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17 Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea di Federico Creazzo* 1. Introduzione Scopo di questa analisi è quello di indagare e confrontare le più importanti accezioni nelle quali il termine relativismo si è pre- sentato nei diversi ambiti di ricerca, nonché quello di evidenzia- re i nessi, le contraddizioni e le analogie che hanno storicamen- te accompagnato l’uso di questo concetto. Il termine relativi- smo definisce ogni concezione che nega sia l’esistenza di un mondo di cose o di verità fuori da ogni relazione con i soggetti d’esperienza sia l’assolutezza del pensiero. Il soggetto, al quale sono relativi i giudizi, può essere inteso o come questo o quel- l’individuo oppure come il soggetto universale. Esso non con- nota quindi una vera e propria dottrina né un nucleo di pensiero quanto un eterogeneo insieme di concezioni e atteggiamenti che variano, anche di molto, a seconda del quadro storico e con- cettuale di riferimento. Nella storia della filosofia e più in gene- rale del pensiero occidentale, si è parlato in senso lato di relati- vismo a proposito di autori i cui esiti concettuali sono stati a volte molto diversi, se non addirittura opposti. In senso ampio, le concezioni relativiste negano l’esistenza dei principi assoluti, * Docente di storia e filosofia.

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Il relativismo nella storia della filosofia

e nell’epistemologia contemporanea

di Federico Creazzo*

1. Introduzione

Scopo di questa analisi è quello di indagare e confrontare le più

importanti accezioni nelle quali il termine relativismo si è pre-

sentato nei diversi ambiti di ricerca, nonché quello di evidenzia-

re i nessi, le contraddizioni e le analogie che hanno storicamen-

te accompagnato l’uso di questo concetto. Il termine relativi-

smo definisce ogni concezione che nega sia l’esistenza di un

mondo di cose o di verità fuori da ogni relazione con i soggetti

d’esperienza sia l’assolutezza del pensiero. Il soggetto, al quale

sono relativi i giudizi, può essere inteso o come questo o quel-

l’individuo oppure come il soggetto universale. Esso non con-

nota quindi una vera e propria dottrina né un nucleo di pensiero

quanto un eterogeneo insieme di concezioni e atteggiamenti

che variano, anche di molto, a seconda del quadro storico e con-

cettuale di riferimento. Nella storia della filosofia e più in gene-

rale del pensiero occidentale, si è parlato in senso lato di relati-

vismo a proposito di autori i cui esiti concettuali sono stati a

volte molto diversi, se non addirittura opposti. In senso ampio,

le concezioni relativiste negano l’esistenza dei principi assoluti,

*

Docente di storia e filosofia.

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di un soggetto universale e di soggetti sempre identici a se stessi

o di un ente che funga da fondamento dell’essere e del conosce-

re. Da questa affermazione possono derivare sia posizioni di scet-

ticismo radicale, fino al limite del nichilismo gorgiano, che conce-

zioni che si avvalgono dell’inferenza tra più sistemi di riferimento

per determinare l’oggetto della conoscenza. Nell’ambito della cri-

tica operata dagli empiristi inglesi, in particolare da Locke (1632-

1704) e Hume, dei presupposti del razionalismo di derivazione

cartesiana,1 un certo margine di relativismo conoscitivo o di scet-

ticismo è da intendersi come correttivo delle pretese di una ragio-

ne che si pone legislatrice della natura e che invece si rivela come

astrazione con fini prevalentemente euristici, all’interno di una

gnoseologia fortemente connotata in senso empiristico.

In senso puramente logico “relativismo” indica il fatto che un

insieme di proposizioni ha senso solo se riferito ad un altro insie-

me, che lo determina. A riprova dell’estrema variabilità semantica

del concetto, diciamo subito che alcune concezioni relativistiche

approdano invece alla negazione di qualsiasi forma di determini-

smo e affermano una sostanziale incapacità o impossibilità di

definire un sistema di riferimento dei significati. Tra le varie for-

me che il relativismo ha storicamente assunto è possibile distin-

guerne almeno tre principali, e cioè il relativismo gnoseologico, che ha

avuto rilievo soprattutto nell’ambito della teoria della conoscenza

e dell’epistemologia, il relativismo culturale,2 in qualche modo colle-

gato al primo, che ha avuto importanti conseguenze nell’ambito

1

Cfr. LOCKE J., Saggio sull’intelletto umano, Utet, Torino 1971, pp. 622-657.

2

Per una introduzione al tema in ambito antropologico-culturale si vedano:

MALIGHETTI R., s.v. Relativismo culturale, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di),

in Dizionario di Antropologia. Etnologia, antropologia culturale, antropologia sociale,

Zanichelli, Bologna 1997, pp. 620-621 e DEI F.-SIMONICCA A., Ragione e forme

di vita. Razionalità e relativismo in antropologia, Franco Angeli, Milano 2008, passim.

Per un primo approccio al concetto di cultura vd. ROSSI P. (a cura di), Il

concetto di cultura, Einaudi, Torino 1970, passim.

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delle cosiddette scienze della cultura nella storia, nell’antropo-

logia culturale e nella sociologia3 (quelle che Weber chiamava

scienze storico-sociali), e il relativismo etico che ha avuto e conti-

nua ad avere importanti effetti sul dibattito filosofico politico.

Questa distinzione è necessariamente approssimativa e in qual-

che misura arbitraria e deve essere assunta problematicamente.

Essa serve a circoscrivere dei campi d’indagine che altrimenti

risulterebbero spuri e ambigui più di quanto la natura stessa del

termine non consenta. In questo lavoro ci si occuperà prevalen-

temente di relativismo gnoseologico e solo incidentalmente si

faranno dei riferimenti ai riflessi e alle implicazioni di questo

sulle altre forme di relativismo, con particolare riferimento al-

l’ambito della teoria della scienza e della metodologia storica. In

particolare verranno presi in esame alcuni rilevanti aspetti dello

storicismo tedesco (Dilthey, Windelband, Rickert). Sulla base di

tale punto di vista si affermerà che l’evento storico può essere

spiegato solo in quanto si compie all’interno di un insieme sto-

rico di sistemi e di valori nel cui ambito per un certo tempo si

muove la comunità umana e che il giudizio del ricercatore è

condizionato dall’orizzonte culturale e dalla particolare connes-

sione spirituale a cui lo storico stesso appartiene. Le spiegazioni

storiche sono formulate a partire da quelle diverse connessioni

di relazioni che costituiscono le nostre intuizioni del mondo.

Gli eventi del mondo non hanno una consistenza extrastorica

che renda ipostatico il valore delle formule con le quali sono espres-

si e questo fatto rende relative anche le leggi di natura. Infatti la

scienza, benché si occupi di quei frammenti di esperienza che

persistono facendoli diventare entità assolute fuori da ogni rela-

zione con il soggetto e vada alla ricerca delle loro successioni e

coesistenze immutabili, ha conosciuto il mutamento dei propri

termini, dei propri schemi, dei nessi logici e delle proprie teorie.

3

WEBER M., Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1981 (1922), passim.

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2. Il relativismo nella storia del pensiero filosofico

e scientifico

Da un’analisi storica e comparativa dei modi e delle accezioni in

cui il termine relativismo è stato utilizzato in riferimento alle di-

verse dottrine filosofiche e scientifiche, emerge, come si è già det-

to nell’introduzione, una notevole variabilità semantica e concet-

tuale. Essa in parte dipende dal fatto che questo termine non ha

quasi mai qualificato in modo sostanziale una particolare dottri-

na, ma è servito piuttosto a caratterizzare gli aspetti di quelle dot-

trine che, in diverso modo, mettevano in discussione i principi di

una gnoseologia fondata in modo assoluto e universale su un ente-

sostanza materiale o ideale o comunque sulla presupposizione

della stabilità del soggetto conoscente. A volte tale termine è sta-

to usato con intenzioni dispregiative nei confronti di quelle posi-

zioni che ad una cultura prevalente sono apparse insostenibili sotto

il profilo etico o politico, oltre che gnoseologico.

A prescindere da questi casi, si può facilmente notare che

esistono almeno cinque diverse accezioni generali del relativi-

smo, che si sono intrecciate e con-fuse lungo l’arco della storia

del pensiero filosofico e scientifico occidentale e una serie di

altre connotazioni secondarie, che dipendono dai particolari

quadri concettuali di riferimento.

1. In generale, le concezioni relativiste negano l’esistenza dei

principi assoluti, di un soggetto universale e di soggetti sempre

identici a se stessi o di un ente che funga da fondamento dell’es-

sere e del conoscere. Talvolta si può quindi intendere per relati-

vismo l’assenza di fondamento unico e assoluto del conoscere.

2. Un secondo modo di intendere il relativismo è logicamen-

te connesso con il primo. Negare un fondamento unico e assoluto

non comporta la necessità logica di negare che la conoscenza

possa fondarsi su una pluralità di principi, posti in relazione reci-

proca. Quindi il relativismo può essere inteso come determina-

zione relazionale della verità.

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3. Il termine relativismo è stato talvolta utilizzato per indica-

re l’impossibilità o l’incapacità di determinare in modo oggettivo e inter-

personale una qualsiasi verità, dato che ogni sua rappresentazione è

modificata da una molteplicità inconoscibile di fattori soggetti-

vi ed oggettivi. Quindi il relativismo viene talvolta inteso come scettici-

smo radicale, per significare l’assoluta impotenza del pensiero.

4. In particolari contesti il termine relativismo può indicare la

natura congetturale e provvisoria di ogni conoscenza, svolgendo-

si questa per approssimazioni successive, e quindi come relazione del-

la parte con l’intero. Relativa è la parte finita di un processo infinito

o indefinito che è la totalità potenziale della conoscenza.

5. Un’ulteriore accezione di relativismo, che in parte con-

tiene elementi delle precedenti, può riguardare una teoria del-

la conoscenza incentrata sull’attività di significazione o interpre-

tazione del mondo da parte dei vari soggetti, i quali però vengono a

loro volta interpretati, ovvero modificati dalle prospettive pre-

senti nella cultura di cui sono parte. Anche questa è una forma

di relazionalismo simile a quella indicata nel punto 2, ma in que-

sto caso la relazione conoscitiva non avviene tra elementi ma

tra prospettive o orizzonti di significati che si modificano reciproca-

mente e che si fondono insieme nel circolo ermeneutico che

si stabilisce tra il soggetto e l’oggetto. In questo caso il relati-

vismo indica: A) la pluralità degli orizzonti di significato, nessuno

dei quali è più vero di ogni altro;4 B) che la prospettiva è relativa al

soggetto non meno di quanto il soggetto sia relativo alla prospettiva (oriz-

zonte); C) che la fusione degli orizzonti e delle prospettive

conduce ad un aumento indefinito della conoscenza del mondo, ma in

un modo tale per cui non è possibile indicare una meta o una

strada da percorrere; D) che questo circolo ermeneutico co-

stituisce l’unico modo per stabilire di volta in volta ciò che si considera

4

GADAMER H.G., Verità e metodo. Lineamenti di un’ermeneutica filosofica, Bompiani,

Milano 1983, passim.

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Verità; E) che questo relativismo prospettico non ha nulla a

che vedere con il soggettivismo solipsistico o con lo scettici-

smo radicale e agnostico.

Se si esce dall’ambito della gnoseologia generale e si entra

nel campo della metodologia storica, il termine relativismo confer-

ma un notevole margine di indeterminazione. Sono stati consi-

derati relativisti autori molto diversi tra loro come Dilthey, Win-

delband, Rickert, Simmel e Weber, sulla base di analogie pura-

mente esteriori che nascondono concezioni filosofiche, scienti-

fiche e metodologiche talvolta molto distanti.

La collocazione di Dilthey (1833-1911) nell’ambito del rela-

tivismo è assai problematica. Si è creduto di poter considerare

Dilthey relativista in conseguenza della sua contrapposizione

con lo storicismo assoluto di Hegel (1770-1831). Ma, a ben ve-

dere, il suo principio epistemologico dell’Erleben, che è conno-

tato in senso ontologico, costituisce una sorta di criterio meta-

storico che permette di superare la relatività delle diverse rap-

presentazioni del mondo storico. Si tratterebbe allora di un rela-

tivismo “imperfetto”, perché risente ancora di una forte influenza

romantica. Weber (1864-1920) considerava il principio dell’Er-

leben troppo vago e suggestivo per costituire la base dell’episte-

mologia storica. A suo avviso la precomprensione della storia

che si basa sull’Erleben non consente una verosimile imputazio-

ne causale dei fenomeni storici individuali e al tempo stesso

ipostatizza un principio metastorico che si pone al di là del-

l’orizzonte mobile della significazione, la quale è sempre stori-

camente determinata.

Un equivoco derivante dall’uso corrente del termine relativi-

smo consiste poi nella sua sovrapposizione e confusione con il

concetto di soggettivismo. Si tratta di un errore diffuso talvolta

anche tra alcuni addetti ai lavori i quali trascurano di considera-

re la plurivocità e l’ambiguità delle nozioni di soggetto e soggettivi-

smo nella storia del pensiero filosofico e scientifico. In questa

sede è sufficiente precisare ad esempio che il soggettivismo kan-

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tiano non ha relazione con nessuna delle accezioni di relativi-

smo sopra specificate. Se poi ci riferiamo al cogito cartesiano,

anch’esso legato ad una forma di soggettivismo gnoseologico,

risulta chiaro che i due termini devono essere tenuti distinti, a

meno che non si delimiti chiaramente il loro significato.

È abbastanza curioso notare il fatto che dizionari e trattazio-

ni specialistiche sull’argomento relativismo spesso trascurino una

considerazione essenziale (e anche banale), e cioè che di volta in

volta la sua definizione dipende dal significato del concetto di verità e

dal valore di posizione che esso ha all’interno di una filosofia. Dire che le

verità sono relative può significare una tale quantità di cose diverse

da non significare quasi nulla, se noi non precisiamo il quadro

concettuale di riferimento e il valore di posizione dell’idea di

verità di ciascuna dottrina filosofica. Per esempio Platone con-

cepisce la Verità o come l’Idea in se stessa, archetipo immutabi-

le delle cose, o sul piano gnoseologico, come quei giudizi che

danno rappresentazione di tale immutabilità. Affermare qual-

cosa di diverso significa necessariamente cadere nell’errore. Per

lui nfatti non esiste conoscenza o verità che possa riguardare i

mutamenti del mondo sensibile o dipendere dalla pluralità dei

soggetti conoscenti. In questo senso la doxa di Protagora appa-

re a Platone come l’esatto contrario della verità. Se invece noi

prescindiamo della nozione platonica di verità e dal suo pesante

giudizio sulla scuola sofistica, potremmo interpretare Protagora

positivamente, non come il negatore di qualsiasi verità, ma come

il filosofo che ha ridefinito la verità come pluralità di verità. Soltanto

l’opinione, nel suo accadere fenomenico, ha per Protagora quel

carattere di certezza che altri ricercano nella verità unica e universale.

Per Protagora e per i Sofisti la variabilità della conoscenza (la

sua indecidibilità) dipende dalla indeterminazione del soggetto

e dell’oggetto. A diversi soggetti e in diverse condizioni, la veri-

tà appare del tutto diversa e infinitamente variabile.

Il modo in cui le cose ci appaiono dipende dalle nostre sen-

sazioni e questa apparenza è il solo dato che possediamo. L’in-

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dividuo è variabile e le sue sensazioni sono ugualmente vere

ciascuna nel momento del suo accadere; l’individuo, in ogni istante

determinato, è quindi l’unica misura possibile di tutte le cose,

“di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in

quanto non sono”. L’unica conoscenza possibile, quindi, non

sarà la verità ma la doxa. Per questo motivo è possibile far risalire

alla riflessione sofistica una delle prime forme di relativismo

gnoseologico, che approderà con Gorgia (485-375 a.C.) ad uno

scetticismo conoscitivo ancora più radicale, culminante nell’af-

fermazione che non è possibile conoscere alcunché.

Socrate (469-399 a.C.) capovolge i termini posti dai fisici

naturalisti al problema conoscitivo: anziché partire dalle leggi

della natura per spiegare l’uomo, prende come punto di parten-

za l’uomo per spiegare il mondo. Per comprendere il valore gno-

seologico di questo cambiamento bisogna tener conto del mu-

tamento dell’orizzonte filosofico socratico, tutto concentrato

sulla polis e le sue leggi, sull’uomo e la sua ragione, piuttosto che

sulla natura e le sue cause. Egli credeva che la ragione creatrice

del mondo procedesse come la ragione umana e che l’intera

costruzione del mondo andasse spiegata con i principi della fi-

nalità razionale. Se prima appare il piano, lo scopo e poi la ma-

teria e infine la forza che lo deve mettere in moto, le cause effi-

cienti diventano qualcosa di insignificante, esse sono solo gli

strumenti di una ragione che pensa come una persona. Socrate

affermò l’identità di pensiero ed essere dicendo che la ragione

dell’anima del mondo ha tutto pensato come noi possiamo pen-

sare a nostra volta se facciamo un corretto uso della ragione.

Socrate credeva all’oggettività della scienza e all’essenza univer-

sale delle cose in mezzo alla mobilità dei fenomeni, ma non

separò la generalità dall’individualità perché concepiva la rela-

zione del generale con il particolare, dando la priorità al genera-

le. Egli cercava la definizione esatta delle cose perché credeva

che la parola indicasse la loro essenza, cioè riteneva che il termi-

ne generale facesse conoscere l’essenza di un’intera classe di

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oggetti ed è per questo che viene comunemente considerato

come lo “scopritore” del concetto. Il procedimento socratico

impiega le definizioni e l’induzione come strumenti della sua

dialettica; l’arte di discutere di Socrate consisteva nel passare dal

caso particolare alla definizione generale, per poi ritornare a

concludere dalla generalità ai fatti particolari: il caso particolare

poteva essere rettamente compreso alla luce della definizione e

non il contrario.

Presupposto di questo procedimento è la negazione del rela-

tivismo gnoseologico dei sofisti e la conseguente ridefinizione

della nozione di verità. Mentre per i sofisti la verità si riduce alla

doxa e questa si riferisce all’estrema variabilità del soggetto co-

noscente, dando luogo ad una sorta di relativismo assoluto, in

Socrate la verità si ripropone non come ente in sé o come prin-

cipio materiale o razionale, ma come percorso di ricerca intersoggetti-

vo e in quanto tale universale, rivolto all’eliminazione delle false

opinioni. Lo scopo della conoscenza si configura così come un

percorso di approssimazione alla verità che lascia sempre aperta la

strada ad ulteriori sviluppi, in un processo ad indefinitum. Ciò che

lo contrappone ai sofisti e al relativismo gnoseologico è la fidu-

cia nella capacità razionale dell’uomo (di tutti gli uomini) di se-

guire il medesimo percorso di approssimazione alla verità uni-

versale. Rispetto a ciò, la doxa dei sofisti sembra perdere ogni

finalità conoscitiva per rivolgersi alla pura persuasione e alle lo-

giche del potere. Al relativismo gnoseologico si connette anche

il relativismo etico: se manca un sicuro ancoraggio del pensiero

alla verità, non è possibile una nozione comune del bene.

Ai sofisti si può far risalire anche una prima apparizione del

cosiddetto relativismo culturale. L’uomo a cui allude Protagora nella

sua celebre massima può essere inteso sia come individuo che

come umanità, ma anche come la collettività a cui il singolo

appartiene. Ammettere che esistono altri popoli con altri dei ed

altre religioni, altre lingue oltre quella greca e non giudicare questi

fatti in una prospettiva ellenocentrica, apre la strada a quel pre-

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supposto dell’antropologia secondo il quale ogni cultura o civil-

tà ha in se stessa la sua giustificazione e il criterio della propria

spiegazione.

Come si è detto sopra, per Platone i sensi non partecipano

alla scienza, perché testimoniano di un mondo che è in conti-

nuo movimento e del mutevole non si dà una vera scienza. Essa è

possibile solo in relazione a ciò che eternamente è, e non può

mutare, cioè alle idee dell’iperuranio, agli archetipi o modelli

perfetti e inalterabili di tutte le cose che esistono, alle cause de-

gli enti corruttibili e imperfetti del mondo sensibile. In tal senso

Platone risulta essere il più fiero nemico di ogni forma di

relativismo: le idee, nella loro eterna e perfetta essenza, costitu-

iscono il punto di partenza e di arrivo dell’essere e del pensiero,

al riparo dal caotico fluire dei fenomeni del mondo sensibile. Le

idee costituiscono il reticolo dei valori su cui si fonda la politica

come una sorta di scienza esatta del bene universale.

A riprova della variabilità (per non dire vaghezza) dei signifi-

cati del termine relativismo, merita attenzione il fatto che, nella

prospettiva della metafisica materialistica di Lange,5 il pensiero

di Aristotele (384 a.C.-322 a.C.) viene visto come una forma di

relativismo. In polemica con Platone, Aristotele considera le idee

come appartenenti al piano immanente della realtà e non al pia-

no trascendente del mondo soprasensibile e tuttavia assegna loro

un ruolo preminente rispetto alla materia. Questa è immobile e

priva di ogni movimento proprio. Una delle definizioni della

sostanza afferma che essa è il sinolo di materia e forma, ma la

materia funge da ricettacolo passivo dell’idea espressa attraverso la

forma. Per Lange quindi l’idea aristotelica di materia è relativa in

quanto la materia non esiste in sé, può solo diventare qualche

cosa con l’aggiunta della forma.

5

LANGE F.A., Storia critica del materialismo, Editori Riuniti, Roma 1978 (1866),

passim.

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L’interpretazione di Lange dipende dai presupposti da cui parte

e a cui tende, che lo portano a considerare Aristotele come un

relativista, mentre si può legittimamente affermare che la logica

aristotelica e in modo particolare la sillogistica, con la sua pretesa

di dedurre conoscenze particolari da principi generali e universa-

li, sia stata uno dei pilastri del razionalismo occidentale. Quest’ul-

timo, affermando l’esistenza di indiscutibili verità di ragione, si collo-

ca sul versante opposto rispetto ad ogni forma di relativismo.

Secondo Epicuro (341-271 a.C.) ogni cosa è regolata se-

condo un ordine eterno e allo studioso della natura che cerca

la conoscenza delle cause dei fenomeni naturali è sufficiente

dimostrare la possibilità che gli avvenimenti provengano da

leggi generali; la spiegazione dei fenomeni deve restare natu-

rale, cioè deve basarsi sull’osservazione e sulle analogie con i

fatti noti.

Lo stesso Lange annovera Epicuro tra i materialisti “non

relativisti”, ma trascura di considerare la contraddizione pro-

dotta dal concetto di clinamen, e cioè la deviazione casuale degli

atomi dalla loro traiettoria, che introduce un margine di

indeterminazione o casualità nei processi della natura e nella vita

dell’uomo che, a mio avviso, contraddicono il determinismo

meccanicistico degli atomi e aprono, almeno nella sfera etica,

uno spazio al relativo.

Con la dottrina scettica il problema della conoscenza viene

impostato in un modo radicalmente diverso: sia Arcesilao (315-

240 a.C.) che Pirrone (ca 365-ca 270 a.C.) affermano l’incapaci-

tà naturale dell’uomo a dare l’assenso alle proprie rappresentazioni in

quanto, in linea di principio e di fatto, possono essere errate, e l’uomo non

possiede un criterio certo per validarle. Carneade, dal canto suo, af-

ferma che nessuna rappresentazione sensibile può garantire di

essere in accordo con i fatti: che una rappresentazione sia vera è

possibile, ma non è possibile accertare che essa sia vera. Da ciò conse-

gue che l’epochè, la sospensione dell’assenso, sia l’unica via per-

corribile dal pensiero. È quasi inevitabile che la ricerca assuma

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forma puramente negativa nei confronti dei dogmata, cioè delle

dottrine filosofiche precedenti (in modo particolare dello stoi-

cismo) e del loro ottimismo conoscitivo. La relatività dei giu-

dizi fu poi il principale argomento degli scettici, ma esso fu

utilizzato non tanto con lo scopo di accreditare una dottrina relativistica

della conoscenza, quanto con quello di dimostrare la fallibilità di ogni

rappresentazione che si presenti come vera in se stessa; Pirrone fondò

a Elide una scuola che fu detta scettica in quanto indicava co-

loro che abbracciano come sistema lo stato permanente di

dubbio e di ricerca in un atteggiamento di essenziale insoddi-

sfazione. L’ideale di questa scuola è prevalentemente etico (e

non teoretico) e riflette il clima culturale tipico dell’ellenismo,

con un ripiegamento dell’attenzione del filosofo sulla dimen-

sione individuale e privata. L’umanità viene pensata in termini

generali e cosmopolitici, al di là del confine di quella polis che

aveva costituito l’orizzonte della filosofia classica. Lo scopo

della filosofia, come per gli stoici e gli epicurei, è il raggiungi-

mento dell’atarassia, dell’imperturbabilità dell’anima che secon-

do Pirrone è possibile solo rigettando l’emotività e assumen-

do un atteggiamento di indifferenza verso le cose e gli uomini.

Se il dogmatismo propone certezze e possibilità di certezze, lo

scetticismo pirroniano afferma l’insuperabilità della condizio-

ne di dubbio e di ricerca. Le continue controversie tra i filosofi

sono, per Pirrone, la prova dell’incapacità umana di dare una

rappresentazione obiettiva delle cose e ogni teoria che si pre-

tenda più vera o più fondata dell’altra ha al suo interno una serie

di aporie e di contraddizioni che la rendono equipollente a tutte

le altre. Mentre il relativismo fenomenistico di Protagora non

escludeva per principio la possibilità della conoscenza, il pirro-

nismo si colloca contro la possibilità della conoscenza in generale e a

favore di un atteggiamento prevalentemente etico ed esistenziale.

Anche per Arcesilao, esponente della Media Accademia, l’uo-

mo non è in grado di pervenire alla rappresentazione cataletti-

ca, sensi e ragione non possono raggiungere verità certe e nem-

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meno conoscenze probabili. Alla ragione come principio della veri-

tà e della virtù, Arcesilao sostituisce la ragionevolezza, intesa

come criterio della convenienza pratica del pensiero.

Enesidemo6 (ca 80-ca 10 a.C.) raccolse in 10 tropi o modi le

varie specie di relatività che dipendono dalla estrema variabilità

delle nostre percezioni, giungendo a conclusioni sostanzialmente

simili a quelle dei suoi predecessori.

Una svolta gnoseologica all’interno dello scetticismo antico

si ha con Carneade (214-120 a.C.) il quale, pur negando la pos-

sibilità di una corrispondenza tra i giudizi e la realtà oggettiva,

attribuisce ai giudizi stessi una capacità conoscitiva fondata sul-

la relazione con il soggetto che li esprime. Hanno valore conoscitivo

(relativo e probabile) quei giudizi che appaiono plausibili o persuasivi.

Anche per lui tale conoscenza ha uno scopo prevalentemente

pratico, come guida per la condotta della vita e per il raggiungi-

mento della felicità.

Sesto Empirico limita la conoscenza umana a quanto atte-

stato dai sensi e nega l’esistenza e la dimostrabilità di qualsiasi

verità di ragione. La sua attività di medico lo induce a rivalutare

i sensi, l’esperienza e l’analogia tra le diverse esperienze. Egli

ritiene che non sia possibile individuare con certezza la causa

delle malattie, ma che è possibile cercare una cura osservando

meticolosamente i cambiamenti prodotti dal farmaco sull’orga-

nismo. Il suo scetticismo, negando ogni dottrina e ogni verità

che si pretenda vera in sé, non nega tuttavia l’utilità della cura e

la possibilità della conoscenza. Per Sesto Empirico lo scettici-

smo è il mezzo per liberarsi di una medicina costruita su un’im-

palcatura di tipo logico-speculativo.

Lo scetticismo antico, nonostante il suo agnosticismo di fon-

do, non può logicamente negare un fondamento in una sia pure

generalissima idea di natura umana. L’accordo pratico o tecnico

6

SESTO EMPIRICO, Schizzi pirroniani, Laterza, Bari 2004, passim.

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tra gli uomini non sarebbe possibile se non fossero presenti al-

cuni elementi comuni alla mente umana, che gli uomini ricono-

scono implicitamente nel loro agire.

In epoca moderna, una delle più radicali formulazioni del

relativismo si deve attribuire a Michel de Montaigne7(1533-

1592). La mutevolezza è per lui la condizione fondamentale

della condizione umana e ciò rende impossibile il consegui-

mento di verità e certezze definitive. Ciò si traduce in critica

serrata all’arroganza della ragione e alle sue pretese conosciti-

ve, che confluisce poi nel più generale attacco all’antropocen-

trismo e all’eurocentrismo. L’universo di Montaigne è plurale

e multiforme e non può essere imbrigliato dalle categorie del-

la logica aristotelica fondata sul principio di identità. I sensi e

le passioni degli uomini condizionano e modificano continua-

mente la nozione di verità, mentre la presunta realtà di cui essi

dovrebbero essere testimonianza varia anch’essa, senza rag-

giungere mai quel carattere di uniformità e stabilità che la co-

noscenza richiede.

L’argomentazione di Montaigne è ricca e articolata e, coe-

rentemente con i suoi intenti critici, procede in modo pro-

grammaticamente non sistematico. Ciò rende difficile una rap-

presentazione sintetica del suo pensiero, il quale oltretutto ha

un suo interno sviluppo legato alla iniziale adesione di Mon-

taigne allo stoicismo e all’epicureismo per poi confluire nello

scetticismo pirroniano. Si possono tuttavia individuare alcuni

temi centrali del suo pensiero. Nel passo che segue, si noti il

riferimento alla massima protagorea e al tempo stesso un’inte-

ressante anticipazione del concetto humeano di abitudine,

come fondamento della nostra fiducia nella capacità razionale

dell’uomo e come spiegazione della sostanzializzazione delle

nostre idee:

7

MONTAIGNE M., Saggi, Adelphi, Milano 1992, libro I, passim.

Page 15: Il relativismo nella storia della filosofia e nell'epistemologia ...

Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

31

L’ uomo è un soggetto vano e vario, difficile farsene un giudizio

costante ed uniforme8

[…] È accaduto che per il lungo uso questa

forma d’uomo si sia trasformata in sostanza, e la sorte in natura.9

Per Protagora l’individuo rimane la misura delle cose, per Mon-

taigne, invece, come fonte di conoscenza esso è del tutto inaffida-

bile dato che esso non è altro che un insieme eterogeneo di umori e

sensazioni che inseguono il perenne mutare dell’esperienza.

Non soltanto il vento delle circostanze mi agita secondo la sua

direzione, ma in più mi agito e mi turbo io stesso per l’instabilità

della mia posizione. Io do alla mia anima ora un aspetto ora un

altro, secondo da che parte la volgo.10

Il nostro agire, non sono

che frammenti messi insieme.11

Noi siamo fatti tutti di pezzetti, e

di una tessitura così informe e bizzarra che ogni pezzo, ogni

momento va per conto suo12

[…] E non vi furono mai al mondo

due opinioni uguali, non più che due peli o due granelli. La loro

più universale caratteristica è la diversità.13

Montaigne critica Protagora per quello che gli sembra un

ingiustificato ottimismo conoscitivo. Questi aveva collocato

nell’individuo se non il criterio della Verità, almeno il criterio

unitario della doxa. Ma neanche questo è possibile: l’individuo

stesso appare a Montaigne come un’astrazione.

Davvero Protagora ce ne raccontava delle belle facendo del-

l’uomo la misura di tutte le cose, l’uomo che non conobbe mai

8

Ivi, p. 10.

9

Op. cit., libro III, p. 1349.

10

Ivi, p. 432.

11

Ivi, p. 434.

12

Ivi, p. 435.

13

Ivi, p. 1043.

Page 16: Il relativismo nella storia della filosofia e nell'epistemologia ...

Federico Creazzo

32

neppure la sua. Ora, essendo egli così contraddittorio in se stes-

so, e un giudizio contrastando l’altro senza posa, questa favore-

vole proposizione non era che uno scherno che ci portava a

concludere necessariamente la nullità del compasso e del misu-

ratore.14

Montaigne, pur negando la sua conoscibilità, non nega l’esi-

stenza di un mondo di cose, di una natura che però è caratteriz-

zata da incessante movimento e cambiamento. Essa rimane sul-

lo sfondo di ogni presunzione della ragione umana.

L’azione di questa natura sull’uomo passa attraverso un ge-

nerico fenomenismo che non si lascia imbrigliare dentro con-

cetti e dottrine.

L’avvenimento fa la scienza non la scienza l’avvenimento. I no-

stri maestri rispondono che vedere che qualcosa avviene, come

noi facciamo, e come fa Dio stesso (di fatto essendogli tutto

presente, egli vede più che non prevede), non vuol dire costrin-

gerla ad avvenire; cioè noi vediamo perché le cose avvengono, e

non le cose avvengono perché noi vediamo.15

Si noti lo scetticismo radicale implicito nelle affermazioni

seguenti, il cui esito sembra avvicinare Montaigne all’agnostici-

smo gorgiano.

Ora, dato che la nostra condizione adatta le cose a sé e le trasfor-

ma secondo se stessa, noi non sappiamo più quali esse siano in

verità, poiché niente ci perviene se non falsato e alterato dai no-

stri sensi.16

14

Ivi, p. 738.

15

Ivi, p. 941.

16

Op. cit., libro II, p. 799.

Page 17: Il relativismo nella storia della filosofia e nell'epistemologia ...

Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

33

Poco oltre Montaigne riassume così la sua posizione:

Insomma, non c’è alcuna esistenza costante, né del nostro essere

né di quello degli oggetti […] Così non si può stabilire nulla di

certo dall’uno all’altro, tanto il giudicante quanto il giudicato es-

sendo in continuo mutamento e movimento.17

Il pensiero di Montaigne contiene un paradosso. Gli stessi sensi,

che costituiscono per l’uomo il più plausibile strumento di cono-

scenza, falsano e alterano la verità. Ma non è logicamente possibile

decidere intorno all’irrimediabile falsità delle nostre rappresenta-

zioni se non in relazione al permanere di un’idea di verità.

Montaigne fu per Nietzsche molto più di una fonte di ispira-

zione filosofica. Nietzsche dichiarò di essersi identificato con

Montaigne «nello spirito e nel corpo»18

. Altrove lo loda come

un «portatore di coraggioso e lieto scetticismo»19

. La dissoluzio-

ne del Soggetto inteso come centro unitario della conoscenza e

la radicale critica della ragione sembrano i più rilevanti tratti

comuni ai due pensatori.

Sul piano puramente gnoseologico Montaigne sembra più

scettico-agnostico che relativista, ma sul piano della sua con-

cezione morale e della critica religiosa e dei costumi egli si

pone come una sorta di etnologo relativista. Se i diversi costumi e

le diverse fedi religiose non sono altro che forme illusorie di

adattamento dei popoli, discende come conseguenza l’idea della

tolleranza come unico atteggiamento “saggio”. I cosiddetti

popoli “non civilizzati” appartengono per lui alla nostra stes-

sa natura umana e, in assenza di un criterio veramente univer-

sale per giudicarli, dobbiamo accontentarci di considerare la relatività

del nostro punto di vista.

17

Ivi, p. 801.

18

NIETZSCHE F., Perché sono così accorto, in ID., Ecce Homo, af. 3.

19

ID., Frammenti postumi 1884-1885, fr. 40.

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Federico Creazzo

34

Un altro importante contributo all’approccio relativista nel-

l’ambito della cultura europea è rappresentato dalla filosofia di

Giordano Bruno (1548-1600). La sua visione dell’universo infinito

e omogeneo in tutte le sue parti implica la distruzione delle coordina-

te spaziali e delle gerarchie topologiche tradizionali, e della di-

stinzione aristotelico-tolemaica tra terra e cielo, tra sostanze

corruttibili e incorruttibili, tra l’umano e il divino, tra il centro e

la periferia. Dio non è persona e non è trascendente ma coinci-

de con l’universo stesso e le parti di cui si compone, in un tutto

vivente e organico. Questa rivoluzione filosofica, che accompa-

gna il sorgere della nuova cosmologia copernicana, intacca an-

che il tradizionale criterio di verità. Se l’universo è divino e infi-

nito, il rapporto dell’uomo con la verità non può che svolgersi

nella prospettiva già indicata da Cusano (1401-1464), e cioè per

approssimazione e congettura, essendo il finito incommensurabi-

le con l’infinito. L’universo è inconoscibile nella sua interezza.

Ogni conoscenza, in quanto finita, è relativa perché: 1) indica la

relazione della parte con il tutto (da cui il carattere parziale e provvi-

sorio di ogni conoscenza); 2) coglie la relazione tra le parti; 3) dipen-

de dalla posizione che occupa l’osservatore nell’universo stesso.

Secondo l’empirismo tutte le nostre cognizioni derivano dal-

l’esperienza ed il ripetersi della successione o della coesistenza

di certi stimoli determina il legame associativo delle sensazioni

e delle idee corrispondenti. David Hume (1711-1776) spiegò la

legge di causalità con la legge di associazione per cui, dato un

fenomeno, noi siamo irresistibilmente condotti ad aspettarci l’al-

tro che nel passato avevamo sempre percepito dopo di esso.

Del principio di causa e di connessione razionale Hume nega la

verità sostanziale o logico-razionale. La “causa” è un’idea che si

fonda sulla credenza e quindi può essere utilizzata dalla scienza

per uno scopo euristico, e si regge sulla possibilità che ci condu-

ca ad una conoscenza probabile del fenomeno che stiamo osser-

vando. Le sensazioni non si aggregano meccanicamente, ma è

lo spirito a coglierne i rapporti e a combinarli insieme in vari

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Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

35

modi. L’esperienza è per noi l’unica realtà e di essa è assurdo

cercare la genesi. Ciò che è vero è l’accordo del pensiero con la

realtà. Lo scienziato costruisce un’ipotesi e agisce lasciandosi

guidare da essa. Il suo scopo è ottenere una coordinazione delle

forze attive umane e non umane operanti nell’universo della

nostra esperienza. Le idee dello scienziato dovranno poi met-

tersi alla prova con l’esperimento che è un complesso di azioni

suggerite dall’ipotesi. Hume non nega le verità di ragione: la

matematica costituisce un insieme di verità assolute e universali,

ma puramente formali. Non è detto, secondo Hume, che ad

esse corrisponda qualcosa nella realtà esterna.

Hume critica anche il meccanicismo e il finalismo. Nei con-

fronti della totalità della natura la mente umana è impotente. Essa

può solo ricercare di volta in volta una corrispondenza probabile tra

le idee e i fenomeni, e tentare di descrivere i fenomeni naturali

che si presentano in connessioni empiricamente determinate,

rifiutando di pronunciarsi su una presunta verità della natura in

se stessa, sulle sue presunte leggi, sui suoi presunti scopi.

Le nostre idee sono dei semplici strumenti che hanno lo sco-

po di favorire l’esperienza. Dalla semplice ragione non è possi-

bile dedurre nessuna previsione certa sul corso dei fenomeni e

tanto meno è possibile dimostrare la necessità logico-empirica

dell’esistenza di Dio o del libero arbitrio. Dio e la libertà non

sono per Hume oggetti di una conoscenza possibile. Sulla fede

e sulla libertà, come in genere sulle diverse dottrine morali, la

scienza non ha nulla da dire. La morale dipende dal costume e dalla

coscienza del singolo e non potrà essere ricavata o disciplinata da nessuna

scienza. Hume anticipa il principio dell’avalutatività della scien-

za, che sarà uno dei principi dell’epistemologia di Max Weber.

Hume può essere considerato un empirista radicale, per il suo

continuo riferirsi all’esperienza come unico criterio di valida-

zione delle nostre conoscenze, e uno scettico moderato, in quanto

la sua forte critica delle presunzioni della ragione non lo condu-

ce a negare la possibilità della conoscenza in generale.

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Federico Creazzo

36

In riferimento al suo pensiero si può parlare di relativismo in

un duplice senso:

1. Sul piano gnoseologico, le idee della ragione, come le te-

orie della scienza hanno un valore relativo e provvisorio, legato

al quadro empirico di cui si occupano. In generale la conoscen-

za non ha un fondamento certo né nel soggetto né nell’oggetto

ma ha validità solo in relazione al fenomeno.

2. In campo morale Hume è relativista perché esclude la

possibilità di determinare scientificamente il bene, la virtù, la

religione o l’esistenza di Dio. Anticipando l’epistemologia we-

beriana e il suo principio dell’avalutatività della scienza, Hume

afferma che rispetto ai valori morali e religiosi la scienza non

può e non deve dire nulla. La scelta dei valori non può essere

disciplinata dall’esterno, in quanto dipende dal costume e dalla

coscienza individuale.

A rafforzare la posizione del relativismo, dandogli una parti-

colare connotazione, contribuì nella seconda metà del secolo

XIX la teoria dell’evoluzione, per la quale la conoscenza è, come

tutte le altre funzioni degli organismi viventi, sorta per le esi-

genze dell’adattamento all’ambiente. Anche l’intelletto, come tutti

gli altri organi, è soggetto a cambiamenti in rapporto ad esso.

Non vi sono, da un tal punto di vista, categorie fisse, concetti e

principi immutabili, né nella scienza né nella vita morale. La

relatività della conoscenza umana secondo Herbert Spencer

(1820-1903) risulta dal processo della sua formazione e dal si-

gnificato che ha per la vita: essa serve ad assicurare la sua con-

servazione e ottiene ciò stabilendo una corrispondenza sempre

più perfetta delle condizioni interne dell’organismo all’ambien-

te. Se questo fosse diverso, il nostro intelletto avrebbe una strut-

tura differente. Esso funziona stabilendo relazioni, classifican-

do i fatti, salendo di generalizzazione in generalizzazione, e in

questo processo arriva a idee ultime (spazio, tempo, movimen-

to, materia, forza) che sono incomprensibili perché non si pos-

sono riportare ad altre idee più generali e che, poste come caratteri

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Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

37

della realtà in se stessa, danno luogo a difficoltà insuperabili dal nostro

intelletto. L’assoluto è nel fondo indefinito della nostra coscienza

ma non possiamo in alcun modo determinarlo e racchiuderlo in

concetti definiti. L’evoluzionismo biologico di Darwin e l’evo-

luzionismo sociale di Spencer influenzarono sicuramente, an-

che se in misura variabile, tutto il dibattito filosofico ed episte-

mologico del tempo e il relativismo che ne consegue ebbe il suo

svolgimento nell’empiriocriticismo e nel pragmatismo.

Un certo riflesso dell’evoluzionismo si può cogliere anche

nell’opera di Georg Simmel (1858-1918), il quale concepisce la

conoscenza come un processo di adattamento del pensiero a

quello che lui chiama sviluppo vitale della specie. Simmel ha colle-

gato l’apriori kantiano alla determinazione inevitabilmente sog-

gettiva del mondo circostante. Rispecchiare fedelmente le cose

è impossibile, e la natura quale ci appare è creazione del sogget-

to. Ma tale soggetto non ha la stabilità e l’universalità del sog-

getto trascendentale kantiano ed esso è piuttosto l’onda mobile

in cui ogni essere sussiste solo come essere condizionato.

Per Simmel, noi scegliamo una rappresentazione concettua-

le con cui cogliamo le parti e i movimenti dell’essere e la faccia-

mo funzionare come il centro reale o come il senso di tutta

l’esistenza. Ma la validità delle conoscenze, non potendo essere

controllata sulla realtà in sé, può solo essere cercata nella loro

capacità di favorire lo sviluppo vitale. Il relativismo di Simmel con-

cepisce come sistema di riferimento delle conoscenze e come

criterio della loro validità la capacità che alcune di esse hanno di

sopravvivere nel corso dell’evoluzione della specie, in quanto

favoriscono gli individui che le seguono, rispetto agli altri che

seguono principi “falsi”, cioè dannosi. Lo sfondo del relativi-

smo gnoseologico di Simmel appare orientato verso un prag-

matismo, che sostituisce il principio dell’utilità per la specie al vec-

chio principio della verità. Esistono altri mondi idealmente obiet-

tivi oltre a quello della scienza, ad esempio l’arte, la religione e la

moralità che si basano su categorie diverse. Tali categorie non

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Federico Creazzo

38

sono forme statiche e astratte. Il soggetto sistema per sé il reale

ma non in una configurazione fissa, perché il rapporto del sé

con la realtà, in cui esso vive, muta continuamente per il gioco

dei contrasti e dei rapporti delle diverse reazioni spirituali. Le

categorie sono forme della determinazione reciproca del sog-

getto e dell’oggetto, che l’attività del pensiero costituisce in sfe-

re indipendenti e autonome. Esse sono i momenti nei quali il

rapporto specifico del soggetto e dell’oggetto è posto come idea

e non pongono il mondo del soggetto in maniera estrinseca

all’oggetto.20

Si può cogliere nel pensiero di Simmel una duplice

accezione del relativismo, inteso sia come relazione del sapere

al soggetto, infinitamente variato a seconda delle costellazioni

spirituali e vitali a cui appartiene, sia come relazione ad un pre-

sunto imperativo della specie di cui l’individuo è funzione.

Alcuni autori e storici della filosofia annoverano tra le teorie

relativiste anche l’empiriocriticismo o empirismo critico, che ha

tra i suoi maggiori esponenti Ernst Mach (1838-1916) e Avena-

rius (1843-1896). Tale collocazione è alquanto discutibile per i

motivi che seguono.

Alla base della conoscenza scientifica l’empiriocriticismo

pone il concetto di esperienza pura come unico criterio di va-

lidazione della conoscenza. Ciò porta ad escludere dalla gno-

seologia ogni contenuto autonomo della mente o ragione, ogni

concetto o astrazione che non derivi dall’esperienza stessa, ri-

ducendo tutta la realtà e la relativa conoscenza a rapporti tra le

sensazioni. È necessario quindi rinunciare a tutti quei concetti

e principi astratti che derivano dall’ambiente, dalla tradizione

filosofica o dalle visioni soggettive (personali) della realtà per

attenersi all’esperienza e alla sua trama di interne relazioni. La

scienza che ne risulta non è un sistema fisso di verità immuta-

bili, ma si trasforma per le nuove esigenze dell’adattamento

20

Op. cit., cfr. pp. 71-76.

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Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

39

del pensiero ai fatti e delle idee tra di loro. Qui si può parlare

impropriamente di relativismo solo nella misura in cui affer-

ma che la scienza non costituisce un sistema definitivo di leggi

e di formule ma un processo di ricerca aperto e suscettibile di

continue revisioni, concezione che implica il rifiuto del valore

assiomatico dei tradizionali principi della logica e della metafi-

sica. Tuttavia uno sfondo paradossale dell’empiriocriticismo

riemerge nel considerare l’esperienza pura come una struttura

della realtà in se stessa, ricadendo in una sorta di oggettivismo

metafisico. Se uno dei presupposti generali del relativismo

consiste nella negazione della consistenza ontologica dei fatti

che si tradurrà nell’affermazione nietzscheana secondo la quale

non esistono fatti ma solo interpretazioni, l’empiriocriticismo

nega qualsiasi valore all’interpretazione stessa affermando che

esistono solo fatti e non interpretazioni, affermazione che appare

come la negazione del relativismo comunemente inteso.

Una più coerente collocazione all’interno del relativismo

riguarda il pluralismo filosofico di J.H. Rosny (1856-1940). Egli

negò sia l’unicità e la regolarità della natura (presupposto del-

l’empirismo critico) che la continuità e l’omogeneità dell’espe-

rienza a favore di una visione di una scienza capace di formu-

lare delle leggi basandosi di volta in volta sulla somiglianza

relativa tra classi di fenomeni. Per Rosny la conoscenza è con-

statazione di analogie tra diversi ordini di fatti. La rappresen-

tazione non fa che scoprire analogie tra il nostro modo di es-

sere e quello delle altre esistenze, analogie che sono capaci di

sviluppi e approssimazioni sempre maggiori. Come giustamen-

te rileva Santino Caramella (1902-1972), «nel complesso, il

pluralismo riesce a formulare un principio per sé legittimo

secondo il quale l’unità del mondo (universo), in cui si con-

creta l’esperienza (e la conoscenza), non esclude la moltepli-

cità delle prospettive ontologiche e logiche, anzi le genera

analiticamente, ma non riesce a sviluppare realisticamente lo

sfondo unitario che genera la molteplicità delle prospettive

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Federico Creazzo

40

postulate, il quale rimane ipotetico o rappresentato da moti-

vi empirici e pratici»21

.

Il relativismo in senso filosofico deve essere chiaramente

distinto dalla teoria della relatività di Einstein (1879-1955). Se-

condo il Principio generale della Relatività, tutti i sistemi di

riferimento sono equivalenti ai fini della descrizione dei feno-

meni naturali poiché rispetto alle oggettive leggi naturali un

sistema di riferimento non è altro che uno strumento descrit-

tivo particolare che non intacca il valore assoluto della legge.

In fisica, prima della teoria della relatività, si ammetteva che il

significato di un dato temporale fosse assoluto, indipendente

cioè dallo stato di moto del sistema di riferimento. La mecca-

nica classica riteneva che la distanza di tempo tra due avveni-

menti fosse indipendente dallo stato di moto del corpo di rife-

rimento ma in seguito si dimostrò che se un viaggiatore nel

treno percorre nell’unità di tempo, misurata dal treno, lo spa-

zio w, lo stesso spazio, misurato dalla strada, può non essere

uguale a w. A seguito della dimostrazione della relatività della

simultaneità (eventi che si verificano simultaneamente in vari

punti di un sistema di coordinate in movimento non sono si-

multanei rispetto a un sistema rigido di coordinate) si poté

affermare che ogni sistema di riferimento ha il suo tempo e

che un dato temporale ha senso solo se si determina il corpo

di riferimento al quale esso va riportato.

La teoria di Einstein ha un significato puramente fisico e

non contiene nessuna implicazione che conduca a un relativi-

smo gnoseologico o epistemologico, ma fornisce un’idea della

diversità e della pluralità dei sistemi di riferimento a cui vengo-

no condotti i fenomeni indagati dalla scienza.

Secondo il realismo aritmetico, i numeri, le classi e le fun-

zioni algebriche esistono indipendentemente dalla nostra ana-

21

S. CARAMELLA, voce Pluralismo, in Enciclopedia Filosofica, Sansoni, Firenze 1957.

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Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

41

lisi e conoscenza, essi vivono in un infinito inconcepibile per

lo spirito umano ma possono essere scoperti risalendo dalla

loro esistenza logica a quella ontologica. I principi del calcolo

infinitesimale, la classe e il limite, sono definizioni convenzio-

nali che quando furono ipostatizzate in esistenzialità reali ed

indipendenti crearono l’esistenza di due logiche, quella del fi-

nito e quella dell’infinito, e antinomie insolubili. J.H. Poincaré

(1854-1912) invece propose un relativismo matematico. Se-

condo Poincaré, un ente matematico esisterebbe solo se si

potesse definirlo senza contraddittorietà. Anche se noi pos-

siamo costruire una serie infinita di numeri concependo la ri-

petizione infinita di un’operazione ritenuta possibile e possia-

mo ottenere una definizione per reiterazione definendo la leg-

ge di formazione della serie, ciò non implica l’esistenza della classe

infinita di tali entità, poiché questa vorrebbe dire che lo spirito

può concepire la possibilità di fare un numero infinito di scel-

te arbitrarie e ciò non è pensabile.

Per il convenzionalismo di Poincaré le proposizioni da cui muo-

ve ciascun sistema sono libere costruzioni dell’uomo, ma non

arbitrarie perché vengono escogitate ed accettate in accordo con l’esperien-

za. Le proposizioni di partenza non possono essere né vere né

false in assoluto; devono essere scelte in base a criteri determi-

nanti, che hanno il compito di garantire la riproponibilità delle

scelte stesse, al fine dello sviluppo deduttivo della ricerca.

I criteri devono essere selezionati sulla base della coerenza,

che deve essere propria di ogni sistema ipotetico-deduttivo: ciò

che importa non è il rapporto con gli oggetti, ma la coerenza

logica e la completezza del sistema.

Da un’attenta analisi condotta sullo sviluppo storico della

scienza, Thomas Kuhn (1922-1996) ha rilevato i notevoli cam-

biamenti subiti nel tempo dagli ideali conoscitivi, tanto da ren-

dere impossibile parlare di un carattere unitario e progressivo

della ricerca, di identici oggetti di indagine e di uno stesso con-

cetto di verità scientifica.

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Federico Creazzo

42

Secondo Kuhn, il corso delle scienze si svolge in due forme:

quella della scienza normale, quando il quadro concettuale tra-

dizionale, cioè l’insieme delle teorie considerate valide, deter-

mina la soluzione di problemi, e quella della ricerca straordina-

ria che sostituisce un modo di fare scienza ad un altro.

Le rivoluzioni scientifiche sono dei mutamenti di paradig-

ma, cioè di quella tradizione di ricerca normale che presuppone

un certo gruppo di problemi, di procedure consentite per risol-

verli e di risposte possibili. La crisi di un paradigma di ricerca è

determinata dalle molteplici anomalie che esso non riesce a ri-

solvere, per cui alcuni scienziati tentano una soluzione comple-

tamente nuova, con la ricerca straordinaria che esce dal quadro

del paradigma normale.

Le nuove teorie scientifiche si fondano su schemi concettua-

li (configurazioni costituite da un insieme di categorie, le quali

determinano la forma dei dati sensibili) che sono diversi da quelli

delle altre teorie e che tale diversità preclude la possibilità di un

confronto tra teorie. Tali schemi concettuali sarebbero intradu-

cibili in quelli delle teorie precedenti in quanto il cambiamento

di schema comporta un cambiamento del significato delle paro-

le e del modo in cui esse aderiscono alla natura. Anche il tenta-

tivo di una teoria di interpretare la catena dei simboli di un’altra

teoria, applicando la propria sintassi ad un codice che postula

una diversa sintassi, dimostrerebbe la discontinuità logica tra le

teorie.

Per Kuhn, la scienza evolve differenziandosi in forme sem-

pre nuove ed il progresso percorre le molteplici direzioni trac-

ciate dai saperi, escludendo ogni forma di monismo e di teleo-

logia.

Egli rileva come anche i fattori e gli interessi sociali hanno

un ruolo nella vita della scienza. Nel corso della scienza norma-

le, infatti, è talvolta necessario scegliere tra due estensioni diver-

genti delle applicazioni della medesima teoria basandosi su giu-

dizi di valore o pragmatici (tempo e mezzi a disposizione).

Page 27: Il relativismo nella storia della filosofia e nell'epistemologia ...

Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

43

Kuhn ha rifiutato il concetto unitario e metastorico di verità,

inteso come denominatore comune delle rivoluzioni scientifi-

che. Se la storia della scienza è una successione di paradigmi

incommensurabili e i fatti ed i principi della scienza sono dati e

mantengono la loro validità solo all’interno delle teorie alle qua-

li appartengono, non esiste un criterio che li trascenda in grado

di valutarli. Non esiste neppure un mondo vero che potrebbe

fungere da terreno comune alle diverse teorie dato che la strut-

tura convenzionale dei sistemi del sapere rende impossibile di-

mostrare un nesso necessario tra gli enunciati teorici e quelli

empirici e osservativi.

I procedimenti di verificazione delle teorie non stabiliscono

nessuna verità assoluta, perché la stessa “prova” è sottodeter-

minata (cioè pre-determinata) dalla teoria e perché le norme

che guidano la formazione dei test sono convenzioni. Anche la

teoria della falsificazione si riduce ad un accordo sociale per

considerare false certe affermazioni e certe no. Generalmente

condivisa nel mondo scientifico è l’idea che l’attendibilità di una

teoria si possa stabilire sottoponendo la teoria a test sempre più

severi. In tal caso, provare una teoria significherà confrontarla

con quella utilizzata per produrre i test. Ma, dato che le regole

metodologiche seguite nella preparazione della teoria sono di-

verse da quelle seguite nella preparazione della prova e si basa-

no su teorie che descrivono in modi diversi la costituzione del

mondo e che compiono le proprie osservazioni in dimensioni

spazio-temporali non vicine, una teoria si potrà dimostrare mi-

gliore di un’altra rivale solo ammettendo l’esistenza di modelli

standard universali e senza tempo per la valutazione delle con-

vinzioni. In conclusione, secondo il relativismo epistemico, le

regole della prova sono convenzioni che non hanno basi ogget-

tive nella realtà e che servono solo a promuovere un certo tipo

di interesse epistemico, e anche gli scopi della scienza che deter-

minano i giusti metodi della ricerca sono del tutto soggettivi. In

una direzione sostanzialmente simile si muove la problematiz-

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Federico Creazzo

44

zazione della stessa idea di verità scientifica operata da Feyerabend

(1924-1994) nel noto saggio Contro il metodo del 1975. Il sapere

scientifico è evidentemente legato a contenuti pragmatici e “im-

puri” rispetto ad un ideale di scienza come sistema delle verità

universali. La scienza è un’impresa sempre immersa entro il tes-

suto sociale della realtà.

Essa deve essere valutata non per i suoi presunti valori di co-

noscenza e verità “oggettiva” quanto per i contributi che offre e,

in misura non minore, per gli ostacoli che pone al progresso uma-

no. Il progresso deve essere interpretato non già, positivistica-

mente, come accumulo di certezze o, come affermava il suo ma-

estro Popper (1902-1994), come approssimazione al vero, bensì

come emancipazione sociale ed etico-politica dell’umanità.

Da ciò Feyerabend ricava una concezione plurale e relativi-

stica della verità e della scienza:

Che senso ha, allora, il discorso sulla “verità” della scienza? Che

senso ha parlare della scienza come unità? Per me, si tratta solo

di fantasmi. Mi rendo conto del valore pratico della “verità” nel-

le pubbliche relazioni: se uno dice che la verità è in un certo

posto, qui affluisce subito il denaro, qui si concentrano gli sforzi

di studio, e così via. Ma a parte questo – e a parte gli usi pratici

della parola verità, come nell’espressione: “Dimmi la verità, dav-

vero hai avuto una relazione mentre ero fuori?” – le questioni

riguardanti la verità della scienza o del mito non hanno per me

molto senso. Per me ha senso, invece, che una società, un grup-

po, dedichi tutto se stesso alle scienze – al plurale – o a qualche

mito, poiché di entrambi abbiamo bisogno.22

22

Tratto dall’intervista a P. FEYERABEND, Idee varie, in Enciclopedia multimediale

delle scienze filosofiche, Roma, D.S.E., lunedì 11 ottobre 1993, pp. 138 ss.

Page 29: Il relativismo nella storia della filosofia e nell'epistemologia ...

Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

45

3. Storicismo e relativismo. Il dibattito metodologico

di fine Ottocento sulle scienze dello spirito

e la conoscenza storica

Le condizioni dalle quali sorse lo storicismo del XIX secolo ed

il raffronto di questo con lo storicismo hegeliano ci aiutano a

mettere in luce le sue caratteristiche e ci convincono a collocar-

lo all’interno del relativismo gnoseologico. Altrettanto interes-

sante risulta un confronto tra le diverse posizioni espresse al-

l’interno di questa scuola, alcune delle quali risentono ancora di

qualche suggestione romantica, anche se ormai autonoma ri-

spetto alla concezione hegeliana della storia. In altri casi, il di-

stacco dall’hegelismo da un lato e dalla scuola positivistica dal-

l’altro risulta netto e senza compromessi, come nel caso della

metodologia storica di Max Weber.

L’Erleben, l’esperienza vissuta, definisce per Dilthey l’auto-

nomia del mondo umano rispetto al determinismo della natu-

ra e rende possibile una distinzione sistematica tra le scienze

della natura (Naturwissenschaften) e le scienze dello Spirito (Gei-

stwissenschaften). Nelle scienze dello spirito, l’oggettività cono-

scitiva è resa possibile dal rapporto particolare (e privilegiato)

che si stabilisce tra il soggetto e l’oggetto della conoscenza.

L’uomo, infatti, non comprende il mondo umano (storico-so-

ciale) come qualcosa di esterno, ma come ambito in cui rico-

nosce se stesso. Il ricercatore storico, in quanto uomo, ritrova

nell’oggetto della sua ricerca un mondo di uomini, di cui ha una

sorta di precomprensione, che invece gli manca quando si ri-

volge agli oggetti naturali. L’Erleben, l’immediatezza della vita

vissuta, nel suo essere volontà, libertà e creatività spirituale, è

l’elemento che accomuna il soggetto e l’oggetto della cono-

scenza. L’Erleben non è solo rappresentazione, né pura volon-

tà o sentimento, ma l’unità di tutto ciò nell’immediatezza del-

l’esperienza umana. Esso sorge nell’individuo ed è una sorta

di autocoscienza del mondo spirituale.

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Federico Creazzo

46

Nel rapporto conoscitivo con il mondo fisico, il ricercatore

coglie i fenomeni dall’esterno e singolarmente. Partendo da questi,

attraverso un’astrazione crescente, perviene alla determinazione

delle leggi generali che spiegano quei fenomeni. Nella conoscen-

za del mondo umano, invece, ciò che precede è l’esperienza vissuta della

totalità del mondo, e il ricercatore si muove a partire da un principio

generale, l’Erleben, mediante cui è possibile intuire le particolari o

individuali connessioni spirituali, storicamente determinate. Esse

vengono definite da Dilthey come le unità organizzative umane, e

cioè delle oggettivazioni della vita sociale e storica, delle unità

“collettive” che perseguono scopi, hanno interessi e valori parti-

colari e ciascuna di esse esprime una differente intuizione del

mondo. Queste connessioni spirituali si manifestano anche negli

individui, la cui vita, pur nella sua singolarità, è sempre mediata

dall’insieme dei sistemi di cultura a cui appartengono.

La metodologia delle scienze dello spirito può ricostruire la

vita vissuta dall’uomo, in una condizione storicamente determi-

nata, presentandola di volta in volta come il punto di incrocio di

varie connessioni dinamiche. L’individuo è il punto di incrocio

di connessioni che sussistono in lui ma che hanno una loro esi-

stenza autonoma e lo sovrastano.23

Tali connessioni risultano

reciprocamente autonome, in quanto fondate su esperienze e

valori e fini particolari che non sono elementi o stadi di un co-

mune progetto di sviluppo storico. Alla storia, intesa come og-

getto totale e unitario, manca, secondo Dilthey, un fine intrinse-

co, o una interna e metastorica legge di sviluppo.

Nonostante l’assenza di un tale criterio esplicativo, metastori-

co o teleologico, del divenire storico, il ricercatore ha la possibilità

di conoscere le oggettivazioni storiche e spirituali, grazie all’omo-

logia che sussiste tra queste e l’Erlebnis del ricercatore. Le diverse

23

DILTHEY W., La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito, in Lo storicismo

tedesco, a cura di Pietro Rossi, UTET, Torino 1977, pp. 138 ss.

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Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

47

connessioni storiche appaiono quindi relativamente autonome ma

non reciprocamente incommensurabili.

Il manifestarsi della vita è interpretato sulla base di un rag-

gruppamento del molteplice, e l’individuale viene appreso sulla base

e attraverso la mediazione di ciò che è universalmente umano (Erle-

ben)24

. L’intendere (Verstehen), che è diverso dalla spiegazione del-

le scienze naturali (Erklären), è la forma specifica dell’atto co-

noscitivo delle scienze dello spirito. Come si è detto sopra, me-

diante l’intendere noi intuiamo l’oggetto come interno al soggetto, e ciò

consente al ricercatore di superare quella limitazione alla singo-

larità, contenuta in ogni singola esperienza della vita.25

Raffaello Franchini26

critica l’impianto logico e metodolo-

gico dello storicismo tedesco post-hegeliano, in quanto esso

mancherebbe di fondamento e ricadrebbe proprio in quel dog-

matismo che intendeva combattere. A suo avviso, solo me-

diante lo Storicismo assoluto, in quanto logicità dell’universa-

le, è possibile comprendere l’esistenza singola, collocandola

nel circolo della totalità spirituale. Per Franchini, il relativismo

ottocentesco è una gnoseologia che pone il vero in ciò che

appare al singolo uomo concepito come monade, in un modo

per cui all’assolutezza dello Spirito nel suo sviluppo, si sostitu-

isce l’assoluto della individualità incomunicabile. Conseguen-

ze del relativismo gnoseologico sono, per Franchini, l’agnosti-

cismo metafisico ed il relativismo morale. Dilthey affermava

che il sapere di un’epoca è l’espressione transitoria e soggetti-

va di una connessione spirituale e che i sistemi metafisici e gli

ideali etici e religiosi variano con il tempo in quanto sono pro-

dotti storicamente condizionati.

24

DILTHEY W., ivi, pp. 154-159.

25

DILTHEY W., ivi, p. 145.

26

FRANCHINI R., Storicismo e Relativismo, estratto dagli “Atti” dell’Accademia

Pontiana, nuova serie, vol. 1.

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Federico Creazzo

48

Franchini colloca il relativismo all’interno dei movimenti di

reazione all’hegelismo e all’obiettivismo positivistico che si svi-

lupparono in Germania tra la fine dell’800 e i primi del ’900, por-

tando gli storici a rifugiarsi nel soggettivismo o nella tipologia. A

suo avviso, il relativismo è figlio di una storiografia afilosofica che

pretende di fondarsi unicamente sui documenti e sulle testimo-

nianze e che pretenderebbe parlassero senza che lo Spirito uma-

no, unica condizione della storia, desse loro la parola.

Il giudizio liquidatorio di Franchini sul relativismo storicisti-

co sembra derivare dalla sua collocazione nell’ambito del neoi-

dealismo italiano. Esso non è convincente perché si fonda su

una interpretazione riduttiva della metodologia dello storicismo,

con particolare riferimento a Dilthey.27

Contro la tesi di Franchini si può argomentare che l’orienta-

mento individualizzante della conoscenza storica, e il vincolo che

si stabilisce tra la prospettiva del ricercatore e l’orizzonte finito e

condizionato della connessione storico-spirituale a cui si rivolge,

non è tale da impedire una comprensione di tipo generale della

storia umana, in quanto sia l’osservatore che l’oggetto dell’osser-

vazione ricadono dentro la comune origine spirituale dell’Erleben,

quella particolare configurazione dell’esperienza vissuta degli es-

seri umani in quanto tali. Esso funge da termine medio o elemento

di mediazione tra le diverse connessioni spirituali e rende la cono-

scenza storica relativa a ciascuna di esse. In tal senso ogni epoca

storica ha in se stessa una referenzialità di significati, interessi,

valori e forme di conoscenza di cui lo storico deve tener conto

nello sforzo di interpretazione dei fatti storici. In questo senso il

relativismo di Dilthey è tutt’altro che radicale e non compromet-

te la continuità e la trasmissibilità della conoscenza storica.

Una diversa soluzione del problema della conoscenza stori-

ca è rappresentato dalla filosofia neokantiana di Wilhelm Win-

27

FRANCHINI R., ivi.

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Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

49

delband. Fondamentale, secondo lui, è la distinzione epistemo-

logica e metodologica tra le scienze naturali e la scienza storica.

Mentre le prime hanno come scopo la determinazione delle leggi

generali mediante le quali è possibile spiegare i singoli fenome-

ni, la scienza storica procede in senso inverso, in quanto parte

da leggi generali, aventi valore assiomatico, per giungere alla

comprensione dei fenomeni storici individuali. Le scienze natu-

rali, in quanto generalizzanti, sono nomotetiche e, al contrario, la

conoscenza storica individualizzante è idiografica. Essa può per-

venire all’apprendimento individualizzante solo riferendo il pro-

prio oggetto a dei valori sociali universali.

Un’altra fondamentale differenza deriva dall’oggetto cono-

scitivo delle scienze naturali rispetto alla scienza storica. Le pri-

me si occupano di fatti sussistenti in un mondo puramente obiet-

tivo, invece la storia ha davanti a sé non un mondo di fatti ma

un mondo di valori. Le scienze naturali utilizzano giudizi teoretici,

ovvero proposizioni che stabiliscono la correlazione necessaria

tra i fatti osservati, mentre la scienza storica utilizza giudizi critici,

i quali misurano la divergenza dei fenomeni storici dai valori

universali e assiomatici della coscienza umana. La filosofia in-

daga le forme di valutazione della coscienza comune, ovvero la strut-

tura trascendentale della coscienza, e ritrova la loro origine nelle

condizioni culturali, storiche ed individuali ma, soprattutto, nel-

la loro appartenenza ad una coscienza normativa universale e

metastorica, cioè la configurazione data dagli uomini agli scopi

e ai valori supremi di tipo logico, etico ed estetico. Tali valori

assiomatici costituiscono il presupposto della conoscenza stori-

ca e ci forniscono il criterio per misurare ogni cosa.

Il neokantismo di Windelband è, a mio avviso, non del tutto

conseguente. In sede logico-teoretica, Kant aveva affermato l’esi-

stenza di principi universali formali della coscienza umana, le

categorie, che costituivano la struttura trascendentale della sog-

gettività umana. Tuttavia la validità conoscitiva di questi princi-

pi era rigorosamente limitata alla costellazione spazio-tempora-

Page 34: Il relativismo nella storia della filosofia e nell'epistemologia ...

Federico Creazzo

50

le dei fenomeni. La normatività formale delle categorie kantia-

ne sembra quindi ben diversa dalla presunta normatività univer-

sale dei valori di cui parla Windelband in sede storica. Anche

prendendo a modello la morale kantiana, la filosofia dei valori

di Windelband suscita qualche perplessità. Essa reinterpreta la

legge morale kantiana anch’essa formale, come criterio univer-

sale e assoluto della conoscenza storica. Più convincente appare

la critica nei confronti della scuola storica positivistica, la quale

aveva trasferito acriticamente i metodi e la logica delle scienze

naturali nell’ambito della metodologia storica, trascurando la

ineliminabile connotazione valoriale del mondo storico. In con-

clusione, la filosofia di Windelband, pur distinguendosi dall’ide-

alismo hegeliano e dalla scuola storica positivista, ipostatizza un

criterio di verità assoluto e normativo che appare non del tutto

chiaro e comunque lontano da ogni approccio relativistico.

Rickert (1863-1936) riprende e sviluppa la filosofia dei valori

di Windelband, insistendo sul principio della Wertbeziehung, ov-

vero della Relazione ai valori come connotazione fondamentale e

specifica del mondo storico. Per Rickert la distinzione tra le scien-

ze naturali e le scienze della cultura non dipende dalla qualità

psicologica dell’intendere (Erleben) come in Dilthey, né dalla dif-

ferenza dell’ambito oggettuale, ma dalla particolare configura-

zione metodologica delle scienze della cultura.

L’apprendimento individualizzante del metodo storico met-

te in relazione la particolarità dell’oggetto con valori che non sono

collegati a nessun altro oggetto e al tempo stesso con dei valori

logico-formali universali, contenuti nella funzione del giudica-

re.28

Ciò non esclude che un oggetto preso in esame per la sua

significatività individuale possa al tempo stesso essere studiato

nell’ottica generalizzante delle scienze naturali. Lo storico si

occupa solo degli oggetti che ha selezionato sulla base della loro

28

RICKERT H., La filosofia della storia, in Lo storicismo tedesco, cit., p. 367.

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Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

51

significatività, nel quadro storicamente condizionato degli inte-

ressi sociali, che sono parti o momenti della totalità dei valori

universali incorporati nello stato, nella religione, nell’arte. Non

tutti i fatti sociali o umani hanno valore storico, ma solo quelli

che assumono valore all’interno della cultura. Lo storico deve

selezionare i fatti significativi ed estrarli dalla molteplicità infini-

ta del divenire. Questa selezione non dipende dai giudizi di valo-

re soggettivi del ricercatore (ogni forma di relativismo o soggetti-

vismo viene rifiutata da Rickert) ma dal riferimento dei fatti a

valori formali conoscitivi di portata universale o ai valori normativi

della costellazione storica a cui il ricercatore si riferisce. La storia

individualizzante risponde alla domanda su come si realizza l’in-

sieme della cultura attraverso i suoi momenti singolari.29

Un certo riflesso dell’evoluzionismo si può cogliere nell’opera

di Georg Simmel (1858-1918), il quale concepisce la conoscenza

come un processo di adattamento del pensiero a quello che lui

chiama sviluppo vitale della specie. Simmel ha collegato l’apriori

kantiano alla determinazione inevitabilmente soggettiva del mondo

circostante. Rispecchiare fedelmente le cose è impossibile, e la

natura quale ci appare è creazione del soggetto, ma mentre l’apriori

kantiano è costante e costituisce l’impalcatura universale della

conoscenza obbiettiva, per Simmel esso è un apriori psicologico

e mutevole. Il soggetto di Simmel non ha la stabilità e l’universa-

lità del soggetto kantiano ed esso è piuttosto l’onda mobile in cui

ogni essere sussiste solo come essere condizionato. Per Simmel,

noi scegliamo una rappresentazione concettuale con cui coglia-

mo le parti e i movimenti dell’essere e la facciamo funzionare

come il centro reale o come il senso di tutta l’esistenza. La validità

delle conoscenze, non potendo essere controllata sulla realtà in

sé, può solo essere cercata nella loro capacità di favorire lo sviluppo

vitale. Il relativismo di Simmel concepisce come sistema di riferi-

29

RICKERT H., ivi, cfr. pp. 374-378.

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Federico Creazzo

52

mento delle conoscenze e come criterio della loro validità la ca-

pacità che alcune di esse hanno di sopravvivere nel corso del-

l’evoluzione della specie, in quanto favoriscono gli individui che

le seguono, rispetto agli altri che seguono principi “falsi” cioè

dannosi. Lo sfondo del relativismo gnoseologico di Simmel ap-

pare orientato verso un pragmatismo, che sostituisce il principio

dell’utilità per la specie al vecchio principio della verità.

La filosofia non può, secondo Simmel, essere separata dalla

psicologia. Ogni visione del mondo è connessa alla vita degli

individui e muta con il mutare di questa. La stessa filosofia non

è oggettiva, ma è piuttosto una risposta dell’individuo ai proble-

mi della comunità di cui fa parte. L’individuo adatta a sé il reale

ma non in una configurazione fissa, perché il rapporto del sé

con la realtà, in cui esso vive, muta continuamente per il gioco

dei contrasti e dei rapporti delle diverse reazioni spirituali. Le

categorie sono forme “mobili” della determinazione reciproca

tra soggetto e oggetto. Non si dà, quindi, una verità assoluta e

occorre abbandonare ogni pretesa di trovare un fondamento

ultimo della scienza. Il relativismo riguarda la storia e la società,

nonché le scienze che le studiano: ogni formazione storica e

sociale costituisce un mondo a sé, regolato dai propri principi e

valori e non commisurabile ad altri. La storia è una specie di

psicologia applicata, perché il suo contenuto umano presuppo-

ne che gli eventi siano analizzabili anche come eventi psichici.

Lo storico quindi non può aspirare a una conoscenza oggettiva

del passato ma deve mirare a una “penetrazione psicologica”

(Einfühlung) che gli consenta di rivivere i caratteri dell’epoca che

sta indagando. La comprensione storica rivela allora una molte-

plicità di mondi (religione, filosofia, arte, scienza) che coesisto-

no, fondandosi ognuno su un proprio principio organizzativo.

Nell’individuo tali mondi si trovano l’uno accanto all’altro, sen-

za richiedere mai una conciliazione definitiva. La pluralità dei

mondi e il loro sviluppo vengono studiati alla luce di una con-

cezione biologica della vita spirituale: in ogni sfera si afferma pro-

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Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

53

gressivamente una tendenza organica che è espressione dell’auto-

potenziarsi della vita, la quale seleziona quelle verità che la favori-

scono, mentre accantona come falso ciò che le è dannoso. Esiste

quindi un’identificazione tra verità e utilità vitale.

Si può cogliere nel pensiero di Simmel una duplice accezio-

ne del relativismo, inteso sia come relazione del sapere al sog-

getto, infinitamente variato a seconda delle costellazioni spiri-

tuali e vitali a cui appartiene, sia come relazione ad un presunto

imperativo della specie di cui l’individuo è funzione. Come af-

ferma lo stesso Simmel:

Il Relativismo moderno tende a risolvere il singolare ed il sostan-

ziale in azioni reciproche e intende la personalità come il luogo e il

modo particolare in cui si collegano i fili sociali.30

Come la circola-

zione degli elementi naturali ci pervade e noi non possediamo un

essere per noi, così in quanto esseri sociali siamo in ogni attimo

composti dalle relazioni reciproche con gli altri. Da una parte, noi

ci sappiamo prodotti della società, degli antenati e dello spirito del

passato cristallizzato in forme oggettive, e d’altra parte ci sappia-

mo membri della società, intessuti con il nostro processo vitale

con il suo senso ed il suo scopo in modo tanto poco indipendente

nella sua prossimità come nella sua successione.31

La reciproca determinazione tra soggetto e oggetto, tra l’indivi-

duo come centro della rappresentazione e il mondo storico-sociale di

cui è parte (ed espressione) presenta, a mio avviso, una certa analogia

con la dottrina del prospettivismo nietzschiano. «L’intero contenuto

della vita che può essere spiegato in base agli antecedenti sociali e alle

relazioni reciproche dev’essere contemporaneamente considerato

come esperienza vissuta dell’individuo, come prodotto ed elemento

della vita sociale o come il destino centripeto del suo portatore.»

30

SIMMEL G., Il problema della sociologia, in Lo storicismo tedesco, cit., p. 466.

31

SIMMEL G., ivi, cfr. p. 503.

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Federico Creazzo

54

L’individuo di Simmel, nella sua variabile dimensione psico-

logica, non è il fondamento autonomo della rappresentazione

(Nietzsche direbbe interpretazione) se non in relazione ad una

condizione epocale e in relazione ad una utilità della specie.

Pur con tutte le differenze, Simmel e Nietzsche hanno in

comune uno sfondo di vitalismo e di naturalismo che fungono

da argine ad un relativismo confinante con il caos.

L’epistemologia storica di Max Weber rappresenta sicuramen-

te il più maturo tentativo di sistematizzazione all’interno del co-

siddetto storicismo tedesco e ne rappresenta in un certo senso il

superamento. Come storico e come sociologo, Weber escluse sem-

pre che la scienza potesse produrre giudizi sintetici sul divenire

del mondo. Questa limitazione riguardava per lui le cosiddette

scienze della cultura non meno che le scienze naturali. Ugual-

mente le discipline storico-sociali non erano per lui capaci di espri-

mere giudizi pratici in grado di vincolare l’azione. E ciò non per-

ché avesse un ideale naturalistico della conoscenza scientifica.

L’oggettivismo positivistico non rientra nella sua epistemologia

se non come bersaglio polemico. La sua epistemologia non si

fonda tanto su un modello esterno esemplare, mutuato magari

dalla fisica o dalla matematica, quanto su una teoria della cono-

scenza autonomamente elaborata. Molto importante per lo svi-

luppo del pensiero di Weber fu la sua presa di posizione di fronte

alle risposte che Dilthey, da un lato, e Windelband e Rickert, dal-

l’altro, avevano dato al problema della distinzione tra le scienze

della natura e le scienze dello spirito. Rispetto al primo, Weber

dubita del fatto che la comune radice del ricercatore e dell’ogget-

to della conoscenza nell’Erleben, nell’esperienza vissuta del mon-

do umano, possa assicurare l’oggettività conoscitiva nell’ambito

delle scienze della cultura. Dilthey aveva insistito sulla superiorità

conoscitiva del Verstehen (comprendere), come conoscenza dal-

l’interno tipica del mondo storico-sociale, sull’Erklären come spie-

gazione dei nessi causali (esterni) della natura. Per Weber, invece,

qualsiasi conoscenza che pretenda per sé validità scientifica, deve

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Il relativismo nella storia della filosofia e nell’epistemologia contemporanea

55

essere una conoscenza di cause, e rispetto a questo principio epi-

stemologico generale non fanno eccezione neanche le scienze

della cultura. L’esclusione del principio di causalità dalle scienze

dello spirito in Dilthey era dovuta probabilmente ad un’accezio-

ne troppo ristretta del concetto di causa, intesa come implicazio-

ne necessaria tra i fenomeni. Weber articola questo concetto in

modo del tutto originale e rifiuta un’ermeneutica storica fondata

sul principio dell’Erleben: la ricostruzione del passato nell’Erleben

interiore non ha quel carattere di immediatezza e di assolutezza

che pretenderebbe di avere e lo storico non può evitare di trasfe-

rire anche inconsapevolmente sull’oggetto idee di valore e signifi-

cati appartenenti all’orizzonte della propria cultura e alla sfera etica

individuale. L’Erleben pone l’accento su ciò che è comune a tutte

le manifestazioni spirituali passate, presenti e future, e che si può

genericamente individuare nella qualità creatrice dello spirito. Da ciò

deriverebbe una sorta di con-genialità tra il passato e il suo inter-

prete. Al contrario, Weber insiste sul significato e sui processi di

significazione soggettiva del mondo per sottolineare la qualità dif-

ferenziale di ogni processo individuale della cultura. Il significato, nella

sua configurazione storicamente determinata, si pone come il

principale operatore della storia e l’orizzonte complessivo dell’er-

meneutica storica. Dalla filosofia di Windelband e Rickert, Weber

trae il principio della Relazione ai Valori, modificandone però il

significato e la portata. Anche per Weber, lo storico seleziona

l’oggetto dell’indagine dall’infinità magmatica del divenire sulla base

di un criterio di valore. Diversamente da quanto sostengono Win-

delband e Rickert, tale criterio non è universale e metastorico, ma

anch’esso funzione delle modificazioni storiche della cultura. «La

cultura è una sezione finita dell’infinità priva di senso del divenire

del mondo a cui è attribuito senso e significato dal punto di vista

dell’uomo.»32

L’interesse della scienza resta vincolato a presuppo-

32

WEBER M., op. cit., trad. it. Pietro Rossi, pp. 96 ss.

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56

sti che sono soggettivi sia in senso trascendentale che in senso

storico-empirico: sia il soggetto che l’oggetto delle scienze della

cultura sono funzione della significazione soggettiva del mondo.

I significati che gli uomini attribuiscono al proprio agire sto-

rico-sociale sono per Weber l’ipotetico movente causale inda-

gato dallo storico. L’imputazione causale non può che avere un

valore ipotetico e congetturale perché non può esistere una rap-

presentazione storica di fatti esistenti in se stessi, né esiste una

trama logica o un principio di sviluppo a cui il corso storico

debba obbedire e a cui il ricercatore possa fare riferimento. Bi-

sogna resistere alla tentazione di attribuire alla storia uno scopo

metastorico, o un valore assoluto di qualsiasi tipo poiché il cor-

so storico non è altro che il continuo riplasmarsi di tutti i signi-

ficati e di tutte le mete. Il relativismo di Weber, molto più di

quello di Simmel che risentiva di una sorta di mistica del vitalismo

naturalistico, appare del tutto consono all’epistemologia del XX

secolo. Il relativismo weberiano non ha molto a che vedere con la

tendenza al soggettivismo scettico o agnostico, ma, al contrario,

costituisce una sorta di statuto epistemologico capace di dare ri-

gore e valore alla ricerca. Interessanti sono le possibili analogie e

affinità con il prospettivismo nietzschiano. Nietzsche e Weber

hanno in comune la critica del positivismo, dell’idealismo e di

ogni concezione metafisica della realtà e della storia ed entrambi

mettono al centro dell’analisi i processi di significazione soggetti-

va della realtà. Per entrambi il soggetto non è l’individuo in quan-

to tale, ma l’interazione tra gli orizzonti di significati e di interpre-

tazioni con cui è costruita la nostra immagine del mondo.