Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma · e arie dei melodrammi a sfondo storico-sociale...

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_----- LA MUSICA ITALIANA _______ _ I. Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma 1. Caratteri generali. Franco tirò i remi in barca. «Canta», diss'egli. Luisa non aveva mai studia- to il canto ma possedeva una dolce voce di mezzo soprano, un orecchio per- fetto e cantava molte arie d'opera imparate da sua madre che aveva udito la Grisi, la Pasta, la Malibran durante l'età d'oro dell'opera italiana. Cantò l'aria di Anna Bolena: «Al dolce guidami Castel natìo» [ ... ]. Ella cantava e Franco, rapito, fantasticava che aspirasse ad essergli unita pure in quella parte superio- re dell'anima che finora gli aveva sottratta, che aspirasse a venir guidata da lui, in questa perfetta unione verso la meta dell'ideale suo. (Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, 1895) La musica come destino individuale negli ambienti borghesi e come cornice dei destini comuni per la collettività: attorno a questo intreccio si viene plasmando l'identità sonora della nuova nazione. La popolari- di un' arte praticata da tutti impatta sulle sorti di un paese che si sta reinventando, dando luogo a una stagione unica nel contesto europeo e mondiale. Gli esordi dell'Italia sono marcati da un forte impulso poli- tico e civile che la musica recepisce e restituisce con enfasi: inni, marce e arie dei melodrammi a sfondo storico-sociale costituiscono il primo corpus omogeneo su cui la patria si esercita. La musica italiana nasce sotto l'egida della politica e questo sarà uno dei suoi tratti riconoscibili anche in futuro, sorta di gene incancellabile che da noi, in modo più marcato che in altre nazioni, produrrà sapere e senso di appartenenza. Nell'Italia preunitaria non c'era una lingua comune e pochi ebbero la sensazione di appartenere a una nuova nazione: a Napoli e in Pie- monte l'idioma ufficiale era il francese, negli Stati papalini il latino, nel- le province sotto il dominio austriaco il tedesco, mentre i popoli domi- nati avevano i loro dialetti, dal milanese al parmigiano alligure. A Giu- seppe Verdi studente che viaggiava da Busseto a Milano occorreva non solo un passaporto ma anche una lingua diversa per farsi capire. La mu- 3

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_----- LA MUSICA ITALIANA _______ _

I. Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma

1. Caratteri generali.

Franco tirò i remi in barca. «Canta», diss'egli. Luisa non aveva mai studia­to il canto ma possedeva una dolce voce di mezzo soprano, un orecchio per­fetto e cantava molte arie d'opera imparate da sua madre che aveva udito la Grisi, la Pasta, la Malibran durante l'età d'oro dell'opera italiana. Cantò l'aria di Anna Bolena: «Al dolce guidami Castel natìo» [ ... ]. Ella cantava e Franco, rapito, fantasticava che aspirasse ad essergli unita pure in quella parte superio­re dell'anima che finora gli aveva sottratta, che aspirasse a venir guidata da lui, in questa perfetta unione verso la meta dell'ideale suo.

(Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, 1895)

La musica come destino individuale negli ambienti borghesi e come cornice dei destini comuni per la collettività: attorno a questo intreccio si viene plasmando l'identità sonora della nuova nazione. La popolari­tà di un' arte praticata da tutti impatta sulle sorti di un paese che si sta reinventando, dando luogo a una stagione unica nel contesto europeo e mondiale. Gli esordi dell'Italia sono marcati da un forte impulso poli­tico e civile che la musica recepisce e restituisce con enfasi: inni, marce e arie dei melodrammi a sfondo storico-sociale costituiscono il primo corpus omogeneo su cui la patria si esercita. La musica italiana nasce sotto l'egida della politica e questo sarà uno dei suoi tratti riconoscibili anche in futuro, sorta di gene incancellabile che da noi, in modo più marcato che in altre nazioni, produrrà sapere e senso di appartenenza.

Nell'Italia preunitaria non c'era una lingua comune e pochi ebbero la sensazione di appartenere a una nuova nazione: a Napoli e in Pie­monte l'idioma ufficiale era il francese, negli Stati papalini il latino, nel­le province sotto il dominio austriaco il tedesco, mentre i popoli domi­nati avevano i loro dialetti, dal milanese al parmigiano alligure. A Giu­seppe Verdi studente che viaggiava da Busseto a Milano occorreva non solo un passaporto ma anche una lingua diversa per farsi capire. La mu-

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carlofiore
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Paolo Prato La musica italiana. Una storia sociale dall'Unità a oggi Donzelli, Roma 2010.
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--------_Prato, La musica italiana --------

sica colmò in un certo senso u l' , zionale in grado di farsi capi~ ~ d:1~td ~d.plne~tosi ~ome «gergo» na­desca, la musica italiana insistette d,eI la etti ocalI, Come quel1a te­e spirito che inevitabilmente ff su 1 dU~da ,fondamentale unità di stile

a ermava 1 Iventare " 1" E un popolo che condiv'd uruta po ItICal

, ra dramma, ma che non 1 a~la ula cultura, «alta», ;appresentata dal melo-simo Statd L'italianoP ava 'da ,stessa l~gua ne doveva lealtà al mede-

, era un 1 IOma scntto pe II II comune, e anche chi 1 1 " , r nu a entrato ne 'uso

:~7;P;:;::;~ =!:~;R~i~~e;;a dW;'!;5~~r:n~~o:i giorno del42o/c ' P' e d o, con punte del1'80% nel Mezzo-

, , o In Iemonte e el45% in Lombardia4

cos~:oe n~~ero dei, dialet,ti risp,ecchia l' elevata fra~entazione dei

parlare d! !na !~ili~~~~}~~;~ia;:f!:l:~~~:~~}trllda~ion~ non si .pu~ un mosaICO di aree e b 1 r 1 o onca, aso mal, dI con territori che si es::nd~~e; fuo~ra :J,ol1egate t~a di lor<;> ma anche nente5, Per com rend r 'I ~o In~ e perSInO fuon dal conti­ri influssi che h~nn er~e g Ilivi Up~I dobbIamo fare riferimento ai va-

I 1 o agito su a mUSIca popolare italiana' - a cu tura greca antica dal1a Mag G ' 11 R" ,

presente in loco; , na reCIa a a orna Impenale,

-la presenza bizantina (l'Italia è l' , , recepito gli influssi) che h f T l~ruco pa~se oC~Identale che ne ha venienti da Oriente'- grec: ~b Itat<;> IInt~grazI?ne ~I popolazioni pro-

_ 'I dII" aneSI, s aVI- emIgratI nel XV secolo' fessi~nfI:~,o e a ChIesa, anche fuori dal1'universo liturgico e c~n-

, - il peso del melodramma nel d' 'I '

favorire l'adozione di stili e b' ;'0, er~zza~e 1 ,~sto musIcale e nel _ il 1 d' " a ltu lill onentatI alI Intrattenimento'

tivo neik;~0~~~~~~~~~~:::c1 irril~vlli~ stl1~ ~ltura .po~tica m~ at-_ il condizionam mo e ,rUlzIOne artIStica assoluta;

napol~onic~e in pri~~:), ~::~~~ld~~rdar~h~hmpagnd,:litfi (quel1~ orgaruzzazIOne paramilitare con le 1 '1' anno 1 s~ o~me dI oro re ative usanze musIcalI;

I H. Raynor, Music and Soci t . 181 T: ' 2 J, Rosselli, Sull'ali dorate Il Slnd. 5,. tIIng~r, New York 1976, p., 133.

gna 1992, p, 17, . mon o muszca e Italiano dell'Ottocento, il Mulino, Bolo-

" B, ~ongiovanni, Intellettuali e M C Il . '. , . dell [talza unita, a cura di B. Bongiov~ o~ jfz:J Llr;gue e dzalettz, In Diz~nario storico

5 E, De F?rt, Istruzione, ibid. e, ra aglia, Laterza, Roma-Ban 1996.

R: Leydl, Le molte Italie e altr '. d' . " . polare In Italia 1. Forme e strutture e aquestd'!k I ;:cedr~a e ,dI studIO, In Guida alla musica po-

'Specie la Controriforma che h cura I : ey ,I, l:lm, Lucca 2001, p. 1. tura popolare, ' a generato SInCretIsffil e innovazioni in rapporto alla cul-

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_----Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma ____ _

_ il ruolo di «cerniera» operato dalle fasce artigiane, detentrici di

una propria tradizione; _ il ruolo di mediatori rappresentato dai professionisti della crea-

zione e spaccio della cultura come gli artisti di strada; _ la presenza di lavoratori organizzati su base sindacale o politica,

la cui militanza ha influenzato le pratiche culturali delle classi subal-

teme in generale7,

Distanze abissali separano il nostro Sud mediterraneo dal nostro Nord europeo, e anche zone tra loro più vicine, nonché gruppi e co­munità che condividono lo stesso territorio, Ad esempio, «il fondo sti­listico della comunicazione musicale orale piemontese è assai più pros­simo a quello anglo-scozzese che non a quello siciliano»8,

Sono quattro le aree omogenee in cui è suddiviso il patrimonio tra­dizionale, Ognuna di esse ha sviluppato uno stile esecutivo proprio e predilige proprie forme espressive: l'area mediterranea (Sud e Sicilia, dove prevale il repertorio lirico accanto a storie lunghe, a puntate, con avvio in prima persona e finale moraleggiante), centrale (lo stile è me­lodico, prevale il virtuosismo, il gusto per la decorazione, l'approccio solistico, l'improvvisazione e forme come l'ottava rima), settentriona­le (è diffusa la polivocalità, prevale lo stile narrativo che si richiama al­la ballata europea) e sarda (un mondo a parte con propri ritmi e armo­nie polivocali di incerta origine)9, A questo quadro vanno aggiunte le sub-aree delle varie minoranze insediatesi nel paese prima dell'Unità, ognuna delle quali ha sviluppato forme autoctone di musica per lo più nella lingua di provenienza: gli albanesi di Sicilia, Calabria, Abruzzo e Molise, i provenzali e franco-provenzaIi di Piemonte e Valle d'Aosta, i walser di Gressoney, Alagna e Macugnaga, gli alto-tedeschi del Ve­neto e del Trentino, i tedeschi del Tirolo meridionale, i ladini del Tren­tino e del Friuli, gli sloveni del Friuli, i russi-antichi di San Giorgio di Resia, i griki della Grecìa salentina e i grekani della Calabria,

All'epoca in cui si costituisce lo Stato unitario, la maggioranza del­la popolazione si riconosce anzitutto nella musica di tradizione orale, che si manifesta all'interno di rituali stabiliti dal calendario pubblico (religioso, agrario, le stagioni, la domenica) e privato (matrimoni, na­scite, lutti) e raramente sconfina da luoghi e tempi stabiliti per con­venzione, La minoranza che conta si riconosce in quella classica-ope-

7 F. Guizzi, Guida alla musica popolare in Italia J. Gli strumenti, Lim, Lucca 2002, pp, 6-7, 8 R. Leydi, La canzone popolare, in Storia d'Italia. I documenti, v, 2, Einaudi, Torino

1973, p. 1202. 9 Ibid., p, 1215.

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ristica, frutto di un sovvertimento delle gerarchie che operano nel­l'ambito popolare, vere o presunte che siano: è una musica che nasce come esigenza espressiva; arte che in un secondo tempo viene com­mercializzata in forma di rappresentazione, di spartito lO. Una terza fa­scia, infine, sceglie un registro intermedio ancora inespresso ma che viaggia più veloce degli altri due: quello della musica popolare urbana. Un'espressione che scaturisce non come emanazione di esigenze so­ciali e famigliari ma da una spinta commerciale giustificata da principi artistici. Si ritiene che abbia un valore in sé e la si confeziona per un pubblico che la possa consumare.

Gli stranieri in visita nel bel paese erano stati particolarmente col­piti dal talento musicale dei poveri. Charles Burney a fine Settecento nota l'eccellenza dei musicisti di strada nelle calli veneziane. Taine, un secolo più tardi, ne apprezza la professionalità a Napoli. Povertà e pre­disposizione all' arte hanno convissuto in Italia per tutto il Sei e Sette­cento e parte dell'Ottocento. La povertà è testimoniata dai resoconti dei viaggiatori (strade mal tenute, palazzi in rovina, contadini cenciosi e mendicanti nelle città), mentre l'eccellenza nelle arti e nei mestieri è dimostrata dalle numerose richieste di assunzione che giungevano da mecenati di tutta Europa: gli italiani erano ricercati per scolpire, di­pingere, decorare, fare i cuochi e i pasticceri, danzare, comporre, suo­nare e cantare e per insegnare tutto ciò a figli e dipendenti. Perciò gli italiani andavano dappertutto, spesso come migranti stagionali ben prima dell'esodo di massa che inaugura la stagione dell'emigrazione mondiale (1848-1914)11. Ma l'import superava di gran lunga l'export nell'era del turismo d'élite e le più colorite descrizioni della musica ita­liana provengono proprio dai taccuini di viaggio di scrittori e artisti stranieri. Berlioz, ad esempio, fu l'unico dei grandi a interessarsi alla nostra musica popolare, diversamente da Mazzini, Donizetti o Verdi che la ignorarono. Rousseau, Goethe, Puskin, Byron, Liszt e Wagner riferiscono di aver ascoltato le ottave del Tasso cantate dai gondolieri veneziani, la «melodia popolare italiana che più d'ogni altra ha attira­to l'attenzione, soprattutto degli stranieri, dalla seconda metà del Set­tecento»12. Goldoni ne fa accenno in numerose opere e la cosa è risa-

IO Questa è per lo meno la visione dominante nell'Europa dell'Ottocento, prodotta dall'ideologia romantica che esalta la creatività dell'artista libero dai condizionamenti del mercato.

Il J. Rosselli, Il cantante d'opera. Storia di una professione (1600-1990), il Mulino, Bolo­gna 1993, pp. 13-4.

12 Leydl, Le molte !talie cit., p. 30.

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Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma-----­--. d Il fine del Seicento. La prima trascrizione risale al 1768, per

Puta sm a a . d h t . di Giuseppe Baretti a Lon ra, c e commen a.

mano . . ersi e er le rime e quasi tutti fra loro, compre-essi sono molto portat~ per I ': l? d Il' Ariosto e del Tasso accanto a molte se le dor:~e, l?ossll~~:%:r:~:ol ~k~~hé ~n scritte in quel tipo d! stanza l che nli COmp?SIZlOlli ne. Q t ottave e quelle dei poemi è assai agevo e asco -chiamiamo ottava nma. ues e. . 13

l cantate specialmente al chiaro di luna . tar e , . . . . Ch' ia e Venez1a rec1tano e N ll'Ottocento 1 «contastone» a lOgg .

e . bblico 1'Orlando furioso, l' Orlando tnn~rr:ora:o, commentano m p~ antano le ottave del Tasso. Tartm1 le c1ta la Gerusalemme lterata. e c La pratica di questa letteratura orale in

f:!~~~a~:a~~~ori~::c~~:· fino a inizio Novecento, all'interno di un

rituale specifico: . . . . . . Il d onde opposte dei traghettz ed Il pnmo m-

i canton SI collocano ~ ': U{ sp de di solito al quarto verso e el frade-tuona un' ottava a capnccld· l a sOìpe; e continuarla senza interruzioni. Se lo che sta dall'altra parte. e calnahe l"tev

di vino è la sua pena per aver com­sbaglia ha le beffe di tutti e qua c e I ro piuto l'errore". .

Dali' arte Pl~e:~v~ ~:~ a~p~~;~:~~~ b'ae::lli~ ~h:ì~~:'~n:::~ comr peaPssOaet~~po ma anche durante il lavoro. Se a VeneZ1a scomp.abre 0-pe . l' . f o al 1920 con 1 arca-'11850 nel Basso Polesme usanza res1ste m . .. Il' po l, .' l . d . f Uml con l crtve t-roli che traghettav~no ge.nte al «pasd~l vo ~ntI» e~~ cri~ello) che avvi-

. (l . e cereah SCOSS1 a tempo 1 mus1ca con . m egu~ . . d l loro arrivo e con le zzaparesse (contadme za~­sava~<? 1 v1a~glaton e C:r memoria e resistenza, nell'oscun­patnc1). E Sl facevano. gare a due, d1 l l ( n ramo dell' Adigetto) si tà: procedendo sulle nve oppo~te e cana e u re chilometri di di­passavano le strofe fin~ a raggll:l~l~ere un ponte a t " stanza. Perde chi non ncorda plU . .., l .' f-

Per una mentalità borghese che osa ma p01 nnunC1a, a ~,us1ca sll~ta

fre come alternativa creativa, 0d~casion~ perduta te;t~a~~f~~z~o:~aica realizzazione individuale. «O 1sseo nconosce a del canto», scrivono Horkheimer e Adorno.

Il Ibid., p. 87. .. . 'b 'd 90-1 Nel 1926 un osservatore rileva l'usan~ 14 Silvio Bonmartlm (1904), Citato t t ., pp. dal' lt battello l'altro sotto il ponte di

. . ' t esuunsan ooa ro , za ancora negh anm venti: un can or . Sant' Andrea davanti a un folto pubb~co ~p. 93). . . rimi dell'Ottocento vi sono canzo-

15 Ibid., p. 95. Fra le molte melodie nc<?nosc!ufe al p monizzata e dunque per canto e nette veneziane, siciliane e tar~telle, Pbbb~cate ~n ~r:ili a;omanticis~o quelle melodie po-pianoforte dirette all'intrattemmento org ese. nt~s. ducativo' polari venivano travestite ed edulcorate a scopo patnottlco-e .

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Eg!i si ~hina al canto del piacere, e lo sventa, come la morte L'ascoltato legato e attirato dalle Sirene come nessun altro Solo ha d' '1 . re do che d d . . ISPOStO e cose In mo­

, pur ca uto, non ca a In loro potere16•

Il mito di Ulisse simbolizza il rapporto che i bor h . h . staurato c l . , g eSI anno m-

I . on a musica: un attrazione fatale che può essere neutralizza-

ta so o m partenza, scegliendo l'inibizione. Q~ando la musica è finita, resta il rimpianto. La solitudine delle no-

te, prive della pesantezza delle parole libera l'l'mm' . l . . d" ' agmazlOne e spa-;~c~, orIzz?n~1 . I g~OrIa, c~nfinati nel sogno, mentre la musica espri-

.I ,m.esprImIb~le, tl:a ~OrI da una persona qualunque l'estro, l'ori i-nahta, tI nucleo IdentltarIo oppresso dall'io razl'onal È . g . . d ' e. un tema ricor-rente nel romanzI elI Ottocento come la saga di Ant . F tra mondo antico e mondo mode~no: omo ogazzaro

per t~ ~lPro~isazione mus!cale gli riusciva meglio delle elaborate poesie . c e.I suo Impetuoso sentIre trovava nella musica una es ressione iù f

c~le.e pIeni a, e g!IIlscrupoli, le incertezze, le sfiducie che gli r~ndevano fatic~~ SISSImo e ento 1 avoro della parol tasi~. !,-ll~ra. si abb.andonava all' est:~ ~~r~~:~~r;;,~a~b~=~~~~~~ ~~~ua !an-~:I!I, \~~Iaridocchi parlinti ridicevan ogni sfumatu;a dell'espression; :u~~~ l ' g 1 SI ve ~va sotto e guance un movimento continuo di arole inartico-

p~:~; i:e;~?~i~il:~~t;o~lanto a~!li, non t'cito sciolte, fa~evan cantare il

il più intenso sforzo int~llet;~:le e~I P::::iva

as::n

tono all'altro,.mettendo per cosÌ dire lo strumento c l d' 9 d' p &g , ansando, sVIscerando, . S'' on e IeCI Ita e quasI anche cogli oc h' d

ti. era messo a suonare sotto l'impressione del chiaro di lun c 1 ~r en­nando, tristi nuvole gli eran uscite dal fondo del cuo C ~, md~ pOI, suo­gnata da .. l l' . re. onscio 1 avere so­r ' d' glOVInett~, a g ona e dI averne quindi umilmente deposta la spe-

i:;a~!i:l'::i ;~:::: ;~~1:1~i~;en d~:;:g:;s~:=ffha;~:l~~!ad~;:;:i~:: ~:~ sua quella :t7::a ~h Dzoì l?erche neppur LUisa mostrava far dell'intelligenza

~eppu: Lui~a, il ~u;r del~~~~:o~~~:~: kd~;ae ~r:~~~:~:~:el:~:!n~uei~ Sica e 1 SUOI versI ma non gl d . . :~~J~a1~nsava cdÌle suo~:;:":e!l:t;~I~m;;~~;;,u:U~~:~dov:~ Z~d :;:!~~

l mento e suo amore, ti tlmldo segreto la t h ' avrebbe osato mettere in parole ". men o c e mal non

" M. Horkheimer - T W. Adorno D' l t' d ll"l" " [1947), p. 68. Non a caso chl c~de al ' .Ia ~ tlCa . e l,""!ZnlSmo, Einaudi, Torino 1974 della civiltà occidentale _ vende la pr~~ ~usI~a e ~~ chf- cI.tando un altro mito fondativo to di virtuosi maledetti di suonatori_strna an~m.a ~v? o e SI cond~a a vivere in un ghet­sto indispensabili e fo~emente desiderate~oru aI marglnI della comurutà ma proprio per que-

"A F ' 1. . ogazzaro, PICcolo mondo antico M d d . M'l sivi nostri). La vicenda si svolge negli a ' .. on ili on, 1 ano 1969 [1~95], ~p. 158-9 (cor­Lombardo-Veneto. nru lmme atamente precedenttl'Urutà d'Italia, nel

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_----Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma------

«È intorno alla metà del Settecento che la musica si fa patrimonio universale, bene comune e di consumo per tutti»18, La famiglia bor­ghese vi si dedica per diletto, per esibire uno status, un' educazione. Il dilettantismo è accettato meglio del professionismo, perché la musica come passatempo non chiede di vendere l'anima al diavolo:

Luisa venne al piano in punta di piedi, stette ad ascoltar suo marito, a sen­tir la bellezza, la ricchezza, il fuoco di quell' anima ch' era sua e cui eli' apparte­neva per sempre. Non aveva mai detto a Franco «segui questa via, scrivi, pub­blica», forse anche perché giustamente pensava, nel suo affetto equilibrato, che non potesse produrre opere superiori alla mediocrità, ma soprattutto perché, sebbene avesse un fine sentimento della poesia e della musica, non faceva gran­de stima, in fondo, né dell'una né dell'altra, le piaceva che un uomo vi si dedi­casse intero, ambiva per suo marito un'azione intellettuale e materiale più vi­rile. Ammirava tuttavia Franco nella sua musica più che se fosse stato un gran­de maestro; trovava in questa espressione quasi segreta dell'animo suo un che di verginale, di sincero, la luce di uno spirito amante, il più degno d'essere ama­to. Egli non s'accorse di lei se non quando si sentì sfiorar le spalle da due brac­cia, si vide pender sul petto le due piccole mani. «No, no, suona suona», mor­morò Luisa perché Franco gliele aveva afferrate; ma cercando lui col viso su­pino, senza rispondere, gli occhi e le labbra di lei, gli diede un bacio e rialzò il viso ripetendo: «Suona!» Egli trasse giù più forte di prima i due polsi prigio­nieri, richiamò in silenzio la dolce, dolce bocca; e allora ella si arrese, gli fermò le labbra sulle labbra con un bacio lungo, pieno di consenso, tanto più squisi­to e ricreante del primo. Poi gli sussurrò ancora: «Suona». Ed egli suonò, feli­ce, una tumultuosa musica trionfale, piena di gioia e di grida. Perché in quel momento gli pareva di posseder tutta intera l'anima della donna sua mentre tante volte, pure sapendosi amato, credeva sentire in lei, al di sopra dell' amo­re, una ragione altera, pacata e fredda, dove i suoi slanci non arrivassero

19•

La borghesia dell'Italia pre-unitaria si diletta in duetti tra pianofor­te e fagotto a cui dedica pomeriggi in giardino. C'è chi suona bene il flauto e dà lezioni di musica oltre a esibirsi nelle «orchestrine dei tea­tri di commedia»20, Nell'Italia ormai pronta a staccarsi dall'austriaco i soldati portati lungo il Ticino dal vaporetto al grido di «Savoia», can­tano a squarciagola Addio mia bella addio, l'armata se ne va

21• Per le

classi colte dell'Italia di primo Ottocento era la norma andare all' ope­ra quattro, cinque volte la settimana. All'indomani dell'Unità sono 1055 i teatri di prosa e d'opera presenti in 775 comuni. Se quella di tra­dizione ha caratteri e pubblici diversi, la musica d'arte da subito unì le

, ,18 A. Basso, Accademia, conservatori, sale pubbliche da concerto (XVII-XVIII secolo). So-'!eta corali e gruppi amatoriali nel XIX secolo, in Enciclopedia della musica, diretta daJ.-J. Nat­tlez, I, La musica europea dal gregoriano a Bach, Einauai, Torino 2004, p. 493.

l' Fogazzaro, Piccolo mondo antico cit., pp. 160-1 (corsivo nostro). 20 Ibid., p. 270. 21 Ibid., p. 382.

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popolazioni di Nord e Sud: il pubblico dell'opera era la classe media tanto in Piemonte quanto in Sicilia e un compositore come Donizetti era popolare sia a Napoli che a Milano22

• La musica, tuttavia, non è so­lo evasione e divertimento. È anche disciplina e fonte di reddito per chi ha scelto di studiarla, in omaggio a una tradizione di famiglia o per mi­gliorare la propria condizione. Un censimento del 1873 effettuato dal ministero della Pubblica istruzione rileva l'esistenza di 2047 bande (120 con una propria scuola musicale), 165 fanfare, 86 corali (25 con una scuola di canto), 80 accademie e società orchestrali, 17 cappelle e 173 scuole musicali23

• Sono numeri da nazione evoluta, nella quale l'ap­prendimento della musica appare radicato nel territorio e appannaggio di organismi municipali, religiosi e militari. Ma nell' ordinamento sco­lastico è e sarà latitante fino ai giorni nostri: il compito di tramandarla alle generazioni successive è monopolio dei conservatori, i quali

debbono il loro nome alle vecchie scuole di carità dove, con il lodevole inten­to di insegnare un mestiere, venivano raccolti a studiar musica bambini ab­bandonati, o ciechi, o appartenenti comunque alle fasce meno privilegiate del­la popolazion&'.

In questi luoghi i bambini e i ragazzi - di estrazione popolare - en­travano in contatto con la musica (colta) ma poi, una volta usciti, riu­scivano a malapena a ingegnarsi per strada come suonatori ambulan­ti

25• Per un lungo periodo il mestiere di musicista ha rimandato ai più

bassi strati sociali: chi lo imparava e riusciva a trame guadagno erano i figli del popolo che lo esercitavano in pubblico in un'attività sconfi­nante nell'atto del mendicare. Solo a metà secolo, con la crescente dif­fusione del pianoforte nel salotto borghese, suonare diviene oggetto di attenzioni da parte delle classi più agiate e ancor più delle classi medie che se ne servono come status symbol, quando l'aristocrazia l'aveva da sempre coltivato, in tutte le epoche26•

22 M. Sorce Keller, Reflections of Continental and Mediterranean Tradition in ltalian Folk Music, in Music Cultures in Contact: Convergences and Collisions, a cura di S. Blum, Current Press, Sidney 1994.

13 M. Ruggeri, Lo Stato e l'associazionismo musicale dallo Statuto albertino alla crisi di fi­ne secolo, in Accademie e Società Filarmoniche, Atti del Convegno di studi nel bicentenario di fondazione della Società filarmonica di Trento (1"-3 dicembre 1995), a cura di A. Carlini, Prov-incia Autonoma di Trento, Trento 1998.

l4 R. Leydi, L'altra musica, Ricordi-Giunti, Milano-Firenze 1991, p. 184. Z5 Proprio gli ex allievi delle scuole di carità hanno svolto un importante ruolo di media­

tori fra ambito colto e mercato popolare, introducendovi materiali mediti. 26 Suonare per diletto, si badi, non per denaro: cfr. il passo da Piccolo mondo antico cita­

to in precedenza.

lO

-----Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma

2. Il melodramma, la musica etnica del popolo italiano.

. . d bb' mascherare tutti e tre, e la nostra maschera-«Dome~lc~ sera CI 011 lamo l 'ta che portò a casa l'altro giorno lo

ta deve somlghare a que a stampa co on , zio Eugenio ... » "

«Quale stampa? .. », domando OrazIo. . l «Quella che rappresenta la fam~glia d~l ~obbo Rigo etto». E h' , to Rigoletto?», chiese Plenno.. u d'

« C I e ques 'ì Gr ' l obbo rifatto in musica dal maestro ver l ... «Non lo conoscI. I eque g l f' l uello che dice: La donna è mobile Co lUme a etto ... ». .. .

q (C l Collodi Una mascherata di Carnevale OSSia t sotterfug)t, ar o, in Storie allegre, 1887, pp. 65-6 .

. E la nascita di ogni nuova nazione andava di pari Mentre m uropa . l h l' . d' na ro ria «scuola» mUSIca e c e va onz-

passo co~ la cr~iZ1Ot~~m~~0 f~lkl~rico ereditato dal passato, in Italia

~~::t;:~~;~o~e~:o inverso: la «scuo~a» na~ionale ~r~ già ~~~~::s::i l· La nascita della nazione è succeSSIva e SI compIe m m .

co 1. . Il . , . ta dalla mUSIca .,' erte e difficoltose nspetto a a matunta raggmn l . pm mc r' N l d'Europa a mUSIca ar­i~alia.na per eccellenza, l' ~~e~~ lr~l~re l: :~~;iuta unità politica e im-

nva m un ~:~~i~ ~rf~bbrica~gmediante il quale rappr~sentare q~ella por~e un « l do Da noi è già arrivata e l'unità naz10nale sem re-naZ10ne ne mon . . l d' l' e rebbe correrle dietro mossa da un goffo lmpu so 1 emu .~zlon ..

., nché un modello di mtrattemmen-L'opera lirica. era u~ !?enere ~JSt~c~, no . ro rietà e il cui copyright ita-

to e di propiziaz~one di mc~ntn soclhh, e~aa~~1 Xm!sti come tali indiscussi per liani, italianissiffil e~ano stati, ed anc e rt' stico di riconosciuta e riservatissi­secoli. L'opera, anZitutto, era. un gend~e.~ I, ra eraltro mantenuto anche co­ma invenzione italiana. Nel nsp~t~°ri~~d~~bilme~te un genere ita~ofono. I~alo­stantemente, patentem~nte, Jy.asllr h l pere (liriche) concepite e scntte ~ fono per quattro ~uo~ seco : tanto l' e lO ondo ove si tentava in più modi vario titolo, e in dIVerSI tempI, .qu~/ a ,ne m nazi~nale non-italiana, scritta in di realizzare il sogno della nasClt.a I un oper~esso autorizzato ad una vera dif­lingua non-italiana, per avere pn!da o pOi ac tutte prima o poi sottomettere al­fusione Il:l0ndi~le, .qu~lle .opere .Sl ovevan~orso ed essere accettate all' estero _ la tr~duzlOne nt~lca It~hana ~sla pe~ dr~:do er aver diritto d'asilo nella l~ro specie nell~ colome -, ~Ia anc e, no « enere d~s ortazione»; sia d'esportazlO­stessa patna). Inoltre l operciera un( g 'torr cantanti impresari, ovunque ne di manufatti che di mano opera compos.1 l '. ra~de a enzia di fuga e proverbialmente ital!ani); er~ stat~ per .~ecoh i~t~~~~ archeti~o del made in vendita all' estero del cervelli nazlOna~I,. era, d' .' h fl'n dalla sua prei-

l l' tt di una tra IZlone c e-ltaly: una merce e etta ne nspe o f . f . di evoluzioni del gusto e della storia barocca - aveva attraversato as~ e ttasll"m ronta di un sistema di pro-f .. . . t nendo sempre mta a I p . rulzlOne artistica mano e bT 'r 'tata frutto dijoint ventures m-duzione quasi-industnale, a responsa I lta Iffil ,

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---------- Prato, La musica italiana --------

~t;:lttuali, ~rI~~amm~to su~la sc~>rta di sofisticate ricerche d'ottirnizzazione e .rd~~ eg I mfvestlme~lt!~ o~tlnatamente tenuto in vita nonostante i falli­

menti Impresa, requentlSSlml per non dire fatali".

Itali~nità ~~l~'opera, ~unque, a cominciare dalla parola stessa, adot­tata cosI.com e ~n tutto Il mondo, da secoli. E monopolio italiano nel io;do, Industr.la ~ultura~e ante litteram, laboratorio sociale nel quale ~ Iver~e claSSI ~ InCrOclan.~ pur nella rigida separazione dei posti. l °rra.e d~~o~a tI gen~re plU Importante inventato nell'Italia musica­h' a cUI 1. SIOne puo essere paragonata, ma per eccesso al cinema rJllywoodltno e al Ja:z per, l'America o alla telenovela pe; il Brasile.

emmeno a com~edla dell arte o la pittura rinascimentale hanno e­nl~rato una produ:IOne culturale altrettanto ricca nell' arco dei secolE E a or~, c~me moltI sostengono da qualche tempo (e cioè, da quando il termIne e entrato nel vocabolario corrente) bisognerebbe .. . d h l ,COmInCIare a consI erare anc e a nostra musica seria come una musica «etnica» e ~on come la Music~ (con la maiuscola) cui rapportare tutte le altre28 d Ife? come «SOStItuto ~el folclore italiano perduto (perduto a caus~

e a ortuna del s,:<? sostI.tu~0»>29. Ma più che perduto, mai esistito in quant? tale, perche In ItalIa Il folklore si declina solo al plurale su b se ~egIOnale, per~ino provinciale, in un paese che, al tempo deÌI'unif~~ c~)lOne (e n1n Cl saranno mutamenti sostanziali nel corso dei decen­ru , aVd'v~ so. o l'opera c.ome possibile linguaggio nazionale ma non cer­to tra IZIOru che non SI potevano parlare e far conoscere.

Per trasformare una nazione incompiuta in una nazione a . r ff . °hiorreva riferirsi ~ una c?ltura unificata e canonizzata e la m:~~: ~ lo~gitl~ ~ ~meremmo musica etruca - apparve come un lin a io al . Ispirava e aspirava all'etnonazionalismo dell'Europa~_~!siècl!;~natlvo, che

d.ln Europa furono le canzoni popolari, che prima circolavano in la. etto attraverso la ~omunicazione orale e poi furono raccolte tra-

scntte e trasformate In canzoni d'arte nella lingua della .' svolge l d' d' naZIOne, a re un ruo o avanguar la proprio nella codifica di quella lin-

27 G M Ili L' . di M. Is~en;hl, iate~~:r~~~~!;~h:9dge7Ila m

4e7moria. Simboli e miti dell'Italia unita, a cura

" Ib'd L d" , p. . 1.; ey l, L'altra musica cit In antici . .. . , ~erica~do Aallan P: Merriam sfatava la 'pretesa «Jci~ç;~~~»a d~II~:~ep~ri:~Z:ru, I ~naltroPdologo tlca OCCI ent e dimostrando che anche le 'h' " ... mUSlc e e este­cal,e, degli specialisti dediti alla musI'ca e u tn u plU Pd~ffiltlv~ posseggono una teoria musi-

'1 n concetto I «estetico» che pe altr .. d ~~~ide~~t;~u~~fs:~~~~a;:rJ~~sto lo rt;nde rel~tivo. La cho,nclusio~e è :h~ ;:enl~~~~ic: ticolare (A p. M . me musica «etruca», perc e espressIOne di una cultura ar-

29 M '11: L~rnam, (lntropologta della musu:a, Sellerio, Palermo 1983 [1964]) P ore l, opera Clt. p. 48 .

"P.VBhl ''-History: ~c ~LI~,aS~~::;b:a 1o~4uroP5e8an Nationalism. Cultural Identity and Modero

,p. .

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guao Da noi sarà l'opera il luogo di una memoria nazionale e i teatri, che Barilli definì «rosticcerie del sentimento pubblico»>!, illaborato­rio di un nuovo comune sentire. La forza dell' opera è nel suo essere uno spettacolo «totale», da guardare e ascoltare, che mette in primo piano voci «innaturali» e personaggi in costume sullo sfondo di sce­no grafie che ricreano epoche e situazioni; è nell' offrire un' esperienza alternativa trasportando lo spettatore in un mondo parallelo, metten­do tra parentesi quello in cui egli era vissuto fino a un attimo prima (sarà la stessa forza che promuoverà il cinema a intrattenimento di massa nel Novecento); è nel presentare una storia a suon di musica, insinuando la possibilità - irreale ma del tutto verosimile - che la vita possa scorrere cantando, scandita da arie, romanze e duetti d'amore, che l'assurdo possa diventare reale, in una sorta di ribaltamento car­nevalesco in cui «un uomo viene pugnalato e invece di morire si met­te a cantare» (George Bernard Shaw).

La musica classica non ha questa forza, per il volgo. La sua unidi­mensionalità obbliga ad ascoltare e basta, una successione di note, fra­si e insiemi sonori che vanno decifrati per generare senso. E difatti l'unica musica strumentale che piace ad ampie fasce di pubblico è quel­la che fa ballare, perché funziona per uno scopo.

Se la musica classica resta appannaggio di una minoranza tanto nel­l'Ottocento quanto in epoche successive, il melodramma svolge una funzione pedagogica di massa pari solo (forse seconda) a quella opera­ta dalla tivù negli anni cinquanta. Strumento di alfabetizzazione e ac­culturazione, essa ha rappresentato, col servizio militare, la più impor­tante scuola d'italiano delle classi subalterne, un mezzo d'elevazione sociale attraverso la presa di contatto con una cultura dai caratteri più astratti e universali32

Ma il popolo lo ha conosciuto soprattutto grazie a figure profes-sionali che mediano fra campagna e città: da loro (spesso maestri di musica che possono vantare una regolare istruzione) traggono impul­so formazioni dilettantistiche come le filarmoniche, le orchestre a plet­tro e le ocarine, i flauti brianzoli, gli arpisti viggianesi, portatori di «un repertorio cosmopolita, urbano, attento ai gusti musicali in auge pres­so il pubblico borghese delle città» che li ospitavano". E soprattutto le bande di paese, che raggiungono il loro momento di massima espan-

. )\ B. Barilli, Il paese del melodramma, Einaudi, Torino 1985 [1929], p. 89. Mattioli ag­gIOrna il concetto parlando di «microonde della commozione» (A. Mattioli, L'epopea del Ri­sorgimento? L'ha raccontata Verdi, in «La Stampa», 28 gennaio 2010).

J2 Cfr. T. De Mauro, Storia linguistica dell'Italia unita, Laterza, Roma-Bari 1976. lJ Guizzi, Guida alla musica popolare in Italia 3. Gli strumenti cit., pp. 386-7.

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sione all'indomani dell'Unità: sono oltre quarantamila i musicisti coin­volti nelle duemila bande che svolgono un ruolo fondamentale nella diffusione del repertorio d'opera, specialmente nei centri minori. Ma l'idea «romantica» che anche le genti di campagna potessero fruire di­rettamente di quelle meraviglie è un falso. Come avrebbero potuto, se i teatri erano lontani, non c'erano mezzi per spostarsi rapidamente e la vita dei campi lasciava poco tempo ed energie per sé? Il melodramma arriva a lambire gli strati popolari grazie alla politica dei prezzi e al de­centramento in arene e politeami, ma anche attraverso forme di volga­rizzazione come il teatro di stalla o di miniaturizzazione come il tea­tro dei burattini e delle marionette. Per quanto giunga in forma me­diata e ridotta, il suo impatto sarà comunque devastante perché scrit­to nel suo linguaggio «innaturale», nell'artificio del bel canto che tra­sforma/deforma una voce in un registro di soprano, tenore, baritono o basso. Nessuno o quasi canta così se non istradato da una disciplina e una pratica di anni. L'artificiosità, la distanza del bel canto (il veicolo di contenuti già di per sé fiabeschi, impressionanti, straordinari ... ) dal modo comune di intendere la voce creano in partenza un effetto di me­raviglia che giunge come un ciclone sul pubblico di ogni strato socia­le, ma è ovvio, l'impatto più straniante è su coloro che ne erano più di­stanti. Proprio per questa sua capillarità, «il melodramma ha alimenta­to l'immaginario - civile e politico oltre che musicale - con i suoi con­tenuti spesso altamente laici e patriottici»34.

La fine della cultura pubblica nell'Ottocento è la storia di uomini che hanno perso gradualmente il credo nelle loro possibilità espres­sive e che per compensazione hanno elevato l'artista allivello di una persona speciale in quanto riesce a fare ciò che la gente comune non riesce. L'artista è colui che esprime in pubblico sentimenti credibili in modo chiaro e libero. Da qui il suo ruolo «guida» nella coscienza collettiva35.

La cultura serve a proteggere la società. Le creazioni spirituali, le tradizio­ni e le istituzioni non sono che vie e mezzi dell'organizzazione sociale. Reli­gione, filosofia, scienza e arte hanno funzione conservativa della società,

scrive Hauser, sostenendo che l'accettazione dell'arte negli strati più b~ssi avviene quando questa è portatrice di valori di sicurezza e appa-

34 S. Pivato - A. Tonelli, Italia vagabonda. Il tempo libero degli italiani dal melodramma alla pay-tv, Carocci, Roma 2001, p. 24.

35 R. Sennett, The Fall oJ Public Man. On the Social Psychology oJ Capitalism, Vintage, N ew York 1978, p. 266.

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gamento di fantasia36. Quali sono allora .i valori che hanno }?ermess? a! melodramma di conoscere una popol~ntà senza pr~ce~entI? Qua~l gh elementi che hanno scatenato la fantaSIa dell?opolo ltal~ano m og~l.1 suo grado? Un osservatore particolarmente sensIbIle al regIstro «nazlOnal­popolare» come Antonio Gramsci indicava due motivi alla base di que­sto «successo»: uno legato all'idealizzazione di personaggi del mondo degli emarginati, gente umile che assurge al ruolo di protagonista; l'al­tro legato alle vicende e a.spirazio~ ri~?r~im.e~tal~ ~econdo cui «l'opera lirica rappresenta uno del momenti plU ~lgmflCatIVI ~el pro~e~s? dI c~­struzione dell'identità nazionale»37. Nel programml bandIStiCI predI-sposti per la festa d~llo St~tuto,.Ia. Marcia.R.eale ~ l'Inn? ~i ~~rib~l~i si alternano ad arie dI VerdI, Belhm e Rosslm, cancate dI slgmflcatl SIm­bolici ben oltre i loro contenuti, che non ricalcano certo quelli di alcu­ni cori verdiani esplicitamente «civili» (il Va', pensiero su tutti).

«L'aristocratico è ciò che rappresenta, il borghese ciò che produce», ha scritto Habermas38. Il fascino del teatro, quintessenza della rappre­sentazione, ha conquistato prima la borghesia e poi le classi più povere _ rurali e urbane - determinando una fatale attrazione verso un mondo vagheggiato, che si dipanava di fronte ai loro oc~?i nel t.eml?o e .nello spazio di una serata. Quanto basta per segnarne llmmagmano e mne­scare un' assimilazione di valori e modi espressivi destinata a durare.

L'egemonia romantica, che è egemon~a borghese, nell'Italia risorgim~nta!e si esercita come egemonia melodrammauca, come droga melodrammauca, l!l primo luogo, e per eccellenza, di maniera verdiana. ~l me.lodrammatese ~spn­me il gusto, la sensibilità, l'ideologia borghese, espnme Il «popolo» del bor­ghesi, parole e musica, ma conquista, senza resistenza alcuna, e durevolmente, gli «ottentotti», in massaJ9

N ell' eccezionalità dei personaggi, delle situazioni, dei costumi e nella fascinazione musicale ostentata dal melodramma si può riscon­trare un fervore di tipo religioso che anche la politica fa su040

• L'incan­to prodotto da una vita straordinaria, un eroe, un modello che tra­scende la quotidianità, è di casa nel mondo dello spettacolo e lo spet-

36 A. Hauser Le teorie dell'arte, Einaudi, Torino 1974. Il sociologo marxista sposa in questo caso l'int~rpretazione della cultura della più ortodossa sociologia americana, quella di cui Talcott Parsons fu il massimo esponente.

37 Pivato _ Tonelli, Italia vagabonda cit., p. 22. . l8 J. Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica, Laterza, Ban 1962, p. 25. 39 E. Sanf?1:1ineti, Verdi in technicolor, il melangolo, Genova ~001, p .. 4~. . . 40 «Il deSiderio di esperienze diverse da quelle offerte dalla Vita quotidiana, di ~sl?enen~e

"esaltanti», è alla base di tutti i culti religiosi e da questi si trasferì pOi anche alla religIOne lai­ca della politica» (G. L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e mo­vimenti di massa in Germania, 1812-1933, il Mulino, Bologna 1974, p. 27).

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tacolo più magniloquente dell'Ottocento era il melodramma. Ovvio che questo esercitasse un potere di lusinga cosÌ forte proprio su colo­ro il cui stile di vita era agli antipodi, cioè più lontano possibile da ciò che essi guardavano estasiati assimilandolo e aspirando a emularlo in privato. Una scuola d'italiano e di comportamento cosÌ autorevole quanto più portava in sé le stimmate dell' esperienza religiosa e della politica. In più, agiva una predisposizione atavica del popolo

pei concettini, pei ghiribizzi, per le iperbole [ ... ]. Quando s'appropria di ri­spetti altrui, quello de' letterati che cercano di imitarlo, sceglie i più lambicca­ti. CosÌ gli par d'innalzarsi e finge di capire e di gustare ciò che non capisce. Si badi alle prediche del curato in campagna. Il prete che parla semplice, sensato, poco piace. Ma il contadino sta a bocca aperta dinanzi a quello che sfoggia pa­rolone e lo stordisce collatinorum41

«La magia del teatro deve compensare la realtà della vita», secon­do il programma politico del wagnerismo messo a punto durante il nazismo. La messinscena doveva «suscitare la massima impressione illusoria nel pubblico, dandogli cosÌ la sensazione di vedere realizzati i desideri da lui vagheggiati»42. Con il melodramma ottocentesco la stessa cosa avvenne in modo naturale, senza forzare la messinscena per scopi politici.

Ha scritto Adorno: «L'opera supplisce più di qualsiasi altra forma la cultura borghese tradizionale per coloro che in realtà non sono par­te di questa»43. Questa inclinazione popolare verso i sentimenti esage­rati e la retorica artificiosa ha caricato di significati ambigui il termine «melodrammatico», spesso associato a incultura, degenerazione della vita vissuta come «un modo di sentire e di operare straordinariamente affascinante»: la via preferenziale scelta dal popolino per fuggire da ciò che «ritengono basso, meschino, spregevole nella loro vita e nella loro educazione per entrare in una sfera più eletta, di alti sentimenti e di no­bili passioni»44. Il teatro d'opera è una passerella sociale, ha scritto Ros­selli45. Mentre Hauser sottolinea che

41 C. Tenca, recensione ai Canti popolari toscani (1878), citato in C. Bermani, Carlo Ten­ca i canti popolari e le ricerche a Clusone, in Modestina la va a la moria. Canzoni popolari b~rgamasche dell'Ottocento 1 - Il Fondo Carlo Tenca, a cura di C. Bermani, Quaderni del­l'Archivio della cultura di base, Sistema bibliotecario urbano, Bergamo 1985.

42 B. von Arent, Die Kunst im Dritten Reich (febbraio 1939), citato in Mosse, La nazio­nalizzazione delle masse cit., p. 132.

"T. W. Adorno, L'opera lirica, in Id., Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Torino 1971, p. 101.

44 A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, p. 969. 45 Rosselli, Sull'ali dorate cito

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il popolo, quando poeteggia, non si dà atteggiamenti «naturali», come ritene­vano i romantici, bensÌ si presenta, sia emozionalmente sia linguisticamente, nel vestito della domenica".

Un critico come Gramsci identifica melodramma e folklore pre­correndo (seppur con intento polemico) la moderna lettura dell'opera come musica etnica italiana:

Il melodrammatico nella vita e nell'arte si mostra come forma autoctona italiana di un folklore con qualità provinciali, particolaristiche o anacronisti­che; qualità di una «classe priva di caratteri universali»47.

Se Inghilterra e Francia hanno avuto il romanzo popolare, questo all'Italia è mancato, sostituito dal melodramma, che altro non è che ro­manzo popolare in musica. Gramsci attribuisce alla musica di Verdi, o meglio, al libretto e all'intreccio dei drammi da lui musicati il diffon­dersi di «tutta una serie di atteggiamenti "artificiosi" di vita popolare, di modi di pensare, di uno "stile"»48. Il gusto melodrammatico osten­tato dal «popolano italiano» consiste nel credere

che la poesia sia caratterizzata da certi tratti esteriori, fra cui predomina la ri­ma e il fracasso degli accenti prosodici, ma specialmente dalla solennità gonfia, oratoria, e dal sentimentalismo melodrammatico, cioè dall'espressione teatra­le, congiunta a un vocabolario barocco".

Questo gusto si è formato non attraverso la lettura, che avrebbe po­tuto estendere l'alfabetizzazione e alzare il livello culturale, ma attra­verso le manifestazioni collettive, oratorie e teatrali: comizi, oratorie funebri, nelle preture e nei tribunali:

queste manifestazioni hanno tutte un pubblico di «tifosi» di carattere popola­re, e un pubblico costituito (per i tribunali) da quelli che attendono il proprio turno, testimoni, ecc. [ ... ]. L'aula è sempre piena di questi elementi, che si im­primono nella memoria i giri di frase e le parole solenni, se ne pascono e le ri­cordano. CosÌ nei funerali di maggiorenti, cui affluisce molta folla, spesso so­lo per sentire i discorsi. Le conferenze nelle città hanno lo stesso ufficio [ ... ]. I teatri popolari, con gli spettacoli cosÌ detti da arena (e oggi, forse il cinemato­grafo parlato, ma anche le didascalie del vecchio cinematografo muto, compi­lato tutto in stile melodrammatico), sono della massima importanza per crea­re questo gusto e il linguaggio conforme50

Eppure c'è del buono in tutto ciò, qualcosa di ingenuo e commo­vente nell'artificiosità adottata dal popolo emulatore e tifoso degli in-

46 A. Hauser, Sociologia dell'arte, III, Einaudi, Torino 1977, p. 30. 47 J. Noller, Gramsci e la musica, in «Musica/Realtà», 1989, 30, p. 36. 48 Gramsci, Quaderni del carcere cit., p. 969. 49 G. Prestipino (a cura di), Gramsci. Arte e folklore, Newton Compton, Roma 1976, p. 189. so Ibid.

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trecci verdiani. C'è un sentimento di «autenticità» negli artifici melo­drammatici, penetrati nel linguaggio e nell'immaginario del popolo, appropriati anche con funzioni emancipatrici e non solo consolatorie51 . Lo stesso appello al sogno, ad alzare il livello delle proprie aspettative rispetto a una «cruda realtà» spingerà il pubblico della musica pop a costituirsi in comunità, dalle effimere aggregazioni di fans -la cui du­rata coincide con il concerto - alle più stabili sottoculture urbane.

Ecco allora che, nel delicato equilibrio fra realismo e artificio, im­pulsi patriottici e aspirazioni estetizzanti, si profila finalmente il carat­tere tutto italiano di una musica scelta a rappresentanza della nazione intera. Una musica colta, perché fatta da musicisti colti, ma una musi­ca popolare, perché in grado di parlare al popolo, di infiammare tifo­serie da stadio e promuovere pellegrinaggi pre-rock su stipate corriere di provincia alla volta dei tempi consacrati al culto delle stesse trenta, quaranta opere per cento e più anni. Un'esperienza che è «l'affina­mento di un'epoca», ossia il punto d'arrivo di tutto il melodramma dell'Ottocento,

cosÌ goffo in gioventù, e bitorzoluto, e maleducato, incerto dove posare i pie­di e dove porre le sue mani rosse come barbabietole e penzolanti fuori dalle maniche troppo corte, che si affina a scrivere con le note, sul pentagramma".

La formula vincente di quest'accoppiata rozzo-raffinato l'ha trova-ta Giuseppe Verdi, il musicista di origine contadina che - anziché ispi­rarsi alle tradizioni a portata di mano nella valle del Po, gesto banale ripetuto da decine di colleghi suoi contemporanei in giro per l'Euro­pa, nell' analogo tentativo di fondare una tradizione nazionale - inven­ta un suo personalissimo folklore e lo regala all'Italia intera, conver­tendo i borghesi in patiti del «zum-pa-pa» e i plebei in ammiratori del bel cant053. Insomma: il Verdi contadino è una costruzione artistica. Lui è «pur sempre un intellettuale italiano cosmopolita»54 che porta a compimento quel processo di ratificazione del melodramma come «vera musica etnica italiana». Nelle sue opere si consolidano, a con­clusione di una storia che vanta illustri precedenti, quello spirito me­lodico e quell' enfasi melodrammatica destinate a diffondersi nei mille

" Sanguineti, Verdi in technicolor cito "A. Savinio, Scatola sonora, Einaudi, Torino 1977 [1955], p. 159. 53 In realtà la formula verdiana sfugge alla dialettica borghesi-contadini nel nome di un'ar­

te nazionale a tutti gli effetti, un po' come sarà il jazz nella lettura data da Gershwin (defini­to, tra l'altro, il Verdi americano), secondo il quale il jazz non è negro (espressione di un fol­klore di base, per quanto di minoranza), ma americano, è l'espressione spontanea dell'energia nervosa della moderna vita americana.

54 Sanguineti, Verdi in technicolor cit., p. 48.

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rivoli dei generi regionali e nazionali, di decennio in decennio, toccan­do perfino il jazz e ~a ~an~e .. La .mus,ica etnica italiana è 9uella che da Verdi porta a Bocelh (1 Cul dIschI, all estero, non a caso SI trovano ne­gli scaffali di «world music») e solo successivamente può essere iden­tificata con quella prodotta in seno alle tradizioni (etniche) locali.

Proprio nel secolo che promuove lo sviluppo delle scuole naziona­li ispirate alle tradizioni locali, l'Italia opta - con Verdi ma anche con Bellini e Donizetti e molti altri - per una soluzione diversa,

che di folklorico non ha propriamente niente, ma che alle orecchie europee, suo­nerà folkloricamente, e di conseguenza, per rimbalzo di uno stereotipo bene in­ventato, cioè persino vero, dunque, suonerà tale anche alle orecchie italiche".

3. Verdi, patriottismo e genio italico.

Pianse ed amò per tutti.

(Gabriele D'Annunzio, Per la morte di Giuseppe Verdi, in Elettra, 1901)

Nella sua Filosofia della musica (1836) il patriota Giuseppe Mazzini esortava a costruire «una scuola musical~ europea» che risollevasse le sorti di una tradizione guastata da un «cerchio d'imitazioni ove il genio s'aggira [ ... ] inceppato dai maestri e dai trafficatori di note». La musica italiana si è chiusa in se stessa promuovendo l'effetto in luogo dell'idea, il passatempo in luogo dell' emozione, il gossip (<<il pubblico frivolo [ ... ] s'informa prima dei cantanti, poi del lavoro») in luogo dell'opera stessa. «Una generazione corrotta, sensuale e spossata» ha cercato nel­la musica un diversivo alla noia chiedendo all' artista di appagarla con «forme senza'anima, suoni senza pensiero», ed egli ha risposto

affastellando note a diluvio, affogando la melodia sotto un trambusto indefi­nibile di strumenti, balzando d'uno in altro concetto musicale senza svolgerne alcuno, rompendo a mezzo l'emozione con un meccanismo di trilli, gorgheg­gi e cadenze, che dagli affetti che la musica suscita, vi trascinano ad ammirare freddamente un' organizzazione privilegiata,

55 Ibid., p. 49. Ciò in omaggio al noto principio secondo cui «se si definisce una situa­zione come reale, essa sarà reale nelle sue conseguenze» r,:w. I. Thomas, On the Social Defi­nition o[ the Situation, Chicago University Press, Chicago 1966). In musica i rimandi tra {al­so e autentico sono numerosi, specie in relazione agli stereotipi dell'etnicità: si veda ad esem­pio il giapponesismo al quadrato di Sakamoto, che in molte occasioni asseconda l'idea di giapponesità diffusa dalla cultura occidentale per evidenziarne i luoghi comuni.

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col risultato di «promuovere il riso ed il pianto senza che né l'uno né l'altro abbiano il tempo di giungere sino al fondo dell'anima». Bella senz' anima, la musica italiana al tempo della Restaurazione, tutta tec­nica e virtuosismo, fatta per impressionare e stordire.

Che l'arte ritrovi allora il suo ministero e la sua «immensa influen­za» sulle società, ben oltre «una sterile combinazione di suoni senza intento, senza unità, senza concetto natale». Una speranza che Mazzi­ni ripone non in Rossini (<<non creò, restaurò»), la cui parabola si era da tempo conclusa, né in Bellini (<<pur superiore a tutti gli altri» ma «ingegno di transizione»), prematuramente scomparso, né in Verdi, troppo giovane all' epoca dello scritto, bensì in Donizetti,

l'unico il cui ingegno altamente progressivo riveli tendenze rigeneratrici, l'uni­co ch'io mi sappia, sul quale possa in oggi riposare con un po' di fiducia l'ani­mo stanco e nauseato del volgo d'imitatori servili che brulicano in questa no­stra Italia".

Anche se «chi scrive non sa di musica, se non quanto gl'insegna il cuore»57, le parole di Mazzini colgono bene lo spirito di un'epoca: è al melodramma che si rivolgono gli spiriti innovatori del Risorgiment058

in cerca di un supporto emozionale e simbolico che la musica può for­nire in massimo grado, grazie alla sua alta formalizzazione e alla sua capacità di sintesi59. La scelta cade non su quella strumentale, buona per altri seppur nobili scopi, ma sul canto lirico e sociale60

, che diven­ta strumento di propaganda politica anche oltre le più esplicite inten­zioni dei compositori61 . E che per converso generano sospetti e paure nei governanti del tempo, spesso al di là dei propositi. La libertà del-

56 G. Mazzini, Filosofza della musica, a cura di M. De Angelis, Guaraldi, Rimini-Firenze 1977, pp. 35-61.

57 Mazzini era un appassionato cultore e «assai agguerrito in fatto di novità musicali» (ibid., p. 63, nota del curatore).

" «Dalla propria musica (cioè dal melodramma) l'Italia si aspettava confusamente qual­che cosa di nuovo, un accento più virile ed eroico che rispondesse all' entusiasmo patriottico della gioventù liberale» (M. Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino 1963, p. 269).

" «Il canto è un particolarissimo strumento di comunicazione, nel senso che è dotato di un massimo grado dì formalizzazione, il che finisce per conferire peculiare carattere di ritua­lità a questo prodotto culturale. È un problema non da eoco chiedersi le ragioni per cui le so­cietà arcaiche tendenzialmente comunichino attraverso 11 canto o la formula ritmica e non at­traverso la prosa» (C. Gallini, Dinamiche di produzione, trasmissione, fruizione del canto sar­do, in L'etnomusicologia in Italia, a cura di D. Carpitella, Flaccovio, Palermo 1975, p. 199).

60 L'Italia aveva rifiutato la scelta strumentale chiudendo una saracinesca sulle Alpi dopo Haydn e Mozart (Mila, Breve storia della musica cit.).

61 Quando La traviata fu rappresentata a Roma negli anni immediatamente successivi al­l'unificazione, alle parole del medico «La crisi non le accorda che poche ore», il pubblico sot­tolineava con «vibranti applausi che alludevano alla fine del governo pontificio» (G. Miche­li, Storia della canzone romana, a cura di G. Borgna, Newton Compton, Roma 1989,p. 154).

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l'arte spaventa. Il suo disinvolto fluttuare avanti e indietro sulla mac­china del tempo induce a parallelismi con un presente «vissuto perico­losamente». L'inafferrabilità della musica spiazza i regnanti ma infiam­ma il popolo che ne esalta il messaggio dopo averlo deformato a pro­prio sostegno. Sotto il maglio della censura cadono Rossini, Bellini, Donizetti e l'amico Maroncelli, la cui carriera fu stroncata sul nascere a causa della sua adesione alla Carboneria62. Nei decenni che precedo­no l'Unità «l'arte italica era scuola e apostolato contro la tirannia, sot­tile e avveduto incitamento, preparazione possente al riscatto della Pe­nisola». Un'arte che «fu segnacolo di battaglia, arma di vittoria»63.

La guerra a colpi di melodie che bucano lo schermo del singolo per diffondersi come febbre contagiosa e accelerare il cambiamento fu combattuta e vinta per tutti da un artista che nel 1835, quando Mazzi­ni termina la sua Filosofta della musica, non aveva ancora composto nulla di rilevante. Giuseppe Verdi inizia la sua carriera nel 1839 con l'opera Oberto conte di San Bonifacio. Tre anni dopo, il successo del Nabucco (dovuto soprattutto a pagine corali come il Va', pensiero) lo pone sotto i riflettori dell'opinione pubblica e l'atmosfera surriscalda­ta che il nostro paese vive fino agli entusiasmi del '48 gli ispirerà i la­vori più «politici» o come tali letti dal popolo in fermento - I Lom­bardi alla prima crociata, Emani, Attila, La battaglia di Legnano (<<la sua unica vera opera programmaticamente patriottica [ ... ] con Mazzi­ni e Garibaldi ad applaudire la prima all' Argentina, durante la Repub­blica romana»)64. La scomparsa di Donizetti (1848) assicura a Verdi il primato assoluto nel campo operistico e al furore civile subentra lo sguardo introspettivo nei confronti dell' animo e degli affetti privati che contraddistingue la cosiddetta «trilogia popolare» (1851-53) - Ri­goletto, Il trovatore, La traviata. È a questo punto che Verdi entra nel­la leggenda della musica e della storia d'Italia inventando un sottoge­nere, «canti di una specie singolare, che aprono una finestra improvvi­sa, per la quale l'anima salpa violentemente, e dolcissimamente assie­me, nella sconfinata libertà dei cieli»65. È più che semplice facilità, ispi­razione o felicità melodica. È qualcosa che si avvicina al «folk d'auto­re», come ha scritto Sanguineti66.

62 Cfr. F. Cento, Il melodramma nel Risorgimento, in «LucidaMente», a. II, 2007, 14. 63 «Scena Illustrata», lO novembre 1913, 21. 64 Mattioli, L'epopea del Risorgimento? L'ha raccontata Verdi cito 6; A. Savinio, Il Trovatore, in «Oggi», 12 ottobre 1940, ora in Id., Scatola sonora cit.,

p.140. 66 Sanguineti, Verdi in technicolor cito

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Altri scrittori hanno usato immagini curiose nel cercare di rendere l'unicum verdiano. Leydi, ad esempio, ha suggerito metafore corpora­li: «È carne, sangue, fiato, sudore ma al livello di un' epica rinnovata, egualmente lontana dai freddi modelli classici e dai brumosi modelli germanici»67. CosÌ Barilli, dissertando sul Verdi contadino, a cui attri­buisce «un sano alito di cipolla» che può essere trasferito anche ai suoi personaggi68. Umberto Saba vi aggiunge una componente enologica: «tutti i suoi personaggi cantano divinamente con alito vinoso»69. Lu­chino Visconti trasporta questo binomio in ambito cinematografico e ambienta nell' osteria di Ossessione (1943) il concorso lirico rappresen­tato sulle note dell'aria Di Provenza il mar, il suoi. Il pensiero corre al­la Cavalleria e a «quel vino generoso» che ottenebrerà le facoltà men­tali di Turiddu condannandolo a morte nel duello rusticano. Vino e canto, dunque, nient'affatto esclusiva dei viennesi ... si spalleggiano l'un l'altro in un matrimonio all'italiana che ben riassume due aspetti del «carattere nazionale». E sempre Saba infila altre perle del made in Italy dischiuse dal canto verdiano: nel riesumare un episodio della sua vita di caserma, il poeta ricorda quando nella camerata entrò un com­militone cantando Bella figlia dell'amore. A quel punto «tutta l'Italia, con i suoi mari, i suoi monti, le sue città, mi entrò nel cuore come un fulgore azzurro»70.

La sua morte fu un lutto nazionale e i toni della stampa furono unanimi nell'omaggio a un «padre della patria». In uno dei tanti epi­taffi del tempo si legge:

Noi eravamo nati fra le armonie inebriate del Verdi; quelle armonie ci ave­vano accompagnati nella vita; ci avevano espresso collo squillo guerriero il sentimento della patria; egli era la musica della risurrezione d'Italia; era la gran voce di mille combattenti; era la gran voce della coscienza d'Italia [ ... ]. Egli era il sommo italiano, che avea la verde vecchiezza e il colorito, il sole, del Vecellio, l'ardimento delle grandiose linee di Michelangelo, e certe soavi­tà raffaellesche [ ... ]. L'anima sua moderna ripercoteva i dolori del mondo, e nelle opere sue impera il dolore; e nel dolore egli nacque, lottò i primi anni, si svolse vittorioso [ ... ]. A Riccardo Wagner, l'impero assoluto del fantastico, la dominazione di un mondo tenebroso dove regnano il dio e il semidio, dove chi ama e chi si strugge si confonde col mito; a Giuseppe Verdi, l'impero del­le passioni della terra, l'espressione delle febbri, delle lagrime nostre".

67 R. Leydi, Il melodramma italiano, numero monografico del «Giornale di ieri», 1961, 1,p.22.

68 B. Barilli, Il paese del melodramma, Einaudi, Torino 1985 [1929]. La chiosa è di San-guineti (Verdi in technicolor cit.)

69 Sanguineti, Verdi in technicolor cit., p. 16. 70 Ibid., p. 20. 71 R. Barbiera, Giuseppe Verdi, in «L'Illustrazione Italiana», 1901,4.

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CosÌ ne parla Antonio Fogazzaro:

L'anima stessa dell'Italia, che splende nella bellezza delle cose come nel­l'opera dei grandi poeti e dei gran~i artis~i, che vive oscura in ogni colore,. in ogni forma del nostro paese come m ogm petto del nostro popolo, ha OggI la sua voce nel nome di Giuseppe Verdi. Quando questa voce ne sgorga e suona, ciascuno di noi si sente a muovere dentro la potente anima misteriosa della pa­tria e sente che il canto esce in qualche modo da lui stesso, da infiniti altri a lui congiunti, dalla cara terra che è a tutti madre. Dimentichiamo in quei momen­ti il Verdi; e questa è la sua gloria".

Per Savinio, Verdi «all'unità italiana dà l'acciaio dei suoi canti dirit­ti come spade, e il rimbombo universale dei suoi cori liberatori»73. Per Bacchelli, Verdi è stato «il vero drammaturgo dell'Ottocento italiano», colui nel quale la melodia

si lega al personaggio e all'azione, che vi s'incarna, che incalza e necessita azio­ne ed evento drammatico, e, quasi più che esprimere il personaggio, lo co­stringe, lo conduce, lo forza, lo determina a quella che ho chiamato passione del suo fato74

Il centenario della nascita sarà occasione di solenni celebrazioni culminanti nella monumentale Aida all' Arena di Verona, il primo grande spettacolo di massa dell'Italia moderna, per quantità di pubbli­co e qualità dell'allestimento. La camera di commercio aveva allestito un ufficio stampa monstre, dotato di 42 telefoni. L'impatto fu eviden­te già all' epoca:

è avvenuto qualcosa che supera la sfera della storia ed incide nell'animo di un popolo - scriveva Novello Papafava dei Carraresi, cronista dell' «Adige» - per­ché migliaia e migliaia di persone hanno vissuto ieri sera un momento di iden­tità e intuizione degli schietti valori della propria vita".

Nel numero monografico che la «Scena Illustrata»7\ il più elegante periodico del tempo, dedicò al centenario, si leggono parole traboc­canti di retorica ma che colgono nel segno.

Si ricorda che, patriottismo a parte, il merito di Verdi fu di aver ele­vato la musica dalle mollezze delle alcove, dalle genuflessioni delle cappelle, dall'ossequio alle corti, dal diletto sensuale dei teatri, per in­fonderle «un grido leonino di libertà». In altri termini, dobbiamo es-

7l Dal libro di C. Gatti, Verdi, citato in A. Einstein, La musica nel periodo romantico, Sansoni, Firenze 1978 [1947], p. 708. ..

71 A. Savinio, I vespri siciliani, in «Oggi», 12 ottobre 1940, ora m Scatola sonora Clt., p. 143. 74 Citato in Sanguineti, Verdi in technicolor cit., p. 32. 75 In «L'Adige», 13 agosto 1913, citato in Morelli, L'opera cit., p. 64. 76 In «Scena Illustrata», lO novembre 1913, 21.

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sergli grati per aver minato la funzione narcotizzante della musica, averla emancipata da religione e poteri temporali e di aver ridimensio­nato il monopolio dell' arte per 1'arte che così poco si addiceva a una nazione di combattenti. Che fosse tutto vero o per lo meno attribuibi­le in esclusiva al genio di Busseto questo ingombrante fardello antro­pologico, non ci importa di sapere. Quel che conta è che la gente pro­babilmente ci credeva e soprattutto ne viveva appieno le conseguenze, e già questo è un risultato epocale.

La sua arte ebbe due vite: una sul palcoscenico ed una sulle labbra del popolo".

Come fu che la musica di Verdi penetrò nell'intimo degli italiani, una volta uscita da teatro? I primi ad appropriarsene furono i musici­sti di strada, com'era stato per Mozart cent'anni prima: un aspetto sot­tolineato con efficacia da Savinio il quale, rievocando un episodio per­sonale (un organetto che in piazza Carlo Erba a Milano intonava Di Provenza il mar, il suol), si convince che, per meglio assaporarne le arie, «la Traviata non va udita in teatro ma dagli organetti» perché del­la sua vicenda commuove il ricordo e non il presente e «l'organetto è il macinino dei ricordi» e «restituisce questa musica della tristezza cit­t~dina al suo ambiente naturale» e, oltre a consegnarci «una Traviata ndotta all'essenziale», le sonorità dell'organetto «soprattutto nei bassi segnati dagli associati suoni della grancassa e dei cimbali») restituisco­no all' opera il suo vero carattere, e cioè il suo «carattere periferico e stradale»78. Ma proprio la facilità con la quale le sue melodie trasmi­gravano nei registri «bassi» gli procurò critiche, specie fuori confine: Peter Gast definì «sciocchezze da organino» la trilogia verdiana e Pe­ter Cornelius vedeva in lui vizi e difetti del modo italiano di fare mu­sica (il gorgheggiare su drammi profondi) e più in generale una dram­maturgia tesa all'effetto e alla semplificazione (aspetto per il quale fu accomunato ai francesi, come Victor HugOY9.

Ridotta a spettacolo da baraccone, anche la musica di Verdi «che fa piangere e amare è musica "a servizio" e ben decaduta dal suo eccelso sta­to di libertà, di purezza, di sovranità, d'indifferenza delle cose umane»80.

77 S. Finkelstein, Come la musica esprime le idee, Feltrinelli, Milano 1955 p.10l. 78 Sav.ini.o, Scatola sonora cit., p. 152. Si esprime così anche Giacomo Debenedetti, se­

cC:lI!,do CUI «~ una can~one ~ffe.rta ~ p~sant~ della sn:ad~ Giuseppe Verdi formulava defi­rutlvam~nte ~I proverbiO dell aru~a italiana» (m S~gumetl, Verdi in technicolor cit., p. 34).

79 Em~t~m, La mUSIca nel perwdo romantico Clt. 80 Savml(~, Scatola sonora cit., p. 148. Il teatro di Verdi - scrive Savinio - è un grande tea­

tro de.He m~~lll~tte pop~lato di. «trovatori che can~o al chiar di luna, di zingari che batto­no le mcudlru pnma dell alba, di donne velate che mtorno alla mezzanotte vanno a cogliere

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E un servizio importante lo svolgevano le bande, la cui sonorità, meglio ancora il cui approccio complessivo rivela una grande affinità con la mu­sica di Verdi81 . Ma, soprattutto, le più famose arie verdiane venivano pa­rodiate dal popolo, che ne cambiava le parole per criticare o dileggiare se­condo i propri usi e costumi. A fine Ottocento

non c'era vicolo romano in cui a sera, specialmente il sabato, non si sentisse la voce di un artigiano, o di un lampionaio, o di un popolano qualsiasi che non cantasse, o tentasse di cantare, una delle tante cabalette di cui erano infiorate le opere di Verdi".

La cosa era talmente risaputa che Verdi svelò l'aria de La donna è mobile dal Rigoletto solo alla vigilia della prima, per timore che si dif­fondesse tra il popolo e lui venisse accusato di plagid3

Non fu un rivoluzionario, piuttosto un continuatore dell'opera di Rossini, Bellini e soprattutto Donizetti84. Ma il salto rispetto a una maniera di rappresentare vizi e virtù imperante fu comunque note­vole, e proprio nell'abilità di creare personaggi verosimili (inventati, ma più veri del vero) si coglie l'unicità dell'opera di Verdi: nella let­tura di Debenedetti,

smaltì, stringendolo tra le sue mani ossute di contadino, tutto il ciarpame del mondo melodrammaticoj sventrò quelle pittoresche marionette di avventurie­ri, galanti, zingare, trovatori senza terra, gobbi, assassini, vergini recluse, pec­catrici minate dal mal sottile - e scoprì, attraverso i loro drammi fittizi e con­gestionati, gli accenti unici e insostituibili del cuore85

l'erba magica nei pressi dei camposanti» e questo spiega l'insuccesso iniziale della Traviata, dove i personaggi sono creature umane, oltre a spiegare perché le sue opere non piacciano al wagneriano, «uomo di buona intelligenza e di buona cultura» (p. 153).

81 Per Savinio le musiche di Verdi «sono musiche per banda» (ibid., p. 404). D'Amico, a proposito della Battaglia di Legnano, scrive: «per questo genio di struttura pressoché sha­kespeariana il regno delle madri doveva essere m definitiva una banda di paese» (F. D'Ami­co, Verdi e !l qu~rto stato, in I casi della musica, Il Sagg.iatore, Milano 1962, p. 300).

82 G. MlchelI, Stona della canzone romana, a cura di G. Borgna, Newton Compton, Ro­ma 1989, p. 323. La canzone romana, sfecie nella sua fase germinale, deriva direttamente dal­Ia romanza d'opera. Dopo la morte i ritratto di Verdi entrò di diritto accanto a quelli di Mazzini e Garibaldi in tanti spacci e mescite della capitale, sopra il bancone su cui erano di­sposte le prelibatezze in vendita.

83 Mar6thy, Musica e uomo cit., p. 232. " «La musica italiana, aulica e anstocratica per lunga tradizione, sta per scoprire il popo­

lo» e lo fa con Verdi, che mantiene sì gli schemi dei predecessori (Bellini e Doruzetti anzitut­to) ma vi infonde «un timbro nuovo, una diversa qualità umana, più virile, più energica, più animosa», che viene subito riconosciuta e fatta propria dagli italiani perché coincide con le nuove passioni politiche che li infiammano (Mila, Breve storia della musica cit., p. 270).

8S Sanguineti, Verdi in technicolor cit., p. 33. Per dare continuità psicologica all'azione puntò su pochissimi personaggi e, pur conservando le forme chiuse (arie, cori che hanno un senso compiuto in sé e si prestano a essere estrapolati dall'insieme per vivere di vita propria anche in altri contesti), capì che queste rendevano improbabile lo svolgersi della vicenda e quindi superò il meccanicismo delle convenzioni nobilitando il recitativo e investendo di drammaticità anche queste parti di raccordo (cfr. Leydi, Il melodramma italiano cit.).

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Il suo modello drammatico è Shakespeare e «i suoi personaggi non sono più burattini in costume, che cantano arie e duetti, ma esseri uma­ni con tutte le loro passioni acuite dalle tragiche vicende»86. «Verdi ha lavorato per l'arte italiana», scriveva Antonio Gramsci87, servendosi dei mezzi propri della poesia popolare romantica italiana, dove per popo­lare s'intende «borghese» - oggi diremmo «di classe media» - ovvero né aristocratica né proletaria. In sintonia con i principi della borghesia laica e illuminata, i suoi «diversi» possono essere «uguali»: Violetta (La traviata), Azucena (Il trovatore), Simone (Simon Boccanegra), Carlo (Don Carlos) - tutti personaggi fuori dalla norma (una cocotte, una zin­gara, un pirata, un principe dal sangue ribelle e liberale) - insieme ad al­tri come Aida, Otello, Falstaff (una negra, un moro, un nobile decadu­to e inurbato), «finiscono sconfitti nell'episodica dei fatti, ma [ ... ] cre­dono nei rapporti autentici, diversi, opposti, di liberazione». Sono tipi comuni nel melodramma oftocentesco (da Parsifal a Carmen), ma in Verdi le peculiarità individuali contano più degli elementi comuni. Non conta la loro fine tragica ma il loro inizio: il percorso non di inte­grazione ma di disintegrazione delle logiche di potere e delle regole di vita dominanti. «Sono pertanto personaggi del dibattito liberale e de­mo~ratico nell'Italia che si unifica. Imbarazzanti»88. L'interprete più nobIle e fedele della borghesia fu presto accolto dal popolo e in segui­to adottato pedino dalle avanguardie. Principi e contadini imparavano a memoria i suoi cori e scoprivano nelle poche note di quelle arie un'identità spirituale fino ad allora sconosciuta89.

In vita Verdi fu sempre scettico nei confronti della musica stranie­ra: venerava Beethoven, ma pensava che il carattere italiano meglio si adattasse all' opera e alla voce umana. Ascoltava con interesse l'opera francese e quella tedesca ma ne temeva l'influenza, per ciò che di inna­turale e di complicato aveva: era per la naturalezza e la semplicità.

Per questo, Verdi sarà additato dal fascismo a modello dell'autarchia in musica, precursore di un orientamento centrale nella politica cultu­rale del regime, che si approprierà di alcune sue indubbie qualità stru­mentalizzandole a scopo di propaganda. Verdi diventa il vate di un'eti­ca e di una mistica italiane: «l'italiano fascista sente nella musica di Ver-

86 Einstein, La musica nel periodo romantico cit., pp. 387-8. 87 In ~Avanti!», ed. piemontese, 15 gennaio 1917. 88 L. Pestalozza, Giuseppe Verdi, in Storia della musica, a cura di R. Favaro e L. Pesta­

lozza! Nuova Carisch, Milano 1999, p. 433. Poi la maniera teatrale li ha svuotati di significa­to, «nducendole alle pure qualità vocali, a sequenze di romanze indifferenti alle trame: a Bel­lo senza Vero» (ibid.), ma questo attiene alla ricezione della sua opera ed è un'altra storia.

89 E. Siciliano, L'Italia del melodramma, in «la Repubblica», 24 gennaio 1995.

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di il sapore della sua terra». Una volta vinta la battaglia del grano siamo autonomi nel poter mangiare il grano nostro, cosÌ «quella di Verdi è musica tutta nostra», che arriva all'operaio «con la tuta intrisa ancora di grassi e di lubrificanti, e l~ ma~ che sanno di metalli.» ~ arri~a al conta­dino «che porta addosso I segm della mota e del terncclO o l odore del­la stalla». Queste icone del consenso, poste a fondamenta della società basata sul lavoro, esprimono un «amore forte e virile per Verdi»90.

Eppure - a dimostrazione che un' opera d'arte non ha un significato univoco e predeterminato ma una volta resa pubblica assume i conno­tati più diversi, a seconda di chi se ne appropria svincolandosi dalle in­tenzioni stesse del suo autore - è una convenzione stabilita a cose fatte che Verdi abbia «cantato con consapevole determinazione» il Risorgi­mento. Per lui sono proprio gli Ebrei o i Lombardi a cantare i rispetti­vi cori (da Va', pensiero a O Signore, dal tetto natio) e non gli italiani dell'Ottocento in procinto di rivoltarsi. Del resto, «le opere sono en­trambe dedicate a un' Asburgo, un' Adelaide maritata a Vittorio Ema­nuele non ancora secondo e figlia dell' Arciduca Ranieri, presunto op­pressore delle genti lombardo-venete, e Maria Luigia, felicemente re­gnante a Parma»91. Sono gli altri che vi hanno voluto cogliere un im­pulso patriottico, frutto di quella chimica delle emozioni che nel mon­do parallelo dell' arte e della letteratura opera con assoluta precisione, basta combinare gli elementi giusti.

Mai più nella storia d'Italia sarà dato assistere a un culto musicale di tali dimensioni, mai il termine «nazional-popolare» conoscerà più este­sa applicazione, in nessun caso si parlerà di un musicista che ha contri­buito in maniera determinante all' educazione morale e linguistica degli italiani92• Le ragioni sono da attribuirsi in parte al mutato scenario che la musica offrirà nel XX secolo: la separazione dei generi (classico, leg­gero, folk ... ) porterà sÌ a culti di proporzione anche maggiore, alimen­tati da un apparato mediatico che l'epoca verdiana non poteva immagi­nare. Eppure quei culti a noi più vicini mai saranno così trasversali da conquistare devoti di ogni risma e generazione. La canzone e il pop

90 R. Giazotto, Popolo e valutazione artistica. L'arte di Verdi in clima fascista, in «Musi­ca d'oggi», XXII, 1940,8-9, pp. 233-5, citato in F. Nicolodi, Musica e musicisti nel ventennio fascista, Discanto, Firenze 1984, p. 24.

91 Mattioli, L'epopea del Risorgimento? L'ha raccontata Verdi cito 92 Parafrasando Croce, «non possiamo non dirci verdiani», sostiene Sanguineti, perché,

in una nazione ad altissimo tasso di analfabetismo dove si parlavano solo i dialetti, la sua opera è stata quella di alfabetizzare e insegnare a tutti una stessa lingua patria, e dunque «Ci ha pensato Verdi a fare gli italiani una volta fatta l'Italia»> secondo la frase attribUita, non è chiaro con quanta accuratezza, a Massimo d'Azeglio (Sanguineti, Verdi in technico­lor cit., p. 36).

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contemporaneo lanceranno le stelle di Caruso e Pavarotti, Modugno e Mina, Battisti e De André, Vasco Rossi e Laura Pausini. Ma nessuno di questi artisti potrà vantare un radicamento altrettanto generalizzato presso il pubblico italiano. Le ragioni stanno in parte nella contingenza della storia, che ha prodotto un inedito cortocircuito fra musica e socie­tà tale da rivestire l'artista di funzioni normalmente attribuite a statisti, eroi, leader religiosi o di partito. Ragioni che fanno della musica di Ver­di il risultato più straordinario di un' epoca straordinaria, un caso a par­te nella storia d'Italia e d'Europa al quale corrisponde la metamorfosi del «pubblico» in «popolo» o, visto da una diversa prospettiva, del «popo­lo» in «pubblico». In altre parole, l'ubriacatura generata dalle melodie verdiane ha smosso i confini tra arte e società facendo sÌ che non solo il pubblico tradizionale (quello dei teatri) acquisisse (o rafforzasse) una coscienza civile diventando consapevolmente popolo, ma che il popolo tutto (che normalmente non coincide con il pubblico dei teatri) si tra­sformasse in pubblico, ovunque si trovasse.

Ma in fondo, per restituire a Verdi quel che è di Verdi, era proprio quello il disegno: sottoporre l'estetica alle leggi dell' etica, in un' epoca in cui De Sanctis oppone l'arte per la vita all'arte per l'arte e in Russia Musorgskij enuncia il suo credo artistico secondo il quale «la musica non è un fine ma un mezzo di comunicazione fra gli uomini»93. Per Verdi il Vero condiziona il Bello, dunque, e questo fa di lui un cam­pione - malgré lui - di kitsch94.

Il Verdi nazionalista, poi, si addice anche meglio a questo compor­tamento diffuso: «in determinate società l'arte si integra cosÌ profon­damente alla vita quotidiana che la sua funzione primaria appare quel­la di stimolare determinate reazioni, ludiche, religiose, erotiche»95 e, potremmo aggiungere, patriottiche. Ma è sempre cosÌ quando la mu­sica diventa troppo importante per essere affare interno di musicisti.

4. Il sistema dell'opera.

L'homo oeconomicus, quale in sostanza era il borghese del secolo XIX, non avvertiva un' esigenza profonda di musica. Ha amato l'opera anzitutto per

93 Pestalozza, Giuseppe Verdi cit., p. 430. 94 Una delle manifestazioni del kitsch (che solo in parte la lingua italiana riesce a rende­

re con l'espressione «cattivo gusto») è 9uando si desidera godere degli effetti anziché impe­gnarsi in una più difficile operazione di comprensione estetica (U. Eco, Apocalittici e inte­grati, Bompiani, Milano 1977 [1964], p. 69).

" Ibid., p. 70.

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.. . l· fondamentalmente Eerché questo genere esigeva una cornice, motiVI SOCla l, . l l d· art ere a

luogo privilegiato ove poteva af ermarsl a consapevo ezz~ I app en . , un ru o superiore attraverso la partecipazione ~ tra;teJ?lmenti .tanto .plU un g PIi er il fatto di essere stati, un tempo, quelli dell anstocrazla e del re: rl[~:~hi~ei borghesi il merito particolare dell.'0pe:a er~ legato al fatto ~he SI

g d· un'arte· non era a priori un semplice divertissement, ma piacere trattava I , , , . .. d· .. b he elevava lo spirito. Mediocri conosciton e appaSSIOnati I romanZI, I .b~r

c hesi credevano di accedere ai livelli superiori dell'arte, m~ntre ~rano s~nsl I ~ ~oprattutto alle impressioni sentimentali prodotte dalle ane, agli effetti vocali dei cantanti e all'elemento spettacolare della scena... , 96

(Robert Wangermée, Per una soctologza del grand-opera)

Le inclinazioni della borghesia europea sono ~ondivise da quella italiana, secondo la massima di Schopenhauer p~r 11 quale «non anda­re a teatro è come fare la toletta senza lo specchio»:

da noi si va a teatro per molte ragioni: l'ultima è que~la di penetrare il siJ?-ifi-t d'un'opera d'arte la penultima d'udir gorgheggiare una bella ~oce I so­

~:~o, e - sopprimendo le ragioni int.e:medie - l; prima è quella di «ammaz­zar la sera», lavorar di binocolo, far VISita, ecc .....

Ecco uno spaccato di pubblico italiano .al fe~mini~e, ne!la d~scri­zione di un D'Annunzio agli esordi come glOrnahst~ dl gOSSlp. Sl trat­ta di un resoconto del Lohengrin al Teatro Apollo dl Roma, datato 29 dicembre 1884:

la rincipessa di San Faustino, regina elegantiart:t11?' .c'era, in un palco di se~ co~do ordine. Vestiva un abito di un azzurro pallidiSSimo, tende?te al verde ltl

acqua marina, un abito mollissimo, fl~ttuante, traspare~te quasI. Te.neva su e s alle nude una pelliccia di castoro bl?~~o, f~~e~ata di r~so San~\llgno. Una !ezzaluna di brillanti le scintillava d'u;.dl varnSSlme su l accOltla~ra'lmolto alta [ ... ]. La principessa di Sulmona era m ve~lut? nero, con mero etti su sen?, con nei capelli una piuma. La principessa di SClarra anche era I~ ner?, ma m broccato [ ... ]. La signora Serafini, d'una succulenta bellezza, vestiva di foulard crème con una vita di velluto cupo".

Per chi invece considerava la musica un mezzo educ~tivo, u~' a~e meritevole di essere coltivata e tramandata, il ritardo del slstema ltaha­no era intollerabile: non c'erano scuole di canto corale e le poche era­no mal gestite e poco finanziate; la musica a stampa era cara e conve-

% R. Wangermée, Introduction à une sociologi~ de l'op~ra, in «Révue Beige ~d MTh~~~ logie», 1966, 1-4, citato in A. Serravezza (a cura di), La sOClologta della mUSICa, t,

198~'7t/re;rero, in «Rivista musicale italian~», 1899, ~itato .in I. Piazzoni, La politica per il teatro tra promozione e censura (1882-1900),.m wwwT·~blssco.lt·29 d· b 1884 citato in A

"G.D'Annunzio,Lohengrinall'Apollo,m."La n.':1na.», .. Icem re '. ul .. Guarneri Corazzol, Tristano mio Tristano. Glz scntton Italtam e zl caso Wagner, il M mo, Bologna 1988, pp. 7-8.

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niva acquistarla d'importazione; nella costruzione di strumenti non eravamo competitivi e così nei metodi scolastici, importati da Francia e Germania; nell'opera si copiava troppo dal modello francese99

• E in­tanto i suonatori ambulanti invadevano le piazze delle città diffonden­do melodie che rimbalzavano nei caffè, nelle osterie e nei ristoranti do­ve si andava plasmando una nuova sensibilità popolare pronta a rico­noscere nella canzone il genere più idoneo nel quale identificarsi.

Questi tre mondi - i teatri della borghesia gaudente, le scuole per la formazione (professionale e amatoriale), i luoghi popolari del tempo libero - convergono nel promuovere l'industrializzazione della musi­ca come momento centrale della più vasta ascesa di una cultura popo­lare che, ovunque in Europa assume le stesse forme: le escursioni in montagna, le vacanze al mare, il giardinaggio, il bricolage, gli sport di massa e quelli d'élite, la cultura operaia e quella femminile, i romanzi a puntate, il culto della domenica, le Esposizioni universali. Da noi a far da traino saranno «l'editoria dell'Italia centrale e meridionale; il tu­rismo napoletano e la sua civiltà teatrale; alcuni circuiti di teatro di va­rietà o di rappresentazioni nelle fiere ( ... al Nord»>lOo. Mentre in Fran­cia l'industria dell'intrattenimento si sviluppa attorno al café-chantant e in Inghilterra attorno al music-hall, in Italia sarà l'opera lirica a cata­lizzarne il processo di modernizzazione: impresari teatrali, editori, ti­pografie, giornali e gazzette avviano un circolo virtuoso che ha le sue armi vincenti nei cantanti (avanguardia del moderno divismo) e nei di­ritti d'autore, grazie alla legge del 1882 che istituisce la Siae, la Società italiana degli autori ed editori deputata a incassare i soldi della musica e a redistribuirli ad autori ed editori. Mentre l'economia di una nazio­ne in larga parte contadina faticava a marciare, quella dei teatri si mi­surava con i meccanismi della domanda e dell' offerta, varava una mo­derna organizzazione del lavoro che comprendeva una componente sindacale, esportava nel mondo il made in Italy un secolo prima che il termine diventasse moneta corrente. L'industria italiana dello spetta­colo - della quale è parte integrante il mondo della canzone napoleta-

" È l'opinione di Michele Ruta, autorevole musicista e insegnante napoletano, datata 1877 (cfr. Rosselli, Sull'ali dorate cit., p. 120). Quel che si poteva riscontrare nella musica era il riflesso di una più generale situazione di sudditanza nei confronti di modelli stranieri: «Da noi il modello egemonico culturale e ideologico di tipo europeo non era sorto sul terreno di un epos nazionale borghese moderno e dinamico, come in Francia o Inghilterra, bensÌ era il frutto di una faticosa e limitata opera d'importazione» (E. Galli della Loggia, Ideologie, clas­si e costume, in L'Italia contemporanea 1945-1915, a cura di V. Castronovo, Einaudi, Torino 1976, p. 380).

100 A. Abruzzese, L'industria culturale in Italia tra cinema e televisione (1930-1910), in Verso una sociologia del lavoro intellettuale, Liguori, Napoli 1979, p. 112.

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che con quello dell'opera condivide alcune aree (editori, teatri, in­na, ., dI' . terpreti) - si .trova in posizi?ne avvantaggIata ~lspetto a , a tn s.ett~n della vita SOCIale ed economICa: se da due secoh almeno l opera .ltaha­na è apprezzata all' estero, ora il suo impatto è cresci~to anche S~l ~~r­cati e la sua vocazione internazionale la porta a spenmentare pnmltlve forme di «globalizzazione» che saranno in seguito potenziate dal disco e dal cinema.

La maggior parte dei teatri lirici fu edificata nella pr~ma me~à del.­l'Ottocento quando il teatro d'opera era centrato, come Il pop dI OggI, sulla produzione contemporanea, grazie a continue commissioni e a un pubblico interessato più all'attualità che alla storia101

• Poi, con la fi­ne degli Stati pre-unitari, avviene una svolta: i teatri Rerdo~~ .la loro centralità e 1'opera si trasforma da genere produttore dI novlta In bene culturale da conservare e tramandare. Sono gli anni in cui si delinea un repertorio omogeneo, anche in conseguenza della crisi economica del 1873, che induce a ricorrere a opere conosciute anziché a nuove com­missioni. Nel 1880, ad esempio, su trentadue teatri solo due propon­gono novità quando nei precedenti centocinquant' anni in Italia se ne

d . . l' 102 erano pro otte una cInquantIna anno . Il cambio di passo riflette una metamorfosi più generale nel modo

di intendere il teatro. Fino a metà secolo ci si va per la compagnia, per la conversazione, per mettersi in mostra: nei palchi più esclusivi ci si faceva i propri comodi (anche l'amore), mentre quelli più illuminati in­coraggiavano le donne a rinnovare toilette. Poi, una cappa di seriosità e disciplina cala su quelle consuetudini imponendo il silenzio allo spet,­tatore, che può solo guardare e ascoltare ciò che accade sulla scena. E maleducato parlare durante lo spettacolo e la luce si fa soffusalOJ

Se l'Ottocento era il secolo dell'attualità musicale, il Novecento sa­rà il secolo della cultura e della storia. L'interpretazione verrà vagliata dal direttore, che salirà in cattedra (insieme al regista, allo scenografo, al costumista ... ) dopo essere stato a lungo in balia dei vezzi e delle im­provvisazioni dei divi. Un compito simile sarà preannunciato da quei compositori la cui autorevolezza era tale da scoraggiare le bizze di can-

:01 «u~' ope!~ ~i q~asi ce.nt' anni prima ~on p<?te~a av.ere ~lcuna attrattiva pe~ la !ealtà mUSIcale dI tuttI I glOrm, che lflvece VIveva dI nUOVI stimolI e dI nuove tendenze, e I CUI pro­tagonisti erano quasi tutti vivi e in carriera» (M. Capra, «Vecchio è bello». L'affermaZIOne del passato nella coscienza novecentesca, in La musica sulla scena. Lo spettacolo mUSIcale e zl pub-blico, a cura di A. Rigolli, Quaderni La~imus~, Edt, Torino 200~, p. 6). . .

102 G. Pedullà, Teatro e opera lirica, lfl Dlzwnano stonco dell Italza umta CIto . 103 S. De Matteis, La parola e il silenzio, in R. De Angelis, Café-chantant. PersonaggI e

interpreti, a cura di S. De Matteis, La Casa Usher, Firenze 1984, pp. 13-4.

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tanti o impresari. Verdi, fra tutti, fu un pioniere nel delineare l'opera e il teatro lirico come li conosciamo, ossia un pantheon di repertori che vanno eseguiti in quel modo soltanto e così soltanto si possono tra­mandare: «lo non ammetto né ai Cantanti né ai Direttori la facoltà di creare [ ... ], che conduce all'abisso», così scriveva Verdi a Giulio Ri­cordi da Genova 1'11 aprile 1871 104

Si ammette un solo creatore, cioè l'autore, che si occupa anche del-l'allestimento e della regia. Oggi tutto questo è la regola, ma

nell'Ottocento le scene erano veristiche, i costumi erano rigorosamente ri­spondenti all'ambientazione storica dell'opera, il regista - che si chiamava an­cora «poeta del teatro» e che svolgeva anche funzioni analoghe a quelle di ca­po ufficio stampa - si limitava a regolare i movimenti delle masse, cioè di co­ro e comparse ria. In questo confortevole nido il cantante occupava lo spazio che più gli gradiva, creava musicalmente e testualmente il personaggio cosÌ co­me lui pensava dovesse essere, e indossava il costume che aveva ordinato a un sarto di grido e di cui era proprietariolo5•

Nel 1871 un censimento individua la presenza di 940 teatri in 699 comuni. Negli anni novanta sono 1055 ma nel 1907 si legge di ben 3000 teatri. Di questi, undici erano di prima categoria: il Regio di To­rino, La Fenice di Venezia, La Scala di Milano, il Carlo Felice di Ge­nova, il Comunale di Bologna, La Pergola di Firenze, l'Argentina e il Costanzi di Roma, il San Carlo di Napoli, il Bellini di Catania e il Bel­lini di PalermolO6

Il mondo dell'opera era già un notevole business a fine secolo, tan­to che i teatri tradizionali non bastavano più e si puntò alla costruzio­ne dei «politeama», «progettati per accogliere un pubblico più nume­roso e di estrazione sociale inferiore ma, soprattutto, adatti a ospitare, oltre al melodramma, anche l'operetta e altri generi di spettacolo»lo7.

In quelle nuove sedi - il Dal Verme a Milano, il Vittorio Emanue­le II a Torino, il Pagliano e il Vittorio Emanuele II a Firenze, il Co­stanzi a Roma, il Petruzzelli a Bari (entrambi con 4000 posti), il Poli­teama Garibaldi e il Teatro Massimo a Palermo - si diffonde la con­suetudine di aprire il pomeriggio, a prezzi popolari. Il pubblico è co­stituito per lo più dalla piccola borghesia cittadina, dai gusti meno raf­finati ed esigenti rispetto ai tradizionali frequentatori. Per loro viene

104 G. Guccini, Verdi regista: una drammaturgia fra scrittura e azione, in Enciclopedia della musica, I, La musica europea dal gregoriano a Bach cit., p. 940.

105 P. Rattalino, Le primedonne: cantanti, strumentist~ direttori d'orchestra, ibid., IV, Pia­ceri e seduzioni nella musica del XX secolo, Einaudi, Torino 2001, p. 910.

106 G. Montecchi, Una storia della musica, I, Bur, Milano 1998. 107 Ibid., p. 447.

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varato il sistema degli sconti, quando un loggione per l'Aida alla Feni­ce nel 1881 costava 2 lire, pari alla paga giornaliera di un medio sala­riato. E nel 1887, per la prima dell'Otello di Verdi alla Scala, i bagarini vendono biglietti a 300 lire: lo stipendio di un anno guadagnato da un'operaia o un bracciante108

Il mercato della lirica privilegiava i cantanti, alcuni dei quali erano leggende viventi. Per secoli le più pagate furono le donne, ma dal 1860 sono i tenori a primeggiare109

• Francesco Tamagno, dopo Otello, arri­vò a guadagnare dalle lO alle 15000 lire a sera (50000 euro di oggi), più ancora dell'inarrivabile Adelina Patti. Nel 1885 Roberto Stagno gua­dagnò 5000 lire a recita (tre milioni di lire del 1961) a Torino, mentre nel 1898 Fernando De Lucia ne prese 2100 al San Carlo: molto più di quanto avrebbero percepito Maria Callas, Renata Tebaldi o Mario Del Monaco negli anni cinquanta del Novecento. L'estero pagava anche di più. Le piazze più contese erano Londra, Parigi, Madrid, San Pietro­burgo, dove nel 1905 arrivò Titta Ruffo strappando 66 recite a 1500 li­re l'una. «Tornando a casa, nell'appartamento milanese senza ascenso­re dei fratelli e sorelle, tirò fuori da sotto la camicia 100000 lire in ban­conote e le buttò in aria coprendo il pavimento»"o.

L'Italia dell' opera era, in origine, quella compresa nel triangolo fra Milano, Trieste e Roma, con al centro il territorio che si estende sulle rive del Po tra i piedi delle Alpi e gli Appenninill1. Da qui la sua in­fluenza si estese a Torino, Napoli, alla Sicilia e fuori confine fino a Vienna e Madrid (capitali degli imperi a cui appartennero parti d'Ita­lia) e a luoghi profondamente italianizzati ben prima dell'unificazione, come Corfù e Maltal12. Ma raggiunge anche i piccoli centri dove, per meglio affrontare i rischi dell'impresa (là dove un impresario preferiva

108 Ibid. 109 Dopo il 1860 il tenore drammatico diventa una presenza fondamentale e scalza la pri­

ma donna dalla cima delle classifiche in fatto di retribuzioni ovvero dopo due secoli di do­minio delle voci acute (Rosselli, Il cantante d'opera cit., p. 188).

IlO Ibid., p. 189. III Alla Scala milanese, edificata sotto il dominio austriaco (1778), vedranno la luce per la

prima volta ben 350 opere tra cui Nabucco, Otello e Falstaff di Verdi; Madama Butterfly e Turandot di Puccini, Mefistofele di Boito e La Gioconda di Ponchielli, oltre a numerosi la­vori di Rossini, Donizetti e Bellini. Il Costanzi capitolino ospiterà i lavori della generazione post-verdiana (Mascagni, Zandonai, Casella, Respi~hi e la Tosca di Puccini).

112 Rosselli, Il cantante d'opera cit., p. 14. La pnma capitale del Regno ospita a fine seco­lo il meglio dell'avanguardia europea e 1 fervori wagneriani raggiungono l'apice fra il 1872 e il 1875. Tra le prime: Manon Lescaut e La bohème di Puccini, Loreley di Catalani e France­sca da Rimini di Zandonai. Il San Carlo di Napoli, il teatro più bello e più grande del mon­do quando fu costruito nel 1737, visse la sua stagione d'oro fino a metà Ottocento, ospitan­do prime di Rossini, Verdi e Donizetti. Al Bellini partenopeo andò in scena la prima italiana della Carmen di Bizet.

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non investire) si diffondono le cooperative di musicisti e la creatività dell' amministrazione pubblica non conosce limiti:

a Montecosaro, una piccola cittadina sulle colline marchigiane, il sindaco offrì nel 1885 una so",:enzione di 80 lire e l'uso gratuito del teatro; specificò inol­tre, per rendere piÙ allettanti l'offerta, che i suoi concittadini «sono pazzi per la musica»; i cantanti e i musicisti si sarebbero ripartiti tutti gli eventuali incassi del botteghino'''.

Poi, dopo una lunga sedimentazione, si verifica un fenomeno risa­puto alla «periferia dell'impero»: l'opera, irradiata dal suo centro pro­duttivo, cominciava a riprodursi in loco, allestita nelle lingue locali con l'apporto di maestranze locali e

i cantanti italiani si trovavano ora nella posizione di quegli ingegneri inglesi che dopo aver disseminato ferrovie in ogni parte del mondo, si trovarono sop­piantati dagli indigeni'l4.

Non era indispensabile essere italiani per cantare l'opera. In fondo, già nel lontano 1825 l'opera era stata introdotta a New York dagli spa­gnoli Manuel Garda e famiglia, tra cui la figlia Maria Malibran (nata a Parigi). Anche la famosa Adelina Patti nacque a Madrid, da una fami­glia di artisti italiani che nel 1844 si trasferirono a New York per lavo­rare nella lirica115

Parallelamente al melodramma, cresce la popolarità del ballo teatra­le, che proprio a fine secolo conosce il suo momento magico con i la­vori di Luigi Manzotti su musiche di Romualdo Marenco. Fra tutti fe­ce epoca il Ballo Excelsior, «azione coreografica, storica, allegorica, fan­tastica» con 50 interpreti, in scena 1'11 febbraio 1881 alla Scala. Il bal­letto, ispirato al monumento «innalzato in gloria al traforo del Cenisio» in piazza dello Statuto a Torino, è un esemplare momento di raccordo fra Spettacolo e Storia, e come tale ebbe un successo travolgente tanto da meritare 1 03 rappresentazioni durante il primo anno di vita.

È il segnale di una nuova sensibilità artistica che si plasma in sintonia con le conquiste del progresso, al quale seguiranno altre realizzazioni fa­raoniche come Sieba (1878), Sport (1897) e Amor (1886), tutte accolte in modo trionfale dal pubblico di fine secolo. Manzotti come coreografo «fu un esempio per molti spettacoli leggeri anglo-americani»: il gusto

11l Rosselli, Il cantante d'opera cit., p. 159. 114 Ibid., p. 265.

. '~' Adel~na ~att~ fu uno. dei maggiori fenomeni del canto lirico ottocentesco, giungendo a mCldere dIschI a fme carnera. Il suo è un esempio di artista apolide - allora tipico, se non e~clusivo del mondo dello spettacolo e in particolare del melodramma - anche per quel che nguarda le scelte sentimentali che la legarono a uomini di diverse nazionalità.

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__--Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma ____ _ -per le file di «girls», l~ f?lle c~e accorr~vano. ai suoi spe~~?li, colme di entusiasmo come sara aI tempI della pnma cmematografIa .

5. Fratelli d'Italia: il nazionalismo in musica.

Artefice di possenti armonie onde ebbe Italia quel canto

che ridestando nel cuore degli oppressi la coscienza dell'antico valore

preluse alla risc.os~a d'u~ popolo e ne accompagno l omenche lotte

dall'Alpi alle terre dei Vespri.

È l'epigrafe di Arrigo Boito sulla tomba di Michele Novaro al ci­mitero di Staglieno, Genova, la città del tenore e maestro di coro che musicò le parole del concittadino Goffredo Mameli e consegnò a con­temporanei e posteri la canzone forse più eseguita e di certo cono­sciuta dell'Italia unitaria. Se in una storia della musica Fratelli d'Italia avrebbe poche chance di essere citato, in una storia sociale merita uno spazio tutto suo in quanto esempio estremo di canto al servizio della società, di corrispondenza tra aspirazioni civili e scelta stilisti ca, di compenetrazione fra espressione e contenuto. Nell'intonarlo, tornia­mo tutti a un mondo pre-estetico in cui la musica si giudica non per la sua bellezza ma per la sua efficacia: la bellezza è un fine in sé men­tre «buono» implica l'utilizzo per uno scopo specifico (una canzone può essere buona per guarire, per danzare, per fare addormenta­re ... )117. E la sua bontà l'inno di Mameli l'ha sottoposta a continue ve­rifiche in una darwiniana lotta per la sopravvivenza che ne ha sancito la definitiva «selezione naturale» in oltre centosessant'anni, da quan­do venne scritto, musicato e cantato per la prima volta. Data di nasci­ta: 8 settembre 1847. Luogo: Genova, durante il centenario della ri­volta antiaustriaca (quella ricordata per il gesto del giovane Giovanni Battista Perasso, soprannominato Balilla). Autore dei versi: Goffredo Mameli, fervente mazziniano. Aveva vent'anni, morì a ventidue. Quella che appare subito come «la Marsigliese degli italiani», viene musicata a Torino nel novembre dello stesso anno, dal «capo musi­ca militare» Michele Novaro, 25 anni. III o dicembre viene cantata a

116 M. Pasi, La danza e il balletto. Guida storica dalle origini a Béjart, Ricordi-Giunti Martello, Milano-Firenze 1983, p. 77.

117 B. Netti, Music in Primitive Culture, Harvard University Press, Boston 1956, p. 20.

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~enova. in una grande sfilata patriottica che raggiunge il Santuario diOregma.

. Nacque nel18~7, nel pieno ~ervore risorgimentale parallelo alla grande sta­gIOne el;lropea d.e~ 4~ e, f<;>rSe I?IÙ della Marseillaise, diventò il modello del fi­lon~ latm~ deglI mru nazlO~alI, quelli che ancora oggi caratterizzano i Paesi dell AI?e!lca del Sud, quel tipO dI canto a passo di corsa alla bersagliera ca­pace dI vIvere l'occasio~e i~ cui ~iene inal?~rato l'eI?ble~a nazionale pi~ co­me f~sta che come ~edl~azlOne, m opposlZlone aglI mni pensosi dell'Europa n?rdlca, p~oblematlzzatl come momenti di riflessione alla soglia della devo­zIOne rehglOsa118•

Il ca:zto degli ita!iani - così sarà definito a lungo - comincia a dif­fondersI attravers? Il. me~ium dei fogli volanti. I suoi versi accompa­gne~anno le OCC~SIOnI toplche che precedono l'Unità nazionale. Gli in­SortI, sul~e barncate delle Cinque Giornate di Milano (18-23 marzo 1,848), l? mtonano a pieni P?l~oni. Dopo la dichiarazione di guerra al­I Austna tutte le band~ mIlItan lo suonano a volontà e i soldati in par­tenz~ per la LombardIa !o cantano alzando i caschetti sulla punta del­le. b~lOnette. Stesso destmo presso gli esuli fuori confine e in clande­stInItà, presso gli italiani soggetti all'occupazione stranie:a119

• L'inno g~nera anche svariati :ont~afacta, come quello firmato da un amareg­~Iato ~a.rlo ~attaneo m eSIlIo, che canta i destini non ancora realizza­tI sull ana dI Novaro (Che dite? L'Italia! non anco s'è desta,! convul­sa, son~am~ula/ scrollava la testa) 120. Nel 1860 Valerio, commissario straordmano delle Marche, lo proclama con una circolare inno nazio­~ale e ufficiale, ma poi il canto subisce veti e riabilitazioni di continuo fmo al 1911 quando, con la guerra di Libia, cessano i divieti nei suoi confronti. Garibaldi amava l'inno di Mameli e «durante l'assedio di Roma del 1849 egli lo cantò o zufolò sempre». Così Carducci:

lo ~ro a~cora fanciull.o, ~~ queste magiche parole [dell'inno] anche senza la .m.u~lca, ~ mettev~o I b!1V1dl per tutte le ossa ed anche oggi, ripetendole mI SI mumldlscono gh occhI!". '

Il p~esidente Car~o ~ze?li? ~iampi usò parole simili quando, a Co~cluslOne delle OlImpIadI dI SIdney (2000) - terminate con tredici on azzurri -, dichiarò:

::: c. Pic.c:u:di, Vicenda di u~ inr~o, in «Mus!calRealtà», 2000, 61, p. 14-5.

l,- dT:MMaIOnnt_ o, G. Marc~ettl. Tncamo, P. GIOrdana, Fratelli d'Italla. La vera storia del-mno I ame I, Mondadon, Mdano 2001 p. 21

120 Ibid., pp. 33-4. ' . • • Ili Citalto in P.~., Inni e canzoni patriottiche, in «Humana» (Rivista mensile popolare di IgIene e cu tura vana), a. XI, 1936, 2, p. 11.

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È un inno che, quando lo ascolti sull'attenti, ti fa vibrare dentro; è un canto di libertà di un popolo che, unito, risorge dopo secoli di divisioni, di umiliazioni 122.

Le vibrazioni - quelle scattano anche per gli altri inni nazionali -non sono prerogativa del canto di Mameli e Novaro. Ma quel che ci sta dietro, per quanto se ne sia persa memoria, è specifico della storia ita­liana e inonda di spirito di rivalsa anche chi non ne sente - legittimato o meno - il bisogno. Nel suo Dna c'è la lotta per la liberazione: era un canto di battaglia rapidamente adottato dalle truppe garibaldine e da tutti coloro che avevano a cuore il Risorgimento di una nazione divi­sa in stati e staterelli per lo più dominati da dinastie straniere123

• Eppu­re, alla proclamazione del Regno, sarà la Marcia Reale di Giuseppe Gabetti, composta nel 1831 per il Regno di Sardegna, a essere adotta­ta come inno nazionale. Non tutti, però, erano convinti che fosse la scelta giusta. Nel 1862, ad esempio, Giuseppe Verdi fece eseguire il Canto di Mameli all'Esposizione universale di Londra l'Italia accanto alle consolidate Marsigliese e God Save the Queen'2\ Intenderà il fa­scino dell'inno anche un autorevole straniero come l'ex imperatore Guglielmo, che il 25 marzo 1912 a Venezia dichiarò di essere stato col­pito dalla visione di tremila ragazzi che lo intonavano: «Ne fui tanto commosso, e comprendo come possa tanto entusiasmare gli italiani»125.

Dopo essersi scrollato di torno tutti i possibili concorrenti nell' epo­ca del canto sociale di massa126

, il canto di Mameli e Novaro fa la sua comparsa nelle imprese coloniali, e poco dopo l'entrata in guerra To­scanini lo esegue a Milano (il 15 luglio 1915) in una grande manifesta­zione interventista. Sotto il fascismo gli inni risorgimentali tacciono per far posto a canzoni e ritornelli della «Rivoluzione» che contenevano

122 Maiorino, Marchetti Tricamo, Giordana, Fratelli d'Italia. La vera storia dell'inno di Mameli cit., p. 12.

m Prima dell'unificazione il Regno sabaudo si presentava con la Marcia sarda (rimpiaz­zata nel 1831 dalla Marcia Reale), lo Stato borbonico con un Inno delle Due Sicilie compo­sto da Paisiello, solo strumentale.

124 S. Pivato, La storia leggera. L'uso pubblico della storia nella canzone italiana, il Muli­no, Bologna 2002. Poco prima di morire, a Verdi fu chiesto di comporre un nuovo inno na­zionale, ma il maestro declinò l'invito in una lettera del 23 novembre 1900 indirizzata al di­rettore Pilade Pollazzi: «I miei 87 anni e la mia salute non mi permettono più qualsiasi oc­cupazione» (<<Scena Illustrata,., 10 gennaio 1901, 1).

125 P.G., Inni e canzoni patriottiche cit., p. 12. 126 Né l'Inno di Garibaldi né quello dei lavoratori, l'Addio del volontario o La bella Gi­

gogin, per citare i motivi più popolari del tempo, avevano quelle caratteristiche che si chie­devano a un inno che doveva rappresentare tutti indistintamente, serio e autorevole, aulico e popolare, senza bassa polemica o autocommiserazione, ma ricco di contenuti e speranze per un futuro dietro l'angolo.

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sempre un riferimento al duce e solo a lui127• Tornano alla luce del sole

dopo 1'8 settembre del 1943, nel repertorio dei partigiani insieme a Bel­la ciao e Fischia il vento. A fine conflitto Toscanini, ancora lui, esegue a • Londra l'Inno delle Nazioni nel quale Giuseppe Verdi aveva inserito le note d.i !ratelli d'Italia per rappresentare il nostro paese, sebbene l'in­no uffIcIale fosse ancora la Marcia Reale. Solo dopo il referendum che· proclamò l'avvento della repubblica mettendo fine alla monarchia Fra­telli d'Italia diventa ufficialmente l'inno nazionale, con decisio~e del Consiglio dei Ministri del 14 ottobre 1946 alla quale sarebbe dovuto se­guire un apposito decreto128

• Ma la vicenda è stata riaperta nel 2005 con u~. diseg?o ?i legge, approvat~ dal.la Camera, che ~roponeva una mo­dlftca alI artIcolo 12 della CostItuzIOne, quello relatIvo alla bandiera129•

Perché la canzone è giunta ad articolare le origini della nazione in mo~~ c~sì cent~ale? .Perché ogni nazione, più o meno nella stessa epo­ca, .SI, e nconosc~u.ta m un proprio canto in grado di esprimerne in sin­tesI l essenza spIrItuale del popolo e le sue aspettative?

La musica fa assai più che simbolizzare e articolare il nazionalismo: la musica di fatto partecipa alla formazione del nazionalismo. Il moderno Sta­to-nazi?ne si è formato appieno quando i suoi cittadini si sono messi a can­tare assleme"O.

La musica ha reso palpabile la centralità dell'Europa, incarnando il senso della comunità nella pratica corale. Il coro si configura come «si­mulacro» della nazione: il potere di trasformare un' esecuzione corale in un momento di elevato nazionalismo è notevole e fortificato dal­l'uso di una lingua nazionale - di derivazione letteraria - che esalta l'~m~~tto n~zion~lis~~co .della canzone. Ovunque nell'Europa delle na­ZIOnI l movImentI d mdlpendenza furono accompagnati da una nuova ondata di movimenti corali i cui repertori erano relativamente stabili e dai co~ini certi I31

• !via da no~ l'?stacolo delle differenze regionali agì come ntardante nel confrontI dI una cultura nazionale in fieri. Man­cando del tutto un folklore su base nazionale, mancò l'appuntamento con la sua ,:"alorizz~zione in termini artistici e il romanticismo ripiegò sulla vecchia e raSSIcurante tradizione operistica per lanciare la sfida

• 127 Aven?o ~~iaramente origi.ni «rep.ubblicane» ( «fr~telli» è il nome che si danno tra di lo­ro I massom), I mno non fu mal esegUito nel ventenmo fascista, cosÌ come nel periodo sa­bau~~ (A .. A .. Mola, in «C~rri~re della S~ra», 4 marzo 2006).

M~onno, Marchem Tncamo, GIOrdana, Fratelli d'Italia. La vera storia dell'inno di Mamelz Clt., p. 131.

129 Dal settembre 2009 l'iter del disegno è bloccato al Senato. 130 BohIman, The Music of European Nationalism cito p.35. 131 Ibid., p. 56. '

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; Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma _____ _ --azionale». Al «nazionalismo» invece fecero ricorso gli inni e i canti

:ttaglieri co~~ Il ca~to degli italiani, ~a cui ~nzione era q,uella d~ pre­sidiare i confInI. La dIfferenza fra mUSIca naZIOnale e mUSIca nazIOna­lista è la seguente: la musica nazionale riflette l'immagine della nazio­ne così che coloro che ci vivono si possano riconoscere in pochi ma es­senziali tratti. È la musica che rappresenta la quintessenza della nazio­ne, qualcosa di pre-esistente alla naz~one st~ssa c~e questa musica ha il compito di rappresentare I32

• La mUSIca nazIonalIsta serve lo Stato-na­zione nella sua competizione con altri Stati-nazione, si trova là dove si svolgono le battaglie per la terra, perché essa funziona per rafforzare i confini, come nel caso della musica militareI3J

Da quando la Rai ha dato uno scossone ad abitudini radicate come la trasmissione del Concerto di Capodanno da Vienna all'ora di pran­zo, per sostituirlo con un concerto dal Teatro La Fenice di Venezia con un repertorio centrato su arie e romanze operistiche, la battaglia per la difesa del territorio si è spostata sul digitale terrestre: se dai campi sportivi giungono amatissime le note dell'inno (i primi otto versi, i so­li imparati a memoria da milioni di italiani) nelle modalità del coro da stadio, dal teatro sono il Va', pensiero e il brindisi Libiam ne' lieti ca­lici dalla Traviata, più nobili nella loro funzione di «rappresentanza», ad augurare buon anno in mondovisione.

6. Bande e fanfare militari.

Allora Pipì, tormentato in cuore da una specie di rimorso, fu quasi sul punto di dire addio a suo padre e di prendere la strada più corta, che menava alla spiaggia del mare: ma mentre stava lì per decidersi, vide lontano lontano alcune fiaccole accese, che si movevano in qua e in là, e sentì una musica alle-gra di pifferi, di tamburi e di mandolini. ..

«Che cos'è quella musica e quei lumi?», domandò tutto meravigliato. «Come? Non ti riesce d'indovinarlo?» «No». «Sono i tuoi fratellini, che vengono a incontrarti con la fiaccolata e a suon

di banda!' .. » «Oh che piacere! Oh che bello spettacolo! Corriamo, babbo, corriamo ... »

(Carlo Collodi, Pipì. O lo scimmiottino color di rosa, in Storie allegre, 1887, p. 24).

lJ2 Ibid., p. 83. Spesso la musica nazionale si rivolge al foIkIore per affermare la propria autenticità. In sinteSI, la musica traduce la cultura contadina nella cultura nazionale. E quan­do la musica folk affronta questo percorso nazionale la sua funzione cambia, dal rappresen­tare la quintessenza della nazione a rappresentare la nazione in sé e per sé.

133 Ibid., p. 119.

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L'allegria trasmessa da una banda è un sentimento che molti italia­ni hanno provato almeno una volta. Ha radici antiche, riporta a un p~ss.at<? .coll~t~ivo e individuale ma si rinnova nel presente, tanto che a eSlblfSI m dIVIsa sono spesso musicisti giovani e insospettabili calati in . un ruolo che li vede impacciati ma orgogliosi. La banda è un'istituzio- , n~ cent:ale d~lla vita pubbli.ca, militare, civile e religiosa. La sua fun- . ~Ione .dI .c~rmera tra la musI~a colta e quella popolare è stata a lungo msostItuibile e spesso adempIUta in esclusiva, specie nell'Ottocento.

Essa è sempre presente come cerimoniere della comunità, necessario a so­lenniz~are ogni event<.> Pl!~blico ~i verifichi sulla piazza: presenzia alle feste pa­troI?-ah ed alle proceSSIOll1; mtrattlene, nelle feste estive, i paesani ed i turisti per le plaz~e ~el paese; raI?P~e~e?ta il.~aese e ne tiene alto il prestigio nelle feste del­la provmcla (patronali, clVlh, polltlche); accompagna i giovani alla leva; ecc.'''.

Il tern1:ine. «band~» deriva d~l gotico bandwa, che sta per «inse-gna» e qumd~ «ban.dlera», assocIando in un unico campo semantico banda e bandItore, Il messo comunale che fino al medioevo - accom­pagnato da musica - dava notizia alla popolazione di nuovi ordina­menti, decreti e disposizioni varie. Ecco che la banda rinvia per sua natura a qua~cosa che ha a. che fare c<;>n l'identità collettiva espressa da una bandIera, una funZIOne pubblIca, un rito che riguarda la co­munità e il suo funzionamento 135 •

. «~~ppresenta.l'i~rido societari? e il perno della vita paesana d'og­gI», plU. ancora dI chIesa e campamle, e proprio questa sua essenza in­ter~las.slsta e pre-fid~i~tic.a ne fa il «simbolo di compatibilità nelle re­lazIOm :- anche.I~ plU dIverse - basate sulla vicinanza»136, quel che Durkhelm classIfIcherebbe come «solidarietà organica», tipica delle comunità in c~i. ci si conos.ce tutti di persona. Ma al tempo stesso la sua natura anfIbIa la porta, m un moto centrifugo, a mettere in comu­nicazione il villaggio con la nazione»137 e, in un moto centripeto, a in­trodurre nel villaggio le acquisizioni della cultura borghese138 •

. Alla b~~da vengono attribu~te funzioni propriamente civiche tra CUI la novlta del concerto pubblIco e le varie funzioni cerimoniali e di

'~4 T.o

Petrucciani, «La rivoluzione entra a suon di banda». Politicizzazione e identità co­mumtana nel LazIO (1870-1913), p. 17, in www.sissco.it.

'." M. L. Straniero, L'allegra banda, in Speciale strumenti, allegato a «Il Giornale della Muslca»,"1991,4.

::: p. Clem~nt.e, Paese/paesi~ in Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria cit., pp. 38-9. ,,, PetruccI~, «!-a. nv?luzlone entra ~ suon di banda» cit., p. 17.

l:a banda e «~st1tuzlOne e~b!emat1ca da u~ punto di vista sociologico musicale, del passaggIO, nella ~rat1ca ~ nella fruiZIOne della musIca, dal predominio aristocratico a quello borghese~ (~. Glberto~, Banda, scuola e maestri di musica a Mirandola dalla fine del Set­tecento al glOrm nostn, m «Quaderni della bassa modenese», 1999,35, p. 47).

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0.---Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma ____ _

esentanza civile e religiosa1J9• Con la nascita dello Stato unitario,

cappr . l .' d· f .. . ti motivi concorrono a favonre a CostItuZIOne 1 ormazlom svana d···· b' bandistiche: motivi di or me pratICO, attme.ntI a ~n crescente. IS?~n~ di musica, cuore di feste e cerimo~ie p~bbhche; 1 re~~la~ent! m~htan che prevedono una banda per ogm reggImento; motIVI dI ordme Ide?­logico, che spingono a creare la ~an~a del pa.ese p.er ~are lustr? ~lla CIt­tadinanza e consentire la parteclpazlo~e attIva dI. chlUnque SIa !n gra­do di suonare. Gli esecutori sono quaSI sempre dIlettantI salvo Il m~e­stro spesso l'unico professionista e membro esterno alla comumtà: Pro~engono dalle classi lavoratrici. e .iI lor? ins~rimento al~'int~rn? ~I un'istituzione voluta dalla borgheSIa Illummata e un esempIo pIOm~r~­stico di contatto fra realtà periferiche e «generi, modalità e reperton n­gidamente codificati.s~condo. i çusti de~l~ ~lassi dirigenti dell'epoc~»14o. Attraverso la modahta aSSOCIatIva e stIlIstIca della banda, le claSSI su­balterne si scoprono a condividere modalità espr.essive e ?rganizzativ~ proprie delle classi e!!iemon.i, ~ando c~rpo.a u~'mtegrazIOne entro gh schemi borghesi. Tra 1 fruttI dI questo medIto mcontro, va annoverato il liscio. Le bande si trovano infatti a eseguire non solo pezzi d'opera e istituzionali, ma acquisiscono quei repertori ballabili che saranno presto diffusi anche dalle orchestrine ~i liscio.. . . .

La banda si inserisce nel grande dIsegno dI educaZIOne CIVIle mes­so in campo dal ceto democratico risorgimentale. L'ingresso della ba~­da nella vita pubblica dell'Italia pre-unit~ria è favo. rito ~alla ~opolan­tà del modus vivendi militare, responsabIle della dIffuSIone dI mode e repertori a livello europeo, che all'i?izio portava c~n sé i simboli della rivoluzione e dell' ascesa delle claSSI subalterne, pOi fu garante del po­tere ricostituito su base paternalistica. Il prestigio dell'uniforme con­notava dunque tanto i principi rivoluzionari (marce, inni) quanto .10 status quo (celebrazione). La marcia, musica militare per antonomaSIa, s'impone come genere collettivo ~he ri~anda al mov~mento : co~e ta­le verrà fatto proprio dal proletanato fmo al suo declmo. negh anm del­la radio e del disco14l • Durante i moti del 1848 le bande gIOcano un ruo­lo centrale nel catalizzare i sentimenti di rivolta, contribuendo ai di­sordini e subendo processi col risultato di essere sciolte. Alcuni mae­stri di musica si ergono a difensori civici e le loro lezioni serali si tra-

139 Sulla musica come servizio pubblico riman~o al mio I!!dustria ~ mercato dei beni mu­sicali in Dizionario della comumcaZlOne, a cura di D. Vigano, Caroccl, Roma 2009.

':0 C. M. Lanzafame, Socialismo a passo di valzer. Storia dei violinisti braccianti di Santa Vittoria, Lim, Lucca 2006, p. 90. o o o' •• • •

H' J. Mar6thy, Music and the BourgeOls MuslC and the Proletanan, Akadenuat Kiado, Budapest 1974.

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sformano in assemblee politiche in cui regna un' atmosfera sediziosa. Le feste patronali sono occasioni per suonare musiche sovversive e . manifestare contro il potere costituito. Più in generale l'attività delle bande è monito rata di continuo dalla polizia borbonica: che svolge re- . golare rapporto sulla moralità dei membri più che sul repertorio l42.

.La br~~ra delle bande musicali austro-tedesche presenti sul terri­tono dellImpero (Lombardo-Veneto, Sud Tirolo e aree friulane) era ampiamente riconosciuta nell' ambito di quel processo di civilizzazio­ne asburgico che coinvolse il Nord del nostro paese. Con le loro dan­ze di provenienza transalpina (valzer, polche, mazurche) creano un nuo~o, «surrettizio neofo.lclore»14J, come si legge in questo frammen­to dI Malombra (1881), dI Antonio Fogazzaro:

Le barche non venivano, m~ si udivano d.all'a.lto ondate di musica ora più ora II?-en? so~ore. ~erto la banda. s era fermata ~n piazza a far ballare le ragazze e i gIovmo~. Il Rico l?ropone di an~ar ve~so. nv~ ma ~onna Marina gli ordina di fe~arsl allargo e di aspettare. Egli co~ncla un enfatica apologia della banda fo­restIer~ del famoso suonato~e che ha lIDpa~ato a Como, di quell'altro prodigio che ha I~farato a Lecco, del loro strumentI; donna Marina gli ordina di tacere. Tacere lUi. ~Non suonano pi~, ecc?, vengono, son qua; no, non vengono anco­ra, adesso s .Imbarcano; oh, del lUmI! Son lanterne! Son palloni! Ora sÌ che ven­gono propno. Suonano, suonano». "Rema» disse Marina «verso la musica»l ....

La presenza o il solo passaggio delle bande militari austriache co-m'era stato in precedenza per quelle napoleoniche, favorì indir~tta­mente la formazione di un organismo musicale su base locale e l'ado­zio~~ di nuovi st~ment.i a fiato nonché di più evolute modalità com­posItIvel45. La mUSIca mIlitare s'innesta nelle funzioni rituali dov'è ri­chiesta la necessità di governare la marcia (processioni, cortei carneva­leschi)I46 e il militare si trasforma quindi nel civile. Tra il 1859 e il 1869 ogni comune italiano aveva istituito la sua Guardia nazionale con rela­tiva banda civica e scuola annessa, su modello francese, in primo luogo per assolvere a tutte quelle incombenze celebrative connesse al nuovo Stato, laico e moderno. Poi la Guardia viene sciolta nel 1869 a causa del­le massicce a~esìoni mostrate nei confronti dei disordini generati dalla tass.a sul macmat? Nell'Ottoc~nto è la realtà musicale più diffusa in ItalIa. Nel 1872 nsultano esserCI 1494 bande e 113 fanfare civili, più 78

• 14~ C. Trm:a Genoino, I suonatori popolari nelle pandette della polizia del Regno Borbo-niCO, m «MUSica/Realtà», 1989, 28, pp. 96-8.

14J Morelli, L'opera cit., p. 93. ::: A. Fog~zaro, Malomb~a, Newto.n Compton, .R?ma 19?7, rp, 75-6 ..

Terra dz Cento, a cura di T .. Contn e L. Lorenzml, Gherll, s .. 2001, Citato in Lanzafa­me, Soczalzsmo a passo dz valzer Clt., p. 56.

146 Guizz~ Guida alla musica popolare in Italia 3. Gli strumenti cit., p. 167.

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bande e 40 fanfare militari, per un totale di 46422 suonatori, un nume-che sopravanza quello di ogni di ogni altra istituzione affine147

• Nel­i~ stessO anno .deb';ltta i~ m~nsile «La Band~», c<;>n.partitura in allegato. L'editore GiulIo RIcordi stImola la prodUZIOne IstItuendo un concorso annuale (1888-92) e varando nuove collane con lo scopo di innalzare il livello delle bande per farne il surrogato popolare dell'orchestra148

• Nel 1896 viene inaugurata la prima cattedra di Composizione e Strumenta­zione per banda al conservatorio romano di Santa Cecilia.

In cosa differiscono le bande italiane dagli autorevoli modelli fran­cesi e tedeschi? In primo luogo nella formazione del repertorio, orien­tata all'imitazione dell'orchestra del teatro, «faro di riferimento per impaginare qualsiasi partitura bandistica» 149. In secondo luogo nella notevole varietà che il modello bandistico ha assunto nel nostro paese, come risultato dell'interazione con le molte tradizioni locali preesi­stenti. In pratica, nella seconda metà dell'Ottocento emergono - con sempre maggiore convinzione - formazioni di ogni tipo impegnate non solo a preservare un repertorio antico, ma aperte anche alle nuo­ve sonorità «d'importazione» che vi fanno ingresso per poi uscirne se­condo modalità del tutto inedite, spesso a scopo puramente commer­ciale. Caso unico al mondo, le orchestre di arpa di Viggiano, paesino della collina lucana, che nel 1853 contava 7000 abitanti e 300 suonato­ri girovaghi fuori sede, tutti arpisti.

Sulla base di una imprecisata tradizione autoctona, che compor­tava l'uso di orchestre d'arpa (arpe di molte misure) in funzioni pa­raliturgiche, i viggianesi erano partiti alla conquista del mondo, dap­prima con i loro concerti sacri, in cui dal Settecento si impastavano musiche folkloriche e musiche d'autore (si diceva di Cimarosa, Jom­melli, Pergolesi: napoletani). Poi col tempo si aprirono a canzoni na­poletane pseudo-operistiche, balli lisci e arrangiamenti di successi e ouvertures operistiche150.

14' A. Carlini, Le bande musicali nell'Italia dell'Ottocento: il modello militare, i rapporti con il teatro e la cultura dell'orchestra negli organici strumentali, in «Rivista Italiana di M~­sicologia», xxx, 1995, 1, p. 85. Alcune aree come la bassa padana mostrano una forte musI­cali0, documen?ta da un censimento effettua!o nel.t.871-7~ dal9u:ù~ emer~ono numen?se SOCietà filarmomche bande e fanfare sotto la via Emilia e nel paesI nVleraschi. Nelle provm­ce di Piacenza, Par~a e Reggio vi era un socio filarmonico ogni 2183 abitanti e un suonato­re di banda ogni 445 (Lanzafame, Socialismo a passo di valzer cit., p. 86). Un secolo ~opo le bande in Italia sono oltre 3500. Cfr. Parliamo di bande. Censimento!, in «Laboratono Mu­sica», luglio-agosto 1979, 2-3.

148 U. Piovano, Il contributo di Giulio Ricordi alla diffusione delle musiche per banda al­la fine dell'Ottocento, in «Fonti musicali italiane», 2005, lO, p. 153.

149 Carlini, Le bande musicali nell'Italia dell'Ottocento Clt., p. 92. ISO Morelli, L'opera cit., p. 94.

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La frastagliata geopolitica dell'Italia pre-unitaria rivela una nn' 1I>r,~,-,' t~ musicale altrettanto complessa. Si va dalla banda pilusa in nrl"\",nl"

dI ~at~n~aro (zamp?g~a. o fi~armonica, ciaramella, grancassa, rullante e pIattI) al complessI dI fIffan e tamburi di origine militare presenti in PIemonte (Canavese, assola), fieri dei loro costumi napoleonici o sa­baudil51

• Dai complessi di ocarine, organizzati come piccole bande che della ~and~ ~ss.u~ono anche il ~el?ertorio, a quelli di strumenti poveri come 1 r~Vt, lfirlmfo e le ~onchlghe (brogne) del Carnevale di Sapona­ra. (Messma)l52. ~ncora pI~ vasto è il panorama degli organici compo­stI da strumentI eterogene~, dalle orchestrine marchigiane (organetto, tamburello, castagnette, tnangolo) alle paranze di Somma Vesuviana (doppio fl~uto, tamburello, castagnette), dalle danze napoletane (tam­bu~ello, tnccheballacche, putipù, scetavajasse, tammurro ... ), all'orche­stnna del t~rant~sD?o (violino, o~ganetto, chitarra, tamburello), dalle orchestre d archi dI Canosa (Ban) a quelle del «proto-liscio» di Santa' Vittoria (Gualtieri, Reggio Emilia)l53. L'avventura della banda italiana prosegui~à nel. Novecento, pur in un regime di spietata concorrenza, senza ma~ abdlcar~ a que~ ruolo pubblico che la comunità del paese o del quartIere contmua a nconoscergli.

7. Suoni dalle campagne, eredità arcaiche.

, Al vi.Haggio suonava mezzogiorno, e tutte le campane si misero in festa per l ~~censIOne. Quando esse tacevano una gran pace si faceva tutto a un colpo alI Intorno per la campagna. A un tratto si udì il sibilo acuto e minaccioso del treno che l?assav~ c,?me un lampo. [ ... ] Gli organetti continuarono a suonare, e la baldona duro SInO a tarda sera, nelle osterie. Poi, quando le voci si affio­c~r~mo e le r~gazze furono stanche di ballare, ricominciarono a parlare del sui­cIdIO della gIornata.

(Giovanni Verga, Per le vie, 1883)

. .L' organett~, con le campane, lo zufolo dei pastori e il tamburello, è Il tImbro dOffil?ante nel paesaggio sonoro raffigurato nei romanzi di Verga e lo era dI certo nella vita dei contadini dell'Ottocento. Al Nord

,5\ Q~esti c,?mplessi sono pre~e~ti anche in altre regioni. Cfr. Guizzi, Guida alla musica popolare m Italta), Glt strumentI Clt., p. 166.

,>2 Ibid., p. 190,

153 Si tratta di 1;Ina varietà sonora impressionante ,se ,~essa a confronto con l'omogeneità d~~a popular mus~c c0!1te~poranea, che la te~nologla e l,n grado dI render~ immensamente plU vas~ ma ch~ I appIattImento del gusto e I omologazlone nella prodUZIOne discografica mternazlonale nduce a pochissime scelte timbriche.

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vivevano in ca~cine e fattorie e. si ritrov~vano la sera nell~ stalla pe~ caldarsi, da cUI la prevalenza dI forme dI spettacolo come Il teatro dI

:talla le canzoni narrative, le lunghe storie ... Al Sud vivevano sulle colli~e ma andavano fuori per lavorare l'appezzamento di terra, di­stante anche diversi chilometri.

In Sicilia - ad esempio - i grandi cantanti popolari erano carrettieri che ve­nivano da molto lontano, passavano la notte in una sorta di caravanserraglio e tenevano contese rituali gareggiando in abbellimenti virtuosistici improvvisatil5

'.

Le modalità cambiano ma resta la centralità della musica, che si conferma tale sia in ambienti rurali sia urbani, presso le corti e i luoghi di culto. Proprio questi ultimi si rivelano laboratori dell' espressività popolare in cui sacro e profano convivono in un'idea di religiosità dal­le forti tinte teatrali, come ricostruito da Gabriele D'Annunzio ne Il trionfo della morte (1894). La scena del Santuario (la Madonna di Ca­salbordino in Abruzzo) ha un andamento cinematografico nel rende­re anche con i suoni il senso della fede popolare, dove il canto etnico è sovrano e sovrasta una drammaturgia di grande impatto:

Era uno spettacolo meraviglioso e terribile, inopinato, dissimile ad ogni aggregazione già veduta di cose e di genti; composto di mescolanze così stra­ne aspre e diverse che superava i più torbidi sogni prodotti dall'incubo. Tutte le brutture dell'ilota eterno, tutti i vizii turpi, tutti gli stupori; tutti gli spasimi e le deformazioni della carne battezz<\ta, tutte le lacrime del pentimento, tutte le risa della crapula; la follia, la cupidigia, l'astuzia, la lussuria, la frode, l'ebe­tudine, la paura, la stanchezza mortale, l'indifferenza impietrita, la disperazio­ne taciturna; i cori sacri, gli ululi degli ossessi, i berci dei funamboli, i rintocchi delle campane; gli squilli delle trombe, i ragli, i muggiti, i nitriti; i fuochi crepi­tanti sotto le caldaie, i cumuli dei frutti e dei dolciumi, le mostre degli utensi­li, dei tessuti, delle armi, dei gioielli, dei rosarii; le danze oscene delle saltatrici, le convulsioni degli epilettici, le percosse dei rissanti, le rughe dei ladri inseguiti a traverso la calca; la suprema schiuma delle corruttele portata fuori dai vicoli immondi delle città remote e rovesciata su una moltitudine ignara e attonita; come tafani sul bestiame, nuvoli di parassiti implacabili su una massa compat­ta incapace di difendersi, tutte le basse tentazioni agli appetiti brutali, tutti gli inganni alla semplicità e alla stupidezza, tutte le ciurmerie e le impudicizie pro­fessate in pieno meriggio; tutte le mescolanze erano là, ribollivano, fermenta­vano, intorno alla Casa della Vergine"'.

In campagna sono le feste tradizionali legate al calendario religioso e agricolo a segnare i momenti ludici e «liberatori» fino alla fine del se­colo, quando la trasformazione della società rurale incide sui modi di aggregazione e scopre nuovi luoghi in cui socializzare nel tempo libe-

15' Rosselli, Sull'ali dorate cit., p. 28. 155 G. D'Annunzio, Il trionfo de[la morte, Mondadori, Milano 1995, p. 235 (corsivi nostri).

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ro, come l'osteria, le società di mutuo soccorso, le cooperative e le le­ghe operaie156

• In origine la musica ha la funzione di creare, legittima­re e mantenere l'ordine. L'organizzazione del gruppo sembra costitui­re la principale funzione del canto e della musica in generale perché da un lato, proprio per la loro ridondanza, essi favoriscono un'azione si­multanea (lavoro, danza, culto, guerra ... ) mentre dall'altro enfatizza­no le norme di comportamento cruciali per la cultura157

• Il carattere «eccessivo» delle musiche popolari è conseguenza del loro rapporto' con la storia, ovvero della sua capacità di autoconservazione nel tem­po: il mondo popolare si racconta attraverso l' hic et nunc, il manife­starsi del momento. Se tutti i canti popolari sono sempre «contempo­ranei», il loro archivio è la memoria158

, il cui ruolo chiave nella conser­vazione di un patrimonio collettivo per buona parte anonimo, si scon­tra con le possibilità limitate di cui è dotato l'essere umano, e ciò spie­ga in parte la «semplicità» dei prodotti popolari159

Fra i suoni ereditati da un passato arcaico, spicca quello delle lau­neddas, risalenti all' età nuragica. Strumento sardo per eccellenza, co­struite con le canne che crescono sull'isola e immortalate dal premio Nobel Grazia Deledda nel romanzo Canne al vento, quest'icona del mondo popolare mostra analogie con l'aulos greco e la tibia romana160

• ,

Come in molte società folkloriche sufficientemente evolute, anche in Sardegna è esistito un sistema musicale autonomo in grado di inte­ragire con varie fasi e momenti della vita collettiva e individuale dan­do ad esse espressione secondo una grammatica semplice ma ricono­sciuta dai parlanti:

I conzertos traducono comportamenti e fasi diverse dell'esistenza, dove al­legria, grazie, lutto, tristezza, vengono espressi attraverso moduli melodici e intonativi di registro predisposti secondo un codice preciso di riferimento al rituale entro il quale l'esecuzione si svolge: matrimonio, ninna-nanna, funera-

156 A. Tonelli, E ballando ballando. La storia d'Italia a passi di danza (1815-1996), Fran­co Angeli, Milano 199~,.p. ~5. N~i ~uovi luoghi del temp? libero,.i balli o.rganizzati rim­piazzano quelli folklonci e SI COInlnCla a creare un repertorIo coreutlco-muslcale buono per tutti, non più legato a quel territorio in particolare.

157 A. Lomax, Folksong, Style and Culture, American Association for me Advancement of Sciences, Washington 1968. .. .

158 R. Leydi, «Sentite buona gente». La ballata e la canzone narrattva, m GUida alla mu­sica popolare in Italia 2. I repertori, a cura di R. Leydi, Lim, Lucca 2001, p. 48.

159 Sono fatti per essere mandati a memoria, perciò vanno costruiti con abbondanti appi­gli, in modo da evitare cadute nell'oblio. Ecco perché la ripetizione è una caratteristica co­mune alle culture orali (e non solo).

160 Le launeddas sono uno strumento a tre canne di diversa lunghezza che consentono una polifonia e un suono continuo grazie alle tecniche di respirazione circolare conosciute in Sardegna e in altre parti del mondo.

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le, ballo sardo. Per tutti questi contesti, che si riferiscono in sé a una moltepli­cità di stati emotivi e sociali, esistono una voce adatta, un conzertu ideale!".

Era cosÌ nell'antica Grecia (pochi strumenti in grado di rappresen­tare l'intera gamma delle emozioni e funzioni sociali) ed è cosÌ in altri microcosmi preservati dalla modernità, dai Balcani all' Africa. Attra­verso l'esecuzione si sprigiona - come da una lampada magica - un paesaggio sonoro che è traduzione di un mondo immutabile, come viene rievocato in un racconto di Gavino Ledda:

con quelle tre canne lui riproduce rumori, suoni, sillabe e frasi della natura che conosceva e la comprende meglio: scrosciate d'acqua, tuoni e temporali; versi d'uccelli, sibili di serpe; vibrati di capra e ragli di somaro; fatiche umane e membra in movimento. Insomma, per lui quelle tre canne erano divenute un enorme ponte levatoio!".

Tra le prerogative della musica c'è quella di comunicare messaggi in modo più gradevole, elegante ed elaborato rispetto alle parole nude e crude. Questa sua facoltà di arricchire un racconto trasformandolo in uno spettacolo ha prodotto i capolavori del melodramma e una consi­stente tradizione di pezzi brevi, tra i quali spicca la canzone. Il mondo popolare ha scelto la serenata per comunicare un messaggio d'amore, d'amicizia, di augurio o di dispetto in una cornice rituale, altamente codificata. Affidata a esecutori specialisti, quasi sempre in gruppi ri­stretti, la serenata si tramuta in occasione di compartecipazione pub­blica per legittimare il messaggio stesso agli occhi della comunità.

In Puglia c'era una serenata contadina antica, di cui si conserva solo una vaga memoria: prevedeva una complessa organizzazione rituale, l'impiego di uno o due compari che ne gestivano la preparazione ed esecuzione, bloccando l'accesso ai passanti se richiedeva l'esclusiva. Era basata sul canto: uno o più cantanti accompagnati da strumenti a corda (chitarra battente, chitarra francese, violino, mandolino e mandola) in­tonavano componimenti lirici in dialetto locale o regionale/meridiona­le (per nobili tarlo ). Finiva con una tarantella. Poi, tra la fine del secolo e l'inizio del Novecento, questa tipologia scompare, sostituita dalla se­renata artigiana, che mostra influenze della musica colta, allarga lo stru­mentario al banjo (introdotto dai primi emigrati di ritorno dall' Ameri­ca), fisarmonica, clarino o sassofono. I suonatori sanno leggere la mu­sica anche se eseguono a memoria, i brani strumentali contano più di

161 Così scrive Roberto Favaro ne La musica nel romanzo italiano del '900 (Ricordi-Lim, Lucca 2003, p. 90), riprendendo i ragionamenti dell'etnomusicologo sardo Giulio Fara.

162 G. Ledda, Sas launeddas (1978), in I cimenti dell'agnello, Scheiwiller, Milano 1995, ci­tato in Favaro, La musica nel romanzo italiano del '900 cit., p. 93.

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quelli cantati, che s.on<;> in it~liano, ~ratti da romanz~ e dalle. can~o- . nette napoletane o ItalIane .. SI compIe un pr<;>cesso ~:h de!unzIOnalIz­zazione della danza che VIene trasformata m mUSIca d ascolto. Sul piano sociale va in s~ena un' em~lazione d.ei modelli delle cl~ssi eleva­te e i protagonisti sono chiamati «maestn» non s~lo perche son~ ~r­tigiani professionisti ma perché conosco~o la ~U~l~~ e so~o deglI 10.­

tenditori. Dunque ricoprono un ruolo dI pr~st~gIO : C~Sl a NapolI, dove i professionisti delle serenate su commISSIOne SI .ch~am~no «ga­vottisti» si riuniscono in alcuni caffè dove aspettano 1 clIenti, spesso guappi ;he ordinano «serenate a dispetto» destinate alla donna ritro-sa o al rivale. . . .

Tre scenari, tre prospettive sui suoni della ca~pagna fISSI e ~mmu- , tabili da secoli: la musicalità dei fedeli in proceSSIOne al Santuano,. uno . strumento (le launeddas) che esprime e riflette un mondo, un cenmo- ' niale (la serenata) dove pubblico e privato si confondono. Queste s~o­rie non restano confinate all'Ottocento: sforano nel secolo succeSSIVO e ancora per molto s'intrecciano a un presente in rapido cambiamento nel quale trovano nuove forme d' adattame~to. ,

Come si presenta il panorama della mUSIca Ropolare all.ep~ca .del: . l'unificazione? La ballata e il canto lirico sono 1 due genen pn~clp~, della musica vocale italianal64

• La distinzione rimanda a categone pIÙ ampie, come quella fra stile continentale e stile mediterra?eo, ovv~ro tra popoli in cui la melodia .s?rge ~.alle parole e serv~ a vel~olare o 10-

tensificare la poesia e popolI m CUllI ~anto nasce d~ ImpulSI puramen­te vocali. Nei primi prevale la funZIOne re~erenzla!e ~he tIene s~tto controllo gli eccessi della musica ~ favore d~ un~ m1ghor~ comuruca­zione· nei secondi prevale la funZIOne emotiva, l ostentaZIOne del ge­sto v~cale che mira a sottolineare l'espressività dell'evento. Ciò raffor­zerebbe il luogo comune che la vocalità italiana (i1entific~ta nella sua componente meridionale e non in q';lel.la s~ttentnon~le, .lmparenta~~ con l'Europa del Nord) sia davvero fIglIa dI una voglIa dI cantare plU che di una voglia di raccontare. ..

Al Nord le parole sono intellegibili, il tempo .è «glUStO» e l~ VOCI sono piene, sostenute dal petto. Man mano ~~e SI procede daglI ~p­pennini verso sud il clima cambia e a Napoh Il canto corale spansce,

163 Giuseppe Michele Gala, note interne al cd Viol~n~ e ~erena.te '! ~anosa, ~ssociazione Culturale Taranta (Firenze), collana Ethnica «Le tradlzloru musicali m Lucarua», VII, Sud-Nord, Roma 1993. . l N' il .

164 C. Nigra, Canti popolari del Pie:nonte, Lo~scher,.Ton~o 188.8. ~ I~ra usa ter~me «canzone» ma quello di «ballata» ha riscontrato I faVOri degli studiOSI ed e entrato nell uso corrente.

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il tempo diviene «rubato», e una volta giunti in Sicilia il carattere ab­bellito delle melodie e la qualità nasale del timbro vocale ricordano la musica arabal65

Se il canto solista è maggioritario, la polivocalità è un tratto fonda­mentale della musica di tradizione orale in Italia ed è presente in tutte le regioni, con una speciale menzione per la Sardegnal66

• Accanto ai due generi principali, esistono numerose tradizioni che fanno riferimento a usi e situazioni tipiche, anche se non esclusive, del mondo rurale: ninne-nanne, canti infantili, numerativi, cumulativi, rituali e religiosi, lamento funebre, canzoni a ballo, contrasti, canti di lavoro, canti so­ciali ecc. Alcune sono di pertinenza femminile, come la ninna nanna e il lamento funebre. Altre di pertinenza maschile, come la serenata e il canto di carrettiere. Altre ancora prevedono l'interazione maschio­femmina, come il canto «a contrasto». Quanto alla struttura, alcune forme ricadono nella più consolidata categoria di «composizioni chiu­se» (ad esempio le canzoni), altre si configurano come «processi» in cui si manifesta un modo di cantare, un progetto di comunicazione che vi­ve anche di estemporaneità, nell'hic et nuncl67

Nello spettacolo Il bosco degli alberi (La storia d'Italia nel giudizio delle classi popolari), che debuttò a Piacenza il 15 maggio 1971, Gian­ni Bosio e Franco Coggiola scelsero un gruppo di canti che potessero rappresentare la storia del paese. Il periodo che va dai primi dell'Otto­cento alla fine del secolo comprendeva Il bosco degli alberi (una can­Zone antica, citata dal Nigra), Rondinella pellegrina e La bella Gigogin (due canzoni risorgimentali), Dove sei che non ti vedo (una canzone d'amore), La rondinella d'Aspromonte (una canzone garibaldina) e La Comune non è morta (versione italiana di una canzone comunarda). Ma non sono molte le canzoni che possono vantare una circolazione fuori dai confini regionali, se ne escludiamo alcune conosciute da se­coli come Donna lombarda, La bella Cecilia, La pesca dell'anello, La principessa (o baronessa) di Carini, di cui si sono rintracciate centinaia di «lezioni» in diverse parti d'Italia e persino all' estero. Sono ballate

l65 L'Italia meridionale un tempo era governata dagli spagnoli (che avevano rapporti stret­ti con il Medio Oriente) e la Sicilia in particolare lo fu dagli arabi, prima di Cristo. Cfr. $orce Keller, Reflections oj Continental and Mediterranean Tradition in Italian Folk Music cito

166 I. Macchiarella, Il canto a più voci di tradizione orale, in Leydi (a cura di), Guida al­la musica popolare in Italia 1. Forme e strutture cit., pp. 163-5. Nelle regioni settentrionali prevale l'andamento contrappuntistico, in quelle mendionali quello accordale.

167 T. Magrini, Aspetti del canto monodico in Italia, in Leydi (a cura di), Guida alla mu­sica popolare in Italia 1. Forme e strutture cito Sulla distinzione fra musica come «oggetto» e musica come «processo» cfr. P. Carpenter, The Musical Object, in «Current Musicology», 1967,3.

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che hanno radici in età feudale e hanno circolato dal Piemonte alla Scandinavia, dalla Catalogna alla Germania grazie ai cantastorie e ai: vagabondi che affollavano le strade dell'Europa medievale168.

A questi componimenti, di cara~ter~ p~r lo più tr~gico, si. s~cc~det- .' tero altri ispirati a fatti di cronaca, ncchi di partlcolan e descnzlOm, che si dilungavano in forma poetica (anche centinaia di versi endecasillabi). Sono indicati come «storie» e si collocano per lo più nell'Italia centro-. meridionale e in Sicilia, presentano legami con una tradizione mediter­ranea e balcanica e sono pubblicati su fogli volanti per essere venduti nei mercati e nelle fiere. A differenza delle antiche ballate, dal respiro' europeo, le storie hanno .un richia?10 nazi~nale, s~ no? reg~0~ale169.

Pur nelle differenze di reperto no, tuttavia, ogm regIOne Italiana mo­stra analoghe forme e funzioni musicali. Perciò è possibile trovare un·. po' ovunque rime infantili, canti lirici e canti narrativi, contrasti e stor­nelli, canti di lavoro e rituali di vario tipo (dai maggi alla Pasqu~ dalle novene alla mietitura). Così come è possibile rinvenire le stesse upolo­gie di strumenti anche se la fattura e i materiali con ~ui sono costruiti . può variare di luogo in luogo. Il tamburello, ad esempIO, lo strumento a percussione più diffuso al Sud, nell'Ottocento era suonato. ~che a! Nord e in Veneto è riscontrato ancora fra le due guerre mondiali. Oggt sopravvive presso la comunità istro-veneta di Gallesano (lstria, Croazia) e a Cogne. L'ocarina sarebbe stata inventata a Budrio (Bologna) a metà Ottocento dalla famiglia Donati, mentre il modello doppio fu realizza­to a Camisano Vicentino da Luigi Silvestri, che diventò ricco e famoso17o. I

Con questo strumento, che vanta già una timida circolazione, usciamo dal mondo strettamente contadino per entrare in una zona intermedia, . nella quale città e campagna si avvicinano grazie a strumenti poveri e di facile esecuzione come l'organetto, che «contribuì alla diffusione di una ' elementare conoscenza della musica più di ogni altra cosa precedente la diffusione del grammofono», pur restando un intrattenimento cittadino fornito da specialistil7l

• Ponte fra i diversi ceti sociali, p~r la l~ro adatta: bilità a diversi insiemi strumentali e culture, la prodUZIOne di organetti . (e fisarmoniche) si concentra a Castelfidardo (nelle Marche), a Stradella' (in Lombardia) e a Vercelli, che esporteranno in tutto il mondo172

168 R. Leydi, I canti popolari italiani, Mondadori, Milano 1973, p. 229. 169 Ibid., p. 230. . . . . 170 Cfr. Guizzi, Guida alla musica popolare in ItalIA 3. Glt strumentz Clt. 171 Rosselli Sull'ali dorate cit., p. 129. Ma nel Novecento avanzato l'organetto sarà appan- .

naggio dei ceti'rurali,grazie a un revival.«di rito~o» che ~guarda l'ru:ea ce~tr?-meridionale. , 172 Sull'origine dell'organetto le fonti SO?O diSCc;>rd:mtl: per alcuru (GU1~ZI) nasce nel186~ .

con Paolo Soprani (Castelfidar10~,per altn (Ley11) n~ale al 1826, per altn ancora (Rosselh) fu inventato nel 1805 ma da nOi diffuso solo negh anru quaranta.

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8. Suonare per vivere: «piccoli schiavi dell'arpa», savoiardi e girovaghi.

Uno in fila all'altro con le chitarre appese al collo, cosÌ essi cantavano e suonavano:

i loro strumenti e una voce corale eran promesse di una letizia ancor più grande per il felice

spettatore e ogni orecchio anelava a sentir di nuovo

le loro travolgenti chitarre e le loro limpide voci.

(William Hones, Menestrelli italiani a Londra a Natale del 1825)173

C'è una pagina di storia italiana che - tra l'unificazione e gli anni ottanta - sollevò questioni morali, indignò l'opinione pubblica inter­nazionale e scosse lo spirito nazionale al punto di finire in Parlamen­to, dove nemmeno gli strumenti della politica riuscirono a chiuderla. Ci pensò la società civile, negli anni, a porre fine a una piaga di cui un paese da poco unito sotto la stessa bandiera non poteva andare fiero: la piaga dei bambini ambulanti, «affittati» da famiglie disagiate a pa­droni che li portavano con sé nei paesi ricchi per esibirli in strada, spe­culando su un'immagine di pietà e compassione.

La Gelsomina di Fellini, affidata al forzuto Zampanò, rievoca con la sua mesta e solitaria tromba un'odissea ormai estinta negli anni cin­quanta de La strada. Ma che ha segnato un' epoca. A quei bambini ve­nivano messi in mano un organetto, un' arpa o un violino, si insegnava loro qualche pezzo facile che avrebbero ripetuto allo sfinimento per anni, alternandovi altre forme di spettacolo come l'esibizione di ani­mali al solo scopo di mendicare. Vivevano lontano da casa in condi­zioni di degrado, alimentando reazioni alterne nelle popolazi~ni con cui venivano in contatto: dalla commiserazione al fermo rifiuto pas­sando per l'ironia e il sarcasmo. Tuttavia, questo anonimo esercito di fanciulli ha contribuito, e in modo significativo, a diffondere la musi­ca italiana nel mondo, malgré lui, diremmo senza trionfalismi: «Han­no ripetuto al rozzo operaio inglese le dolci melodie del melodramma italiano», si legge in un libro del 187217\ E nel 1879 la rivista medica «The Lancet» sostiene che il rumore prodotto nelle strade da questi ambulanti aveva

17.\ In Everyday Book, citato in J. E. Zucchi, I piccoli schiavi dell'arpa, Marietti, Genova 1999, p. 130.

174 Citato ibid., p. 30.

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contribuito notevolment~ a diffondere. una qualche conoscenza e apprezza­mento per la buona musica tra le claSSI più povere, la cui possibilità di udire musica di qualunque sorta era molto limitata'75.

Un suonatore proveniente da Parma, intervistato nel 1850, dichia- . rò di poter eseguire otto motivi sullo strumento:

. Due sono tratti dall'opera, uno è canzone, un altro un valzer, poi c'è una plVa, una polca e gli ultimi due sono motivetti ballabili. Uno è tratto dai Lom- . bardi di Verdi'''.

Gli inglesi mostravano, al fondo, una certa benevolenza nei con­fronti di quelli che chiamano «i ragazzi dell'organetto italiani». La cul­tura italiana, nella sua dimensione artistica, letteraria e musicale era dif­fusa da tempo in Gran Bretagna e in maniera massiccia, grazie a reso­conti di viaggio, libri, poesie, romanzi. L'attualità politica accresce la solidarietà, dal momento che anche il popolo britannico appoggia le lotte di liberazione e nel 1864 Garibaldi verrà accolto come un eroe da' mezzo milione di londinesi.

È la musica che spiana la strada all' emigrazione di massa. La musica, con la sua comunicativa che crea empatia, stabilisce un contatto fra gen- ' ti diverse e trasmette un messaggio che si suppone universale, ma che ta­le non è: Non importa. Funziona quanto basta per agganciare un pas-sante cUI non serve tapparsi le orecchie per non ascoltare. E le . . contro quei bambini mandati a mendicare col pretesto di offrire musica· riguardano anzitutto questioni di acustica ambientale: i musicisti ambu­lan.ti sono percepiti come un'insopportabile invasione, come scrisse il «Tlmes» nel settembre 1855: «sono crudeli tiranni che colpiscono al cuore della libertà fondamentale degli inglesi, quella della privacy».

Lo sfruttamento dei minori a fini di accattonaggio risale al tardo Cinquecento, l'epoca in cui il passaggio dalla mendicità episodica a, forme di mendicità continuativa e professionale coincide con il loro addestramento in diverse forme di spettacolo di strada.

Fanno dunque il loro ingresso in quell'esercito della miseria . solca le vie d'Europa cercando di sbarcare il lunario con attività ludi­che e superflue, composto da «suonatori, ammaestratori di animali, equilibristi, commedianti, lanternisti, savoiardi e via elencando». .

Già a fine Settecento

i ca~tastori~ s~erci~van? ~tam~e di. ru:go.m~nto profano (assedi, battaglie, pro­cessI celebn), I vendIton di «articoli di pleta» portavano sul dorso una sorta di

'" Ibid., p. 151. 176 Altri eseguivano melodie famose del posto, altri ancora brani del Tannhiiuser e

Lohengrin. Ibid., p. 30.

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tabernacolo contenente l'icona di un santo o di una madonna e intonavano in­ni sacri. Suonatori e venditori attiravano il pubblico con scimmiette pappa-galli, topi bianchi, tartarughe e marmotte 177• '

Gli ambulan~i italiani appai?n~ per la prima volta a Londra e Parigi nell.81?, ~opo A C~ngresso ~l. Vlenna. A metà secolo erano già rico­nOSClUtI e IdentifIcatI come tali In molte città europee e americane. Sta­vano alle dipendenze d~ u? padrone dai 15 ai 36 mesi, utilizzati per suo­nare organetto, arpa, v1OlIno, cornamusa o piffero. A Parigi li chiama­vano savoiardi perché ricordavano i giovani spazzacamini della Savoia c~e tra il ?CVI e il XIX secolo avevano attraversato l'Europa (precurso­n assoluti: oltre a spazzare, vagavano con ghironda e marmotta e lan­terna magica, coperti di fuliggine). I nuovi savoiardi provenivano dal duca~o di ~arma ~valli di Taro e di Ceno: Grezzo, Bedonia, Compiano, BardI) e dIntorm (entroterra di Chiavari: Mezzanego, Santo Stefano d'Aveto, Lumarzo, Borgotaro): paesi agricoli di collina e media monta­gna. In ~eguito il flusso riguardò il Regno di Napoli - provincia di Po­tenza, dI Caserta o Terra di Lavoro: Viggiano, Marsicovetere - la Cio­ciaria e la cittadina di Sora, ma anche il Piemonte, Livorno e L~cca.

Ogni. comuni~à girovaga ~veva i suoi strumenti prediletti: ghironde e o.rganem a~~nClaVan? quellI di Parma e di Chiavari, i pianini meccani­CI a spalla. 1 pIemonteSI ma non solo (Novara, Vercelli, Chiavari), zam­pog~e ~ c~aram:lle i ciociari, che con i lucani condividevano la passione per Il v1OlIno e l arpa. Dopo aver visitato Londra, la Francia e la Germa­nia, molti dei nomadi musicisti si spinsero fino a Istanbul Smirne Salo­nicco e ~osca i~crementando i~ tal modo il reddito nei ~eriodi ~ cui il lavoro del. ca~pl. no~ dav~ fruttI. ,!,racciarono cosÌ rotte migratorie lun­g.o le qualI altn SI ffilsero In caffiffilno. La musica si conferma come una nsorsa per compensare gli affanni non solo spirituali o di cuore ma an­ch~ finanziari nei momenti di crisi; oltre a dare piacere in sé, me~e in re­laz10ne con altri musicisti e con un pubblico potenzialmente pagante, di­ventando un s.econ~o lavoro per eccelle~a ?ocumentato in tutte le epo­che della stona naz1Onale. Ma per alcum dIventò anche un business di propor.zi~ni .~tern~zionali,. come di~ostra la storia dell' organetto di B~rber~a, Il plU clasSICO deglI strumenti meccanici da strada. I primi fab­bncantl sono quelli del ducato di Modena a fine Settecento e inizio Ot­toc~r:to, ma l'industria fiorì soprattutto nella Londra vittoriana. La dit­ta plU vecchia aveva come socio Muzio Clementi, il celebre pianista e di-

l'e ':7 M .. PorcelI~, Premesse. dell'emigr~zione ~i massa in età prestatistica, in Storia del-

Irnl.lgrazlone Italzana, II, ATTIVI, a cura di P. Bevilacqua, A. De Clementi E. Franzina, Don-

Ze l, Roma 2009 [2002], p. 28. '

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datta, che nel 1802 si mise in proprio. La più nota era quella di Giusep- . pe Chiappa, inaugurata nel 1864 al numero 5 di Saffron Hill, nel cuore di una colonia di suonatori italiani. L'imprenditore si trasferì a New, York per fondare una fabbrica di organetti da fiera e nel 1877 fece ritor­no a Londra per allargare l'attività ad altri strumenti meccanici come i pianoforti a tamburo. Restò in attività fino al 1893. Un altro «magnate», ; fu Lodovico Gavioli, che nel 1845 si trasferì a Parigi dove inventò l' or- . gano da fiera. Peter Varetto aprì una fabbrica di organetti a Manchester nel 1885. Nel 1846 uno scrittore italiano residente a Londra affermò che. l'idea stessa dello spettacolo di strada era stata importata dai parmigiani:;

Subito dopo la pace del 1814, alcuni poveri girovaghi svizzeri e savoiardi: si sparsero per le ri~che pianure della Lombardia, esponeI?-do a?i~ali b~llerini (orsi, cani e scimlIDe), o suonando zampogne e tamburelli per Il divertimento. degli oziosi. Alcuni montanari originari degli Appennini si unirono a loro e seguirono l'esempio [ ... ]. Alcuni fra i più avventurosi cercarono fortuna al di, là delle Alpi. Per tutta la Francia e la Germania, fino ai deserti della Russia, e oltre i mari fino all'Inghilterra e l'America essi si aprirono come per miracolO' la strada al suono della zampogna e del tamburello'''.

Alla stessa conclusione giunse Dmitrij Grigorovic, uno scrittore ' russo di metà Ottocento:

gli italiani erano stati addirittura gli inventori di questo mestiere, non limitan-, . dosi alla musica, ma accompagnandosi con teatrini ambulanti nei quali veniva-.. no rappresentate le avventure delle maschere regionali italiane'79.

Fino a metà Ottocento le piccole compagnie di suonatori e com­medianti dirette fuori confine erano composte da più adulti e uno o due bambini. Dopo l'Unità - stante la crisi economica e sociale - il . rapporto s'inverte e sono più bambini a partire sotto la guida di un so- , lo adulto.

L'organetto a manovella sostituì l'arpa e la zampogna, incoraggiò lo sfrut­tamento dei bambini, e mentre tra i padroni diminuivano coloro che avevanO' qualche nozione musicale, l'età dei ragazzi, ormai adibiti solo alla questua, ten- . deva ad abbassarsi18o

• .

Nel 1845 aveva fatto scalpore la morte di un musicista quindicen-' ". ne, Joseph Leonardi, trovato per strada in condizioni d'indigenza. Ri- ' sultò che era stato spinto a mendicare pur con forti dolori al petto e in­fezioni. I bambini parmigiani furono oggetto di inchieste di polizia C'

178 L. Mariotti (Antonio Gallenga), Morello or the Organ Boy Press?, in Blackgown Pa- . pers, Wuey & Putnam, London 1846, citato in Zucch~ I piccoli schiavi dell'arpa cit., p. 49.

17' Citato in M. Clementi, In Russia, in Storia dell'emigrazione italiana cit., II, p. 172. 180 B. Bianchi, Percorsi dell'emigrazione minorile, ibid., p. 356.

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_---Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma _____ _ -di romanzi (Dickens, Hardy, George Eliot, Poe ... ). Facevano parte di quella spaventosa massa di poveri che giungevano dalla campagna per invadere le città e minacciare l'ordine sociale18l

• Perciò destavano so­spetto. Erano dipinti nei loro tuguri maleodoranti, l'aria stagnante, l'o­dore di aglio e sudore, un' aria da delinquenti. A Parigi la loro presenza riguardava la legge e l'ordine pubblico. A Londra il frastuono e l'accat­tonaggio. A New York - dov'erano additati come «i piccoli schiavi del­l'arpa» -la questione infantile e la rieducazione182. A metà Ottocento non vi era città dall'Atlantico agli Urali, dal Mare del Nord al Caspio e al Mediterraneo che non fosse rallegrata o afflitta da suonatori italiani183

Proprio su queste figure si concentrarono le invettive e il sarcasmo del­le popolazioni locali, che sui protoemigranti - e in particolare sui suo­natori di organetto (bersaglio prediletto dei giornali satirici) - costrui­rono gli stereotipi del pregiudizio anti-italiano. La loro presenza met­teva in cattiva luce quella di connazionali dignitosi, sobri e operosi che erano riusciti a trovare occupazioni edificanti. Il mestiere di strada era una risorsa iniziale per molti emigranti rurali e gli «apripista» di origi­ne contadina «ebbero il torto di un' eccessiva, imbarazzante visibilità» proprio nel cuore dell'Occidente in cui si stavano formando la pubbli­ca opinione e l'immaginario europeo. «L'organetto e la spazzola dellu­strascarpe non sembravano gli strumenti migliori per procurare simpa­tia alla causa italiana»18\ La musica, quando è imposta senza chiedere il permesso, è vissuta come fastidio, invasione di campo: un paradosso per un'arte fatta apposta per «addolcire i costumi», come scriveva Flau­bert. Ma se è accostata a straccioni puzzolenti, vale più che mai la mas­sima di McLuhan, che il medium è il messaggio.

Il console italiano a Parigi nel decennio 1860-70, un illuminato uo­mo del Risorgimento, cercò di ribaltare l'immagine di quei bambini in un rapporto:

So che l'Italia è sempre stata la culla della musica e della danza, ma ciò non significa che gli italiani fuori della madrepatria debbano diventare lo zimbello

181 Zucchi, I piccoli schiavi dell'arpa cit., p. 17. 182 Nel 1867 durante l'Esposizione parigina furono arrestati 1544 piccoli ambulanti: la lo­

ro vista era imbarazzante per i visitatori e per l'immagine della capitale francese. Quell'anno e:ano 3000 quelli che si esibivano nelle strade parigine e 1200 avevano tra gli otto e i dieci an­III (ibid., p. 105). Tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta i bambini italiani in gi­ro per il mondo erano fra i 3 e i 6000, concentrati a Londra, Parigi e New York, con quote minori a Rio, Barcellona, Chicago e Mosca (ibid., p. 67).

183 Porcella, Premesse dell'emigrazione di massa in età prestatistica cit., p. 36. Fra il 1850 e il 1860 a San Pietroburgo furono segnalati molti suonatori di ghironda e organetto di Par­ma, che rappresentavano la metà degli emigrati della loro città. Uno di costoro doveva aver colpito Dostoevskij, che ne parla in Delitto e castigo.

184 Ibid., p. 39.

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Page 28: Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma · e arie dei melodrammi a sfondo storico-sociale costituiscono il primo corpus omogeneo su cui la patria si esercita. La musica

__________ Prato, La musica italiana __________ ,

degli stranieri solo perché suonano e ballano a pagamento per. le strad~. <?r:a che all'Italia si prospetta un futuro luminoso, ora che numerosI progetti dI h­nee ferroviarie, sia sulla carta che in fase di realizzazione, promettono lavoro per migliaia di uomini, sarà facile per il governo mettere fme a questa vergo­gnosa emigrazione l8

'.

Una legge approvata il18 dicembre 1873 dalla Camera dei deputa-, ti fermò quello scandalo e negli anni successivi ~a t~atta dei fanciulli s~­bì un declino quasi ovunque, sebbene la legge italIana non avesse vah­dità all'estero. Dopo il 1870 le «Piccole Italie» di Five Points a New York, della rue Sainte-Marguerite a Parigi e di Saffron Hill a Londra accolsero e integrarono gli ambulanti che smisero di vagabondare. A, fine secolo il fenomeno si ridusse fino a esaurirsi definitivamente, per tre fattori: la spinta legislativa, il clima di ostilità e i programmi degli stessi emigranti, attratti da occupazioni più redditizie e socialmente ac-, cettabili. Ma qualcuno restò nel ramo, come i Glionna a Toronto, c~e , si distinsero nell'intrattenimento professionale formando compagrue di ballo vaudeville, grandi magazzini e lezioni di musical86

Il fe~omeno dei musicisti girovaghi non riguarda solo l'emigrazio­ne fuori confine ma è radicato prima di tutto in casa nostra. Furono lo­ro, orientati per necessità ad accogliere le novità allo scopo di compia- • cere il pubblico e assecondarlo/anticipa.rlo nelle. richie~te, a introdurr~ motivi e repertori della musica «alta». Siamo aglI albon della cultura di massa, quando in musica l'unico modello di professionalità era quello colto, di orchestre e teatri.

Fra gli anonimi suonatori ambulanti, qualcuno è passato alla storia per aver incrociato un momento importante del~a vita d~ un musicis~ , illustre, come fu per un tal Bagasset, che fece impreSSiOne su Verdt bambino, in estasi al punto di sfuggire al controllo materno per se­guirlo nelle sue performance a Roncole. Sul perso~aggio, a d~re il ~e- ' ro, realtà e leggenda si confondono. Per qualcuno Si t~attava di ~n vtO- , linista, per altri di un suonatore di organetto, per altn ancora dt un to- " roto tela, termine che indica sia lo strumento (un rudimentale mono- '. cordo originario della penisola balcanica) sia l'es~cutore. Perso?aggio particolare specializzato in rime buffonesche e di scherno, era il con­traltare del cantastorie, l'altro protagonista della musica ambulante, " quello rivolto al mercato interno per ovvie ragioni di lingua. '

185 L. Cerruti Cenni statistici sull'industria e sul commercio nel distretto consolare di Pa­rigi, in «Bollettin'o consolare», 1861-82, 1, p. 585, citato in Zucchi, I piccoli schiavi dell'arpa cit., p. 91. . .. ..

186 Vmcenzo aveva quindici figli, tutti musicisti nella banda che lUi dmgeva Insieme a un viggianese (ibid., p. 255).

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--Dal Risorgimento all'Unità: l'era del melodramma ____ _

Il Toratotela era un tipo alquanto zotico - portava uno zazzerone e non di do il cappello a cilindro - di bianca felpa e infiorato. Suonava esso un roz­

~issimo strumento musicale, consistente in una sola cord<l: di budello, r~cco-andata ai due capi di un bastone pieghevole, e tesa, a dIstanza da eSSI, per

~ezzo di una vescica rigonfia d'aria facente ufficio di tavola armonic<l:' Quest? tipo acco~pag~andoA suo can~~ col «fron fron~ del suo ~oro.totela dIlettava Il volgo con I SUOI versI Imp.rovvls~ per tutta poesIa non UdIV~SI, ch~ ur~a tempe­sta di rime alquanto storpIate e nvolte alle persone forI?antl ! udltono. Code­sto tipo era uno dei divertimenti -.un~ svago du~ante Il tra~lt~o.con Bar.chet~ to. Oggi che è scomparso venne nmplazzato dal suonaton dI fIsarmOnIca dI chitarra e mandolino l87

Per un cantastorie apprezzato e rispettato, l'Italia di metà Ottocen­to registra numerosi ambulanti nel mirino .dell' autorità, pe~ gli stessi motivi che all' estero inducevano la popolaZiOne a lamentarsi e denun­ciarli: turbativa dell' ordine pubblico, mancanza di permessi, sconfina­mento nella questua. Spesso ai malcapitati che n~:m era?~ in grado di giustificarsi si aprivano le porte del carcere, col piÙ temibtle se9uestro dello strumento, unico mezzo di sostentamento. I suonaton erano monitorati costantemente dagli sceriffi dell' epoca, mentre il loro ruo­lo tendeva a diversificarsi sempre più per superare i confini della co­munità d'origine e offrire con flessibilità il proprio serviziol88

• L'arma più efficace per neutralizzare rischi e pericoli del far ~u.sica. in modo indesiderato si rivela dunque il mercato con le sue leggi impietose ma uguali per tutti.

187 Da una stampa anonima citata in Guizzi, Guida alla musica popolare in Italia 3. Gli strumenti cit., p. 87. .

188 Lanzafame, Socialismo a passo di valzer Cit., p. 46.

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