici. Su questa tradizione si inserì S. Alfonso Ma-ria de’ Liguori, autore della celebe “Tu scendi dalle stelle”, e di una serie di novene natalizie che ancora oggi vengono cantate in molte chiese dell’Italia centro-meridionale.

Austero e di antico lignaggio, intenso e soave nel re-gale incedere dell’armonia, è “Adeste fi deles” un piccolo capolavoro di canto liturgico del tardo barocco. L’autore (testo e musica) è un oscuro musicista inglese del ‘700, tale John Francis Wade, 1711-1786), un compositore ingle-se, epigono del grande Haendel. Il testo è stato attribuito a San Bonaventura.

Splendida e doviziosa fonte di melodie natalizie è la Croazia, i cui canti raccolti e solenni, sono pervasi a vol-te del colorito elemento popolare folkloristico e animati da schiettezza e letizia contagiosa. In Polonia si cantano le antiche kolenda, le kodgy e le pastoralki. E ancora “Stille Nacht”...“Oh Tannenbaum!”... ecc.

Ora, mi chiedo: ma come fanno - con tutto questo po’ po’ di roba, molta della quale risale a prima della sco-perta dell’America - i lobotomizzati della TV, ogni anno, puntualmente, ad infl iggerci con banalità al quadrato tipo “Jingle jingle”? Sarà sicuramente una politica mediatica che si ispira al rispetto delle diversità di culture e popoli!

Specifi camente e identitariamente Vostra

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2 musicaVITA NOSTRA

Quando la classica e il rock vanno a braccetto

Laboratorio alla «S. Nicolò» con Sandi Bratonja e Hrvoje Puškarić

FIUME - Musica rock o clas-sica? Vediamo... i musicisti della prima sembrano degli scalmanati, urlatori, personaggi che provoca-no un baccano insoportabile. Ri-badisco il „sembrano“. I classici? Per la maggior parte possono ri-sultare noiosi, incomprensibili. Queste in breve le descrizioni dei due stili di musica dati dai ragaz-zi. Ognuno ha i propri gusti, e qui non si discute. Cosa si può fare per far amare questi due tipi di musica ai ragazzi spiegando loro che tra questi due mondi esiste un’unica armonia? Ce lo spiega-no Sandi Bratonja (URBAN&4) e il professore di pianoforte Hrvoje Puškarić, durante il laboratorio musicale presso la SEI San Ni-colò di Fiume, dal titolo “Rock vs Classica – un mondo unico”. Questa storia musicale, pensata come un duello musicale tra un chitarrista rock e un pianista di musica classica, ha tenuto con il fi ato sospeso gli alunni delle VII e VIII classi. Il fi ne di questa per-formance musicale è stato quello di mostrare per primo, le diffe-renze tra i due tipi di musica, per

poi, passo dopo passo, presenta-re le similitudini e l’armonia tra questi due mondi, trasformandoli in uno solo, con un bellissimo fi -nale musicale.

- Com’è nata la vostra col-laborazione?

“A dire il vero l’idea è nata in modo spontaneo non appena ho conosciuto Hrvoje. Come ci sia-mo conosciuti? Durante una mia visita dal dentista. Me ne stavo lì, seduto sulla sedia con la boc-ca aperta, quando ad un tratto ho sentito una musica bellissima. Ho chiesto da dove venisse ed il mio dentista mi ha risposto: “È mio fratello che suona al piano di sot-to. Sta tutto il giorno chiuso in casa a suonare!” Devo dire che è stato per così dire un colpo di fulmine. Hrvoje componeva brani splendidi che per lo più rimaneva-no chiusi in un cassetto. Ho senti-to il bisogno di suonarli e di pre-sentarli a tutti, volevo unire i no-stri due mondi: il mio, rock, con quello classico di Hrvoje. Così in breve tempo è nata la nostra col-laborazione. Ci trovavamo spes-so per esercitarci, però all’inizio

c’era un qualcosa che non andava. Questo tipo di connubio non con-vinceva chi ci ascoltava. Abbia-mo allora deciso di adeguare un po’ la forma e dopo tanti tentativi ci siamo riusciti. Abbiamo inci-so dei CD, li abbiamo fatti girare tra i nostri conoscenti e abbiamo ascoltato i loro consigli e le loro impressioni. Abbiamo trascorso la notte di fi ne anno del 2004 a suonare in casa, perché era l’uni-co periodo quando non avevamo altri impegni. Poi abbiamo deciso di inserire nel nostro “gruppo” un batterista e abbiamo messo l’an-nuncio sul giornale. A risponde-re è stato Goran Pleić il quale ha suonato per breve tempo con noi, poi è “scappato” (risata n.d.r.).”

- Scappato? Come mai?“All’inizio non riusciva a ca-

pire questa fusione di due tipi di musica e se n’è andato. Poi, dopo un po’ di tempo abbiamo rimes-so l’annuncio, lui si è fatto vivo nuovamente e da allora fa par-te del nostro gruppo Sinteza. Dal 2007 ad oggi abbiamo avuto una cinquantina di concerti in vari club.”

Il laboratorio che abbiamo vi-sto oggi in classe fa parte del vo-

stro progetto intitolato “Rock vs Classica”. Qual è lo scopo di que-sto laboratorio?

“Come hai potuto sentire in classe, i ragazzi hanno solo un’ora di educazione musicale alla setti-mana. Pochissimo! Se prendi in considerazione le ore di matema-tica… E poi chissà perché pur fa-cendo tutti questi calcoli succe-de che abbiamo perennemente il conto in rosso! (ride n.d.r.). Biso-gna educare i bambini e i ragaz-zi alla musica, insegnare loro ad ascoltare, mostrare gli strumen-ti… Noi tutti percepiamo la mu-sica come uno sfondo mentre la-voriamo, guidiamo la macchina ecc. Pochi però sono quelli che si rendono conto che la musica è sempre intorno a noi, che mol-ti fi lm non sarebbero tali senza una colonna sonora. Se un fi lm ci fa piangere è anche merito della musica. Proviamo a guardare un fi lm dell’horrore senza l’audio; fa molto meno paura vero?”

- Tu inizialmente suonavi la fi sarmonica. Oggi invece sei per così dire un musicista a 360°: ho sentito che non esiste prati-camente uno strumento che tu non sappia suonare.

“Io ho iniziato a suonare da bambino. A dire il vero da buon principio la fi sarmonica non mi piaceva. Avrei voluto suonare su-bito qualcosa di “più importante”. Poi però mi sono reso conto che con le mie mani, le mie dita avrei potuto creare delle cose bellissi-me; creare una melodia, una mu-sica. Dieci dita che si muovono e fanno nascere un qualcosa. Ed

ero io a muoverle! Ho capito poi che le note sono sempre quelle, formate da 12 tonalità, indipen-dentemente dallo strumento che suoni. Quindi, con molto eserci-zio, avrei potuto suonare tutti gli strumenti del mondo.”

- Con la vostra performance avete voluto spiegare ai ragazzi che grazie alla musica si diven-ta più tolleranti.

“Vero. Se accetti le diversi-tà nella musica, signifi ca che sei pronto a farlo anche nella vita di tutti i giorni. Diventi tollerante nei confronti di chi non la pen-sa come te, cosa che spesso viene dimenticata; sia nel campo della musica, dello sport e anche nel-la politica. Per questo motivo vo-gliamo divulgare questo messag-gio attraverso la musica. Contat-tiamo le scuole e quelle che sono aperte a questo tipo di progetti ci ospitano volentieri.”

- I ragazzi interessati ad im-parare a suonare possono rivol-gersi a voi?

“Certamente, tutti gli interes-sati possono contattarci al nostro indirizzo e-mail [email protected] e riceveranno tutte le informazioni necessarie. Il corso dura due mesi dopo di che i ra-gazzi hanno le basi musicali ne-cessarie per poter suonare e con-tinuare a studiare musica. Ci pos-sono contattare anche solamente per ricevere qualche informazio-ne, consiglio o per scoprire se sono portati a suonare o meno. Anche se sono convinto che tutti possono farlo, basta avere la for-za di volontà.”

di Patrizia Chiepolo Mihočić

Mercoledì, 28 dicembre 2011

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musica 3L’INTERVISTA

La passione e l’impegno di una vita all’insegna del canto corale

Lucia Malner e i vent’anni di attività del Coro Fedeli Fiumani

FIUME - Correva l’anno 1963 quando una giovane maestrina ini-ziò il suo percorso pedagogico in due scuole elementari italiane di Fiu-me insegnando ai bimbi educazione musicale. Nei seguenti 42 anni con-tinuerà ininterrottamente a riversare il suo sapere, ad infondere le prime nozioni di musica, a far conoscere le note a numerose generazioni di alun-ni tanto che ancor oggi, dopo essersi ritirata in pensione rimane per tanti semplicemente la “maestra Lucia”.

La buona educazione impone che alle signore non si chieda l’età e non lo faremo neppure noi, ma quattro lustri d’ insegnamento parallelo, alla “Gelsi” e “San Nicolò” (un tempo “Mario Gennari”), non hanno lascia-to il segno su Lucia Scrobogna Mal-ner che rimane attiva anche nel “ri-poso” con tante cose da fare, come portare avanti il Coro Fedeli Fiuma-ni e, ancora, ad insegnare pianofor-te alla Centro Studi Musica Classica “Luigi Dallapiccola” di Fiume.

UN CORO TUTTO AL FEM-MINILE E non solo, la professores-sa Malner assieme a Giulia Šantić, infaticabile promotrice di numerosi eventi della Comunità degli Italiani di Fiume, 32 anni addietro fonda la corale femminile della SAC “Fratel-lanza”, un gruppo che continuerà a mietere successi negli anni a venire.

“In Comunità – racconta Lucia Malner – si cantava sempre, alle fe-ste, ai vari appuntamenti e incontri, e c’era un ‘grupo de mule che ghe piaseva cantar e che gaveva anche bona voce’. Giulia Šantić a capo del-la combriccola mi propose di prova-re a formare un coro tutto femmini-le. L’idea andò avanti molto presto e la corale iniziò il suo percorso mu-sicale in seno alla SAC ‘Fratellan-za’, diventando da buon principio un elemento importante nell’ambi-to delle sezioni musicali, tanto che dopo un po’ di tempo divenne auto-matico fondere, saltuariamente, i due cori, femminile e maschile, e forma-re un’altra compagine, il grande coro misto. Fu un periodo pieno di impe-gni, ma di tante soddisfazioni”.

La sua attività come maestra del coro femminile, purtroppo, fu drasti-camente interrotta. “Iniziai ad ave-re grossi problemi alle corde vocali -, continua la professoressa Malner - e perciò dovetti cancellare tutte le mie attività e limitare quelle lavorati-ve. Per lunghi anni sono rimasta ‘una spettatrice attiva’ seguendo le attivi-tà musicali in seno alla nostra CI e a tutta la Comunità Nazionale”.

LA SFIDA DI UNA CORALE DI MUSICA SACRA Nel 1991, venti anni fa, dopo una pausa pro-lungata, per Lucia si apre una nuova

avventura, tutta particolare. Fonda-re e portare avanti un coro specifi co. Un esperimento eccezionale, unico nell’universo comunitario. Inizie-rà così un percorso che dura fi no ai giorni nostri come direttrice del Coro Fedeli Fiumani.

“In quell’anno, spiega Lucia Mal-ner, sono stata contattata da Mario Zoia che faceva parte di un gruppo di devoti fi umani che durante la messa in lingua italiana della domenica nel-la Cattedrale di San Vito, ‘improvvi-savano’ i canti e si davano da fare per mantenere viva la fede nella nostra lingua accompagnati dell’organista Rosi Mohović, la quale di recente si è ritirata dall’incarico, ora svolto dal prof. Bruno Picco. Mi sentivo pronta per ricominciare, anche perché dopo il prolungato riposo, desideravo es-sere attiva e utile. Così, in poco tem-po, è nata una nuova corale, il Coro Fedeli Fiumani, grazie all’impegno dei credenti che desideravano con le proprie voci elevare le lodi al Signo-re nei canti liturgici.

Fino a quel momento non avevo mai diretto un coro che curava esclu-sivamente un repertorio religioso e perciò rappresentava una sfi da da su-perare. Dirigere un coro, sia formato da bambini che da adulti, è una cosa molto impegnativa che richiede un impegno costante, una concentrazio-ne continua e una mano ferrea, ma le soddisfazioni sono tante.

IMPEGNO SERIO E CO-STANTE Ritornando al coro Fe-deli Fiumani, l’approccio iniziale si è svolto in Cattedrale. Al gruppo si sono pure aggregati un paio di coristi dei cori della SAC “Fratellanza” che hanno continuato a ‘militare’ in am-bedue le corali. Oggi, dopo vent’an-ni, il Coro Fedeli Fiumani conta 35 coristi, un numero stabile che si man-tiene dalla sua fondazione”.

La professoressa Malner non pensava di rimanere a lungo alla gui-da del coro, eppure sono passati tanti anni e ancor oggi non ha intenzione di smettere. “Questi anni sono volati, sono cresciuta, per non dire matura-ta, con il coro. Ci sono stati alti e bas-si, ma la corale ha mantenuto sempre un livello costante, anzi, posso affer-mare che ha progredito tanto”.

Il coro si riunisce due volte alla settimana negli spazi della Comuni-tà degli Italiani dove si svolgono le prove. Essendo tutti i coristi legati ad altre attività, lavorative o private, una trentina di membri partecipa at-tivamente alle prove e in quanto fe-deli alle messe domenicali, mentre il coro completo si trova due volte al mese. Ma questo compito viene la-sciato alla capo coro Ardea Juranić che organizza gli incontri.

LUSINGHIERE AFFERMA-ZIONI I successi non si sono fatti

mancare, la maestria della corale Fe-deli Fiumani ha ben presto superato i confi ni comunitari e religiosi fi uma-ni facendosi valere anche in tantissi-me uscite nelle parrocchie istriane, in Italia, Slovenia e Croazia sempre ed esclusivamente ad arricchire con i canti liturgici le funzioni religiose ed offrire ai fedeli un assaggio del ricco repertorio sacro.

“Il programma è molto impegna-tivo, continua Lucia, basti pensare che il coro partecipa ogni domeni-ca alla messa nella Cattedrale, e poi sono frequenti le uscite. Perciò anche il repertorio deve essere adeguato ad ogni occasione, ad ogni festività re-ligiosa, ad ogni evento celebrato dai nostri fedeli.

UN REPERTORIO IMPE-GNATIVO E RICERCATO Si spazia nella musica sacra compo-sta dai grandi come Bach, Haen-del, Mozart, Vivaldi, Gounod, Li-sinski e altri prestigiosi autori ma si interpretano pure canti natalizi, pasquali, per la ricorrenza di San Vito, della giornata di Ognissanti, per i pellegrinaggi e tante altre ri-correnze. I nostri coristi considera-no le melodie natalizie altrettanto impegnative e di buon augurio. Nessuna canzone o inno viene ritenuto frivolo o di poco conto. Per ogni singolo canto ci si impe-gna al massimo. La nostra maggior soddisfazione è quando, dopo aver cantato in qualche paese dell’Istria o in Italia gli inni liturgici, in italia-no o latino, dopo la funzione religio-sa i parrocchiani ci avvicinano e si congratulano con noi espri-mendo la loro felicità per aver potuto risentire i canti religiosi della loro infanzia”.

Incontes tabi le “cavallo di battaglia” della corale è “L’alle-luia” di Georg Friedrich Händel. “La grande pe-rizia nell’interpretazione da parte dei Fedeli Fiu-mani di questo pezzo è un punto d’orgoglio per tut-ta la corale” afferma Lucia Malner.

CANTARE PER GIOVANNI PAOLO II L’evento che ci ha segna-to profondamente, in senso spirituale, è stata la parteci-pazione alla Santa messa offi -ciata in Delta a Fiume dal Santo Padre Giovanni Paolo II nel giu-gno del 2003 nella sua centesima visita pastorale.

“E stato un momento magico, racconta Lucia, siamo stati invitati a partecipare ed a far parte del grande coro formato da tutte le maggiori co-rali di Fiume. In quel momento ab-biamo capito di essere maturati e di essere ben accettati nella grande fa-miglia dei cori religiosi.

I preparativi furono incessan-ti ed estenuanti. Il maestro Nino Načinović che doveva dirigere il grande ‘coro papale’, venne a sen-tirci ed espresse il suo entusiasmo per la nostra grande professionali-tà. Quella domenica, nella nostra città, sotto il sole co-

cente fummo parte di un evento particolare, unico, irripetibile: can-tare per il Santo Padre. I nostri cuo-ri erano colmi di gioia e fede. Non è stato il nostro unico incontro con il Papa, siamo stati pure due volte in pellegrinaggio a Roma dove ne-gli incontri settimanali con i fedeli abbiamo avuto modo di far sentire il nostro canto a lui”.

Oltre che guidare la corale, la professoressa Lucia Malner è im-pegnata come insegnante di piano-forte al Centro di studi di musica classica “Luigi Dallapiccola” attor-niata da tanti giovani e bravi pic-coli pianisti perché come sottoli-

nea “tutti i bambini sono bravi, basta saperli avvicinare alla

musica nel modo giusto”.Quando si parla del

futuro, la professoressa Malner è sicura di conti-nuare il suo operato con il Coro Fedeli Fiumani con l’impegno che la contraddistingue, an-che se, ammette con un

sorriso, “ogni cosa ha il suo principio e la sua fi ne ma non oggi, né domani...”.

Il Coro Fedeli Fiumani si esibisce durante la Messa pasquale di quest’anno

I festeggiamenti per il 20.esimo dalla fondazione del Coro fedeli Fiumani nel giugno del 2011

di Viviana Car

Mercoledì, 28 dicembre 2011

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IL SAGGIO

La bitinada, espressione genuina L’articolata e puntuale analisi storico-musicale-esecutiva del tipico can

ROVIGNO - Poco sinora si è parlato e scritto di una espressione particolare del canto popolare rovi-gnese e cioè della Bitinada. Le Bi-tinade, assieme alle arie da nuoto, sono le uniche modalità della tradi-zione canora rovignese circoscritte al solo microcosmo culturale della città di Rovigno e pertantanto trat-tarne è estremamente doveroso.

LA RIPARTIZIONE “STRUMENTALE” NELLA BITINADA˝Che tipo di canto è la bitinada? La bitinada è un modo al-quanto originale di eseguire con la sola voce un accompagnamento mu-sicale atto ad accompagnare qualun-que canzone un solista volesse can-tare. (Oggi la si potrebbe defi nire una “base musicale”, un arcaico ma funzionale “ karaoke “). Quando il solista, o i solisti in duetto, intonano la canzone prescelta, i “bitinadùri”, così vengono defi niti i cantori di questo complesso, composto in me-dia da una quindicina o più di mem-bri, si destreggiano a imitare i suoni degli strumenti musicali di una ipo-tetica orchestra. Gli strumenti mag-giormente imitati sono: la chitarra, il contrabbasso e i mandolini. Per otte-nere un effetto armonico complessi-vamente buono, almeno tre o quattro “bitinaduri” imitano il “basso” della chitarra a mo’ di contrabbasso, con-ferendo il ritmo necessario all’ese-cuzione (il vero registro del con-trabbasso non è imitabile dalla voce umana poiché tonalmente troppo basso). Poi, a gruppetti o singolar-mente, vengono imitati i suoni del-le altre corde della chitarra, almeno tre le voci, che defi niscono così l’ac-cordo e di conseguenza l’armonia. Codeste parti vengono sostenute dai cosiddetti preîmi (tenori), sagondi (tenori II) e tièrsi (baritoni). I rima-nenti membri del gruppo a piacere imitano il suono di alcuni strumen-ti di complemento quali mandolini e mandole, che vengono in gergo det-ti tintini, (etimo chiaramente di ori-gine onomatopeica); più raramente vengono imitati anche strumenti a fi ato, tromba e oboe, nonché chitar-ra hawayana, che eseguono origina-

li controcanti con voce di falsetto o con un registro “alterato”.

LA BRAVURA NELL’IM-PROVVISARE Di regola si pre-feriscono canzoni a ritmo di valzer o marcetta. L’articolazione e la suc-cessione degli accordi per l’accom-pagnamento fondamentale di basso e chitarra sono determinati ovvia-mente dalla canzone portante. Que-sta è l’unica cosa da rispettare. Le modalità degli interventi degli stru-menti di complemento (mandoli-ni e mandole - tintini) viene lascia-ta a pura discrezione e bravura degli esecutori che scelgono autonoma-mente il loro momento, conferendo all’insieme uno squisito sapore ar-monico unico e, spesso, irripetibi-le poichè all’insegna dell’improvvi-sazione. Difatti l’inventiva dei sin-goli è spesso condizionata soltanto dal momento “magico” che si crea nell’istante dell’esecuzione. A vol-te tra i tintini può esserci un’intesa in modo che all’orecchio il suono prodotto da due o più cantori risul-ti quello di un mandolino suonato su due corde, per terze, come si può no-tare nella Boscaiola. (v. allegato).

UNA RICCA TRADIZIONE MUSICALE La tradizione vuole che la bitinada nasca tra i pescatori rovignesi che, intenti per ore a cucire e riparare le loro reti, oppure durante il mestiere, non avendo le mani libe-re ed essendo logisticamente molto vicini, si fossero dilettati ad accom-pagnare alla loro maniera colui che avesse avuto la voglia e la bravura di trainare il gruppo con una canzo-ne. La capacità di creare un’armo-nia non semplice per una prestazio-ne di tipo prettamente popolare, ri-siede nella ricca tradizione musicale rovignese, da secoli tramandata con la concomitanza di una forte presen-za di musicisti dilettanti tra la popo-lazione. A cavallo tra il XIX e XX secolo, periodo del dominio Austro-Ungarico, a Rovigno troviamo ben tre bande di ottoni, tre complessi corali, un teatro comunale (poi de-dicato ad A.Gandusio) che ospitava opere liriche e operette, nelle quali i solisti da “fuori” sostenevano i ruo-

li principali ed erano affi ancati dai cantanti locali in parti secondarie. Pure l’orchestra era locale. Una pro-va palese di tale capacità sono pure le tradizionali arie da nuoto, (L. Be-nussi, 1975-1981), genere armoni-camente molto impegnativo. Nella prima metà del XX secolo appaiono pure le prime canzoni d’autori rovi-gnesi in vernacolo, che caratterizze-ranno ancor di più l’originalità della tradizione canora della città.

BRAVURA, VOLONTÀ, CA-PACITÀ, ARMONIA Nel novem-bre del 1934, in una trasferta per

l’inaugurazione di un Dopolavo-ro a Roma, il coro della “Manifat-tura Tabacchi” di Rovigno, guidato dal giovane maestro Domenico-Mi-mi Garbin (pittore), riesce a stupi-re i presenti per la bravura proprio grazie alle bitinade. Ne dà notizia A.Segariol (2000, p.128) nelle sue Cronache di Rovigno adducendo che: “I rappresentanti del monopo-lio di stato, non persuasi che l’ac-compagnamento nella bitinada fos-se fatto senza strumento, chiamaro-no alcuni coristi a ripeterli davanti a loro, al che rimasero sbalorditi. De-

gno di rilievo è il giovane falegname Tromba che, colla bocca, senza stru-mento di sorta, pare che suoni ef-fettivamente una cornetta”. L’auto-re riporta che i canti rovignesi furo-no trasmessi per radio la domenica, 25 novembre 1934. Sempre il Sega-riol (2000, p.165) menziona un’al-tra uscita del coro del Dopolavoro di Rovigno, il 1 novembre 1936 a Trie-ste, questa volta per radiotrasmettere all’EIAR cori scelti e bitinade. Si fa menzione del “bravo solista (teno-re) Costantino Mauro (Maurovich), bandaio.”

Il maestro C.Noliani direttore del coro “ARUPINUM” di Trieste (composto in prevalenza da coristi esuli) ricorda le bitinade. Cito: “ a Trieste - nel 1946 - (..) per la pura gioia, anzi per una vera necessità di cantare, essi (i cantori rovignesi) si riunirono nei pubblici ritrovi ed in-tonavano le loro canzoni, le loro bi-tinade guidati dal semplice istinto, senza che alcuno li dirigesse.” Que-sta è la bitinada, l’insieme di bravu-ra, volontà, capacità, armonia e tra-dizione.

AFFINITÀ CON ALTRI CAN-TI ITALIANI Il prof. Roberto Sta-rec, nel 1983, volle documentare per studio alcuni aspetti del canto popo-lare rovignese (e istriano). Registrò tra i tanti anche alcune bitinade. Ne da notizia nel suo Album discografi -co. Nel commento all’ Album (1985, p.10), l’autore riferisce sulle possi-bili somiglianze della bitinada con altri canti consimili. Cito: “Forme analoghe di polivocalità ritmica, con imitazione più o meno evidenti di strumenti, sono in uso in Italia in Li-guria (soprattutto a Genova in modi maggiormente sofi sticati) e nel Pia-centino (tralallero), in Toscana nel Grossetano e sul Monte Amiata (bei) e in Sardegna nella Barbagia (teno-res). (...) e in Georgia sovietica”.

A differenza delle citate poli-vocalità ritmiche, per la bitinada non esiste una regione di diffusio-

di Libero Benussi

BitinadoriBitinadori

Mercoledì, 28 dicembre 20114 mus

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dello spirito creativo di un popolonto delle genti del microcosmo rovignese

ne. Essa è circoscritta alla sola città di Rovigno. Già nel contado non la sanno fare. Ma da dove ha origine il termine?

ORIGINI ETIMOLOGICHE DELLA “BITTINADA” Per pri-mo ne parla Antonio Angelini nel suo Repertorio delle Cronache di Rovigno, manoscritto del 1858-62, edito per mano di G. Radossi e A.Pauletich (1976-77) e precisa-mente:

”BITTINADA. Una volta quan-do i giovani del popolo avevano in-contrata matrimoniale obbligazione la festeggiavano con certo suono e canto, intermezzato da qualche sca-rica d’arma da fuoco, che facevano eseguire sotto le fi nestre delle loro fi danzate, e ciò anche si praticava nella ricorrenza di alcuni Santi elet-ti e protettori di diverse classi del popolo alle case dei loro primari. I quali suoni e canti corrispondevano all’antico bagordare, chiamato da noi con voce popolaresca bittinada.

Questa festosa usanza venne ab-bolita dalla Politica Autorità del luogo da oltre 30 anni (Vedi racc.ta Docum.ti).”

In ordine di tempo segue l’Ive.(Ive Antonio, 1877). Nella sua rac-colta Canti popolari istriani raccolti a Rovigno, a p.3, canzone N.5, nel capitolo Canti e serenate si legge:

Canto la bitinada e i’ nun te vidoTi son in lieto e meî cripo de fri-

do;.........a p.10, canto N.14 dello stesso

capitolo:’Sta sira i’ ghe vuoi fa ‘na biti-

nada,A la muru∫a del cumpagno

meîo;......... a p.254, tra i Canti satirici, nel

canto N.15 si dice:.........Nardo Bujolo ghe xi calumà,Perchì che Cucalito aviva oûna

sor.Li bitinade i ghe l’u’ fate fà,I ghe l’u’ fate sunà de Mazarol.............Nella nota in calce alla canzone

di p.3, nota che specifi ca i vocaboli particolari, si legge testualmente: “ Bitinada, mattinata, serenata.”

Nel Vocabolario del dialetto di Rovigno d’istria di Antonio e Gio-vanni Pellizzer (1992), sotto la voce bitinada leggiamo:

” s.f. - Tipica maniera di accom-pagnare uno o più solisti, imitando i suoni dei vari strumenti con la boc-ca, caratteristica specifi ca dei ro-vignesi per cui vanno famosi. Pro-babilmente vale mattinata, serena-ta negli altri luoghi, adoperata an-che come canto satirico. Nei rifl essi istriani si fusero insieme mattinata e botonata.”

Si può quindi costatare che an-ticamente il termine bitinada, e mi riferisco ai testi citati dall’Angelini e dall’Ive, signifi cava serenata ese-guita probabilmente con strumen-ti musicali. Non trapelano dai te-sti se l’esecuzione coinvolgeva un cantante solista o se c’erano anche altri coristi. Certo è però che a me-moria d’uomo, di persone provette che hanno per tutta la vita coltiva-to il canto popolare, nate nei primi anni del secolo, riferendosi ai ricor-di dei loro nonni e prozii cantori, hanno sempre affermato che già ne-gli ultimi anni dell’800 la bitinada era già quella che conosciamo e che si è conservata fi no a noi.

LA ANTICHE BITINADE DELLA TRADIZIONE Di quan-to affermo ne è certamente prova il repertorio delle canzoni che allo-

ra venivano eseguite. Esse sono sta-te tramandate fi no ai giorni nostri: le belle esecuzioni di Remator del 1870 (vedi trascrizione in allegato) e Spunta il sole, ovvero i rifacimen-to rovignese dell’ Addio al garibal-dino del 1860, canzonette gia tutte pubblicate nella seconda metà del XIX secolo (Barbini (1876). Alle succitate, delle quali si sa il perio-do di produzione, si affi ancano pure altre altrettanto pregevoli e arcaiche tra le quali vanno menzionate El cucù, L’eco, Il giardiniere, La Dani-marchese, Santa lucia.

Accanto alle canzonette più an-tiche con testo rigorosamente in ita-liano letterario (più o meno storpia-to, data la scarsità di preparazione culturale dei cantori), con il 1900 si fanno apprezzare pure i primi com-ponimenti originali in dialetto ro-vignese. Li tabacheîne meglio nota come Li ven soûn par li Casale è del 1907 per mano del maestro Giu-seppe Peitler su testo di Alvise Ri-smondo. Seguiranno Vien fi amita e Li muriede ruvignise (Vignì sul mar muriede) del maestro Carlo Fabret-to, scritte negli anni ‘20/’30, apren-do quello che sarà poi un vero e proprio fi lone di canzonette di auto-ri rovignesi molte delle quali si pre-steranno ad essere accompagnate in bitinada. A partire dagli anni ‘70 la produzione riprende. Ricorderemo: di Domenico-Mimi Garbin O bel-la Rovigno e L’alba del pascadur, quest’ultima su testo di G.Curto, di Piero Soffi ci El piso gira gruoso, pa-role di Matteo Benussi, e Vlado Be-nussi con Figarola, ∫ i bitinade. Vla-do Benussi ha pure composto due operette di carattere folcloristico ri-maste sinora inedite, una anche pre-miata al Concorso “Istria Nobilissi-ma”, nelle quali le bitinade, nuove di zecca, non mancano di certo.

CONSERVARE IL CANTO ROVIGNESE La bitinada è uno dei simboli della tradizione rovigne-se e a curarne le caratteristiche e la continuità ci pensa esclusivamente la SAC “Marco Garbin”, che opera in seno alla Comunità degli Italia-ni di Rovigno. In questo momento il gruppo corale è guidato dal mae-stro Vlado Benussi. Dal 1965 in poi sono stati incisi anche parecchi di-schi, musicassette, CD, nonchè esi-stono riprese televisive di vari spet-tacoli di arte varia e documentari, in sede e all’estero. Manca però un approcio documentativo adegua-to di tutto questo materiale prezio-so che, spero, si possa completare in un prossimo futuro.

Non esistono sinora comple-te trascrizioni di bitinade su sparti-to. Lo Starec (1985, p.21,es.11), è il primo a tentarne una, ma non ripor-ta che poche battute della parte del solista con un un accenno alla parte di “basso”. Non riporta traccia delle altre voci, nè la canzone è comple-tata fi no alla fi ne.

Trascrivere su partitura una biti-nada non è un’impresa semplice so-prattutto perchè, come si è detto in precedenza, ogni esecuzione si dif-ferenzia dalla precedente. Genera-re varianti, in genere, è tipico del canto popolare. Nel nostro caso è la bravura degli esecutori, le caratteri-stiche peculiari del solista che por-ta il canto, l’inventiva dei singoli che, improvvisando, di volta in vol-ta danno all’insieme delle sfumature diverse, lo scambio dei ruoli, poiché l’alto registro dei controccanti stan-ca e i cantori si alternano e si sosti-tuiscono via via nei controccanti; è questo che genera le varianti.

Diffi cile è poi descrivere a pa-role i vari suoni emessi dai canto-

ri. In tutte le frazioni comunque c’è la tendenza ad imitare il suono degli strumenti non solo in maniera tona-le ma pure timbrica: I bassi faranno VUN, arrotondando la VU, allun-gando la U e tenendo nasalmente la N sfumandola fi no al prossimo “piz-zico di contrabbasso”; l’imitazione delle tre note fondamentali dell’ac-cordo della chitarra (anche nei rivol-ti dell’accordo a seconda della tona-lità della canzone) si avvalgono di un DAN-DAN per il tempo ternario o di un DARARÀNDAN nel tempo quadrato, sempre seguendo al VUN del basso. Anche qui il DA è denta-le quanto più “metallico” possibile e la N fi nale, nasale, è leggermente prolungata.

LE PARTICOLARI TECNI-CHE VOCALI-ESECUTIVE I contraccanti, tintini, vengono ese-guiti con voce di falsetto sul regi-stro di soprano o mezzosoprano, a seconda delle canzoni e delle capa-cità canore degli esecutori. Si imi-tano di solito il suono del mando-lino o della mandola, su una corda singola o per terze (ovviamente in duetto), con un DIN unico, o ripe-tuto quanto necessita, e facendo vi-brare la lingua tra i denti superiori e il palato per ottenere il trillo ad imi-tazione dell’azione del plettro. Nei tintini c’è pure un registro più bas-

so detto dai rovignesi baritono, che si avvale di un BLUN o di un BU-LULÙN oppure da un secco susse-guirsi di DAN più o meno sincopati con la A che è quasi una O, sempre dentali e metallici. Anche i tintini possono essere sincopati. Talvolta vengono imitati anche suoni “simi-loboe” o anche quelli della tromba o del trombone, nonché l’arpa e ciò in particolar modo nelle riprese tra una strofa e l’altra, riprese volutamen-te prolungate proprio per mettere in evidenza tutti i controcanti.

I “TINTINI” VIRTUOSI Per realizzare le due trascrizioni che ho allegato a titolo di esempio (e mi au-guro che in futuro si possa fare una raccolta completa), mi sono avval-so di due bitinade incise dal gruppo corale della Società Artistico Cul-turale “Marco Garbin” di Rovigno nel 1965 presso la Casa discografi -ca “Jugoton” nell’album: La viecia batana (1966). I coristi in quella oc-casione furono quindici, mentre la voce solista quella di Liliana Budi-cin-Manestar. I tintini di maggior ri-lievo son quelli di Romano Chiur-co (pompiere) che si destreggia nel registro di soprano, Giacomo Qua-rantotto - Meto (pescatore) e di Cri-stoforo Sponza - Catalàn (agricolto-re). Lo Sponza in quella occasione ha pure guidato e istruito il gruppo.

Ho scelto questa incisione perché i cantori sono molto affi atati e, la bi-tinada creata in quell’occasione, è risultata armonicamente ben artico-lata. Da tener sempre presente che la tracce melodiche dei tintini nel-lo spartito sono da considerarsi solo un esempio. Siccome Remator è ar-ticolato in tre strofe le riporto come testo a parte:

REMATORBrilla il ciel, tranquilla è l’ondasuona l’ora dell’amor,deh mi porti all’altra spondagiovanetto remator.Deh mi porti all’altra sponda,

giovanetto, giovanetto.Deh mi porti all’altra sponda,

giovanetto remator.Remator la barca è prontase tu vuoi venir a vogar,vogheremo al’’altra sponda giovanetto remator.Vogheremo all’altra sponda, gio-

vanetto, giovanetto.vogheremo all’altra sponda, gio-

vanetto remator.I tuoi sguardi con i mieisi incontran con amor,che dolcissimi momentigiovanetto remator.Che dolcissimi momenti, giova-

netto, giovanetto.Che dolcissimi momenti, giova-

netto remator.

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6 musicaSULLE ALI DELLA FELIX AUSTRIA

Le straordinarie vicissitudini del La complessa metamorfosi di «An der schönen bl

È riconosciuto mondialmente come il più celebre valzer e uno fra i più famosi brani

di musica classica di tutti i tempi. Parliamo di “An der schönen blau-en Donau“ (Sul bel Danubio blu) op. 314, di Johann Strauss fi glio, la cui storia si rivela piuttosto in-teressante.

QUATTRO VALZER PER CORO Agli inizi del mese di lu-glio del 1865, Johann Strauss, ap-pena tornato a Vienna dopo un pe-riodo di riposo in cui si era sotto-posto a delle cure termali, ricevette una lettera da parte del prestigio-so Wiener Männergesang-Verein (Associazione corale maschile di Vienna) che lo invitava a parte-cipare alla loro Sommer-Lieder-tafel (Festival estivo di canto) in

programma per il 17 luglio, chie-dendogli di comporre per l’occa-sione un nuovo valzer. A distanza di diciotto anni da quando aveva scritto il suo primo valzer dedicato all’associazione, “Sängerfahrten“ op. 41, Strauss fu tuttavia costret-to a rifi utare la proposta. Il compo-sitore diede la motivazione del suo rifi uto in una lettera, nella quale promise di comporre un valzer per l’estate seguente.

Questa promessa, tuttavia, non venne mantenuta nemmeno per il 1866; ma, in ogni caso, duran-te l’estate e l’autunno di quell’an-no, dietro le insistenti sollecita-zione da parte dell’Associazione, Strauss cominciò la composizione

del suo primo valzer corale, che sarebbe poi diventato celebre in tutto il mondo con il titolo di “Sul bel Danubio blu“.

...E UNA FRETTOLOSA IN-TRODUZIONE STRUMENTA-LE La sconfi tta militare dell’Au-stria da parte delle forze prussia-ne a Königgrätz (oggi Sadowa) il 3 luglio 1866, gettarono nella di-sperazione tutti i settori dell’Im-pero asburgico, e ciò mise in dub-bio anche i festeggiamenti del car-nevale del 1867. In considerazio-ne dello stato d’animo prevalente, l’Associazione corale maschile di Vienna decise di sostituire l’an-nuale Sommer-Liedertafel con un programma serale più tranquil-lo. Strauss, in gran fretta, comin-ciò ad adattare gli schizzi del suo

valzer in tempo per poter essere presentato all’inaugurazione del Faschings-Liedertafel (Festival di Carnevale di canto), originaria-mente previsto per il 10 febbra-io 1867 nella Dianabad-Saal, ma successivamente rimandato al 15 febbraio.

Inizialmente l’associazione ri-cevette un accompagnamento per coro formato da quattro sezio-ni di valzer, senza introduzione e con una breve coda (tale versione andò in stampa nel gennaio 1867), e poco dopo Strauss presentò un accompagnamento completo per pianoforte scritto frettolosamen-te e recante le scuse dell’autore: “Chiedo scusa per la grafi a di-

sordinata, ma sono stato costretto a fi nirlo in pochi minuti. Johann Strauss.“

LE ORIGINI DEL TITOLO Il poeta uffi ciale dell’associazione corale, Josef Weyl (1821-1895), di professione funzionario di polizia e amico d’infanzia del composito-re, ebbe il compito di scrivere un testo, a tratti spiritoso, a tratti sati-rico e ironico, da accompagnare ai quattro valzer e alla coda, che fos-se in grado di esortare i contadini, i fi nanzieri, i costruttori, i proprie-tari terrieri, gli artisti e i politici a tornare a ballare durante i festeg-giamenti del carnevale, nonostan-te la gravità della situazione poli-tica che l’Impero e tutti gli strati della società stavano vivendo in quel momento. Weyl aveva già completato il suo compito quan-do Strauss presentò una quinta se-zione valzer, che obbligò il poeta a modifi care il testo del quarto val-zer e aggiungere un testo riveduto alla coda.

Le prove iniziarono a metà gennaio, ma alla fi ne del mese non era stato ancora trovato un nome adatto per il valzer. Il titolo “An der schönen blauen Donau“ ven-ne scelto estrapolandolo da una delle poesie malinconiche della raccolta Stille Lieder (Canti tran-quilli) di Carl Isidor Beck (1817-1879), „An der Donau“. In tale la-voro era contenuta anche la frase “An der schönen, blauen Donau liegt mein Dorfchen...“ che venne appunto scelta come titolo ma, tut-tavia, non si è certi chi abbia scel-

to di attribuire tale titolo al valzer di Strauss; infatti nel testo di Weyl non vi è alcun riferimento al Da-nubio.

LA PRIMA ESECUZIONE CORALE E ORCHESTRALE Soltanto poco prima della prima rappresentazione si decise di ar-ricchire il nuovo valzer con un accompagnamento orchestrale, e Strauss vi aggiunse la celebre in-troduzione con il tremolio dei vio-lini, oggi nota in tutto il mondo. Poiché al momento della prima esecuzione il compositore e l’or-chestra Strauss si sarebbero già dovuti esibire alla Corte Imperiale, i circa 130 componenti della Asso-ciazione corale maschile di Vien-na vennero diretti dal loro maestro di coro Rudolf Weinwurm, e ven-nero accompagnati dall’orchestra del 42.esimo Reggimento di Fan-teria del re Giorgio V di Hanno-ver, temporaneamente di stanza a Vienna.

Nonostante l’eccessiva durata della serata (5 ore nel caldo soffo-cante, con due fi le di signore sedu-te sulle sedie e oltre 1.200 spettato-ri di sesso maschile in piedi dietro di loro), “Sul bel Danubio blu“ (se-sto punto di nove nel programma) venne applaudito ripetutamente

La prima esecuzione fu affi data ai 130 componenti dell’Associazione corale maschile di Vienna diretti dal loro maestro Rudolf Weinwurm, e accompagnati dall’orchestra del 42.esimo Reggimento di Fanteria del re Giorgio V di Hannover, temporaneamente di stanza a Vienna

A cura di Helena Labus Bačić

Monumento viennese a Strauss

Frontespizio della prima edizione di “An der schönen blauen Donau“ “An der schönen blauen Donau“ nell’autografo di Strauss

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valzer più famoso del mondoauen Donau» del geniale Johann Strauss tra commissioni, accidenti e casi fortuiti

con grande entusiasmo del pubbli-co. Anche se il recensore del „Die Debatte und Wiener“ Lloyd affer-mò che “...Solo il testo di Weyl ha lasciato molto a desiderare“.

Il critico del “Fremden Blatt“ osservò che “Il valzer è stato dav-vero splendido, pieno di melodie che scorrevano dalle labbra dei cantanti come un ruscello di ac-qua sorgiva e dalle cui onde ritmi-camente scorre la melodia che ha magicamente aggiunto colore al divertente testo. La composizione è stata accolta con gioia“. Il recen-sore per la „Die Presse“, fece eco al collega, aggiungendo profetica-mente: “Questo valzer di charme, con i suoi ritmi orecchiabili, en-trerà presto a far parte della pro-duzione delle danze più popolari del compositore, e di fatto è sta-to il migliore pezzo di tutto il car-nevale“.

STRAORDINARIO SUC-CESSO CON I TRE FRATEL-LI STRAUSS I viennesi pote-rono ascoltare la versione orche-strale del valzer (completa di in-

troduzione e coda), domenica 10 marzo 1867 nel Volksgarten al tra-dizionale concerto dell’orchestra Strauss, quell’anno straordinaria-mente sotto la direzione congiunta di tutti e tre i fratelli, in occasione del carnevale. Johann stesso con-dusse il suo lavoro, (terzo punto su un programma di 24 brani com-posti per le celebrazioni del carne-vale dai tre fratelli) che venne ac-colto da un tripudio di applausi. Il successo fu strepitoso.

Nel 1867, in seguito a un in-vito del mecenate parigino Comte d’Osmond, Strauss si recò a Pari-gi per dirigere alcuni concerti in occasione dell’Esposizione Uni-versale, dirigendo l’orchestra ber-linese del compositore di musica da ballo Benjamin Bilse. Duran-te uno della serie di concerti nella capitale francese, Johann ripropo-se “Sul bel Danubio blu” che ebbe lì la sua consacrazione a livello internazionale, ricevendo un’ac-coglienza trionfale.

IN AMERICA CON UN’OR-CHESTRA DI MILLE MUSI-

CISTI Cinque anni dopo, Strauss si imbarcò per una tournée negli Stati Uniti e tenne una serie di colossali concerti a Boston, per i quali gli venne offerta la som-ma, astronomica per l’epoca, di 100mila dollari. Assieme a cen-to direttori d’orchestra assistenti, diresse un’orchestra di mille ele-menti e “Sul bel Danubio blu” fu eseguito dinanzi a 100mila per-sone. Fu un concerto perfetto e il grande successo dello spettacolo gli portò nuove offerte strabilian-ti e la proposta di girare gli Sta-ti Uniti in una tournée, che però rifi utò. Strauss fu molto sorpreso dall’enorme successo del valzer che egli considerava nient’altro che un brano adatto soltanto per “riempire il programma”.

Il lavoro fu talmente famoso che alcuni anni più tardi, il com-positore Johannes Brahms, gran-de amico e ammiratore di Strauss, sotto alcune note del valzer mise una sua fi rma scrivendo “Sfor-tunatamente non di Johannes Brahms“.

In seguito, un nuovo testo ven-ne scritto nel 1890 da Franz von Gernerth (1821-1900), con le pa-role “Donau so blau... (Danubio così blu...)“. Il valzer “Sul bel Danubio blu“ viene eseguito ogni anno, come secondo fuori pro-gramma, durante il Concerto di Capodanno dei Wiener Philhar-moniker.

«Sul bel Danubio blu» ebbe la sua consacrazione a livello internazionale, all’ Esposizione Internazionale di Parigi

Francobollo austriaco dedicato al centenario del “An der schönen blauen Donau“

L’ Orchestra Strauss

Mercoledì, 28 dicembre 2011

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“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol SuperinaIN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA [email protected] esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Denis Host-Silvani Collaboratori: Libero Benussi, Viviana Car, Patrizia Chiepolo Mihočić ed Helena Labus BačićFoto: Graziella Tatalović

Anno VII / n. 54 del 28 dicembre 2011

GIRO GIRO TONDO QUANTO SUONA IL MONDO

San Silvestro e Capodanno alla Corte di ViennaEventi alla Hofburg

Il concerto di San Silvestro del-la Wiener Hofburg Orchester si svolge sempre il 31 dicem-

bre nella Redoutensaal dell’Hof-burg di Vienna (il Palazzo impe-riale di Vienna).Il programma è composto dalle melodie più famo-se dei valzer e delle operette di Jo-hann Strauss, Emmerich Kalman, Franz Lehár e arie e duetti da ope-re di Wolfgang Amadeus Mozart.

L’ orchestra, composta da 52 musicisti e sei cantanti solisti in-ternazionali da tutte le più impor-tanti orchestre di Vienna sotto la direzione musicale di Gert Hof-bauer vi offre un cambio d’anno indimenticabile al ritmo di melo-die da “Le Nozze di Figaro”, “Il fl auto magico” e di operette come

“Il pipistrello”e “La vedova alle-gra”.

IL CONCERTO DI CAPO-DANNO DELLA WIENER HOFBURG ORCHESTER Tut-ti gli anni il primo gennaio, la Wiener Hofburg Orchester cele-bra l’Anno Nuovo con i suoi ospiti nella sala delle feste e nella Redo-utensaal dell’Hofburg, decorate di fi ori per l’occasione.

Vengono eseguiti i valzer e i brani d’operetta più amati di Jo-hann Strauss, Emmerich Kalman, Franz Lehár e arie e duetti da ope-re di Wolfgang Amadeus Mozart.

VIENNA, CAPITALE MONDIALE DELLA MUSICA Vienna è conosciuta come capi-tale mondiale della musica. Spe-cialmente la musica della dinastia Strauss, e in particolare il valzer viennese, ha segnato ed incantato Vienna a partire dal XIX secolo.

Nel 1971 i migliori musicisti di tutte le più importanti orchestre di Vienna si sono riuniti fondando la Wiener Hofburg Orchester sot-to la direzione di Gert Hofbauer.

L’obiettivo che si sono posti è quello di conservare la musica del valzer e dell’operetta viennesi e farla conoscere a tutto il mondo. L’orchestra è diventata famosa grazie a produzioni radiofoniche e televisive nazionali e straniere, concerti sinfonici internazionali e registrazioni.

Tiene concerti nelle fastose sale dell’ Hofburg di Vienna così come al Konzerthaus o al Musi-

kverein. I concerti cominciano sempre alle ore 20.30.

LA REDOUTENSAAL Nel-le “Redoutensälen”, costruite come sale delle feste a partire dal 1705 sot-to il regno dell’imperatore Giuseppe I, si eseguivano pompose opere ba-rocche. L’imperatrice Maria Tere-sa fece modifi care questa parte del-la Hofburg nel 1748 da Jean Nico-las Jadot. In queste sale, dove veni-vano organizzati numerosi concerti e”Redouten” (balli in maschera), si tenne anche il banchetto di nozze di Giuseppe II con Isabella di Parma.

L’Ottava sinfonia di Ludwig van Beethoven e la Sinfonia n. 8, in si minore “L’incompiuta” di Franz Schubert furono eseguite per la pri-ma volta in queste splendide sale, i compositori Josef Strauss e Franz Liszt vi diressero concerti. Vi furo-no rappresentate anche una serie di piccole opere mozartiane.

Il lunedì di carnevale del 3 mar-zo 1783 si celebrò un ballo in ma-

schera pubblico nella Redoutensa-al di Vienna, durante la pausa Mo-zart eseguì la sua “Masquerade”, una pantomima con musica ideata da lui stesso.

In occasione delle nozze tra Francesco e Maria Teresa, celebra-te nel 1790 nella Redoutensaal di Vienna Antonio Salieri compose la musica da tavola.

Il 29 marzo 1828 il famoso vio-linista Niccolo Paganini diede un concerto nella Grande Redouten-saal. Le massime autorità, l’impe-ratrice, l’arciduca Carlo e l’arcidu-chessa Sofi a, onorararono questo famoso “eroe del violino”.

Il 28 marzo 1842 Otto Nico-lai diresse nella Grande Redou-tensaal della Hofburg di Vienna un “Gran Concerto”, che fu ese-guito dal “Personale dell’Orche-stra del Teatro della Corte im-periale e reale “. Questa “Acca-demia filarmonica”, così il tito-lo originale, si ritiene a ragione

l’ora della nascita dei Wiener Philharmoniker.

Dopo l’incendio del 1992 i locali sono stati restaurati, in parte seguen-do fedelmente l’originale, ed in par-te seguendo canoni contemporanei, dotandoli quindi di un’infrastruttura tecnica moderna adatta ai congressi. Sono stati riaperti nel 1998.

La grande Redoutensaal è sta-ta decorata dal pittore Josef Mikl, che con Wolfgang Hollegha e Markus Prachensky negli anni ’50 era stato un esponente dell’avan-guardia austriaca sviluppando la pittura del realismo astratto. Sulle pitture murali della grande Redou-tensaal Mikl ha dipinto scene ispi-rate ai suoi autori preferiti: Elias Canetti, Johann Nestroy e Ferdi-nand Raimund. Nella grande pit-tura di 404 mq del tetto Mikl ha immortalato, scrivendole a mano e non visibili ai visitatori, 34 stro-fe del poema “Giovinezza” di Karl Kraus.

La Grande Redoutensaal

La Wiener Hofburg Orchester La Wiener Hofburg Orchester

Panoramica della Hofburg

La storica Redoutensaal

Mercoledì, 28 dicembre 2011