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Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova Dipartimento di Diritto Comparato SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO INTERNAZIONALE E DIRITTO PRIVATO E DEL LAVORO INDIRIZZO: DIRITTO DEL LAVORO ciclo XXIV IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE NEL LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI Direttore della Scuola: Chiar.ma Prof.ssa Manuela Mantovani Coordinatore d’indirizzo: Chiar.mo Prof. Marco Tremolada Supervisore: Chiar.mo Prof. Michele Miscione Dottoranda: Gaetana Pendolino

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Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova

Dipartimento di Diritto Comparato

SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO INTERNAZIONALE

E DIRITTO PRIVATO E DEL LAVORO

INDIRIZZO: DIRITTO DEL LAVORO

ciclo XXIV

IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE NEL LAVORO ALLE

DIPENDENZE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Direttore della Scuola: Chiar.ma Prof.ssa Manuela Mantovani

Coordinatore d’indirizzo: Chiar.mo Prof. Marco Tremolada

Supervisore: Chiar.mo Prof. Michele Miscione

Dottoranda: Gaetana Pendolino

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INDICE

Abstract .......................................................................................................................... 5

CAPITOLO I

PROFILI STORICI ED EVOLUZIONE NORMATIVA

1.1 Dal pubblico impiego al lavoro alle dipendenze delle pubbliche

amministrazioni: cenni sulla cosiddetta “privatizzazione” ................................... 9

1.2 La tutela giurisdizionale prima della riforma ..................................................... 26

1.3 Dalla giurisdizione del giudice amministrativo a quella del giudice ordinario ... 30

CAPITOLO II

IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE TRA GIUDICE ORDINARIO E GIUDICE

AMMINISTRATIVO

2.1 Nuovo criterio di riparto per materie e irrilevanza dell’atto amministrativo ...... 39

2.2 La residua giurisdizione amministrativa: le eccezioni al principio della

giurisdizione ordinaria ....................................................................................... 49

2.2.1 Le categorie di dipendenti esclusi dalla “privatizzazione” e dalla giurisdizione

ordinaria............................................................................................................. 53

2.2.2 Le procedure concorsuali per l'assunzione ......................................................... 59

2.3 La disapplicazione dell’atto amministrativo presupposto e la

pregiudizialità amministrativa............................................................................ 67

2.4 Provvedimenti del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro .............. 78

CAPITOLO III

QUESTIONI CONTROVERSE IN MATERIA DI GIURISDIZIONE

3.1 Controversie «concernenti l’assunzione al lavoro» vs controversie relative alle

«procedure concorsuali per l’assunzione».......................................................... 83

3.2 Le progressioni verticali .................................................................................... 87

3.3 Le procedure di mobilità e di stabilizzazione del personale ............................... 98

3.4 Le graduatorie del personale della scuola ........................................................ 107

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3.5 Il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali .................................... 114

3.6 La repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro pubblico ....... 127

3.7 L'anomalia della giurisdizione domestica: i dipendenti degli organi

costituzionali ................................................................................................... 137

BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................... 145

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Abstract

A distanza di ormai tanti anni dalla privatizzazione del pubblico impiego e dalla

conseguente devoluzione al giudice ordinario delle relative controversie, potrebbe

essere giudicata arida e anacronistica una trattazione concernente il riparto di

giurisdizione nel lavoro nelle pubbliche amministrazioni.

Eppure, al decorso del tempo non ha fatto seguito la definizione di una chiara e

netta linea interpretativa, tant'è che la tematica, lungi dall'aver raggiunto un compiuto

e definitivo assetto, s'impone, oggi, forse più di allora, all'attenzione della

giurisprudenza.

Se si guarda al dato statistico, nell'ambito del lavoro nelle pubbliche

amministrazioni permane, infatti, una mole significativa di contenzioso relativo a

questioni di giurisdizione, in cui assume precipuo rilievo la produzione

giurisprudenziale delle Sezioni unite della Cassazione adita ai sensi dell'art. 374 Cod.

Proc. Civ., comma 1.

Se l'obiettivo del legislatore, soprattutto della seconda privatizzazione, è stato

chiaro, un po' meno illuminate sono state le conseguenze della scelta operata nella

direzione di perpetuare una giurisdizione “bipolare”, preservando, seppur per ambiti

ridotti, la giurisdizione del giudice amministrativo: si è posto, così, il cittadino in una

situazione di perdurante incertezza circa il tribunale da adire.

Il lavoro che segue ha, così, lo scopo di ricostruire il percorso attraverso cui, da

un punto di vista processuale, è stata affrontata la persistente specialità del pubblico

impiego e di illustrare gli esiti raggiunti dal dibattito scientifico e dagli orientamenti

giurisprudenziali, con alcuni dei quali – preme sottolinearlo da ora – ci si pone in

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consapevole dissenso.

In fase preliminare si presenta un rapido excursus storico del rapporto di lavoro

nelle pubbliche amministrazioni e, percorrendo il lungo e faticoso cammino

intrapreso dalla privatizzazione, si illustra il quadro normativo entro il quale è

avvenuto il passaggio di giurisdizione e i presupposti su cui esso si fonda.

Successivamente, entrando nel vivo della trattazione, si analizzano gli aspetti di

maggior rilievo dell’attuale criterio di riparto di giurisdizione, con particolare

riferimento alle “materie” escluse dalla cognizione del giudice ordinario.

Nel contesto del capitolo conclusivo vengono, poi, approfondite alcune delle

tematiche più controverse del passaggio di giurisdizione, con una disamina del più

recente dibattito relativo alle controversie in materia di assunzioni e di procedure

concorsuali, progressioni verticali, graduatorie del personale della scuola, incarichi

dirigenziali, condotta antisindacale, per accennare, infine, al caso controverso dei

dipendenti degli organi costituzionali.

Quel che ci si propone è, dunque, una riflessione che, avendo come filo

conduttore e punto focale la garanzia dell'effettività della tutela giurisdizionale del

dipendente pubblico, tenta di offrire una lettura “naturale” del sistema, ovvero quanto

più possibile orientata, al di là delle eccezioni espresse, verso l'onnicomprensività

della giurisdizione ordinaria.

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Abstract

It has been years from the privatization in public sector and following by a devolution

to trail court for the relative controversies, a concerning treatment about the split of

Jurisdiction for the employment in the public administration could be considered

anachronistic.

Still, by all this time, a clear and precise definition has not been made since the issue

had not reached a definite asset.

Statistical data in public administration works clearly shows a significant mass of law

demands with relative contents, which could be assumed about the jurisprudential

production, today in chief to the “United Sessions” of Court of Cassation as regulated

under the art. 374 Cod. Proc. Civ., comma 1.

The legislator’s objective has been clear, but on the other side the choice to

continue in the use of a so called “bipolar” jurisdictional system didn’t have had the

same clarity. It’s the citizen, with this organizational option, the subject the most

damaged kept in a perpetual state of uncertainty about which court to refer to.

The following work has the scope, with a case optic, to reconstruct the public

employment specialties main steps and to analyze the results, sometimes in contrast

with my own opinion, abducted by the scientific community.

In the preliminary phase, a brief historical excursus of the public administration

employment will be presented, taking a long and hard path of implementing the

privatization.

The framework of this normative will be illustrated too, pointing the attention

on the jurisdictional passage and the presupposes which is based on.

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The second section, the topic, is the analysis of the current split juridical

standards with deeper considerations concerning the subject excluded from the

ordinary Judge competence.

The most controversial themes, about the jurisdictional passage, are delved in

the last chapter and his principal arguments are: assumptions, competitive entrance

examinations, career vertical progressions, school teaching rankings, executive

assignments, anti-union behaviors and the controversial cases of the employers of the

constitutional bodies.

The proposal of this argumentation is therefore to be a starting point of

reflection focused on the actual guaranties acted to protect the public employees’

rights.

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CAPITOLO I

PROFILI STORICI

ED EVOLUZIONE NORMATIVA

SOMMARIO: 1.1 Dal pubblico impiego al lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni: cenni sulla cosiddetta "privatizzazione".

- 1.2 La tutela giurisdizionale prima della riforma. - 1.3 Dalla

giurisdizione del giudice amministrativo a quella del giudice ordinario.

1.1 Dal pubblico impiego al lavoro alle dipendenze delle

pubbliche amministrazioni: cenni sulla cosiddetta "privatizzazione"

La differenziazione della disciplina del rapporto di lavoro pubblico rispetto a

quella del lavoro privato è una costante dell'esperienza italiana. Alcuni tratti di

specialità del pubblico impiego (assunzione mediante concorso, avanzamenti di

carriera, congedi e aspettative) erano già presenti anche quando, negli anni successivi

all'Unità d'Italia e fino all'ultimo decennio di quel secolo, l'impiego presso le

pubbliche amministrazioni era considerato dagli interpreti, in assenza di ogni

qualificazione normativa, come locatio operarum1.

La ricostruzione in chiave pubblicistica del rapporto di impiego con lo Stato

prende avvio nell’ultimo decennio dell’Ottocento dopo alcune pronunce

1 A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, Giuffrè,

Milano, 2000, 4, rilevano come la definizione, all'epoca di cui trattasi, era riferita a qual si voglia

fattispecie di prestazione continuativa di energie lavorative.

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giurisprudenziali del Consiglio di Stato2

che riconducono il rapporto, retto da un atto

amministrativo e unilaterale di nomina, nell'alveo del diritto pubblico ed a seguito di

alcuni interventi normativi3 volti a garantire un controllo degli organi statali

sull’apparato amministrativo e i suoi costi.

Il funzionario pubblico, preposto ad un ufficio e titolare di pubbliche potestà,

svolge una prestazione lavorativa che si identifica con l’attività della amministrazione

per il perseguimento dell’interesse pubblico. Logico e necessario corollario di tale

premessa sembra individuarsi nell'assoluta impossibilità per il dipendente pubblico di

trovarsi in una posizione di conflitto con la pubblica amministrazione, essendo

identici i fini cui essi mirano: il profilo lavoristico finiva per essere assorbito da quello

organizzativo-funzionale, considerato preminente.

Si delinea, così, un sistema rigido e gerarchizzato ove il rapporto di servizio è

retto dal principio di legalità e, quindi, ogni aspetto, anche quello retributivo, è

regolato dalla legge.

Il modello pubblicistico va sempre più consolidandosi e il rapporto diviene

oggetto di un ordinamento speciale basato sulla supremazia della pubblica

amministrazione innanzi alla quale la posizione soggettiva del dipendente si

affievolisce ad interesse legittimo.

Il momento di chiusura del sistema si delinea nel 1924 (art. 29 del Regio

2 L'importanza propulsiva della giurisprudenza amministrativa è stata sottolineata da M. S.

Giannini, Impiego pubblico (teoria e storia), in Enc. Dir., XX, Giuffrè, Milano, 1970, 298. Si v. in proposito la ricostruzione di V. Ferrante, Il riparto di giurisdizione in tema di concorso e progressione

di carriera nei più recenti orientamenti della giurisprudenza, in Quaderni di diritto del lavoro e di

relazioni industriali, L’impiego pubblico negli enti locali, n. 30, 2007, 233-234. 3 Sono, in particolare, il primo Testo Unico sullo stato degli impiegati civili del 1908 (R.D. 22

novembre, n. 693) e il successivo Regio Decreto del 1923 (30 dicembre n. 2960, la cosiddetta Riforma

Stefani) a codificare sostanzialmente l'orientamento del Consiglio di Stato.

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Decreto del 26 giugno 1924, n. 10544): le controversie di lavoro pubblico vengono

affidate alla giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato poiché «il diritto del

singolo è così connaturato con l’interesse pubblico dell’amministrazione che è

impossibile, o assai difficile, separare l’uno dall’altro, mentre l’interesse pubblico è

così prevalente e assorbente da far affievolire o scomparire la portata effettiva della

posizione soggettiva di diritto privato»5.

L'entrata in vigore della Costituzione preserva, in parte, la "specialità" del

pubblico impiego: l’articolo 97, finalizzato ad assicurare il buon andamento e

l’imparzialità dell’azione amministrativa, sancisce la riserva di legge in materia di

organizzazione dei pubblici uffici e l’accesso mediante concorso; l'articolo 98

consacra il principio di fedeltà del dipendente pubblico che deve essere “al servizio

esclusivo della Nazione”.

La regolamentazione del rapporto di lavoro pubblico viene successivamente

affidata al Testo Unico del 1957 sugli impiegati civili dello stato (D.P.R. 10 gennaio

1957, n. 3) il quale, nonostante il dichiarato intento del legislatore di attenuare

l’impostazione gerarchica del sistema, finisce per essere una semplice rivisitazione, in

chiave aggiornata, dell’impianto tradizionale.

Questa normativa, infatti, nonostante il mutamento del regime politico-

istituzionale, tradisce l’idea di una pubblica amministrazione suprema e autoritaria

che differenzia sempre più la posizione del dipendente pubblico da quella degli altri

cittadini lavoratori che, nel settore privato, già godono delle consuete forme di tutela

individuale e, allo stesso tempo, delle nuove forme di tutela collettiva, attraverso

4 T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato che riprende le previsioni del precedente R.D. 30 dicembre

1923, n. 2840. 5 V. Relazione ministeriale al Re allegata al R.D. 30 dicembre 1923, n. 2840.

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l’associazionismo sindacale garantito dall’articolo 39 della Carta Costituzionale, e il

riconoscimento del diritto di sciopero al successivo articolo 40.

In un simile contesto, come è stato osservato, l’azione del sindacato nella

pubblica amministrazione ha avuto un’origine quasi “carbonara” e si èsviluppato, in

assenza dello strumento della contrattazione collettiva, su un modello di cogestione

dell’intera macchina amministrativa: non un sindacato di opposizione e conflitto

come nel privato ma, in virtù di una serie di leggi, i sindacalisti siedono nei consigli

di amministrazione dei ministeri e nelle commissioni di disciplina, svolgendo una

funzione di controparte e consulente insieme6.

Il 1970, considerato «l’anno zero del sistema delle relazioni sindacali nelle

pubbliche amministrazioni»7 è l’occasione per confrontarsi con un settore privato che

conosce l’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori (legge 20 maggio 1970 n.

300)8.

Nel 1977, la relazione della commissione parlamentare d’inchiesta «sulle

strutture, sulle condizioni e sui livelli dei trattamenti normativi e retributivi»,

presieduta dal senatore D. Coppo9, fotografa il pubblico impiego come una giungla

normativa e retributiva e il successivo parere del CNEL del 21 gennaio 197810

6 M. Rusciano, L’impiego pubblico in Italia, Il Mulino, Bologna, 1978, 199 parla di "non-

sindacalismo" o di "sindacalismo perverso" nel pubblico impiego. 7 Ibid., 199. 8 Fino ad allora si erano registrati solo timidi tentativi nel settore ospedaliero che, già nel 1968

(legge 12 febbraio, n. 132), otteneva la definizione del trattamento economico tramite accordi e il

riconoscimento dei principali diritti sindacali; nell’anno successivo (legge 27 marzo 1969, n. 130), una

disciplina simile viene estesa a tutti gli impiegati statali dalla legge delega 18 marzo 1968 n. 249 e dalla

successiva legge del 28 ottobre 1970 n. 775, il cui art. 24 rimette, la disciplina delle mansioni e del trattamento economico degli impiegati dello Stato, non dirigenti, alla legge, o meglio, a regolamenti

adottati in attuazione di accordi tra il governo e i sindacati rappresentati nei consigli di

amministrazione o le confederazioni sindacali di cui essi facciano parte. 9 Per la relazione v. Camera dei deputati-Senato della Repubblica, VII legislatura, doc. XXIII, n. 5. 10 Si veda il parere in Segretariato generale del CNEL, L’attività del CNEL dal 1958 al 1978, I,

Roma, 1978, 545.

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propone una riforma del pubblico impiego nel senso dell’armonizzazione delle

legislazioni fra pubblico e privato.

La riforma trova le sue origini "culturali" nel famoso «Rapporto sui principali

problemi dell’amministrazione dello Stato» stilato dal ministro pro tempore della

Funzione Pubblica Massimo Severo Giannini che, nel 1979, lo presenta alle Camere11.

Si parte dalla constatazione di una amministrazione più dedita a se stessa

piuttosto che ad attuare i compiti che ad essa riservava l’ordinamento e le cui

tecniche, predisposte per l’erogazione dei servizi ai cittadini, risultano inadeguate ed

arretrate, specie se confrontate con la tempistica e con il livello qualitativo dei servizi

offerti dal settore privato. Da qui l’immagine popolare di una amministrazione

composta «nei casi peggiori, di inetti e fannulloni e, in quelli migliori, di tardigradi e

di cultori di formalismi»12

.

Proprio per quanto riguarda il regime del personale pubblico viene avanzata

l’ipotesi di una possibile privatizzazione del rapporto di lavoro. L’efficienza,

l’efficacia e l’economicità, indicati come i principali obiettivi da conseguire, possono

essere realizzati praticando la parificazione normativa del dipendente pubblico e di

quello privato, così da eliminare l’eccessivo garantismo nei confronti del primo,

considerata la causa del malfunzionamento dell’intero apparato amministrativo.

Le soluzioni giuridico-istituzionali avanzate quali praticabili ed, allo stesso

tempo, idonee ad arginare i problemi dell’amministrazione sono essenzialmente due,

diverse fra loro. Una legge-quadro sul pubblico impiego, la prima, volta a disciplinare

11 M. S. Giannini, Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, Roma, 1979,

7. 12 Ibid, 9.

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in maniera ordinata e omogenea la contrattazione collettiva nel lavoro pubblico13

. La

seconda, invece, incoraggia la privatizzazione dei rapporti di lavoro del pubblico

impiego con esclusione delle «fasce di pubblici dipendenti che hanno uno status

speciale, per essere, in atto o in potenza, i portatori delle potestà pubbliche»14

.

La prima soluzione è quella, in sostanza, accolta e sintetizzata nella legge-

quadro n. 93 del 198315

, mentre la seconda sulla privatizzazione non venne, forse, mai

presa in considerazione né dal Parlamento16

né dai sindacati17

.

La legge-quadro è una riforma economico-sociale applicabile a tutte le

pubbliche amministrazioni che mira, da un lato, a fissare dei principi di

“omogeneizzazione” e di “perequezione” della disciplina del lavoro pubblico tramite

una gestione accentrata dello stato giuridico e del trattamento economico dei

dipendenti e, dall’altro, a disciplinare in maniera organica il sistema delle relazioni

sindacali, ripartendo la competenza tra fonti unilaterali e fonti negoziate.

La riforma ha una notevole portata innovativa nel senso di legittimare gli

accordi collettivi nel pubblico impiego riconoscendo un ruolo alle parti sociali in

quelle materie tipicamente e tradizionalmente affidate alla legge e ai regolamenti ma,

nella sostanza, non scalfisce l’assetto tradizionale del sistema, confermandone gli

elementi di specialità e ribadendo espressamente, all’art. 28, la giurisdizione del

13 V. L. Giampaolino, La legge -quadro sul pubblico impiego: ambito di applicazione, la disciplina

in base alla legge e la disciplina in base agli accordi sindacali, le procedure contrattuali, la tutela

sindacale del pubblico impiego, Il Dipartimento della funzione pubblica, Giuffrè, Milano, 1984. 14 M. S. Giannini, Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, cit., 291. 15 Per un commento organico alla legge v. M. Rusciano, T. Treu (a cura di), La legge-quadro sul

pubblico impiego: commentario della legge 29 marzo 1983, n. 93, Cedam, Padova, 1985. 16 Nell’ordine del giorno del Senato n. 5 del 10 luglio 1980, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1982, 766 si afferma che «il pubblico impiego – che costituisce la struttura portante dell’azione dei pubblici poteri –

deve essere costruito in una logica che non collochi in secondo piano la funzione sua propria, collegata

alla soddisfazione di interessi della comunità». 17 Per un approfondimento su questa affermazione v. L. Zoppoli, Contrattazione e delegificazione

nel pubblico impiego, dalla legge quadro alle politiche di “privatizzazione”, Jovene, Napoli, 1990, 57

ss.

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giudice amministrativo.

La legge quadro mostra ben presto che gli obiettivi cui essa mirava - efficienza,

efficacia, produttività - erano difficilmente raggiungibili. Non solo la procedura

contrattuale risultava complessa, farraginosa e centralizzata ma anche i criteri di

selezione della delegazione sindacale si mostravano poco adeguati, lasciando ampio

spazio alle «scorrerie del sindacalismo autonomo»18

. Essa aveva creato «una sorta di

selvaggia concorrenza tra le fonti: una microlegislazione a pioggia; una contrattazione

più politica che sindacale, non di rado sottratta al controllo contabile e sempre

recepita in forte ritardo; un amministrazione del personale spesso consociativa; una

giurisprudenza amministrativa tentata dal gioco al rialzo»19

.

A conferma del deterioramento del sistema, segno emblematico della sua crisi,

si delinea il fenomeno denominato “fuga dalla legge quadro”: per una sorta di reazioni

centrifughe, sempre più parti20

fuoriescono dal sistema e, sottraendosi al suo ambito

di applicazione, anticipano, per certi versi, l’esigenza della privatizzazione21

.

Preso atto della crisi irreversibile delle soluzioni compromissorie adottate dalla

legge n. 93 del 1983, le confederazioni propongono come unica via alternativa22

18 M. Roccella, La nuova normativa e l’assetto dei rapporti sindacali, in Dir. Prat. Lav., 1993, n. 15, XXI. 19 F. Carinci, La riforma del pubblico impiego. La privatizzazione del rapporto di lavoro, in Dir.

Prat. Lav., 1993, inserto n. 15, III. 20 Per un approfondimento v. A. Tursi, Categorie ed amministrazioni escluse dalla privatizzazione

del rapporto di lavoro, in F. Carinci, M. D’Antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle

amministrazioni pubbliche. Dal d.lgs. n. 29/1993 ai D.Lgs. nn. 396/1997, 80/1998 e 387/1998.

Commentario. Giuffrè, Milano, 2000, 323. 21 M. D’Antona, Lavoro pubblico e diritto del lavoro: la seconda privatizzazione del pubblico

impiego nelle “leggi Bassanini”, in F. Carinci, M. D’antona (diretto da) Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, 2000, cit., XLIX pur riconoscendo l'importanza della legge quadro nel

processo di riforma delle pubbliche amministrazioni, sottolineava come essa non aveva saputo

realizzare l’auspicata convergenza tra lavoro pubblico e privato, la cui normativa rimane nettamente

differenziata, e “anziché trasferire nel pubblico alcune virtù del privato accentua i difetti strutturali del

pubblico impiego. 22 F. Carinci, All’indomani di una riforma promessa: la “privatizzazione” del pubblico impiego, in

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quella della privatizzazione del pubblico impiego cioè della riconduzione di pubblico

e privato alle regole del diritto comune che, garantendo giustizia e uguaglianza di

trattamento, avrebbero abbattuto quel muro di privilegi del dipendente pubblico,

antico retaggio di una concezione sacralista dello Stato.

Le varie proposte23

hanno inizialmente solo un esito eccessivamente polemico:

si accusano le confederazioni di aver letteralmente inventato la storia della

privatizzazione per ritrovare, nel panorama sindacale, l’egemonia che la legge quadro

non gli aveva assicurato.

In realtà, col passare del tempo, la riforma «diviene sempre meno sindacale e

sempre più governativa: meno contropartita pretesa dal sindacalismo confederale per

la disponibilità manifestata altrove e più partita vista e vissuta come propria dal

Governo; meno iniziativa finalizzata alla riunificazione dell’universo del lavoro

subordinato e più operazione destinata a risanare a breve i conti dello Stato»24

.

F. Carinci (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Dal d.lgs. 29/1993

alla finanziaria 1995. Commentario, Giuffrè, Milano, 1995, XXXV; Id., Privatizzazione del pubblico

impiego e ripartizione della giurisdizione per materia (Breve storia di una scommessa perduta), in Lav.

pubbl. Amm., 2006, 6, 1051.

La privatizzazione è stata «vista e vissuta come una liberazione da quella autentica camicia di

forza costituita, da un lato, da una organizzazione burocratica, formalista, impaniata in una defatigante

procedura, a tutto scapito dell’efficacia ed effettività della sua azione; dall’altro, da una realtà occupazionale caratterizzata da una cronica carenza di direzione e di motivazione, da una

sindacalizzazione corporativa, da una dipendenza politica» così F. Carinci, Filosofia e tecnica di una

riforma, in Riv. Giur. Lav., 2010, 4, 452. 23 Sotto la spinta di CGIL, CISL e UIL viene istituita una commissione mista governo- sindacati per

valutare la fattibilità del progetto. Il primo disegno di legge del 27 febbraio 1992 intitolato “Nuove

norme in materia di rapporto di lavoro e di impiego nonché di contrattazione collettiva dei dipendenti

pubblici” rimane lettera morta perché confezionato in un momento politico di crisi. Un momento di

svolta si registra con il Protocollo del 6 luglio 1992 con cui il Governo si impegna a promuovere entro i

due mesi successivi “una sede di confronto e di negoziazione con le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative avente quali obbiettivi la disciplina dei tempi e dei modi di transizione

alle regole del diritto comune, la delegificazione funzionale all’apertura di spazi sindacali, la struttura

della retribuzione, l’organizzazione dei livelli di contrattazione in relazione anche alle componenti

della retribuzione stessa”, v. in Lav. Inf., 1992, n. 15, 41. 24 F. Carinci, All’indomani di una riforma promessa: la “privatizzazione del pubblico impiego”, cit.,

XXXVIII.

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La successiva legge del Governo Amato del 23 ottobre 1991 n. 42125

prevede il

passaggio dei rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti delle Amministrazioni

dello Stato e degli altri enti pubblici alla disciplina del diritto civile, la

regolamentazione mediante contratti individuali e collettivi, l’istituzione di un

Agenzia tecnica per la rappresentanza delle amministrazioni pubbliche e il passaggio

della giurisdizione sulle controversie dei dipendenti pubblici al giudice ordinario.

Il 3 febbraio 1993 il Governo emana, sulla base della delega conferita, il decreto

legislativo n. 29 intitolato «Razionalizzazione dell’organizzazione delle

amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego,

a norma dell’ articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421».

Con il decreto legislativo n. 29 del 1993, sebbene modificato ed integrato per

opera dei successivi decreti correttivi26

, ha inizio la fase definita come “prima

privatizzazione”.

Il legislatore, superando il parere negativo espresso dal Consiglio di Stato27

,

muove dalla constatazione che, per migliorare e accrescere l’efficienza delle

pubbliche amministrazioni, così da renderle competitive rispetto a quelle dei paesi

della Comunità europea, sia necessario utilizzare gli stessi criteri e modelli

sperimentati nell’impresa privata e che, dunque, il rapporto sia regolato “dalle

disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti

25 Intitolata “Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia

di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”. 26 Era stata la stessa legge delega a prevedere all’art. 5, comma 2, la possibilità di rivisitare la materia con successivi decreti da emanare entro e non oltre il 31 dicembre 1993. Il Governo interviene

con i decreti legislativi 18 luglio 1993, n. 247 e 18 novembre 1993, n. 546. 27 V. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, parere n. 146 del 31 agosto 1992, in Foro It., 1993,

III, 4 ove, sul presupposto di una «sostanziale diversità» tra lavoro pubblico e privato, il supremo

giudice amministrativo mette in guardia il legislatore da «una privatizzazione astratta, generale e

globale di tutto il pubblico impiego (sia pure con l’esclusione di talune categorie)».

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di lavoro subordinato nell’impresa” (art. 2, comma 2).

L’ incontro tra il diritto del lavoro e l’impiego pubblico è ben diverso da quello

del passato. Il diritto del lavoro privato, infatti, non può più solo svolgere una

funzione sussidiaria o semplicemente dare in prestito istituti - come era successo nella

vigenza della legge quadro - che, poi, nel momento del passaggio al pubblico,

venivano stravolti28

, ma deve attrarre a sé il rapporto di pubblico impiego, poiché il

rapporto di lavoro disciplinato dal codice civile «è senza aggettivi, l’aggettivo

(pubblico/privato) attiene alla natura del soggetto-datore di lavoro, non al rapporto di

lavoro»29.

Pur essendo innegabile che con la riforma del 1993 si sia aperta la strada ad un

nuovo modello di pubblica amministrazione, è anche vero che questa fase normativa

risente ancora profondamente del passato della tradizione pubblicistica e soprattutto

del peso della riserva di legge ex art. 97 della Costituzione che era divenuto lo

spartiacque tra lavoro pubblico e lavoro privato30

.

Anche la prima fase della privatizzazione, nonostante la netta inversione di

tendenza rispetto al passato, è un momento di sintesi tra innovazione e compromessi

poiché, nonostante il nuovo modello di gestione delle risorse umane, il diritto

amministrativo permea ancora una parte consistente del lavoro pubblico.

Ma non è tutto. Il complesso delle disposizioni risultanti dal decreto legislativo

n. 29 del 93 fa emergere un’architettura complessa fatta di tecniche di rinvio e di

regolazione inedite e di norme dal significato ambiguo che lo stesso legislatore

28 M. Rusciano, L. Zoppoli, L’impiego pubblico nel diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 1993,

XXV. 29 Ibid, XXVII. 30 Sull’argomento v. M. D’Antona, La disciplina del rapporto con le pubbliche amministrazioni

dalla legge al contratto, in S. Battini e S. Cassese (a cura di), Dall’impiego pubblico al rapporto di

lavoro con le pubbliche amministrazioni, Giuffrè, Milano, 1997, I, 7 ss.

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dichiara suscettibili di correzioni.

Anche il linguaggio è spesso contorto e vischioso non solo per la oggettiva

difficoltà di disciplinare il passaggio dal vecchio al nuovo ma anche perché è ancora

troppo specificamente burocratico, segno evidente delle resistenze all’innovazione.

Rimasto per molti versi ancorato ad una logica pubblicistica soprattutto

nell’area della concreta gestione delle risorse umane, il disegno riformatore iniziato

nel 1993, è destinato ad essere completato in occasione di un generale ma incisivo

intervento normativo sul sistema amministrativo.

La cosiddetta seconda privatizzazione31

trae origine dalla più ampia riforma

della pubblica amministrazione avviata con le “leggi Bassanini” prima ancora che si

concludesse la fase transitoria della prima privatizzazione.

La legge 15 marzo 1997, n. 59 conferisce a Regioni, Province e Comuni,

secondo il principio di sussidiarietà e con esclusione delle materie riservate allo

Stato, alcune funzioni, da sempre, gestite a livello centralizzato. Tale operazione

innovativa implica, nell’ottica del legislatore, un necessario completamento della

privatizzazione, avallata proprio un anno prima dalla Corte Costituzionale32

che

individuava nell’uso degli strumenti gestionali privatistici il modo più idoneo per

assicurare nel pubblico margini di flessibilità normativa e di elasticità organizzativa.

L’art. 11, comma 4, della legge n. 59 del 1997 delega, così, il Governo a

completare la privatizzazione con decreti correttivi e integrativi del decreto legislativo

n. 29 del 1993, attenendosi ai principi e ai criteri direttivi della legge n. 421 del 1992,

31 La locuzione è stata coniata da M. D’Antona, Lavoro pubblico e diritto del lavoro, cit.; Id.,

Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro dopo la “seconda privatizzazione” del pubblico

impiego (osservazioni sui d.lgs. n. 396/1997, n. 80/1998 e n. 387/1998), in Foro It., 1999, I, 621 ss. 32 Corte cost., 25 luglio 1996, n. 313, in Foro It., 1997, I, 36.

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così come modificati e integrati dalla legge delega del 1997, e ai principi generali e ai

fini di decentramento e deconcentrazione della stessa.

Con la fase del '92-'93 si realizzava un intervento interno all’apparato

amministrativo per esigenze di razionalizzazione e di risanamento dei conti pubblici.

La riforma del 1997 si colloca su un piano diverso che va oltre quell'apparato poichè,

sulla base di una rivalutazione del principio di responsabilità, politica e

amministrativa, mira alla finalizzazione dell’amministrazione a obbiettivi e risultati

anziché al solo rispetto di norme e procedure.

Alla legge n. 59 è seguita una serie di decreti delegati: il D. Lgs 4 novembre

1997, n. 396 sulla contrattazione e sulla rappresentatività sindacale, il D.Lgs. 31

marzo 1998, n. 80 che riscrive per oltre due terzi il D.Lgs. n. 29 del 1993 e, da ultimo,

il D.Lgs. 29 ottobre del 1998, n. 387 di modifica ed integrazione.

A partire da questi ultimi provvedimenti si può parlare di totale unificazione tra

lavoro pubblico e lavoro privato. Non vi è più l’estensione delle leggi del settore

privato ma anche quella degli strumenti di gestione dei mezzi e del personale a

disposizione dei dirigenti, tanto da potersi parlare di completa parificazione dei poteri

datoriali. Ciò non di meno, per evitare la sovrapposizione tra l’area della gestione

dell’organizzazione e quella del rapporto di lavoro, si procede ad una sostanziale

privatizzazione della prima, relegando all’ambito pubblicistico la sola alta o macro

amministrazione33

( art. 2, 1 comma, D.Lgs. n. 80 del 1998).

Se nella disciplina del 1993 la linea di demarcazione tra pubblico e privato

divideva l’organizzazione e il rapporto di lavoro, nella nuova normativa la stessa

33 E’ anche la stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 309 del 1997 a dare il via libera alla

privatizzazione della cd. bassa organizzazione.

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organizzazione viene tagliata in due: la macro-organizzazione, regolata dal diritto

pubblico, e la micro-organizzazione, regolata dal diritto privato34

.

Sintomatico è l’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 29/1993 così come sostituito dal

D.Lgs. n. 80/1998. Il legislatore nel precisare che «nell'ambito delle leggi e degli atti

organizzativi di cui all'articolo 2, comma 1, le determinazioni per l'organizzazione

degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli

organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro»,

sembra voler allontanare «l’idea che il potere di gestione del datore di lavoro

pubblico, anche se privatizzato, andrebbe comunque considerato funzionalizzato al

perseguimento dei criteri del buon andamento e dell’imparzialità di cui all’art. 97

Cost.»35

Strettamente correlata ai suddetti principi è l’introduzione di una coerente

riforma della dirigenza che, in base al principio della separazione tra indirizzo politico

e gestione amministrativa, permette di superare la concezione del dirigente generale

come titolare di uno status pubblicistico36

. Si abbandona il vecchio modello

burocratico della dirigenza per un nuovo modello più imprenditoriale e manageriale

in linea con le tendenze che si erano affermate nelle varie democrazie occidentali.

Altro punto di snodo della nuova riforma riguarda la contrattazione collettiva

che, con i provvedimenti legislativi intervenuti tra il 1997 e il 1998, non è più vista

come una pericolosa fonte di spesa da tenere sotto controllo ma come strumento più

34 Sull’argomento v. C. D’Orta, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato, in F. Carinci, M. D’Antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle

amministrazioni pubbliche, 2000, cit., 90 ss. 35 Così A. Bellavista, Fonti del rapporto. La privatizzazione del rapporto di lavoro, in F. Carinci, L.

Zoppoli (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Commentario, Utet, 2004, 75. 36 Per un approfondimento v. C. D’Orta, Politica e amministrazione, in F. Carinci, L. Zoppoli (a

cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2004, cit., 953 ss.

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flessibile per la gestione del personale, necessario, a sua volta, per una migliore

realizzazione della cura degli interessi pubblici, cui l’amministrazione è preposta37

.

Con il riconoscimento della soggettività delle pubbliche amministrazioni ai fini

della contrattazione collettiva viene meno il ruolo centrale del Governo e, fermo

restando il ruolo dell’ARAN, come rappresentante legale delle amministrazioni, tutto

il procedimento negoziale si svolge di concerto tra l’Agenzia e le istanze associative o

rappresentative delle amministrazioni del comparto che danno vita, a tal fine, ai

comitati di settore (art. 46, D.Lgs. n. 29/1993).

Questi tratti essenziali del nuovo lavoro pubblico costituiscono un sistema

dotato di forte omogeneità al suo interno, tanto da far parlare della seconda

privatizzazione come «un terreno avanzato di sperimentazione di alcune riforme della

legislazione del lavoro che, nel settore privato, sono discusse da tempo ma stentano a

decollare o sono surrogate dalla contrattazione collettiva ed hanno quindi una

applicazione disomogenea. Il lavoro pubblico…, anzichè limitarsi ad importare i

modelli del diritto del lavoro privatistico, funziona da fattore propulsivo della

evoluzione di questo»38

Con il D.Lgs. 30 marzo del 2001, n. 165 si è provveduto, infine, in attuazione

dell’art. 1, 8 comma, della legge delega del 24 novembre 2000, n. 340, a raccogliere

tutta la normativa che si era succeduta negli anni precedenti. L’intento iniziale era

quello di un testo unico che riuscisse a razionalizzare, coordinare e apportare anche

alcune innovazioni sostanziali al D.Lgs. n. 29 del 1993.

Le vicende socio-politiche di quell’anno, con un governo di centro-sinistra

37 Per un approfondimento v. M. Barbieri, La contrattazione collettiva, in F. Carinci, M. D’Antona

(diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, 2000, cit., 1105 ss. 38 M. D’Antona, Lavoro pubblico e diritto del lavoro, cit., LVI.

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giunto a fine legislatura, con il sindacalismo confederale contrario ad un eccesso di

legificazione, lasciano cadere nel vuoto il testo confezionato da Massimo D’Antona,

cosicché il D.Lgs. 165 del 2001 risulta un testo, a parte qualche lieve modifica,

meramente compilativo, cioè il vecchio D.Lgs. n. 29/1993, abrogato espressamente

dall’art. 72, lettera t) del decreto n.165, «rinumerato ex novo e riproposto più o meno

tale e quale»39

.

Segno emblematico di questa sostanziale immutabilità è l’art. 1, comma 1, che,

indicando l’ambito di applicazione e le finalità della nuova disciplina, ci viene

restituito così come formulato nel corso dei dieci anni di riforma. Ciò non di meno, il

cosiddetto T.U. sul pubblico impiego mostra ben presto di non essere il punto finale di

un lunga e travagliata riforma.

Nel corso degli anni successivi alcuni interventi normativi vengono emanati nel

segno di un ritorno al passato e di una rottura dell’unificazione giuridico-normativa

tra pubblico e privato: la legge 15 luglio 2002, n. 14540

che pare aver ricondotto

nell’ambito pubblico, qualificandoli come “provvedimenti”, gli incarichi dirigenziali e

il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 27641

, comunemente nota come legge Biagi, che

esclude, parzialmente e con una tecnica poco lineare, dal suo ambito di applicazione

il pubblico impiego.

Ma, come è stato evidenziato, forse, «la riforma aveva prodotto i suoi anticorpi,

tant’è che la ripubblicizzazione si è dimostrata alla prova della giurisprudenza più

39 F. Carinci, Una riforma “conclusa” fra norma scritta e prassi applicativa in F. Carinci, L.

Zoppoli (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2004, cit., 2. 40 Intitolata “Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di

esperienze e l’interazione tra pubblico e privato”. 41 Emanato sulla base della legge delega 14 febbraio 2003, n. 30 intitolata “Delega al Governo in

materia di occupazione e mercato del lavoro”.

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un’illusione coltivata a tavolino che una novatio effettiva»42

.

E analoga tendenza alla ripubblicizzazione43

non è stata avvertita neppure

nell'ultimo intervento di riforma organica della pubblica amministrazione, la

cosiddetta Riforma Brunetta, inaugurata con la legge n. 15/2009 e culminata nel

D.Lgs. n. 150/2009.

La stessa circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento

della Funzione Pubblica, n. 7/2010, dedicata al decreto, si preoccupa di specificare

che la nuova normativa, pur modificando «incisivamente le regole della

contrattazione collettiva», contiene «disposizioni legislative che ... non apportano

modifiche in ordine alla qualificazione del rapporto di lavoro, che rimane disciplinato

prevalentemente dalle norme civilistiche (salve le deroghe stabilite dallo stesso

decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165)»44

.

L'intento e le finalità, così come gli ambiti di intervento delle nuove

disposizioni, sono chiaramente desumibili dall'art. 1 dello stesso D.Lgs. n. 150/2009

secondo cui «In attuazione degli articoli da 2 a 7 della legge 4 marzo 2009, n. 15, le

disposizioni del presente decreto recano una riforma organica della disciplina del

rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 2,

comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165…» volta a garantire «una

migliore organizzazione del lavoro, il rispetto degli ambiti riservati rispettivamente

alla legge e alla contrattazione collettiva, elevati standard qualitativi ed economici

42 F. Carinci, Una riforma “conclusa”. Fra norma scritta e prassi applicativa, cit., 2. 43 F. Carinci, Il secondo tempo della riforma Brunetta: il d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in WP C.S.D.L.E "Massimo D'Antona" 119/2001, 4; nello stesso senso U. Carabelli, Breve quadro sistematico

delle novità legislative introdotte dalla riforma Brunetta, in Ris. um. pubbl. amm., 2010, 2, 27; G.

D’Auria, Il nuovo sistema delle fonti: legge e contratto collettivo, Stato e autonomie territoriali, in

Giorn. Dir. amm., 2010, 1, 6. 44 Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, 13

maggio 2010 in www.innovazionepa.gov.it

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delle funzioni e dei servizi, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa,

la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, il riconoscimento di

meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle capacità e dei risultati ai fini

degli incarichi dirigenziali, il rafforzamento dei poteri e della responsabilità della

dirigenza, l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico ed il contrasto alla scarsa

produttività e all’assenteismo, nonché la trasparenza dell’operato delle

amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità».

Trattasi, come prima facie evidente, di un intervento normativo che, anche

attraverso vistose modificazioni introdotte nel corpus del D. Lgs n. 165/200145

, incide

in maniera penetrante su diversi aspetti della regolamentazione giuridica del lavoro

pubblico; ma quel che interessa qui segnalare è il mutato atteggiamento del legislatore

nei confronti della contrattazione collettiva. La rivisitazione dei confini delle

competenze attribuite ora alla legge ora al contratto, e la conseguente compressione

del potere regolativo del secondo - autorizzato ad intervenire in modifica di eventuali

disposizioni di legge, regolamento o statuto, solo se e nei limiti in cui dette

disposizioni lo consentano - costituiscono, nell'ottica del legislatore, lo strumento

giuridico indispensabile per raggiungere gli obiettivi così come delineati dallo stesso

decreto n. 150/2009. L'opera di decontrattualizzazione46

da ultimo intrapresa, è bene

sottolinearlo, non implica in nessun caso una modifica del regime giuridico dei

rapporti di lavoro dei dipendenti della pubblica amministrazione che rimangono

45 Che verranno eventualmente ed opportunamente segnalate nel corso della trattazione. 46 Così U. Carabelli, Breve quadro sistematico delle novità legislative introdotte dalla riforma

Brunetta, cit., 10; A. Bellavista, A. Garilli, Riregolazione legale e decontrattualizzazione: la

neoibridazione normativa del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Lav. pubbl. Amm., 2010, 01.

Per F. Carinci, Il secondo tempo della riforma Brunetta, cit., 3-4 e nota 4, nella riforma Brunetta «è ben

avvertibile la progressiva perdita di rilevanza della ‘contrattualizzazione’ a favore della

‘privatizzazione’».

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«regolati contrattualmente» (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001) e «disciplinati

dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui

rapporti di lavoro subordinato nell'impresa» (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001).

Ne deriva, ai fini di questa trattazione, che rimane ferma, ai sensi dell'art. 63 del

D.Lgs. n. 165/2001, lasciato intatto dalla novella, la giurisdizione del giudice

ordinario per le controversie in materia di lavoro pubblico, la cui attività

giurisdizionale rischia, come è stato osservato, «assai probabilmente, di infittirsi, per

effetto della formale legificazione di molte regole»47

.

1.2 La tutela giurisdizionale prima della riforma

Prima della cosiddetta privatizzazione, inaugurata con gli interventi legislativi

succedutisi a partire dal 1992, e coerentemente con la tradizionale ricostruzione in

chiave pubblicistica, l'intera materia del pubblico impiego era affidata alla

giurisdizione esclusiva amministrativa.

Come già accennato, la devoluzione delle controversie di lavoro pubblico al

giudice amministrativo è attuata con il R. D. 26 giugno 1924, n. 1054, noto come T.U.

sul Consiglio di Stato che aveva codificato l’indirizzo giurisprudenziale, allora

prevalente, sulla necessità di separare il mondo del lavoro pubblico da quello del

lavoro privato per assoggettare il primo alla tutela del giudice amministrativo, ritenuto

più vicino alle esigenze della pubblica amministrazione48

.

47 U. Carabelli, Breve quadro sistematico delle novità legislative introdotte dalla riforma Brunetta,

cit., 10. 48 S. Nespor, Pubblico impiego e giustizia amministrativa: a qualcuno piace il Gulag?, in Dir. Lav.,

1993, 68.

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Il sistema delineato si manifesta, ben presto, però, eccessivamente rigido

soprattutto per gli enti pubblici economici che vedono compressa la loro libertà

d’impresa da limiti e vincoli incompatibili con il mercato. La prima eccezione alla

regola della giurisdizione amministrativa risale, così, al Codice di Procedura Civile

del 1940, il cui art. 429, n. 3 positivizza la devoluzione al giudice ordinario delle

controversie relative «ai rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti di enti

pubblici» inquadrati nelle associazioni sindacali di categoria.

Con la soppressione dell’ordinamento corporativo fascista, nel 1944 (D.Lgs. 23

novembre 1944, n. 369), si pone subito il problema della sopravvivenza dell’art. 429

n. 3 Cod. Proc. Civ. e, quindi, della stessa regola della giurisdizione ordinaria.

Le soluzioni prospettate vedono nettamente contrapposte la magistratura

ordinaria e la magistratura amministrativa49

. Il giudice ordinario e, per parte sua, la

suprema Corte di Cassazione, riteneva di non doversi spogliarsi di quelle attribuzioni,

considerando non solo ancora esistente l’art. 429 Cod. Proc. Civ., effettivamente mai

abrogato, ma giudicando, altresì, la disciplina in esso contenuta applicabile a tutti gli

enti che, pur non avendo mai ricevuto formale inquadramento sindacale, svolgessero

attività economica50

.

Il Consiglio di Stato, d’altro canto, ritenendo l’inquadramento corporativo,

ormai soppresso, presupposto essenziale per l’applicabilità del regime di cui all’art.

429 Cod. Proc. Civ., ribadiva con una decisione resa in adunanza plenaria (21

novembre 1949, n. 3), la riespansione della giurisdizione amministrativa.

Il legislatore, intanto, con alcuni interventi settoriali, imbocca la strada percorsa

49 Sul conflitto tra le due magistrature, v. S. Cassarino, Il processo amministrativo nella legislazione

e nella giurisprudenza, Milano, 1984, I, 307. 50 Cass. 12 gennaio 1942, n. 61 e Cass. 1 febbraio 1961, n. 205.

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dalla Cassazione e stabilisce, con fonte primaria, la giurisdizione ordinaria. Così la

legge 6 dicembre 1962, n. 1643, istitutiva dell’Enel, dopo aver stabilito che il rapporto

di lavoro dei dipendenti dell’Ente è retto dalle norme di diritto privato, disponeva che

«in sede giurisdizionale la competenza a conoscere le relative controversie è attribuita

all’autorità giudiziaria ordinaria» (art. 13).

Qualche anno dopo, l’art. 37 dello Statuto dei Lavoratori interviene a sancire

che tutte le disposizioni della stessa legge, comprese quelle di natura processuale, «si

applicano anche ai rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti da enti pubblici che

svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica».

Il conflitto tra le supreme magistrature viene definitivamente composto con

l’emanazione della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva del Tribunale

Amministrativo Regionale, il cui art. 39 ribadisce che «nulla è innovato per quanto

concerne l’attuale competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria in materia di

dipendenti da enti pubblici economici» e con la successiva novella dell’11 agosto

1973, n. 533 che con l’art. 409, nn. 4 e 5, estende la giurisdizione del pretore civile, in

funzione di giudice del lavoro, alle controversie relative ai rapporti di lavoro di

dipendenti da enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività

economiche nonché ai «rapporti di lavoro di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro

pubblico, sempre che non siano devoluti dalla legge ad altro giudice».

Gli interventi del legislatore, sebbene diretti a riportare, in maniera parziale e

settoriale, il lavoro pubblico nell’ambito della giurisdizione ordinaria, non riescono a

scalfire la «ferrea tenuta della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in

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materia del pubblico impiego»51

e la stessa legge istitutiva dei TAR non fa altro che

consacrare la giurisdizione esclusiva amministrativa nelle controversie di lavoro dei

dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici.

La successiva legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93, che pur

aveva recepito alcuni istituti della disciplina privatistica, ribadisce all’art. 28 la

giurisdizione amministrativa, confermando l’idea dell’impossibilità di creare una

giurisdizione unica tra pubblico e privato52

.

Deve essere anche menzionata la legge 12 giugno 1990, n. 146 sull'esercizio

diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali che afferma la giurisdizione del

giudice amministrativo in materia di repressione della condotta antisindacale

plurioffensiva nel pubblico impiego53

.

Il pubblico impiego rimaneva, così, sempre uno degli ambiti privilegiati e più

importanti, anche per numero di cause, del giudice amministrativo che conosceva

tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro con lo Stato e con gli enti pubblici

non economici, con l’eccezione dei diritti patrimoniali consequenziali, attribuiti alla

cognizione del giudice ordinario (art. 29 R. D. 26 giugno 1924, n. 1054 e art. 7 legge

6 dicembre 1971, n. 1034).

51 R. Vaccarella, B. Sassani, Profili processuali della legge sull’esercizio del diritto di sciopero nei

servizi pubblici essenziali, in Riv. Dir. Proc., 1991, 467 ss. 52 A. Proto Pisani, Problemi processuali della legge-quadro sul pubblico impiego, in Foro It., 1984,

I, 475. 53 Per una trattazione analitica della questione si veda oltre.

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1.3 Dalla giurisdizione del giudice amministrativo a quella del

giudice ordinario

Con la legge delega 23 ottobre 1991, n. 42, parallelamente e coerentemente al

processo di privatizzazione del pubblico impiego, ha inizio il trasferimento delle

controversie di lavoro pubblico al giudice ordinario.

Nel prevedere la formale e sostanziale omologazione fra pubblico e privato, la

legge delega il Governo a «prevedere l’affidamento delle controversie di lavoro

riguardanti i dipendenti pubblici … alla giurisdizione del giudice ordinario, secondo

le disposizioni che regolano il processo del lavoro» salva l’attribuzione al giudice

amministrativo di tutte le materie inerenti «la responsabilità giuridiche attinenti ai

singoli operatori nell’espletamento delle procedure amministrative; gli organi, gli

uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; i principi fondamentali di

organizzazione degli uffici; i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di

avviamento al lavoro; i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza

complessiva...; la garanzia della libertà di insegnamento e l’autonomia professionale

nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca; la disciplina della

responsabilità e delle incompatibilità tra l’impiego pubblico ed altre attività e i casi di

divieto di cumulo degli impieghi e incarichi pubblici», mantenendo, in ogni caso, la

normativa vigente relativa «ai magistrati ordinari e amministrativi, agli avvocati e

procuratori dello Stato, al personale militare e delle forze di polizia, ai dirigenti

generali ed equiparati, al personale della carriera diplomatica e prefettizia».

La legge attua una vera e propria inversione della tendenza, riscontrabile nella

giurisprudenza fino ad allora consolidatasi, di affidare la tutela del dipendente alla

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giurisdizione amministrativa. Nonostante la contrattualizzazione del rapporto, infatti,

si riteneva che la posizione soggettiva del dipendente pubblico non potesse avere

consistenza maggiore o più qualificata dell'interesse legittimo collegato all'interesse

pubblico che l'amministrazione ha l'obbligo di perseguire54

. Per una sostanziale

equiparazione della tutela tra dipendente pubblico e privato, bastava, dunque,

trasferire nel processo amministrativo la procedura dettata dalla legge n. 533/1973

senza alcuna necessità di «escludere la giurisdizione di un organo in grado di

percepire l’anima pubblica, che continua a pulsare sotto la patina della

privatizzazione»55

.

Nella stessa ottica si pone anche il supremo giudice amministrativo che, nel

famoso parere sulla legge delega56

, fornisce una serie di motivazioni nella direzione

dell'inopportunità della sottrazione al giudice amministrativo della materia del

pubblico impiego. Si teme, in primis, lo sconvolgimento dell’ordinario sistema di

riparto delle giurisdizioni basato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi

legittimi. Tale criterio di riparto, inaugurato con la legge 20 marzo 1865, n. 2248, all.

E, ed elevato a rango costituzionale dall’art. 103 Cost., prevede la possibilità che il

giudice amministrativo, in determinate materie, conosca anche dei diritti soggettivi. Si

desume, secondo l’autorevole parere, che non sia consentita l’operazione inversa cioè

l’attribuzione al giudice ordinario di una cognizione sugli interessi legittimi57

.

Secondo il Consiglio di Stato, dunque, «la sottrazione delle controversie di

pubblico impiego al giudice amministrativo incontra diversi ostacoli sia sul piano

54 A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit., 55. 55 V. criticamente D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, in F. Carinci, L. Zoppoli (a

cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2004, cit., 1215. 56 Cons. Stato, parere 31 agosto 1992, n. 146, cit. 57 Si v. A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit.,

54.

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della costituzionalità con riferimento all’eventualità della scomparsa di ogni tutela

giurisdizionale per gli interessi legittimi, sia con riferimento agli enormi inconvenienti

di ordine pratico che deriverebbero dalla scissione della competenza giurisdizionale, a

seconda che si discuta di interessi legittimi o di diritti soggettivi».

Ciò nonostante, la legge delega ha un seguito e la devoluzione al giudice

ordinario viene attuata con l’art. 68 del D.Lgs. 29 marzo 1993, n. 29, “norma

cardine”58

del nuovo sistema.

L’art. 68 attribuisce «al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro tutte

le controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni

pubbliche», con esclusione delle materie di cui ai numeri da 1 a 7 dell’art. 2, comma

1, lett c) della legge delega del 1992. Le ulteriori eccezioni di natura soggettiva erano

quelle disposte dall’art. 2, comma 4 della stessa legge.

L’art. 68 così formulato poteva, però, dar adito ad una interpretazione estensiva

delle materie riservate alla giurisdizione amministrativa e per ovviare a tale

conseguenza il legislatore precisa alcune materie che “in ogni caso” rientrano nella

giurisdizione ordinaria, anche se eventualmente connesse con altre controversie

rientranti nelle giurisdizione amministrativa59

.

Il nuovo art. 68, modificato dal D.Lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, fornisce

proprio un elenco, non tassativo, di controversie riservate al giudice ordinario

(periodo di prova, diritti patrimoniali di natura retributiva, diritti patrimoniali di

natura retributiva; diritti patrimoniali di natura indennitaria e risarcitoria; progressioni

e avanzamenti e mutamenti di qualifica o di livello; applicazione dei criteri previsti

58 G. Verde, Il nuovo (e futuro) processo nelle controversie del pubblico impiego, in Dir. Proc. Amm.,

1993, 267. 59 B. Sassani, La tutela giurisdizionale, in Quad. Dir. Lav. Rel. Ind., 1995, 287.

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dai contratti collettivi e dagli atti di organizzazione dell'amministrazione in materia di

ferie, riposi, orario ordinario e straordinario, turni di lavoro e relativa distribuzione,

permessi e aspettative sindacali; tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di

lavoro; sospensione ed altre vicende modificative del rapporto di lavoro; trasferimenti

individuali e procedure di mobilità; sanzioni disciplinari; risoluzione del rapporto di

lavoro; previdenza ed assistenza, con esclusione della materia pensionistica riservata

alla Corte dei conti; diritti sindacali, comportamenti diretti ad impedire o limitare

l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale, nonché del diritto di sciopero e

violazioni di clausole concernenti i diritti e l'attività del sindacato contenute nei

contratti collettivi; pari opportunità e discriminazione nei rapporti di lavoro).

Il principio su cui si basano tanto la legge delega quanto il decreto delegato è

quello per cui i rapporti regolati dalla contrattazione collettiva o individuale hanno

come giudice naturale il giudice ordinario. Conseguentemente, la giurisdizione

amministrativa viene mantenuta solo laddove non è stato esteso il regime privatistico.

La formula legislativa di cui all’art. 68, come modificata nel 1993, solleva, ben

presto, aspre critiche da parte della dottrina. Per un verso si evidenziavano i non pochi

problemi di ordine pratico che la devoluzione al giudice ordinario poteva generare,

così da provocare una vera e propria paralisi dei processi e da non poter più garantire

la giustizia in tempi ragionevoli60

. Ma ciò che più animava le valutazioni critiche da

parte dei primi commentatori era la formulazione poco felice dello stesso articolo che

sollevava molti dubbi di ordine sistematico e interpretativo. Le maggiori critiche si

incentravano sulla scelta del legislatore di introdurre un criterio di riparto di

60 M. Clarich, D. Iaria, La riforma del pubblico impiego,1994, Maggioli, Rimini, 396-397.

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giurisdizione «piuttosto che per situazioni soggettive lese, per materie»61

con

conseguenti, e non poche, possibili interferenze tra controversie inerenti ad aspetti

organizzativi, proprie del giudice amministrativo, e controversie relative al rapporto di

lavoro di spettanza del giudice ordinario.

Durante la prima fase della riforma, come accennato, il giudice amministrativo

era competente sulle controversie di lavoro inerenti le sette materie (cinque di natura

organizzativa e due concernenti il rapporto di lavoro) elencate all’art. 2, comma 1,

lettera c) della legge delega n. 421/1992, riservate alla fonte pubblicistica unilaterale.

Dato che le “sette materie” sottratte alla giurisdizione ordinaria e regolate per

legge o atti unilaterali erano prevalentemente di tipo organizzativo se ne faceva

derivare che l’intera materia dell’organizzazione rimanesse sotto il regime

pubblicistico - e dunque sotto la giurisdizione amministrativa- e che la privatizzazione

interessasse solo il rapporto di lavoro62

.

Era evidente «una virtuale sovrapposizione di regimi e di giudici nella zona

cruciale dell’organizzazione del lavoro, dove organizzazione degli uffici e gestione

dei rapporti di lavoro inevitabilmente si intersecano»63

.

La risoluzione del Consiglio Superiore della Magistratura del 20 dicembre

199564

, intanto, per ovviare ai ritardi nell’attuazione del trasferimento di

giurisdizione, proponeva un differimento, di almeno cinque anni, dell’entrata in

vigore della riforma non dimenticando di sottolineare il carattere ancora incerto e

poco convincente della scelta della devoluzione al giudice ordinario.

61 S. Cassese, Il sofismo della privatizzazione del pubblico impiego, in Riv. it. Dir. Lav., 1993, 5, 30

ss. 62 Così A. Orsi Battaglini, Fonti normative e regime giuridico del rapporto di impiego con enti

pubblici, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1993, 475. 63 M. D’Antona, Lavoro pubblico e diritto del lavoro, cit., 44. 64 V. in Foro It., 1996, III, 56.

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Ma a tutte le censure e le obiezioni mosse, il legislatore risponde con la nuova

legge del 15 marzo 1997, n. 59, con cui il Governo viene delegato ad emanare decreti

legislativi per «completare l’integrazione della disciplina del lavoro pubblico con

quella del lavoro privato...e devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario,

tenuto conto di quanto previsto dalla lettera a), tutte le controversie relative ai rapporti

di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ancorchè concernenti in via

incidentale atti amministrativi presupposti, ai fini della disapplicazione, prevedendo:

misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire

disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso; procedure stragiudiziali di

conciliazione e arbitrato; infine, la contestuale estensione della giurisdizione del

giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali

consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia

edilizia, urbanistica e di servizi pubblici, prevedendo altresì un regime processuale

transitorio per i procedimenti pendenti».

In attuazione della legge delega, il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 riscrive

interamente l’art. 68, estromettendo l’elenco esemplificativo delle materie devolute al

giudice ordinario, inserito con il D.Lgs. n. 546 del 1993 ed eliminando ogni

riferimento all'eccezione delle cosiddette “sette materie” di cui all'art. 2, comma 1 lett.

c) della legge n. 421/1992.

Con la riconduzione al giudice del lavoro di tutte le controversie inerenti al

rapporto di lavoro, viene a cadere ogni parallelismo tra l'area delle vecchie “sette

materie” e la devoluzione alla giurisdizione amministrativa, perdendo, allo stesso

tempo, ogni fondamento “la deduzione in ordine al tipo di regime giuridico che

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avrebbe dovuto necessariamente applicarsi alle suddette materie”65

.

Un’ulteriore modifica, infine, è stata apportata dal d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387

che ha espressamente, se mai ve ne fosse bisogno, affidato al giudice ordinario le

controversie concernenti «l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli

incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale»; l’aggiunta sembra, ad ogni

modo, strettamente collegata alle nuove previsioni degli artt. 19, 21 e 24, dove si

precisa che l’incarico dirigenziale ha anch’esso natura contrattuale.

Tutte le norme riguardanti la giurisdizione sono state trasfuse, immodificate, nel

Titolo VI del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, intitolato “Norme generali

sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, di cui

si riporta integralmente l’art. 63, quale norma di apertura del titolo:

«Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le

controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche

amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai

rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione

al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilita'

dirigenziale, nonche' quelle concernenti le indennita' di fine rapporto, comunque

denominate e corrisposte, ancorche' vengano in questione atti amministrativi

presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li

disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto

amministrativo rilevante nella controversia non e' causa di sospensione del processo.

Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i

65 A. Corpaci, A. Orsi Battaglini, Sub art. 2, in A. Corpaci, M. Rusciano, L. Zoppoli (a cura di), La

riforma dell'organizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in

Nuove Leggi Civ, Comm., 1999, 1067.

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provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei

diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all'assunzione, ovvero

accerta che l'assunzione e' avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali,

hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro.

Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le

controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni

ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive

modificazioni ed integrazioni, e le controversie, promosse da organizzazioni

sindacali, dall'ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di

contrattazione collettiva di cui all'articolo 40 e seguenti del presente decreto.

Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie

in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche

amministrazioni, nonche', in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai

rapporti di lavoro di cui all'articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti

patrimoniali connessi.

Nelle controversie di cui ai commi 1 e 3 e nel caso di cui all'articolo 64, comma

3, il ricorso per cassazione puo' essere proposto anche per violazione o falsa

applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all'articolo 40».

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CAPITOLO II

IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE TRA GIUDICE

ORDINARIO E GIUDICE AMMINISTRATIVO

SOMMARIO: 2.1 Nuovo criterio di riparto per materie e irrilevanza dell’atto amministrativo. - 2.2 La residua giurisdizione amministrativa: le

eccezioni al principio della giurisdizione ordinaria. - 2.2.1 Le categorie di

dipendenti esclusi dalla “privatizzazione” e dalla giurisdizione ordinaria.- 2.2.2 Le procedure concorsuali per l'assunzione. - 2.3 La disapplicazione

dell’atto amministrativo presupposto e la pregiudizialità amministrativa. -

2.4 Provvedimenti del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.

2.1 Nuovo criterio di riparto per materie e irrilevanza dell’atto

amministrativo.

Le continue innovazioni e modifiche che hanno interessato l’originario art. 68

D.Lgs. n. 29/93 fino all’attuale formulazione di cui all’art 63 D.Lgs. n. 165/2001

hanno messo in luce la centralità riservata dal legislatore alla giurisdizione come

strumento di attuazione della stessa riforma di privatizzazione del pubblico impiego66

.

L’esigenza di parificazione tra l’universo del lavoro pubblico e del lavoro

privato era avvertita tanto necessaria ed inevitabile da innescare il passaggio di

giurisdizione in tempi brevissimi: la normativa identica, o simile, avrebbe corso il

rischio di ricevere un’interpretazione differente in ragione della diversa cultura

66 D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, Cedam, Padova, 2002, XVII.

Nello stesso senso si veda M.G. Garofalo, Il trasferimento di giurisdizione nel lavoro pubblico, in Lav.

pubb. amm., 1999, 3-4, 500.

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rispettivamente del giudice ordinario e di quello amministrativo67

.

Il nuovo testo dell’art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001 enuncia che sono devolute al

giudice ordinario “tutte” le controversie concernenti i rapporti di lavoro alle

dipendenze delle pubbliche amministrazioni «ancorché vengano in questione atti

amministrativi presupposti».

Il termine “tutte”68

serve, in primis, a fugare ogni dubbio sulla persistenza delle

precedenti disposizioni controverse, soprattutto nella vigenza della prima fase della

riforma, che ora includevano ora escludevano la giurisdizione ordinaria, e che

avevano, fino a quel momento, reso incerto il confine tra le due aree.

Nel timore di una possibile, poi rivelatasi concreta, tendenza all’espansione

dell’area della giurisdizione amministrativa, il legislatore ha ritenuto opportuno che al

principio generale facesse da corollario la specificazione di alcune materie ovvero

«l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali,

nonché le indennità di fine rapporto comunque denominate o corrisposte».

Si tratta di una elencazione esemplificativa contenente materie che, seppur

eterogenee, afferiscono certamente al rapporto di lavoro tanto che, espunta dal testo,

la disposizione avrebbe comunque trovato applicazione. Ciò non di meno, essa ha

rappresentato una chiara risposta in relazione a quelle materie che più dubbi avevano

o hanno ingenerato negli interpreti come ad esempio l’assunzione mediante concorso

o il conferimento degli incarichi dirigenziali.

Ciò che conta perché possa radicarsi la giurisdizione ordinaria, è l’inerenza,

concepita in senso lato quale occasione od occasionalità, della controversia al

67 F. Carinci, La cd. privatizzazione del pubblico impiego, in Riv. It. Dir. Lav., 1993, fasc.1, 42. 68 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1215.

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rapporto di lavoro e «il riferimento a tale dato deve essere inteso in modo da

rafforzare il collegamento tra il rapporto stesso e la controversia che da esso trae

occasione e da svuotare di contenuto la riconducibilità all’interesse legittimo delle

situazioni sostanziali, sottoposte al giudice, al diritto soggettivo o a posizioni in

qualche modo assimilabili».69

Il principio su cui si fonda il nuovo criterio di riparto è quello in base al quale,

una volta attribuite tutte le controversie del lavoro “privatizzato” al giudice ordinario,

l’eventuale presenza di un atto amministrativo presupposto, sebbene rilevante ai fini

della decisione, non è elemento idoneo ad escludere la competenza del giudice

ordinario70

.

Se le questioni che originano la controversia sono relative al rapporto di lavoro,

o con esso hanno qualche collegamento, si rende inutile ogni indagine volta ad

individuare la natura dell’atto emanato dalla pubblica amministrazione e, allo stesso

tempo, non ha senso interrogarsi sulla natura della posizione soggettiva del lavoratore.

La scelta a favore della giurisdizione ordinaria implica, dunque, l’abbandono

del tradizionale criterio di riparto di giurisdizione fondato sulla distinzione tra diritti

soggettivi e interessi legittimi71

e l’adozione di un criterio ratione materia72

.

69 Ibid., 1218. 70 D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 10; B. Sassani, Il passaggio

alla giurisdizione ordinaria del contenzioso sul pubblico impiego: poteri del giudice, esecuzione della

sentenza, comportamento antisindacale, contratti collettivi in Cassazione, in G.C. Perone, B. Sassani (a

cura di), Il processo del lavoro e rapporto alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Cedam,

Padova, 1999, I, 3 ss.; G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di lavoro, in F. Carinci, M.

D’Antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, cit., 1805. In

giurisprudenza v. Cass., sez. un., 1 dicembre 2000, n. 1241, in Foro it., 2001, I, 2580; Cass. 22 novembre 1999, n. 813, in Giust. Civ. Mass., 1999, 2315. 71 Che, peraltro, non condizionava l’individuazione della giurisdizione nella vigenza della

giurisdizione esclusiva amministrativa v. B. Sassani, Giurisdizione ordinaria, poteri del giudice ed

esecuzione della sentenza nelle controversie di lavoro con la pubblica amministrazione, in Riv. trim.

dir. proc. civ., 1999, 2, 413. 72 R. Villata, Prime considerazioni in tema di "privatizzazione" del pubblico impiego, in Riv. dir.

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Nello stesso senso, seppur con affermazioni del tutto generiche, sembra, tra

l’altro, essersi mossa la stessa Corte Costituzionale secondo cui la scelta discrezionale

del legislatore «si inquadra nella tendenza a rafforzare la effettività della tutela

giurisdizionale, in modo da renderla immediatamente più efficace, anche attraverso

una migliore distribuzione delle competenze e delle attribuzioni giurisdizionali, a

seconda delle materie prese in considerazione»73

.

Ancora più significative, in tal senso, appaiono le motivazioni con cui il

Consiglio di Stato ha ritenuto rientrante nella giurisdizione ordinaria – seppur,

qualificando quest'ultima quale giurisdizione esclusiva - una controversia relativa al

conferimento di un incarico dirigenziale di II livello in ambito sanitario. Per il giudice

amministrativo, infatti, «l'art. 68 del D.Lgs. n. 29 del 1993, nella sua attuale

formulazione, accentrando presso il giudice ordinario, in funzione di giudice del

lavoro, "tutte" le controversie relative al rapporto di pubblico impiego, ha operato,

come evidenziato dall'avverbio da esso adoperato, una devoluzione "per materia" di

tali controversie, istituendo, in definitiva, una giurisdizione esclusiva del giudice

ordinario per il pubblico impiego - la stessa che, prima di tale norma, spettava al

giudice amministrativo - sottratta al criterio tradizionale di riparto fra le due

giurisdizioni, fondato sulla situazione giuridica soggettiva fatta valere

proc. amm., 1993, 418; M. Dell’Olio, La tutela dei diritti del dipendente pubblico dinanzi al giudice

ordinario, in Arg. dir. lav., 1999, 62 ss.; E. A. Apicella, Della giurisdizione su incarichi giurisdizionali

nelle amministrazioni pubbliche, in Giust. Civ., 1999, I, 2843; A. N. Filardo, Alcune riflessioni su

aspetti problematici del passaggio di giurisdizione al giudice del lavoro in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in Giust. Civ., 1999, II, 329; D. Pizzonia, Incarichi

dirigenziali e tutela giurisdizionale, in Arg. dir. lav., 2001, 565; Contra A. Romano, Relazione alla

Giornata di studio tenutasi a Roma, 12 ottobre 2001, presso il Consiglio di Stato, su “Il riparto di

giurisdizione nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”; S. Cassese, Il sofismo della

privatizzazione del pubblico impiego, cit., 310. 73 Corte cost., 23 luglio 2001, n. 275, in Lav. pubbl. amm., 2001, 619.

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dell'interessato»74

.

Privatizzato il rapporto, accantonata l’eventualità di perpetuare la giurisdizione

esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego, il legislatore,

consapevole delle difficoltà di individuare la linea di demarcazione tra le due

giurisdizioni sulla base della natura della situazione soggettiva tutelanda, ha optato

per un criterio che ha il duplice vantaggio, almeno nelle intenzioni, di semplificare

l’approccio degli operatori al contenzioso degli enti pubblici e di porre le basi per

rimeditare le complicate interconnessioni tra diritti soggettivi e interessi legittimi,

collocandole al di fuori del processo75

.

Priva di ogni rilievo sembra essere la censura animata dalla preoccupazione che

nel rinnovato sistema non sia dato spazio alla tutela degli interessi legittimi, con

evidenti ripercussioni sul relativo sistema di tutela giurisdizionale che l’art. 103 Cost.

riserva al Consiglio di Stato e agli organi di giustizia amministrativa.

Tale interpretazione risale, come è noto, al parere del Consiglio di Stato del

199276

che, nel prospettare l'ipotesi della devoluzione delle controversie di lavoro

pubblico al giudice ordinario, lamentava innanzitutto una deminutio della tutela

riservata al dipendente, in tutti quei casi in cui la sua posizione soggettiva, innanzi

all’attività di perseguimento dell’interesse pubblico dell'amministrazione, non potesse

essere che di interesse legittimo.

Il punto di partenza di un simile ragionamento è costituito dall'art. 103 Cost.

secondo cui «Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno

74 Cons. Stato, 15 marzo 2001, n. 1519, in Giust. Civ., 2001, I, 2526. 75 Così A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit.,

52, i quali però, non giustificano lo stravolgimento del sistema. 76 Si veda Cons. Stato, Adunanza Plenaria, parere n. 146 del 31 agosto 1992, cit., 4.

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giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi

legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi».

La lettura più rigorosa dell'articolo appena citato induce a ritenere che il

legislatore ordinario possa estendere la giurisdizione amministrativa ai diritti,

istituendo forme di giurisdizione esclusiva, ma che non gli sia consentita l’operazione

inversa77

. Stante, dunque, il divieto per il giudice ordinario di estendere la propria

cognizione sugli interessi legittimi, dall'eventuale adozione di un criterio di riparto per

materie possono in astratto derivare due diverse conseguenze. La prima, come si legge

tra le righe del citato parere del Consiglio di Stato, è rappresentata dalla possibilità

che il dipendente pubblico, nell'adire il tribunale ordinario per far valere le proprie

ragioni in una controversia di lavoro, non possa fruire di una tutela piena, effettiva ed

adeguata, con evidente violazione degli artt. 24 e 113 Cost.; la seconda, invece, pone

in luce alcuni rilievi di legittimità costituzionale in relazione all'art. 103 Cost., qualora

si ammettesse che nell'ambito della giurisdizione ordinaria sia consentita la tutela di

interessi legittimi.

Si tratta di “rischi” che non è possibile minimizzare. Ma se si tengono bene a

mente le attuali interpretazioni sulla natura sostanziale dell'interesse legittimo, fatti

propri dalla Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 500/199978

secondo cui esso

rappresenta la posizione soggettiva del cittadino rispetto a un bene della vita la cui

disposizione sia demandata a un potere amministrativo, è di tutta evidenza come nel

caso delle controversie di lavoro pubblico affidate alla giurisdizione ordinaria, simili

preoccupazioni siano prive di fondamento.

77 A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit., 54;

F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2001, II, 1038. 78 Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, in Giust. civ. Mass., 1999, 2045.

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Detto in altri termini, se l'elemento caratteristico dell'interesse legittimo è la sua

concatenazione o consequenzialità rispetto ad un potere amministrativo, tale

evenienza non è ravvisabile nel lavoro di pubblico impiego dove l'amministrazione

agisce con i poteri e le capacità del privato datore di lavoro (art. 5, D.Lgs. n.

165/2001)79

.

Come era già stato sancito in occasione della privatizzazione dell'ente Ferrovie

dello Stato «una volta fondato il rapporto di lavoro su base paritetica, ad esso rimane

estranea ogni connotazione autoritativamente discrezionale»80

.

Gli atti attraverso i quali oggi la pubblica amministrazione, datore di lavoro,

agisce e gestisce il rapporto di lavoro hanno natura privatistica così da rendere,

dunque, quasi inimmaginabile un atto amministrativo che possa incidere sul rapporto

di lavoro e conseguentemente la configurabilità di un interesse legittimo del

dipendente pubblico81

.

La stessa Cassazione, a Sezioni Unite, nel ritenere infondata la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 29 D.Lgs. n. 80/1998 in relazione all'art. 103 Cost.,

ha sancito che la devoluzione al giudice ordinario delle controversie di lavoro

pubblico non ha comportato l'attribuzione allo stesso della cognizione di interessi

legittimi e «quand'anche la lesione lamentata dal prestatore di lavoro derivi

79 E ove, dunque, «in base alla disciplina di ordine sostanziale non vi sono interessi legittimi da

tutelare» v. A. Corpaci, La giurisdizione dopo la seconda fase della riforma: novità e prima

applicazione, in Lav. nelle pubbl. amm., 1999, 05, 1057. 80 Si tratta di Corte cost., 16 luglio 1987, n. 268, in Cons. Stato, 1987, II, 1143 che in relazione alla

devoluzione al giudice ordinario delle controversie relative al rapporto di lavoro con le Ferrovie dello

Stato, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 21 e 23 della legge n.

210/1985 in relazione agli artt. 97 comma 1, 103 comma 1, 3, 24 comma 1 e 2, 113 comma 1 e 2, 25 comma 1 della Costituzione. 81 In dottrina per la tesi della configurabilità in capo al lavoratore pubblico di soli diritti o interessi

di fatto aventi rilevanza giuridica v. M. D'Antona, Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro

dopo la “seconda privatizzazione” del pubblico impiego (osservazioni sui D.Lgs. n. 396/1997, n.

80/1998 e n. 387/1998), cit., 629; F. Liso, La privatizzazione dei rapporti di lavoro, in F. Carinci, M.

D'Antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, 2000, cit., 242.

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dall'esercizio di poteri discrezionali del l'amministrazione datrice di lavoro, la

situazione soggettiva lesa dovrà qualificarsi, alla stregua delle più recenti

classificazioni civilistiche, come interesse legittimo di diritto privato, da riportare,

quanto alla tutela giudiziaria, all'ampia categoria dei "diritti" di cui all'art. 2907

Cod.Civ.»82

.

Stessa lettura viene fornita dalla Corte Costituzionale secondo cui il legislatore

delegante e quello delegato aspirando a «modellare e fondare tutti i rapporti dei

dipendenti della amministrazione pubblica (compresi i dirigenti) secondo il regime di

diritto privato del rapporto di lavoro», «sia pure tenendo conto della specialità del

rapporto e delle esigenze del perseguimento degli interessi generali», hanno voluto

che «le posizioni soggettive degli anzidetti dipendenti delle pubbliche

amministrazioni, compresi i dirigenti di qualsiasi livello, fossero riportate, quanto alla

tutela giudiziaria, nell'ampia categoria dei diritti di cui all'art. 2907 Cod. Civ.»83

.

Se ogni atto di gestione del rapporto di lavoro risulta privo di connotazione

autoritativamente discrezionale84

e se dallo strumento paritario costituito dal contratto

derivano solo posizioni di diritto soggettivo85

è chiaro che i “rischi” sopra paventati

sono scongiurati: la tutela del dipendente pubblico non può dirsi incompleta o

inefficace e l'art. 103 Cost. risulta essere pienamente rispettato, anche nella sua

82 Cass., sez. un., 24 febbraio 2000, n. 41, in Lav. pubbl. amm., 2000, 303 ss. 83 Corte cost., 23 luglio 2001, n. 275, cit. 84 Cass., sez. un., 17 luglio 2001, n. 9650, in Foro it., 2002, I, 2967. 85

Cass., sez. un., 6 febbraio 2003, n. n. 1807, in Lav. pubbl. amm., 2003, 307. In dottrina è stata

espressamente sostenuta l’idea della trasformazione delle posizioni che nascono a seguito dell'esercizio

dei poteri di gestione del rapporto di lavoro da interessi legittimi, prima del D. Lgs. n. 29/1993, a diritti

soggettivi, dopo il 1993, v. C. Zoli, Amministrazione del rapporto e tutela delle posizioni soggettive dei dipendenti pubblici, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1993, 647. Tale trasformazione «…(da intendersi,

peraltro, in senso propriamente classificatorio) non è, però, autonoma, ma consegue naturalmente alla

trasformazione delle fonti del rapporto di lavoro e, dunque, al mutamento della natura dello stesso, e

acquisisce, perciò, rilevanza quasi più sotto il profilo fenomenologico che dal punto di vista

ontologico» v. R. Vianello, Gli interessi legittimi nel pubblico impiego privatizzato, in Lav. Giur., 1999,

848.

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interpretazione più rigorosa.

Per gli stessi motivi anzidetti, inoltre, può affermarsi che è inesatto parlare di

“giurisdizione esclusiva” del giudice ordinario, poiché tra le funzioni ad esso trasferite

non può mai rientrare “ratione materiae, anche la tutela di interessi legittimi”86

.

Emblematico è, in tal senso, il caso del potere di organizzazione del datore di

lavoro pubblico che è attratto nella sfera pubblicistica per quanto riguarda “le linee

fondamentali di organizzazione degli uffici”, l’individuazione degli “uffici di

maggiore rilevanza”, i “modi di conferimento della titolarità dei medesimi” e le

determinazioni “delle dotazioni organiche”(art. 2, comma1, D.Lgs. n. 165/2001), ma

che è esercitato “con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro” quando

riguardano la cosiddetta micro-organizzazione, cioè l'ambito delle “determinazioni

per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di

lavoro” (art. 5, comma 2). Sono così attratti nell’ambito privatistico tutti gli atti

riguardanti la gestione come il trasferimento e il licenziamento del dipendente87

ma

anche tutti gli atti inerenti al “funzionamento degli apparati”88

.

Il richiamo alla distinzione tra micro e macro-organizzazione rafforza proprio

l’idea della non prospettabilità di una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario,

potendo difficilmente un atto amministrativo macro-organizzativo avere attitudine ad

incidere direttamente sul rapporto di lavoro. Deve, però, precisarsi che, proprio sulla

base delle considerazioni effettuate, la stessa distinzione non può assurgere a

parametro di riparto tra le due giurisdizioni. Questo è, infatti, l’errore in cui incorre

86 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1218. 87 Trib. Milano 23 aprile 2002, in Lav. Giur., 2003, 192. 88 Cass., sez. un., 25 luglio 2002, 10995, in Giust. civ., 2003, I, 221.

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frequentemente la magistratura89

che «senza norme e solo per deduzione logica»

riporta l’area della macro-organizzazione nell’alveo della giurisdizione

amministrativa dovendo, invece, individuarsi le eccezioni alla regola della

giurisdizione ordinaria nelle uniche due espresse dal legislatore90

.

La scelta normativa risponde ad un chiaro intento di attribuire al giudice

ordinario in funzione di giudice di lavoro una competenza ampia, completa ed

efficace91

sul rapporto di lavoro di pubblico impiego92

. L’obbiettivo di assicurare la

giurisdizione ordinaria su certe materie, a prescindere dalla riconducibilità alla micro

o alla macro organizzazione, trova la sua emblematica espressione nell’art. 63 del

D.Lgs. n. 165/200193

che è l’unica norma regolatrice, deputata a definire e limitare le

rispettive sfere di giurisdizione.

La giurisdizione ordinaria dovrebbe ricorrere, quindi, ogni qualvolta oggetto

della controversia sia il rapporto di lavoro «o, pur non investendo direttamente il

rapporto di lavoro, questi sia la sua occasione o il suo presupposto, mentre quella

amministrativa dovrebbe permanere unicamente con riferimento alle ipotesi residuali

89 Cass.,sez. un., 30 gennaio 2008, n. 2031, in Giust. civ. Mass., 2008, 1, 113; Tar Napoli Campania,

sez. V, 22 ottobre 2003, n. 13054, in Giust. Civ., 2004, I, 1851. E’ da rilevare una recente inversione della tendenza v. Tar Catania Sicilia, sez. II, 19 marzo 2010, n. 773, in Red. amm. TAR, 2010, 3. 90 M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, 2 ed., Ipsoa, Milano, 2010, 173. 91 M. D'Antona, Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro dopo la "seconda

privatizzazione" del pubblico impiego. Osservazioni sui D.Lgs. n. 396/1997, n. 80/1998 e n. 387/1998),

cit., 628-629. 92 In questo senso si richiama A. Proto Pisani secondo cui «il vero problema non è nella definizione

delle situazioni soggettive, bensì nelle forme di tutela di cui esse godono», v. Verso il superamento

della giurisdizione amministrativa, in Foro it., 2001, V, 28. 93 Così F. Carinci, Privatizzazione del pubblico impiego e ripartizione della giurisdizione per materia (breve storia di una scommessa perduta), cit., 1049, secondo cui è sintomatico l’inciso del

comma 1 del nuovo art. 68 per cui tocca al giudice ordinario decidere sulle controversie in tema di

conferimenti e revoche di incarichi dirigenziali, devolute dal legislatore apertis verbis alla giurisdizione

ordinaria, senza dar rilievo alla loro qualificazione come atti privatistici od amministrativi. Si veda

anche F. Carinci, La privatizzazione del pubblico impiego alla prova del terzo Governo Berlusconi:

dalla Legge 133/2008 alla Legge n. 15/2009, in Lav. pubbl. amm., 2008, 06, 949.

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o esclusive elencate nel quarto comma»94

dell’art. 63, in materia di procedure

concorsuali, e in relazione al personale non privatizzato di cui all’art. 3 del D.Lgs. n.

165/2001.

2.2 La residua giurisdizione amministrativa: le eccezioni al

principio della giurisdizione ordinaria.

Come già accennato, la privatizzazione del pubblico impiego, e la conseguente

devoluzione al giudice ordinario delle relative controversie, non è stata portata a

compimento dal legislatore della seconda stagione '97-'98. Nonostante il carattere

generalizzato ed organico, si è ritenuto, da un lato, di dover sottrarre all'ambito di

applicazione dell'intera riforma alcune amministrazioni e categorie di personale,

rimaste pertanto in regime di diritto pubblico (ex art. 3, D.Lgs. n.165/2001); dall'altro,

dopo aver enunciato, all'art. 63, D.Lgs. n. 165/2001 il principio generale

dell'attribuzione al giudice ordinario delle controversie tra le pubbliche

amministrazioni e i loro dipendenti, si è riservata la materia dell'assunzione attraverso

i concorsi (comma 4, art. 63 D. Lgs n. 165/2001), certamente relativa al rapporto di

lavoro, alla competenza del giudice amministrativo95

.

Sono queste le due uniche eccezioni previste dal legislatore o, per lo meno,

dovrebbero essere poiché, in realtà, come già detto, i giudici96

, nell'individuazione

94 M. Navilli, Graduatorie concorsuali nel pubblico impiego: giurisdizione, diritto degli idonei allo

scorrimento e derogabilità della contrattazione collettiva, in Lav. pubbl. amm., 2004, 3-4, 686. 95 V. infra. 96 Cass., sez. un., 4 aprile 2007, n. 8363, in Giust. civ. Mass., 2007, 4; Cass., sez. un., ord. 17 aprile

2003, n. 6220, in Giust. civ. Mass., 2003, 4; Cass., sez. un., 8 novembre 2005, n. 21592, in Giust. Civ.,

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della giurisdizione competente, hanno ritenuto un affidabile parametro di riferimento

la nota distinzione tra atti di macro e di micro-organizzazione per cui sarebbe rimasta

nella giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione degli atti relativi alle

linee fondamentali di organizzazione degli uffici e affidata a quella del giudice

ordinario la cognizione degli atti privatistici relativi al rapporto di lavoro97

.

In base all'art. 63, comma 4, del D. Lgs. 165/2001 nell'ambito delle categorie e

amministrazioni rimaste affidate alla giurisdizione del giudice amministrativo, questo

conoscerà e deciderà anche dei «diritti patrimoniali connessi». Il legislatore ha,

dunque, optato per una giurisdizione non solo esclusiva ma anche “piena”98

eliminando la tradizionale riserva in favore del giudice ordinario della cognizione

delle questioni patrimoniali consequenziali.

La giurisdizione amministrativa, dunque, investe qualsiasi pretesa che ha la sua

fonte in quel rapporto di impiego: da un lato è previsto che il giudice amministrativo

nell'ambito dell'intera sua giurisdizione esclusiva, e non solo più nelle materie di cui

agli art. 33 e 34 D.Lgs. 80/1998, disponga «anche attraverso la reintegrazione in

forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto» (art. 35, comma 1, D. Lgs

80/1998); dall'altro, con l'ennesima riformulazione dell'art. 7, comma 3, l. n.

1034/1971 si è assicurata la cognizione del giudice amministrativo, nell'ambito della

sua giurisdizione, sulle questioni attinenti ai diritti patrimoniali consequenziali (art.

35, comma 4, D.Lgs. n. 80/1998 nel testo sostituito dall'art. 7 della l. 21 luglio del

2006, 12, 2952; Tar Milano Lombardia, sez. III, 12 novembre 2009, n. 5046, in Red. Amm. Tar., 2009,

11; Cass., sez. un., 25 settembre 2009, n. 20642, in Giust. Civ., 2010, 3, 727; Cass. 7 ottobre 2008, n. 24738, in Lav. pubbl. amm., 2008, 5, 885. 97 Nota M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit., 165 ss., che l’area della macro-

organizzazione è stata ricondotta alla giurisdizione amministrativa dai nostri giudici «senza norme e

solo per deduzione logica». 98 F. Caringella, V. Poli, Il riparto di giurisdizione nell'impiego pubblico, in F. Caringella, R.

Garofoli, Il riparto di giurisdizione, Giuffrè, 2008, 1155.

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2000, n. 205).

Una volta acquisita99

l'esigenza di garantire ai cittadini una tutela piena nei

confronti della pubblica amministrazione, il legislatore ha affidato ad essi anche lo

strumento dell'azione risarcitoria. La risarcibilità del danno innanzi al giudice

amministrativo affrontata incidenter tantum nella nota sentenza n. 204/2004 dalla

Corte Costituzionale100

, non costituisce una nuova materia attribuita alla sua

giurisdizione ma uno «strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico

demolitorio (e/o conformativo) da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei

confronti della pubblica amministrazione». Essa, inoltre, affonda le sue radici nella

previsione dell'art. 24 Cost. il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute

alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia

munito di adeguati poteri101

.

La Corte Costituzionale conferma, e rafforza102

, la legittimità della scelta del

legislatore nel senso della concentrazione della tutela di annullamento e risarcitoria

innanzi ad unico giudice103

superando così la regola previgente della pregiudizialità

amministrativa,

in base alla quale occorreva in primis l’annullamento dell’atto

amministrativo da parte del giudice amministrativo, perché, riportando la posizione

del ricorrente da interesse legittimo a diritto soggettivo, il ricorrente potesse,

successivamente, agire innanzi al giudice ordinario per la tutela risarcitoria.

99 Con la sentenza della Cassazione 22 luglio 1999, n. 500, in Giust. Civ. Mass., 1999, 2045 che ha

affermato la risarcibilità degli interessi legittimi. 100 Con cui Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, in www.cortecostituzionale.it ha dichiarato la parziale

illegittimità costituzionale degli artt. 33 e 34 del D.Lgs. 80/1998. 101 L'impostazione è stata poi confermata da Corte cost., 11 maggio 2006, n. 191, in

www.giurcost.org 102 Così V. Cerulli Irelli, Giurisdizione esclusive e azione risarcitoria nella sentenza della Corte

costituzionale n. 2004 del 6 luglio 2004, in www.astrid-online.it 103 Tale principio è stato poi recepito da Cass., sez. un., 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660, in

Giurisd. amm., 2006, III, 440 ss.

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52

Con particolare riferimento alla materia del risarcimento nelle controversie di

impiego pubblico non privatizzato104

l'ampio riferimento al “danno ingiusto”

contenuto nell'art. 35 del D.Lgs. 80/1998 dovrebbe indurre a ritenere che rientrano

nell'ambito della giurisdizione esclusiva amministrativa anche le pretese risarcitorie

conseguenti ad un illecito aquiliano105

. E la previsione del comma 4, art. 63 del

D.Lgs., che attribuisce alla giurisdizione esclusiva le controversie relative “ai diritti

patrimoniali connessi” sembrerebbe confermare questa conclusione106

. Così per la

Cassazione rientrano nella giurisdizione amministrativa le controversie relative al

risarcimento del danno conseguenti al ritardo dell'amministrazione nell'assunzione di

un dipendente in regime pubblicistico, trattandosi di danno non occasionalmente

connesso con il rapporto di impiego107

. Alle medesime conclusioni si è giunti nel caso

di risarcimento del danno da perdita di chance derivante dalla illegittimità della

nomina di un sostituto al posto di un membro decaduto della commissione di

concorso108

o per danno conseguente alle lesioni e minacce subite da un militare109

.

Di diverso avviso sembra essere il Consiglio di Stato110

che in una recente

sentenza in materia di mobbing in ambito universitario ritiene «necessario accertare la

natura giuridica dell’azione di responsabilità in concreto proposta, in quanto solo

104 In base alla disciplina anteriore alla legge 205/2000 si riteneva che la materia del risarcimento

spettasse al giudice ordinario o al giudice amministrativo a seconda che si trattasse, rispettivamente, di

danno extracontrattuale o di danno contrattuale: v. Cass. 2 luglio 2004, n. 12137, in Giust. Civ. Mass.,

2004, 7-8; Cass. 4 maggio 2004, n. 8438, in Dir. Lav., 2005, II, 205 con nota di F. Balestrieri, Mobbing

e riparto di giurisdizione: spunti definitori, tipologie di responsabilità e di danno. 105 Cons. stato, sez. V, 9 ottobre 2002, n. 5414, in Foro amm. CDS, 2002, 2439; Tar Roma Lazio, sez.

III, 25 giugno 2004, n. 6254, in Foro amm. TAR, 2004, 1748; Tar Veneto, 8 gennaio 2004, n. 2, in Foro

amm. Tar, 2004, 64. 106 P. Sordi, Il riparto di giurisdizione nelle controversie di pubblico impiego, in www.appinter.csm.it 107 Cass. 24 ottobre 2005, n. 20475, in Giust. Civ. Mass., 2005, 10. 108 Cass., sez. un., 26 maggio 2004, n. 10180, in Giust. Civ. Mass., 2004, 5. 109 Cass. 4 marzo 2008, n. 5785, in Giust. Civ. Mass., 2008, 3, 351. 110 Cons. Stato, sezione VI, 15 aprile 2008, n. 1739, in www.altalex.com che richiama Cass., sez. un.,

4 maggio 2004, n. 8438, in Notiz. Giur. Lav., 2004, 290.

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l’azione per responsabilità contrattuale è ritenuta rientrante nella cognizione del

Giudice Amministrativo, mentre dovrebbe ritenersi di competenza del Giudice

Ordinario l’azione proposta in via extra-contrattuale».

E' comunque il caso di sottolineare che l'attrazione della controversia alla

giurisdizione esclusiva è condizionata dalla inerenza del fatto illecito alla materia

stessa111

. Sussiste, dunque, la giurisdizione ordinaria quando ad esempio l'impiegato

pubblico chieda la condanna al risarcimento del danno per comportamento arbitrario o

illegittimo di alcuni funzionari, vertendosi in controversia in materia di fatto illecito

tra privati, a nulla ostando la proposizione della domanda anche nei confronti

dell'ente, rientrando nel merito un eventuale riconoscimento della riferibilità all'ente

del comportamento dei suoi funzionari112

.

2.2.1 Le categorie di dipendenti esclusi dalla “privatizzazione” e

dalla giurisdizione ordinaria.

L'ambito soggettivo di applicazione della riforma è, ancora oggi, delineato dal

combinato disposto di due norme contenute nel D. Lgs n. 165/2001, che danno piena

attuazione alle previsioni, rispettivamente inclusiva ed esclusiva, di cui all'art. 2,

comma 1, lettera a) ed e) della legge delega n. 421/1992: l'art. 1, comma 2, elenca,

infatti, con una serie di richiami alle leggi speciali in materia, le amministrazioni

incluse, delineando l'ambito di applicazione «dell'ordinamento del lavoro alle

dipendenze delle amministrazioni pubbliche», comprensivo sia dell' “organizzazione

111 P. Sordi, Il riparto di giurisdizione nelle controversie di pubblico impiego, cit. 112 Cass. 2 marzo 2006, n. 4591, in Giust. Civ. Mass., 2006, 3.

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degli uffici” sia “dei rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle

amministrazioni pubbliche”. L'art. 3 dello stesso decreto è, invece, deputato ad

indicare quali di esse e quali categorie sono espressamente escluse.

E' da rilevare che l'ambito di applicazione soggettivo della riforma è stato da

sempre oggetto di continue modifiche e rivisitazioni. Certamente esso non coincide

con quello previsto dall'art. 1 della legge quadro del 1983113

. Risulta, oggi, certamente

più vasto di allora: non solo perché sono state ricondotte nell'alveo della

privatizzazione quelle amministrazioni interessate dalla cosiddetta “fuga dalla legge

quadro” ma anche perché nel corso del tempo si è provveduto ad una sostanziale

estensione.

Nella prima fase erano incluse «tutte le amministrazioni dello Stato, ivi

compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le

aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le

Province, i Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le

istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio,

industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non

economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del

Servizio sanitario nazionale»114

. Una applicazione graduata era prevista: a) per le

Regioni a statuto ordinario nei confronti delle quali le disposizioni del decreto

costituivano disposizioni fondamentali ex art. 117 Cost.; b) per le Regioni a statuto

speciale per cui i principi desumibili dall'art. 2 legge 421/1992 rappresentavano

norme fondamentali di riforma economica e sociale della Repubblica; c) per le

113 Così F. Carinci, L'impiego pubblico non privatizzato all'indomani del D.Lgs. 165/2001, in F.

Carinci, V. Tenore, Il pubblico impiego non privatizzato, Giuffrè, 2007, XXIV. 114 Art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 29/1993.

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dirigenze, le norme del titolo II, capo II, risultavano applicabili “alle amministrazioni

dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, agli enti pubblici non economici

nazionali, alle istituzioni universitarie ed alle amministrazioni, aziende ed enti del

Servizio sanitario nazionale115

; d) per le aziende e gli enti di cui alle leggi 26

dicembre 1936, n. 2174 e successive modificazioni ed integrazioni (Ente autonomo

“Esposizione universale di Roma”), 13 luglio 1984, n. 312 (Enti autonomi lirici e

Istituzioni concertistiche assimilate), 30 maggio 1988, n. 186 (Agenzia spaziale

italiana) 11 luglio 1988, n. 266 (personale dell'istituto poligrafico e zecca dello Stato,

dell'Unione italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed

Agricoltura, dell'Enea, dell'Azienda Autonoma di assistenza al volo per il traffico

aereo generale e del Registro aeronautico italiano), 18 marzo 1989, n. 106 ( Istituto

nazionale per il Commercio Estero) e 31 gennaio 1992, n. 138 (CONI) era previsto

l'adeguamento dei propri ordinamenti ai principi di cui al titolo I116

; e) per il Consiglio

di Stato, i tribunali amministrativi regionali, la Corte dei conti e l'Avvocatura dello

Stato era prevista l'adozione «di uno o più regolamenti, da adottarsi ai sensi

dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data

di entrata in vigore del presente decreto» per l'adeguamento alla disciplina contenuta

nell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, relative all'organizzazione ed al

funzionamento delle strutture amministrative117

.

Rimanevano disciplinati dai rispettivi ordinamenti «i magistrati ordinari,

amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale di

militare e delle Forze di polizia, il personale della carriera diplomatica e prefettizia; a

115 Art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 29/1993. 116 Art. 73, comma 5, D.Lgs. n. 29/1993. 117 Art. 73, comma 6, D.Lgs. n. 29/1993.

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partire rispettivamente dalle qualifiche di segretario di legazione e di vice consigliere

di prefettura, i dirigenti generali nominati con Decreto del presidente della

Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, e quelli agli stessi

equiparati per effetto dell'art. 2 della legge 8 marzo 1985, n. 72, nonché i dipendenti

degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'art. 1 del decreto

legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691 (enti con funzione

di tutela del credito), e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281 (enti con funzione di tutela

del risparmio), e 10 ottobre 1990, n. 287 (enti con funzione di tutela della concorrenza

e del mercato)». I docenti e i ricercatori delle istituzioni universitarie rimanevano

assoggettati alle norme vigenti in materia, in attesa di una disciplina ad hoc118

.

Con gli interventi normativi succedutisi durante la seconda stagione della

privatizzazione, confluiti, poi, nel D.Lgs. n. 165/2001, si assiste ad una prima

modifica dell'ambito soggettivo di applicazione. Da un lato, infatti, dall'elenco degli

enti che, in base all'art. 73 del D.Lgs. n. 29/1993, erano tenuti ad adeguare i propri

ordinamenti ai principi del Titolo I, vengono estromessi quelli ex lege 18 marzo 1989,

n. 106 (Istituto nazionale per il commercio estero) ed aggiunti quelli disciplinati dalla

legge 30 dicembre 1986, n. 936 (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro) e dal

D.Lgs. 25 luglio 1997, n. 250 (Ente nazionale per l'aviazione civile); dall'altro l'intera

dirigenza viene privatizzata (art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 80/1998) e il personale della

carriera prefettizia interamente ricondotto alla disciplina pubblicistica (oggi art. 3,

comma 1, D.Lgs. n. 165/2001).

Successivamente, con la legge per il riordino della dirigenza statale la

privatizzazione viene estesa all'Aran e alle Agenzie di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n.

118 Art. 72, comma 4, e art. 2, comma 5, D.Lgs. n. 29/1993.

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30 (Agenzie fiscali e Agenzia di Protezione Civile) 119

ed esclusa, con le leggi 30

settembre 2004, n. 252 e 27 luglio 2005, n. 154, per il personale del Corpo Nazionale

dei Vigili del Fuoco e della carriera dirigenziale penitenziaria120

.

Ma non è ancora finita. La giurisprudenza, infatti, aveva ricondotto, per via

interpretativa121

, nell'ambito del diritto pubblico e, dunque, alla giurisdizione

amministrativa, anche i dipendenti dell'Autorità Garante delle comunicazioni, ma la

più recente “Riforma Brunetta” ha assoggettato all'ambito di applicazione del D.Lgs.

n. 165/2001 tutti i dipendenti delle “Autorità Amministrative Indipendenti”122

.

In sintesi, le disposizioni del D.Lgs. n. 165/2001 relative alla

contrattualizzazione del rapporto di lavoro e alla devoluzione al giudice ordinario di

tutte le relative controversie si applicano in via diretta a tutte le amministrazioni

pubbliche elencate all'art. 1, comma 2, con l'unica esclusione delle ipotesi di cui

all'art. 3 dello stesso decreto che, conseguentemente, rimangono sotto la giurisdizione

del giudice amministrativo.

Per alcune delle categorie enunciate da quest'ultima norma (si pensi ad esempio

ai magistrati, al personale della carriera prefettizia, ai militari e ai poliziotti) la ragione

della “non privatizzazione” potrebbe risiedere nelle garanzie costituzionali assicurate

ad alcune di esse o, ancora, nell'opportunità di non assoggettarle al normale potere

disciplinare come garanzia speciale connessa alla loro posizione123

. Lo stesso, forse,

119 Art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, come modificato dall'art. 1, l. 15 luglio 2002, n. 145. 120 Art. 3, comma 1 bis, 1 ter, D.Lgs. 165/2001, come integrati dall'art. 1, l. 30 settembre 2004, n. 252

e, rispettivamente, art. 2, l. 27 luglio 2005, n. 154. 121 V. Cass., sez. un., ord. 23 giugno 2005, n. 13446, in Dir. prat. Lav., 2006, 1, 74 ss. che ha

dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia concernente il rapporto di un

dirigente assunto in prova dalla Autorità garante delle comunicazioni. 122 Art. 5, comma 3 bis, D.Lgs. 165/2001, introdotto dall'art. 34, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 27

ottobre 2009, n. 150. 123 M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit., 172.

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non può dirsi per i professori ed i ricercatori universitari per cui non si ravvisano tali

particolari accorgimenti124

.

Un avvertimento, formulato già all'indomani del D.Lgs. n. 29/1993, infine, pare

d'obbligo. Nonostante il legislatore abbia cercato di specificare puntualmente la

nozione di “pubbliche amministrazioni” bisogna «guardarsi dall'attribuire a tale

specificazione una valenza sistematica, rispondendo essa al solo fine di ridurre le

difficoltà che si sono sempre registrate in ordine ad un'individuazione chiara ed

univoca di tale concetto»125

, considerando, peraltro, che nel campo di applicazione

sono ricompresi parzialmente organi dello Stato non qualificabili in senso tecnico

come “pubbliche amministrazioni”.

Al riguardo, nessun ostacolo certamente all'applicazione della privatizzazione

può ritenersi esistente nei confronti dei dipendenti degli “organi ausiliari” dello Stato

e, in generale, degli “organi di rilevanza costituzionale”: già si riteneva possibile una

siffatta configurazione nel vigore del regime pubblicistico per il personale non di

magistratura e non di avvocatura del Consiglio di Stato e della Corte dei conti e per

quello del Consiglio nazionale dell'Economia e del Lavoro126

, anche se la disciplina

speciale prevista per quest'ultimo ha indotto il legislatore a sottrarlo parzialmente

124 Più in generale un'attenta dottrina ha avanzato «il dubbio circa la legittimità o almeno l’utilità

della conservazione della giurisdizione amministrativa esclusiva nei confronti di categorie di lavoratori

per le quali gli aspetti di tutela di diritti soggettivi, sia per quanto attiene i contenuti del rapporto di

lavoro (retribuzione, ferie, orario, assenze, disciplina, forme collettive di rivendicazione, ecc.) sia per

quanto riguarda le fonti di disciplina sostanziale, rimesse comunque, direttamente o indirettamente, alla

contrattazione collettiva, non si pongono con carattere differenziato rispetto alle categorie privatizzate», v. A. Pozzi, Serve ancora una giurisdizione speciale del lavoro pubblico?, in

www.giustizia-amministrativa.it 125 G. D'Alessio, Organizzazione amministrativa e dirigenza pubblica nel decreto legislativo 3

febbraio 1993, n. 29, in G. Naccari (a cura di), La riforma del lavoro pubblico, Roma, 1993, 138. 126 A. Tursi, L'ambito di applicazione della riforma, in F. Carinci, L. Zoppoli (a cura di), Il lavoro

nelle pubbliche amministrazioni, cit., 26.

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dall'ambito di applicazione del D.Lgs. 165/2001 (art. 70, comma 4)127

. Qualche

precisazione merita, invece, la questione degli organi costituzionali di cui si dirà

avanti.

2.2.2 Le procedure concorsuali per l'assunzione

Uno degli aspetti tra i più complessi della riforma delle pubbliche

amministrazioni e della conseguente devoluzione al giudice ordinario del contenzioso

di lavoro pubblico è certamente rappresentato dall'esatta individuazione della linea di

confine tra le controversie «concernenti l'assunzione al lavoro» e quelle relative alle

«procedure concorsuali per l'assunzione». Le prime, infatti, sono assicurate alla

cognizione del giudice ordinario, giusta il disposto dell'art. 63, comma 1, D.Lgs. n.

165/2001; le seconde, invece, per espressa volontà legislativa, sono rimaste

nell'ambito della giurisdizione amministrativa, come enunciato nel comma 4 dello

stesso articolo.

Con la riserva di provare ad individuare quali siano o meno le procedure

concorsuali idonee a radicare la giurisdizione amministrativa all'inizio del prossimo

capitolo, bisogna, preventivamente, provare ad indagare sulla ratio di una simile

scelta legislativa e a ricostruire il quadro, alquanto composito, che ne deriva in termini

giuridici.

Quel che appare certo è che, nell'opzione preferita dal legislatore della

privatizzazione di riservare la materia dei concorsi alla giurisdizione amministrativa e

127 V. artt. 20-23 della l. n. 936/1986.

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quindi alla fonte pubblicistica (o forse viceversa), ha avuto un peso decisivo

l'interpretazione del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell'art. 97 Cost., secondo

cui la riserva di legge si estende non solo all'organizzazione degli uffici ma anche alla

fase del reclutamento.

Dalla necessità del concorso128

di cui al comma 3 dell'art. 97 Cost. che impone,

appunto, alle pubbliche amministrazioni, modalità di selezione del personale ben

diverse da quelle che governano il mondo del lavoro privato129

, si è fatto discendere

quale “logico” corollario anche il principio della “pubblicità” del concorso, da

intendersi, non nella sua accezione più ampia e popolare, come garanzia di apertura al

pubblico130

, ma nel suo senso più tecnico, quale applicazione dei principi

pubblicistici, ergo amministrativi, che pervadono l'intera procedura di pre-assunzione.

Come è stato correttamente osservato, però, l'art. 97 Cost., nell'imporre alle

pubbliche amministrazioni di assumere tramite concorso, «condiziona i fini

dell'attività, ma non i modi: le procedure di assunzione, una volta salvaguardato il

principio concorsuale, ben potevano essere disciplinate anche da fonte pattizia»131

.

Quindi così come esso non impone che il rapporto di impiego alle dipendenze delle

pubbliche amministrazioni sia in regime pubblicistico «allo stesso modo lascia alla

discrezionalità del legislatore lo scegliere se l'accesso agli impieghi debba avvenire

secondo procedure di diritto pubblico o di diritto privato»132

.

128 Da sempre considerato interesse di “ordine pubblico” v. Cons. stato, ad. gen., 9 agosto 1932 n.

196, in Mass. completo della giurisprudenza del Consiglio di Stato 1932-1961, I, 861, n. 92. 129 Così A. Tampieri e G. Rosin, Il contenzioso del lavoro pubblico. Casi e questioni, in Dir. Prat. Lav., inserto, 43, 2007, IV. 130 V. Ferrante, Il riparto di giurisdizione in tema di concorso e progressione, cit., 242. 131 V. Luciani, Assunzioni e progressioni in carriera nell'impiego pubblico locale tra legge statale e

legge regionale, in Le istituzioni del Federalismo, 2009, 5-6, 909, nota 4. 132 A. Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e

progressioni in carriera, in Lav. pubbl amm., 2007, 02, 382. In tal senso anche F. Carinci, La riforma

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In altri termini, «non v'è ragione per sottrarre la concreta attività di selezione

alla gestione privatistica: anche qui la p.a. agisce (o dovrebbe agire) con i poteri del

privato datore di lavoro con conseguente possibilità di controllo del giudice sulla

legittimità degli atti anche alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede»133

.

La scelta del legislatore nel senso della duplicità della giurisdizione134

non può,

allora, andare esente da critiche, oltre che per quanto già detto, anche sotto altri

profili. Innanzitutto, essa pare incoerente rispetto alla logica della seconda stagione di

riforma del pubblico impiego, inaugurata nel segno della privatizzazione anche della

micro-organizzazione amministrativa. Da questa angolazione, può certamente

dubitarsi che la materia concorsuale sia ontologicamente materia di diritto pubblico

nella quale possono svilupparsi solo interessi legittimi135

. E a nulla sembra valere la

del rapporto di lavoro pubblico Contratto e rapporto di lavoro, in Dir. lav. rel. ind., 1993, 684; L.

Zoppoli, Il lavoro pubblico negli anni 90, Torino, 1998. 133 A. Garilli, Le controversie sui concorsi e sulla progressione verticale: riparto di giurisdizione,

discrezionalità amministrativa e poteri del giudice ordinario, cit., 7. In giurisprudenza v. Cass., 19

novembre 1997, n. 11522, in Giust. civ., 1998, I, c. 366 con nota di I. Milianti, Sui criteri di risarcimento dei danni conseguenti all’esclusione del lavoratore dal novero dei candidati a una

promozione, ove si legge «Questa Corte, abbandonando un primo indirizzo che attribuiva alla

supremazia dell'imprenditore profili accostabili a quelli propri dell'esercizio della funzione

amministrativa con l'utilizzazione della figura dell'interesse legittimo (cfr. Cass., Sez. Un., 2 novembre

1979 n. 5688), con un orientamento, ormai consolidato, ha inquadrato la problematica in oggetto

nell'ambito del diritto civile, riconoscendo la natura di diritto soggettivo alla pretesa del lavoratore al

corretto compimento delle operazioni di valutazione dei requisiti dei promuovendi e di comparazione

tra candidati, da effettuarsi nel rispetto di criteri precostituiti e nell'osservanza, come si è già detto, delle regole di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.». 134 V. Zingales, Riparto di giurisdizione - Privatizzazione del rapporto di lavoro, in Dir. Prat. Lav.,

2000, n. 4, 32 ss. coglie nella scelta del legislatore un ritorno al passato: «nella misura in cui si è

voluto (o dovuto) eliminare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (senza peraltro

sostituirla con quella egualmente esclusiva e piena dell'A.g.o.), così istituzionalizzando il sistema della

duplicità o coesistenza di due diverse giurisdizioni in materia, anche il legislatore delegato del 1998 ha

sostanzialmente ripercorso a ritroso il cammino dell'evoluzione legislativa e della cultura giuridica,

riapprodando più o meno consapevolmente a quel lontano passato negativamente caratterizzato dalla

medesima situazione — di coesistenza di una duplice cognizione giurisdizionale sulla stessa materia del pubblico impiego — esistente prima della istituzione, nel 1924, della giurisdizione esclusiva del

giudice amministrativo in materia. Un ritorno, in altri termini, a modelli arcaici che rappresentano un

disvalore che si riteneva definitivamente espunto dal nostro ordinamento». 135 D. Borghesi, La giurisdizione, in F. Carinci, M. Persiani, Trattato di diritto del lavoro, volume

VIII a cura di S. Mainardi "Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche", in

corso di pubblicazione.

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giustificazione secondo cui la materia relativa alle procedure di reclutamento

concerne la «fase prodromica del rapporto, estranea allo stesso (non ancora

costituito)», conducendo, anzi, ad esiti paradossali, laddove differenzia

giuridicamente le «posizioni soggettive (di interesse legittimo e di diritto soggettivo)

fra chi», pur trovandosi nella medesima situazione fattuale, «aspira al posto e chi è

parte del rapporto»136

.

Se si tiene bene a mente lo spirito e il senso della seconda privatizzazione, così

come precisato, deve convenirsi sul fatto che la procedura concorsuale di scelta

dell'aspirante al posto di lavoro sia qualificabile quale atto rientrante nella gestione

del rapporto, in cui il datore agisce con le capacità e i poteri del privato datore di

lavoro. Così come si è espressa la giurisprudenza in relazione agli enti »ci137

, da

sempre modello guida per la privatizzazione del pubblico impiego, si tratta di atti

soggetti ad una regolamentazione privatistica138

, anche sotto il profilo della natura

giuridica delle posizioni soggettive fatte valere in giudizio139

.

Il legislatore non ha ritenuto di fare l'ulteriore e forse necessario salto verso

136 A. Garilli, Le controversie sui concorsi e sulla progressione verticale: riparto di giurisdizione,

discrezionalità amministrativa e poteri del giudice ordinario, cit., 7; Nel senso che «la situazione

sostanziale del concorrente non può collocarsi in una dimensione privatistica, in quanto il rapporto di

lavoro non si è ancora instaurato» in dottrina v. F. Macioce, Giurisdizione ordinaria o amministrativa:

procedure concorsuali, atti di organizzazione, controversie collettive, in Lav. pubbl. amm., 1999, 1081; nello stesso senso la giurisprudenza di merito v. Trib. Agrigento, 28 luglio 1999, in Lav. pubbl. amm.,

2000, 143 ss. con nota di L. Sgarbi, Le posizioni organizzative nei nuovi sistemi di inquadramento tra

conferimento d’incarico e svolgimento di mansioni superiori; Trib. Rimini, 13 luglio 2000, in Lav.

pubbl. amm., 6, 1128 con nota di M. Navilli, Concorsi e posti riservati, utilizzo di graduatoria vigente,

scorrimento e giurisdizione del giudice amministrativo, in Lav. pubbl. amm., 2000. 137 Cass. 26 settembre 1998, n. 9670, in Rep. Giur. it., 1998, n. 647; Cass. 10 marzo 1984, n. 1677,

ivi, 1984, n. 710; in dottrina sull'argomento v. O. Mazzotta, Enti economici e concorsi privati: alla

ricerca di una regola di diritto, in Id., Diritto del lavoro e diritto civile: i temi di un dialogo, Torino,

Giappichelli, 1994, 153 e in Riv. It. Dir. Lav., 1987, I, 188; C. Zoli, Gli obblighi a trattare nel sistema dei rapporti collettivi, Padova, 1992, 11. 138 E ove il bando di concorso «rappresenta nulla più che un atto di autonomia negoziale attraverso

cui il datore di lavoro (anche, come nel caso di specie, l'ente pubblico economico) esprime proprie

scelte organizzative» v. A. Bollani, Sui limiti alla libertà del datore di lavoro di determinare i criteri

selettivi nei bandi di concorso privati, in Riv. it. dir. lav., 1998, 4, 677 ss. 139 D. Borghesi, La giurisdizione, in F. Carinci, M. Persiani, Trattato di diritto del lavoro, cit., 9, datt.

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63

l'onnicomprensività della giurisdizione ordinaria, come sarebbe stato auspicabile. Non

per questo, però, dalla lapidaria disposizione derogatoria alla generale giurisdizione

ordinaria, di cui al comma 4 dell'art. 63, D.Lgs. n. 165/2001, può discendere a

contrario la “pubblicizzazione” degli atti concorsuali e la degradazione ad interessi

legittimi.

Da queste considerazioni, dovrebbe discendere una lettura delle norme in

questione il più aderente alla ratio della riforma, ovvero che il legislatore nel riservare

alla magistratura amministrativa la materia concorsuale ai sensi del comma 4, dell'art.

63 D.Lgs. n. 165/2001 abbia istituito una forma di giurisdizione esclusiva e non di

legittimità140

.

Tuttavia, l’interpretazione letterale dell'art. 63 in questione ha indotto a ritenere

che appartiene alla giurisdizione amministrativa tutta la fase preliminare che attiene

alla procedura concorsuale, dall’emanazione del bando fino all’approvazione della

graduatoria ed alla contestuale nomina dei vincitori e alla giurisdizione ordinaria tutta

la fase immediatamente successiva fino all’estinzione del rapporto di lavoro. La

soluzione, malgrado sul piano generale della individuazione del criterio di riparto di

giurisdizione – per materia141

o per situazioni soggettive lese142

– non ci sia ancora

unità di vedute, costituisce ad oggi l'orientamento maggioritario in dottrina e nella

140 Nel senso della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo M. G. Garofalo, Il

trasferimento di giurisdizione nel lavoro pubblico, cit., 515 ss.; D. Iaria, L’ambito oggettivo della

giurisdizione del giudice del lavoro e del giudice amministrativo dopo i decreti legislativi n. 80 e 387

del 1998, in Lav. pubbl. amm., 1999, 287; L. Torchia, Giudice amministrativo e pubblico impiego dopo

il D.Lgs. n. 80/1998, in Lav. pubbl. amm., 1998, 1060; G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai

rapporti di lavoro, cit., 1816. 141 F. Carinci, Privatizzazione del pubblico impiego e ripartizione della giurisdizione per materia

(breve storia di una scommessa perduta), cit., 1049; Id., La privatizzazione del pubblico impiego alla

prova del terzo Governo Berlusconi: dalla Legge 133/2008 alla Legge n. 15/2009, cit., 949; D.

Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit.,1231; E. A. Apicella, Della giurisdizione su

incarichi dirigenziali nelle amministrazioni pubbliche, cit., 2843. 142 S. Cassese, Il sofismo della privatizzazione del pubblico impiego, cit., 30 ss.

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giurisprudenza143

.

Ovviamente, essa è una conseguenza “vincolata” per chi ritiene operante il

criterio di riparto di giurisdizione per natura delle situazioni soggettive: la

giurisdizione amministrativa abbraccia le controversie relative alla fase concorsuale

vera e propria fino alla approvazione della graduatoria, dato che vi è l'interesse

legittimo di ciascun partecipante alla regolarità delle operazioni concorsuali; la

giurisdizione ordinaria interviene solo successivamente all'atto formale di

approvazione della graduatoria, quando sorge contestualmente il diritto soggettivo

all'assunzione.

Si tratta di una soluzione compromissoria - necessitata dall'impasse creata,

consapevolmente o meno dal legislatore - che, però, a sua volta, genera ulteriori e

complesse problematiche che si verificano quando ad esempio il candidato,

ingiustamente escluso dalla graduatoria, faccia valere il suo diritto all'assunzione,

impugnando contestualmente il bando di concorso e contestando l'assunzione del

candidato vincitore; o ancora al contenzioso, frequente nella pratica, fra soggetti

interessati all'assunzione per mobilità interna o esterna, materia certamente da

ricomprendere nell'ambito della giurisdizione ordinaria, e aspiranti al posto mediante

143 M. Clarich e D. Iaria, La riforma del pubblico impiego, cit., 576; F. Panariello, F. Giugliano, V.

Amirante, Sub art. 68, d.lgs. n. 29/1993, cit.,1454; O. Forlenza, G. Terracciano e I. Volpe, La riforma

del pubblico impiego, Il Sole 24 Ore, Milano, 1999, 144; M.G. Garofalo, Il trasferimento di

giurisdizione nel lavoro pubblico, cit., 514; F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, cit., 1039; P.

Matteini e V. Talamo, Il D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80: completamento della riforma del lavoro pubblico

in attuazione della delega contenuta nella legge n. 59/97, cit., 391; G. Trisorio Liuzzi, Controversie

relative ai rapporti di lavoro, cit., 1822; R. Tiscini, Commento all’art. 29 del D.Lgs.n. 80/98, cit., 316;

V. Tenore, Devoluzione al giudice ordinario del contenzioso sul pubblico impiego in G. Noviello, P.

Sordi, E. A. Apicella e V. Tenore (a cura di), Le nuove controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, Giuffrè, Milano, 2001, 31; M. Navilli, Graduatorie concorsuali nel pubblico

impiego: giurisdizione, diritto degli idonei allo scorrimento e derogabilità della contrattazione

collettiva, cit., 686; M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro,cit., 171. In giurisprudenza v. Cass.,

sez. un, 26 febbraio 2010, n. 4648, in CD Rom Utet; Cass., sez. un., 23 aprile 2008, n. 10459, ivi;

Cass., sez. un., 13 luglio 2001, n. 9540, in Giust. civ., 2002, I, 785; Cass., Sez. un. 26 giugno 2002, n.

9332, in Giust. civ. Mass., 2002, 1102.

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una nuova procedura concorsuale, in cui i primi impugnano l'illegittimità del nuovo

bando concorsuale, deducendo il loro prioritario diritto all'assunzione.

Secondo l'impostazione descritta i rapporti tra le due giurisdizioni coinvolte,

stante il divieto di sospensione, dovrebbero risolversi o attraverso il meccanismo della

disapplicazione da parte del giudice ordinario degli atti concorsuali o mediante un

coordinamento tra la decisione amministrativa sul concorso e quella ordinaria

sull'assunzione.

Le soluzioni sono però entrambe criticabili: la prima infatti è smentita dalla

espressa attribuzione al giudice amministrativo delle controversie relative alle

procedure concorsuali che, dunque, non potrebbero essere conosciute dal giudice

ordinario, neppure ai fini della disapplicazione; la seconda, invece, perché possa

evitarsi il contrasto di giudicati, necessita dell'operatività della sospensione144.

I fautori della prima alternativa, che realmente consentirebbe di concentrare in

un unico giudizio la controversia, come sarebbe concretamente opportuno, ritengono

difficilmente superabile il divieto di pregiudizialità amministrativa stabilito al comma

1 dell'art. 63, e giustificano, invece, la riserva a favore del giudice amministrativo

delle controversie in materia di procedura concorsuale con la “naturale”

inconfigurabilità di situazioni di diritto soggettivo145

.

Se, invece, si aderisce alla tesi della natura privatistica e gestionale della

procedura concorsuale, e quindi della esclusività della giurisdizione amministrativa in

materia, non si può escludere che il giudice ordinario, cui si chieda l'accertamento del

diritto all'assunzione, il quale dovrebbe ricadere certamente nell'ambito della sua

144 Cfr. D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit. 145 D. Iaria, L’ambito oggettivo della giurisdizione del giudice del lavoro e del giudice

amministrativo dopo i decreti legislativi n. 80 e 387 del 1998, cit., 287.

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giurisdizione, ricorra alla sospensione del giudizio, in attesa della decisione

sull'impugnazione del bando. Il giudice ordinario non può infatti disapplicare atti che

sono stati devoluti alla cognizione del giudice amministrativo, se non a costo di

rendere la riserva di giurisdizione praticamente inesistente e la relativa norma

passibile di elusione; la non operatività del meccanismo della sospensione è, inoltre,

prevista solo in relazione agli atti amministrativi e non anche in relazione a quelli

privatistici.

Lo spartiacque dell'approvazione della graduatoria, con contestuale nomina dei

vincitori, anziché rappresentare il momento in cui gli interessi legittimi si trasformano

in diritti soggettivi, potrebbe essere identificato, invece, come il punto in cui trova

fine la vera e propria procedura concorsuale e, conseguentemente, la giurisdizione

esclusiva del giudice amministrativo fino a quel momento esplicantesi, per espressa

volontà legislativa, su atti sostanzialmente privatistici.

In sintesi, dunque, se rimane ferma la premessa della natura privatistica delle

procedure concorsuali, la giurisdizione del giudice amministrativo in materia sarà di

tipo esclusivo. Alla sua cognizione sarà certamente devoluta la controversia relativa

all'impugnazione da parte dell'aspirante dipendente del bando e della procedura tutta

fino all'approvazione della graduatoria, momento in cui cessa la materia devoluta alla

sua giurisdizione. Tutte le controversie relative all'assunzione, configurabili dal

momento dell'approvazione della graduatoria in poi, sono devolute al giudice

ordinario ai sensi del comma 1, dell'art. 63 D. Lgs. n. 165/2001. Qualora l'aspirante

dipendente, successivamente all'approvazione della graduatoria, faccia valere il suo

diritto all'assunzione, certamente appartenente alla giurisdizione ordinaria, ed impugni

contestualmente il bando di concorso o deduca l'illegittimità di altro momento della

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procedura selettiva, il giudice del lavoro dovrebbe provvedere a sospendere il

processo in attesa della definizione di quello amministrativo. Detto in altri termini,

nell'ambito della materia delle procedure concorsuali per l'assunzione non dovrebbero

operare né il divieto di sospensione né il meccanismo della disapplicazione; si tratta di

strumenti che il legislatore avrebbe aggiunto all'armamentario del giudice ordinario

solo in relazione a tutte le altre materie devolute alla sua cognizione.

2.3 La disapplicazione dell’atto amministrativo presupposto e la

pregiudizialità amministrativa

La tesi della non esclusività della giurisdizione ordinaria nell'ambito delle

controversie relative al pubblico impiego privatizzato trova una conferma implicita

nell'attribuzione al giudice ordinario del potere di disapplicare l'eventuale atto

amministrativo presupposto illegittimo, quando esso sia rilevante ai fini della

decisione, e nell'ulteriore statuizione, contenuta nel comma 1, dell'art. 63 D.Lgs. n.

165/2001, secondo cui «l'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto

amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo».

Pur preoccupandosi di assicurare la materia della gestione del rapporto di lavoro

e della cosiddetta “micro-organizzazione” alla sfera privatistica, il legislatore della

riforma, come già anticipato, non ha portato a compimento la privatizzazione e

l’intera devoluzione della materia del pubblico impiego al giudice ordinario, così

come sarebbe stato auspicabile146

, relegando alla sfera pubblicistica la materia della

146 D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 30.

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cosiddetta “alta o macro-organizzazione” comprendente la definizione delle linee

fondamentali di organizzazione degli uffici, l'individuazione degli uffici di maggiore

rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi e la determinazione

delle dotazioni organiche complessive. Non ha, conseguentemente, optato, per un

sistema giurisdizionale unico in cui il giudice ordinario possa emanare provvedimenti

con effetti demolitori sugli atti amministrativi di macro-organizzazione.

La soluzione che è sembrata la più conforme al nuovo assetto, ancora per certi

versi “ibrido” del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, nonché quella più adeguata

per assicurare al dipendente pubblico una tutela piena ed efficace, è stata allora

rintracciata nella espressa possibilità per il giudice ordinario, investito della

controversia sul rapporto di lavoro, di disapplicare l’atto amministrativo presupposto,

se rilevante ai fini della decisione.

Il giudice ordinario può, infatti, adottare tutti i «provvedimenti di accertamento,

costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati» con effetti di

giudicato nei confronti degli atti privatistici e, allo stesso tempo, disapplicare gli atti

amministrativi illegittimi, attraverso una cognizione in via incidentale, destinata cioè

a non trovare mai l’autorità di res iudicata. Quindi, se ne accerta la non conformità

alla legge lo considera tamquam non esset e deciderà la causa senza tenerlo in

considerazione.

La disposizione, come è stato correttamente osservato, non introduce un

principio nuovo nel nostro ordinamento, ricalcando espressamente l'art. 5

dell'allegato E della Legge n. 2248 del 1865 sull'abolizione del contenzioso

amministrativo, tanto che identica soluzione era stata già prospettata nella vigenza

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69

della prima fase della privatizzazione147

.

Può, infatti, senza dubbio, convenirsi sul fatto che si è assistito ad una semplice

reintroduzione di una regola generale così risalente, tal che l’espressa previsione

potrebbe in astratto considerarsi superflua, a meno che non le si attribuisca il pregio di

aver ripristinato ciò che non trovava più applicazione da tanti anni148

.

Il riconoscimento espresso della possibilità di conoscere incidenter tantum degli

atti amministrativi, invero, se si tiene presente quanto già precedentemente esposto,

potrebbe essere la naturale conseguenza dell’insussistenza di atti amministrativi che

possano incidere direttamente sul rapporto di lavoro149

.

In sostanza, può dirsi che non ci sono atti a rilevanza pubblicistica direttamente

incidenti sul rapporto di lavoro150

che il giudice ordinario può annullare e in questo

senso la disapplicazione non costituisce una limitazione alla sua cognizione. Sarebbe

stato superfluo, dunque, consentire al giudice ordinario di conoscere i provvedimenti

amministrativi a tutti gli effetti cosicché il legislatore ha solamente, ma

sufficientemente, previsto che egli possa estendere la propria cognizione su di essi per

quanto riguarda il profilo di legittimità.

Per ciò che riguarda la contemporanea pendenza del giudizio amministrativo,

come già detto, l’art. 63 D.Lgs. 165/2001 dispone che “l'impugnazione davanti al

147 D. Borghesi, La giurisdizione, cit., 1134. 148 M. G. Garofalo, Il trasferimento di giurisdizione nel lavoro pubblico, cit., 500 ss. 149 D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 31; A. Corpaci, La

giurisdizione dopo la seconda fase della riforma: novità e prima applicazione, cit., 1058; Per A.

Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit., 84 il potere di disapplicazione dell'atto amministrativo è, invece, il segno evidente che la privatizzazione del

pubblico impiego non «non fa venire meno le situazioni di interesse legittimo del dipendente». 150 Per A. Travi, La giurisdizione civile nelle controversie di lavoro dei dipendenti delle pubbliche

amministrazioni, in Dir. proc. amm., 2000, 305, questo è il presupposto essenziale su cui si basa il

potere di disapplicazione del giudice ordinario e l'obbligo di non sospendere il processo in caso di

contemporanea pendenza del giudizio amministrativo.

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giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non è

causa di sospensione del processo”.

Il problema della contemporanea pendenza dei due giudizi si era già proposto

nelle forme di un acceso dibattito nel sistema precedente la novella di cui al D.Lgs. n.

80/98.

Secondo una prima ricostruzione dottrinale151

, il giudice ordinario era tenuto a

disporre la sospensione del processo ex art. 295 Cod. Proc. Civ., attendendo la

definizione del giudizio amministrativo, cui poi uniformarsi.

La seconda soluzione, in applicazione di una più generale regola valida per i

rapporti tra processo civile e amministrativo, prospettava la possibilità per il giudice

civile, in pendenza di un giudizio amministrativo sull’atto, di decidere la controversia,

disapplicando, se illegittimo, l’atto amministrativo presupposto152

.

Il legislatore della seconda privatizzazione, supportato dalla giurisprudenza

prevalente153

, ha inteso ribadire il divieto di sospensione, neutralizzando, di fatto, il

sistema della pregiudizialità amministrativa.

Nell'ottica del legislatore, dunque, in astratto, i due processi devono proseguire

autonomi e separati dato che l’esito del giudizio d’impugnazione dell’atto

amministrativo, davanti al giudice amministrativo, non può mai pregiudicare il diritto

di cui si chiede la tutela davanti al giudice ordinario154

.

A riguardo è, però, opportuno chiedersi quando effettivamente possa operare il

151 Sostenuta da A. Corpaci, La tutela giurisdizionale dei pubblici dipendenti, in Dir. lav. rel. ind.,

1993, n. 59, 623. 152 D. Borghesi, La giurisdizione in F. Carinci, M. D’Antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze

delle amministrazioni pubbliche, 1995, cit., 1135; nello stesso senso ma con differenti risvolti A.

Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit., 102. 153 V. Cass. 10 aprile 1990, n. 3019, in Rep. Foro it., 1990, voce Sanità pubblica, n. 252.; Cass. 3

marzo 1992, n. 2568, in Rep. Foro it., 1992, voce Lavoro ( collocamento), n. 76. 154 G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di lavoro, cit., 1824.

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divieto di sospensione del giudizio ordinario ovvero, detto in altri termini, quando

possa profilarsi una posizione del dipendente, qualificabile come interesse legittimo,

sì da poter o dover155

proporre anche l’impugnazione innanzi al giudice

amministrativo.

La dottrina e la giurisprudenza, pur partendo dal comune assunto della non

necessarietà della sospensione del processo ex art. 295 Cod. Proc. Civ., si attestano su

posizioni discordanti. Secondo una prima ricostruzione156

, il sistema configurato dal

legislatore può ancora far insorgere situazioni di “doppia tutela”, essendo ben

possibile che vi sia la contemporanea instaurazione di due giudizi, uno innanzi al

giudice amministrativo avverso l'atto di macro-organizzazione e l'altro, innanzi al

giudice ordinario, per la tutela del diritto vantato nell'ambito del rapporto di lavoro. Il

sistema della tutela binaria, sebbene fondato sul principio della effettività della tutela

ex art. 24 Cost., porrebbe, però, non pochi problemi di ordine sistematico e pratico. Ci

si chiede cosa accada quando, ad esempio, il giudice ordinario disapplichi l’atto

presupposto prima che riesca a pronunciarsi il giudice amministrativo157

o, ancora, nel

155 E’ stato rilevato che l’impugnazione dell’atto amministrativo sia necessaria per impedire il

consolidamento dell’atto stesso v. A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia

di pubblico impiego, cit., 100. 156 A. N. Filardo, Alcune riflessioni su aspetti problematici del passaggio della giurisdizione al giudice ordinario in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in Giust.

Civ.,1999, II, 33; F. Panariello, F. Giugliano, V. Amirante, Sub art. 68, D.Lgs. n. 29/1993, in M.

Rusciano, A. Corpaci, L. Zoppoli (a cura di), La riforma dell’organizzazione dei rapporti di lavoro e

del processo nelle amministrazioni pubbliche. Commentario, in Nuove Leggi civ. Comm., 1999, 1442;

R. Tiscini, Commento all’art. 29, D.Lgs. n. 80 del 1998, in M. Dell’Olio, B. Sassani (a cura di),

Amministrazioni pubbliche, lavoro, processo, Commento ai D.Lgs. n. 80 e 387 del 1998, Giuffrè,

Milano, 2000, 328; M. Tatarelli, La tutela della professionalità nel lavoro pubblico contrattualizzato,

in Mass. Giur. Lav., 2003, 1-2, 78. In giurisprudenza v. Tar Napoli Campania, Sez. V, 18 dicembre

2003, n. 15454, in Foro amm. Tar, 2003, 3602; Tar Napoli Campania, Sez. V, 22 ottobre 2003, n. 13054, in Giust. Civ., 2004, I, 1851; Cass., sez. lav., 5 marzo 2003, n. 3252, in Lav. pubbl. amm., 2003,

3-4, 0608, con nota di R. Bocci, La doppia tutela nei casi di atti amministrativi presupposti e diritti

soggettivi ed i poteri del giudice ordinario. L'inesistenza del diritto soggettivo allo scorrimento della

graduatoria in comune. 157 Una volta che il giudice civile abbia deciso sulla violazione del diritto disapplicando l’atto

organizzativo in quanto illegittimo, il successivo annullamento (necessario) dell’atto si pone quale

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caso in cui il giudice amministrativo dichiari la legittimità dell’atto e successivamente

il giudice ordinario lo ritenga illegittimo ai fini della disapplicazione158

.

Il secondo filone dottrinale consente, invece, di superare i problemi di ordine

pratico e, interpretando l’art. 63 in armonia con il sistema, esclude, anche sulla base

della struttura della norma de quo159

, la duplicità delle azioni ed ammette il ricorso

all’autorità giurisdizionale amministrativa del solo terzo estraneo al rapporto di

lavoro, titolare di una situazione giuridica legittimante160

.

L’assunto di ordine processuale ha un chiaro presupposto di natura sostanziale

secondo cui non esistono interessi legittimi che consentano al dipendente di

impugnare gli atti macro-organizzativi innanzi al giudice amministrativo161

.

Il concetto è autorevolmente espresso da Borghesi come segue: «ben

difficilmente il mantenimento in vita dell’atto amministrativo costituirà una fonte di

modalità e forma dell’esecuzione del decisum civile, alla quale la p.a. dovrà conformarsi op

spontaneamente o forzatamente per la via del giudizio di ottemperanza, così R. Tiscini, Commento

all’art. 29, D.Lgs. n. 80 del 1998, cit., 330. 158 Generalmente dovrebbe ammettersi la possibilità per il giudice ordinario di disapplicare l’atto; Contra Cass. 27 marzo 1997, n. 2721, in Mass. Giust. Civ., 1997, 475 “secondo cui il giudice ordinario

non può disapplicare un atto della P.A., quando la sua legittimità, sia stata affermata dal giudice

amministrativo nel contraddittorio della parte e con autorità di giudicato”. Se così fosse, però,

bisognerebbe precisare che la pronuncia di rigetto della domanda di dichiarativa dell’illegittimità, e

quindi il giudicato amministrativo, copra solamente i vizi dedotti nell’impugnativa innanzi al giudice

amministrativo e non eventuali altri vizi non dedotti davanti sui quali non viene meno il potere di

disapplicazione del giudice ordinario. 159 B. Caruso, intervento alla Conferenza “Il giudice del lavoro ed il pubblico impiego”, Siracusa, 23 gennaio 1999, in www.diritto.it. 160 D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 33; L. Torchia, Giudice

amministrativo e pubblico impiego dopo il D.Lgs. 80/98, cit., 1061; M. D’Antona, Contratto collettivo,

sindacati e processo del lavoro dopo la seconda privatizzazione del pubblico impiego .Osservazioni sui

D.Lgs. n. 396/1997, n. 80/1998 e n. 387/1998), cit., 629; contra A. Pozzi, Lavoratori pubblici e

giurisdizione esclusiva tra principi costituzionali e effettività di tutela, in Lav. pubbl. amm., 2007, 3-4,

595 ss., che definisce «sconcertante» ritenere carente di interesse il lavoratore che intenda impugnare al

TAR. l'atto di macro-organizzazione. 161 D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 32; A. Corpaci, La giurisdizione dopo la seconda fase della riforma: novità e prima applicazione, cit., 1058; L. De

Angelis, La giurisdizione nelle controversie dei dipendenti di pubbliche amministrazioni tra interessi

legittimi (di diritto privato), pubblici servizi, regime transitorio, in Lav. pubbl. amm., 2000, 307; A.

Garilli, Il riparto di giurisdizione tra organizzazione amministrativa e rapporto di lavoro, in Lav.

pubbl. amm., 2000, 726 ss.; F. Carinci, Le fonti della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze

delle pubbliche amministrazioni, in Arg. dir. lav., 2000, 55.

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pregiudizio per il dipendente che … non è soggetto agli effetti diretti dell’atto

amministrativo e che ha già ottenuto dal giudice ordinario, nei limiti e con gli

strumenti della tutela che gli è propria, la rimozione degli effetti degli atti (privatistici)

lesivi del suo diritto, che potranno anche essere la mera applicazione di quelli che

sono espressione della potestà organizzativa dell’ente, ma che con questi non possono

essere confusi»162

.

D'altra parte è stato lo stesso giudice amministrativo, già negli anni della prima

privatizzazione, a negare la legittimazione ad impugnare un atto amministrativo del

dipendente pubblico, qualificando la posizione del pubblico dipendente in termini di

"interesse di mero fatto"163

.

Innanzi a tali atti, la posizione del dipendente, infatti, non è diversa

dall’interesse di qualsiasi cittadino a che l’amministrazione operi correttamente e

nella legalità. E a nulla vale obiettare che in questo modo i poteri

dell’amministrazione risultano insindacabili da parte dei lavoratori, i quali, anzi,

dovrebbero avere maggior interesse, rispetto al terzo, al corretto funzionamento della

pubblica amministrazione164

. Poiché, se è vero che tale interesse del lavoratore sia

162 D. Borghesi, La giurisdizione, cit., 1137. 163

V. A. Corpaci, La giurisdizione dopo la seconda fase della riforma: novità e prima applicazione,

cit. che riporta alla nota 10 «Così T.A.R. Toscana, sez. II, 17.7.1989, n. 722, in TAR, 1989, I, 3579,

secondo cui le mere aspettative relative a sviluppi di carriera non hanno tutela a fronte della potestà

organizzatoria della p.a. (diversamente Cons. giust. Amm., 2.3.1989, n. 51, in Foro Amm., 1995, 572);

Cons. Stato, sez. IV, 6.3.1995, n. 159, ivi, 1995, 572, secondo cui ogni p.a. dispone di un'ampia libertà

di apprezzamento nel momento in cui determinino, in generale, le posizioni di lavoro necessarie per il

funzionamento delle proprie strutture operative e, nei confronti delle predette scelte, i dipendenti sono

titolari di un interesse di mero fatto; Cons. Stato, sez. IV, 25.2.1994, n. 175, ivi, 1994, 380, secondo cui

nei confronti dell'ampliamento della pianta organica, essendo tale atto finalizzato non già ad un migliore e più articolato sviluppo delle carriere del personale, bensì solo a precostituire le condizioni

perché l'ente possa meglio svolgere le proprie funzioni, i dipendenti non sono legittimati a proporre

impugnazione». 164 D. Iaria, L’ambito oggettivo della giurisdizione del giudice del lavoro e del giudice

amministrativo dopo i decreti legislativi n. 80 e 387 del 1998, cit., 298; F. Panariello, F. Giugliano, V.

Amirante, Sub art. 68, D.Lgs. n. 29/1993, cit., 1448; A. N. Filardo, Alcune riflessioni su aspetti

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maggiore e “qualificato” in virtù dell’esistenza del rapporto di lavoro, la giurisdizione

dovrebbe a fortiori appartenere al giudice ordinario, in aderenza al dato positivo che

depone per la concentrazione della tutela del dipendente pubblico innanzi ad esso.

Parte della dottrina da ultimo citata, spingendosi ben oltre, ritiene che anche

qualora possa in qualche modo parlarsi di interessi legittimi del dipendente165

, la

tutela di essi resterebbe assorbita da quella concessa dall’ordinamento contro l’atto di

gestione166

e quindi innanzi al giudice ordinario attraverso il meccanismo della

disapplicazione. Ciò che conta è che il dipendente trovi nel sistema offerto dal

legislatore adeguata tutela ex art. 24. Cost. e che la sua posizione non sia lesa

dall’eventualità che un atto amministrativo presupposto sia ancora esistente e

consolidato. Diversamente argomentando si finirebbe per ammettere che la pronuncia

del giudice ordinario rimanga, senza il previo annullamento dell’atto presupposto, un

flatus vocis, come ad esempio nel caso in cui il lavoratore non possa essere reintegrato

perché un atto amministrativo ha eliminato quel posto di lavoro nella pianta

organica167

. Si finirebbe, occorre sottolinearlo, per ammettere implicitamente che

anche nel sistema del lavoro privato la soppressione del posto impedisca la

reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato. A riguardo è doveroso

ricordare una singolare pronuncia della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, che ha

problematici del passaggio di giurisdizione al giudice del lavoro in materia di lavoro alle dipendenze

delle pubbliche amministrazioni, cit., 329; R. Tiscini, Commento all’art. 29, D.Lgs. n. 80 del 1998, cit.,

481. 165 In questo senso e per la configurabilità di un autonoma possibilità di impugnazione innanzi al

giudice amministrativo A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico

impiego, cit., 102; G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di lavoro, cit., 1819; B. Sassani,

Il passaggio alla giurisdizione ordinaria del contenzioso sul pubblico impiego: poteri del giudice, esecuzione della sentenza, comportamento antisindacale,contratti collettivi in Cassazione, cit., 844; R.

Vianello, Gli interessi legittimi nel pubblico impiego privatizzato, cit., 844; P. Sordi, I poteri del

giudice ordinario nelle controversie di pubblico impiego, in Corr. Giur., 1999, 508 ss. 166 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1232. 167 Così S. Menchini, La tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi nel pubblico impiego

privatizzato, in Riv. Dir. Proc., 2002, 442.

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cercato, con affermazioni più di principio che con soluzioni di ordine pratico, di

ridurre lo spazio di intervento del giudice amministrativo168

. Si ammette che dallo

"sdoppiamento" di attribuzione tra giudice del provvedimento e giudice dell'atto di

gestione, emergono profili problematici quanto all'ambito di protezione riservato al

dirigente (ma anche a qualsiasi dipendente pubblico), stante la portata lesiva che nei

suoi confronti può assumere un atto generale di organizzazione, sia ex sé, sia in

quanto presupposto illegittimo per l'assunzione di un atto paritetico.

Tuttavia, non potendo spingersi oltre, la Corte riconosce che nei pochi casi,

circoscritti negli angusti limiti di cui all’art. 2, comma 1, D.Lgs. 165/2001, in cui un

atto amministrativo di auto-organizzazione possa essere solo astrattamente

considerato come immediatamente e direttamente lesivo degli interessi dell'impiegato

pubblico - avendo in realtà, come qui si crede, solo un efficacia indiretta o riflessa sul

rapporto di lavoro - può aversi spazio per l’annullamento dell’atto innanzi al giudice

amministrativo. Negli altri casi, certamente più frequenti, ove l’atto privatistico di

gestione del rapporto di lavoro costituirebbe una “mera applicazione dell’atto di

autorganizzazione”, non solo non si può negare la giurisdizione ordinaria e la

possibilità della disapplicazione dell’atto, ma si deve ritenere che non sia consentito

«al titolare del diritto soggettivo, che risente degli effetti di un atto amministrativo, di

scegliere di rivolgersi al giudice amministrativo per l'annullamento dell'atto, oppure al

giudice ordinario per la tutela del rapporto di lavoro previa disapplicazione dell'atto

presupposto»169

, essendo certamente la seconda assorbente rispetto alla prima.

168 Cass., sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3677, in Guida al diritto, 2009, 14, 30 con nota di P.

Pirruccio, Il termine di scadenza del successivo contratto rimane ancorato all'accordo originario. 169 Il principio era già stato affermato in Cass., sez. un., 5 giugno 2006, n. 13169, in Giust. Civ.,

2006, 12, 2951.

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La decisione, qui riassunta, invero, traccia un confine alquanto labile tra le due

possibilità di tutela e contempla, come ben è stato evidenziato, tale eventualità solo

con riferimento alle modifiche della pianta organica170

che è certamente uno dei casi

più frequenti, ma non il solo.

Ciò nonostante, essa mostra, con tutta evidenza, importanti aperture nel solco

della onnicomprensività della giurisdizione ordinaria, soprattutto laddove ritiene

"insito nel sistema" che il provvedimento di macro-organizzazione, anche se non

sottoposto ad annullamento ma, disapplicato dal giudice ordinario, non valga a

sorreggere l'atto di gestione consequenziale, comportando il pieno ripristino della

situazione precedente, non potendosi ipotizzare una disapplicazione "dimidiata",

ristretta alla riparazione in forma generica, cioè al solo risarcimento del danno171

.

Ben diversa è, invece, l'interpretazione giurisprudenziale, anche delle stesse

Sezioni Unite172

, quando vengono in questione controversie attinenti latu sensu a

procedure concorsuali. Lo spazio per la giurisdizione amministrativa che, come sopra

detto, subisce, o dovrebbe subire, una netta compressione, tende a riespandersi del

tutto quando l'interessato, dichiarato idoneo in un precedente concorso, contesti la

scelta dell'amministrazione, a seguito della determinazione della consistenza delle

dotazioni organiche di personale, di indire un nuovo concorso, anziché utilizzare la

graduatoria già precedentemente formata. Per la Cassazione, infatti, la situazione

descritta fa insorgere in capo al candidato idoneo di una posizione di interesse

170 Così correttamente R. Papania, Gli atti di organizzazione tra questioni di giurisdizione e esecuzione in forma specifica, in Foro amm. CDS, 2009, 4, 920. 171 In questa parte la sentenza smentisce, come era auspicabile, quella dottrina secondo cui la

disapplicazione dell’atto non sia sufficiente per disporre la reintegrazione in forma specifica (es. la

reintegrazione nel posto di lavoro) v. S. Menchini, La tutela dei diritti soggettivi e degli interessi

legittimi nel pubblico impiego privatizzato, cit., 442. 172 Cass., sez. un., 13 giugno 2011, n. 12895, in Red. Giust. civ. Mass., 2011, 6.

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legittimo e non di diritto soggettivo. L'argomentazione non è, ovviamente,

condivisibile.

Se si tiene presente quanto prima riferito in ordine alla configurabilità di una

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di procedure concorsuali

per l'assunzione, trattandosi di atti privatistici, al giudice ordinario potrebbe in astratto

competere di valutare gli atti del concorso. Tuttavia, se viene adito ai fini del

riconoscimento del diritto all'assunzione ed allo stesso tempo venga dedotta la

contestazione della scelta dell'amministrazione di indire un nuovo concorso, egli non

può conoscerne quest'ultima materia in via principale, avendo il legislatore optato per

la devoluzione al giudice amministrativo: se la decisione deve essere presa con

efficacia di giudicato o quando il giudice amministrativo è già stato investito della

relativa controversia egli può procedere alla sospensione per pregiudizialità173

.

Se ne deve dedurre, come già detto, che ove la controversia relativa

all'assunzione implichi il sindacato sulla legittimità degli atti concorsuali, nessun

potere di disapplicazione è consentito al giudice ordinario.174

173 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1226. 174 Così R. Vaccarella Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico

impiego e sull'arbitrato in materia del lavoro, in Arg. dir. Lav., 1998, 719; S. Evangelista, Pubblica

amministrazione e assunzioni: forme, conseguenze e mezzi di tutela, in Dir. & Giust., 2003, n. 12, 27; P.

Sordi, Il giudice ordinario e le procedure selettive e concorsuali nel lavoro pubblico, in Lav. pubbl.

amm., 2005, 295-296.

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2.4 Provvedimenti del giudice ordinario in funzione di giudice del

lavoro

Prima della seconda fase della privatizzazione, inaugurata con la legge delega n.

59 del 1997, non era chiaro quali provvedimenti potessero essere assunti dal giudice

ordinario nelle controversie di lavoro pubblico.

La dottrina offriva due soluzioni diverse: la prima, tenuto conto dei limiti posti

dall’art. 4 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo («…i Tribunali si

limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in

giudizio»), affermava l’impossibilità per il giudice ordinario di emanare

provvedimenti diversi da quelli di condanna ad un facere175

. I fautori della seconda

ammettevano, invece, che il giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro

potesse adottare nei confronti del datore di lavoro pubblico, tutti i provvedimenti con

effetti non solo dichiarativi, ma anche costitutivi, modificativi ed estintivi di un

rapporto giuridico176

.

Con l’intervento legislativo del 1998 quest’ultima interpretazione diviene norma

positiva, dal momento che l’attuale art. 63 D.Lgs.165/2001 (art. 68 D.Lgs. n. 80/1998)

dispone che «il giudice ordinario adotta, nei confronti delle pubbliche

amministrazioni, tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi o di condanna,

richiesti dalla natura dei diritti tutelati».

Il nodo centrale della disposizione è che al giudice ordinario competono tutti i

poteri propri del giudice del lavoro e che può adottare tutti i provvedimenti,

175 Così R. Pessi, Processo del lavoro e pubblico impiego: alcune riflessioni, in Mass. Giur. Lav.,

1993, 402. 176 D. Borghesi, La giurisdizione, cit., 1129.

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scegliendo, di volta in volta, quello che garantisce la tutela più adeguata al diritto leso.

A ben vedere, il principio era già insito nella devoluzione delle controversie al

giudice ordinario innanzi al quale non è necessaria nessuna opera di adattamento per

assicurare una tutela efficace come era avvenuto, invece, nell’ambito del giudizio

amministrativo177

; ciò nonostante, il legislatore ha voluto ribadire che i poteri di cui

dispone il giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione sono gli

stessi che ha nei confronti del datore di lavoro privato «senza limitazioni e senza

posizioni di privilegio»178

.

Il giudice ordinario può, quindi, emettere decisioni con effetti dichiarativi come

le sentenze di accertamento che riconoscono, ad esempio, il diritto all’assunzione, il

diritto alle ferie o al riposo, e così via, e potrà anche offrire una tutela di condanna.

Con riferimento a quest’ultima, egli non incontra limiti né in relazione al

contenuto del provvedimento, che potrà essere di condanna ad un facere o ad un non

facere dato che, al più, i problemi potranno sorgere nella fase dell’esecuzione forzata

e in ogni caso «una cosa è il tipo di provvedimento che il giudice può adottare, altra

cosa è la sua attitudine ad essere eseguito in forma specifica»179

né per quanto

riguarda la struttura del procedimento; non c’è alcun dubbio, infatti, circa

l’esperibilità innanzi al giudice ordinario di tutti i tipi di procedimenti speciali, purché

compatibili con il processo del lavoro, quali quelli di tipo ingiuntivo o, comunque, a

177 Si veda Corte cost. 23 aprile 1987, n. 146, in Foro it., 1987, I, p. 1349 che ha esteso alle

controversie relative al pubblico impiego sottoposte alla giurisdizione dei TAR e in relazione ai diritti

di natura patrimoniale i provvedimenti d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. e ha introdotto la possibilità, nelle controversie in cui siano coinvolti diritti soggettivi, che vengano ammessi i mezzi di prova (prova

testimoniale, consulenza tecnica e interrogatorio libero) previsti dal codice di procedura civile per il

processo del lavoro. 178 V. G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di lavoro, cit., 1827. 179 F. Buffa, La giurisdizione del giudice del lavoro: ambito, poteri e limiti, Relazione al Convegno

su “Pubblico impiego tra giurisdizione esclusiva e giurisdizione ordinaria”, Lecce, 12 dicembre 1998.

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cognizione sommaria.

Allo stesso modo non si può escludere, in ogni stato del giudizio, che il giudice

ordinario pronunci un'ordinanza di condanna al pagamento di una somma non

contestata ex art. 423, comma 1 Cod. Proc. Civ. o, sulla base del comma 2, al

pagamento di una somma a titolo provvisorio, quando ritenga il diritto accertato e nei

limiti della quantità per cui ritenga raggiunta la prova180

.

Stesse conclusioni per i provvedimenti cautelari, ad effetti anticipatori e ad

effetti conservativi, cui si applica la disciplina comune anche per quanto riguarda il

periculum in mora che deve sempre sussistere come presupposto, non potendosi

escludere sulla base della natura pubblica del datore di lavoro.

Per quanto riguarda la possibilità per il giudice ordinario di pronunciare

sentenze costitutive, cioè provvedimenti che incidono direttamente sull’atto o sul

comportamento della pubblica amministrazione lesivi del diritto del lavoratore, deve,

innanzitutto, escludersi che la previsione costituisca una deroga all’art. 4 della legge

20 marzo 1865, n. 2248, all. E, come sostenuto da una parte della dottrina181

, sia

perché, se si tratta di atti relativi al rapporto di lavoro ove la pubblica amministrazione

opera iure privatorum, sia perché la legge prevede, in presenza di atti amministrativi

presupposti, il potere di disapplicarli.

L’unico limite da ritenere esistente è quello per cui gli atti in questione siano

relativi al rapporto di lavoro – dovendo ritenersi escluso che la pronuncia costitutiva

180 V. G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di lavoro, cit., 1829; A. Vallebona,

Provvedimenti del giudice ed esecuzione nelle controversie di lavoro pubblico, in Arg. dir. lav., 2000, 220. Contra nel senso che si supererebbero i limiti di cui alle legge sul contenzioso amministrativo R.

Vaccarella, Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico impiego e

sull’arbitrato in materia di lavoro, in Arg. dir. lav, 1998, 721. 181 P. Matteini, V. Talamo, Il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80: il completamento della riforma del lavoro

pubblico in attuazione della delega contenuta nella legge n. 59/1997. Prime analisi, in Lav. pubb.

amm., 1998, 391.

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possa annullare gli atti amministrativi - oltre al limite generale di cui all’art. 2908

Cod. Civ.; quest’ultimo è, invero, alquanto discusso, dato che l’art. 63 nel citare le

sentenze costitutive con quelle di accertamento e di condanna sembra riferire a tutti i

tipi di provvedimento l’unico limite della “natura del diritto tutelato”, con la logica

conseguenza del superamento dei limiti posti dall’art. 2908 Cod. Civ.182

In questo senso, allora, l’ulteriore inciso presente nella norma, secondo cui le

«sentenze con le quali [il giudice] riconosce il diritto all'assunzione, ovvero accerta

che l'assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno

anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro» potrebbe

ritenersi superfluo non essendovi dubbio che tali pronunce siano necessarie per dare

effettiva tutela al diritto all’assunzione183

. Eppure, essa è stata veramente utile poiché,

contribuendo a rimuovere timori (e pregiudizi) che da sempre accompagnano il

rapporto tra sindacato del giudice ordinario e attività della pubblica amministrazione,

ha consentito di superare il contrasto dottrinale sulla possibilità di costituire il

rapporto di lavoro pubblico mediante sentenza del giudice184

.

Il vero aspetto problematico della previsione in parola è, però, l’individuazione

dei casi in cui il rapporto di lavoro possa essere costituito iussu iudicis o, detto in altri

termini, quando possa sorgere un diritto all’assunzione del lavoratore cui corrisponda

l’obbligo per la pubblica amministrazione di provvedere all’assunzione.

Com’è noto, nell’ambito del lavoro privato, il giudice può rimediare alla

illegittima risoluzione del rapporto di lavoro mediante l’istituto della reintegrazione,

182 Così B. Sassani, Il passaggio alla giurisdizione ordinaria del contenzioso sul pubblico

impiego:poteri del giudice, esecuzione della sentenza, comportamento antisindacale,contratti collettivi

in Cassazione, cit., 9 ss. 183 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1237. 184 Cass. 2 novembre 1991, n. 11660, in Giust. civ., 1992, I, 2431.

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ma non è disciplinata l’ipotesi, tipica del lavoro pubblico, in cui colui che “aspiri” a

diventare dipendente185

, come può avvenire a seguito della partecipazione ad un

concorso pubblico, maturi un diritto all’assunzione non rispettato dal datore, o quella

inversa di assunzione illegittima, perché effettuata senza il rispetto delle norme

procedurali e sostanziali.

Ovviamente, bisogna precisare che i due casi possono anche presentarsi

congiuntamente quando un soggetto, senza averne titolo, occupi il posto di lavoro di

altro soggetto avente diritto; casi in cui, peraltro, vertendo il giudizio su un rapporto

sostanziale plurilaterale, non può che postularsi la necessità del litisconsorzio ai sensi

dell’art. 102, comma 2, Cod. Proc. Civ., ogni qual volta la pronuncia su di esso non

possa essere efficace, neppure tra i partecipanti al giudizio, se non in quanto resa nei

confronti di tutti i soggetti186

. La pronuncia del giudice avrà ad oggetto, dunque, un

unico diritto all’assunzione nei confronti di più parti che aspirano ad esserne titolari e

ha effetto costitutivo ed estintivo riferiti rispettivamente al diritto all’assunzione e

all’assunzione illegittima187

.

Nell’ambito del lavoro pubblico privatizzato, il diritto all’assunzione, come

diritto a che venga costituito il rapporto di lavoro, può venire in rilievo, ed è questa

l’ipotesi più controversa, quando, esaurita la procedura concorsuale, si giunga

all’approvazione della graduatoria. Il riconoscimento di un tale diritto, che nella fase

antecedente alla privatizzazione, era stato negato dalla prevalente giurisprudenza del

185 Lo esclude la giurisprudenza maggioritaria ex multis v. Cass., 16 maggio 1998, n. 4953, in Orient.

Giur. Lav, 1998, 311. 186 C. Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, I, Giappichelli, Torino, 2005, 334. D. Borghesi,

La giurisdizione del giudice ordinario, cit, 1235. 187 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit, 1235.

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Consiglio di Stato188

, è ancora dubbio in dottrina e in giurisprudenza.

Potrebbe rilevarsi, prima facie, che un riconoscimento in tal senso esporrebbe

ad una divergenza di disciplina tra pubblico e privato non facilmente giustificabile sul

piano sistematico, tanto da indurre a riconoscere unicamente valore processuale al

comma 2 dell’art. 63 D.Lgs. n. 165/2001 che, nulla aggiungendo in termini di pretese

azionabili, autorizza semplicemente il giudice a pronunciare nei confronti del datore

pubblico anche sentenze costitutive, con la conseguenza che il riferimento al diritto

all'assunzione ed alle sentenze costitutive del rapporto di lavoro contenuto nell'art. 63

deve leggersi quale elemento avente «mera portata ricognitiva di fattispecie giuridiche

già rinvenibili nell'attuale ordinamento giuridico»189

.

Tuttavia è innegabile, e in questo senso la disparità di trattamento potrebbe

giustificarsi, che nel caso dell’impiego pubblico, e diversamente dal lavoro privato

ove è quasi inesistente, la procedura concorsuale rappresenta lo strumento di selezione

obbligatorio e necessario ex art. 97 Cost. rispettivamente per l’aspirante per l'accesso

al lavoro e per la pubblica amministrazione per il reclutamento.

In ossequio alle regole privatistiche trasposte nel rapporto di lavoro pubblico,

dovrebbe ritenersi che un diritto all’assunzione dell’aspirante possa sorgere solo

quando l’amministrazione abbia formulato una proposta diretta alla conclusione di un

accordo preliminare all’assunzione; solo in questi casi, e non anche quando manchi la

proposta, l’avente diritto può, contro l’inerzia della pubblica amministrazione,

188 Con riferimento al vincitore di concorso per la copertura di un posto v. Cons. Stato 9 marzo 1995, n. 315, in Consiglio di Stato, 1995, I, 349 e Cons. Stato 23 aprile 1998, n. 478, in Consiglio di Stato,

1998, I, 617. 189 Così L. Zappalà, Le trasformazioni del lavoro pubblico nel prisma delle politiche di reclutamento.

Il caso del “diritto all’assunzione”, in Lav. Pubbl. amm., 2000, 284 ss. richiamata da R. Vianello,

Pubblico impiego privatizzato e posizioni giuridiche transgeniche, in Lav. pubbl. amm., 2000, 5, 923,

nota a Trib. Pordenone, 8-20 marzo 2000.

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attivarsi e richiedere una pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro ed,

eventualmente, l’annullamento di quello del soggetto che non ne abbia titolo190

.

Tale regola è valida sia nel caso di assunzione diretta (ad esempio i soggetti

inseriti in una graduatoria da utilizzare nei casi di posti scoperti in organico) sia nel

caso di assunzione previo espletamento di una procedura concorsuale quando, a

seguito della proclamazione del vincitore, deve essere emanato un atto negoziale

valido come proposta contrattuale della pubblica amministrazione191

.

In altre parole, il vincitore del concorso può agire innanzi al giudice ordinario

soltanto se l’amministrazione abbia preventivamente formulato una proposta

contrattuale a chi risulta essere il primo in graduatoria che ha il pregio di far nascere

un vero e proprio diritto all’assunzione azionabile innanzi al giudice ordinario192

.

Ovviamente tale diritto deve ritenersi configurabile anche quando la pubblica

amministrazione prima dell’espletamento della procedura concorsuale, formuli

proposte negoziali dirette all’assunzione.

A riguardo è bene rilevare che la maggior parte dei bandi, se non tutti, delinea

con estrema precisione il contenuto essenziale delle obbligazioni reciproche del futuro

contratto di lavoro, individuando la posizione da ricoprire, il trattamento retributivo e,

addirittura, l'invito alla stipula del contratto definitivo di lavoro.

L’opinione generalmente condivisibile, anche per tali motivi, è che il lavoratore

pubblico, in quanto selezionato per concorso, abbia il vantaggio d'avere un vero e

190 D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 40; L. Zappalà, Le trasformazioni del lavoro pubblico nel prisma delle politiche di reclutamento. Il caso del “diritto

all’assunzione”, cit., 291 ss., nota che in questi casi dovrebbe chiedersi una sentenza di accertamento e

non costitutiva. 191 Così O. Forlenza, Sui concorsi decide il giudice amministrativo, in Guida al diritto, 2005,

Dossier, 5, 121. 192 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1236.

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proprio diritto soggettivo, dal momento dell’approvazione della graduatoria, al posto

di lavoro che, per mezzo del bando, la pubblica amministrazione ha definitivamente

dichiarato disponibile193

. La fonte di tale diritto è poi individuata ora nella figura del

contratto preliminare, che verrebbe ad esistenza all’atto di approvazione della

graduatoria194

, ora in quella di un offerta al pubblico195

, al momento dell’emanazione

del bando. Le soluzioni sembrano in astratto condivisibili anche se i ragionamenti che

ne stanno alla base non sono andati esenti da qualche perplessità. Ci si chiede ad

esempio come possa il bando, rientrante nella fase discrezionale amministrativa,

assurgere ad istituto civilistico e in che momento possa dirsi perfezionato il contratto,

sia esso preliminare o definitivo. Si rileva, inoltre, che se l’instaurazione del rapporto

seguisse realmente l’approvazione della graduatoria, la sentenza da chiedere al

giudice sarebbe d’accertamento e mai costitutiva del diritto all’assunzione196

.

Ancora più problematica risulta la questione della configurabilità di un diritto

all'assunzione del soggetto idoneo in una precedente procedura concorsuale.

L'ipotesi può determinarsi a seguito di rinuncia o decadenza del vincitore o per

ulteriori posti resisi successivamente disponibili che potrebbero dar luogo allo

scorrimento della graduatoria ancora valida o indurre l'amministrazione a bandire un

nuovo concorso, con evidenti ripercussioni sull'individuazione del giudice

competente.

193 In dottrina, D. Iaria, L'ambito oggettivo della giurisdizione del giudice del lavoro e del giudice

amministrativo dopo i decreti legislativi n. 80 e n. 387 del 1998, cit., 288; M. Navilli, Concorsi e posti

riservati, utilizzo di graduatorie vigente a scorrimento e giurisdizione del giudice amministrativo, cit.,

1129; M. Rusciano, Pubblico impiego e giudice ordinario: la costituzione «iussu iudicis» del rapporto di lavoro, nota a ord. Trib. Napoli 24 marzo 1999, in DML, 2000, 1, 131. In giurisprudenza v. Trib.

Napoli 10 febbraio 2001, in Orient. Giur. Lav., 2001, 203. 194 Trib. Taranto 11 luglio 2002, ord., con nota di D. Casale, in Lav. pubbl. amm., 2002, 5, 778. 195 Trib. Grosseto 14 novembre 2000, n. 451, in www.altalex.com; Cass., sez. un., 12 marzo 2003, n.

3658, in Giust. civ. Mass., 2003, 511. 196 D. Casale, Nota a tribunale del 11/07/2002, in Lav. pubbl. amm., 2002, 5, 778;

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Per l'orientamento che è emerso come prevalente, il candidato ritenuto idoneo è

titolare di una posizione soggettiva di mera aspettativa, e non di diritto soggettivo, cui

corrisponde la facoltà dell'amministrazione di valutare discrezionalmente se

provvedere alla copertura dei posti vacanti mediante l'utilizzo di una graduatoria

ancora vigente o attraverso l'espletamento di un nuovo concorso197

.

La posizione non è, tuttavia, condivisibile per gli stessi motivi anzidetti, ovvero

quando l'amministrazione abbia già formulato una proposta di assunzione, ovvero nei

casi in cui nel bando sia espressamente previsto lo scorrimento della graduatoria198

, o

lo stesso scorrimento sia stato già deliberato dall'amministrazione procedente199

.

In linea più generale, però, l'attribuzione di un vero e proprio diritto soggettivo

all'assunzione in capo all'idoneo potrebbe ricavarsi dalle norme, contenute nelle

finanziarie, che prevedono l'ultrattività delle graduatorie concorsuali200

ma soprattutto

alla luce del processo di privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici

ove «l'interesse legittimo pretensivo all'assunzione si è trasformato in un vero e

proprio diritto soggettivo all'assunzione medesima che l'interessato sembra poter far

valere attraverso un'azione di carattere costitutivo»201

.

197 Cons. Stato, 10 gennaio 2007, n. 53, sez. V, in Foro amm. CDS, 2007, 2, 557, con nota di S.

Monzani, La ultrattività della graduatoria non comporta in capo alla pubblica amministrazione un

obbligo di assunzione per «scorrimento»; Cons. Stato, sez. VI, 12 settembre 2006 n. 5320, in Dir.

Giust., 2006, 91; Cass., sez. un., 5 marzo 2003, n. 3252, in Foro it., 2003, I, 2346; In dottrina v. M.

Navilli, Graduatorie concorsuali nel pubblico impiego: giurisdizione, diritto degli idonei allo scorrimento e derogabilità della contrattazione collettiva, cit., 686. 198 Tar Campania, Napoli, sez. V, 17 gennaio 2006 n. 683, in Foro amm. Tar, 2006, 309. 199 Cass., sez. un., 29 settembre 2003 n. 14529, cit. 200 R. Di Pace, Graduatorie concorsuali ed idonei, in Giorn. dir. Amm., 2002, 1, 54. 201 G. Vitale, Nota a a Tribunale Taranto, 9 dicembre 2002, e Tribunale Napoli, 20 febbraio 2002, in

Lav. pubbl. amm., 2003, 2, 387.

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CAPITOLO III

QUESTIONI CONTROVERSE

IN MATERIA DI GIURISDIZIONE

SOMMARIO: 3.1 Controversie «concernenti l’assunzione al

lavoro» vs controversie relative alle «procedure concorsuali per l’assunzione». - 3.2 Le progressioni verticali. - 3.3 Le procedure di

mobilità e di stabilizzazione del personale. - 3.4 Le graduatorie del

personale della scuola. - 3.5 Il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali. - 3.6 La repressione della condotta antisindacale del datore di

lavoro pubblico. - 3.7 L'anomalia della giurisdizione domestica: i

dipendenti degli organi costituzionali.

3.1 Controversie «concernenti l’assunzione al lavoro» vs controversie

relative alle «procedure concorsuali per l’assunzione»

L'adozione da parte del legislatore di una giurisdizione “bipolare” in materia di

concorsi e assunzioni, ha imposto agli interpreti, come prima descritto, una necessaria

opera di coordinamento tra la regola generale di cui al comma 1 dell'art. 63 D.Lgs. n.

165/2001 che affida al giudice ordinario la cognizione sulle controversie inerenti

«l'assunzione al lavoro» e l'eccezione di natura oggettiva prevista al comma 4 dello

stesso articolo che riserva al giudice amministrativo la cognizione sulle controversie

relative alle «procedure concorsuali per l'assunzione».

Al di là dell'impostazione che si ritenga di dover seguire, sia essa rappresentata

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dal criterio di riparto per situazioni soggettive lese o da quello per materie, confortata

o meno dalla configurabilità dell'atto di approvazione della graduatoria quale

spartiacque tra le due giurisdizioni, la norma impone un'ulteriore riflessione, dal

momento che non è ancora pacifico il significato da attribuire all'espressione

«procedure concorsuali per l'assunzione».

Detto in altri termini: è operazione logico-giuridica necessariamente

preliminare, ai fini dell'individuazione della giurisdizione competente, l'indagine sulla

riconducibilità delle diverse procedure selettive alla nozione di quelle «concorsuali

per l’assunzione». Se si è in presenza, infatti, di una vera e propria procedura

concorsuale, essa dovrà essere conosciuta dal giudice amministrativo o, al più, si

applicherà, nel senso sopra precisato, il discrimen tra le due giurisdizioni

rappresentato dall' “atto di approvazione della graduatoria”; in caso contrario, deve

convenirsi che le altre tipologie di “assunzioni” e di selezione siano da destinare

interamente alla cognizione del giudice ordinario, rientrando appieno sotto l'egida del

comma 1 dell'art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001.

Per quanto riguarda le procedure di avviamento dalle liste di collocamento di

cui alla lettera b) dell'art. 35 D.Lgs. n. 165/2001, previste per i profili professionali

per cui non è richiesto un titolo di studio superiore a quello della scuola dell’obbligo,

o quelle per l'avviamento delle categorie protette, la giurisprudenza sembra orientata

nel senso di escludere tali procedure di selezione dal novero delle procedure

concorsuali vere e proprie ed, argomentando le decisioni ora sull'assenza di una

comparazione delle capacità dei candidati202

, ora sulla carenza di una discrezionalità

202 Tar Parma Emilia Romagna, 8 febbraio 2001, n. 46; Tar Milano Lombardia, 11 febbraio 2010, n.

376.

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amministrativa della P.A.203

, depongono per la devoluzione al giudice ordinario delle

relative controversie.

Bisogna chiarire, invero, che le sentenze citate fondano il ragionamento –

esplicitamente o implicitamente – sul riparto di giurisdizione in base alle posizioni

soggettive fatte valere in giudizio ovvero ritengono che la posizione del soggetto che

contesti il “non avviamento al lavoro”, per ingiusta esclusione dalla graduatoria,

faccia valere il suo “diritto al lavoro” o il suo “diritto all'assunzione”.

Diversamente argomentando potrebbe, invece, concludersi che tali ipotesi di

assunzioni siano procedure concorsuali, se è vero che «il concorso di cui parla l'art.

97 Cost. richiede, certamente, l'accertamento di idonee capacità ma non esclude che si

possa e debba tener conto del bisogno»204

.

Tuttavia, un altro interrogativo è d'obbligo. L'art. 97 Cost. sancisce che agli

impieghi delle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, “salvo i casi

stabiliti dalla legge”. Potrebbe essere una lettura tranquillizzante quella secondo cui

sia l'avviamento al lavoro sia il collocamento mirato dei disabili siano le eccezioni

stabilite con legge al principio del concorso. Il primo, infatti, è disciplinato dalla legge

56 del 1987, il secondo dalla legge 68 del 1999. Se la deroga al principio del concorso

può unicamente operare «in presenza di peculiari situazioni giustificatrici,

nell'esercizio di una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire

il buon andamento della pubblica amministrazione [...] ed il cui vaglio di

costituzionalità non può che passare attraverso una valutazione di ragionevolezza

203 Cass., sez. un., 23 novembre 2000, n. 1203, in Giust. civ. Mass., 2000, 2232; Cass., sez. un., 15

maggio 2003, n. 7507, in Foro It., 2003, I, 2346; Cass., sez. un., 6 giugno 2005, n. 11722, in Foro It.,

2006, 749; Cass., sez. un., 31 gennaio 2008, n. 2277, in Foro amm. CDS, 2008, 2, I, 366; Cass., sez.

un., 3 novembre 2009, n. 23202, in Giust. civ. Mass., 2009, 11, 1535. 204 M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit, 176.

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della scelta operata dal legislatore»205

è chiaro che simili principi possono ben

attagliarsi alle selezioni rivolte a determinate categorie di soggetti legislativamente

individuate.

Una conferma in tal senso sembrerebbe giungere dallo stesso art. 35 D.Lgs.

165 del 2001 che, al comma 1, lettera b) e al comma 2 distingue chiaramente queste

“diverse” ipotesi selettive dalla prima di cui alla lettera a) che richiama le “procedure

di selezione”.

A ciò si aggiunga che potrebbe deporre nel senso su indicato lo stesso DPR n.

487/1994 che nel regolare l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni

opera una netta distinzione tra: a) concorso pubblico aperto a tutti per esami, per titoli,

per titoli ed esami, per corso-concorso o per selezione mediante lo svolgimento di

prove volte all'accertamento della professionalità richiesta dal profilo professionale di

qualifica o categoria, avvalendosi anche di sistemi automatizzati; b) mediante

avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento tenute dagli uffici circoscrizionali

del lavoro che siano in possesso del titolo di studio richiesto dalla normativa vigente

al momento della pubblicazione dell'offerta di lavoro; c) mediante chiamata numerica

degli iscritti nelle apposite liste costituite dagli appartenenti alle categorie protette di

cui al titolo 1 della legge 2 aprile 1968, n. 482, e successive modifiche ed

integrazioni. È fatto salvo quanto previsto dalla legge 13 agosto 1980, n. 466.

Riflessioni più articolate, anche per l'attenzione da ultimo mostrata dalla

giurisprudenza, richiedono, invece, le selezioni dirette alla progressione di carriera, la

materia delle procedure di mobilità e di stabilizzazione del personale e quella delle

graduatorie del personale della scuola, destinate alla trattazione che segue.

205 Corte cost., 21 aprile 2005, n. 159, in Foro amm. CDS, 2005, 4, 982.

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3.2 Le progressioni verticali

Tutt'altro che sopito è il dibattito sulle controversie concernenti le procedure

selettive finalizzate alla progressione di carriera con particolare riferimento al riparto

di giurisdizione. Si rende, così, utile una breve ricostruzione dell’articolato percorso

evolutivo compiuto dalla giurisprudenza in materia.

In una prima fase d’applicazione, la constatazione dell'assenza di qualsiasi

componente pubblicistica o autoritativa nelle vicende de quo, che rientrano, invece, a

rigore, nell'ambito degli atti di natura gestionale e privatistica, aveva condotto la

Cassazione a devolvere alla giurisdizione del giudice ordinario le relative

controversie206

anche se realizzate «attraverso una vicenda selettiva di tipo

concorsuale»207

. Alle medesime conclusioni era, peraltro, pervenuto lo stesso

Consiglio di Stato208

, che aveva riservato alla giurisdizione amministrativa le sole

controversie concernenti le procedure volte all’instaurazione ex novo del rapporto di

lavoro.

Con gli interventi legislativi propri della fase della seconda privatizzazione,

volti a rafforzare «la concentrazione del contenzioso in capo al giudice ordinario», si

dava, così, «evidenza autonoma e distinta allo sviluppo professionale rispetto al

reclutamento, assumendosi con chiarezza diversità di collocazione e di regime

giuridico»209

.

206 Cass., sez. un., 26 giugno 2006, n. 9334, in Giust. civ., 2003, I, 786; Cass., sez. un., 21 febbraio

2002, n. 2514, in Lav. pubbl. Amm., 2002, 3-4, 589 ss., con nota di G. Gentile, Sul riparto di

giurisdizione nei concorsi riservati al personale delle pubbliche amministrazioni. 207 Cass., sez. un., 11 giugno 2001, n. 7859, in Foro it., 2002, I, 2996. 208 Cons. Stato, sez. VI, ord. 27 agosto 2002, in Cons. St., 2002, n. I, 1786. 209 A. Corpaci, Pubblico e privato, cit., 375 ss.

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La già fragile stabilità delle soluzioni adottate210

trovava però il suo punto più

debole nella materia dei concorsi “misti” ovvero nelle selezioni aperte a candidati

esterni, ma con riserva di posti per il personale interno già dipendente.

Investita della questione, nel dichiarare manifestamente infondata, con

riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell' art. 68

D.Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, nella parte in cui non devolve al giudice ordinario la

giurisdizione in ogni controversia riguardante il rapporto di lavoro privatizzato alle

dipendenze di amministrazioni pubbliche, la Corte Costituzionale giunge a

considerare erroneo il presupposto secondo cui la procedura selettiva in questione

avrebbe differente natura per i concorrenti in quota di riserva e per quelli esterni,

trattandosi, viceversa, sia per gli uni che per gli altri, di una procedura concorsuale di

assunzione nella qualifica indicata nel bando.

Dal principio della necessità del concorso, quale regola generale e strumento più

idoneo ed imparziale per garantire la scelta dei soggetti più capaci, si fa discendere

una sostanziale equiparazione delle procedure strumentali alla costituzione del

rapporto a quelle finalizzate alla vicenda strettamente lavoristica della progressione

professionale. E censurando, così, l'iniziale orientamento della giurisprudenza, si dà il

via ad una sorta di vis actractiva della giurisdizione amministrativa: il concorso

cosiddetto “misto” integra una vicenda selettiva che deve considerarsi come «unitaria,

aperta all’esterno»211

.

Il dictum della Corte Costituzionale in materia di concorsi “misti”, riapriva,

210 Alcuni tribunali erano già di diverso avviso: Trib. Palermo 19 settembre 2002, in Lav. pubbl.

amm., 2003, 134; Trib. Latina, 20 marzo 2003, ivi, 2003, 379. 211 Corte cost. 4 gennaio 2001, n. 2, in Lav. pubbl. amm., 2001, 367, con nota di E. Gragnoli,

Concorsi “riservati” e giurisdizione; in dottrina v. R. Giovagnoli, La giurisdizione in materia di

concorsi interni, in Mass. giur. lav., 2004, n. 1-2, 118; M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit.,

177.

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però, il dibattito anche sui concorsi puramente interni. Il netto revirement, in un’ottica

di armonizzazione - e anche oltre l’armonizzazione212

- del sistema di riparto della

giurisdizione con l’orientamento espresso dalla Consulta213

, si registra, nel 2003, ad

opera delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per cui l’art. 63, comma 4,

D.Lgs. n. 165 del 2001, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo

le controversie in materia di procedure per l’assunzione dei dipendenti pubblici, fa

riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione del

rapporto di lavoro ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del

personale già assunto ad una fascia o area superiore214

. La tutela giurisdizionale,

quindi, viene frazionata e segue una sorta di casistica differenziata: a) giurisdizione

del giudice amministrativo nelle controversie relative a concorsi finalizzati alla prima

assunzione dei soli candidati esterni; b) identica giurisdizione nelle controversie

relative a concorsi “misti”, restando irrilevante che il posto da ricoprire sia compreso

o meno nell’ambito della medesima area funzionale alla quale sia riconducibile la

posizione di lavoro di interni ammessi alla procedura selettiva, poiché, in tal caso, la

circostanza che non si tratti di passaggio ad area diversa viene vanificata dalla

presenza di possibili vincitori esterni; c) ancora giurisdizione amministrativa quando

si tratti di concorsi per soli interni215

che comportino passaggio da un’area funzionale

212 Nota A. Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e

progressioni in carriera, cit., 375 che con la sentenza a Sezioni Unite, «la limpidità e coerenza del

quadro ricostruttivo subisce (una) netta rottura». 213 Corte cost. 4 gennaio 2001, n. 2, cit. 214 Cass. 15 ottobre 2003, n. 15403, in Lav. pubbl. amm., 2003, 504 con nota di L. Sgarbi, La

Cassazione ci ripensa: sui concorsi interni ha giurisdizione il giudice amministrativo. 215 Sulla cui legittimità v. Corte cost. 6 luglio 2004, n. 205, in www.giurcost.it ove si legge « Questa

Corte ha costantemente riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di

reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza

dell'amministrazione (tra le molte, sentenze n. 34 del 2004, n. 194 del 2002 e n. 1 del 1999). La regola

del pubblico concorso può dirsi rispettata solo quando le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie

ed irragionevoli forme di restrizione dell'ambito dei soggetti legittimati a parteciparvi. Nella

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ad un’altra, spettando, poi, al giudice del merito la verifica della legittimità delle

norme che escludono l’apertura del concorso all’esterno; d) residuale giurisdizione del

giudice ordinario nelle controversie attinenti a concorsi per soli interni, che

comportino il passaggio da una qualifica ad un’altra, ma nell’ambito della medesima

area funzionale216

.

Anche la Cassazione assimila, in sostanza, alle procedure concorsuali per

l’assunzione le procedure selettive dirette a permettere l’accesso del personale già

assunto all’area superiore, configurando il passaggio come una sorta di assunzione

nella nuova qualifica indicata dal bando.

Eppure la casistica delineata dalla Cassazione con la pronuncia del 2003 non è

stata rispettata: quei confini sono stati da subito varcati in diverse direzioni, dando

prova della scarsa persuasività del percorso argomentativo che ne sta alla base e delle

difficoltà interpretative insite nel riferimento al sistema delle aree e delle qualifiche,

definite per via contrattuale.

Nella giurisprudenza di merito, si è ritenuto che la Cassazione, nel parlare di

area o fascia funzionale, non intendesse compiere una sorta di rinvio alle

classificazioni del personale attualmente previste dai contratti collettivi, ma piuttosto

volesse riferirsi alla qualifica, da intendersi come livello funzionale di inquadramento

connotato da un insieme di mansioni con relative responsabilità, con la conseguenza

«che non possono attribuirsi al giudice ordinario indistintamente tutte le controversie

giurisprudenza costituzionale si sottolinea, altresì, che il principio del concorso pubblico, pur non

essendo incompatibile – nella logica di agevolare il buon andamento dell'amministrazione – con la previsione per legge di condizioni di accesso intese a consentire il consolidamento di pregresse

esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione, tuttavia non tollera – salvo circostanze

del tutto eccezionali – la riserva integrale dei posti disponibili in favore di personale interno». 216 V. anche Cass., sez. un., 26 febbraio 2004, n. 3948, in Foro amm.CDS, 2004, 1321; nello stesso

senso si era espresso Cons. Stato, sez. VI, 12 luglio 2004, n. 5070, in Foro amm. CDS, 2004, 2244. M.

Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit., 177.

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attinenti ai concorsi per soli interni che prevedano il passaggio da una qualifica

all'altra nell'ambito della medesima area»217

.

Il Consiglio di Stato, inoltre, pur dichiarando apertis verbis di voler aderire a

tale orientamento, afferma la giurisdizione amministrativa anche in relazione alle

procedure riservate agli interni comportanti l'accesso a posizioni superiori nell'ambito

della stessa area218

ritenendo rilevante il profilo della novazione del rapporto di lavoro

cioè l'ingresso allo svolgimento di nuove mansioni, di diverso e più ampio contenuto.

Il punto debole della materia rimane, come evidente, quello del riferimento alle

declaratorie contrattuali. In merito, deve rilevarsi che contro l'apoditticità219

con cui i

giudici hanno valutato «le non univoche disposizioni della contrattazione collettiva in

materia di inquadramento professionale, senza con ciò trarre tutte le conseguenze

della equiparazione fra concorso e progressione professionale»220

la giurisprudenza

più recente si è orientata nel senso che sarà compito del giudice verificare se, «al di là

delle parole adoperate dagli stipulanti del contratto, risulti realmente definito un

sistema di classificazione strutturato in aree omogenee, tale che i rispettivi profili

professionali, seppur differenziati in livelli, siano riconducibili ad un patrimonio

professionale almeno potenzialmente identico per tutti i lavoratori che vi

appartengono» e quindi stabilire se «il passaggio da un'area all'altra comporti la

modifica delle mansioni richiedendo un diverso grado di autonomia e responsabilità

217 Trib. Roma 10 giugno 2005, in Lav. Giur., 2006, 160 con nota di V. De Carlo, Accesso a nuova qualifica del dipendente pubblico tramite concorsi interni e riparto di giurisdizione. 218 Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2005, n. 2872, in Cons. St., 2005, 981. 219 M. Navilli, Giurisdizione e procedure concorsuali per interni: tra progressione professionale

enovazione oggettiva dei rapporti, in Lav. Pubbl. Amm., 2009, 5, 848 ss. 220 G. Ricci, La corte di Cassazione e le progressioni «orizzontali»: un caso di giurisprudenza pro

domo sua?, in Riv. It. Dir. Lav., 2008, 2, 384 ss.

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del dipendente»221

e, quindi, detto in altri termini, se il passaggio comporti anche un

mutamento delle mansioni verso altre non equivalenti a precedenti222

.

La questione si è posta con particolare importanza nel Comparto Ministeri ove

da un lato si è sostenuto che il passaggio da un livello all'altro, seppur all'interno della

medesima area, realizzando l'accesso a nuove funzioni, richiederebbe la procedura

concorsuale223

; dall'altro, le Sezioni Unite della Cassazione hanno recentemente

confermato la sicura riferibilità al categorie contrattuali, ritenendo sussistente la

giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie relative a concorsi interni

riguardanti la progressione verso una qualifica superiore appartenente all'ambito della

stessa area224

.

Innanzi ad una giurisprudenza, seppur equivoca, ma ormai consolidata225

sulla

221 Da ultimo, Cass., sez. un., 12 ottobre 2009, n. 21560, in Lav. pubbl. amm., 2009, n. 5, 842 con

nota di M. Navilli, Giurisdizione e procedure concorsuali per interni: tra progressione professionale e

novazione oggettiva dei rapporti, cit. Cfr. comunque M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit.,

179, secondo cui il giudice «ha comunque il potere di verificare se veramente c’è o no l’equivalenza

dichiarata». 222 V. anche Cons. Stato 31 marzo 2011, n. 574, Foro amm. TAR, 2011, 3, 962 secondo cui «in sede di

riparto di giurisdizione, per concorso pubblico deve intendersi non solo quello aperto a candidati

esterni, ma anche quello riservato ai dipendenti ai fini delle progressioni verticali di particolare rilievo

qualitativo, restando affidata in tal caso la selezione all'esercizio dei poteri pubblici e ai procedimenti

amministrativi; per i concorsi interni, la giurisdizione è quindi determinata dall'esito della verifica in

ordine alla natura della progressione verticale, restando riservato all'ambito dell'attività autoritativa

soltanto il mutamento dello status professionale, non le progressioni meramente economiche, né quelle

che comportano sì il conferimento di qualifiche più elevate, ma comprese tuttavia nella stessa area, categoria, o fascia di inquadramento, e caratterizzate, di conseguenza, da profili professionali omogenei

nei tratti fondamentali, diversificati sotto il profilo quantitativo piuttosto che qualitativo». 223 P. Sordi, Il giudice ordinario e le procedure selettive e concorsuali nel lavoro pubblico, in Lav.

Pubbl. Amm., 2005, 02, 289 ss. In giurisprudenza v. Tar Lazio, I, 4 novembre 2004, n. 12370, in Lav.

Pubbl. Amm., 2005, 110; Trib. Palermo 17 dicembre 2009, in Arg. Dir. Lav., 2010, 6, 1326 ss., con nota

di A. Miscione, L’equivalenza delle mansioni nel pubblico impiego ai fini del principio di

concorsualità. 224 Cass., Sez. un., 25 maggio 2010, n. 12764, in Riv. it. Dir. Lav., 2011, 1, 93 ss. con nota di A.

Astengo, Concorsi interni e giurisdizione: una nuova pronuncia delle Sezioni Unite. 225 Soprattutto della giurisprudenza costituzionale, v. tra le più recenti Corte Cost. 29 maggio 2002, n.

218, in Lav. pubbl. Amm., 2004, 471 con nota di M. D’Aponte, La centralità del concorso pubblico

quale unica modalità di accesso all'impiego: una rassegna di giurisprudenza; Corte Cost. 23 luglio

2002, n. 373, in Lav. pubbl. Amm., 2002, 571, con nota di M. Montini, Progressioni in carriera,

concorsi aperti agli esterni e "buon senso"; Corte Cost. 24 luglio 2003, n. 274, in Dir. e giust., 2003,

33, 51.

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necessità del vero e proprio concorso anche per la progressione in carriera dei

dipendenti pubblici, intesa come accesso a posizioni e mansioni nuove, per cui sia

necessario un accertamento d’idoneità, è stato puntualmente notato che il problema da

risolvere a monte potrebbe essere quello dell’«equivalenza». «Le mansioni

equivalenti sono già dovute e non sono nuove: l’idoneità è stata già accertata, perché

bisogna essere capaci in ogni momento di svolgere qualunque mansione equivalente,

senza ulteriori prove»226

.

Oggi, tale assunto, unitamente all'impostazione inaugurata dalla Cassazione,

sembra trovare piena conferma nella «Riforma Brunetta»227

che, nell'ambito di

un'ampia opera di decontrattualizzazione, definisce al dettaglio le modalità delle

progressioni verticali e della valutazione.

Il nuovo articolo 52, comma 1-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, come modificato

dall'art. 62 comma 1 del D.Lgs. n. 150 del 2009, dispone: «I dipendenti pubblici, con

esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie,

conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali.

Le progressioni all'interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività,

in funzione delle qualità culturali e professionali, dell'attività svolta e dei risultati

conseguiti, attraverso l'attribuzione di fasce di merito. Le progressioni fra le aree

avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per

l'amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio

226 M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro2, cit., 177. 227 D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, intitolato “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia

di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche

amministrazioni”. In termini di legificazione di tali principi si esprime M. Miscione, Dialoghi di diritto

del lavoro2, cit., 177. Nello stesso senso V. Luciani, Il principio di concorsualità tra assunzioni e

progressioni in carriera, in L. Zoppoli (a cura di), Ideologia etecnica nella riforma del pubblico

impiego, Editoriale Scientifica, 2009, 317 ss.

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richiesti per l'accesso dall'esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50

per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva conseguita dal

dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione

economica e dell'attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l'accesso all'area

superiore».

In base a tale norma, dunque, «all’interno della stessa area, le progressioni

avvengono senza vero e proprio concorso ma con una selezione in base alle qualità

culturali e professionali, all’attività svolta ed ai risultati conseguiti. Invece, per le

progressioni fra le aree è necessario il concorso pubblico, ma con possibilità di riserva

di posti per non oltre il 50% a favore del personale interno, dando rilevanza alla

valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni»228

.

La nuova norma dovrebbe così chiarire tutti i dubbi, in vista dell'adeguamento

da parte della contrattazione collettiva229

. La stessa sembra, però, riproporne di nuovi.

Il comma 1-ter, infatti, stabilisce che «per l'accesso alle posizioni economiche apicali

nell'ambito delle aree funzionali è definita una quota di accesso nel limite

complessivo del 50 per cento da riservare a concorso pubblico sulla base di un corso-

concorso bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione». Si deve

ritenere che l'accesso a queste “posizioni apicali” nell'ambito della stessa area seguirà

due percorsi differenti. Da un lato, infatti, i candidati già dipendenti parteciperanno ad

228 Le osservazioni sono di M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit., 178. 229 Si veda in proposito l'art. 65 del D. Lgs. n. 150/2009 e l'art. 5 del D. Lgs. 1 agosto 2011, n. 141

cd. “Correttivo alla Riforma Brunetta” secondo cui «l’adeguamento dei contratti collettivi integrativi è

necessario solo per i contratti vigenti alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo, mentre ai contratti sottoscritti successivamente si applicano immediatamente le disposizioni introdotte dal

medesimo decreto». In generale, sul problema della immediata o meno applicabilità della Riforma

Brunetta v. in giurisprudenza Trib. Torino, sez. lav., decreto 2 aprile 2010, in Lav. Pubbl. Amm., 2010,

1, 91 ss.; Trib. Torino, sentenza 2 aprile 2010; Trib. Salerno, decreto 19 luglio 2010; Trib. Lamezia

Terme, decreto 7 dicembre 2010; Trib. Trieste, decreto 5 ottobre 2010. In dottrina, ex multis F. Carinci,

Il secondo tempo della Riforma Brunetta, cit., 1065.

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una selezione interna (che dovrebbe essere non concorsuale), mentre i candidati

esterni parteciperanno ad un concorso pubblico bandito dalla SSPA, con evidenti

conseguenze in materia di riparto di giurisdizione.

Tutto ciò premesso, non può non condividersi l'opinione di chi, giudicando una

forzatura la «ripubblicizzazione» delle procedure di avanzamento operata dalla

Cassazione, ha contestato la sussunzione dell'ipotesi del passaggio ad una categoria o

fascia superiore nell'ambito di pertinenza dell'art. 97, comma 3, della Costituzione230

.

La disposizione da ultimo citata, infatti, è chiara nel riferire, e nel richiedere, le

procedure concorsuali per l'accesso al lavoro. La stessa Corte Costituzionale, qualche

anno indietro, in relazione ad una questione in cui veniva denunciata l'illegittimità

costituzionale per contrasto con il comma 3 dell'art. 97 Cost., facendo proprio il dato

testuale, ne dichiarava la manifesta infondatezza «sol che si consideri che la norma

invocata come parametro costituzionale concerne l'accesso nella pubblica

amministrazione, mentre le disposizioni della legge impugnata riguardano il

reinquadramento in qualifiche superiori del personale già in servizio»231

.

Ma al di là dell'interpretazione letterale, se si esclude, come qui si ritiene, che

l’art. 97 Cost, comma 3, imponga la natura pubblicistica della procedura di

progressione professionale, facendo, anzi, salvi «i casi previsti dalla legge»232

sembra

chiaro che le selezioni in questione, in quanto atti di natura privatistica e di gestione

del rapporto di lavoro, rientrino appieno nell’area di applicazione del comma 1

dell’art. 63 D.Lgs. n. 165/2001 e, dunque, nell’ambito della cognizione del giudice

230 A. Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e

progressioni in carriera, cit., 380. 231

Corte cost., 25 luglio 1990, n. 369, in www.giurcost.it 232 F. Carinci, Errare humanum est, perseverare autem diabolicum, in Lav. pubbl. amm., 2002, 208.

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ordinario. E ancora, anche volendosi ammettere che l'art. 97, comma 3, arrivi a

comprendere le progressioni in carriera, esso non osta comunque alla scelta operata

dal legislatore della riforma233

, nel senso di volerle assoggettare alle «regole

giuridiche del settore privato»234

.

Per il personale già assunto in servizio, l’acquisizione della nuova categoria

superiore mediante procedura selettiva trova fondamento nel rapporto di lavoro in

essere235

e ne costituisce lo sviluppo, comportando una mera modificazione del

contenuto dell’obbligazione di lavorare e non una modifica della pianta organica,

secondo la vecchia concezione del pubblico impiego come elemento

dell'organizzazione amministrativa236

.

Sembra convincente, così, l’affermazione di chi, richiamando l’orientamento

relativo alle progressioni verticali nel settore privato, ritiene che nella materia in

questione non vi sia alcuna componente novativa237

, ma solo una modificazione del

rapporto, del suo contenuto professionale e delle sue modalità di esecuzione.

Le procedure di reclutamento o per l’assunzione, se ontologicamente diverse da

quelle interne strumentali alla progressione in carriera238

, essendo evidente anche la

diversa collocazione sistematica239

, non possono rientrare nell’unica eccezione di

natura oggettiva alla giurisdizione ordinaria prevista dal legislatore al comma 4

233 A. Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e

progressioni in carriera, cit., 380. 234 S. Battini, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Padova, 2000, 575. 235 P. Sordi, I concorsi interni nel pubblico impiego privatizzato, in Nuovo dir., 2000, 155. 236 Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e

progressioni in carriera, cit., 375. 237 E. Gragnoli, Concorsi interni ed unicità del rapporto, in Corti calabr., 2003, n. 5, 7. Contra E.A. Apicella, Rinnovate incertezze in tema di giurisdizione sui concorsi interni nella pubblica

amministrazione, in Giust. civ., 2005, I, 2618. 238 L’affermazione è di G. Ferraù, Quale giudice è competente per i concorsi interni dei pubblici

dipendenti?, cit., 359. 239 A. Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e

progressioni in carriera, cit., 375.

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dell’art. 63 D.Lgs. 165/2001.

Per quanto detto, la norma in questione non avrebbe dovuto essere interpretata,

anche dal legislatore, così estensivamente da ricomprendere qualsiasi procedura

selettiva, concorsuale o valutativa, in qualsiasi modo denominata. Se non si vuole

alterare il senso dei primi interventi del legislatore della privatizzazione volti a

«contenere la giurisdizione amministrativa a tutto pro della ordinaria»240

, essa

dovrebbe, a rigore, abbracciare la sola ipotesi della selezione volta «all’assunzione»,

intesa come primo accesso, in assoluto, al lavoro241

.

Se la ricostruzione operata, nonostante l'espressa smentita giunta dalla Riforma

Brunetta che ha in materia operato una sorta di interpretazione autentica, fosse

corretta, rimarrebbe irrisolta, pur sempre, la questione dei concorsi misti.

Accettando l’impostazione secondo cui la progressione in carriera è certamente

di competenza del giudice ordinario, si dovrebbe ammettere che i partecipanti ad un

concorso misto possano adire il giudice ordinario o il giudice amministrativo a

seconda che siano già dipendenti dell’amministrazione o solo aspiranti tali242

, con seri

240 F. Carinci, Una riforma “conclusa”. Fra norma scritta e prassi applicativa, cit., 4. 241 D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 8; L. Sgarbi, Mansioni ed

inquadramento dei dipendenti pubblici, Cedam, Padova, 2004, 233 ss; A. Garilli, Le controversie sui

concorsi e sulla progressione verticale: riparto di giurisdizione, discrezionalità amministrativa e poteri

del giudice ordinario, cit., 3; M. Navilli, Graduatorie concorsuali nel pubblico impiego: giurisdizione,

diritto degli idonei allo scorrimento e derogabilità della contrattazione collettiva, cit., 687; M. Clarich

e D. Iaria, La riforma del pubblico impiego, cit., 574; M.G. Garofalo, Il trasferimento di giurisdizione

nel lavoro pubblico, cit., 514. 242 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1224. La possibilità di partecipazione

degli esterni è decisiva: M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit., 178 (ivi cit.). Per una diversa ricostruzione, secondo cui il criterio che presiede al riparto di giurisdizione è da individuarsi

nell’origine contrattuale o meno della posizione soggettiva fatta valere, nell’ambito dei concorsi misti,

le posizioni degli “interni” possono considerarsi «estranee al rapporto contrattuale già in atto …di

modo che dovranno qualificarsi come posizioni di interesse legittimo, necesssariamente tutelabili solo

davanti al giudice amministrativo» v. V. Ferrante, Il riparto di giurisdizione in tema di concorso e

progressione di carriera, cit., 250.

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dubbi di legittimità costituzionale243

. Se si ritenesse, invece, d’accogliere

l’impostazione opposta, dell'attrazione delle controversie nell'ambito della

giurisdizione amministrativa, bisognerebbe ammettere che il tipo di tutela

giurisdizionale dipenderebbe da un elemento del tutto estrinseco e accidentale244

e cioè

dalla sola eventualità che al concorso partecipino soggetti esterni.

L'aporia è, certamente, giustificata dalla necessità di evitare «contrasti di

giudicati in relazione alle differenti impugnative giurisdizionali proposte da vari

soggetti»245

ma è il segno, ancora una volta, di come il criterio di riparto così

delineato riesca facilmente ad entrare in crisi, mostrando tutte le contraddizioni su cui

esso si basa246

.

3.3 Le procedure di mobilità e di stabilizzazione del personale.

Anche in relazione alle procedure di mobilità e di stabilizzazione, così come

per altri istituti del pubblico impiego, si è posto il problema dell'individuazione della

giurisdizione competente, costituito dal prius logico e cronologico della questione

dell'inquadramento delle suddette procedure nell'ambito di quelle «concorsuali», di

cui al comma 4 dell'art. 63 D.Lgs. n. 165/2001, idonee a radicare la giurisdizione

amministrativa.

Per quanto riguarda le prime, coerentemente alla ricostruzione della disciplina

243 Tar Catania Sicilia, 24 novembre 1999, n. 467, in Foro it., 2000, III, 39. 244 G. Ferraù, Quale giudice è competente per i concorsi interni dei pubblici dipendenti?, cit., 360. 245 A. Garilli, Le controversie sui concorsi e sulla progressione verticale: riparto di giurisdizione,

discrezionalità amministrativa e poteri del giudice ordinario, cit., 3. 246 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1224.

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sostanziale che vede l'istituto della mobilità247

quale cessione di contratto di lavoro248

del dipendente tra una Amministrazione di provenienza e quella di destinazione, la

giurisprudenza maggioritaria ha evidenziato con linearità che esse non determinano la

costituzione di un nuovo rapporto di pubblico impiego o una nuova assunzione, ma

semplicemente la modificazione soggettiva del rapporto di lavoro già in essere, con

continuità del suo contenuto. Conseguentemente, trattandosi di atto di gestione del

rapporto di lavoro, il relativo contenzioso appartiene alla giurisdizione ordinaria249

.

La soluzione giunge, però, più di recente, dalle Sezioni Unite della

Cassazione250

secondo cui la mobilità «integra una modificazione soggettiva del

rapporto di lavoro, con il consenso di tutte le parti, e quindi una cessione del

contratto»; infatti «in materia di riparto di giurisdizione nelle controversie relative al

pubblico impiego contrattualizzato solo le procedure selettive di tipo concorsuale per

l'attribuzione a dipendenti di p.a. della qualifica superiore, che comportino il

passaggio da un'area ad un'altra, hanno una connotazione peculiare e diversa,

assimilabile alle "procedure concorsuali per l'assunzione", e valgono a radicare - ed

ampliare - la fattispecie eccettuata rimessa alla giurisdizione del giudice

amministrativo di cui al comma 4, dell'art. 63 citato D.Lgs.; fuori da questa ipotesi

non opera detta fattispecie eccettuata del comma 4, dell'art. 63 e conseguentemente si

riespande la regola del primo comma della medesima disposizione, che predica in

generale la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie aventi ad oggetto il

lavoro pubblico privatizzato». Le procedure di mobilità, che comportino una mera

247 Per una ricostruzione storica si rinvia a S. Mainardi e M. Miscione, La mobilità, in F. Carinci

(diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, I ed., I, Milano, 1995, 582 ss. 248 Cass., sez. un., 12 dicembre 2006, n. 26420, in Giust. civ. Mass., 2006, 12. 249 Cons. Stato, sez. V, 26 ottobre 2009, n. 6541, in Red. Amm. CDS, 2009, 10; Tar Trieste Friuli

Venezia Giulia, sez. I, 19 maggio 2011, n. 252, in Foro amm. TAR, 2011, 5, 1542. 250 Cass., sez. un., 9 settembre 2010, n. 19251, in Foro amm. CDS, 2010, 9, 1831.

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modificazione soggettiva del rapporto di lavoro e non già la costituzione di un nuovo

rapporto mediante una procedura selettiva concorsuale, rientrano, così, appieno nella

giurisdizione ordinaria.

Significativa appare, in tal senso, una pronuncia del giudice amministrativo che,

nel dichiarare il difetto di giurisdizione in materia, fa proprio il criterio di riparto per

materia, affermando la scarsa rilevanza dell'indagine sulla natura della «posizione

soggettiva del privato fatta valere con il ricorso e che interloquisce con il presunto

potere amministrativo»251

.

Ma la pronuncia appena citata risulta interessante per un ulteriore profilo ed, in

particolare, in relazione al contrasto di giudicato, venutosi a creare di recente

nell'ambito della magistratura amministrativa siciliana. Nel caso di specie, infatti, il

ricorrente richiedeva che si procedesse a paralizzare la procedura concorsuale indetta

dall'amministrazione, in dipendenza del preliminare accoglimento della sua istanza di

mobilità. Il profilo strettamente lavoristico, costituito dal diritto del dipendente a

vedere evasa la sua richiesta si intreccia, dunque, inevitabilmente, con la sindacabilità

della scelta dell'amministrazione a bandire una procedura concorsuale per

l'assunzione. Per il giudice, però, la sussistenza dell'atto amministrativo impugnato (la

nuova selezione) non pregiudica l'impostazione secondo cui, essendo la mobilità un

evento modificativo di un rapporto di lavoro già instaurato, essa appartiene alla sicura

competenza del giudice ordinario. L'obbligo al preventivo movimento, che è l'oggetto

principale e prioritario del giudizio, se ritenuto sussistente, «consentirà la declaratoria

incidentale della illegittimità nella nuova procedura selettiva e, quindi, come

espressamente richiama la norma espressa all'art. 68 D.lgs.vo 29/1993 (ora art. 63

251 Tar Catania Sicilia, sez. II, 21 maggio 2002, n. 884, in www.altalex.it

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D.Lgs. n. 165/2001), la possibilità di disapplicazione da parte del G.O del

provvedimento che la dispone».

Lo stesso Tar di Catania in una vicenda simile, con riferimento ai concorsi e

alle procedure di mobilità in ambito sanitario del Bacino Orientale della Sicilia, ha

recentemente ribadito il proprio indirizzo, dichiarando che «appartiene alla

giurisdizione del giudice ordinario la questione afferente il ricorso avverso un bando

pubblico per la copertura di posti di dirigente medico asseritamente elusivo del diritto

alla mobilità del ricorrente, in quanto il ricorso, sebbene diretto formalmente contro

un bando di concorso, ha come petitum sostanziale l'accertamento di un diritto

soggettivo di un dipendente pubblico a ricoprire un posto vacante per mobilità

volontaria»252

. La decisione risulta in totale controtendenza a quanto espresso qualche

giorno prima, con riferimento al Bacino Occidentale e in relazione - cosa ancor più

grave - agli stessi ricorrenti, dalla sezione palermitana.253

In linea con quanto espresso

in altre passate pronunce254

, il Tar Palermo ha, invece, ammesso l'impugnabilità

innanzi al giudice amministrativo da parte di chi aspiri a ricoprire un certo posto

mediante mobilità dell'atto che disponga la copertura di quel posto mediante pubblico

concorso e ha, conseguentemente, proceduto alla sospensione del nuovo bando di

concorso, considerandolo illegittimo alla luce dell’art. 30, comma 2 bis, D. Lgs. n.

165/2001 che obbliga l'amministrazione al previo esperimento delle procedure di

mobilità255

.

Sul primo dei ricorsi incrociati annunciati, si è già espresso il Cons. Giust.

252 Tar Catania Sicilia, Sez. II, 16 maggio 2011, n. 1256, in Foro amm. TAR, 2011, 5, 1762. 253 Tar Palermo Sicilia, 20 aprile 2011, ordinanza n. 327, in www.giustiziamministrativa.it 254 V. Cons. Stato, sez. V, 21.7.1995, n. 1131, in Foro Amm., 1995, 1547. 255 Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 2 dicembre 2009, n. 2634.

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Amm. Sicilia che, nel respingere l'appello contro l'ordinanza di sospensione del Tar

Palermo, ne ha condiviso, sostanzialmente, l'impostazione256

.

Per quanto concerne le procedure di stabilizzazione previste dalle ultime leggi

finanziarie257

la giurisprudenza maggioritaria ha evidenziato che esse costituiscono

indubbiamente una modalità di assunzione nella pubblica amministrazione diversa

dalle procedure concorsuali vere e proprie. Esse, infatti, non si basano su una scelta

comparativa fra più aspiranti, ma sull'esigenza, legislativamente espressa, di

consolidare posizioni lavorative a tempo determinato che hanno avuto una certa

durata in un determinato arco temporale. In alcuni casi, si è proceduto

all'assimilazione delle procedure in questione all'avviamento al lavoro258

essendo esse

preordinate all'inserimento in apposita graduatoria, in base di criteri fissi e prestabiliti,

di tutti gli aspiranti in possesso di determinati requisiti259

.

Sulla scorta di queste motivazioni, il giudice munito di giurisdizione non può

che essere quello ordinario260

.

Solo un orientamento minoritario in giurisprudenza ha ritenuto sussistente la

giurisdizione amministrativa, sul presupposto della riconducibilità della

stabilizzazione alle vicende di tipo concorsuale261

.

256 Cga Sicilia, 28 luglio 2011, n. 761, in www.giustiziamministrativa.it 257 V. Legge 27 dicembre 2006, n. 296. 258 Tar Latina, sez. I, 24 settembre 2008, n. 1240, in Foro Amm. Tar, 2008, n. 9, 2492; Tar Genova,

Sez. II, 20 dicembre 2008, n. 2173, in Foro Amm. Tar, 2008, n. 12, 3329. 259 Cass. Civ., sez. un., 7 luglio 2010, n. 16041, in Giust. Civ. Mass, 2010, 78; 260 Trib. Trani, sez. lav., 18 luglio 2011, n. 4430, in Red. Giuffrè; 2011; Tar Catanzaro Calabria, sez.

II, 7 luglio 2011, n. 968, in Red. amm. TAR, 2011, 7-8; Tar Roma Lazio, sez. III quater, 13 marzo 2008,

n. 2304, in Foro it., 2008, III, 229, con nota di A. M. Perrino, Dalla flessibilità al rigore: la parabola del contratto a termine nel lavoro pubblico contrattuale; Tar Bologna Emilia Romagna, sez. I, 19

giugno 2008, n. 2696, in Lexitalia.it, 2008, 6. 261 Cons. Stato, Sez. V, 10 agosto 2010, n. 5541, in Red. Amm. CDS, 2010, n. 7; Appello Firenze, 16

luglio 2010, in Arg. Dir. Lav., 2011, 1, 186 ss., con nota di A. Lima, La stabilizzazione dei lavoratori a

termine e la nozione di procedura concorsuale ai fini dell'attribuzione della giurisdizione; Tar Puglia

19 gennaio 2008, n. 125, in Foro It., 2008, III, col. 419;

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All'interno di quest’ultimo, si inserisce una recente pronuncia del Consiglio di

Giust. Amm. della Sicilia secondo cui «sono devolute alla giurisdizione del giudice

amministrativo le controversie concernenti la stabilizzazione, effettuata ai sensi

dell'art. 1, comma 558 l. 27 dicembre 2006 n. 296, quando venga proposta domanda

di annullamento della relativa graduatoria stilata a conclusione di apposita procedura

selettiva»262

. Fondando la propria decisione da un lato, sugli indici formali e

sostanziali, caratteristici della concorsualità in cui si estrinsecano poteri “tecnico-

discrezionali” e, dall'altro, sull'espressa qualificazione della domanda da parte del

ricorrente in termini di “annullamento”, ha così ritenuto sussistente la giurisdizione

amministrativa.

Innanzi ad una giurisprudenza più o meno consolidata, parte della dottrina, con

considerazioni che possono, in astratto, essere estese anche alle procedure di

mobilità263

, ha sottolineato come spesso per l'esperibilità delle procedure di

stabilizzazione sia necessario un preventivo momento comparativo fra diversi i

aspiranti al posto di ruolo, «attesa l'inadeguatezza dei mezzi finanziari a disposizione,

ed il limitato numero di posti, determinato, quanto meno, dalle capienze delle piante

organiche»264

.

Secondo questa ricostruzione, dunque, innanzi ad un numero superiore di

domande di stabilizzazione rispetto ai posti resisi disponibili, l'amministrazione deve

prevedere criteri selettivi per operare la scelta degli aspiranti dipendenti. Conseguenza

262 Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giur., 19 maggio 2011, n. 366, in Foro amm. CDS, 2011, 5, 1703. 263 M. Miscione, Mobilità fra p.a.: effetti indiretti di sentenza di accertamento, in Lav. Giur., 2001, 7, 663 ss. secondo cui la procedura concorsuale potrebbe essere necessaria «se partecipassero più

concorrenti ... per posti in diversa amministrazione». 264 F. G. Dauno Trebastoni, Le stabilizzazioni nella L. 27.12.2006 n. 296: profili di giurisdizione e di

incostituzionalità, relazione al Convegno organizzato dall'A.G.I. “Le novità in materia di pubblico

impiego: tra leggi, memorandum e disegni di legge”, Catania, 21 aprile 2007, in www.giustizia-

amministrativa.it.

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di tale assunto è la sussistenza della giurisdizione amministrativa265

.

La ricostruzione, tuttavia, non appare convincente. Al di là delle considerazioni

di carattere generale, per cui non sembra potersi dubitare che le procedure de quo

esulino dall'area di pertinenza del comma 4 dell'art. 63, essa sembra dipendere da una

circostanza che, sebbene nella prassi si verifica con frequenza, risulta del tutto

estrinseca ed accidentale, ovvero l'esubero delle domande rispetto ai posti disponibili.

Tuttavia un'annotazione è d'obbligo. Potrebbe, infatti, dubitarsi della legittimità

dell'accesso alle pubbliche amministrazioni, con riferimento all'art. 97 Cost., del

personale “stabilizzato” che non abbia mai partecipato a procedure concorsuali per

l'assunzione.

La questione si inserisce nella problematica più generale della conformità a

legge delle assunzioni a termine nel pubblico impiego, in assenza di procedure

concorsuali, ma pur sempre nel rispetto dei principi del buon andamento e

dell'imparzialità266

e della non irragionevolezza267.

265 D. Serra, L. Busico, La stabilizzazione dei precari del pubblico impiego, in Lav. Giur., 2009, 12,

1204 ove si richiama in giurisprudenza Tar Milano Lombardia, sez. III, 29 gennaio 2009, n. 1011, in

Lexitalia.it, 2009, 2. 266 Sull'argomento in generale v. L. Zappalà, La trasformazione del lavoro pubblico nel prisma delle

politiche di reclutamento. Il caso del “diritto all’assunzione”, cit., 280-281; B. Gagliardi, Principio del

pubblico concorso e professionalità dei pubblici funzionari, in Foro amm. CDS, 2009, 12, 2799 secondo cui «se il concorso si impone a prescindere dal regime di diritto pubblico o di diritto privato,

esso è del pari indipendente dalle caratteristiche concrete del rapporto: a tempo determinato o

indeterminato, pieno o parziale. La costituzione di un rapporto a tempo determinato, o disciplinato da

una c.d. «forma contrattuale flessibile» per rispondere ad «esigenze temporanee ed eccezionali», può al

più giustificare una semplificazione della procedura, che deve comunque rispondere ai principi di

adeguata pubblicità, imparzialità, economicità e celerità, rispetto delle pari opportunità, ecc. (d.lg. n.

165 del 2001, cit., art. 36, comma 2)». In giurisprudenza v. Cass., sez. un., 15 gennaio 2010, n. 529, in

Red. Giust. civ. Mass., 2010, 1 per cui «in tema di impiego pubblico, sono devolute alla giurisdizione

del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 63, comma 4, D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione a tempo determinato di personale di una Comunità

montana, posto che a dette procedure si applicano le norme generali, discendenti dal principio di cui al

comma 3 dell'art. 97 cost., che governano la gestione dei concorsi pubblici, le quali non hanno ragione

di essere derogate per il solo fatto che l'assunzione sia stata effettuata con contratti a termine, in

funzione dell'esecuzione di uno specifico progetto, ed il bando di concorso abbia considerato una

selezione per soli titoli, senza prevedere lo svolgimento di prove d'esame».

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La stessa Cassazione, nell'affrontare la questione, ha cercato di tracciare alcune

coordinate entro le quali il problema dovrebbe trovare soluzione.

In particolare, le Sezioni Unite, per sostenere la sussistenza della giurisdizione

ordinaria, hanno fissato i seguenti principi:

«a) i processi di stabilizzazione (tendenzialmente rivolti ad eliminare il

precariato venutosi a creare in violazione delle prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 165 del

2001, art. 36), sono effettuati nei limiti della disponibilità finanziarie e nel rispetto

delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di programmazione triennale dei

fabbisogni (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 6);

b) la deroga delle normali procedure di assunzione concerne il carattere di

assunzione riservata e non aperta, ma non il requisito del possesso del titolo di studio

per l'accesso dall'esterno nelle singole qualifiche previsto dai sistemi di

classificazione, né la regola del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 1, dell'accesso

tramite procedure selettive, siccome la stabilizzazione di personale che non abbia

sostenuto "procedure selettive di tipo concorsuale", è subordinata al superamento di

tali procedure; le procedure selettive sono escluse soltanto per il personale assunto

obbligatoriamente o mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento

(procedure previste da norme di legge);

c) conseguentemente, le amministrazioni, con riguardo al personale da

stabilizzare che ha già sostenuto "procedure selettive di tipo concorsuale" (è questa

l'ipotesi che ricorre nel caso di specie), non "bandiscono" concorsi, ma devono

limitarsi a dare "avviso" della procedura di stabilizzazione e della possibilità degli

267 Corte cost. 10 maggio 2005, n. 190, in Foro Amm., 2005, 1329; Corte cost. 9 novembre 2006, n.

363, in Giur. It., 2008, 1, 39.

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interessati di presentare la domanda;

ci) d) la legge, quindi, non attribuisce all'amministrazione il potere di

selezionare il personale mediante prove di esame o valutazione di titoli professionali,

dovendosi procedere, ove le domande siano superiori al numero di assunzioni a tempo

indeterminato decise, esclusivamente alla formazione di una graduatoria secondo

l'ordine di priorità desumibile dalle stesse disposizioni normative (maturazione del

requisito di tre anni; maturazione dello stesso requisito presso diverse

amministrazioni; contratto anteriore al 29 settembre 2006 e requisito dei tre anni

ancora da maturare) e sulla base dell'anzianità di servizio, potendosi ammettere

soltanto la previsione di ulteriori titoli, anche riferiti all'esperienza professionale, per

il caso di pari anzianità.

e) la regolamentazione legislativa, pertanto, sottraendo le procedure di "

stabilizzazione " all'ambito di quelle concorsuali di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art.

63, comma 4, nonché alle ipotesi "nominate" di poteri autoritativi nell'ambito del

lavoro pubblico (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1), colloca le controversie

inerenti a tali procedure nell'area del "diritto all'assunzione" di cui all'art. 63, comma

1»268

.

Riassumendo, dunque, se mai possa residuare uno spazio alla giurisdizione

amministrativa in materia di procedure di stabilizzazione, esso dovrebbe riguardare,

come è stato ribadito recentemente, solo quelle procedure selettive cui

l'amministrazione «può far ricorso … per individuare il personale da assumere» ove

manchi il presupposto essenziale costituito dal superamento di precedenti procedure

selettive di tipo concorsuale. Laddove, invece, quest'ultimo si sia realizzato,

268 Cass., sez. un., 7 luglio 2010, n. 16041, in Giust. civ. Mass., 2010, 7-8, 1020.

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l'amministrazione «non deve bandire alcun concorso ma solo dare avviso dell'avvio

della relativa procedura e della possibilità per gli interessati di presentare la domanda»

ed il relativo contenzioso è conosciuto dal giudice ordinario269

.

3.4 Le graduatorie del personale della scuola

All’interno del panorama interpretativo sulle procedure concorsuali per l'assunzione,

già di per sé alquanto incerto, si inserisce l’ulteriore questione della giurisdizione sul

contenzioso relativo alle graduatorie del personale ATA e del personale docente della

scuola, per cui si assiste ad una consistente proliferazione delle pronunce

giurisprudenziali da parte dei tribunali amministrativi e di quelli ordinari.

Si rende necessario, dunque, ai fini di questa trattazione, qualche cenno sulla

legislazione scolastica in materia di assunzioni.

Il reclutamento del personale ATA è affidato, ai sensi degli artt. 553-557 del

D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297270

ad un sistema a "doppio canale": i posti vacanti e

disponibili sono, infatti, ripartiti nella misura del 50% tra i concorsi per titoli ed esami

e le graduatorie permanenti a formazione e gestione provinciale; queste ultime

vengono integrate periodicamente con l'inserimento di coloro che hanno superato le

prove dell'ultimo concorso per titoli ed esami, senza essere risultati "vincitori di

posto", nonché di coloro che hanno chiesto il trasferimento dalla corrispondente

graduatoria permanente di altra provincia; oltre all’inclusione dei nuovi aspiranti, è,

poi, previsto l’aggiornamento del punteggio di coloro che sono già ricompresi nella

269 Cass., sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1778, in Giust. civ. Mass., 2011, 1, 112. 270 Intitolato «Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, relativo ai concorsi

per soli titoli».

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graduatoria, attraverso la presentazione dei nuovi titoli nel frattempo maturati.

Una disciplina sostanzialmente analoga era prevista dalla originaria

formulazione dell’ art. 401 dello stesso D.Lgs. n. 297/1994 per il personale docente

della scuola di ogni ordine e grado.

Prescindendo qui dalla ricognizione di tutte le tappe legislative che, con ritmo

incalzante e irregolare271

si sono succedute negli ultimi anni, basterà accennare al fatto

che dopo il superamento del doppio sistema di reclutamento, realizzato con

l’istituzione, nel 1999272

, di un’unica graduatoria permanente, periodicamente

aggiornata, la finanziaria del 2007273

ha previsto la “cristallizzazione” della

graduatoria stessa, significativamente denominata “ad esaurimento”274

: è inibito

l’ingresso di nuovi candidati esterni ma è fatta salva la facoltà gli aspiranti già

utilmente collocati di aggiornare periodicamente il punteggio.

Fatta questa premessa, per comprendere la natura giuridica di tali procedure e

conseguentemente riprendere il discorso sulla individuazione della giurisdizione

competente, sarà necessario partire dall’esame della più recente giurisprudenza in

materia, dalla quale si può senz’altro rilevare una progressiva tendenza a definire in

maniera sempre più specifica e dettagliata la nozione di “procedura concorsuale per

271 Strettamente connessi con l’evoluzione legislativa in materia di abilitazione all’insegnamento, per

cui si rinvia alla dettagliata ricostruzione di L. Sposato, Graduatorie a esaurimento e riparto di

giurisdizione. L’amministrazione-datore di lavoro tra poteri “privati” e pubbliche “virtù”, articolo del

3 settembre 2009, pubblicato in www.altalex. com 272 Legge 3 maggio 1999, n. 124, intitolata «Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico». 273 Legge 27 dicembre 2006, n. 296, la cui finalità è quella di «dare adeguata soluzione al fenomeno

del precariato storico e di evitarne la ricostituzione, di stabilizzare e rendere più funzionali gli assetti

scolastici, di attivare azioni tese ad abbassare l’età media del personale docente» (art. 1, comma 605, lett. c). 274 Fatte salve anche dalla normativa successiva cioè dalla finanziaria per l’anno 2008 (L. 24

dicembre 2007 n. 244) che, rimettendo alla potestà regolamentare del MIUR la disciplina dei requisiti e

delle modalità in merito alla formazione iniziale ed all’attività procedurale per il reclutamento del

personale docente, reintroduce il meccanismo della procedura concorsuale (concorso ordinario) da

bandire con cadenza biennale.

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l’assunzione”. Sono generalmente definite strictu sensu “concorsuali” quelle

procedure che iniziano con l’emanazione di un bando, che sono caratterizzate dalla

valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria,

la cui approvazione individuando “i vincitori”, rappresenta l’atto terminale del

procedimento275

.

Se questi sono i tratti caratterizzanti il concorso per l’accesso al pubblico

impiego, necessario, secondo il dettato costituzionale di cui all’art. 97 Cost., è chiaro

che non dovrebbe restarvi compresa la fattispecie dell’inserimento in apposita

graduatoria di tutti coloro che siano in possesso di determinati requisiti – ancorché

derivanti dalla partecipazione a precedenti concorsi – che è preordinata al

conferimento dei posti di lavoro che solo eventualmente si renderanno disponibili276

.

Per la giurisprudenza maggioritaria, l’assenza di un bando, di una procedura di

valutazione e, soprattutto, dell'atto di approvazione, collocano l'ipotesi al di fuori

della fattispecie concorsuale: spetta, dunque, al giudice ordinario tutelare la

pretesa all'inserimento e alla collocazione in graduatoria; pretesa che ha ad

oggetto la conformità a legge degli atti di gestione nella graduatoria utile per

l'eventuale assunzione277

.

Tale principio sarebbe ormai incontroverso, anche nella giurisprudenza

amministrativa278

, per le controversie relative alle graduatorie del personale ATA.

275 Ex multis Cass., sez. un., ord. 13 febbraio 2008, n. 3399, inedita; Cass., sez. un., ord. 3 febbraio

2004, n. 1989, in Lav. pubbl. amm., 2004, 1, 226 con nota di G. Misserini, Assunzione in ruolo del

personale ATA della scuola e conseguente riparto di giurisdizione; Cass., sez. un., 22 luglio 2003, n. 11404, in Giust. civ., 2004, fasc. 3, I, 816; Cass., sez. un., 23 novembre 2000, n. 1203, in Giur. It.,

2001, fasc. 5, 1035; Trib. Bari, 26 agosto 2008, inedita. 276 Cass., sez. un., 20 giugno 2007, n. 14290, in Rep. Foro it., 2007, voce “Impiegato dello Stato e

pubblico” [3440], n. 288. 277 Ex multis Cass., sez. un., ord. 13 febbraio 2008, cit. 278 Tra le più recenti, TAR Brescia Lombardia, sez. II, 19 maggio 2009, n. 1052, si spinge ad

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In relazione al personale docente, invece, solo da ultimo, dopo una serie di

oscillazioni, è stata raggiunta una linea comune, condivisa dal giudice amministrativo

e da quello ordinario279

.

Innanzi ad una consolidata giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite280

,

seguita da alcune pronunce del Tar281

, ferme nel devolvere le controversie in

questione al giudice del lavoro, non sono, infatti, mancate, ricostruzioni, nella

giurisprudenza amministrativa di segno opposto282

, secondo cui «la corretta

assegnazione dei punteggi e il riconoscimento dei titoli costituiscono momenti

autoritativi di una procedura selettiva, finalizzata al reclutamento, a cui corrispondono

interessi legittimi al rispetto dei parametri di legalità, imparzialità e buon andamento

dell'amministrazione» certamente rimessi alla cognizione del giudice

amministrativo283

.

Alla ricostruzione del giudice ordinario, fondata non solo sull'assenza dei

requisiti caratterizzanti il concorso ma anche sui pilastri della riforma di

privatizzazione come gli art. 5 e 63 del D. Lgs. n. 165/2001, si è così, da sempre,

affermare che in tali ipotesi «vengono in questione atti che non possono che restare compresi tra le

determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato». 279 Si segnalano in materia di graduatorie di circolo e d'istituto due pronunce contrastanti dei tribunali

di merito: Trib. Taranto, 7 febbraio 2002, in Lav. Giur., 2002, 12, 1176 con nota di G. Misserini,

Giurisdizione e tutela d'urgenza in materia di supplenze scolastiche e Trib. Modica, ord., 15 gennaio

2010, in Lav. Giur., 2010, 8, 815, con nota di A. Ferruggia, Itinerari interpretativi a confronto: la giurisdizione nel conferimento di supplenze nella scuola. 280

Cass., sez. un., 8 febbraio 2011, n. 3032, in Dir. Giust., 2011, 0, 42, con nota di L. G. Papaleo,

Qual è il giudice “naturale” in tema di G.A.E.?; Cass., sez. un., 10 novembre 2010, n. 22805, in Giust.

civ. Mass., 2010, 11, 1424; Cass., ez. un., 16 giugno 2010, n. 14496, in Guida al diritto, 2010, 47, 70;

Cass., sez. un., ord. 13 febbraio 2008, cit., che faceva seguito a Cass. n. 11563 del 2007, inedita, e a

Cass. 20 giugno 2007, n. 14290, in Giust. civ. Mass., 2007, 6. 281 Tar Bologna Emilia Romagna, 21 ottobre 2009, n. 1928, in Red. Amm. TAR, 2009, 10 e Tar Catania Sicilia, 24 novembre 2009, n. 1925, in Red. Amm. TAR, 2009, 11. 282 Cons. Stato, ad. plen., 24 maggio 2007, n. 8, in Guida al diritto, 2007, 25, 87, con nota di O.

Forlenza, Non convince l'attribuzione di giurisdizione dipendente dall'attività vincolata della "Pa";

Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2005 n. 2207 e Cons. Stato, sez. VI, 22 giugno 2004 n. 4447, in Foro

amm. CDS, 2004, 1807; Cons. Stato, sez. VI, 23 settembre 2002, n. 4838. 283 Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2009, n. 7617, in www.orizzontescuola.it.

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contrapposta la lettura più classica e tipicamente amministrativa, che fa leva sulla

configurabilità di un potere autoritativo del datore pubblico e sulla consistenza di

interesse legittimo della posizione soggettiva azionata dal ricorrente.

In qualche isolata pronuncia del Consiglio di Stato284

, per sostenere la

giurisdizione amministrativa, si è anche adoperato l'appiglio della mutata normativa

che ora prevede la “cristallizzazione” della graduatoria che diventa così definitiva e

“ad esaurimento”. Era stato, infatti, correttamente notato che mentre la graduatoria,

ultimata la procedura concorsuale vera e propria, subisce un processo di c.d.

cristallizzazione285

essendo possibile la sua utilizzazione solo per la sostituzione di un

vincitore rinunciatario ovvero per la copertura di eventuali posti della dotazione

organica resisi disponibili successivamente all'indizione nei rigorosi limiti temporali

di validità della stessa graduatoria, le graduatorie permanenti per l'accesso nei ruoli

della scuola non si consolidano mai286

, dovendo le stesse essere periodicamente

aggiornate e dunque essendo le stesse "fisiologicamente" mutevoli287

. L'argomento

non sembra però essere decisivo: la “cristallizzazione” delle nuove graduatorie “ad

esaurimento” equivale alla mancata possibilità di accesso dall’esterno da parte di

nuovi aspiranti, essendo invece espressamente tenuto fermo il diritto

all’aggiornamento del punteggio di coloro che sono già utilmente collocati in

graduatoria. Nulla sembra, dunque, essere cambiato da un punto di vista procedurale:

le graduatorie “ad esaurimento” non sembrano presentare caratteristiche diverse

284 Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2009, n. 7617, in www.orizzontescuola.it. 285 R. Di Pace, Graduatorie concorsuali ed idonei, in Giorn. dir. amm., 2002, 53. 286 L. Flore, Le graduatorie permanenti del personale A.T.A. della Scuola non sono un pubblico

concorso, in Lav. pubbl. amm., 2006, 2, 414. 287 G. Misserini, Assunzione in ruolo del personale ATA della scuola e conseguente riparto di

giurisdizione, in Lav. pubbl. amm., 2004, 226.

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rispetto a quelle precedenti288

e non giustificano, conseguentemente, un mutamento

delle regole sulla giurisdizione.

Solo recentemente, a seguito della rimessione della questione all'Adunanza

Plenaria del Consiglio di Stato, da parte della VI sezione, il supremo giudice

amministrativo ha ritenuto di doversi allineare alla Cassazione, non solo sotto il

profilo del risultato, ma anche, e soprattutto, delle argomentazioni utilizzate. Alla

plenaria, infatti, che rigetta la lettura interpretativa offerta dalla sezione remittente

volta ad incardinare la giurisdizione amministrativa, appare evidente che nella

fattispecie della giusta posizione o collocazione nella graduatoria permanente o ad

esaurimento degli insegnanti, con riguardo alla natura della attività esercitata e alla

posizione soggettiva attiva azionata vengono in considerazione atti che non possono

che restare ricompresi tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del

datore di lavoro privato di fronte ai quali sussistono soltanto diritti soggettivi. Non

può, inoltre, per gli stessi giudici, allargarsi la nozione di procedura concorsuale, ai

sensi e per gli effetti dell'art. 63, comma 4, così da ricomprendere anche fattispecie a

quella estranea, caratterizzate dall'assenza di un bando, di una procedura di

valutazione e di una approvazione finale di graduatoria289

.

In virtù di tali considerazioni, deve ritenersi indubbiamente che tali controversie

- relative all’accertamento del diritto al collocamento o alla rettifica del punteggio e,

più in generale, alla “gestione” del personale in graduatoria - rientrino appieno tra

288 Così L. Sposato, Graduatorie a esaurimento e riparto di giurisdizione. L’amministrazione-datore

di lavoro tra poteri “privati” e pubbliche “virtù”, cit., secondo cui la novità legislativa non ha conseguenze tanto sulle modalità di selezione in sé, ma sulla scelta di fondo di ristrutturare – una volta

esaurite le posizione in graduatoria – i meccanismi di immissione in ruolo dei docenti e di assegnazione

delle supplenze. 289 Cons. Stato, ad. Plen., 12 luglio 2011, n. 11, in Urb. Appalti, 2011, 9, 1117, con nota di G. Ferrari

e L. Tarantino, La Plenaria sul riparto di giurisdizione in tema di procedure concorsuali per

l'assunzione nel pubblico impiego.

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quelle concernenti, genericamente, l’assunzione al lavoro (comma 1, art. 63, D.Lgs. n.

165/2001) e non tra quelle più specifiche delle procedure concorsuali per l’assunzione

(comma 4, art. 63, D. Lgs. 165/2001).

A ciò si aggiunga che è, probabilmente, anche fuorviante individuare la

giurisdizione competente, come fa la giurisprudenza, a seconda della previsione o

meno di alcune regole - emanazione di un bando, valutazione comparativa dei

candidati, compilazione finale di una graduatoria - che governano la procedura di

selezione del personale. Un simile ragionamento esclude sì la riconducibilità di una

procedura selettiva alla tipologia di quelle “concorsuali”, ma dimentica o sottovaluta

che un ulteriore elemento scriminante è rappresentato dalla successiva locuzione “per

l’assunzione”. In altre parole, una procedura concorsuale dovrebbe essere conosciuta

dal giudice amministrativo anche in mancanza di quegli elementi qualificatori, se

“finalizzata all’assunzione”; diversamente, una procedura non direttamente finalizzata

“all’assunzione”, come il caso in esame delle graduatorie del personale scolastico,

non dovrebbe appartenere alla giurisdizione amministrativa anche in presenza di

alcune di quelle regole “concorsuali”.290

290 Si veda ad esempio il caso dei concorsi interni e delle progressioni di carriera: M. Navilli,

Graduatorie concorsuali nel pubblico impiego: giurisdizione, diritto degli idonei allo scorrimento e

derogabilità della contrattazione collettiva, cit., 686, sottolinea come il riferimento alla finalità dell'assunzione, interpretato come primo accesso al lavoro, sia stato determinante in giurisprudenza per

escludere la competenza giurisdizionale amministrativa dalle controversie inerenti procedure selettive

che costituiscono solo sviluppi professionali di carriera e trovano il loro fondamento in un rapporto di

lavoro oramai costituito e in ordinaria evoluzione. Successivamente la Cassazione ha radicalmente

mutato indirizzo: Cass., sez. un., 15 ottobre 2003, n. 15403, con nota di L. Sgarbi, La Cassazione ci

ripensa: sui concorsi interni ha giurisdizione il giudice amministrativo, cit.

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3.5 Il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali

Con la privatizzazione del pubblico impiego, com'è noto, è stata attuata una

vasta opera riformatrice della dirigenza pubblica, nell’ambito della quale la materia

del conferimento degli incarichi ha, da sempre, costituito un nodo centrale ed alquanto

controverso.

Questo deriva certamente dalla posizione in cui essi si collocano: rappresentano,

infatti, la cerniera fra la disciplina privata del rapporto lavorativo e la rilevanza

pubblicistica dell’organizzazione291

.

Tutti gli interventi legislativi succedutisi incessantemente, a partire dagli anni

’90 fino ad oggi292

, hanno inteso valorizzare i principi della meritocrazia, della

legittimazione professionale del dirigente e della distinzione tra politica e

amministrazione, trasformando sostanzialmente il modello burocratico, dove il

dirigente è custode della legittima esecuzione amministrativa, con un modello di tipo

manageriale, in cui il dirigente è il gestore delle risorse umane e responsabile dei

291 A. Pioggia, Il principio di distinzione e gli atti di incarico dirigenziale. Giurisdizione e natura del

potere impiegato, in Astrid, 2007, 4. Di carattere “anfibio” parla G. D'Alessio, Gli incarichi di funzioni

dirigenziali, in F. Carinci (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche,

Commentario, Giuffrè, Milano, 2000, 714. 292 Si ricorda da ultimo la nuova disciplina della dirigenza contenuta nella Riforma Brunetta D.Lgs.

n. 150 del 2009 e parzialmente modificata con il d. l. ”Tremonti” n. 78 del 2010 su cui in dottrina v. S.

Battini, La Riforma Brunetta del lavoro pubblico, in Gior. Dir. Amm., 2010, 1,5; A. Boscati, Il

conferimento di incarichi dirigenziali e il nuovo sistema di accesso alla dirigenza, in Giur. it., n.

12/2010; . Carinci, Il secondo tempo della riforma Brunetta: il d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, cit.; B.

Caruso, Le dirigenze pubbliche tra nuovi poteri e responsabilità (il ridisegno della governace nella p.a

.italiane) in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’antona”, IT , n. 104, 2010; G. D'Alessio, Le norme sulla

dirigenza nel decreto legislativo di attuazione della legge delega n. 15/2009, in Astrid-online, 15

novembre 2009; Id., Incarichi dirigenziali: Tremonti “corregge” Brunetta, in Astrid, 2010, 2; A. Garilli, Il dirigente pubblico e il sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa

della P.A. in Giur. It., n. 12/2010; S. Mainardi, Il “dovere” del dirigente di sanzionare il demerito: il

procedimento disciplinare, in Giur. It., n. 12/2010; M. Martone, La c.d. riforma Brunetta e il ruolo

strategico del dirigente nella realizzazione dei suoi obiettivi, in Giur. It., n. 12/2010; M. Persiani,

Introduzione a Il tema della riforma della dirigenza pubblica, in Giur. It., n. 12/2010; R. Salomone, La

responsabilità dirigenziale oltre i confini della prestazione individuale, in Giur. It., n. 12/2010.

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risultati293

.

La ricostruzione della dirigenza in chiave privatistica, incisivamente attuata con

i D.Lgs. nn. 80 e 387 del 1998, risulta perfettamente coerente con la devoluzione al

giudice ordinario delle controversie relative al conferimento degli incarichi

dirigenziali, espressamente richiamati dall'art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001.

Eppure i numerosi dubbi avanzati in dottrina e in giurisprudenza sul versante

della disciplina sostanziale si sono inevitabilmente ripercossi sul profilo processuale

relativo all'individuazione della giurisdizione competente.

Il punto di partenza è, come noto, l’art. 19, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001

secondo cui il conferimento degli incarichi si scinde in due atti diversi: il

conferimento vero e proprio, che può assumere, a seconda dei casi, la forma del

decreto del Presidente della Repubblica, il decreto del Presidente del Consiglio dei

Ministri o la determinazione del dirigente preposto all’ufficio dirigenziale generale,

cui accede un contratto ove – prima della novella del 2002 - erano definiti l’oggetto,

gli obiettivi, la durata e il trattamento economico. Una delicata questione

interpretativa riguardava, già allora, la natura dell'atto di conferimento dell’incarico.

L'ampio dibattito sviluppatosi intorno all'argomento vedeva contrapposte

principalmente la tesi della natura amministrativa del provvedimento a quella della

concezione privatistica dell'atto stesso, in quanto inerente alla gestione del rapporto di

lavoro. Una posizione intermedia distingueva tra atti di conferimento degli incarichi

apicali, considerati provvedimenti amministrativi, e quelli attributivi dell’incarico ai

dirigenti di base, considerati atti privatistici294

.

293 Così S. Cassese, Il sofisma della privatizzazione del pubblico impiego, cit., 30 ss. 294 Per una ricostruzione delle varie opinioni vedi G. Nicosia, La dirigenza statale tra fiducia, buona

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Coerentemente all'impostazione pubblicistica, in punto di giurisdizione

venivano prospettate diverse soluzioni.

Si è affermato il mantenimento di una tutela binaria, amministrativa per l’atto

d’incarico impugnato dal terzo aspirante all’incarico e ordinaria per il contratto ad

esso collegato concernente le controversie ipotizzabili tra il dirigente assunto ed il

datore di lavoro295

. D'altra parte, facendo leva sulla devoluzione per materia al giudice

del lavoro, si è ritenuta la concentrazione del contenzioso sugli incarichi dirigenziali

su questo giudice cui spetterebbe il potere di cognizione anche sugli atti

amministrativi, comprensivo anche di quello di annullamento296

.

In merito a tale ultimo punto si è anche espressa la Corte Costituzionale che ha

dichiarato priva di fondamento la questione di costituzionalità dell’art. 18 del decreto

legislativo 29 ottobre 1998, n. 387, nella parte in cui ha devoluto al giudice ordinario

le controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, con

riferimento agli artt. 76 e 77 Cost. per asserito eccesso di delega rispetto all’art. 11,

comma 4 lett. g), l. 59/1997 che non avrebbe prefigurato una giurisdizione esclusiva

del giudice ordinario estesa anche agli interessi legittimi nella materia in esame297

.

La Corte non ha dubbi in ordine alla legalità e coerenza dell'attribuzione al

giudice ordinario delle controversie relative al conferimento di incarichi dirigenziali.

fede ed interessi pubblici, in Dir. Lav. Rel. ind., 2003, 253. 295 G. D'Alessio, Gli incarichi di funzioni dirigenziali, in F. Carinci e M. D’Antona (diretto da), Il

lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, cit. 774. In giurisprudenza v. Trib. Parma, 28

marzo 2001, in Giust. it., n. 4-2001, 4; Trib. Napoli, 10 dicembre 1999, in Lav. pubbl. amm., 2001, 254. 296 F. Miani Canevari, Privatizzazione del pubblico impiego e giurisdizione del giudice ordinario, in Lav. pubbl. amm, 2001, 769. 297 Trib. Genova, ord. 22 settembre 2000, n. 753, in Lav. pubbl. amm., 2001, 181. Nel senso della

giurisdizione esclusiva del giudice ordinario v. in giurisprudenza Corte di Appello L'Aquila, 8 gennaio

2002, in Lav. pub. amm., 2002, 625; Tar Friuli Venezia Giulia, 18 dicembre 1999, 1282, in Lav. pub.

amm., 2001, 224; Pret. Roma, 20 maggio 1999, in Giust. civ., 2000, I, 269; Trib. Roma, recl. 12 ottobre

2000, in www.formez.it; Trib. Potenza, ord. 16 novembre 1999, in Lav. pub. amm., 2001, 230.

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Tuttavia non può non notarsi come essa abbia, innanzitutto, bypassato il problema

della natura giuridica dell'atto di conferimento affermando che «quale sia la

configurazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti ed in particolare quello

dei dirigenti ... certamente il legislatore delegante e quello delegato, in attuazione

della delega, hanno voluto modellare e fondare tutti i rapporti dei dipendenti della

amministrazione pubblica (compresi i dirigenti) secondo il regime di diritto privato

del rapporto di lavoro»298

; e come, in secondo luogo, non sembra trovare soluzione in

merito alla natura della giurisdizione del giudice ordinario. Per un verso, infatti,

nell'asserire che «resta rimesso alla scelta discrezionale del legislatore ordinario -

suscettibile di modificazioni in relazione ad una valutazione delle esigenze della

giustizia e ad un diverso assetto dei rapporti sostanziali - il conferimento ad un

giudice, sia ordinario, sia amministrativo, del potere di conoscere ed eventualmente

annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti,

secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste», sembra ipotizzare

una cognizione esclusiva299

del giudice ordinario; ma per altro, subito dopo, pare

accantonare questa ipotesi, affermando che «il legislatore ha voluto che, sia pure

tenendo conto della specialità del rapporto e delle esigenze del perseguimento degli

interessi generali, le posizioni soggettive degli anzidetti dipendenti delle pubbliche

amministrazioni, compresi i dirigenti di qualsiasi livello, fossero riportate, quanto alla

tutela giudiziaria, nell’ampia categoria dei diritti di cui all’art. 2907 Cod. Civ. come

intesa dalla più recente giurisprudenza di legittimità»300

.

298 Corte cost. 23 luglio 2001, n. 275, in Lav. pubbl. amm., 2001, 619. 299 Questa è la lettura di G. D'Alessio, Incarichi dirigenziali, riparto di giurisdizione e poteri del

giudice ordinario, in Lav. pubbl. amm., 2001, 3-4, 631 ss. 300 L'anomalia delle motivazioni è messa così in evidenza da D. Iaria, Il riparto di giurisdizione nel

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La ricostruzione in chiave pubblicistica è stata giustamente avversata da

un'attenta dottrina, e avallata da alcune pronunce giurisprudenziali301

, secondo cui la

natura contrattuale degli incarichi dirigenziali dovrebbe trasmettersi «all'atto di

conferimento fa[cendo] assumere agli atti amministrativi che ne accompagnano

l’attribuzione funzione meramente ricognitiva o, comunque, tale da farli assorbire

dall’accordo stipulato tra amministrazione e dirigente»302

.

La stessa Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sull'argomento, ha

chiarito che il conferimento dell’incarico dirigenziale «costituisce esso medesimo

esercizio di un potere privato, perché presuppone già compiute dai competenti organi

di indirizzo le scelte organizzative di tipo strutturale, identificative dell’ufficio alla cui

copertura il conferimento stesso è destinato» e ha, dunque, affermato la giurisdizione

ordinaria303

.

A seguito della riscrittura dell’art. 19 ad opera del D.Lgs. 145/2002, il dibattito

si è riacceso ed acuito, poiché è stata sostenuta una sorta di “ripubblicizazzione”304

degli incarichi dirigenziali, il cui atto di conferimento, qualificato come

«provvedimento», sarebbe un atto amministrativo, restando al contratto la sola

funzione di definire il trattamento economico305

, con il conseguente pericolo di un

«diffuso ricorso alla giurisdizione di legittimità»306

.

contenzioso del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, in

www.fondazioneforensefirenze.it 301 Corte d’Appello di L’Aquila, 8 gennaio 2002, cit. 302 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1225 303 Cass., sez. un., 11 giugno 2001, n. 7859, in Foro it., 2002, I, 2996. 304 Così è definita da G. D’Alessio, B. Valensise, Incarichi di funzioni dirigenziali, in F. Carinci, L.

Zoppoli (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2004, cit., 1061. 305 G. D’Auria, La privatizzazione della dirigenza pubblica, fra decisioni delle corti e ripensamento

del legislatore, in Foro it., 2002, 2965. 306 L. Oliveri, la legge 145/2002 e gli effetti sulla giurisdizione relativa al conferimento degli

incarichi dirigenziali, in Giust. Amm., 2002, 1155.

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A sostegno di questo indirizzo si è schierato, già all'indomani dell'entrata in

vigore del D.Lgs. n. 145/2002, il Dipartimento della Funzione Pubblica nella cui

Circolare del 31 luglio del 2002 si legge «Nel nuovo assetto normativo della

dirigenza, l’atto di conferimento dell’incarico assume connotazione provvedimentale,

ponendosi come determinazione conclusiva di un apposito procedimento

amministrativo, nel quale si manifesta l’interesse pubblico correlato al perseguimento

degli obiettivi definiti dall’organo di indirizzo politico-amministrativo. La legge

qualifica espressamente l’atto di assegnazione delle funzioni dirigenziali come

provvedimento, ponendo in rilievo il carattere unilaterale della determinazione … Ne

deriva che l’attività riguardante il conferimento degli incarichi, anche in mancanza di

apposita disciplina di dettaglio, è assoggettata ai principi generali del procedimento

amministrativo, con particolare riguardo alle regole partecipative ed all’obbligo

dell’amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti destinatari

dell’atto conclusivo»307

.

Nello stesso senso, si è espressa parte della dottrina che ha letto nell'intervento

legislativo un rafforzamento del valore dell'atto di conferimento rispetto al

contratto308

: il primo assume rilievo centrale; il secondo, l'accordo negoziale, è

relegato al piano meramente accessorio ed ausiliario, destinato a regolare solo gli

aspetti patrimoniali.

Secondo un orientamento opposto, invece, nonostante l'apparente

«ammministrativizzazione» non può rilevarsi «un'inversione della tendenza alla piena

307 Circolare pubblicata nella G.U. 5 agosto 2002, n. 183. 308 C. D'Orta, Gli incarichi dirigenziali nello Stato dopo la L. 145/2002, in Lav. pubbl. amm., 2002,

6, 929, secondo cui «appare ben difficile poter attribuire all'atto di conferimento-preposizione alle

funzioni dirigenziali forma e sostanza diverse da quelle del provvedimento amministrativo».

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“privatizzazione” del rapporto di lavoro anche della dirigenza»309

.

E' vero, infatti, che l'impostazione privatistica del rapporto di lavoro

dirigenziale, infatti, non può essere incrinata né dal «tutto sommato debole argomento

costituito dal nomen iuris (“provvedimento”)» né dal «ridimensionamento del

contenuto assegnato al contratto»310

.

In primo luogo, infatti, non può essere determinante il dato letterale che

qualifica l’atto di conferimento come “provvedimento” perché ove volesse

considerarsi insuperabile bisognerebbe, a fortiori, ritenere non casuale il fatto che il

legislatore non abbia fatto seguire il termine “provvedimento” dall’aggettivo

“amministrativo”311

costantemente presente, invece, nelle norme che disciplinano gli

atti di esercizio del potere pubblico312

; in secondo luogo, non essendo plausibile che il

contratto individuale sia deputato alla sola determinazione del compenso, potendo

facilmente esporsi ad eccezioni di nullità, potrebbe ritenersi tranquillizzante una

lettura che considera il provvedimento come una proposta unilaterale di incarico, la

cui accettazione ha l'effetto che il provvedimento venga inglobato dal contratto313

.

Queste considerazioni possono essere integrate da significativi dati sistematici.

Sono così sembrati decisivi sia l'art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001 che attribuisce al

309 M. P. Chiti, La legge Frattini e il riparto di giurisdizione, in Lav. pubbl. amm., 2003, 2, 246. Nello

stesso senso, v. G. D'Alessio, La legge di riordino della dirigenza: nostalgie, antilogie ed amnesie, in

Lav. pubbl. amm., 2002, 02, 213 secondo cui il ricorso ad un una qualificazione in senso pubblicistico

degli atti di conferimento degli incarichi - al di là dei problemi di coerenza con quello che anche di

recente è stato definito come il «contesto della generalizzata privatizzazione del rapporto di impiego

dei dirigenti» - può essere, eventualmente, giustificato in termini di opportunità (se non altro, al fine di

porre termine alla querelle sviluppatasi negli ultimi anni attorno alla natura di tali atti), ma non si può

affermare che esso costituisca una scelta giuridicamente ed istituzionalmente obbligata. 310 A. Corpaci, Il nuovo regime del conferimento degli incarichi dirigenziali e la giurisdizione sugli

incarichi dirigenziali, in Lav. pubbl. amm., 2003, 2, 225. 311 L. Menghini, La disciplina degli incarichi dirigenziali, in Lav. Pubbl. Amm., 2002, 06, 1005 ss. 312 Cass. 20 marzo 2004, n. 5659, in Lav. Pubbl. Amm., 2004, 153 ss. con nota di A. Boscati, Atto di

conferimento dell'incarico dirigenziale: la Cassazione ne riafferma la natura privatistica. 313 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1230.

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regime pubblicistico «i modi di conferimento della titolarità» degli uffici, non il loro

concreto conferimento sia l'art. 5, comma 2, dello stesso decreto ove si afferma la

natura privatistica delle «determinazioni per l'organizzazione degli uffici e per la

gestione dei rapporti di lavoro» «nell'ambito ... degli atti organizzativi di cui

all'articolo 2, comma 1». Dal combinato disposto delle due norme citate si è così

correttamente ricavata la natura privatistica dell'atto di conferimento che dovrebbe

oggi svolgere la «funzione di determinare con maggiore precisione l'oggetto della

prestazione da lui dovuta (oggetto e durata dell'incarico, obiettivi da perseguire) sul

quale misurare, successivamente, l'esatto adempimento delle sue obbligazioni»314

.

Alla linea “privatistica” ha mostrato di aderire apertis verbis il giudice di

legittimità per cui, secondo la disciplina contenuta nell'art. 19, D.Lgs. n. 165/2001 -

sia con riguardo al testo originario, sia a quello modificato dall'art. 3 della l. 145/2002

- i provvedimenti di conferimento sono adottati dall’amministrazione con la capacità

ed i poteri del privato datore di lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 2, t.u. 165/2001.

Nel passare in rassegna le molteplici opinioni espresse, tutte suffragate da

argomentazioni indubbiamente consistenti, alla fine, la Corte conclude nel senso di

escludere la configurabilità di poteri e interessi legittimi: «soltanto la prospettiva del

potere privato e dei diritti consente, infatti, di tutelare la pretesa del dirigente a che

l'amministrazione tenga comportamenti positivi in adempimento di obblighi formali e

sostanziali, eventualmente specificati dalle clausole generali di correttezza e buona

fede»315

.

314 Così M. G. Garofalo, La dirigenza pubblica rivisitata, in Lav. pubbl. amm., 2002, 885; nella

giurisprudenza di merito v. Trib. Venezia, ord. 8 giugno 2000, in Lav. pub. amm., 2001, 248; Trib.

Bologna, 23 aprile 2001, in Lav. Giur., 2001, 1059. 315 Nello stesso senso in dottrina v. B. Cimino, La giurisdizione sugli incarichi dirigenziali: la

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L'argomento decisivo è, per la giurisprudenza, lo stesso art. 63 D.Lgs. n.

165/2001, rimasto immutato a seguito della riforma del 2002, che si concilia

perfettamente con il carattere privatistico dell’attribuzione dell’incarico dirigenziale e

che conferma la giurisdizione del giudice ordinario, «anche se, per avventura, il

provvedimento di cui all’art. 19, comma 2, del D.Lgs.165/2001 avesse natura

amministrativa»316

.

Il dato processuale è essenziale nelle motivazioni della Corte che, è bene

sottolinearlo, nel vagliare l'ipotesi di attribuzione di giurisdizione esclusiva al giudice

ordinario rinviene una persuasiva negazione nella formulazione dell'art. 63, comma 1,

ove si richiama espressamente non il potere di annullamento ma solo quello di

disapplicazione degli atti amministrativi "presupposti" e si specificano i poteri del

giudice ordinario con riferimento ai "diritti tutelati" e non certo agli interessi legittimi.

Com'è stato correttamente osservato, la Corte di Cassazione «messa di fronte

alla chiara lettera della legge, quale recepita dall'art. 63, comma 1, che attribuisce alla

giurisdizione ordinaria il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la

responsabilità dirigenziale, all'alternativa di riconoscerli quali provvedimenti

amministrativi (così configurando una giurisdizione esclusiva per materie, quindi dei

diritti e degli interessi) o declassarli ad atti privatistici (così rimanendo fedele alla

concezione classica di una giurisdizione dei diritti), ha optato per questa seconda

scelta»317

.

Scelta comprensiva di una lettura delle norme che, riconducendo il potere di

posizione del Consiglio di Stato, in Giorn. Dir. Amm., 2006, 9, 992 per cui il potere datoriale non è

arbitrario, ma limitato dai canoni della buona fede e della correttezza nell'agire privato. 316 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1227. 317 F. Carinci, La privatizzazione del pubblico impiego alla prova del terzo Governo Berlusconi:

dalla Legge 133/2008 alla Legge n. 15/2009, cit., 949.

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conferimento degli incarichi nella categoria dei poteri privati, sembra «costituire il

giusto punto di equilibrio tra le esigenze di flessibilità (perseguite con la

"privatizzazione") e quelle di garanzia del personale dirigenziale, con risultati

conformi ai precetti costituzionali»318

.

La posizione così espressa, nonostante qualche contraria pronuncia da parte

della giurisprudenza amministrativa319

, è stata ribadita in altre pronunce ove si legge

che «anche nell’assetto normativo delineato dalla l. 15 luglio 2002 n. 145…è devoluta

al giudice ordinario…con pienezza di tutela delle situazioni giuridiche coinvolte, la

cognizione di tutte le controversie concernenti il conferimento e la revoca di incarichi

dirigenziali…trattandosi in ogni caso di atti che concernono il funzionamento degli

apparati, appartenenti alla gestione dei rapporti di lavoro ed assunti con la capacità e i

poteri del privato datore di lavoro»320

.

Il dato certo è che «se c'era una implicita illusione che la riqualificazione

pubblicistica in termini di provvedimento di qualsiasi atto di conferimento potesse di

per sé provocare una modifica della giurisdizione, questa era mal fondata alla luce

della oramai concorde giurisprudenza costituzionale, amministrativa, ordinaria. Nella

318 Cass. 20 marzo 2004, n. 5659, cit. Anche se nota F. Carinci, La privatizzazione del pubblico

impiego alla prova del terzo Governo Berlusconi: dalla Legge 133/2008 alla Legge n. 15/2009, cit., questa appa(re) forzata rispetto ad una lettura sia storica sia sistematica della legge, nonché distonica

con riguardo alla crisi del criterio di ripartizione tradizionale, quale basato sulle posizioni soggettive e

non sulle materie; ma quel che qui conta è che la Corte di Cassazione ha finito per privilegiare nella

qualificazione degli atti contestati proprio la giurisdizione loro riservata, sì da qualificarli come

privatistici a prescindere dalla provenienza da un soggetto pubblico e dalla forma di provvedimenti

amministrativi in virtù dell'essere impugnabili di fronte alla magistratura ordinaria». 319 V. Tar Bari Puglia, sez. II, 14 dicembre 2001, n. 7900, in Foro amm., 2002, 3320; Cons. Stato,

sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2706, in Foro amm. CDS, 2005, 1412. 320 Cass., ord. 9 dicembre 2004, n. 22990, in Giust. Civ., 2005, I, 1392; v. anche Cass., sez. lav., 6 aprile 2005, n. 7131, in Foro it., 2005, I, 3071 con nota di G. D'Auria, Brevissime su incarichi e fedeltà

dei dirigenti statali; Cass. 22 febbraio 2006, n. 3880, in Mass. Giur. Lav., 2006, 796 con nota di E. M.

Barbieri, Considerazioni sulla tutela dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni davanti al giudice

ordinario; Cass., sez. Lav., 14 aprile 2008, n. 9814, in Foro it., 2009, 11, I, 3074, con nota di G.

D'Auria, Dirigenti pubblici: garanzie nel conferimento degli incarichi e tutela reale contro i

licenziamenti illegittimi (con brevi note sulla riforma della dirigenza nella "legge Brunetta").

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nuova logica di una giurisdizione ridistribuita anche per materie, perdono valenza

selettiva sia la qualificazione dell'atto in termini di pubblico o di privato, sia la

ricostruzione della posizione protetta in termini di interesse legittimo o diritto

soggettivo»321

.

La decisa ed univoca presa di posizione della giurisprudenza sembra dare,

dunque, per scontato che, avendo l'atto di conferimento natura privatistica, esso può

essere certamente annullato dal giudice ordinario che fa uso dei suoi normali poteri di

accertamento costitutivo322

.

Diversamente, aderendo alla tesi della natura amministrativa del

provvedimento, se si esclude la prospettabilità di una giurisdizione esclusiva del

giudice ordinario, deve convenirsi sull'azionabilità del potere di disapplicazione,

fuoriuscendo ogni altra soluzione dai confini tracciati dal legislatore e dalla

giurisprudenza.

L'impasse può allora essere superata aderendo a quella soluzione ermeneutica,

pienamente condivisibile, secondo cui l’atto di conferimento, sia esso privatistico o

pubblicistico, al momento dell'accettazione del dirigente viene recepito a tutti gli

effetti nel contratto. Una volta che il giudice ordinario, chiamato in causa, abbia

proceduto, nell'ambito dei suoi poteri, all'annullamento del contratto, non sarà più

necessaria alcuna azione nei confronti dell'atto di conferimento, poiché difficilmente

esso potrà esplicare effetti pregiudizievoli tali da rendere necessario l’annullamento e

321 F. Carinci, Regola maggioritaria, alternanza e bulimia riformatrice, in Lav. pubb. amm., 2002,

06, 837 ss. 322 C. Cordella, La natura giuridica dell'atto di conferimento dell'incarico dirigenziale e I problemi

di giurisdizione, in Lav. pubbl. amm., 2000, 392; Per F. Carinci, Regola maggioritaria, alternanza e

bulimia riformatrice, cit., 837 ss. se l'atto è «direttamente e immediatamente lesivo di un diritto del

singolo» esso sarà «annullabile a tutti gli effetti».

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125

anche la disapplicazione323

.

Ulteriori interrogativi sono stati posti nei casi in cui, per procedere alla nomina

del dirigente, si proceda preliminarmente a procedure di selezione volte ad

individuare il soggetto più idoneo all’incarico da ricoprire, poiché, ancora una volta,

se trattasi di procedure concorsuale finalizzata all’assunzione, le relative controversie

sarebbero attribuite al giudice amministrativo ai sensi del comma 4 dell'art. 63.

L’art. 63, invero, non sembra lasciare margini di dubbio nell’attribuire, senza

possibilità di eccezioni, tutte le controversie concernenti il conferimento e la revoca

degli incarichi dirigenziali al giudice ordinario.

E', così, stata affermata la giurisdizione ordinaria in merito al conferimento

degli incarichi sanitari di secondo livello, sul presupposto che in tali procedure la

commissione è chiamata ad esprimere non una valutazione comparativa tra gli

aspiranti ai fini della redazione di una graduatoria ma solo un giudizio di idoneità dei

medesimi a ricoprire l’incarico dirigenziale, mentre il conferimento dell’incarico, ad

opera del Direttore Generale, avviene nell’ambito di poteri di scelta espressivi della

capacità datoriale di diritto privato dell’ente sindacabile soltanto sotto il profilo delle

regole di correttezza e buona fede324

.

Le selezioni di cui trattasi non possono, condivisibilmente, essere qualificate

come procedure concorsuali o altre ad esse assimilabili, dirette alla formazione di una

graduatoria e alla proclamazione di un vincitore, cui spetta un diritto all’assunzione, e

come ha chiarito il Consiglio di Stato “l’individuazione del nominando avviene sulla

323 D. Borghesi, La giurisidzione del giudice ordinario, cit., 1228. 324 Cass., sez. un., 15 maggio 2003, n. 7623, in Foro it., 2003, 3384; Cons. Stato, sez. V, 12

novembre 2003, n. 7231, in Foro Amm. CDS, 2004,154 con nota di M. Montini, Gli incarichi di

direzione di struttura complessa e i dirigenti medici: questione di giurisdizione e natura degli atti della

relativa procedura; contra Tar Bologna, sez. I, 07 marzo 2001, n. 195, in Ragiusan, 2002, 223-4,420;

Tar Lazio, sez. III, 17 dicembre 2001, n. 11405, in Foro Amm. CDS, 2002, 171.

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base di una scelta di carattere essenzialmente fiduciario…escludendo che il

conferimento costituisca esercizio di attività amministrativa funzionalizzata e non

anche di attività libera, riconducibile alla capacità di diritto privato

dell’amministrazione”325

.

Più recentemente è stato chiarito espressamente che deve essere devoluta al

giudice ordinario la controversia concernente la selezione del dirigente per la

copertura dell'incarico, anche laddove la scelta sia confinata nell'ambito di una lista di

soggetti idonei in quanto dotati dei requisiti necessari poiché essa è il frutto di una

scelta comparativa di carattere non concorsuale in quanto non caratterizzata dallo

svolgimento di prove o selezioni sulla base di una "lex specialis", né dalla

compilazione di una graduatoria finale326

.

Deve infine indubbiamente convenirsi con un’attenta posizione dottrinale,

suffragata da parte della giurisprudenza327

, secondo cui, anche nel caso di

conferimento dell’incarico dirigenziale previa selezione che assuma le cadenze del

pubblico concorso, rimarrebbe ferma la giurisdizione ordinario. La previsione

legislativa, infatti, che attribuisce al giudice ordinario le controversie in materia di

incarichi dirigenziali prevale su quella più generale che devolve al giudice

amministrativo le controversie relative alle procedure concorsuali finalizzate

all’assunzione328

. Diversamente, dovrebbe riconsiderarsi la validità del criterio

dell'approvazione della graduatoria quale spartiacque tra le due giurisdizioni.

325 Cons. Stato, sez. V, 29 agosto 2005, n. 4402, in Cons. Stato, 2005, I, 1304. 326 Tar Napoli Campania, sez. VII, 20 gennaio 2009, n. 224, in Foro amm. Tar, 2009, 1, 196. 327 D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 26; Tar Friuli Venezia

Giulia, 18 dicembre 1999, in Lav. pubbl. Amm., 2001, 927, con nota di R. Salomone, Gli incarichi di

funzioni dirigenziali nel pubblico impiego; contra Tar Catanzaro Calabria, 26 ottobre 1999, in Giust.

Civ., 2000, 270. 328 Così D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit, 1229.

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127

3.6 La repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro

pubblico

La tematica relativa al riparto di giurisdizione in materia di repressione della

condotta antisindacale del datore di lavoro pubblico è una questione annosa che, solo

di recente, come si dirà avanti, pare abbia trovato approdo. Essa si è sviluppata

trasversalmente rispetto a quella più generale, e prioritaria, concernente la possibilità

e l'opportunità di esportare lo speciale meccanismo processuale ex art. 28 St. lav. per

la definizione delle controversie relative alla lesione dei diritti alla libertà e all’attività

sindacale, nell'universo del lavoro pubblico.

Dopo un lungo e faticoso cammino percorso dalla giurisprudenza329

le Sezioni

Unite della Cassazione, con una serie di sentenze del 1984, tracciano per la prima

volta il quadro della tutela contro la condotta antisindacale del datore pubblico.

In particolare, secondo la Suprema Corte, sussisteva: a) nel settore del pubblico

impiego statale, la giurisdizione del giudice ordinario in tema di diritti sindacali in

senso stretto, che poteva essere adito solo nelle forme ordinarie; b) nel settore degli

enti pubblici economici, la giurisdizione del giudice ordinario in tema di diritti

sindacali in senso stretto, che poteva essere adito, in questo caso, con il procedimento

speciale ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori, in applicazione dell’art. 37 dello

Statuto stesso; c) nel settore del pubblico impiego, statale e non, nel caso in cui la

condotta antisindacale avesse inciso su diritti sindacali facenti capo ad un dipendente

pubblico, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, secondo

329 V. Cass., sez. un., 6 maggio 1972, n. 1380, in Foro it., 1972, I, col. 1201; Cass., sez. un., 27

novembre 1974, n. 3872; Cass. 27 marzo 1975, n. 1158; Cass. 8 aprile 1975, n. 1267; Cass. 18

dicembre 1975, n. 4163; v. soprattutto Corte cost. 18 maggio 1976, n. n. 188, in Foro it., 1976, I, col.

1415 e Corte cost. 5 maggio 1980, n. 68, in Foro it., 1980, I, col. 1533 che dichiarano la non

utilizzabilità del perocedimento ex art. 28 St. lav. da parte del sindacato dei dipendenti statali.

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128

un’interpretazione “evolutiva” o “adeguatrice” dell’art. 29 del T.U. delle leggi sul

Consiglio di Stato; per evitare ogni “irrazionale possibilità di contrasto di giudicati su

una medesima situazione giuridica”, configurabile ove fosse consentito alle

associazioni sindacali di proporre l’azione innanzi al giudice civile330

.

Con l'ipotesi sub c) si optava, dunque, per una sorta di vis actrativa della

giurisdizione amministrativa, nel caso di condotta “plurioffensiva” ovvero di

comportamento allo stesso tempo lesivo dei diritti del sindacato e dei diritti del

lavoratore, come ad esempio, secondo la casistica giurisprudenziale, in caso di

licenziamento o di trasferimento per motivi antisindacali331.

In simili casi, come è stato correttamente osservato, la tutela - innanzi al giudice

ordinario per i diritti sindacali in senso stretto e a quello amministrativo nel caso di

condotta plurioffensiva – avrebbe corso il rischio di un frazionamento, nonostante

l'identità delle posizioni soggettive332

. A ciò si aggiunga la persistente difficoltà a

distinguere tra condotta mono e plurioffensiva, laddove, invero, quei comportamenti

che comunemente sono considerati “unioffensivi” finiscono sempre una qualche

interferenza con i diritti individuali o comunque sono tali solo “apparentemente”333

.

330 Cass., sez. un., 26 luglio 1984, nn. 4411, 4399, 4397, in Foro it., 1984, 2105. 331 Cass., sez. un., 17 febbraio 1992, n. 1916, in Mass. Giur. Lav., 1992, 12; Cass. 27 luglio 1990, n.

7589, in Dir. Prat. Lav., 1991, 1287. 332 A. Proto Pisani, Nota a Cass., sez. un., 26 luglio 1984, nn. 4411, 4399, 4397, 4390, 4389, 4386, in

Foro it., 1984, I, col. 2111. 333 E' stato autorevolmente notato che «i casi meno frequenti sono sempre stati quelli di

“unioffensività”, con lesione di diritti esclusivamente del sindacato senza interferenza diretta sui

singoli» v. M. Miscione, Garantismo d’effettività nella condotta normalmente plurioffensiva, inedito,

pagg. 6-8, dattiloscritto. Riportando alcuni esempi (trattative con sindacati di comodo, spostamento

unilaterale delle bacheche sindacali, trattamenti collettivi discriminatori) l'A. non può fare a meno di notare come in concreto in tutti questi ci sia sempre qualche interferenza con i diritti dei singoli

lavoratori, come avviene, soprattutto, nel caso emblematico della violazione degli obblighi

d’informazione, ove si chiede normalmente la rimozione degli effetti a favore anche dei singoli

lavoratori. Con particolare riferimento al pubblico impiego v. M. Rusciano, La condotta antisindacale

della pubblica amministrazione, in Lav. Dir., 1992, 39 che riporta il contrasto giurisprudenziale sulla

materia dei permessi sindacali che se ritenuti quale diritto sindacale in senso stretto rientrano nella

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Ciononostante, la sistemazione giurisprudenziale così tracciata ha influenzato il

legislatore che, con il successivo intervento legislativo del 12 giugno 1990, legge n.

146 in tema di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, ha

espressamente codificato il frazionamento della tutela giurisdizionale dei diritti

sindacali334

.

L’articolo 6 della suddetta legge ha, infatti, inserito all’art. 28 St. lav. due

ulteriori commi ove, con una equiparazione totale delle amministrazioni statali agli

enti pubblici economici, è stato previsto il ricorso al pretore, in funzione di giudice del

lavoro, in tema di repressione della condotta antisindacale, e la giurisdizione

amministrativa sul procedimento speciale, non solo quando il comportamento

denunciato fosse lesivo di situazioni soggettive inerenti al rapporto di impiego, ma se

ed in quanto le organizzazioni sindacali intendessero ottenere la rimozione dei

provvedimenti lesivi. In sostanza, al criterio della causa petendi (plurioffensività della

condotta), già di per sé alquanto labile, viene aggiunto l'ulteriore discrimen relativo al

petitum sostanziale, coincidente con la richiesta della rimozione del provvedimento

lesivo unitamente alla cessazione del comportamento antisindacale335

.

Come ha affermato la giurisprudenza successiva, l'art. 6 della legge n. 146/1990

ha, sostanzialmente, introdotto un «nuovo sistema di riparto della giurisdizione in

materia di condotta antisindacale relativa a rapporti di pubblico impiego» dato che la

giurisdizione amministrativa, «pur in presenza di comportamento antisindacale

plurioffensivo, è attualmente limitata ai soli casi in cui il sindacato intende ottenere

giurisdizione ordinario; se considerati diritti sindacali correlati a diritti individuali rientrano nella

giurisdizione amministrativa. 334 Così A. Proto Pisani, La tutela dei diritti sindacali nel pubblico impiego avanti le Sezioni Unite,

in Foro italiano, 1984, I, 2105. 335 V. F. P. Luiso, La repressione della condotta antisindacale dopo la riforma della legge sullo

sciopero nei servizi pubblici, in Riv. it. dir. Lav., 2001, 03, 247.

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non solo l'ordine di desistere dalla condotta antisindacale ma anche la rimozione degli

effetti del comportamento antisindacale plurioffensivo»336

.

Nonostante il diverso avviso della dottrina337

, secondo la giurisprudenza, le due

forme di tutela non avrebbero generato problemi di interferenze, proseguendo

autonomamente l’una dall’altra dato che, secondo la giurisprudenza, le due azioni

sarebbero diverse per i soggetti, per il petitum e per la causa petendi338

e la possibilità

di conflitto di giudicati nel caso di condotta plurioffensiva, era risolta attribuendo una

specie di “vis attractiva” alla giurisdizione amministrativa «rispetto ai diritti

sindacali, che pure costituiscono l’oggetto principale della tutela, solo

occasionalmente estesa alle situazioni soggettive individuali»339

.

Difficilmente, inoltre, il criterio del petitum si sostanzia in una libera scelta del

sindacato di adire la giurisdizione ordinaria o quella amministrativa340

poiché nei casi

«in cui l'unica manifestazione del comportamento antisindacale dedotto in giudizio

consista nell'avvenuta adozione di provvedimenti che incidono direttamente sulla

posizione soggettiva del pubblico dipendente con interferenza diretta nella sfera

giuridica del sindacato, atteso che, in tale ipotesi, anche se l'organizzazione sindacale

non abbia chiesto espressamente la revoca del provvedimento adottato nei confronti

del dipendente, la richiesta di immediata cessazione del comportamento antisindacale

336 Ex multis Cass., sez. un., 24 agosto 1999, n. 592, Mass. Giur. Lav., 1999, 1289. 337 G. Ghezzi, Prime riflessioni in margine alla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, in

Riv. Giur. Lav., 1990, I, 157 ss. secondo cui non può escludersi il contrasto fra il giudicato del giudice

del lavoro, adito dal sindacato che non scelga di chiedere la rimozione degli effetti, e del Tar adito dal

lavoratore. 338 Così R. Vaccarella, B. Sassani, Profili processuali, op.cit., p.470; vedi anche Cass., sez. un., 17

febbraio 1992, n. 1916, in Notiz. Giur. Lav., 1992, 372. 339 B. Sassani, Giurisdizione ordinaria, poteri del giudice ed esecuzione della sentenza nelle

controversie di lavoro con la pubblica amministrazione, cit., 429. 340 A. Riccobono, Condotta antisindacale e riparto di giurisdizione nell'impiego pubblico non

privatizzato, in Arg. Dir. Lav., 2011, 4-5, 1042.

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comporta, ai sensi del comma 1 del citato art. 28, la rimozione dei relativi effetti, per

cui il giudice è chiamato non solo a valutare la legittimità del comportamento

suddetto, ma anche, al fine di rimuovere gli effetti di tale condotta, a disporre la

revoca dei provvedimenti incriminati, revoca che rientra nella esclusiva competenza

del giudice amministrativo»341

. Il problema, già noto, che qui si ripropone è quello

della ammissibilità di una pronuncia di mero accertamento dell'antisindacalità della

condotta342

, volto ad ottenere un provvedimento «esemplare per il futuro»343

.

Il nuovo testo dell’art. 68 del D.Lgs. n. 29/1993, così come congegnato nella

seconda fase della privatizzazione, segnando la fine della giurisdizione esclusiva del

giudice amministrativo, ha devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario, in

funzione di giudice del lavoro, le controversie relative alla repressione della condotta

antisindacale delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art.28 della legge 20

maggio 1970, n. 300 e ha, così, sancito la piena utilizzabilità del procedimento

speciale nel pubblico impiego, senza alcun riferimento alla plurioffensività o meno

della condotta, dato che anche la giurisdizione sul rapporto di lavoro spetta allo stesso

giudice344

.

Gli ultimi due commi dell’art. 28 dello Statuto non sono stati, però,

esplicitamente espunti, tant’è vero che la dottrina maggioritaria ha ritenuto che

341 Cass., sez. un., 12 marzo 1993, n. 3019, in Inf. Prev., 1993, 658; Cass., sez. un., 10 maggio 1995,

n. 5117, in Foro it., 1996, I, 186; Cass., sez. un., 29 ottobre 1997, n. 10635, in Orient. giur. Lav., 1997,

942. 342 Cass., 8 ottobre 1998, n. 9991, in Lav. giur., 1999, 655, con nota di R. Nunin, Sull’ammissibilità di

una sentenza di mero accertamento della condotta antisindacale; in Mass. giur. lav., 1999, 34, con nota di N. De Marinis, I diritti di informazione sindacale nel pubblico impiego. Ammissibilità e limiti della

tutela ex art. 28 St. lav.; in Riv. it. dir. lav., 1999, II, 697, con nota di P. Albi, Condotta antisindacale,

pronuncia di mero accertamento e tutela dei c.d. diritti di informazione e consultazione sindacale nel

settore pubblico. 343 M. Rusciano, La condotta antisindacale della pubblica amministrazione, cit., 41. 344 V. Cass., sez. un., ord. 24 gennaio 2003, n. 1127, in Foro it., 2003, I, 1071.

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l’enunciazione generale dell’art. 68 citato non fosse in grado di abrogare

implicitamente il sistema di doppia tutela, e che quindi questo doveva ritenersi ancora

valido per quei rapporti di lavoro pubblico ancora rimessi alla giurisdizione

amministrativa345

. Conseguentemente, solo per i rapporti di lavoro non privatizzati,

s'incardina la giurisdizione amministrativa nel caso di condotta plurioffensiva e di

richiesta di rimozione del provvedimento lesivo.

Solo una ben attenta, anche se minoritaria, ha sostenuto l'implicita, ma totale,

abrogazione degli ultimi due commi dell'art. 28 St. Lav., anche in relazione al

personale non privatizzato346

.

L'ultima posizione citata ha sostanzialmente ricevuto un avallo dallo stesso

legislatore che ha provveduto ad abrogare esplicitamente gli ultimi due commi

dell’art. 28, con l’art. 4 della legge 11 aprile 2000, n. 83347

facendo così venir meno lo

stesso criterio discretivo della giurisdizione identificato nella richiesta di rimozione

del provvedimento lesivo.

D'altro canto non poteva argomentarsi diversamente, anche prima

dell'intervento normativo del 2000; prima del 1998, infatti, anno della devoluzione

quasi totale al giudice ordinario della materia del pubblico impiego, non è mai stata

345 R. Vaccarella Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico impiego e

sull'arbitrato in materia di lavoro, cit., 720; B. Sassani, Il passaggio alla giurisdizione ordinaria del

contenzioso sul pubblico impiego: poteri del giudice, esecuzione della sentenza, comportamento

antisindacale, contratti collettivi in Cassazione, cit., 17; A. Manna F. Manna, La giurisdizione nelle

controversie in materia di pubblico impiego, cit., 123. 346 M. D'antona, Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro dopo la "seconda

privatizzazione" del pubblico impiego (osservazioni sui d.lgs. n. 396/1997, n. 80/1998 e n. 387/1998),

cit., 629; M. Miscione, La giurisdizione esclusiva del giudice del lavoro sulla condotta antisindacale, in L. Menghini, M. Miscione, A. Vallebona, La nuova disciplina dello sciopero nei servizi pubblici

essenziali, Cedam, Padova, 2000, 154 ss.; G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di

lavoro, cit., 1848. 347 Intitolata “Modifiche ed integrazione della legge 12 giugno 1990, n.146, in materia di esercizio

del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona

costituzionalmente tutelati”.

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posta in discussione la giurisdizione ordinaria relativa ad una condotta plurioffensiva,

mancante della richiesta di rimozione del provvedimento lesivo, seppur relativa ai

dipendenti non privatizzati; quando, invece, è stato fatto cadere, per espresso volere

legislativo, il criterio del petitum, si è cercato di far rivivere un criterio di riparto

soggettivo fra “privatizzati” e non. Deve, quindi, condividersi l'opinione secondo cui

l'art. 4 della legge n. 183/2000, abroga espressamente, con effetto dichiarativo, ciò che

già era implicito nel sistema348.

Sul punto è, pure, intervenuta nel 2003 un'ordinanza della Corte Costituzionale

che, nel decidere sulla questione di legittimità dell’art. 63 D.Lgs. n. 165/2001 in

relazione agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Genova, si

è così espressa: «se è vero che il criterio di riparto della giurisdizione, introdotto

dall'art. 6 della l. n. 146 del 1990 in epoca in cui sussisteva la giurisdizione esclusiva

del giudice amministrativo (criterio per il quale la giurisdizione spettava al giudice

amministrativo ovvero al giudice ordinario secondo che con l'azione ex art. 28 della l.

n. 300 del 1970 il sindacato avesse chiesto, o non, la rimozione degli effetti incidenti

sul pubblico dipendente), era idoneo a razionalmente operare anche a seguito della

c.d. privatizzazione del pubblico impiego, dal momento che a tale “privatizzazione”

erano sottratti i rapporti di cui all'art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 80 del 1998 (oggi art.

3 del D.Lgs. n. 165 del 2001), è anche vero che l'espressa abrogazione – ad opera

dell'art. 4 della l. n. 83 del 2000 – del comma primo del citato art. 6 della l. n. 146 del

1990 (che quel criterio aveva codificato) non fa sorgere questioni di legittimità

costituzionale, bensì esclusivamente di interpretazione sistematica della norma

348 M. Miscione, La giurisdizione esclusiva del giudice del lavoro sulla condotta antisindacale, cit.,

155-156.

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denunciata»349.

L'interpretazione sistematica della Corte è, però, alquanto, incerta e non priva di

una certa dose di salomonicità350 laddove ritiene possibile sia un’interpretazione nel

senso che l’art. 63 comma 4 devolva tuttora al giudice amministrativo tutte le

controversie relative ai rapporti di lavoro ex art. 3 d.lgs. 165/2001 e quindi, anche

quelle ex art. 28 St. Lav. - rimanendo in vita la distinzione tra monoffensività e

plurioffensività della condotta datoriale - o nel senso di devolvere in ogni caso al

giudice ordinario tutte le controversie in materia di condotta antisindacale, anche se

plurioffensive e se riguardanti il settore non privato del pubblico impiego.

Alla situazione di perdurante incertezza, cui non ha voluto dar soluzione la

giurisprudenza costituzionale, ha posto fine la Cassazione, a Sezioni Unite351, adita

con ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, dopo che il Tribunale di

Roma352, chiamato a pronunciarsi sull'antisindacalità della condotta della Banca

d'Italia, che aveva modificato unilateralmente il Regolamento del Personale nella

parte relativa alle fasce di reperibilità degli assenti per malattia, aveva con due decreti,

declinato la propria giurisdizione.

Per la suprema Corte con l'abrogazione espressa dei commi 6 e 7 dell'art. 28 St.

lav., «il legislatore ordinario ha "fatto pulizia", esprimendo la volontà che la regola

della giurisdizione in materia di controversie promosse da sindacati ed aventi ad

oggetto condotte antisindacali di pubbliche amministrazioni sia solo quella - netta e

349 Corte cost., ord. 9-24 aprile 2003, n. 143, in Lav. pubbl. amm., 2003, II, 525 con nota di F. Lunardon, Condotta antisindacale, rapporti di lavoro non privatizzati e giurisdizione ordinaria. 350 A. Riccobono, Condotta antisindacale e giurisdizione, cit., 1047. 351 Cass., sez. un., ord. 24 settembre 2010, n. 20161, in Arg. Dir. Lav., 2011, 4-5, 1022 ss. con

commento di A. Riccobono, cit. 352 Trib. Roma, sez. lav., 15 dicembre 2008 e 2 febbraio 2009, in Mass. Giur. Lav., 2009, 408 ss. con

nota di G. Bauzulli.

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chiara - dell'art. 63, comma 3, d.lgs. 165/2001, senza più l'interferenza data dalla

particolare ipotesi in cui l'associazione sindacale chieda la rimozione di un

provvedimento che incida su posizioni individuali di dipendenti pubblici regolate

ancora con atti amministrativi e non già con atti di gestione di diritto privato». Una

significativa e convincente argomentazione è ricavata a contrario dal mancato

intervento di modifica legislativa: se lo stesso legislatore avesse voluto far venir meno

solo alcune delle fattispecie previste dal settimo comma dell'art. 28 Stat. lav., lo

avrebbe riformulato, ridimensionandolo e specificandolo.

Con una decisione complessa, ma chiara e lineare, la Corte afferma che non

sussiste alcuna esigenza costituzionale per derogare alla regola della giurisdizione del

giudice ordinario. Dopo il trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario, così

come realizzato nel 1998, e dopo l'abrogazione dei commi 6 e 7 dell'art. 28 Stat. lav.

«la giurisdizione del giudice ordinario costituisce una "cognizione incondizionata”,

ossia senza che ci sia più l'eccezione della giurisdizione del giudice amministrativo

nell’ipotesi in cui, nel previgente quadro normativo, tale eccezione era predicabile e -

può aggiungersi - senza che residui neppure quell'eccezione che era predicabile nel

periodo di tempo in cui è stato ancora vigente il settimo comma dell'art. 28 Stat. lav.

nel contesto dell'intervenuto trasferimento alla giurisdizione del giudice ordinario

delle controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche

amministrazioni».

Una delicata questione che si pone nell'ambito della materia qui trattata, ma

tipica del solo rapporto di pubblico impiego, concerne, come già accennato, il

contenuto della pronuncia del giudice ordinario sull'atto attraverso cui si realizza la

condotta antisindacale. La domanda che ci si pone è la seguente: nel caso in cui il

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giudice, accertato il comportamento, ordini la cessazione e la rimozione degli effetti,

l’atto antisindacale viene travolto o, anche nel procedimento speciale, vale il limite

per il giudice ordinario della disapplicazione?

La poca giurisprudenza sul punto, nonostante le divergenze circa la natura del

provvedimento in cui si sostanzia l'antisindacalità, ritiene possibile l'annullamento da

parte del giudice ordinario. Così si è ritenuto non vigente il divieto di annullamento

del provvedimento amministrativo, nel caso di contestazione mossa da un sindacato di

pubblici dipendenti riguardo alla sua esclusione dalle trattative svolte dall'Aran ai fini

di un rinnovo contrattuale, senza deduzione della lesione anche di posizioni soggettive

di pubblici dipendenti353

. Da questa ipotesi, in dottrina, si è distinta quella in cui il

comportamento sindacale leda anche la posizione del lavoratore, per cui deve ritenersi

operante il principio generale secondo cui il sindacato del giudice ordinario, anche

nelle controversie relative alla condotta antisindacale, ha ad oggetto il rapporto di

lavoro e gli atti assunti con i poteri del privato datore di lavoro, «non quelli

amministrativi, che, tutt’al più, rispetto a i primi sono presupposti»354

e che quindi

può solo conoscere ai fini della disapplicazione.

In altra pronuncia, si è riconosciuto genericamente lo stesso potere di

annullamento, anche qualora sia richiesta l'eliminazione dell'atto stesso e dei suoi

effetti, che investono sia la sfera del sindacato, sia quella dei singoli lavoratori, sulla

base della connotazione privatistica dell'atto antisindacale del datore di lavoro

pubblico che è omologo a quello scorretto del datore di lavoro privato355

.

Una soluzione più decisa e radicale è stata avanzata da quella dottrina che legge

353 Cass., sez. un., 22 luglio 1998, n. 7179, in Giust. civ. Mass., 1998, 1571. 354 D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1239. 355 Cass., 24 gennaio 2003, n. 1127, in Giust. Civ. Mass., 2003, 179.

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attentamente nella devoluzione al giudice ordinario delle controversie relative alla

repressione della condotta antisindacale del datore pubblico, l'istituzione di una

giurisdizione esclusiva, con riguardo ai soggetti destinatari, privatizzati e non, e con

riferimento al potere di annullamento e di condanna del giudice del lavoro nei

confronti degli atti antisindacali356

.

3.7 L'anomalia della giurisdizione domestica: i dipendenti degli

organi costituzionali

Riflessioni separate meritano le controversie relative al rapporto di lavoro dei

dipendenti degli organi costituzionali che non rientrano nell'ambito delle pubbliche

amministrazioni interessate dalla riforma di privatizzazione e dalla devoluzione al

giudice ordinario. In un'ottica tradizionalista, l'esonero dalla nuova disciplina che ha

interessato le pubbliche amministrazioni, è disceso direttamente dalla “riserva di

regolamento” e dall' “autodichia”357

di cui godono il Senato della Repubblica e la

Camera dei Deputati (v. i regolamenti di questi organi emanati ex art. 64 Cost.), la

Presidenza della Repubblica (v. D. P. R. 76/1977 e successive modificazioni, con le

precisazioni che si diranno), e la Corte Costituzionale (v. regolamenti emanati in base

all'art. 14 della l. 87/1953). Ne consegue, così, l’inammissibilità di intromissioni della

legge e, a fortiori, di atti normativi del Governo, nell’autonomia regolamentare loro

356 M. Miscione, La giurisdizione esclusiva del giudice del lavoro sulla condotta antisindacale,cit.,

158. 357 C. D'Orta, F. Garella, Le amministrazioni degli organi costituzionali, ordinamento italiano e

profili comparati, Roma-Bari, 1997, capp. 1 e 4.

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riconosciuta358

.

L’autodichia, garantita dall’ordinamento italiano agli organi costituzionali, si

riferisce, però, non solo all'autonomia organizzativa e contabile ma anche alla potestà

di auto-giurisdizione per risolvere le controversie insorgenti fra essi medesimi e il

personale dipendente: essa, infatti, trova espressione non solo e non tanto sul piano

normativo ma anche, e soprattutto, sul versante applicativo «delle norme stesse,

incluse le scelte riguardanti la concreta adozione delle misure atte ad assicurarne

l’osservanza»359

.

L’esigenza di garantire l’autonomia degli organi suddetti dai

condizionamenti esterni provenienti è avvertita, così, nei confronti di tutti i poteri

statuali: l’indipendenza guarentigiata non esplica la sua efficacia solo nei confronti

degli altri organi costituzionali, e nei confronti della Corte dei conti per ciò che

concerne il controllo contabile, ma, soprattutto, per ciò che qui più preme rilevare, nei

confronti dei giudici ordinari e amministrativi per la tutela dei dipendenti dei diversi

organi costituzionali360

.

Il riconoscimento della giurisdizione domestica, aveva - ed ha tutt’ora - una

rilevanza teorica e pratica di non poco conto dato che, per un verso, rappresenta

un'anomalia di un sistema in cui la competenza giurisdizionale nella difesa dei diritti

civili e politici è oramai la regola aurea sancita dall'art. 24 Cost.361

; per l'altro, i

rapporti di lavoro dei dipendenti degli organi costituzionali, benché spesso disciplinati

attraverso istituti ripresi dal T.U. Del 1957, dalla legge quadro del 1983 o dalle leggi

della privatizzazione, costituiscono “un'eccezione dell'eccezione”: se l'eccezione alla

358 A. Tursi, L'ambito di applicazione della riforma, cit., 26. 359 Corte cost., 24 giugno 1981, n. 129, in Giur. Cost., 1981, I, 1281. 360 M. Navilli, Il personale degli apparati serventi delle assemblee parlamentari, in F. Carinci, V.

Tenore, Il pubblico impiego non privatizzato, Giuffrè, 2007, 225. 361 Ibid., 228.

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devoluzione al giudice del lavoro delle controversie relative ai dipendenti pubblici è

costituita dal mantenimento dei rapporti non contrattualizzati sotto il controllo del

giudice amministrativo, il contenzioso lavoristico dei dipendenti degli organi

costituzionali esula dall'una e dall'altra giurisdizione; anzi, come meglio si

specificherà, sfugge a qualsiasi sindacato di organi giurisdizionali, essendo riservato

ad appositi organi interni deputati a dirimere qualsiasi controversia relativa al

rapporto di lavoro.

Per quanto riguarda il Parlamento, l'autodichia, affermatasi nei confronti del

potere regio e perpetuatasi sotto spinte le di autoconservazione o autotutela362

anche

con l’instaurazione dell’ordinamento costituzionale, è stata avallata dalla stessa

giurisprudenza costituzionale sia per quanto riguarda la competenza esclusiva

giurisdizionale sugli atti regolamentari interni sia per ciò che concerne la

giurisdizione domestica sui ricorsi presentati dal personale dipendente.363

.

Nel giungere alla conclusione della piena e compiuta legittimazione dell'

indipendenza “guarentigiata”, però, la stessa Corte Costituzionale non ha fatto altro

che «considerare unitariamente l'attività delle Camere, mettendo sullo stesso piano

quello riguardante il processo di formazione delle leggi … e l'attività inerente al

funzionamento ed alla organizzazione delle Camere medesime»364

. Non ha

sostanzialmente considerato uno dei principi cardine su cui si fonda la giurisdizione:

la terzietà del giudice.

Con riferimento alla Camera dei Deputati, in particolare, la Cassazione si è

362 R.Dickmann, Autonomia e capacità negoziale degli organi costituzionali. L'esperienza delle

Assemblee parlamentari, in Riv. trim. dir. Pubbl., 1997, 410. 363 Corte cost. 23 maggio 1985, n. 145, in Foro it, 1986, I, c. 366; Corte cost. 10 luglio 1981, n. 129,

cit. 364 G. Minutoli, Il rapporto d'impiego con gli organi costituzionali tra autonomia dell'organo e tutela

del dipendente, in Foro amm. 1995, 781 ss.;

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orientata nel senso di ritenere l'autodichia in tema di controversie che attengono ai

rapporti di lavoro dei dipendenti e alle procedure concorsuali per l'assunzione di

nuovo personale, non suscettibile di disapplicazione da parte del giudice ordinario,

sottratta, altresì, al sindacato di legittimità costituzionale in ragione dell'indipendenza

garantita alle Camere del Parlamento da ogni altro potere, e conseguentemente al

ricorso straordinario per cassazione proposto avverso decisioni emanate, nelle

predette controversie, dalla sezione giurisdizionale dell'Ufficio di Presidenza della

Camera dei deputati365

.

Ovviamente, deve ritenersi escluso il rapporto di lavoro instaurato tra un

parlamentare ed il suo segretario collaboratore diverso da quello intercorrente tra i

dipendenti della Camera dei deputati e la Camera stessa, che esulando dalla c.d.

"autodichia", è devoluto alla cognizione dell'autorità giudiziaria ordinaria ex art. 409

n. 5, Cod. Proc. Civ.366

. Analogamente, spettano alla giurisdizione ordinaria, e non

alla giurisdizione domestica, le controversie concernenti il rapporto di lavoro dei

dipendenti dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati, non esistendo

nell'ordinamento una norma avente fondamento costituzionale, sia pure indiretto

attraverso il regolamento parlamentare, che autorizzi la deroga al principio della

indefettibilità della tutela giurisdizionale e non potendosi estendere, perché norma

eccezionale di stretta interpretazione, l'art. 12 del regolamento della Camera dei

deputati riguardante i dipendenti della Camera, anche in considerazione della natura

politica svolta dai suddetti gruppi367

.

365 Cass., sez. un., 10 giugno 2004, n. 11019, in Giust. civ. Mass., 2004, 6. 366 Cass. 26 maggio 1998 n. 5234, in Foro it., 1998, I, 2872. 367 Cass., sez. un., 24 novembre 2008, n. 27863, in Giust. Civ., 2009, 12, 2691 con nota di F. Buffa e

Cass., sez. Lav., 14 maggio 2009, n. 11207, in Riv. it. Dir. Lav., 2010, 4, 879, con nota di A. Raffi, Il

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In linea all'altro ramo parlamentare, con riferimento al Senato, è stata ribadito

che, ai sensi dell'art. 12 del regolamento del 17 febbraio 1971, le controversie inerenti

al rapporto di lavoro del personale dipendente esulano dalla cognizione sia del giudice

ordinario che del giudice amministrativo, in quanto spettano in via esclusiva al Senato

e ai suoi organi368

.

Sul punto, come era auspicabile, si è recentemente pronunciata anche la Corte

di Strasburgo che, nel caso “Savino e altri”, ha dichiarato sussistente la violazione

dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo in relazione

all'attuale configurazione del sistema di giustizia interna della Camera dei deputati dal

momento che le controversie tra cittadini o tra cittadini ed enti devono

necessariamente essere esaminate da giudici indipendenti e non obbligatoriamente da

giudici incardinati in apparati che rispondano alla classica nozione di potere

giudiziario369

.

Analoghe perplessità, sono state riproposte in dottrina370

per quanto riguarda

l'autonomia, incontroversa nella giurisprudenza, della Corte Costituzionale che è

«competente in via esclusiva a giudicare sui ricorsi dei propri dipendenti», secondo

quanto disposto dall'art. 14, comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 62.

Nell’ambito degli organi costituzionali la Presidenza della Repubblica è l’unica

cui non sia stata riconosciuta né in via diretta (come per la Corte Costituzionale) né

indiretta (come per le Camere) la guarentigia dell’auto-giurisdizione. La stessa ha da

sempre sostenuto che gli atti provenienti dagli organi supremi dello Stato non

rapporto di lavoro alle dipendenze dei gruppi parlamentari e la cd. autodichia della Camera dei

deputati. 368 Cass. 19 novembre 2002 n. 16267, in questa Giust. Civ., 2003, I, 2429, 369 V. Cedu, 28 aprile 2009, n. 14 caso Savino e altri c. Italia, in www.camera.it 370 S. M. Cicconetti, Corte Europea dei diritti dell'uomo e autidichia parlamentare, in Giur. it., 2010.

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dovrebbero essere sindacabili da alcun potere ad essi estraneo, sulla base di un regime

di sovranità comune a tutti gli organi costituzionali371

.

La Corte di Cassazione ha sempre rigettato tale impostazione. In una delle

pronunce in cui ha dichiarato sussistente la giurisdizione amministrativa in ordine alle

controversie tra la Presidenza della Repubblica e il proprio personale, ha

espressamente dichiarato che la «Costituzione assicura a tutti la tutela giurisdizionale

dei propri diritti ed interessi legittimi, sicché le limitazioni a tale regola generale

devono essere espressamente previste (e sorrette da adeguata giustificazione)»372

.

Tale risposta negativa delle Sezioni Unite non ha, invero, preso in esame,

perché ratione temporis a quella controversia non applicabili, i riflessi che, sulla

questione della giurisdizione, potevano assumere i Decreti nn. 81 ed 89 del 1996. Con

i decreti in parola, infatti, sono stati istituiti presso la Presidenza della Repubblica un

Collegio Giudicante, competente a decidere i ricorsi in primo grado, che è composto

da un Consigliere di Stato, da un consigliere della Corte d’appello e da un

referendario della Corte dei conti (designati rispettivamente dai Presidenti del

Consiglio di Stato, della Corte d’appello e della Corte dei conti) e da due dipendenti

della Presidenza della Repubblica (di cui uno designato dal Segretario generale e

l’altro sorteggiato nell’ambito di una terna eletta da tutti i dipendenti); e un Collegio

di appello, competente in secondo grado, che è composto da un Presidente di sezione

del Consiglio di Stato, da un consigliere di Cassazione e da un consigliere della Corte

dei conti (designati rispettivamente dai Presidenti del Consiglio di Stato, della Corte

371 A. Sandulli, Spunti problematici in tema di autonomia degli organi costituzionali e di giustizia

domestica nei confronti del loro personale, in Giur. it., 1977, 1, 1836 ss. 372 Cass., sez. un., 17 dicembre 1998, n. 12614, in Foro it., 1999, I, c. 366; Tale orientamento è stato

seguito anche dalla IV sezione del Consiglio di Stato con la sentenza del 3 marzo 1997, n. 178, in

Giust. civ. Mass., 1998, 1592.

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di cassazione e della Corte dei conti).

La nuova articolazione della struttura giudicante e la previsione di una

procedura che sembra ricalcare esattamente quella prevista innanzi al giudice

amministrativo hanno così indotto un recentissimo revirement delle Sezioni Unite

della Cassazione373

che hanno riconosciuto fondamento costituzionale indiretto al

potere della Presidenza della Repubblica di riservare, mediante regolamento, alla

propria cognizione interna le controversie di impiego del personale soprattutto quando

siano garantite le condizioni di precostituzione, imparzialità ed indipendenza che

presidiano all'esercizio della giurisdizione ordinaria; condizioni, aggiunge la Corte,

che trovano perfetta corrispondenza nei principi di cui agli artt. 25, 104, 107 e 108

della Costituzione. Tali requisiti, evidenziati come essenziali per la legalità di una

giurisdizione interna dalla Corte Europea, la quale avuto un peso decisivo nel

cambiamento di rotta della giurisprudenza374

, sembrano, alla Cassazione, assistere il

disegno perseguito dai decreti Presidenziali nn. 81 e 89 del 1996.

Al di là di puramente teoriche considerazioni sull'effettiva corrispondenza degli

ora articolati sistemi di giurisdizione domestica creati ad hoc sia dalla Presidenza

della Repubblica, sia dalla Camera dei Deputati375

, non può non dubitarsi dell'assoluta

connotazione privilegiata dell'attribuzione del potere di auto-giurisdizione dagli esiti

inutili, «non essendo affatto essenziale per assicurare effettività alla posizione di

373 Cass., sez. un., 17 marzo 2010, n. 6529, in www.cassazione.it 374 P. Carluccio, L'autodichia della Presidenza della Repubblica, in Giorn. Dir. Amm., 1, 2011, 57. 375 Ancor prima che intervenisse la definitività della sentenza della Corte Europea dei diritti

dell'uomo, la Camera dei Deputati ha provveduto a modificare il proprio regolamento, v. G.

Malinconico, I “codici di procedura” dell'autodichia della camera dopo la Decisione n. 14/2009 della

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autonomia ed indipendenza degli organi costituzionali»376

, ma, soprattutto, nefasti,

laddove determina un inammissibile vuoto di tutela per coloro che dovrebbero essere

“comuni” lavoratori.

376 F. G. Scoca, Autodichia e stato di diritto, in Dir. Proc. Amm., 2011, 1, 30.

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