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1 / 9 Data Pagina Foglio 18-01-2020 XIII/V IL FOGLIO Roger Scruton (1944-2020) e il relativismo culturale CONTRO LA POST VERITA' cli Roger Seruton L e onde sismiche del maggio 1968 hanno scosso la ter- ra sotto i bastioni della cultura di alto livello e hanno provocato la caduta di una roccaforte dopo l'altra. I pen- satori che si erano affermati nell'anno delle barricate parigine avevano un'aureola di rettitudine che nessun predicatore del buonsenso anglosassone avrebbe mai po- tuto guadagnarsi. All'improvviso, senza che nessuno ne discutesse, gli studi universitari nelle discipline umani- stiche erano dominio di Althusser, Foucault, Barthes e, poco dopo, Derrida, Kristeva e altri autori che scrivevano per la rivista Tel Quel. Questa conquista dall'oggi al domani era qualcosa di assolutamente inusuale nel mondo delle idee e suggeriva all'osservatore scettico che i nuovi pensatori avessero un seguito per ragioni ben diverse dal potere delle loro argo- mentazioni o la verità delle loro opinioni. Ricordo la fati- ca con la quale, nel corso di settimane di intensa applica- zione, avevamo studiato le Ricerche filosofiche di Wittgen- stein, e la gioia che ci pervadeva quando l'argomento del linguaggio privato ci diventava chiaro. Lo stesso ci acca- deva con la lettura del saggio di Leavis sulla realtà e la sincerità nella poesia, nel quale un'argomentazione al- trettanto sottile - e tanto più realistica, visto che era basa- ta su esempi concreti - improvvisamente si palesava ai nostri occhi, mentre le sue implicazioni illuminavano co- me brillanti raggi di sole gli angoli più reconditi della nostra mente. Quelle esperienze intellettuali non erano moralmente neutre. La visione di Leavis della letteratura e la conce- zione di Wittgenstein della mente e del linguaggio sono state per me l'inizio di un lungo percorso di introspezione e riflessione critica, durante il quale molte delle mie più care illusioni hanno dovuto essere abbandonate e molti valori riconsiderati. Questa era la misura della cultura umanistica: la revisione intellettuale del panorama mo- rale. Tuttavia, non erano esperienze di conversione simi- li a quelle che costituiscono la base delle religioni evan- geliche. Leavis e Wittgenstein non mi hanno lasciato una sensazione di rinascita morale o di missione spirituale; né, leggendoli, un senso di colpa per le mie trasgressioni o il desiderio di ripararle. L'effetto di quelle letture era paragonabile alla gioia che avevamo appena vissuto a scuola nello studiare Diffe- rential Equations di H.T.H. Piaggio: colmi di meraviglia, eravamo alla soglia della matematica pura, osservando la sua scintillante roccaforte che ci sovrastava, che ci inti- moriva, inaccessibile ma incontestabilmente reale. Dopo quell'esperienza era impossibile dubitare delle creden- ziali della matematica come fonte di conoscenza oggetti- va e modello di prova, esattamente come era impossibile mettere in dubbio che la filosofia nello spirito di Wittgen- stein e la critica in quello di Leavis fossero forme di argomentazione razionale, con risultati concreti correlati alla natura e al significato della vita in questo mondo. Quando, assolutamente fiduciosi in una vittoria, i so- stenitori dell'avanguardia francese hanno fatto irruzione sulla scena, brandivano contro i vecchi sistemi un'arma chiamata "strutturalismo", il cui fascino stava nel fatto che, sebbene puntata al petto del nemico, lo colpiva, co- me per miracolo, alle spalle. Quelle concezioni imparziali e politicamente neutre dalle quali dipendevamo non furono confutate - non era più necessario. "Decodificando" le vecchie influenze, lo strutturalista aveva la pretesa di dimostrare che non era- no affatto neutrali o imparziali, ma tanto politiche quanto le "teorie" che le sfidano e infinitamente più perniciose, perché occultano la loro ideologia sotto un carapace di argomentazione ragionata. Decodificando le argomenta- zioni di Wittgenstein e di Leavis si potevano scoprire i presupposti nascosti da cui dipendono e per i quali non potevano proporre una difesa: sono i presupposti di una cultura borghese che aveva perso qualunque pretesa po- tesse avanzare sul nostro coinvolgimento. L'agenda sovversiva rimase, le influenze cambiarono. Nello stile della teologia scolastica gli strutturalisti la- sciarono il posto ai "post -strutturalisti", che furono pre- sto scalzati dalla "decostruzione". Questa, a sua volta, sarebbe stata assorbita in una generale prospettiva "po- stmodernista" che si proponeva come "oltre la teoria", mentre, allo stesso tempo, pretendeva il diritto di smon- tare qualunque procedura che fosse in conflitto con la sua ottica prestabilita di conoscenza. "Postmodernismo" divenne il termine generale per indicare tutti quegli scritti accademici che riconoscessero la "condizione po- stmoderna" e la "fine dell'ideologia". La definizione di condizione postmoderna dipende da come si definisce la modernità. La questione della definizione divenne ur- gente solo alla fine degli anni Settanta del Novecento e per una ragione singolare, che deve essere tenuta presen- te quando si leggono gli esponenti francesi dell'idea, qua- li Jean Baudrillard e Jean-François Lyotard. La ragione è la seguente: la recente cultura letteraria Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. 005345 Quotidiano Raffaello Cortina Tiratura: 47.000 Diffusione: 25.000

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18-01-2020XIII/VIL FOGLIO

Roger Scruton (1944-2020)e il relativismo culturale

CONTRO LA POST VERITA'cli Roger Seruton

Le onde sismiche del maggio 1968 hanno scosso la ter-ra sotto i bastioni della cultura di alto livello e hanno

provocato la caduta di una roccaforte dopo l'altra. I pen-satori che si erano affermati nell'anno delle barricateparigine avevano un'aureola di rettitudine che nessunpredicatore del buonsenso anglosassone avrebbe mai po-tuto guadagnarsi. All'improvviso, senza che nessuno nediscutesse, gli studi universitari nelle discipline umani-stiche erano dominio di Althusser, Foucault, Barthes e,poco dopo, Derrida, Kristeva e altri autori che scrivevanoper la rivista Tel Quel.Questa conquista dall'oggi al domani era qualcosa di

assolutamente inusuale nel mondo delle idee e suggerivaall'osservatore scettico che i nuovi pensatori avessero unseguito per ragioni ben diverse dal potere delle loro argo-mentazioni o la verità delle loro opinioni. Ricordo la fati-ca con la quale, nel corso di settimane di intensa applica-zione, avevamo studiato le Ricerche filosofiche di Wittgen-stein, e la gioia che ci pervadeva quando l'argomento dellinguaggio privato ci diventava chiaro. Lo stesso ci acca-deva con la lettura del saggio di Leavis sulla realtà e lasincerità nella poesia, nel quale un'argomentazione al-trettanto sottile - e tanto più realistica, visto che era basa-ta su esempi concreti - improvvisamente si palesava ainostri occhi, mentre le sue implicazioni illuminavano co-me brillanti raggi di sole gli angoli più reconditi dellanostra mente.

Quelle esperienze intellettuali non erano moralmenteneutre. La visione di Leavis della letteratura e la conce-zione di Wittgenstein della mente e del linguaggio sonostate per me l'inizio di un lungo percorso di introspezionee riflessione critica, durante il quale molte delle mie piùcare illusioni hanno dovuto essere abbandonate e moltivalori riconsiderati. Questa era la misura della culturaumanistica: la revisione intellettuale del panorama mo-rale. Tuttavia, non erano esperienze di conversione simi-li a quelle che costituiscono la base delle religioni evan-geliche. Leavis e Wittgenstein non mi hanno lasciato unasensazione di rinascita morale o di missione spirituale;né, leggendoli, un senso di colpa per le mie trasgressionio il desiderio di ripararle.

L'effetto di quelle letture era paragonabile alla gioiache avevamo appena vissuto a scuola nello studiare Diffe-rential Equations di H.T.H. Piaggio: colmi di meraviglia,

eravamo alla soglia della matematica pura, osservando lasua scintillante roccaforte che ci sovrastava, che ci inti-moriva, inaccessibile ma incontestabilmente reale. Dopoquell'esperienza era impossibile dubitare delle creden-ziali della matematica come fonte di conoscenza oggetti-va e modello di prova, esattamente come era impossibilemettere in dubbio che la filosofia nello spirito di Wittgen-stein e la critica in quello di Leavis fossero forme diargomentazione razionale, con risultati concreti correlatialla natura e al significato della vita in questo mondo.Quando, assolutamente fiduciosi in una vittoria, i so-

stenitori dell'avanguardia francese hanno fatto irruzionesulla scena, brandivano contro i vecchi sistemi un'armachiamata "strutturalismo", il cui fascino stava nel fattoche, sebbene puntata al petto del nemico, lo colpiva, co-me per miracolo, alle spalle.Quelle concezioni imparziali e politicamente neutre

dalle quali dipendevamo non furono confutate - non erapiù necessario. "Decodificando" le vecchie influenze, lostrutturalista aveva la pretesa di dimostrare che non era-no affatto neutrali o imparziali, ma tanto politiche quantole "teorie" che le sfidano e infinitamente più perniciose,perché occultano la loro ideologia sotto un carapace diargomentazione ragionata. Decodificando le argomenta-zioni di Wittgenstein e di Leavis si potevano scoprire ipresupposti nascosti da cui dipendono e per i quali nonpotevano proporre una difesa: sono i presupposti di unacultura borghese che aveva perso qualunque pretesa po-tesse avanzare sul nostro coinvolgimento.L'agenda sovversiva rimase, le influenze cambiarono.

Nello stile della teologia scolastica gli strutturalisti la-sciarono il posto ai "post-strutturalisti", che furono pre-sto scalzati dalla "decostruzione". Questa, a sua volta,sarebbe stata assorbita in una generale prospettiva "po-stmodernista" che si proponeva come "oltre la teoria",mentre, allo stesso tempo, pretendeva il diritto di smon-tare qualunque procedura che fosse in conflitto con lasua ottica prestabilita di conoscenza. "Postmodernismo"divenne il termine generale per indicare tutti quegliscritti accademici che riconoscessero la "condizione po-stmoderna" e la "fine dell'ideologia". La definizione dicondizione postmoderna dipende da come si definisce lamodernità. La questione della definizione divenne ur-gente solo alla fine degli anni Settanta del Novecento eper una ragione singolare, che deve essere tenuta presen-te quando si leggono gli esponenti francesi dell'idea, qua-li Jean Baudrillard e Jean-François Lyotard.La ragione è la seguente: la recente cultura letteraria

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francese è stata ampiamente costruita in base a uno dei drà esattamente cosa ha significato questa moderna "le-progetti della modernità, cioè la rivolta contro le norme gittimità".borghesi, in nome della licenza estetica. In Sartre e Fou- Lo aveva già capito Burke, tanto quanto i suoi successo-cault, in Barthes e Lacan, in chi scriveva per la rivista Tel ri conservatori - da Coleridge a Maitland, da de Maistre aQuel (compresi Kristeva e Derrida), insociologi quali Bourdieu, perfino incompositori quali Boulez e Barraqué,si trova la stessa agenda culturale eintellettuale: il ripudio della rispetta-bilità borghese e della cultura cattoli-ca di Francia. Tutto ciò, insieme allanostalgie de la boue - un residuo del dia-bolismo romantico e di un lungo amo-reggiamento con il marxismo e il parti-to comunista - hanno generato quellacultura unica della Parigi degli anniSessanta alla quale dovevano apparte-nere figure come Baudrillard e Lyo-tard: quando quella visione del mondo,che avevano mantenuto fino ad allora,divenne manifestamente insostenibi-le, i due pensatori si accinsero al com-pito di introdurre al suo posto la condi-zione postmoderna.

Così, in La condizione postmoderna - un "rapporto sullaconoscenza", redatto, fatto abbastanza curioso, per il go-verno del Québec nel 1979 - Lyotard ci dice che i vecchiprogetti della modernità sono falliti, visto che sono venu-te meno quelle "metanarrazioni" grazie alle quali erano"legittimati".

In particolare, ciò che gli intellettuali francesi raccon-tavano a se stessi - che ci fosse una via per uscire dallarealtà borghese attraverso la parola scritta - era unamenzogna. Non esiste l'emancipazione dell'umanità dal-la normalità borghese; non esiste una vittoria sul consu-mismo, sui gadget o il "ragionamento strumentale"; nonesiste un'affrancazione dalle leggi,dalla proprietà e dalle istituzioni perentrare in un gruppo di gioco trascen-dente. Non esiste niente di tutto que-sto, o, se esiste, non è quello che stava-mo cercando, essendo uno stato di de-solazione e prigionia tanto quanto leroutine che dobbiamo abbandonareper raggiungerlo. Non si può più cre-dere alle grandi "metanarrazioni" del-l'emancipazione.Le narrazioni moderniste avevano

guardato a uno stato futuro, a differen-za di quelle che guardano al passato (imiti e le religioni) e che legittimano lesocietà tradizionali. E lo stato futuro -l'Idea che deve essere realizzata (li-bertà, illuminismo, socialismo, pro-sperità, progresso) - ha un "valore le-gittimante" perché è universale. Nelsenso inteso da Kant, le narrazioni della modernità sonocosmopolite: sono promesse fatte a tutta l'umanità.

C'è qualcosa di giusto in questo, ma anche nel suggeri-mento che le narrazioni non siano più credibili: dovrem-mo essere riconoscenti. Se si guarda ai due milioni dimorti della Rivoluzione francese, ai sessanta del regimedi Lenin e di Stalin, ai risultati paragonabili dell'eroe diSartre, Mao Tse-Tung, e del suo discepolo Pol Pot, si ve-

Simone Weil, da Hegel a Gierke - le cui narrazioni cheguardano al passato non erano semplicemente dei miti,come Lyotard ci vorrebbe far credere, ma ricostruzioni dileggi, tradizioni, usi e costumi: in altre parole, l'unicobalsamo conosciuto per le ferite del conflitto sociale. Inrealtà, Lyotard ha un attaccamento subdolo alle narrazio-ni della modernità e astutamente scarica la responsabili-tà dei crimini modernisti su vari orientamenti antimo-derni o völkisch - di estrema destra - come il giacobini-smo (poiché così lo vede) e il nazismo. Coglie al volo ogniopportunità che si presenti per esprimere il suo senti-mento anticapitalista e antiborghese, e l'immagine finaledella modernità è un quadro di un eroico progetto chedeve essere abbandonato, non per ri-assumere le respon-sabilità di cui ci eravamo liberati lasciando l'epoca pre-moderna, ma per sfuggirle insieme a tutti gli altri fardel-li. Il postmodernismo risulta semplicemente essere l'ulti-ma impresa della "cultura del rifiuto" che è balzata allaribalta della storia nel 1968.E' nei termini di questa cultura che dovremmo capire

l'esperienza di trasformazione delle nuove vicende dellavita e l'ortodossia sottostante a cui essa tende. L'ideadominante postmoderna è che la cultura occidentale siaun fardello dal quale oggi siamo stati liberati. La libera-zione è totale: tutti i vincoli sulla mente si sono sciolti,comprese le screditate regole di verità, oggettività e si-gnificato. Con il crollo della vecchia cultura ci troviamodi fronte un panorama desolato, senza valori, scopi o si-gnificato e il curriculum postmoderno è preposto a mo-strarlo. Di qui scaturisce la necessità di un nuovo lin-guaggio critico, in cui la sintassi è tutto e la semanticaniente di più di un ricordo.Un esempio in una frase di Gayatri Chakravorty Spi-

vak: La rammorazione del "presente" come spazio è lapossibilità dell'imperativo utopico del non-(specifico)-luogo, il progetto della madrepatria che può integrare losforzo post-coloniale volto all'impossibile cathexis dellastoria specificamente locale come il tempo perduto dellospettatore ["Psychoanalysis in left field and fieldworking:examples to fit the title", in Sonu Shamdasani, MichaelMünchow (a cura di), Speculations After Freud: Psychoana-lysis and Culture, Routledge, London-NewYork 1994, p.63]. Qualunque cosa intenda questa frase, non è questio-ne su cui ridere. Lo stile è improntato a una serietà ipo-critamente solenne e non priva di una certa aria di mi-naccia. La capacità di autori come Alan Sokal di ridere diquesti sproloqui uguaglia la totale incapacità dei loroautori di ridere di qualunque cosa (Alan Sokal, JeanBricmont, Imposture intellettuali, tr. it. Garzanti, Milano1999).La "teoria" letteraria è un mondo privo di facezie e mai

così privo di umorismo come nel momento in cui si pre-tende, come qualche volta fa Jacques Derrida, che siatutto uno scherzo. Ridere, quanto fare dell'ironia, è unaforma di accettazione. Nello svolgersi normale delle co-se, ridere significa perdonare, considerato che ciò chevediamo come assurdo non ci minaccia più. La teoriapostmodernista, invece, non è pronta a perdonare il suobersaglio per niente al mondo.La frase di Gayatri Chakravorty Spivak non è esatta-

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mente senza significato; ma questo balugina attraverso ilgrigiore della prosa come se quella oscurità fosse illumi-nata da un fuoco retrostante. Per capirlo bisogna cercaredegli indizi: per esempio, c'è un riferimento a un impera-tivo dell'utopia, a un progetto della madrepatria, che èparte di uno sforzo postcoloniale. Termini quali "impera-tivo", "progetto" e "sforzo" indicano tutti un richiamoall'azione. Parole inventate ("rammorazione"), dettaglifuori luogo ("cathexis", che echeggia l'errata traduzionedi Strachey di un termine freudiano), inspiegabili virgo-lette ("presente"), parentesi "non-(specifico)-luogo" e ri-ferimenti ad astrazioni quali spazio e tempo servono aneutralizzare il normale processo di significato. Di con-tro, altri indizi quali "utopia" e "post-coloniale" ci fannogiungere alla sostanza. (segue nello speciale 2)

La sostanza è l'opposizione: l'autri-ce si schiera, insieme ai suoi lettori,contro il mondo "coloniale", predili-gendo una nuova Utopia che ridise-gnerà il panorama sociale e culturaledella società attuale e scioglierà lamorsa della vecchia cultura.Alan Sokal e Jean Bricmont riten-

gono che tale linguaggio pomposo einintelligibile arrechi danno allecause - che sono in generale di sini-stra e progressiste - alle quali è asso-ciato e, per dare rilievo alla loro tesi,fanno riferimento alla loro stessa ap-partenenza a un'area di sinistra e al-la loro convinzione che chiarezza, og-gettività e scienza genuina siano levere armi da usare nella lotta per lagiustizia sociale. Questo parere ècondiviso da Barbara Epstein, laquale, da una parte, deplora l'asso-ciazione della formulazione di teoriepostmoderne con la sinistra e, dal-l'altra, plaude all'emergere di facol-tà di scienze umanistiche che sianoapertamente impegnate in cause disinistra e progressiste (Barbara Ep-stein, "Postmodernism and the left",in New Politics, inverno 1997). Consi-dera la teoria postmoderna come unosviluppo profondamente regressivo,che impedisce alla sinistra accade-mica di avere la meglio nella batta-glia delle idee. Io dissento da tuttociò e ritengo invece che quel linguag-gio pomposo e inintelligibile sia infi-nitamente più efficace nella diffusione delle opinioni disinistra e progressiste di quanto lo sia un'argomentazioneragionata, per la semplice ragione che tali opinioni, unavolta enunciate in modo preciso, si espongono al pericolodi essere confutate, cosa a cui non sempre sopravvivono.Lo scopo di quel gergo non è trovare nuove ragioni per

l'atteggiamento dell'opposizione culturale, ma è quello direnderlo inespugnabile immunizzandolo dal dibattito ra-zionale. Una cosa accomuna i numerosi "metodi" del cur-riculum postmodernista: non sostengono la loro posizionepolitica, la presumono e, al contempo, occultano quel pre-supposto sotto uno spesso e protettivo carapace di nonsenso.

Sotto questo aspetto, sono teorie più teologiche chescientifiche, poiché non sono formulate per stabilire dellecredenze, ma per proteggerle dalla critica razionale.La legge di Gresham, che ci dice che la moneta cattiva

scaccia quella buona, ha una spiegazione semplice: lagente, conoscendone il valore, tesaurizza la moneta buonae al suo posto mette in circolazione quella cattiva. Questalegge non dovrebbe valere per il mondo intellettuale. Leteorie buone dovrebbero scacciare le cattive, visto che leprime sopravvivono alla confutazione, e il buonsenso do-vrebbe scacciare il non senso, visto che questo non haalcunché da dire. Nelle discipline umanistiche, tuttavia,sembra che viga una sorta di legge di Gresham: le cattiveteorie scacciano le buone e il non senso scaccia il buon-senso. Sono state avanzate numerose spiegazioni per tuttoquesto, alcune più plausibili di altre (Vedi, per esempio,Robert A.D. Grant, "On deconstruction", in Imagining theReal, Macmillan, London 2004; Roger Scruton, Guida filoso-fica per persone intelligenti, tr. it. Raffaello Cortina, Milano2004, capp. 11-12).

Il punto importante è che la sopravvivenza di una teorialetteraria non dipende dal fatto che non è confutata, madalla sua capacità di rendere la confutazione indesidera-bile o impossibile o entrambe le cose. E' indesiderabilequando è così interconnessa a una qualche posizione po-litica approvata da esserne quasi indistinguibile; è im-possibile quando la teoria è circondata da un muro impe-netrabile di non senso. Così, le nuove teorie arrivano adominare il discorso accademico e il lettore è privatodella moneta con la quale può far valere il suo dissenso.Nel gergo della Teoria Queer - teoria su sesso e genere -,della Teoria del Discorso, della Decostruzione, ecc., nonc'è modo di formulare le credenze elementari sulla condi-zione umana che formano la base delle culture tradizio-nali: credenze sulle profonde differenze e sulle affinitàtra uomini e donne, la naturalità della famiglia, il bisognodi religiosità e il desiderio per il trascendente della no-stra specie.Questo mi conduce a considerare un'altra caratteristica

dei nuovi metodi della cultura umanistica: l'adozione,condivisa ma spesso celata, di un'ottica prospettica. Lafamosa dichiarazione di Nietzsche per cui non ci sonoverità, ma solo interpretazioni, è reiterata in migliaia dimodi diversi dalle nuove forme di ricerca e sebbene quan-to sostiene sia palesemente paradossale - visto che puòessere vero solo se non lo è - il paradosso è, ancora unavolta, nascosto all'interno del gergo postmoderno.Questa angolazione prospettica si manifesta in molte

forme ed è spesso presentata come se fosse di grandeoriginalità. Vediamo, per esempio, la teoria di Foucault,per cui le verità non sono semplici verità, ma piuttostoparte dell'episteme, quell'invisibile, ma efficace disposi-tivo di visione delle cose, del mondo, di "discorso" domi-nante, che chiude e cristallizza un'epoca su rappresenta-zioni fisse e indiscusse. A livello più profondo, il contrastotra dottrine è una competizione tra potenze che proprio diquelle dottrine hanno bisogno: in qualunque controversiaintellettuale, la cosa importante è di essere dalla partedei liberatori contro gli oppressori. E' diffusa fra femmi-niste americane, quali Judith Butler e Andrea Dworkin,l'opinione che "genere" e "sessualità" siano costrutti so-ciali, che possono essere plasmati in modi differenti perfini diversi e obiettivi politici diversi. Non c'è verità obiet-tiva su sesso o genere, solo progetti politici conflittuali,

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ciascuno dei quali cerca di "costruire" i sessi secondo ilsuo modo preferito.E, ancora, la nota affermazione di Luce Irigaray che E =

mc2 sia una "equazione sessuata" che "privilegia la velo-cità della luce nei confronti di altre velocità che sono dinecessità vitale per noi" e, pertanto, appartiene alla "fisi-ca maschile" che "privilegia" le entità solide contro quel-le fluide, riflette la stessa adozione di un'ottica prospetti-ca ("Sujet de la science, sujet se-xué?", in Sens et place des connaissan-ces dans la société: 3ème confrontation,CNRS, Paris 1987, p. 110). Non c'è ve-rità oggettiva nella questione: soloprospettive in contrasto - una ma-schile, una femminile - che rivaleg-giano per appropriarsi di spazio poli-tico. Il motivo per cui Richard Rortyè diventato una tale autorità nell'ac-cademia postmoderna sta sicura-mente nel fatto che è uno dei pochifilosofi degni di rispetto che prendasul serio il punto di vista prospettico.[Tuttavia, non è il solo. Altrettantoautorevoli sono Thomas Kuhn, Lastruttura delle rivoluzioni scientifiche,tr. it. Einaudi, Torino 1999; Paul K.Feyerabend, Contro il metodo: abbozzodi una teoria anarchica della conoscen-za, tr. it. Feltrinelli, Milano 2003. Letesi di entrambi sono state efficace-mente demolite da Alan Sokal, JeanBricmont, Imposture intellettuali, tr.it. Garzanti, Milano 1999]. I1 suo prag-matismo sembra sottintendere che,alla fine, la competizione fra opinio-ni rivali diventa una gara di potere;che non c'è verità che sia indipen-dente dagli interessi di coloro checercano di appropriarsene; che se lefemministe sono forti della convin-zione che le donne sono, sotto tutti gliaspetti, pari agli uomini, allora han-no diritto a quella convinzione quan-to a quella che 2 + 2 =4 o forse anche

alla più autoritaria 2 + 2 = 5.Questo prospettivismo affascina gli studenti infinita-

mente di più di qualunque linguaggio incomprensibile siausato per proporlo, poiché corrisponde al profondo diso-rientamento che vivono nel momento in cui entrano all'u-niversità: tutte le loro vecchie certezze sono messe in di-scussione; si vedono attaccati su tutti i fronti da assaltidecisi ai valori e alle convinzioni che i genitori hanno loroinculcato. Per i giovani è normale rinunciare a una con-vinzione quando sembra essere lesiva.Una posizione di relativismo totale si autopromuove,

visto che lascia fluttuare liberamente e senza fondamentoogni credenza e ogni valore: in queste circostanze ci pos-siamo trovare tutti d'accordo, visto che siamo d'accordosul nulla. Le concezioni rivali del mondo sono semplice-mente aromi contrastanti in una stessa dieta di dubbi.Secondo il postmodernista, il vecchio curriculum era

preposto a generare adesione ai presupposti sottostantidella cultura occidentale, presupposti che non metteva inquestione poiché sono le premesse non dichiarate della

sua visione del mondo. Le pretese di imparzialità, oggetti-vità e standard educativi fanno parte della mascheraquanto il curriculum stesso. Potrebbe essere che conser-vatori, liberali e socialisti possano assorbire questa cono-scenza "imparziale", ma lo fanno chiudendo la mente allevere alternative. Le loro distinte posizioni politiche sonosemplicemente delle enclave comunicanti all'interno diun territorio comune e il risultato della loro cultura èquello di impedire di pensare al di fuori di quel territorioo di interrogarsi sullo schema di valori che prevale al suointerno.

Questo significa che il vecchio curriculum è, a suo mo-do, tanto politico quanto il nuovo e tanto più perniciosoperché si basa sulla pretesa di non esserlo.Se una cultura fosse una semplice collana di credenze

da accettare, testi da studiare, opere d'arte da apprezzare,ecc., sarebbe difficile spiegare l'animosità del nuovo cur-riculum nei confronti del vecchio. Tuttavia, nel momentoin cui la vediamo per quella che è, questa animosità di-venta comprensibile.

La cultura è una forma di apparte-nenza e la cultura di alto livello, cherappresenta la sua parte autoco-sciente, perpetua il ricordo di quel-l'appartenenza e la eleva a qualcosadi naturale, immutabile e sereno.Quando la fede religiosa è in decli-no, per gli intellettuali è difficilecontinuare a credere di apparteneredavvero alla stessa comunità dellagente "ordinaria". Le loro pretese di"sacerdozio" sono state demolite e illoro isolamento nelle accademie lisitua a una distanza insormontabileda coloro la cui idea di avventura siriduce all'uscire in giardino e taglia-re il prato. Messo di fronte a unaclasse di adolescenti, e consapevoledell'impossibilità di entrare a farparte della cultura da cui essi pro-vengono, l'insegnante tenta una nuo-va forma di appartenenza, basata sulsistematico rigetto della vecchia.L'insorgere di una cultura del rifiu-to è pertanto il risultato naturale delcollasso di una vecchia religione.Circondato da usi e costumi, artefat-ti e rituali, che sono stati spogliatidella loro antica autorità, il "sacer-dote" mancato è spinto ad atteggia-menti sacrileghi e iconoclastici.

Il rimedio a questo stato d'animo èl'Illuminismo, che dona all'intellet-tuale un nuovo ruolo redentore. In-vece di sottomettersi alle esigenzedella religione, gli intellettuali illu-minati si dedicano alla verità in ge-

nerale, e alla verità sul mondo umano in particolare.Illuminismo significa distinguere le consuetudini chesoffocano il nostro potenziale da quelle che lo esprimo-

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no, esplorando le vie attraverso cui la nostra culturapromuove o frustra la nostra felicità e le vie che aiutanood ostacolano la riproduzione di una società accettabi-le.

Così definito, l'Illuminismo è stato per secoli intrinse-co alla cultura occidentale che è cresciuta ed è cambiataalla luce della sua stessa autoanalisi. La caratteristicapiù sorprendente del curriculum postmodernista è costi-tuita dal suo esplicito rifiuto dell'Illuminismo, dalla suapropensione a trattare la ragione come un problemaspicciolo della cultura occidentale e a mettere "verità","oggettività" e "giudizio imparziale" fra virgolette. Il"pragmatismo" di Richard Rorty è stato autorevole inquanto concepito come la razionalizzazione ultima diquelle virgolette: l'accettazione finale dell'irrazionale daparte della ragione - come unico antidoto disponibile alsuo isolamento congenito.

In parole povere, il pragmatismo è l'opinione secondola quale "vero" significa utile. La credenza più utile èquella che mi fornisce le occasioni migliori al mondo: setradotta in pratica, offre la migliore possibilità di succes-so. Va da sé che questa non è una sufficiente caratteriz-zazione della differenza tra vero e falso: chiunque cerchiuna carriera in una università americana troverà che letesi del femminismo sono utili, tanto quanto lo eranoquelle razziste al portaborse delle università della Ger-mania nazista. Ma questo non dimostra ancora che quel-le credenze siano vere. Allora, che cosa intendiamo real-mente con "utile"? Una proposta potrebbe essere questa:una credenza è utile quando fa parte di una teoria disuccesso. La teoria vincente, però, è quella che fa predi-zioni vere e da qui vediamo di esserci mossi in circolo,definendo la verità con l'utilità e l'utilità con la verità.Anzi, è difficile trovare un pragmatismo plausibile chenon si riduca a questo, e cioè che una proposizione veraè quella che risulta utile allo stesso modo di quelle vere.Il tutto è impeccabile, ma vuoto.

Rorty non ama il vecchio e rispettabile pragmatismo diPeirce, Dewey e Quine, i quali tentavano di riconciliarela teoria con la pratica e la verità con il successo. Per lui"pragmatismo" è un altro modo di definire il progettopostmodernista, che consiste nella ricerca di una comu-nità oltre l'Illuminismo, una comunità che ha rinunciatoinsieme a verità e oggettività, e così si esprime:

[I pragmatisti] concepiscono la verità come ciò che ci èutile credere. [...]. Essi concepiscono lo scarto tra verità egiustificazione non come qualcosa che deve essere col-mato isolando un tipo naturale e transculturale di razio-nalità che può essere usato per criticare certe culture elodarne altre, ma semplicemente come lo scarto tra ciòche è attualmente utile e quanto si potrà rivelare mag-giormente utile in futuro. [...]. Per i pragmatisti il deside-rio di oggettività non è il desiderio di sfuggire alle limita-zioni della propria comunità, ma semplicemente il desi-derio di pervenire al più alto grado possibile di accordo,di estendere quanto più possibile il riferimento al prono-me "noi" [Richard Rorty, Scritti filosofici, tr. it. Laterza,Roma-Bari 1994, vol. 1, p. 31].

In altre parole, il pragmatismo ci consente di allonta-nare l'idea di una "razionalità [...] transculturale". Nonc'è alcuna utilità nelle vecchie idee di oggettività e veritàuniversale, l'unica cosa che conta è che noi si sia d'accor-

do. Ma chi siamo noi? E su cosa ci troviamo d'accordo? Siguardi ai saggi di Rorty e si scoprirà che "noi" siamo tuttiper il femminismo, liberali, sostenitori del movimento diliberazione dei gay e del curriculum aperto; "noi" noncrediamo in Dio o in qualunque religione tramandata, ele vecchie idee di autorità, ordine e autodisciplina pernoi non contano. "Noi" decidiamo il significato dei testi,creando con le nostre parole il consenso che ci aggrada.Non abbiamo alcun vincolo, a parte la comunità allaquale abbiamo scelto di appartenere, e poiché non c'èverità oggettiva, ma solo un consenso autogenerato, lanostra posizione è inattaccabile da qualsiasi punto divista al di fuori di essa. Non solo il pragmatista puòdecidere cosa pensare, ma si può anche proteggere dachiunque non la pensi allo stesso modo.Senza dubbio, un vero pragmatista inventerà la storia

come inventa qualunque altra cosa, persuadendo "noi"a essere concordi con lui. Tuttavia, vale la pena di dareun'occhiata alla storia, non fosse altro che per vederequanto sia paradossale l'opinione che Rorty ha dell'in-telletto umano. La Ummah islamica - la società di tutti icredenti - era e rimane il più vasto consenso di opinioneche si sia mai visto al mondo. Riconosce volutamente ilconsenso (ijma') come un criterio - a dire il vero, unsostituto - di verità ed è impegnata nell'incessante sfor-zo di assorbire quante più persone è possibile nella suaglobale prima persona plurale, mentre punisce l'aposta-sia come un delitto. Per di più, qualunque cosa Rortyvoglia significare con credenze "buone" o "migliori", ilpio musulmano deve essere così certo di possedere alcu-ne delle migliori credenze che portano a sicurezza, sta-bilità, felicità, alle migliori occasioni della vita e a unacoscienza tranquilla, da far saltare in aria gli "infedeli"che la pensano diversamente. Eppure, non c'è forse an-cora, da qualche parte, una sensazione ossessiva chequelle convinzioni gratificanti possano non essere veree che le opinioni, per quanto indebolite, dell'ateo post-moderno possano avere un piccolo margine di vantag-gio? Stando al pragmatismo nella versione di Rorty, nonè ciò che un pragmatista potrebbe dire, sebbene siaqualcosa che Rorty (che non si è ancora convertito all'I-slam) crede.

L'Illuminismo comportava ai propri occhi la celebra-zione di valori universali e una natura umana comune; ilsuo potere si estendeva ad altri luoghi, tempi, culture, inun tentativo eroico di proporre una concezione dell'uo-mo come libero e autogenerato. Quella visione ispiravaed era ispirata dal vecchio curriculum, e metterla inquestione è stata la prima preoccupazione dell'universi-tà postmoderna, cosa che spiega la popolarità di un altropensatore relativista - Edward Said - il cui libro, Orienta-lismo, mostrava in che modo liquidare l'Illuminismo co-me forma di imperialismo culturale [Edward Said, Orien-talismo, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1991 ].

Nell'arte e nella letteratura occidentali, sostiene Said,l'oriente appare esotico, irreale, teatrale, e pertanto fa-tuo. Ben lungi dall'essere un generoso riconoscimento dialtre culture, l'arte orientalista dell'Europa dei Lumi èun tentativo di sminuirle e di ridurle a episodi decorativientro il grande dominio del progresso occidentale.L'argomentazione di Said procede mano nella mano

con l'appoggio a un curriculum "multiculturale" e sostie-ne che il vecchio curriculum - prodotto dell'Illuminismo-è monoculturale, dedito alla perpetuazione dell'ottica

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della civiltà occidentale intesa come intrinsecamente su-periore alle sue rivali. E' anche patriarcale, una creazio-ne di Maschi Bianchi Europei Morti, che hanno ormaiperso la loro autorità, e la sua asserzione di una prospet-tiva universale razionale - una posizione vantaggiosadalla quale tutta l'umanità può essere studiata - non èniente di meglio che una razionalizzazione delle sue am-bizioni imperialistiche. Di contro, noi che viviamo nel-l'ambiente amorfo e multiculturale della città postmo-derna dobbiamo aprire i nostri cuori e le nostre menti atutte le culture, senza abbracciarne alcuna. L'inevitabilerisultato di tutto questo è il relativismo: il riconoscimen-to che nessuna cultura può avere la pretesa di attirare lanostra attenzione in modo speciale e che nessuna puòessere giudicata o bandita dall'esterno.Ancora una volta c'è un paradosso: chi sostiene questo

approccio multiculturale, di norma, respinge la culturaoccidentale con veemenza, e Said non fa eccezione. Dauna parte, ci esorta a giudicare le altre culture nei lorotermini; dall'altra, ci chiede di giudicare la cultura occi-dentale da un punto di vista esterno, contrapponendola adelle alternative e giudicandola negativamente, conside-randola etnocentrica e perfino razzista. Per di più, lecritiche rivolte alla cultura occidentale si rivelano inrealtà come prove a suo favore. E' grazie all'Illuminismoe alla sua concezione universale dei valori umani chel'uguaglianza razziale e la parità dei sessi esercitano unforte richiamo per il nostro buonsenso, ed è proprio que-sta visione universalistica dell'uomo che ci induce achiedere così tanto all'arte e alla cultura dell'Occidente- molto di più di quello che potremmo esigere da quelledi Giava, Borneo o Cina. Ma è pro-prio il tentativo dell'arte occidenta-le di accogliere altre culture a costi-tuire l'oggetto del biasimo di Said - esi tratta di un tentativo senza parinell'arte tradizionale di Arabia, In-dia o Africa. Ed è solo una visionemiope della nostra tradizione arti-stica quella che non ci fa scoprire inessa un approccio multiculturaleche è infinitamente più immaginati-vo di qualunque cosa sia oggi inse-gnata a suo nome. La nostra culturasi appella a una comunità storica disentimento, celebrando al contempovalori umani universali. È radicatanell'esperienza cristiana, ma daquella fonte trae una profusione disentimenti umani che diffonde sen-za parzialità nei mondi dell'immagi-nazione.

Dall'Or/ando furioso al Don Giovan-ni di Byron, da L'incoronazione diP oppea di Monteverdi a Il canto diHiawatha di Longfellow, dal Raccon-to d'inverno a Madama Butterfly, lanostra cultura si è continuamenteavventurata in un territorio spiritua-le che va ben oltre la mappa cristia-na. L'Illuminismo, nel proporci unideale di verità oggettiva, ha anchedissipato la nebbia della dottrina re-

ligiosa. Scissa dall'osservanza reli-giosa, la coscienza morale ha comin-ciato a vedersi dall'esterno, mentrela credenza di una natura umanauniversale - così efficacemente dife-sa da Shaftesbury, Hutcheson e Hume - ha tenuto a badalo scetticismo. L'illazione che, tracciando il percorso del-la simpatia umana, Shaftesbury e Hume stessero sempli-cemente descrivendo un aspetto della cultura "occiden-tale" sarebbe stata considerata assurda dai loro contem-poranei. Le "scienze morali", incluso lo studio dell'arte edella letteratura, erano viste - nelle parole di T.S. Eliot -come una "ricerca comune di giudizio vero". Questa ri-cerca comune era anche l'obiettivo dei grandi pensatoridell'epoca vittoriana, i quali, perfino nei loro primi passiin sociologia e in antropologia, credevano nella validitàoggettiva dei loro risultati ed erano convinti che unaverità universale ne sarebbe scaturita. E così è stato,come non potranno non riconoscere tutti coloro che ab-biano letto Il ramo d'oro di Frazer.

Tutto è radicalmente cambiato: al posto dell'oggettivi-tà abbiamo solo "intersoggettività" o, in altre parole,consenso. Verità, significati, fatti e valori sono oggi con-siderati negoziabili. La cosa curiosa è che questo sogget-tivismo confuso si accompagna a una censura severa: chimette il consenso al posto della verità si ritrova imme-diatamente a distinguere il consenso vero da quello fal-so. In questo modo, il consenso presupposto da Rortyesclude rigorosamente tutti i conservatori, i tradizionali-sti e i reazionari. Solo i liberali vi possono appartenere,esattamente come solo le femministe, i radicali, gli atti-visti gay o gli antiautoritari possono trarre vantaggio dal-la decostruzione; esattamente come solo gli oppositoridel "potere" possono impiegare le tecniche di sabotag-gio morale di Foucault; ed esattamente come solo i "mul-ticulturalisti" possono avvalersi della critica ai valoridell'Illuminismo formulata da Said. Mentre sostiene chetutte le culture sono uguali e quindi considera assurdoun giudizio fra di esse, il nuovo relativismo fa occulta-mente appello alla credenza opposta. E' impegnato apersuaderci che la cultura occidentale e il curriculumtradizionale sono razzisti, etnocentrici, patriarcali e per-tanto esclusi dall'accettabilità politica. Per quanto que-ste accuse siano false, presuppongono proprio quellavisione universalista che decretano essere impossibile.La consapevolezza subliminale di questo paradosso

spiega la popolarità di pensatori quali Foucault, Derridae Rorty. Le loro argomentazioni appartengono a una nuo-va specie di teologia: quella del relativismo. Come inqualunque teologia, non è la qualità dell'argomentazio-ne che rende accettabile la discussione, bensì la naturadella conclusione. Le credenze relativistiche esistonoperché danno sostegno alla comunità - la nuova Ummahdi coloro che sono disgustati dall'Occidente. Ne scaturi-sce che i tre pensatori di cui ho parlato condividono unaduplicità di proposito: da una parte, cercano di minaretutte le pretese di verità assoluta; dall'altra, di mantene-re le ortodossie da cui la loro congregazione dipende.Proprio il ragionamento che si prefigge di distruggere leidee di verità oggettiva e di valore assoluto impone lacorrettezza politica come imprescindibilmente vincolan-te e il relativismo culturale come oggettivamente vero.

© 2006 Roger Scruton

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"Dall'Orlando furioso (neldipinto a fianco) al DonGiovanni di Byron,dalll'Incoronazione di Poppea diMonteverdi al Canto diHiawatha di Longfellow, dalRacconto d'inverno a MadamaButteifly, la nostra cultura si ècontinuamente avventurata inun territorio spirituale che va

I ben oltre la mappa cristiana"

"Una nuova specie di teologia: quella delrelativismo: non è la qualità dell'argomentazione

che rende accettabile la discussione, bensì la naturadella conclusione. Le credenze relativistiche

esistono perché danno sostegno alla comunità"

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"Le onde sismiche del maggio1968 hanno scosso la terra sottoi bastioni della cultura di altolivello e hanno provocato lacaduta di una roccaforte dopol'altra" (nella foto, unamanifestazione a ParigiArchivio LaPresse)

"Una posizione di relativismo totale siautopromuove, visto che lascia fluttuare liberamentee senza fondamento ogni credenza e ogni valore:in queste circostanze ci possiamo trovare tuttid'accordo, visto che siamo d'accordo sul nulla"

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DocumentiIn questa pagina e nelle successi-

ve pubblichiamo alcuni passi di "APolitical Philosophy: Arguments forConservatism'; un classico ormaidel pensiero di Roger Scruton, il filo-sofo britannico morto domenicascorsa all'età di 75 anni. Il libro, edi-to da Bloomsbury, è del 2006: l'annosuccessivo è uscito in Italia, per i tipidi Cortina, con il titolo "Manifestodei conservatori". E così si offre allettore: come un'analisi mai sconta-ta dei vizi e delle mode intellettualidell'occidente nei nostri tempi e unmanifesto contro il relativismo cul-turale che spesso ne è alla base.

"L'idea dominante postmoderna è che la culturaoccidentale sia un fardello dal quale oggi siamostati liberati... Con il crollo della vecchia cultura

ci troviamo di fronte un panorama desolato"Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

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