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a lettera ai Romani è uno dei pilastri della rivelazione, la sua densità teologica sorprende sempre e testimonia l’altezza straordina- ria del cammino con Cristo e l’intimità spirituale con la grazia vissuti dall’Apo- stolo. La sua sintesi teologica nasce da una profonda esperienza della redenzio- ne che san Paolo ha vissuto interiormen- te e profondamente: non è un esercizio puramente mentale, una speculazione intellettuale sulla grazia di Cristo, ma un’esperienza autentica vissuta nelle in- numerevoli occasioni di una testimo- nianza quotidiana del Vangelo di salvez- za. Nella Lettera ai Romani l’Apostolo parla alla comunità cristiana di Roma, una comunità nata già da tempo e radi- cata nella popolosa comunità ebraica della città. Altri evangelizzatori avevano preceduto Paolo nell’annuncio del van- gelo ma ora era necessario ribadire alcu- ne verità fondamentali e, inoltre, far comprendere ai nuovi credenti in Cristo che venivano dall’ebraismo il rapporto tra la Legge mosaica e la nuova legge dello Spirito, spiegare questa continuità meravigliosa tra la fede dei padri e la fe- de in Cristo Gesù che è venuto a com- piere la rivelazione e a redimerci dal peccato e dalla morte. In maniera particolare il capitolo ot- tavo tratta proprio della novità della leg- ge donataci in Cristo Gesù, la legge del- lo Spirito che ci immette in una dinami- ca nuova, liberandoci dalla vecchia dina- mica della carne, emancipandoci dal condizionamento della concupiscenza e della debolezza del peccato. La dinami- ca della carne ci porta in basso, ci fa de- cadere dalla dignità di creature fatte a immagine di Dio e ci travolge facendoci smarrire in una giungla di desideri e di passioni, nella superbia e nell’avarizia, 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 3-2009 Inno all’amore di Cristo (Rm 8,31-39) mons. Marco Frisina L

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a lettera ai Romani è uno deipilastri della rivelazione, la suadensità teologica sorprende

sempre e testimonia l’altezza straordina-ria del cammino con Cristo e l’intimitàspirituale con la grazia vissuti dall’Apo-stolo. La sua sintesi teologica nasce dauna profonda esperienza della redenzio-ne che san Paolo ha vissuto interiormen-te e profondamente: non è un eserciziopuramente mentale, una speculazioneintellettuale sulla grazia di Cristo, maun’esperienza autentica vissuta nelle in-numerevoli occasioni di una testimo-nianza quotidiana del Vangelo di salvez-za. Nella Lettera ai Romani l’Apostoloparla alla comunità cristiana di Roma,una comunità nata già da tempo e radi-cata nella popolosa comunità ebraicadella città. Altri evangelizzatori avevanopreceduto Paolo nell’annuncio del van-gelo ma ora era necessario ribadire alcu-ne verità fondamentali e, inoltre, farcomprendere ai nuovi credenti in Cristoche venivano dall’ebraismo il rapportotra la Legge mosaica e la nuova leggedello Spirito, spiegare questa continuitàmeravigliosa tra la fede dei padri e la fe-de in Cristo Gesù che è venuto a com-piere la rivelazione e a redimerci dalpeccato e dalla morte.

In maniera particolare il capitolo ot-

tavo tratta proprio della novità della leg-ge donataci in Cristo Gesù, la legge del-lo Spirito che ci immette in una dinami-ca nuova, liberandoci dalla vecchia dina-mica della carne, emancipandoci dalcondizionamento della concupiscenza e

della debolezza del peccato. La dinami-ca della carne ci porta in basso, ci fa de-cadere dalla dignità di creature fatte aimmagine di Dio e ci travolge facendocismarrire in una giungla di desideri e dipassioni, nella superbia e nell’avarizia,

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2009

Inno all’amore di Cristo(Rm 8,31-39)

mons. Marco Frisina

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nella malevolenza e nella prepotenza dichi vuole affermare il suo potere suglialtri mascherando così la sua profondadebolezza, che ha bisogno di continueconferme e riaffermazioni per sentirsiforte abbastanza.

È l’uomo vecchio, il vecchio Adamo,quello che ruggisce nel nostro cuoreperché pretende i suoi diritti e le sueambizioni; il condizionamento del pec-cato ci tiranneggia, come ci ricordaPaolo nel capitolo settimo, e ci conduceallo scoraggiamento e a volte alla di-sperazione; ma Cristo ci ha liberati daquesta schiavitù. Egli è morto sulla Cro-ce per far morire quell’uomo vecchioche abita in ciascuno di noi ed è risortoil terzo giorno per far vivere l’uomonuovo che non segue la legge della car-ne, ma quella dello Spirito. Questa leg-ge è scritta nel cuore, ci anima dall’in-terno, ci muove verso la vita e versoDio, perché lo Spirito Santo che ci vivifi-

ca è uscita dalla bocca di Dio e a lui ri-torna coinvolgendoci in un vortice stu-pendo in cui l’amore trionfa. Lui stesso,lo Spirito di Dio, è l’Amore increato, ein lui noi siamo una sola cosa con l’a-more di Dio, siamo coinvolti nell’unicorespiro vitale di Dio e ciò che ci muovenon è più il nostro “Io” voglioso e pre-potente, ma Dio stesso. Lo Spirito di-venta il motore e l’energia di questomovimento verso Dio; è lui che conducele nostre azioni e plasma in noi, giornodopo giorno, il volto di Cristo, il Figliodi Dio, colui che è nostro modello e no-stro Redentore, colui che è l’uomo nuo-vo che è venuto a compiere la nuovacreazione.

La vita nello Spirito ci libera dalle ca-tene del mondo, dai condizionamentidelle nostre passioni, dalla prigionia deinostri desideri e ci fa volare nella li-bertà dell’amore, ci fa librare fino a Diosulle ali della verità. Nella bellezza delvolto di Cristo possiamo contemplarelo splendore della verità e dell’amore eil suo frutto: la gioia infinita di coluiche vive dell’amore e della sua libertà,l’uomo nuovo che sembra uscito ades-so dalle mani creatrici di Dio. Cristoporta nel suo corpo mortale le feritedell’amore redentore, i segni gloriosidel sacrificio della Croce che non sonosegni di sconfitta ma di vittoria, trofeigloriosi dell’amore di Dio. Ma quelleferite sono anche un incoraggiamentopotente per tutti i cristiani, impegnatinella lotta quotidiana contro il peccato,sono la testimonianza vivente della vit-toria di Cristo a cui noi partecipiamo

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ogni volta che nella nostra vita faccia-mo rivivere quell’amore e quella dona-zione.

Nel momento della prova, lo Spiritoviene in nostro aiuto perché soffia in noila stessa vita di Cristo, ci rende partecipidel suo stesso sacrificio e della sua risur-rezione gloriosa. Questa comunioneprofonda con lui ci rende forti della suaforza, crocifissi con lui e risorti con luipossiamo sfidare il mondo e il peccatosicuri della vittoria finale.

Chi ci separerà dall’amore di Cristo?Forse la tribolazione, l’angoscia,la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?...Ma in tutte queste cosenoi siamo più che vincitoriper virtù di colui che ci ha amati.Io sono infatti persuaso che né morte,né vita,né principati, né presente né avvenire,né potenze, né altezza né profondità,né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio,in Cristo Gesù nostro Signore. (Rm 8,35-39)

Nel finale del capitolo ottavo san Pao-lo riassume tutto questo e innalza un in-no di lode a Cristo che, donandoci il suoSpirito, ci ha liberato dalla morte. Lo facon parole forti, entusiasti, che nasconodalla constatazione concreta e vissuta del-la forza di questo amore. Paolo vive so-stenuto da questa certezza che lo rendeimpavido nei confronti delle persecuzionia cui è tante volte sottoposto, gioioso inmezzo a tanto dolore e sofferenze, tran-quillo in mezzo ai terrori e alle angosce.

Quest’amore che vince la morte nonteme nulla, perché lo Spirito creatore esantificatore, la Potenza increata di Dio,il suo Amore infinito e onnipotente ci so-stiene e ci fa respirare la vita stessa diDio. Tutta la creazione vive con noi que-

sta libertà nuova ed esulta perché la no-stra rivelazione di figli di Dio libera an-che loro e fa esultare tutte le creaturedella gioia e della luce di Dio.

L’amore trionfa e dissipa le tenebre,la vita rinasce e sconfigge la morte.

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lla domanda: “come si diventacristiani?”, si sente rispondere:“con il battesimo”. Per secoli il

catechismo ha risposto così. Dopo il Con-cilio Vaticano II, però, non si può più,non perché non sia vero, ma perché èuna risposta parziale e fuorviante. Se fac-ciamo un paragone tra la vita cristiana ela vita naturale, possiamo dire che si di-venta uomini con la nascita? È vero soloin parte. Il neonato è uomo, e pure non èancora uomo, perché, anche se ha tutti idiritti umani, non li può esercitare piena-mente finché non arriva alla maggioreetà. La vita cristiana inizia con il battesi-mo, ma non si esaurisce in esso.

Dal Concilio Vaticano II in poi, diciamoche si diventa cristiani con l’iniziazionecristiana, che comprende tutto un cam-mino, culminante nella celebrazione deisacramenti dell’iniziazione cristiana: ilbattesimo, la cresima e l’eucaristia, visticome tre tappe di un unico itinerario. IlConcilio, per la verità, non utilizza ancoral’espressione “iniziazione cristiana”. SC64, che costituisce la base del nuovo “Ri-to dell’iniziazione cristiana degli adulti”(=RICA), utilizza il termine “catecumena-to, diviso in più gradi”. Ancora il Cap. Idel RICA porta il titolo: “Rito del catecu-menato disposto per gradi”. Ora il cate-cumenato è esso un grado (e un tempo)della iniziazione cristiana.

L’espressione “iniziazione cristiana” saràpoi nel titolo del RICA e da esso passerà nelCodice di Diritto canonico e nel Catechi-smo della Chiesa cattolica. Esso si trova al-l’interno del rito stesso, quando, nel giornodella Elezione (prima domenica di Quaresi-ma) si presentano “i nomi degli eletti ad es-sere iniziati ai santi misteri nella prossimaVeglia pasquale”.

Il termine greco, che traduciamo con“iniziazione cristiana” è mistagogia, cheletteralmente significa “guida, iniziazioneal mistero”. Esso non significa “istruzio-ne sui misteri”, ma “conduzione, guida,introduzione pratica nei santi misteri”.Noi cristiani siamo tutti degli “iniziati”.La “catechesi mistagogica” poi servirà afarci comprendere che cosa significhi ecomporti “essere iniziati”.

La parola “iniziazione” fa pensare ai ritiiniziatici di religioni esoteriche, di sette o disocietà segrete. Tanto più se si unisce allaparola “misteri”. Certamente l’espressionecome tale proviene dalle religioni misterichedell’antichità, da cui il cristianesimo delleorigini ha preso le distanze; in seguito però,specialmente nel sec. IV, ne ha assunto laterminologia, e si è confrontato con esse,verificando come il “mistero di Cristo” (nelsenso che ha in san Paolo) porta a compi-mento non solo il piano di Dio, ma superale aspettative degli uomini che in quei ritimisterici cercavano la “salvezza”. Mentre,

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Unità dell’iniziazione cristianap. Ildebrando Scicolone, osb

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nelle religioni misteriche, questa è solo peralcuni iniziati, nel cristianesimo essa è pertutti, perché Cristo è venuto perché tutti“abbiano la vita”.

I sacramenti dell’iniziazione cristiana so-no tre: battesimo, cresima ed eucarestia.Per tanti secoli, conferendo il battesimo aibambini e rimandando di alcuni anni gli al-tri due, si è parlato di essi in modo distintoe separato. Tale separazione non ha aiutatoa comprendere il loro significato, ancheperché si celebravano (“si amministrava-no”) in qualsiasi giorno, senza alcun lega-me con le feste (i “misteri”) del Signore cheli hanno “originati” (p. es. la Pasqua). I sa-cramenti dell’iniziazione sono infatti “im-mersione” nella Pasqua di Cristo.

Si spiegavano allora partendo dagli“effetti” che producono. Non ci si do-mandava: “cosa significa e attua il batte-simo?”, ma: “cosa ti dà il battesimo?”, ecosì per la cresima e l’eucaristia. Questavia non conduce a comprendere il verosenso della vita cristiana1.

Una retta comprensione della iniziazio-ne cristiana si può avere pensando che essaci rende “conformi all’immagine del Figlio”di Dio (Rom 8, 20). Il cristiano infatti è “unaltro Cristo”, figlio nel Figlio. Ora ci ponia-mo la domanda: come e quando l’uomoGesù è divenuto Figlio di Dio2? Sappiamobene che ciò è avvenuto nell’Incarnazione,quando è stato concepito nel grembo dellaBeata Vergine Maria, per opera dello SpiritoSanto. In un secondo momento Gesù è sta-to “pieno di Spirito Santo” (Lc 4, 1), quan-do questi è sceso su di lui, dopo il battesi-mo al Giordano; in quel momento Gesù èstato manifestato dallo Spirito (e dal Batti-

sta) e ha iniziato la sua missione (cfr Gv 1,31-34). In terzo luogo, Paolo dice che Gesùè stato “costituito figlio di Dio, secondo loSpirito di santificazione, a partire dalla risur-rezione dai morti” (Rom 1, 4).

Se ora pensiamo alla Chiesa come alcorpo di Cristo, vediamo che essa è natadalla Pasqua, “dal costato di Cristo dor-miente sulla croce” (SC 5); è stata poi ma-nifestata dallo Spirito nella Pentecoste e daallora ha iniziato la sua missione nel mon-do. Oggi la Chiesa si manifesta e agisce(come Chiesa) in ogni assemblea liturgica,specialmente nella celebrazione eucaristica.

Allo stesso modo, perché l’uomo diventifiglio di Dio in modo completo (= perfetto),è necessario che nasca dall’acqua e dalloSpirito (Gv 3, 5); ma se il battesimo gli con-ferisce l’essere divino, nella cresima lo Spiri-to lo unge, lo consacra per la missione e ilservizio (ministero). Il battesimo dà l’essere,la cresima dà l’agire cristiano. Nella parteci-pazione all’eucaristia, egli continuamentevive la sua comunione con Cristo, testimo-nia la sua fede, annuncia la morte e la risur-rezione, è spinto all’azione missionaria.

Questi tre percorsi paralleli, di Cristo,della Chiesa e del cristiano sono schemati-camente presentati nella tabella seguente.

Essa va letta in sinossi, sia verticalmente,come abbiamo già fatto brevemente, siaorizzontalmente. Così vediamo il rapportoche i tre sacramenti dell’iniziazione hannocon il mistero di Cristo e della Chiesa, cheviene celebrato nell’anno liturgico:1. Cristo nasce a Natale, la Chiesa a Pa-

squa, il cristiano nel Battesimo. 2. Cristo viene manifestato e inizia la sua

missione al Giordano, che è l’Epifania di

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Cristo, la Chiesa ha la sua epifania nellaPentecoste, il cristiano nella Cresima oConfermazione3.

3. La risurrezione e la glorificazione diCristo è il compimento ultimo dell’o-pera della salvezza. Nel celebrarla, laChiesa manifesta se stessa, come po-polo escatologico, come la sposa chenel banchetto eucaristico pregustaquello escatologico (cfr Apoc 19, 9), acui il battezzato e confermato parteci-pa nella comunione.Se questa tabella ha una certa vali-

dità, risulta altresì che l’ordine dei sacra-

menti di iniziazione è teologico, e nonpermetterebbe di mutarlo. Le ragionipastorali che da qualche tempo si addu-cono per “conferire” la cresima dopol’eucarestia, non sembra che abbianoprodotto l’effetto sperato e non aiutanola comprensione della struttura sacra-mentale.

Il RICA è oggi il modello del processodi iniziazione cristiana non solo per colo-ro che lo compiono da adulti, ma do-vrebbe esserlo per tutti, anche per coloroche, battezzati da bambini, lo completa-no a distanza di anni.

Cristo Chiesa Cristiano

Nasce come Figlio di Dio Nasce dalla Pasqua Nasce come figlio di Dio nell’Incarnazione nel (dal costato di Cristo)

Battesimo

Viene manifestato e mandato Viene manifestata e mandata Viene manifestato dopo il Battesimo nella Pentecoste e mandato nella Cresimaal Giordano (Epifania)

Entra nella condizione Oggi si manifesta in ogni Vive la sua “cristificazione” di Figlio di Dio assemblea eucaristica nella partecipazione alla“a partire dalla Risurrezione” Eucaristia.(Rom 1, 4)

——————1 Per la cresima poi, il Catechismo di Pio X non diceva nemmeno che ci dà lo Spirito Santo. Diceva soltanto che

“ci fa perfetti cristiani (senza spiegare il senso di questa “perfezione”), soldati di Gesù Cristo e ce ne impri-

me il carattere”, senza alcun legame con gli altri due sacramenti. Se poi si dice che la cresima ci dà lo Spirito

Santo, allora sorge la domanda: “il battesimo non ci dà lo Spirito Santo?”, e gli altri sacramenti, non dànno

tutti lo Spirito Santo? 2 So bene che la domanda dovrebbe porsi al contrario: “come e quando il Figlio di Dio si è fatto uomo?”. L’ho

ribaltata volutamente, perché l’uomo deve diventare figlio di Dio.3 La Chiesa romana celebra il Battesimo del Signore nella domenica dopo l’Epifania. In quella occasione, spes-

so si parla del battesimo cristiano, e si trova giusto celebrare anche i battesimi. Dalla tabella risulta che al bat-

tesimo di Gesù, corrisponde nella stessa linea, non il battesimo del cristiano, ma la cresima, come seconda

tappa nel cammino di divinizzazione.

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l 6 gennaio 1972 veniva pubbli-cato l’Ordo Initiationis Christia-nae Adultorum.

Era la concreta ed efficace riposta allavolontà conciliare di ripristinare il catecu-menato degli adulti. Questo rituale deveessere visto nell’insieme di un rinnova-mento del catecumenato che conobbeuno sviluppo molto veloce.

Il Concilio Vaticano II aveva determi-nato: «Si ristabilisca il catecumenato de-gli adulti diviso in più gradi, da attuarsi agiudizio dell'ordinario del luogo; in que-sta maniera il tempo del catecumenato,destinato ad una conveniente formazio-ne, potrà essere santificato con riti sacrida celebrarsi in tempi successivi.» (SC64). E subito precisa (n. 66)1 che devonoessere riveduti i riti del battesimo degliadulti, sia nella forma semplice, sia inquella più solenne connessa con il ripristi-no del catecumenato, disciplinato dall'or-dinario del luogo; in questa maniera iltempo del catecumenato, destinato auna conveniente formazione, potrà esse-re santificato con riti sacri da celebrarsi intempi successivi. E, aprendo la porta alprocesso d’inculturazione, viene stabilitoche nei luoghi di missione sia acconsenti-to accogliere, accanto a elementi propri

della tradizione cristiana, anche elementidell’iniziazione in uso presso i vari popoli(v. SC 65).

Inoltre, i padri conciliari, consapevolidella profonda unità tra i sacramenti del-l’iniziazione, chiesero che venisse rivedutoil rito della confermazione, perché appa-risse più chiaramente la sua intima con-nessione con tutta l’iniziazione cristiana.

In questo senso è importante richia-marsi alla SC 109, che dice:

«Il duplice carattere della quaresima –il quale, soprattutto mediante il ricordo ola preparazione al battesimo e mediantela penitenza, invita i fedeli all'ascolto piùfrequente della parola di Dio e alla pre-ghiera e li dispone così a celebrare il mi-stero pasquale –, sia posto in maggiorevidenza tanto nella liturgia quanto nellacatechesi liturgica».

Origine del nuovo rituale

Costituito il Consilium ad exsequen-dam constitutionem de sacra liturgia nel1964 furono formati diversi gruppi diesperti per studiare i vari settori della li-turgia. Il gruppo o coetus 222, compostoda 12 membri, ebbe il compito di interes-

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L’Ordo Initiationis ChristianaeAdultorump. Juan Javier Flores Arcas, osb

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sarsi del rito del battesimo degli adulti.Tale coetus ebbe come relatore P. Baltha-sar Fischer e come segretario P. Seumois.A tale proposito, si può stabilire un iterredazionale dell’Ordo Initiationis Christia-nae Adultorum (OICA), secondo almenosei tappe, così disposte:

1) un primo schema dell’Ordo battesi-male per gli adulti venne presentato alConsilium il 19 Novembre 1965 e su-scitò un’animata discussione che ver-teva non tanto sulla struttura del rito,quanto sui particolari;

2) ci fu poi lo schema del 18 marzo1966 che conteneva due capitoli, dicui il secondo presentava un catecu-menato diviso in quattro gradi, segui-to dalla celebrazione dei sacramenti edal tempo mistagogico. Il CardinaleLercaro portò al Papa un secondoschema chiedendo di poterlo utilizza-re ad experimentum;

3) seguì un periodo di sperimentazionein diversi paesi, prevedendo, almeno50 centri di catecumenato. I Paesi in-teressati erano il Giappone, il Malì, ilTogo, la Costa d’Avorio, l’Alto Volta, ilRwanda, il Belgio, il Canada, gli StatiUniti e la Francia. Fu questo un fecon-do periodo di sperimentazione e quin-di di grande vitalità ecclesiale. L’espe-rienza francese si trova in un fascicolo“pro manuscripto” diffuso a cura delCNPL (Centro Nazionale di PastoraleLiturgica di Parigi);

4) seguì, poi, la sessione del Coetus XXIIa Vanves (Francia), nei pressi di Parigi,dal 30 dicembre 1968 al 4 gennaio

1969, dove si giunse a una prima sin-tesi sulla fase di sperimentazione.Venne fatto successivamente un rap-porto per gli sperimentatori perchépotessero esprimere in breve tempo illoro parere;

5) Uscì successivamente lo schema 352del 29 settembre 1969. La redazionequasi definitiva dell’OICA si ebbe conquesto schema che venne sottoposto,dopo i diversi esperimenti, all’appro-vazione finale della Congregazionedel Culto Divino;

6) La data di pubblicazione dell’OICA è 6gennaio 1972: passarono, quindi, piùdi due anni prima che il Rituale rice-vesse il sigillo di approvazione. L’OICAfu ufficialmente pubblicato dalla SacraCongregazione per il Culto Divino conDecreto del 6 gennaio 1972, firmatodal Cardinale Tabera e da AnnibaleBugnini, pochi giorni prima che venis-se nominato Nunzio Apostolico.

A prescindere da queste tappe, è im-portante non dimenticare che il ConcilioVaticano II si trovò di fronte alla necessitàdi una revisione profonda. In sostanza, sidoveva provocare una presa di coscienzacirca la priorità di mantenere e garantirel’unità dei tre Sacramenti costituenti l’Ini-ziazione Cristiana .

Il Rituale non si limitò a presentare lacelebrazione del Battesimo, della Confer-mazione e della Eucaristia, ma compreseanche i riti del Catecumenato, ristabilitosecondo le indicazioni del Vaticano II.

Venne sottolineato il carattere pa-squale. Al n. 8 si dice:

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«Perché l’Iniziazione cristiana non èaltro che la prima partecipazione sacra-mentale alla morte e risurrezione di Cri-sto… tutta l’Iniziazione deve rivelarechiaramente il suo carattere pasquale».

A partire da questo principio, l’itinera-rio venne raccordato con l’Anno liturgi-co: la Veglia Pasquale fu indicata come iltempo più conveniente per il conferimen-to dei sacramenti dell’Iniziazione e attor-no a essa furono disposti il tempo dellapurificazione e dell’illuminazione, nonchéquello della mistagogia, collocati rispetti-vamente nel periodo di Quaresima e neltempo di Pasqua.

Articolazione del Rituale

L’OICA non è solo un libro liturgico:esso si presenta anche come un diretto-rio pastorale, con tante indicazioni ricchee articolate da adattare alle diverse situa-zioni, con formulari numerosi, da sceglie-re o elaborare secondo le necessità.

L’Ordo è un volume di 193 paginesuddiviso in sei capitoli, preceduti da unaduplice introduzione e seguiti da un’ap-pendice.

Il libro è preceduto dai PraenotandaGeneralia (35 numeri), il cui testo si ritro-va anche nel Rito del Battesimo dei bam-bini (Ordo Baptismi infantium). Nei Prae-notanda è esposta un’essenziale teologiadell’iniziazione cristiana, valida tanto pergli adulti quanto per i bambini: una menscomune che definisce e interpreta il pro-cesso di accoglienza di un nuovo creden-

te alla Chiesa e al Mistero che in essa sicelebra e si vive, anche se con forme eprassi diverse.

Richiamata l’unità dei sacramenti del-l’iniziazione (n. 1-2), si sottolinea la di-gnità del battesimo come sacramentodella fede, come incorporazione allaChiesa, come lavacro di purificazione daogni peccato e di rigenerazione a vitanuova, come partecipazione al mistero dimorte e risurrezione di Cristo (n. 3-6).Quindi, si accenna alla responsabilità delpopolo di Dio sia nella trasmissione dellafede e nella preparazione al battesimodei nuovi credenti, sia per l’assunzione didiversi uffici e ministeri, con un’attenzio-ne più estesa al ruolo del padrino (n. 7-17). Infine, richiamate le cose necessarieper la celebrazione del battesimo (n. 18-29), si ricordano gli adattamenti checompetono in primo luogo alle Confe-renze episcopali, ma anche al ministrodel battesimo (n. 30-35).

Seguono poi i Praenotanda dell’ OrdoInitiationis Adultorum, disposti in tre ca-pitoli:

Caput I: Ordo admissionis intra Missam.Caput II: Ordo admissionis extra Missam.Caput III: Textus varii in ritibus admissionisadhibendi.

Essi si compongono di 67 numeri cheprecisano il senso e l’articolazione delnuovo Ordo: c’è un’ampia descrizionedella struttura dell’iniziazione degli adulticon i suoi tempi e gradi (n. 4-40), oltre auna chiarificazione del ruolo dei vari mi-nisteri e uffici (n. 41-48); segue, poi, una

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puntualizzazione dei tempi e luoghi del-l’iniziazione e della sua celebrazione (n.49-63), insieme a una definizione dellediverse competenze delle Conferenzeepiscopali, del vescovo della Chiesa loca-le e del ministro della celebrazione nell’a-dattamento del Rito (n. 64-67).

L’Ordo è strutturato su un’articolazio-ne quadripartita e una scansione triparti-ta: quattro sono, infatti, i momenti o letappe dell’itinerario progettato, mentretre sono i gradi che congiungono talimomenti. Ogni periodo è un tempo a séstante di ricerca, di ascolto della Parola,di una ricca esperienza liturgica, di pre-ghiera e di impegno di conversione. Que-ste le tappe:1. Prima evangelizzazione, detta anche

precatecumenato. Al termine è previ-sto un rito vero e proprio di ammissio-ne al catecumenato.

2. Il secondo momento è quello del cate-cumenato vero e proprio. Al terminedi questo periodo è previsto il secon-do grado, o passo, che consiste nellaelezione o ammissione ai sacramentidell’Iniziazione cristiana.

3. Il terzo momento è di purificazione e diilluminazione, culminante nella celebra-zione dei sacramenti dell’iniziazione.

4. Il quarto momento è quello della mi-stagogia, che conduce alla vita cristia-na nella sua esperienza quotidiana.

Struttura dell’iniziazione cristiana

L’Ordo comprende non solo le cele-brazioni dei tre sacramenti dell’iniziazio-

ne cristiana, ma anche tutti i riti del cate-cumenato (n. 2). Ciò costituisce unagrande novità.

L’iniziazione cristiana proposta dall’OI-CA non si concentra in un atto puntuale,ma si articola in un processo, sufficiente-mente esteso nel tempo, per destare lafede nel nuovo simpatizzante, approfon-dirla con un apprendistato della vita cri-stiana integrale e, al termine, attraversol’iniziazione sacramentale, che conduce ilnuovo credente alla partecipazione delmistero della morte e della risurrezione diCristo, integrare il neofita nella piena ap-partenenza alla Chiesa.

Primo periodo: pre-catecumenato

Di questo primo periodo si parla sol-tanto ai n. 9-13 dei Praenotanda. Primadell’entrata nel catecumenato è previstoun tempo precedente, o pre catecume-nato. Il simpatizzante è agli inizi della fe-de. È un tempo di ricerca, caratterizzatodall’evangelizzazione, rivolta al nuovocredente, «perché maturi la seria volontàdi seguire Cristo e di chiedere il battesi-mo» (n° 10)3.

Durante questo tempo si può preve-dere, senza alcuna formalità, un’acco-glienza dei simpatizzanti che mostranouna certa propensione per la fede cristia-na (n° 12). Essi vengono accolti in un cli-ma di amicizia e di dialogo. Non è previ-sta alcuna celebrazione, ma una serie diincontri nei quali la comunità si impegnaa seguire i futuri candidati nel camminodella fede.

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In questa prima fase il candidato, de-nominato simpatizzante, riceve un pre-muroso aiuto dai catechisti, dai diaconi,dai sacerdoti; è sostenuto dalla preghieradel popolo di Dio e dagli incontri con fa-miglie e le comunità cristiane; è «accom-pagnato da un responsabile o garantecioè da un uomo o da una donna che loconosce e lo aiuta» (n° 42). Da questi pri-mi elementi raccolti si può dire che il pre-catecumenato è tempo di evangelizzazio-ne e di primo annunzio del Dio vivente.

Primo passaggio: rito di ammissio-ne al catecumenato (n. 73-97).

Il rito è una celebrazione con la qualela Chiesa ratifica l’accoglienza e la primaconsacrazione dei candidati (n. 14).

Prima del rito di ammissione è previ-sto un giudizio di idoneità dei candidati:«Spetta ai pastori, con l’aiuto dei garan-ti, dei catechisti e dei diaconi, giudicare isegni esterni» della giusta disposizione(n. 16). Decisivo è l’apporto dei garantiche, dopo aver conosciuto e aiutato icandidati nel loro cammino, li presenta-no alla Chiesa e testimoniano dei lorocostumi, della loro fede e delle loro in-tenzioni (n. 41 e 71).

Ci sono alcuni requisiti per l’ammissio-ne tra i catecumeni: l’assimilazione dei pri-mi elementi della vita spirituale e delladottrina cristiana, l’inizio della conversionee la volontà di mutare vita e di entrare inrapporto con Dio attraverso Cristo (n. 15).

La celebrazione dell’ammissione è te-nuta in giorni stabiliti nel corso dell’anno

(n° 69), auspicando la partecipazione at-tiva dell’intera comunità cristiana (n. 70).Si prevede l’accoglienza dei candidatifuori della chiesa, una prima loro adesio-ne ufficiale e, in contesti culturali partico-lari, un esorcismo con la rinuncia ai cultipagani o alle potenze degli spiriti mali-gni; segue il segno della croce sulla fron-te e sui sensi e, se lo si ritiene utile, l’im-posizione del nome cristiano, il rito delsale, la consegna del crocifisso o di unamedaglia sacra. Si segnano gli orecchi, gliocchi, la bocca, il petto e le spalle.

Entrati in chiesa si svolge la liturgiadella Parola: letture e omelia, con unapossibile consegna dei Vangeli (PorrectioEvangeliorum, n. 93); è prevista anche lapreghiera per i catecumeni ed il loro con-gedo (n. 75-97). Dopo la celebrazionedel rito, i nomi dei candidati vengonoscritti nell’apposito registro (n. 17).

Questo rito è la prima tappa liturgicadell’iniziazione. Significa e consacra l’ini-ziale conversione: «Da questo momento icatecumeni, che la madre Chiesa circon-da del suo affetto e delle sue cure comegià suoi figli e a essa congiunti, appar-tengono alla famiglia di Cristo» (n. 18).

Secondo periodo: il catecumenato

Questo periodo è di approfondimentodella fede e crescita nella conversione e siestende dall’entrata dei catecumeni allacelebrazione dell’elezione.

Si tratta di un tempo di formazione edi severo tirocinio di tutta la vita cristiana.

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Non predeterminata, la durata del ca-tecumenato dovrà essere piuttosto este-sa: «si protrarrà per tutto il tempo, ancheper più anni, necessario alla maturazionedella conversione e della fede» (n° 98).

Durante questo periodo sono previstetre celebrazioni o tre momenti (OICA 100-103), alcune sotto forma di celebrazionidella Parola, altre sotto forma di esorcismiminori. Questi tre momenti sono:1. De celebrationibus Verbi Dei;2. De exorcismis minoribus;3. De benedictionibus Catechumeno-

rum.Le celebrazioni della Parola di Dio si

propongono soprattutto queste finalità:a) imprimere bene la dottrina negli ani-

mi, come l’etica propria del NT, il per-dono delle offese, il senso del peccatoe della penitenza, i doveri dei cristianinel mondo, ecc.;

b) illustrare gli aspetti più importanti del-la preghiera, nonché le vie per prati-carla;

c) spiegare i segni, le azioni e i tempi delmistero liturgico;

d) inserire gradualmente i catecumeninel culto di tutta la comunità. Per quanto riguarda gli esorcismi, tro-

viamo abbondanti formule di benedizio-ne da conferire alla fine della celebrazio-ne della Parola (OICA 119-124, 374).

Tali esorcismi minori, detti anche pri-mi, sono celebrati dal sacerdote o daldiacono, o anche da un catechista degnoe preparato, deputato dal Vescovo acompiere questo ministero. Questi esorci-smi si svolgono durante la celebrazionedella Parola, in chiesa o in cappella o nel-

la sede del catecumenato, o anche, se-condo l’opportunità, all’inizio o alla finedi una riunione catechistica. Anche primadel catecumenato, nel tempo dell’evan-gelizzazione, si possono tenere gli esorci-smi minori per il bene spirituale dei cosid-detti simpatizzanti. Nulla vieta che le for-mule proposte per gli esorcismi minorisiano usate più volte in varie circostanze.

Il catecumenato è tempo della cateche-si, che deve condurre «non solo ad unaconveniente conoscenza dei dogmi e deiprecetti, ma anche all’intima conoscenzadel mistero della salvezza» (n. 19,1).

L’idea di un cammino progressivo at-traversa l’insieme del Rituale.

Dunque, il catecumenato è:1. tempo di esercizio della vita cristiana;2. tempo di ricca esperienza liturgica;3. tempo di scoperta e delle prime espe-

rienze di vita apostolica e missionaria.Come recita il n° 125 dell’OICA, le

«“consegne”, che si possono anticipare siaper l’utilità del “tempo del catecumenato”(intra tempora catecumenatus), sia perbrevità del “tempo della purificazione edell’illuminazione”, devono essere celebra-te quando i catecumeni hanno raggiuntouna certa maturità». Si tratta, dunque, del-la possibilità di anticipare le consegne conla previsione di una prima unzione dei ca-tecumeni: l’olio viene benedetto prima delrito dell’unzione (v. i n. 131 e 132).

Secondo passaggio: rito dell’ele-zione o dell’iscrizione del nome

È la celebrazione della chiamata deci-siva da parte della Chiesa, segno di quel-

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la di Dio, e dell’iscrizione dei candidatinel libro degli eletti.

«Si chiama elezione o scelta, perchél’ammissione, fatta dalla Chiesa si fondasull’elezione o scelta operata da Dio» (n.22). La celebrazione dell’elezione «è co-me il cardine di tutto il catecumenato»(n. 23), ed è «come il momento centraledella materna sollecitudine della Chiesaverso i catecumeni» (n. 135).

Con questo rito si conclude il catecu-menato e il candidato passa alla catego-ria degli eletti.

Di nuovo, prima del rito, è previsto ungiudizio d’idoneità dei candidati stessiche compete al vescovo o a un suo dele-gato insieme a quanti sono stati prepostialla formazione dei catecumeni, come isacerdoti, i diaconi, i catechisti, i padrinie i delegati della comunità locale (n. 135e 137). Dopo un serio esame, essi devo-no pronunziarsi «sulla preparazione e sulprofitto dei catecumeni» (n. 135).

I criteri per questo esame sono: «laconversione della mente e del modo divivere, una sufficiente conoscenza delladottrina cristiana, un vivo senso di fede edi carità» (n. 137).

Il rito dell’elezione e ammissione rive-ste la solennità che merita; si svolge inchiesa, ordinariamente durante la messa,dopo l’omelia, perché ha un aspetto co-munitario: infatti, è tutta la comunità lo-cale che accompagna con la preghiera glieletti e li conduce con sé incontro al Cri-sto (n. 135).

La celebrazione, presieduta dal vesco-vo o da un suo delegato, dopo le letture

della prima domenica di Quaresima, pre-vede la presentazione dei candidati, laconvalida della loro ammissione, l’iscri-zione del nome, la preghiera per gli elettie il loro congedo (n. 144-150).

Terzo periodo: purificazione e illu-minazione.

Con l’elezione inizia il tempo della pu-rificazione e dell’illuminazione che, di re-gola, coincide con la Quaresima, «desti-nata a una più intensa preparazione dellospirito e del cuore» (n. 22). Nella primaDomenica di Quaresima avviene l’iscrizio-ne, mentre la terza, la quarta e la quintasono le domeniche definite sacramentali,di purificazione e di illuminazione. Il pe-riodo disegna un cammino comunitarionel quale, attraverso la liturgia e la cate-chesi liturgica, «i catecumeni, insieme al-la comunità locale, si impegnano nel rin-novamento spirituale per prepararsi allefeste pasquali e alla iniziazione sacra-mentale» (n. 152).

In questa tappa si fa più intensa la pre-parazione spirituale: si tratta di un temposcandito dalla riflessione e dalla preghie-ra, dalla purificazione del cuore e dalla re-visione della vita, dalla penitenza e dal di-giuno, dai riti e dalle celebrazioni (n. 25).

Questo periodo coincide con i quaran-ta giorni del ritiro che ogni anno la Chiesafa con Cristo per prepararsi alla Pasqua.

Durante questo tempo, nella III, IV e Vdomenica di Quaresima, secondo l’anticatradizione hanno luogo gli scrutini (nn°160-180), le celebrazioni, finalizzate a li-

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berare, a purificare la mente e il cuore delcatecumeno dall’attaccamento al male, aliberarlo dall’inclinazione al peccato, a for-tificarlo e sostenerlo nella ricerca del bene.Il modello è ripreso dal Sacramentario Ge-lasiano e fu preferito dai redattori a quellodell’Ordo Romanus XI, con più scrutini.

Gli scrutini

Gli scrutini, che si concludono con gliesorcismi, hanno una grande importanzanella formazione spirituale. Tendono, in-fatti, a purificare la mente ed il cuore, afortificare contro le tentazioni, a rettifica-re le intenzioni e a stimolare la volontàverso una più intima adesione a Cristo everso un sempre più fermo impegno nel-l’amore di Dio da parte dei catecumeni.Sono celebrati dal sacerdote o dal diaco-no che presiede la comunità, perché dal-la Liturgia degli scrutini anche i fedeli ri-cavino profitto e nelle orazioni interceda-no per gli eletti. Gli scrutini si svolgononella Messa delle Domeniche III, IV e V diQuaresima.

Sono strutturati sullo schema seguente:- Omelia;- Preghiera in silenzio;- Preghiera per gli eletti;- Esorcismo (esorcismi maggiori);- Congedo degli eletti;- Celebrazione dell’Eucaristia.

I temi degli scrutini in riferimento allaLiturgia della Parola della Quaresima bat-tesimale (anno A): 1) La Samaritana è allaricerca dell’acqua viva: ella sa che biso-

gna adorare in spirito ed attende il Cri-sto, come i catecumeni, cioè i membriche sono entrati nel periodo di purifica-zione e di illuminazione. 2) Ciascuno èprigioniero e complice del peccato delmondo, con cui si deve avere il coraggiodi rompere, per entrare nella Chiesa eguadagnare Cristo. Il catecumeno va incammino verso la professione di fedebattesimale per essere finalmente libera-to dal peccato e dalla solidarietà con ilmale e con il mondo, per mezzo di Cri-sto. 3) ostacolo all’incontro con Cristo è ilmale nella sua dimensione ultima e radi-cale, cioè la morte, che conduce alla cor-ruzione, spezzando ogni speranza di ac-cedere alla pienezza della vita. Si svilup-pa, dunque, il rapporto morte-peccato-Satana e vita-resurrezione.

Le consegne (Traditiones)

Se ancora non sono state fatte, dopogli scrutini, si devono celebrare le «con-segne» con le quali, compiuta o iniziatada tempo conveniente l’istruzione dei ca-tecumeni, la Chiesa amorevolmente affi-da loro i documenti che fin dall’antichitàsono ritenuti il compendio della sua fedee della sua preghiera (n. 182-192).

La consegna del Simbolo. Anzitutto laconsegna del Simbolo (n. 186-187)4 è ilcompendio della fede (n. 181), in cui siricordano le “meraviglie che Dio ha fattoper la salvezza degli uomini” (n. 25,2). Sitratta della prima traditio che gli elettiimparano a memoria e poi dovranno ri-consegnare pubblicamente (cfr. n. 194-

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199), prima di fare, nel giorno del Batte-simo, la loro professione di fede secondoil Simbolo stesso. La consegna del Simbo-lo si fa entro la settimana successiva alprimo scrutinio. Secondo l’opportunità sipuò fare anche nel tempo del catecume-nato (cfr. nn° 125-126).

La consegna della preghiera del Signo-re (OICA 188-1925) è il momento grazie alquale gli eletti approfondiscono lo spiritofiliale verso Dio, chiamato con il nome diPadre (n. 25,2). C’è da dire che alla versio-ne del Pater noster di Lc 11,1-4 è statapreferita quella di Mt 6,9-13, forse perchéè uguale a quella abitualmente in uso nel-le celebrazioni liturgiche. Agli eletti vieneconsegnata la Preghiera del Signore (Pa-dre Nostro) che fin dall’antichità è propriadi coloro che con il Battesimo hanno rice-vuto lo spirito di adozione a figli e che ineofiti reciteranno insieme con gli altribattezzati nella prima celebrazione del-l’Eucaristia a cui parteciperanno. La conse-gna della Preghiera del Signore si fa nellasettimana successiva al terzo scrutinio. Se-condo l’opportunità, si può celebrare an-che entro il tempo del catecumenato (cfr.n. 125-126). Se necessario, si può ancherinviare e procedere con i riti immediata-mente preparatori (cfr. n. 193 ss.).

I riti preparatori prossimi all’inizia-zione

Per la preparazione prossima ai sacra-menti, se gli eletti possono riunirsi il Sa-bato Santo, giorno di meditazione e didigiuno, si propone di compiere la ricon-

segna del Simbolo, il rito dell’effetà ed,eventualmente, l’unzione con l’olio deicatecumeni (n. 194-207):

1. La Redditio Symboli o riconsegna deisimboli suppone le consegne, altri-menti si omette (OICA 194-199). Conquesto rito gli eletti sono preparati al-la professione battesimale della fede esono istruiti sul dovere si annunziarela parola del Vangelo.

2. Il Rito dell’Effetà è un rito che vuole si-gnificare la necessità della grazia che dàla possibilità di ascoltare la Parola di Dioe di proclamarla. Con questo rito si sot-tolinea la necessità della grazia perchéuno possa ascoltare la parola di Dio eprofessarla per la propria salvezza.

3. È prevista la scelta di un nome cristia-no (OICA 203-205). Tale nome deveessere o cristiano o secondo la culturapropria della regione, purché possaassumere un senso cristiano. Talvolta,se è il caso e se gli eletti sono pochi,basterà spiegare all’eletto il significatocristiano del nome già ricevuto dai ge-nitori.

4. Segue, poi, l’unzione con l’olio dei ca-tecumeni (OICA 206-207). Si usa l’o-lio dei catecumeni benedetto dal Ve-scovo nella Messa crismale. Il rito puòessere anticipato al Sabato Santo.Quando l’olio già benedetto viene amancare, il sacerdote stesso può be-nedirlo con l’orazione contenuta neln. 207 dell’OICA (v. Ordo benedicendiOleum catechumenorum et infirmo-rum et conficiendi Chrisma, Praeno-tanda, n° 7).

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Terzo passaggio: celebrazione deisacramenti dell’iniziazione.

Secondo la tradizione «l’iniziazionedegli adulti ha luogo nella santa nottedella veglia pasquale» (n. 208) con la ce-lebrazione unitaria del battesimo, dellaconfermazione e dell’eucaristia.

Questi sacramenti sono l’ultimo e de-cisivo grado dell’iniziazione, «compiendoil quale gli eletti sono aggregati al popolodi Dio, ricevono l’adozione a figli di Dio,sono introdotti dallo Spirito Santo neltempo del pieno compimento delle pro-messe e anche pregustano il regno di Diomediante il sacrificio e il banchetto euca-ristico» (n° 27).

Schema del grande sacramento:celebratio baptismi

• Monitio celebrantis.• Litaniae.• Benedictio aquae (v. GeV 445).• Abrenuntiatio (rinuncia a Satana).

L’OICA presenta tre formule di rinun-cia, di cui la prima, composta da unasala domanda, è uguale a quelladell’Ordo Confirmationis; le altre duesono le medesime dell’Ordo Baptismiparvulorum.

• Unctio Olei Cathecumenorum (l’un-zione con l’olio dei catecumeni).

• Professio fidei (La professione di fede).• Ritus Baptismi (si arriva al cuore della

celebrazione, l’atto battesimale perimmersione o per infusione: attraver-so l’abluzione con l’acqua, unita all’in-

vocazione della santissima Trinità, è si-gnificata la «mistica partecipazione al-la morte e risurrezione di Cristo per laquale i credenti nel suo nome muoio-no al peccato e risorgono alla vitaeterna» (n. 32).

• Ritus explanativi (I riti esplicativi): 1. Unctio post Baptismum: Deus om-

nipotens, Pater Domini… Se laconfermazione segue immediata-mente il battesimo, questa unzio-ne si omette6.

2. Impositio vestis candidae.3. Traditio cerei accensi.

• Celebratio confirmationis che significal’unità del mistero pasquale, lo strettorapporto fra missione del Figlio e l’ef-fusione dello Spirito Santo e l’unitàdei sacramenti con i quali il Figlio e loSpirito Santo vengono insieme con ilPadre a prendere dimora nei battezza-ti (n° 34).

• Celebratio Eucharistiae: è la celebra-zione dei sacramenti dell’iniziazioneche si conclude con l’Eucaristia: perla prima volta i neofiti partecipano alsacrificio e al banchetto eucaristico;nella comunione al Corpo immolatoe al Sangue sparso confermano i do-ni ricevuti e pregustano i doni eterni(n° 36).

Quarto periodo: la mistagogia

Questo periodo ha una lunga tradizio-ne nei Padri e nei primi documenti liturgici.

Dopo la prima eucaristia non tutto è

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finito, perché inizia una vita nuova. Conla celebrazione dei sacramenti i catecu-meni hanno varcato l’ultima porta dell’i-niziazione e, richiamando un’espressionedi San Giovanni Crisostomo, «sono ora li-beri e cittadini della Chiesa, santi, giusti,eredi, membri di Cristo e tempio delloSpirito» (Cat. III, 5: SC 50 p. 153). Il pe-riodo della mistagogia che coincide con iltempo di Pasqua, è destinato, attraversola catechesi e l’esperienza dei sacramenti,ad acquisire una nuova intelligenza dei«misteri celebrati, ad attingere un nuovosenso della fede della Chiesa e del mon-do» (n. 38). In questa ultima tappa dell’i-

——————1 Il testo così recita: «Siano riveduti entrambi i riti del battesimo degli adulti, sia quello semplice sia quello più so-

lenne connesso con la restaurazione del catecumenato; e sia inserita nel messale romano una messa propria

“Nel conferimento del battesimo”».2 Il coetus XXII volle assicurare la celebrazione unitaria dei sacramenti per avere l’Iniziazione Cristiana al completo.3 Il testo latino così recita: «Cui evangelizationi integrum praecatechumenatus tempus tribuitur, ut maturescat ve-

ra voluntas Christum sequendi et Baptismum petendi».4 La monizione del celebrante, contenuta nel n° 186 è stata ispirata dal GeV 310, in forma abbreviata. Per quan-

to riguarda il n° 187, l’invito a pregare ha origine dal GeV 408: si tratta dello stesso testo della Oratio universalis

del Venerdì Santo (v. MR p. 253). L’orazione leggermente cambiata è la stessa del RR e del GeV 298.5 Si tratta dell’oratio super electos: c’è l’invito a pregare che è identico a quello della consegna del Simbolo; l’ora-

zione è tratta dal GeV 409 ed è la stessa dell’oratio universalis del Venerdì Santo (MR 253). Il n° 192 delll’OICA

così recita: «Postea celebrans , his vel similibus verbis, fideles invitat ad orandum: “Orémus pro eléctis nostris, ut

Deus et Dóminus noster adapériat aures praecordiórum ipsórum ianuámque misericórdiae, ut per lavácrum re-

generatiónis, accépta remissióne ómnium peccatórum, et ipsi inveniántur in Christo Iesu Dómino nostro”. Om-

nes orant in silentio. Deinde celebrans, manibus super electos extensis, dicit: “Omnípotens sempitérne Deus, qui

Ecclésiam tuam nova semper prole fecúndas, auge fidem et intelléctum eléctis nostris, ut, renáti fonte Baptí-

smatis, adoptiónis tuae fíliis aggregéntur. Per Christum Dóminum nostrum”. Omnes “Amen”».6 Commenta P. Nocent: «Ciò si inscrive in contraddizione con la Traditio Apostolica di Ippolito e con i libri liturgici

che seguono, il Gelasiano in particolare. Sembra tuttavia che questa unzione, come spesso nella liturgia roma-

na, sia una specie d’illustrazione di quanto è stato appena fatto. Vi era, dunque, da una parte, il rito del battesi-

mo: l’immersione con la formula della mano e poi l’unzione illustrativa. Le due unzioni erano fatte con il sacro

crisma, una dal sacerdote in vertice capitis; l’altra dal vescovo sulla fronte» (Anamnesis 3/1, 85).

niziazione i neofiti approfondiscono l’e-sperienza della vita comunitaria, impe-gnandosi a partecipare alle cosiddettemesse dei neofiti o messe domenicali, adaccrescere la conoscenza dei fedeli e astabilire con loro rapporti più stretti (n.39). Il tempo della mistagogia, che siconclude a Pentecoste, pone termine al-l’iniziazione cristiana. I nuovi battezzatisono adesso invitati a ritrovarsi insiemenell’anniversario del loro battesimo (lacosiddetta pascha annòtina), per ringra-ziare Dio, per comunicarsi le loro espe-rienze spirituali e per acquisire nuoveenergie per il loro cammino (n° 238).

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avvicinarsi del quarantesimo an-niversario della promulgazionedella edizione latina del Rito

dell’iniziazione cristiana degli adulti1 e ilrinnovato interesse pastorale riservato aquesto tema, attestato dalla Nota delConsiglio Episcopale Permanente dellaCEI sul catecumenato degli adulti2, forni-scono l’occasione per rileggere un Ritua-le, non sempre pienamente studiato evalorizzato3.

1. La riforma del rituale per l’ini-ziazione cristiana4

Il dettato conciliare prescrisse di pro-cedere alla revisione del rito del battesi-mo degli adulti e di ristabilire il catecu-menato: «Si ristabilisca il catecumenatodegli adulti, diviso in più gradi, da attuar-si a giudizio dell’ordinario del luogo, inmodo che il tempo del catecumenato,destinato ad una conveniente istruzione,possa essere santificato con riti sacri dacelebrarsi in tempi successivi» (SC 64).

«Siano riveduti ambedue i riti del bat-tesimo degli adulti, sia quello semplice, siaquello più solenne, tenuto conto della re-staurazione del catecumenato...» (SC 66).

Nel 1964, un apposito gruppo di lavo-ro5 venne incaricato di elaborare il ritualedell’iniziazione cristiana degli adulti nellesue grandi linee e il 19 novembre 1965approdò ad un primo schema6 a cui ne

seguì un secondo il 18 marzo 1966 (an-cora senza Praenotanda), nel quale veni-vano individuati quattro gradi per il ritocompleto del catecumenato: Rito per l’i-nizio del catecumenato, Elezione, Scrutinie consegne, Riti preparatori. Si procedet-te quindi alla necessaria sperimentazionepresso Chiese locali, sparse nei vari conti-nenti, le cui relazioni vennero esaminatealla fine del 1968. Tra il 1969 e il 1971,vennero coinvolte anche le Congregazio-ni per la Dottrina della Fede, dei Sacra-menti e per l’Evangelizzazione dei popoli,che conclusero il lavoro con un’adunanzamista il 7 giugno 1971. La bozza così ela-borata, il 14 novembre 1971 venne invia-ta al Papa, che diede la sua approvazionedefinitiva dopo quindici giorni. Il 6 gen-naio 1972 il rito venne pubblicato a curadella Congregazione per il Culto Divinonella sua edizione tipica, con la possibilitàdi utilizzarlo subito in lingua latina, la-sciando alle Conferenze Episcopali ilcompito di preparare la traduzione nellelingue moderne da sottoporre all’appro-vazione della Sede Apostolica. La Confe-renza Episcopale Italiana approdò allapubblicazione del RICA il 30 gennaio1978, rendendolo obbligatorio a partiredal 4 marzo 19797.

2. Confronto con le fonti anticheIn questo studio ci soffermeremo sulle

Le fonti del RICAmons. Angelo Lameri

L’

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fonti antiche di tale rituale, individuando-le in due testi: la Traditio apostolica e ilsacramentario Gelasiano antico.

Il primo documento non è una fontepropriamente liturgica8. Oggi si concordanel classificarla come un testo che pre-senta le caratteristiche della letteraturaistituzionale9, un regolamento ecclesia-stico che si occupa della liturgia e delladisciplina nelle comunità, una raccolta diprescrizioni e di canoni10.

Il Gelasianum vetus11 – così viene desi-gnato il manoscritto Vaticanus reginensis

316 della Biblioteca vaticana – è un sa-cramentario la cui compilazione va postatra il 628 e il 715, più probabilmente ver-so la metà del VII secolo. Il manoscrittoche possediamo è il testimone dello sta-dio raggiunto dal sacramentario romano,emigrato in Gallia e là usato e ibridato12.

Nella tabella che segue mettiamo aconfronto le sequenze rituali del RICAcon i riti e i testi delle nostre fonti: in cor-sivo segnaliamo i riferimenti comuni, inneretto alcuni testi che il RICA riprendedal Gelasiano.

RICA

RITO DELL’AMMISSIONE AL C.

n. 69Prima dell’ammissione deicandidati al c., la quale siterrà in giorni stabiliti nelcorso dell’anno secondo lasituazione locale, si attendail tempo opportuno enecessario secondo i diversicasi in modo di potervagliare e, se necessario,affinare i motivi dellaconversione.

n. 71Interverranno anche igaranti che, dopo averliassistiti nel loro cammino,presenteranno alla Chiesa inuovi candidati (cf. anchen. 81)

n. 87

Consegna dei Vangeli (n. 93)

Traditio Apostolica

COLORO CHE SI ACCOSTANO PER

LA PRIMA VOLTA ALLA FEDE

n. 15Coloro che si presentanoper la prima volta adascoltare la parola…. Sialoro chiesto il motivo percui si accostano alla fede.Il n. 16 poi passa inrassegna i mestieri e leoccupazioni, indicandoquelli incompatibili con lafede cristiana.

n. 15Coloro che li hannocondotti testimonino sulloro stato di vita.

Gelasiano antico

n. 286

Consegna dei Vangeli (nn.303-312)

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2009

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2009

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TEMPO E RITI DEL C.

n. 98Il c., o preparazionepastorale dei catecumeni, siprotrarrà per tutto il tempo,anche per più anni,necessario alla maturazionedella loro conversione edella loro fede.

n. 99Durante il periodo del c., sidia ai catecumeni unapreparazione….

- celebrazioni della parola diDio- Esorcismi minori- Benedizione deicatecumeni

Unzione con l’olio deicatecumeni

RITO DELL’ELEZIONE O

DELL’ISCRIZIONE DEL NOME

Presentazione dei candidati

n. 133All’inizio della Quaresima…si celebra l’elezione oiscrizione del nome. Conquesto rito la Chiesa, uditala testimonianza dei padrinie dei catechisti e dopo laconferma della loro volontàda parte dei catecumeni,giudica sulla loropreparazione e decide sullaloro ammissione aisacramenti pasquali

DURATA DELL’ISTRUZIONE

n. 17I catecumeni siano istruitiper tre anni. Tuttavia chi inquesto periodo dimostraparticolare zelo e lodevoleapplicazione, sia giudicatonon secondo il tempo, masecondo il suocomportamento.

n. 18Quando il dottore terminadi dare l’istruzione…

n. 19Dopo la preghiera, ildottore imponga la manosui catecumeni, preghi e licongedi. Faccia così,ecclesiastico o laico che sia.

COLORO CHE RICEVERANNO IL

BATTESIMO

n. 20Dopo aver scelto coloro chedovranno ricevere ilbattesimo, si esamini la lorovita… Se coloro che lihanno presentatitestimoniano che si sonocomportati in questo modo[hanno vissutodevotamente nel periododel c.], allora ascoltino ilVangelo.

nn. 285-287Orazioni sui catecumeni

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2009

- Interrogazione deicandidati e petizione- Ammissione o elezione- Preghiera per gli eletti (n.149)- Congedo degli eletti

TEMPO E RITI DELLA

PURIFICAZIONE E

DELL’ILLUMINAZIONE

Primo scrutinioSecondo scrutinioTerzo scrutinio

- Le consegne• del simbolo• del Padre nostro- Riti immediatamentepreparatori• riconsegna del simbolo• rito dell’effatà

• scelta del nome cristiano

• unzione con l’olio deicatecumeni

CELEBRAZIONE DEI SACR.DELL’INIZIAZIONE

- celebrazione delBattesimo

- celebrazione dellaConfermazione

- celebrazionedell’Eucaristia

n. 20All’avvicinarsi del giorno incui dovranno ricevere ilBattesimo, il vescovo liesorcizzi uno per uno pervedere se sono puri… Ilvescovo imponga loro lamano e ordini a ogni spiritoestraneo di allontanarsi daessi…

…soffi loro sul viso, segniloro la fronte, le orecchie, lenarici

n. 21Il sacerdote…. Lo unga conl’olio dell’esorcismo

AMMINISTRAZIONE DEL SANTO

BATTESIMO (n. 21)

Il vescovo imponga loro lamano…. Poi versandogli sulcapo l’olio santificato eimponendogli la mano,dica…A questo punto i diaconipresentino l’offerta alvescovo….

n. 286

nn. 291-298Esorcismi sugli eletti

Le consegnedel simbolo (nn. 310-318)del PN (nn. 319-328)

n. 419

Effatà (n. 420)

Unzione (n. 421)

nn. 444-450

n. 451

nn. 452ss.

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2009

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TEMPO DELLA MISTAGOGIA

n. 235Perché i primi passi deineofiti siano più sicuri, èdesiderabile che in tutte lecircostanze siano aiutatipremurosamente eamichevolmente dallacomunità dei fedeli…

Coloro che ricevono lacomunione…..

Ci siamo soffermati cosìpoco sul Battesimo e sullasanta offerta perché sietestati già istruiti sullarisurrezione della carne e sututto il resto mediante latradizione scritta. Tuttavia,se è opportuno ricordarequalche altra cosa, ilvescovo la dica sotto ilsigillo del segreto a coloroche hanno ricevuto lacomunione.

3. Alcune considerazioniDopo il nostro pur sommario confronto tra i testi possiamo fare alcune considera-

zioni. I documenti presi in esame costituiscono senza ombra di dubbio le fonti dell’o-dierno rituale, anche se sono di natura diversa. La Traditio apostolica è infatti un rego-lamento ecclesiastico, ci riporta la struttura del cammino, ma non ci trasmette consufficiente completezza i testi. Il Gelasiano è un libro liturgico e attesta con abbon-danza formule e orazioni. Esso inoltre mostra come il celebrante di questa liturgia siaun sacerdote: il Gelasiano infatti è testimone della liturgia romana dei tituli (le parroc-chie diremmo oggi). I soggetti di questi riti inoltre sono bambini di famiglie cristiane enon più, come nella Traditio apostolica, adulti convertiti dal paganesimo.

In obbedienza al dettato conciliare, il gruppo che si è occupato della elaborazionedel rituale dell’iniziazione cristiana degli adulti ha proceduto dunque ad un’accuratainvestigazione teologica, storica e pastorale (SC 23). Possiamo affermare che l’impian-to del cammino catecumenale corrisponde a quello della Traditio apostolica, con alcu-ni elementi del Gelasiano13, mentre da quest’ultimo sono stati utilizzati alcuni riti epezzi eucologici. Ciò si comprende bene alla luce dei motivi di ordine pastorale chehanno richiesto la reintroduzione del catecumenato: la necessità di proporre un cam-mino adatto a coloro che «udito l’annunzio del mistero di Cristo e per la grazia delloSpirito Santo che apre loro il cuore, consapevolmente e liberamente cercano il Dio vi-vo e iniziano il loro cammino di fede e di conversione»14. Il ricorso al catecumenatocon i suoi riti è quindi un ritorno a qualcosa di «già sperimentato dall’antichissimo usodella Chiesa e ora adattato all’azione missionaria in atto nelle varie regioni»15.

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——————1 RITUALE ROMANUM ex decreto sacrosancti oecumeni-

ci concilii Vaticani II instauratum auctoritate Paulipp. VI promulgatum, Ordo initiationis christianaeadultorum, Typis polyglottis vaticanis 1972.

2 CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE DELLA CEI, L’inizia-zione cristiana. 1. Orientamenti per il catecume-nato degli adulti, EDB, Bologna 1997 (DocumentiChiese Locali, 64). D’ora in avanti citeremo il do-cumento da questa edizione con la sigla IC segui-ta dal numero del paragrafo.Cfr. L. BRANDOLINI, L’iniziazione cristiana, “Litur-gia”, 31(1997), n. 143, pp. 805-814.

3 Cfr. IC, 7.4 Cfr. A. BUGNINI, La riforma liturgica (1948-1975),

Edizioni Liturgiche, Roma 1983 (Bibliotheca Ephe-merides Liturgicae - Subsidia, 30), pp. 570-581.

5 Venne incaricato il gruppo 22 “Sacramenti”, conla collaborazione del 23 “Sacramentali”.

6 Nel frattempo un altro documento conciliare, ildecreto sull’attività missionaria Ad Gentes(7/12/1965), ritornò sull’argomento del catecume-nato con preziose indicazioni: - la precisazione che il contesto a cui ricondurre ilcatecumenato è quello della dinamica che uniscetra loro annuncio - fede - conversione, in cui laconversione viene intesa come l’avvio di un itine-rario spirituale;- l’affermazione che il cammino catecumenale de-ve essere inteso non come un’esposizione dottri-nale e di norme morali, ma come una formazionea tutta la vita cristiana ed un tirocinio debitamen-te esteso nel tempo;- per questo i catecumeni devono essere iniziati almistero della salvezza e alla pratica delle normeevangeliche, e mediante riti sacri, da celebrare intempi successivi, introdotti nella vita della fede,della liturgia e della carità del popolo di Dio;- proprio per questo vengono anche auspicate

una ristrutturazione dell’anno liturgico, in modoparticolare della Quaresima, e una sottolineaturadella ministerialità dell’intera comunità cristiana,perché tutti imparino a cooperare attivamente al-l’evangelizzazione ed alla edificazione della Chiesacon la testimonianza della vita e con la professio-ne della fede (AG, 13-14).

7 RITUALE ROMANO riformato a norma dei decreti delConcilio Ecumenico Vaticano II e promulgato daPapa Paolo VI, Rito dell’iniziazione cristiana degliadulti, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano1978 (d’ora in avanti RICA).

8 Per il testo cfr.: La Tradition Apostolique de Saint Hip-polyte. Essai de reconstitution, ed. B. BOTTE, Mün-ster, 1963 (Liturgiewissenschaftliche Quellen undForschungen, 39). Per una traduzione in lingua italia-na cf.: R. TATEO (a cura), La tradizione Apostolica. In-troduzione, traduzione e note, Edizioni Paoline, Ro-ma 1979 (i testi che citeremo seguiranno la traduzio-ne la numerazione di quest’ultima edizione).

9 Cfr. M. METZGER, Nouvelles perspectives pour lapretendue Tradition Apostolique, “EcclesiaOrans”, 5 (1988), p. 241-259.

10 Cfr. M. METZGER, Enquêtes autour de la pretendue«Tradition Apostolique», “Ecclesia Orans”, 9(1992), p. 7-36.

11 Liber sacramentorum romanae aecclesiae ordinisanni circuli, ed. L. C. MOHLBERG - L. EIZENHÖFER - P.SIFFRIN, Herder, Roma, 1960 (Rerum ecclesiastica-rum documenta, Series maior, Fontes, IV).

12 Cfr.A. CHAVASSE, Le Sacramentaire Gélasien (Vati-canus reginensis 316). Sacramentaire presbytéralen usage dans le titres romains au VII siècle, De-sclée,Tournai,1958 (Bibliothèque de théologie, Se-ries IV, Histoire de la théologie, 1).

13 Cf. ad esempio le consegne e il rito dell’effatà.14 RICA, Introduzione, n. 1.15 Idem, n. 2.

Il RICA appare quindi come un ben riuscito esempio di continuità tra la sana tradi-zione e l’apertura al legittimo progresso, con la preoccupazione di far derivare le nuo-ve forme da un organico sviluppo di quelle antiche.

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l termine “Iniziazione cristiana”non appartiene al vocabolarioliturgico delle Chiese ortodos-

se. Il termine è stato coniato in Occiden-te in epoca moderna per sottolineare l'u-nità e l'interconnessione esistente, mascarsamente visibile sul piano celebrati-vo, tra battesimo, cresima (confermazio-ne) e eucaristia. Negli antichi libri bizan-tini, come del resto in quelli romani, l'ini-ziazione era parte della Veglia pasqualee non aveva un titolo proprio. Oggi pre-vale la dicitura “rito del santo battesi-mo”, da intendere in senso comprensivo“battesimo e ciò che segue”, cioè unzio-ne crismale e eucaristia.

1. Dal catecumenato ai riti mimetici

Secondo l'opinione degli storici dellaciviltà bizantina verso la fine del VI secoloil catecumenato era una istituzione ormaiestinta: gli unici battesimi di adulti eranoquelli di popolazioni limitrofe occupatenelle guerre di turno e costrette a diven-tare cristiane. A volte era il caso di ebreiperiodicamente indotti alla conversionedal potere civile. Con la fine del catecu-menato emergono due riti di accoglienzadei bambini, ormai tutti nati da famiglie

già cristiane: un rito dell'8° giorno perl'imposizione del nome e un rito del 40°giorno per l'accoglienza in chiesa delbambino e della madre. Ambedue i ritisono attestati dalla fine dell'VIII secolonell'eucologio (sacramentario) Barberinigr. 336. Nel X secolo in Medio Oriente ein Italia meridionale, ma non a Costanti-nopoli, compaiono preghiere per la puri-ficazione della madre, completando cosìla prospettiva mimetica che ripropone iracconti lucani dell'infanzia (Lc 2, 22-32).

2. Gli esorcismi e i ritidi rinuncia/adesione

Il passaggio dall'iniziazione degli adul-ti a quella dei bambini non ha comporta-to la redazione di un rito distinto: abbia-mo quindi una preghiera che corrispondeall'antico ingresso nel “catecumenato in-tensivo” che iniziava il lunedì successivoalla terza domenica di quaresima, treesorcismi e la preghiera che all'inizio del-la settimana santa concludeva questo pe-riodo. I riti di rinuncia a Satana e di ade-sione a Cristo con dalla professione di fe-de da parte dei padrini/madrine hannoun andamento drammatico. Come unavolta i candidati adulti, i bambini vengo-

I riti dell’iniziazione cristiananelle chiese ortodosse

Stefano Parenti

I

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no rivolti ad occidente per la rinuncia, econ le braccine alzate, mentre per l'ade-sione a Cristo sono rivolti a oriente. E' ciòche resta di una celebrazione che al ve-nerdì santo mattina il patriarca di Costan-tinopoli in persona presiedeva nella chie-sa della Pace (cioè di Cristo nostra pace)dove teneva una catechesi ai candidati albattesimo. Ne stralcio un passaggio cherende con efficacia il proposito di impres-sionare i presenti:

… il diavolo se ne sta ad Occidente,con i capelli orribilmente arruffati, di-grignando i denti, agitando le mani inmodo convulso e mordendosi le labbra;è furioso, e lamenta la propria solitudi-ne non potendo credere alla vostraredenzione. Per questo motivo Cristo vipone proprio di fronte a lui, perchépossiate opporgli il vostro rifiuto ... Ildiavolo se ne sta ad Occidente perchéin quel luogo dimora il principe delle te-nebre … Nessuno tra voi abbia piùniente del diavolo nell'anima. Per que-sto state in piedi e con le mani levate inalto, quasi che gli angeli vi perquisisse-ro, perché niente che appartiene al dia-volo si nasconda in voi.

3. La benedizionedell'acqua e dell'olio

Per la celebrazione dei sacramenti del-l'Iniziazione l'acqua per il battesimo eolio per l'unzione pre-battesimale vengo-no benedetti di volta in volta dallo stessocelebrante. Una piccola quantità di olio

viene versata nella vasca che oggi è mo-bile e di norma viene posta nel centrodella chiesa. L'unzione pre-battesimale ri-guarda tutto il corpo e l'olio avanzatoviene versato nella lampada dell'altare.La mescolanza di acqua e olio nella vascarimonta, probabilmente, ai tempi in cuinon si era ancora affermata una distintaunzione post-battesimale e rimanda allavisione giovannea del battesimo nell'ac-qua e nello spirito (Gv 3,5).

4. L'immersione battesimalee l'unzione crismale

In condizioni ordinarie il battesimoavviene sempre per triplice immersionein modo che risulti la piena aderenza traciò la formula e l'atto: Il servo di Dio N.viene battezzato (cioè è immerso) nelnome del Padre, del Figlio e dello SpiritoSanto. La formula è dichiarativa e nonindicativa, lasciando intravedere che ilsacramento, il mistero, è anzitutto ope-ra divina alla quale il vescovo o presbite-ro, presta le mani e la bocca come mini-stro, cioè come servitore, dell'opera diDio che si compie nelle azioni liturgiche.L'immersione può essere totale, immer-gendo rapidamente il bambino nell'ac-qua, oppure facendolo sedere nella va-sca e versandogli l'acqua sulla testa conil palmo della mano. Dopo il battesimoha luogo la consegna della veste bianca,quindi il celebrante, in genere il presbi-tero, compie l'unzione crismale sulla te-sta (fronte, occhi, naso, bocca, orec-chie), petto, spalle, mani e piedi, con la

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formula “Sigillo del dono dello SpiritoSanto”. L'unzione crismale avviene conil myron, il crisma consacrato dal pa-triarca il giovedì santo, composto daolio e da più di cinquanta essenze vege-tali. E' attraverso il myron, e non neces-sariamente di persona, che il vescovo èpresente in ogni liturgia battesimale.L'Oriente cristiano ha ben chiara la dot-trina per la quale il vescovo, sia o menopresente, è ministro originario di ognisacramento e non soltanto della cresimao confermazione.

5. L'eucaristia

Un triplice giro attorno alla vasca bat-tesimale compiuto dal celebrante con i pa-drini, il neo-battezzato e, eventualmente,dei genitori, al canto di Gal 3,27 (Quantisiete stati battezzati in Cristo, vi siete rive-stiti di Cristo. Alleluia) conduce alla comu-nione eucaristica. A questo proposito biso-gna notare che nella prassi attuale l'unitàdei sacramenti dell'Iniziazione ha subitoqualche incrinatura. All'origine l'Iniziazio-ne si concludeva sempre con la celebrazio-ne della Divina Liturgia eucaristica. Unavolta caduta in disuso, il neo-battezzato ri-ceve la comunione attinta dalla riservaconservata nel tabernacolo e di norma ri-servata ai malati. Nella tradizione ortodos-sa la comunione avviene sempre con panee vino offerti e consacrati nel corso dellacelebrazione, quindi da alcuni anni si af-ferma l'uso di rinviare la prima comunionealla domenica o alla festa più vicina allacelebrazione del battesimo.

6. Riti conclusivi

Dopo la comunione, oppure dopo lacresima, il celebrante asterge le unzionicon il myron, quindi taglia una ciocca dicapelli al neo-battezzato. La prassi attua-le ha sommato due riti all'origine distan-ziati nel tempo: l'astersione dell'ottavogiorno e il rito di passaggio dall'infanziaalla fanciullezza.

7. La ragione teologicadell'Iniziazione completa

Molto spesso nell'immaginario colletti-vo le Chiese ortodosse vengono conside-rare custodi gelose di una tradizione nonriformabile, magari soltanto per una certaattitudine mentale o antropologica a nonvoler mutare nulla. Così la loro insistenzasul battesimo per immersione e sull'unitàdei sacramenti dell'iniziazione potrebbeessere intesa l'ennesima forma di tradizio-nalismo: si continua a fare come si è sem-pre fatto senza neanche sapere più il per-ché. I motivi sono più seri di quanto possasembrare. Le Chiese ortodosse hannomantenuto l'unità dell'Iniziazione perchéa livello teologico vi è la convinzione chein circostanze ordinarie i tre sacramenti, enon solo il battesimo, sono necessari allasalvezza. L'unzione sacerdotale nello Spi-rito e divenire membro del Corpo di Cri-sto/Chiesa attraverso la comunione euca-ristica vengono considerati momenti di ununico processo indivisibile per divenire cri-stiano. L'ecclesiologia ortodossa non am-mette la compresenza nel corpo ecclesiale

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di iniziazioni parziali o a tappe, anche invista del pericolo di trasformare i sacra-menti dell'Iniziazione in una progressivainiziazione ai sacramenti, basata sulle di-sposizioni o la maturità dei soggetti inuna prospettiva troppo antropocentrica.

8. Verso una riforma dei ritidell'Iniziazione

Curiosando nel luglio del 2001 tra gliscaffali di una libreria religiosa di Mosca,venni attratto da un piccolo libro liturgicodal titolo “Liturgia battesimale”. Qualco-sa mi spinse ad acquistarlo e, dopo unagiornata piuttosto intensa, decisi di dargliun'occhiata senza immaginare minima-mente cosa avrei trovato in quelle severepagine rigorosamente in slavo ecclesiasti-co, la lingua liturgica della Chiesa orto-dossa russa. Il volumetto, pubblicato conl'imprimatur del patriarca Alessio II, eranientemeno che un progetto celebrativodell'Iniziazione cristiana per gli adulti se-guita dalla Divina Liturgia. Alla fine dellaparte strettamente liturgica, dei post-no-tanda – una novità assoluta per le edizio-ni liturgiche russe e, in genere ortodosse– spiegavano il perché della riforma. Nel-

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Bibliografia

Per l'evoluzione storica dei sacramenti dell'Iniziazione nelle Chiese ortodosse rimando al mio articolo“Iniziazione Cristiana in Oriente”, in Scientia Liturgica. Manuale di Liturgia, IV, Casale Monferrato1998, pp. 50-70.

Versione italiana presso S. Parenti, Riti dei sacramenti dell'Iniziazione cristiana nella tradizione litur-gica bizantina, Milano, 1990, pp. 118.

la società uscita dal lungo tunnel delladittatura i battesimi dei bambini erano inregressione ma aumentava il numero dicoloro che chiedevano l'Iniziazione daadulti. Di qui la constatazione dell'inade-guatezza del rito in vigore e la necessitàdi una riformulazione per gli adulti. Unaspeciale cappella battesimale intitolata alsanto principe Vladimir, al quale si deve ilbattesimo della Rus’ di Kiev, e dove ilnuovo rito si svolge regolarmente, è stataedificata presso la chiesa di S. Nicola del-l'Istituto teologico “S. Tichon” nel quar-tiere moscovita di Kusnezy.

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Tempio Battesimale domestico dedicato al prin-cipe San Vladimiro Pariapostolo nella Parrocchiadel Tempio (chiesa) di San Nicola

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Testi e Documenti

roclamiamo la tua risurrezione»: èquesto il titolo del Sussidio pasto-rale in occasione della celebrazio-

ne delle esequie, pubblicato dalla Confe-renza Episcopale Italiana con la data del 15agosto 2007, ma poco conosciuto e ancormeno utilizzato nelle nostre comunità. Co-me è scritto nella Presentazione, il sussidio«non intende sostituire in alcun modo il Ri-to delle esequie, né può essere consideratouna sua appendice, non essendo in sensoproprio un libro rituale», ma vuole «offrireun aiuto per quelle situazioni non contem-plate dal libro liturgico, ma nelle quali il mi-nistro ordinato o il laico, sono invitati adesprimere la sollecitudine della comunitàcristiana verso la famiglia colpita dal lutto».Il sussidio presenta quindi una serie di pre-ghiere, brani biblici, monizioni, riflessioni,preghiere dei fedeli e canti da utilizzare neidiversi momenti del lutto: dalla morte allacelebrazione delle esequie.

Il capitolo I, dal titolo «Subito dopo lamorte», propone testi e preghiere per la vi-sita alla famiglia del defunto e presso il de-funto. Nelle premesse a questo capitolo sisottolinea che «nonostante la tragicità e laconfusione che inevitabilmente caratteriz-zano la circostanza, è bene che la famigliacristiana avverta la necessità di pregare nelmomento in cui un proprio congiunto com-pie l’ultimo passaggio per entrare nella vitasenza fine». Viene inoltre specificato che se

non è presente un ministro ordinato o isti-tuito, questo momento di preghiera è gui-dato da un laico, meglio se membro dellafamiglia.

Il capitolo II propone cinque schemi perla Veglia di preghiera, da celebrarsi, secon-do le consuetudini, in casa o in chiesa,avendo cura tuttavia che la chiesa non siatrasformata in una camera ardente. Le cin-que tematiche proposte sono le seguenti:Dio è fedele: egli è misericordioso, perdonae salva; Il volto materno di Dio; Risorti conCristo nell’eterna comunione dei Santi; LaParola seme di immortalità; Maria madredella santa speranza. Per ogni Veglia, a se-conda del tema, vengono suggeriti i riti diintroduzione, la proclamazione della Paroladi Dio, i riti di conclusione. Ogni schemapropone un numero diverso, ma semprericco, di brani della Sacra Scrittura, dell’An-tico e del Nuovo Testamento, di monizionie preghiere litaniche.

Il capitolo III suggerisce di vivere anche ilmomento della chiusura della bara alla lucedella Parola di Dio e della speranza cristia-na: «Il volto della persona amata viene tol-to alla vista dei nostri occhi, un giorno rive-dremo questo stesso volto trasfigurato, nel-la gloria del Signore risorto».

Il capitolo IV presenta una serie di sug-gerimenti liturgico-pastorali per la celebra-zione delle esequie: l’inizio della traslazione,il cammino verso la chiesa, l’accoglienza, il

Proclamiamo la tua risurrezioneStefano Lodigiani

«P

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2009 Testi e Documenti

commiato, e due schemi di preghiere nelcammino verso il cimitero. Sia nel camminoverso la chiesa che nel tragitto che porta alcimitero, si suggerisce di valorizzare la pre-ghiera del Santo Rosario, secondo le usan-ze locali.

Il capitolo V comprende le Preghiere alCimitero: la benedizione del sepolcro e lapreghiera prima della tumulazione. Dopol’orazione di benedizione del nuovo sepol-cro si suggerisce la professione di fede e lapreghiera dei fedeli, per la quale sono pro-posti sette formulari, a seconda dello statoecclesiale e civile del defunto e delle circo-stanze della morte.

Il capitolo VI riguarda una nuova moda-lità dei tempi recenti che si sta diffondendo:i funerali in caso di cremazione. Nell’ampiaintroduzione si mette in luce la dottrina e laprassi cristiana circa la fede nella risurrezio-ne dei morti, la dignità del corpo e il cimite-ro come luogo della memoria, offrendoprecise indicazioni pastorali. Si sottolineache «la Chiesa ha sempre indicato la sepol-tura del corpo dei defunti come la formapiù idonea ad esprimere la pietà per i fede-li, oltre che a favorire il ricordo e la preghie-ra di suffragio da parte di familiari e amici».Di fronte all’evoluzione del costume, neitempi recenti è in aumento la richiesta dicremazione. «Tale scelta, in passato, appari-va soprattutto come opzione polemica-mente atea. Oggi per vari motivi va diffon-dendosi anche fra i credenti. In assenza dimotivazioni contrarie alla fede, la Chiesanon si oppone alla cremazione». Alcuneperplessità vengono manifestate in ordinealla possibilità concessa dalla legislazione ci-vile, di spargere le ceneri in natura o con-

servarle in luoghi diversi dal cimitero, comein casa. «La Chiesa ha molti motivi per es-sere contraria a simili scelte, che possonosottintendere motivazioni o mentalità pan-teistiche o naturalistiche... Inoltre si rendepiù difficile il ricordo dei morti, estinguen-dolo anzitempo».

Tra le indicazioni pastorali si sottolineache la Chiesa raccomanda vivamente diconservare la consuetudine di seppellire idefunti e consente la cremazione se talescelta non mette in dubbio la fede nella ri-surrezione. Il fedele che ha scelto la crema-zione in questo spirito ha diritto alle ese-quie ecclesiastiche, mentre spargere le ce-neri o conservarle in altro luogo che non siail cimitero, sono considerate scelte compiu-te per ragioni contrarie alla fede cristiana, eciò comporta la privazione delle esequie ec-clesiastiche.

Questo capitolo pertanto presenta unoschema di preghiera sul luogo della crema-zione considerando due possibilità: nel casoin cui il feretro venga portato direttamentesul luogo della cremazione, senza una cele-brazione in chiesa (schema A), oppure do-po che le esequie siano già state celebrate(schema B con quattro proposte). E’ previ-sto anche uno schema per la celebrazioneesequiale dopo la cremazione in presenzadell’urna cineraria, preceduto da alcuniOrientamenti pastorali, e infine sei schemidi preghiere per la deposizione dell’urna.

Completa il Sussidio un’ampia Appendi-ce articolata in 6 capitoli: testi biblici (1),proposte di schemi per la Liturgia della Pa-rola (2), preghiere per varie circostanze (3),preghiera del Santo Rosario (4), preghieredei fedeli (5), canti (6).

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Prima lettura: Dt 4,32-34.39-40Salmo responsoriale: dal Sal 32 (33)Seconda lettura: Rm 8,14-17Vangelo: Mt 28,16-20

Il Sal 32, come fa sempre la Bibbia, con-templa l’universo non come “natura” ma co-me “creato”, ed in esso scopre il segno di unaparola suprema ed efficace, quella del Crea-tore. Dando uno sguardo poi alla storia d’I-sraele, il nostro salmo esalta l’azione efficacedi Dio in essa. Con questo inno glorifichiamoDio, Signore della creazione e della storia.

La celebrazionedella solennità dellaSantissima Trinitàalla fine dell’itinera-rio che abbiamo per-corso da Natale alCalvario e dallaTomba vuota alla ve-nuta dello Spirito èun invito a contem-plare le radici di tut-to quanto abbiamocommemorato neldecorso dell’anno li-turgico. Si tratta diuna storia di salvez-za il cui protagonistaè Dio Uno e Trino.Alla luce del mistero

trinitario tutto acquista il suo senso. Tutto di-scende dal Padre, per Gesù Cristo, suo Figliofatto uomo, grazie all’azione dello Spirito San-to e alla sua presenza nei nostri cuori. Tuttorisale al Padre per il suo Figlio, nello Spirito.E’ questo il doppio movimento, discendente eascendente, del mistero della salvezza.

Noi sappiamo qualcosa di Dio perché eglisi è manifestato nella storia come creatore esalvatore. Le letture bibliche di questa celebra-zione ci invitano ad approfondire, in una pro-spettiva di fede, i modi in cui Dio si rivela e si

fa presente nella sto-ria della salvezza enella nostra vita diogni giorno. La primalettura propone unbrano del discorso te-nuto da Mosè al po-polo d’Israele uscitodall’Egitto e vicinoormai alle soglie del-la terra promessa.Mosè invita i suoiascoltatori a prenderecoscienza della bene-vola vicinanza cheDio ha mostrato conloro. Egli è il Santo alquale l’essere umanonon può accostarsi.Eppure ha parlato ai

SSAANNTTIISSSSIIMMAA TTRRIINNIITTÀÀ ((BB))77 ggiiuuggnnoo 22000099Beato il popolo scelto dal Signore

La parola di Dio celebratap. Matias Augé, cmf

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termine della cena pasquale. Dal caliceriempito col sangue di Cristo scaturisce lavita per l’umanità. Questo è veramente ilcalice della salvezza.

SSAANNTTIISSSSIIMMOO CCOORRPPOO EE SSAANNGGUUEE DDII CCRRIISSTTOO ((BB))1144 ggiiuuggnnoo 22000099Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 3-2009

figli di Israele ed essi hanno udito la sua voce esono rimasti vivi. Poi Mosè trae la conseguenzadi tutto ciò: la fedeltà a Dio unico Signore è lagaranzia della libertà e della felicità. Questapagina della Scrittura ricorda ciò che non biso-gna mai dimenticare: Dio non si dimostra, simostra. Nel Nuovo Testamento segno di questapresenza di Dio è Gesù, il quale ci rassicuranel brano evangelico d’oggi: “io sono con voitutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

Dio non è il gendarme della nostra vita, mail Padre che attraverso il suo Spirito ci rendesempre più figli ed eredi sul modello di suoFiglio unigenito Gesù. Nella seconda lettura,l’apostolo Paolo ci esorta ad aprire il nostrocuore a questo Spirito. Trasformati dall’amoredello Spirito, i nostri rapporti devono essere fi-liali verso il Padre e fraterni verso il Cristo.

Nel brano evangelico, Gesù ci invita apassare dalla comunione interpersonale conDio alla testimonianza di questa esperienza.Infatti, congedandosi dagli apostoli, Gesù af-ferma solennemente: “A me è stato dato ognipotere in cielo e sulla terra. Andate dunquee fate discepoli tutti i popoli, battezzandolenel nome del Padre e del Figlio e dello Spiri-to Santo, insegnando loro a osservare tuttociò che vi ho comandato”.

Alla luce del mistero trinitario, Dio ci simanifesta come un Dio che esce da se stesso,ama il mondo e l’uomo; si comunica e dialogacon lui. Un Dio quindi vicino, che viene al no-stro incontro per mezzo di suo Figlio. Un Dioche addirittura ci fa partecipi della sua vita.Un Dio di cui possiamo ben dire: “grande è ilsuo amore per noi” (antifona d’ingresso).

Prima lettura: Es 24,3-8Salmo responsoriale: dal Sal 115 (116)Seconda lettura: Eb 9,11-15Vangelo: Mc 14,12-16.22-26

Dopo l’evocazione di un incuboda cui Dio lo ha liberato, l’autoredel Sal 115 in un soliloquio cantala sua totale fiducia nell’amore di-vino anche quando l’infelicità oc-cupa l’orizzonte della vita. E’ perquesto che ora, nel tempio e davan-ti all’assemblea, egli alza “il calicedella salvezza” e offre “un sacrifi-cio di ringraziamento”. Questo sal-mo era usato nella liturgia ebraicacome preghiera di ringraziamento a

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Le tre letture odierne ci invitano a riflet-tere sul significato dell’Eucaristia come sa-crificio della nuova ed eterna alleanza tra Dioe gli uomini. Dio, nel sangue di Cristo suo Fi-glio ha stretto con noi una nuova alleanza chedà compimento a quella antica stipulata conIsraele con la mediazione di Mosè.

Il brano del libro dell’Esodo racconta lacelebrazione dell’alleanza tra Dio e il popolod’Israele ai piedi del monte Sinai, dopo laproclamazione del decalogo, la carta costitu-zionale del popolo di Dio. La celebrazione siconclude con la solenne promessa del popo-lo: “Quanto ha detto il Signore, lo eseguire-mo e vi presteremo ascolto”. Allora Mosèprende il sangue degli animali sacrificati - dicui una metà era stata versata sull’altare - ene asperge il popolo dicendo: “Ecco il san-gue dell’alleanza, che il Signore ha conclusocon voi sulla base di tutte queste parole!”. Ilrito del sangue, considerato sede e veicolodella vita, esprime il rapporto vitale del po-polo che accoglie le parole del Signore e siimpegna ad attuarle.

La seconda lettura ci ricorda che il Signo-re Gesù è diventato l’unico sacerdote e media-tore della nuova alleanza “non mediante ilsangue di capri e di vitelli, ma in virtù delproprio sangue”. A questo punto diventa pos-sibile comprendere il testo evangelico che ri-porta il racconto dell’ultima cena. Quando

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Gesù offre ai suoi discepoli il calice e dice:“Questo è il mio sangue dell’alleanza, che èversato per molti”, non c’è dubbio che intenderiferirsi al sangue nel quale era stata stipulatal’alleanza sinaitica. Il sangue che Gesù versasulla croce ed offre nell’Eucaristia è il sanguedella nuova alleanza. Gesù con il suo sacrifi-cio realizza contemporaneamente le due di-mensioni dell’alleanza: l’impegno di Dio versol’uomo e l’obbedienza dell’uomo verso Dio. Lanuova alleanza con Dio, sigillata col sangue diCristo, si perpetua nei secoli nella misura incui noi, nutriti con il pane e il vino dell’Euca-ristia, siamo capaci di riprodurre in noi lo sti-le oblativo della vita di Cristo attraverso l’ob-bedienza alla sua parola e attraverso il donodi noi stessi nell’amore verso i fratelli.

Notiamo che il sangue della nuova alleanzaviene versato “per molti”, espressione che nelparlare semitico non si oppone a tutti, ma puòsignificare “per tutti che sono molti”, cioè pertutti gli uomini senza distinzione. Tutti coloroche partecipano di questo patto sono ancheuniti tra di loro, chiamati tutti a formare l’uni-co popolo di Dio. L’orizzonte si allarga quindioltre il gruppo dei discepoli. Essi, nella pro-spettiva di Gesù, costituiscono il nucleo di unacomunità che potenzialmente abbraccia tuttigli esseri umani. Nel pane e nel vino dell’eu-caristia si prolunga l’efficacia salvifica dellamorte di Gesù che rende possibile un nuovorapporto degli uomini tra loro e con Dio.

Prima lettura: Gb 38,1.8-11Salmo responsoriale: dal Sal 106 (107)Seconda lettura: 2Cor 5,14-17Vangelo: Mc 4,35-41

Il salmo responsoriale d’oggi viene presodalla seconda parte del lungo Sal 106, incui dei marinai narrano la loro avventuradurante una violenta tempesta e l’intervento

DDOOMMEENNIICCAA XXIIII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB ))2211 ggiiuuggnnoo 22000099 Rendete grazie al Signore, il suo amore è per sempre

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di Dio che li ha liberati dalle loro angustie,un’esperienza indimenticabile ed eccezio-nale per un popolo come Israele che nonaveva tradizioni marinare. Tutta l’assembleasi associa nel ringraziamento al Signore perlo scampato pericolo. La drammatica de-scrizione della tempesta ci ricorda il rac-conto della tempesta sul lago di cui parla ilVangelo oggi.

Il tema del mare unifica il contenutodella prima lettura e quello della letturaevangelica. Con le sue tempeste improv-vise e la sua forza invincibile, il mare hasempre colpito l’immaginazione degli an-tichi, che lo consideravano un simbolodelle potenze demoniache, perché incon-trollabile. Nella Bibbia il mare e l’oscu-rità sono simbolo del caos iniziale, domi-nato e vinto dalla potenza creatrice di Dio(cf. Gn 1). Il mare è la sede di tutte leforze ostili a Dio, destinato a scomparireper sempre quando la creazione sarà to-talmente rinnovata (cf. Ap 21,1). La vitto-ria sulle malefiche potenze del mare nonè in potere dell’uomo; è solo di Dio, l’uni-co che riduce la tempesta al silenzio (cf.salmo responsoriale). Su questo scenario,il gesto di Gesù che calma la tempesta sullago e salva i discepoli dal naufragio ac-quista tutto il suo significato. Notiamoche si tratta di un miracolo che Gesù noncompie per la folla, che è assente; prota-gonisti del racconto sono Gesù e i disce-poli. Si tratta quindi di un evento delquale i discepoli sono chiamati a cogliereil segreto. Quale segreto?

Possiamo affermare che il racconto disan Marco ha una doppia finalità: farci co-noscere meglio la persona di Gesù e illu-strare poi quale dev’essere il nostro rappor-to con lui. Infatti, il passo evangelico de-scrive uno degli eventi più dimostrativi

della vera identità di Cristo. E’ l’unico te-sto in cui si parla del sonno di Gesù, ilquale essendo soggetto a questo bisognoumano appare come vero uomo. Al tempostesso però Gesù agisce da assoluto e in-contrastato padrone delle forze della naturae, in questo modo, si manifesta ai discepolicome vero Dio.

Quale dev’essere il nostro rapporto conGesù, il Cristo, uomo e Dio? San Marco neiversetti anteriori dello stesso capitolo ha rac-contato la parabola del seme gettato in terra.Ecco quindi che dopo la lezione del semeche germoglia e cresce, indipendentementedal seminatore, che egli “dorma o vegli, dinotte o di giorno”, Gesù si poteva attenderedai suoi discepoli un atteggiamento fiducio-so, un atto di fede in colui che aveva presol’iniziativa della traversata, anche se ora erasprofondato nel sonno. Gesù deve costatareinvece che i suoi discepoli non hanno ancorauna fede compiuta. D’altra parte, il sonno diGesù, lo sgomento dei discepoli e la loromancanza di fede fanno pensare agli avveni-menti raccontati alla fine del Vangelo secon-do Marco (Mc 16,10-14).

Coloro che erano stati con Gesù hannorischiato di sprofondare, travolti dal dub-bio, al momento della sepoltura del loroMaestro. Non hanno creduto coloro che an-nunciavano il suo risveglio da morte. Mani-festandosi agli Undici, li ha rimproverati,come in questo caso, per la loro incredulitàe la loro inquietudine si è subito calmata.La fede ci insegna a non esaltarci nel suc-cesso e a non abbatterci nelle tempeste, maa riconoscere sempre in ogni evento che ilSignore è presente e ci accompagna nelcammino della storia. Come dice la collettadella Messa, il Signore non priva mai dellasua guida coloro che ha stabilito sulla roc-cia del suo amore.

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Prima lettura: Ger 1,4-10Salmo responsoriale: dal Sal 70 (71)Seconda lettura: 1Pt 1,8-12Vangelo: Lc 1,5-17

Come salmo responsoriale vengono pro-posti alcuni versetti del Sal 70. Si tratta del-la preghiera di un anziano che fin dalla suagiovinezza ha posto la sua speranza nel Si-gnore. I versetti ripresi dalla liturgia, alla lu-ce della prima lettura, vengono applicati allavocazione e alla missione profetica di Gio-vanni Battista, scelto dal Signore fin dallasua giovinezza per proclamare la salvezza.Le tre letture bibliche fanno riferimento aquesto ruolo profetico del Battista.

Il brano della prima lettura riporta la vo-cazione di Geremia, chiamato ad essere pro-feta quando era ancora di giovane età in unmomento in cui il popolo di Dio attraversavauno dei più difficili sconvolgimenti della suastoria. Leggendo la vocazione di Geremia sicomprende meglio la vocazione di Giovanni,anch’egli chiamato dal Signore “fin dal senodi sua madre” (vangelo) in un momento cru-ciale della storia di Israele. Geremia è chia-mato “per sradicare e demolire, per distrug-gere e abbattere, per edificare e piantare”.Giovanni Battista, come Geremia, è inviato econsacrato da Dio per annunciare contempo-raneamente il giudizio e la redenzione delpopolo.

L’ufficio profetico non è legato alla fami-glia o ad un ordine legale, come quello deisacerdoti e dei leviti, ma è liberamente, di-rettamente trasmesso da Dio stesso, come

missione. “Attraverso i profeti, Dio forma ilsuo popolo nella speranza della salvezza,nell’attesa di una alleanza nuova ed eternadestinata a tutti gli uomini e che sarà inscrit-ta nei cuori” (Catechismo della Chiesa Catto-lica, n. 64). Queste parole trovano una suaeminente espressione nella missione di Gio-vanni Battista: Egli “camminerà innanzi [alSignore] con lo spirito e la potenza di Elia,per ricondurre i cuori dei padri verso i figli ei ribelli alla saggezza dei giusti e preparareal Signore un popolo ben disposto” (vange-lo). Come i profeti antichi, Giovanni traducela legge in termini di esistenza vissuta, an-nunzia l’imminenza dell’ira e della salvezzae, soprattutto, discerne il Messia presentesenza essere conosciuto e lo indica. Giovan-ni chiude l’economia dell’antica alleanza,succedendo all’ultimo dei profeti, Malachia(V secolo a. C.), di cui compie l’ultima pre-dizione: “Io invierò il profeta Elia prima chegiunga il giorno grande e terribile del Signo-re” (Ml 3,23).

I profeti sono amici di Dio che, animatinel profondo dallo Spirito, indicano al popo-lo il senso degli eventi, ammoniscono, scuo-tono. Più che predire il futuro, i profeti han-no il dono di capire e interpretare il presen-te. Non hanno paura di dire anche delle ve-rità scomode, che contrastano con l’indirizzodelle istituzioni politiche e religiose e chepossono mettere in pericolo di vita chi le an-nunzia. Anche Gesù viene considerato unprofeta dai suoi contemporanei (cf. Gv 6,14)ed egli stesso lo afferma di sé (cf. Lc 13,33).Anzi, Gesù non è solo un profeta, ma il pro-feta, l’inviato dal Padre per annunciare agli

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NNAATTIIVVIITTÀÀ DDII SSAANN GGIIOOVVAANNNNII BBAATTTTIISSTTAAMMEESSSSAA VVEESSPPEERRTTIINNAA DDEELLLLAA VVIIGGIILLIIAA2233 ggiiuuggnnoo 22000099Dal grembo di mia madre sei tu il mio sostegno

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uomini la buona novella della salvezza (cf.Lc 4,24). I profeti esistono ancora, sono pre-senti in mezzo a noi. Il Vaticano II affermache tutti i cristiani sono chiamati a parteci-pare al ruolo e alla missione profetica di Cri-sto. La profezia è quindi un dono e una di-mensione comune dell’esistenza cristiana.Questo dono si manifesta in modo particolar-

Prima lettura: Is 49,1-6Salmo responsoriale: dal Sal 138 (139)Seconda lettura: At 13,22-26Vangelo: Lc 1,57-66.80

La solennità della Natività di san Gio-vanni Battista è situata sei mesi prima delNatale (in omaggio al testo di Lc 1,36) e tremesi dopo l’Annunciazione. Già nel secoloIII, fondandosi sul simbolismo del Cristo-sole, nella riflessione sulla storia della sal-vezza fu dedicata particolare attenzione aisolstizi; così si arrivò all’opinione che ilBattista fosse concepito all’equinozio di au-tunno e nato al solstizio di estate, poichénel solstizio di estate la lunghezza dei gior-ni incomincia a diminuire, mentre riprendead aumentare dopo quello di inverno, in cuicelebriamo la nascita di Gesù. La tradizionedei Padri vede in questo una conferma alleparole del Battista: “Egli deve crescere e ioinvece diminuire” (Gv 3,30). Al momentodovuto, Giovanni Battista scomparirà dallascena per far posto a Cristo.

Le letture bibliche e le preghiere della li-turgia odierna sottolineano il ruolo di Gio-

mente fecondo in alcuni santi e in semplici eumili credenti che vivono il loro battesimo inprofondità. La profezia non mancherà mainella comunità ecclesiale come forma per-manente di memoria che obbliga a non assu-mere mai nella vita alcun assoluto, ma piut-tosto a relativizzare ogni cosa davanti all’uni-co necessario.

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NNAATTIIVVIITTÀÀ DDII SSAANN GGIIOOVVAANNNNII BBAATTTTIISSTTAAMMEESSSSAA DDEELL GGIIOORRNNOO2244 ggiiuuggnnoo 22000099Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda

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vanni come “Precursore”, come colui che“prepara”, “annuncia”, “indica”, “rende te-stimonianza alla luce” che è Cristo Signore.Egli, come dice sant’Agostino, “sembra siaposto come un confine fra due Testamenti,l’Antico e il Nuovo” (Discorso proposto dal-l’Ufficio delle letture). Giovanni Battista èl’ultimo profeta di Israele e il primo del nuo-vo Israele.

La prima lettura riporta un brano del se-condo canto del “Servo del Signore”, miste-riosa figura messianica che viene presentatacome un profeta, oggetto di una predestina-zione divina; la sua missione è estesa non so-lo a Israele, ma anche alle nazioni per illumi-narle con la luce della salvezza. Il brano diIsaia è riferito anzitutto a Cristo. Ma anche diGiovanni si può dire: “il Signore dal senomaterno mi ha chiamato”. Anche il Precurso-re è stato chiamato ad essere “testimone dellaluce”: “Egli non era la luce, ma doveva ren-der testimonianza alla luce” (Gv 1,8). Sullastessa linea, nel brano evangelico, san Luca,nel narrare la nascita di Giovanni, stabilisceun certo parallelismo con quella di Cristo, maal tempo stesso fa emergere la totale finaliz-zazione del Precursore al Salvatore. La frasefinale: “E davvero la mano del Signore eracon lui” (v. 66) e l’aggiunta del v. 80 sullacrescita mirabile del bambino evocano le

stesse circostanze e realtà che si ripeterannoin modo pieno in Cristo Gesù. Giovanni ci sipresenta come vera icona di Cristo.

La seconda lettura riporta un brano deldiscorso tenuto da Paolo ad Antiochia. L’A-postolo sottolinea il ruolo di Precursore delMessia che Giovanni ha saputo interpretarecon fedeltà: “Io non sono quello che voi pen-sate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al qua-le io non sono degno di slacciare i sandali”.Giovanni ha avuto l’umiltà e la saggezza disentirsi solo strumento in ordine a Cristo.Non ha preteso di attirare su di sé gli sguardidegli uomini, ma si è preoccupato unicamen-te di orientarli verso il Cristo. Ognuno di noinella storia ha un suo ruolo da compiere, unasua missione da espletare. Ruolo e missioneche non devono essere fraintesi o indebita-mente esaltati.

Come ci ricorda il prefazio della messa,Giovanni non solo è stato eletto e consacra-to “a preparare la via a Cristo Signore”, maanche ha indicato al mondo “l’Agnello delnostro riscatto”. L’orazione dopo la comu-nione riprende lo stesso tema quando affer-ma che la Chiesa, “nutrita alla cena dell’A-gnello”, è invitata a riconoscere “l’autoredella sua rinascita, Cristo, che la paroladel Precursore annunziò presente in mezzoagli uomini”.

Il Sal 29 è una preghiera di ringrazia-mento di un uomo scampato dalla morte,che si esprime con sentimenti di traboc-cante gioia dopo che ha provato il sapore

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DDOOMMEENNIICCAA XXIIIIII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB ))2288 ggiiuuggnnoo 22000099 Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato

Prima lettura: Sap 1,13-15; 2,23-24Salmo responsoriale: dal Sal 29 (30)Seconda lettura: 2Cor 8,7.9.13-15Vangelo: Mc 5,21-43

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amaro del dolore e della morte. Infatti, an-che se il testo sembra oscillare continua-mente tra due estremi antitetici, l’accentofinale è posto sulla vita, sulla gioia, sullastabilità, come esprime bene il ritornellodel salmo responsoriale: “Ti esalterò, Si-gnore, perché mi hai risollevato”. La tradi-zione patristica ha applicato il salmo aCristo che dall’esperienza della morte èpassato alla pienezza della vita pasquale.Anche noi, riscattati in Cristo dalla morte,vediamo il nostro pianto mutato in gioia ela nostra tristezza cambiata in canto di rin-graziamento.

Nei racconti mitologici dell’antica Me-sopotamia troviamo un personaggio, l’eroenazionale Gilgamesh, il quale, sconvoltodall’esperienza della morte di un suo ami-co, va in cerca instancabile dell’immorta-lità. A questo scopo affronta pericoli, osta-coli, difficoltà di ogni genere. Ma tutto sirivela inutile. E alla fine Gilgamesh si sen-te dire da coloro che conoscono la sapien-za: “Quando gli dei hanno creato l’uomo,hanno tenuto per sé l’immortalità, e a luihanno dato come eredità la morte”. Diversoè il messaggio della nostra fede. Il librodella Sapienza, da cui è presa la prima let-tura, afferma: “Dio non ha creato la morte enon gode per la rovina dei viventi. Egli in-fatti ha creato tutte le cose perché esista-no”. In questo contesto, possiamo coglierel’insegnamento del brano evangelico odier-no, che riporta due dei miracoli compiutida Gesù: la guarigione dell’emorroissa e larisurrezione della figlia dodicenne di Giài-ro, uno dei capi della sinagoga.

Con questi segni Gesù ci si manifestacome Signore della vita, come colui chevuole la vita e non la morte. Ai nostri oc-chi, secondo la nostra esperienza, la vita sipresenta come provvisoria e la morte come

definitiva. Ma davanti a Gesù i rapporti sicapovolgono: la morte diventa provvisoriae alla vita viene promesso un futuro. Da-vanti a Gesù la morte diventa sonno; perdequindi il suo carattere di annientamentoper assumere quello di trasformazione.Con il Cristo la morte ha cessato di essereuna condanna senza appello, un eventosenza speranza: la vita continua anche do-po, come dono di Dio. Nelle icone orientalidella risurrezione, il Signore viene rappre-sentato con ai piedi le porte degli inferispezzate mentre solleva con le mani Ada-mo ed Eva: solo lui può calpestare la mor-te con la morte.

Quando la Bibbia parla di vita e dimorte dell’uomo, non si riferisce solo a fe-nomeni di natura biologica. Essa illustraun concetto anche spirituale e religioso divita e di morte che ha una fase terrena eun’altra al di là. Il Nuovo Testamento ciinsegna ad accogliere come via della vitaanche quella che passa attraverso la mortee la morte di croce. Vi è sempre un di piùin Dio che può creare vita perfino nellamorte. Per accedere alla vita piena e defi-nitiva il Signore chiede la fede: “Non te-mere, soltanto abbi fede!”, dice Gesù aGiàiro all’annuncio della morte della fi-glia. E all’emorroissa: “Figlia, la tua fedeti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita daltuo male”. Le guarigioni e le risurrezionioperate da Gesù significano quindi che lasalvezza è giunta al mondo. L’uomo muorenel momento in cui cessa di credere e disperare.

Della fede parla anche san Paolo nellaseconda lettura: i cristiani di Corinto chesono ricchi “in ogni cosa, nella fede, nellaparola…”, sono invitati ad essere generosie a condividere i loro beni con i cristianibisognosi della Chiesa di Gerusalemme.

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Prima lettura: At 12,1-11Salmo responsoriale: dal Sal 33 (34)Seconda lettura: 2Tm 4,6-8.17-18Vangelo: Mt 16,13-19

La Chiesa celebra e onora assieme nellostesso giorno i due santi apostoli Pietro ePaolo, che “Dio ha voluto unire in gioiosafraternità” (prefazio della messa). Si trattadi due personaggi molto diversi, ma ambe-due spinti dallo stessoamore per Cristo e la suaChiesa. Secondo sant’A-gostino, il loro martirio èsegno di unità della Chie-sa: “Un solo giorno è con-sacrato alla festa dei dueapostoli. Ma anch’essierano una cosa sola. Ben-ché siano stati martirizza-ti in giorni diversi, eranouna cosa sola. Pietro pre-cedette, Paolo seguì. Ce-lebriamo perciò questogiorno di festa, consacra-to per noi dal sangue de-gli apostoli” (Discorso let-to nell’Ufficio delle lettu-re). Celebriamo il misterodella Chiesa, fondata sulsangue e sull’insegna-mento degli apostoli (cf.l’orazione colletta).

Il brano degli Atti de-gli Apostoli riportato dallaprima lettura racconta cheil re Erode fece mettere in

prigione Pietro per poi ucciderlo appenapassata la Pasqua. Ma Dio lo liberò prodi-giosamente in virtù della preghiera inces-sante della comunità di Gerusalemme. Nellaseconda lettura Paolo, ormai al tramonto, fail bilancio della sua vita e anche lui, nono-stante le difficoltà trovate e le prove subitenell’adempimento della sua missione apo-stolica, dichiara che il Signore gli è stato vi-cino e, guardando al futuro, conclude: “il Si-

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SSAANNTTII PPIIEETTRROO EE PPAAOOLLOO AAPPOOSSTTOOLLIIMMEESSSSAA DDEELL GGIIOORRNNOO2299 ggiiuuggnnoo 22000099Il Signore mi ha liberato da ogni paura

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gnore mi libererà da ogni male…” Perciònel salmo responsoriale proclamiamo: “Il Si-gnore mi ha liberato da ogni paura”.

La lettura evangelica riporta la confes-sione di fede che Pietro fa a nome di tuttigli apostoli: “Tu sei il Cristo, il Figlio delDio vivente”, e la risposta di Gesù: “Tu seiPietro e su questa pietra edificherò la miaChiesa…” Il prefazio fa riferimento a que-sto passaggio quando dice che “Pietro perprimo confessò la fede nel Cristo”, ma subi-to dopo aggiunge: “Paolo illuminò leprofondità del mistero”. La fede di Pietro èilluminata dal mirabile magistero di Paolo.Pietro e Paolo sono le colonne della Tradi-zione cristiana. Pietro, la roccia sulla qualeCristo ha fondato la sua Chiesa; Paolo, “ilmaestro e dottore, che annunziò la salvezzaa tutte le genti” (prefazio).

Il prefazio e le orazioni della messa de-lineano il significato ecclesiologico deidue apostoli. Il prefazio afferma che i santiPietro e Paolo “con diversi doni hannoedificato l’unica Chiesa”. E l’orazione do-po la comunione contempla questa unicaChiesa alla luce delle note che hanno ca-ratterizzato l’ideale della primitiva Chiesa

gerosolimitana: perseveranza nella frazio-ne del pane, nella dottrina degli apostoli,per formare nel vincolo della carità uncuor solo e un’anima sola. Il testo fa riferi-mento a At 2,42 (e paralleli), che descrivela vita della comunità primitiva come co-munione fraterna o koinonia, termine gre-co che definisce la comunione di fede conDio o con Cristo e l’unione profonda tra icredenti che si esprime e si attua nella fe-de comune, nell’esperienza eucaristica enella partecipazione spontanea dei beni.Questa comunione dei beni esprime tutta-via una realtà più profonda: la comunionedei cuori e delle anime.

La festa degli apostoli Pietro e Paolo ciricorda che la Chiesa è un mistero di comu-nione. Possiamo quindi affermare che lamissione primaria della Chiesa è quella diessere segno di comunione nel mondo. Ilcristiano deve avere un cuore grande, sgom-bro di pregiudizi, un cuore pulito e traspa-rente, pronto all’incontro e al servizio. “LaChiesa è famiglia dei figli di Dio, nella qua-le siamo tutti fratelli […] essa si accrescenel mistico scambio di tutto ciò che ciascu-no è e compie nella Chiesa” (CEI, Comu-nione e Comunità, n. 19).

Prima lettura: Ez 2,2-5Salmo responsoriale: dal Sal 122 (123)Seconda lettura: 2Cor 12,7-10Vangelo: Mc 6,1-6

Il Sal 122, composto probabilmente ne-

gli anni dell’esilio, è una preghiera in cui ilpopolo d’Israele leva a Dio i suoi occhi.Egli è completamente nelle sue mani e at-tento al minimo cenno della sua volontà. Laforza di questo breve salmo è tutta in questiocchi e in queste mani. Gli occhi sono gli

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DDOOMMEENNIICCAA XXIIVV DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB ))55 lluugglliioo 22000099I nostri occhi sono rivolti al Signore

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Volendo trarre da questi passaggi un in-segnamento valido per tutti noi, possiamorivolgere la nostra attenzione in modo parti-colare al racconto evangelico. Uno dei moti-vi della freddezza dei nazaretani nei con-fronti di Gesù è il fatto che egli non era sta-to e non sembrava essere che uno di loro. Iconcittadini di Gesù si erano costruitaun’idea del Messia che non combaciava conquella offerta dal “falegname, il figlio diMaria”. Essi non volevano mettere in di-scussione i loro schemi mentali.

Ecco perché passano rapidamente dallostupore, allo scandalo e poi alla incredu-lità. Uno dei motivi per cui la parola diDio può essere inefficace in noi è la durez-za del nostro cuore, l’attaccamento incon-dizionato ai propri schemi di pensiero, allapropria visione delle cose, al proprio mododi affrontare la vita. Il nostro orgoglio ciimpedisce talvolta di metterci in discus-sione e quindi di accogliere il messaggiosalvifico che ci invita a cambiare condotta.L’antifona al Magnificat dei Secondi vespridi questa domenica riprende un versettodel vangelo di san Giovanni (1,11) cheparla del prezioso dono che viene offerto acoloro che accolgono il Signore: “Gesùvenne tra la sua gente, e i suoi non l’accol-sero. A chi l’accoglie, dà il potere di di-ventare figli di Dio”.

Dio vuole che la verità si imponga persé stessa, non per i condizionamenti ester-ni. Egli inoltre si propone come un Dio im-prevedibile, che si rivela mediante stru-menti e nei momenti più impensati. La suaofferta di salvezza non è legata a formulefisse, e se schemi preferiti ci sono, sonoquelli umanamente più fragili, perché simanifesti pienamente la sua potenza (cf. se-conda lettura).

occhi di un povero, di un servo, gli occhi diciascuno di noi che ha bisogno di pietà. Lemani del padrone sono invece le mani diDio, mani che creano, che cercano, che sol-levano, che redimono.

La prima lettura ci parla di Ezechiele;essendo membro di una famiglia influente,fu deportato assieme ad altri numerosi com-pagni di sventura a Babilonia. Qui, nellasolitudine dell’esilio sulle rive del fiumeChebàr, Dio gli si manifesta e lo manda aparlare al suo popolo che, nonostante l’ele-zione divina, è “una razza di ribelli”.

Ezechiele è chiamato a denunciare ilpeccato di Israele come violazione dell’al-leanza con Dio, che si radica nel “cuore in-durito”. Da qui derivano la resistenza e ilrifiuto da parte dei destinatari della suamissione. La difficile missione del profetaEzechiele tra i suoi connazionali viene pro-posta come lo sfondo adatto per capire ladisastrosa esperienza di Gesù nel propriopaese, di cui ci parla il brano evangelico.

A Nazaret, dove ha passato gran partedella sua vita, Gesù al sabato predica nellasinagoga suscitando un certo stupore e in-contrando allo stesso tempo un ostile rifiuto.Di fronte a questa reazione, Gesù non trovaaltra spiegazione se non quella che la sa-pienza popolare ha condensato nel prover-bio: “Un profeta non è disprezzato che nellasua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”.Gesù si predispone a percorrere la sorte deiprofeti, che nella tradizione biblica sonocontestati e rifiutati da coloro ai quali sonoinviati. L’esperienza di san Paolo non è statamolto diversa. Ce ne parla egli stesso nelbrano della seconda lettura, in cui ci ricordale difficoltà di ogni genere incontrate nellasua attività di evangelizzatore: oltraggi, per-secuzioni, angosce sofferte per Cristo.

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versione. Da parte sua, san Paolo nella se-conda lettura afferma che siamo stati “sceltiprima della creazione del mondo, per esseresanti e immacolati”, perché si realizzi il di-segno del Padre di “ricondurre al Cristo,unico capo, tutte le cose”. In questo proget-to si inserisce anche la missione cristiana.Tutte e tre le letture bibliche quindi ci invi-tano a riflettere sulla natura della missione.Ecco che ritorna il tema della scorsa dome-nica, ma sotto angolazione diversa.

Là il punto focale era da un lato l’inviodi Gesù come profeta per eccellenza e dal-l’altro l’incomprensione e il rigetto che gliriservano i suoi compatrioti. Nella presentedomenica l’argomento è quello della voca-zione e missione che Dio affida alla Chiesaper l’attuazione del suo piano di salvezza.Gesù non vuol fare dei suoi un gruppo chiu-so di “puri”, di “illuminati”: li manda inmissione in mezzo a tutti. Il piano di Dio in-fatti è di “ricondurre” tutte le cose al Cri-sto. La missione è un rischio; gli inviatipossono essere anche non accolti e nonascoltati.

I missionari non vanno a fare una crocia-ta, ma una proposta. Come tale deve avveni-re al di fuori di ogni ricatto. Le istruzioni cheGesù dà ai discepoli inviati in missione sonoun invito a porre la loro fiducia non nell’ab-bondanza dei mezzi materiali, ma in coluiche li manda e nel messaggio che essi sonochiamati ad annunciare. Il bagaglio “legge-ro” dei Dodici in missione fa spontaneamen-te pensare al bagaglio “pesante” che a voltesopporta la nostra testimonianza. Non dob-

Prima lettura: Am 7,12-15Salmo responsoriale: dal Sal 84 (85)Seconda lettura: Ef 1,3-14Vangelo: Mc 6,7-13

Il Sal 84 si riferisce ai giorni che segui-rono immediatamente la liberazione dall’e-silio, concessa da re Ciro, e alle prime diffi-coltà incontrate dai reduci in patria. L’ulti-ma parte del salmo, quella proposta oggidalla liturgia, annuncia un messaggio daparte di Dio: messaggio di pace, di miseri-cordia, di verità, e di giustizia.

La tradizione cristiana ha riletto questocanto del “ritorno” di Israele alla sua terrae al suo Dio, e del “ritorno” di Dio versoIsraele, sua sposa, come la celebrazionedell’abbraccio perfetto in Cristo tra naturaumana e natura divina. Il salmo descrivequindi i beni dell’era messianica.

La prima lettura ci racconta lo scontrodel profeta Amos col gran sacerdote delsantuario di Betel Amasìa. Le denuncie delprofeta contro il culto idolatrico promossodal re non sono gradite al gran sacerdote,che sta a servizio del santuario stipendiatodal re e, in conseguenza, Amos viene scac-ciato come disturbatore della pubblicaquiete. Egli però ribadisce che profetizzaper ordine del Signore che lo ha inviato aparlare al popolo d’Israele.

Il profeta quindi parla a nome di Dio edè responsabile davanti a lui. Il brano evan-gelico racconta come Gesù manda i Dodiciin una prima missione a predicare la con-

DDOOMMEENNIICCAA XXVV DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB ))1122 lluugglliioo 22000099Mostraci, Signore, la tua misericordia

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biamo dimenticare mai che la missione con-siste nel testimoniare davanti al mondo GesùCristo mandato dal Padre, morto e risorto,che ha inviato il suo Spirito perché, per mez-zo di lui, tutto ritorni al Padre. Il piano diDio – lo abbiamo già detto – è di “ricondur-re” tutto al Cristo.

Dio ha scelto ciascuno di noi fin dall’e-ternità e attraverso il battesimo ci ha privi-

legiati non perché usassimo egoisticamentedi questo dono, ma perché diventassimo nelmondo testimoni del suo amore. In casa e allavoro, per le strade e sulle spiagge, nellagioia e nel dolore, con i vicini, gli amici, ifamiliari, e anche con chi non ci è amico,siamo chiamati a condividere questa nostrasperanza. Ciò può comportare, come nelprofeta Amos e negli apostoli, incompren-sioni e sofferenza.

Prima lettura: Ger 23,1-6Salmo responsoriale: dal Sal 22 (23)Seconda lettura: Ef 2,13-18Vangelo: Mc 6,30-34

La sublime poesia del Sal 22, testo diuna semplicità lineare, è retta da due unitàsimboliche: quella pastorale, tanto cara al-la tradizione biblica e orientale in genere;e quella dell’ospitalità, segno di intimità. Ilpastore non è solo la guida, è anche il com-pagno di viaggio.

Nella persona di Cristo, il Dio che fu Pa-store e Ospite di Israele, si fa incontro agliuomini con un volto umano e con amore ebontà che superano ogni intendimento. LaChiesa, che si riconosce familiarmente intutto il salmo, ne ha collegato il tema conquelli del battesimo (le acque), della confer-mazione (l’olio) e dell’eucaristia (la mensa).

Il brano evangelico di questa domenicalascia intravedere uno spaccato di umanitàdel Figlio di Dio. Gesù rivolgendosi agliapostoli, che ritornano dalla missione a cui

erano stati mandati, li invita a riposarsi unpo’: “Venite in disparte, voi soli, in un luo-go deserto, e riposatevi un po’ ”. Gesù vuo-le rimanere solo con i suoi apostoli dopo laloro prima esperienza missionaria.

Egli si prende cura dei suoi discepoli, del-la loro fatica, della loro stanchezza. Più avantiancora, ci viene raccontato che la folla cuiGesù con i suoi discepoli si era sottratto, losegue nella solitudine. Vedendo la gran follache accorreva da lui, Gesù “ebbe compassio-ne di loro, perché erano come pecore che nonhanno pastore, e si mise a insegnare loro mol-te cose”. Gesù si commuove e mette a dispo-sizione di questa gente il suo insegnamento,anzi mette se stesso a disposizione di quantihanno bisogno di lui. L’atteggiamento di Gesùnei confronti della folla sta a significare che lamisericordia di Dio è offerta a tutti.

Nella seconda lettura, san Paolo sottoli-nea che fonte di pace, di vita autentica del-l’uomo con Dio e dell’uomo con l’uomo nonè più la legge ma una persona che si è datasenza riserve per gli altri, Cristo Gesù:

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DDOOMMEENNIICCAA XXVVII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB ))1199 lluugglliioo 22000099Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla

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“Egli infatti è la nostra pace”: perché “ècolui che di due (popoli) ha fatto una cosasola”, perché la sua logica porta ad elimi-nare ogni squilibrio, a distruggere ciò che è“muro di separazione”, fonte di “inimici-zia”, in una parola ciò che oppone uomo auomo, popolo a popolo.

In Gesù si compie la parola profetica diGeremia (cf. prima lettura), il quale, dopo ladenuncia contro i pastori malvagi del suotempo che hanno condotto il popolo di Dioalla rovina, annuncia che Dio invierà un regiusto per far ripartire la storia dell’alleanzacon il suo popolo.

Il nome di questo re è “Signore-nostra-giustizia”, cioè nostra salvezza. Gesù Cristo,il buon pastore, mandato come re e salvato-re, è la parola divina di pace rivolta a tuttigli uomini, mediatore della nostra pace conDio, punto d’incontro di noi con Dio e del-l’uomo con l’uomo.

Come gli apostoli al ritorno della loro fa-ticosa missione e come la grande folla cheseguiva Gesù, anche noi non possiamo fare ameno della “compassione” del Maestro nellenostre ricerche e nelle nostre fatiche; nonpossiamo gestire autonomamente i nostriprogetti; abbiamo bisogno di riposare inqualcuno che possa dare sicurezza e consi-stenza al nostro quotidiano impegno, abbia-mo bisogno della parola illuminata e illumi-nante del Signore.

Tutti abbiamo bisogno di riposo, di qual-che forma di vacanza, di trovare ogni tantouno spazio di silenzio, ma abbiamo anchegrande bisogno di preghiera, di autenticoincontro con Dio e con i fratelli per nonsmarrire il senso profondo della nostra vita,del nostro agire e del nostro sperare. La ce-lebrazione eucaristica domenicale è un mo-mento in cui ci è dato di realizzare questovero incontro con Dio e con i fratelli. Nonsprechiamolo!

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DDOOMMEENNIICCAA XXVVIIII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB ))2266 lluugglliioo 22000099Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente

corda che il Signore è fedele e provvidente,giusto ed amorevole.

La Chiesa adopera questo salmo per ce-lebrare, con accenti diversi, la gloria di Cri-sto e la sua bontà verso gli uomini. La pri-ma lettura ci racconta come il profeta Eli-seo ha sfamato con pochi pani, una ventina,un gruppo di cento persone.

Il brano evangelico parla di un prodigiosimile, ma di proporzioni molto maggiori,compiuto da Gesù, il quale sfama una gran-

Prima lettura: 2Re 4,42-44Salmo responsoriale: dal Sal 144 (145)Seconda lettura: Ef 4,1-6Vangelo: Gv 6,1-15

Il Sal 144 è una celebrazione solennedella regalità di Dio. Lode, ringraziamento,fiducia sono i sentimenti che si fondono inquesto canto al Signore re amoroso e teneronei confronti delle sue creature. La liturgiaodierna riprende alcuni versetti della se-conda parte del salmo, dove si annunciache il regno di Dio è un regno eterno e si ri-

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de folla che lo seguiva, circa cinquemilauomini, con solo cinque pani d’orzo e duepesci.

La folla, visto il prodigio della moltipli-cazione dei pani e dei pesci compiuto daGesù, cominciò a dire: “Questi è davvero ilprofeta, colui che viene nel mondo”. Eccoquindi che il miracolo accende le speranzemessianiche della moltitudine.

Malgrado ciò l’equivoco è enorme: lagente cerca Gesù perché era stata saziata,non perché aveva capito il messaggio delsuo gesto. Infatti, sia la moltiplicazione deipani compiuta da Eliseo sia la moltiplica-zione dei pani e dei pesci compiuta da Ge-sù sono dei gesti profetici (“segni”) che nel-l’ambiente in cui sono sorti e nella menta-lità degli scrittori che li narrano hanno unvalore simbolico: i due racconti intendonoproclamare l’intervento di Dio - mediante isuoi messaggeri - nei momenti del bisognoumano, la potenza della sua parola, la cre-dibilità dei suoi profeti. Ecco perché la li-turgia d’oggi ci invita nel salmo responso-riale a ripetere: “Apri la tua mano, Signore,e sazia ogni vivente”.

L’evento della moltiplicazione dei paniha anche un significato eucaristico. Giovan-ni annota che “era vicina la Pasqua, la festadei Giudei”. Gesù quella volta non vi parte-cipò. Lì sul monte egli non mangia l’agnelloma imbandisce un banchetto in cui si di-stribuisce e si spezza insieme il pane.

L’allusione al banchetto eucaristico è già

evidente, ma si accresce ancor più se pen-siamo che, a differenza dei racconti di molti-plicazione dei Sinottici in cui anche i disce-poli sono attivi, qui, come nei racconti sinot-tici dell’ultima Cena, solo Gesù agisce quan-do si tratta di prendere, rendere grazie, daree distribuire il pane, non senza prima avermesso alla prova la fede dei suoi discepoli.

Non mancano oggi situazioni umane diautentica necessità, di fame vera e propria,in cui tutti possiamo in qualche modo inter-venire secondo i mezzi nostri e le nostrepossibilità.

I nostri fratelli e le nostre sorelle biso-gnosi hanno diritto a trovare in ciascuno dinoi qualcosa dell’abbondanza di Dio che siè manifestata nel gesto di Gesù che ha sfa-mato le folle. Nella seconda lettura, sanPaolo inizia con questa esortazione: “Fra-telli, io, prigioniero a motivo del Signore, viesorto: comportatevi in maniera degna dellachiamata che avete ricevuto”.

Comportarsi in modo coerente con lachiamata ricevuta significa per Paolo anzi-tutto “conservare l’unità dello Spirito permezzo del vincolo della pace”. La realizza-zione di questo ideale di unità e di comu-nione richiede la disponibilità alla condivi-sione anche dei beni terreni (cf. orazionecolletta).

Oggi ancora, come un giorno sul monte,Gesù spezza il pane per noi, anzi in quelpane egli dona a noi tutto se stesso, caparradella nostra eterna comunione con lui.

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a pienezza della spiritualità del Sacro Cuore può essere espressa nel viverepienamente il mistero dell’Eucaristia e nel capirne il significato. L’Eucaristiasi rivela così la sorgente di tutta la nostra vita. E’ il Sacramento che nutre e

ravviva l’identità cristiana. Essa fa di noi una Chiesa di discepoli, di testimoni, di an-nunciatori dell’immenso amore del Padre per ogni uomo.

L’Eucaristia dà alla nostra vita il suo orientamento, il suo movimento, la sua consi-stenza. L’Eucaristia, e più precisamente la celebrazione eucaristica, è la sorgente diuna spiritualità eucaristica. Infatti, la celebrazione eucaristica ci fa diventare comunitàautenticamente cristiane; essa è lo specchio delle comunità; essa dona uno stile di vi-ta per la missione. Essa rappresenta ciò che Paolo dice nella Seconda lettera ai Corin-zi: « E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signo-re, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondol’azione dello Spirito del Signore » (2 Cor 3,18).

Giovanni Paolo II, nella sua Lettera apostolica Mane nobiscum Domine (= MND)per l’anno dell’Eucaristia, scriveva: « L’Eucaristia non fornisce solo la forza interiore,ma anche – in certo senso – il progetto. Essa, infatti, è un modo di essere, che daGesù passa nel cristiano e, attraverso la sua testimonianza, mira a irradiarsi nella so-cietà e nella cultura. Perché ciò avvenga, è necessario che ogni fedele assimili, nellameditazione personale e comunitaria, i valori che l’Eucaristia esprime, gli atteggia-menti che essa ispira, i propositi di vita che suscita » (MND 25).

Questo testo può rappresentare una definizione della spiritualità eucaristica: « unmodo di essere che sa assimilare i valori che l’Eucaristia esprime, gli atteggiamentiche essa ispira, le risoluzioni di vita che essa suscita ». Memoriale del Cristo, morto erisorto per donarci la vita, la celebrazione eucaristica ci forma ai principali atteggia-menti della vita cristiana: l’accoglienza, la riconciliazione, l’ascolto, l’annuncio, lacondivisione, la lode, l’offerta, la comunione e la missione. Essa appare come unascuola efficace di vita, che ci aiuta a verificare e a rilanciare la nostra esistenza.

Oggi voglio sottolineare alcuni aspetti della celebrazione eucaristica significativiper la nostra vita e per la vita delle nostre comunità cristiane. Noi non siamo chiamatia vivere in modo privato la nostra fede in Gesù, come non possiamo vivere senzal’Eucaristia.

L’Eucaristia è il sacramento dell’unità. Come cristiani, ci potremmo definire « colo-ro che sono riuniti alla mensa del Signore ». Paolo, nel capitolo 11 della Prima Lette-ra ai Corinzi, parla della Cena del Signore. Fa vedere ai fedeli di Corinto come le lorodivisioni, che si manifestano durante l’assemblea eucaristica, sono in opposizione conquanto stanno celebrando, ossia la Cena del Signore. Di conseguenza, li invita a ri-flettere sulla realtà vera dell’Eucaristia, per farli ritornare a uno spirito di comunionefraterna. Egli scrive: «Quando vi radunate in assemblea… » e, verso la fine: « Per-

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Preg

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Adorazione eucaristicaRitrovarsi nel cuore di Cristo1

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ciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri »(cf. 1 Cor 11,17-34).

Il punto di arrivo dell’Eucaristia è quello di riunire e di raccogliere, per realizzare ilprogetto del Padre: «riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11, 52).

E’ importante partire sempre dalla sorgente di tutto, e noi sappiamo che tutto na-sce da quella sera del giovedì santo, nel Cenacolo. Noi non ci rendiamo pienamenteconto di quello che è la Messa e di come noi siamo chiamati a vivere in modo re-sponsabile il valore della nostra fede. Le considerazioni che faremo sono per aiutarcia vivere bene questo momento fondamentale per la nostra vita in Cristo, cioè il no-stro essere cristiani. Se non comprendiamo la Messa, non possiamo dire di vivere unavera esperienza di fede.

E’ importante anche fare un confronto tra la Pasqua dei Giudei e la Pasqua di Ge-sù. La differenza tra le due consiste nel passaggio da una famiglia unita da legami disangue a un’altra famiglia. L’Eucaristia è un pasto che si situa nel contesto della sto-ria del popolo d’Israele; ma nella descrizione dell’Ultima Cena c’è un elemento im-portante: mentre il pasto pasquale costituisce un avvenimento di famiglia, la Cena èun avvenimento che riguarda un gruppo di amici con a capo Cristo. «Dove vuoi cheti prepariamo la Pasqua?», domandano i discepoli a Gesù.

Questa differenza indica che, con la Cena, noi ci allontaniamo da una comunità«naturale» per passare a un altro tipo di comunità: la comunità formata da un grup-po dei amici che amano il loro maestro e che si amano reciprocamente.

Quando partecipiamo alla Messa, non dobbiamo dare per scontata questa cosa,ma dobbiamo recuperare l’elemento fondamentale che ci ha riuniti. C’è una grandevarietà di persone che si riuniscono attorno alla tavola di Gesù.

Cominciamo allora con il rievocare le esperienze narrate nei Vangeli:- ci sono molti pubblicani e peccatori che si mettono a tavola con Gesù e i suoi di-

scepoli (cf. Mt 9,10; Mc 2, 15; Lc 5,29-30); - nei racconti della moltiplicazione dei pani, c’è gente che è « come pecore senza

pastore » (Mc 6, 34); c’è una folla numerosa che viene guarita e nutrita (Mt 14, 13-14; Lc 9,11; Gv 6, 1-2); ci sono quelli che sono venuti «da lontano» (Mc 8, 3);

- nella parabola del banchetto nuziale, ci sono «buoni e cattivi» (Mt 22, 1-14, cf. v.10);

- nell’episodio della peccatrice perdonata, c’è un banchetto in cui troviamo il fari-seo, i suoi invitati, Gesù e la peccatrice (Lc 7, 36-50);

- nel capitolo 14 di Luca, c’è un malato (un idropico); ci sono gli invitati che scelgo-no i primi posti; ci sono i poveri, gli storpi, gli zoppi, i ciechi; c’è la gente presadalle piazze e dalle vie della città; c’è la gente presa dalle piazze e dalle vie dellacittà, c’è la gente trovata fuori della città, lungo le strade e le siepi.In tutti coloro che si riuniscono a mensa con Gesù avviene qualcosa che cambia la

loro vita. Quel cibo li « trasforma » a partire dal cuore. Attorno alla mensa di Gesù,avviene per noi qualcosa che non avevamo previsto. Quel cibo agisce su di noi, ci tra-sforma in Cristo e fa di noi una cosa sola.

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Questo è il primo miracolo dell’Eucaristia: essa produce l’unità di Cristo innoi e l’unità tra noi e con gli altri uomini. L’Eucaristia è vero sacramento diunità e vincolo di carità.

Così si realizza la famiglia dei figli di Dio. Per mezzo dell’Eucaristia Gesù unisce icristiani a se stesso e tra di loro in un unico corpo, dando così vita alla Chiesa nellasua essenza più profonda, là dove essa è tutta carità, unità, corpo di Cristo. Possiamodire che l’Eucaristia non è un sacramento tra gli altri, ma il sacramento per eccellen-za, da cui tutti gli altri derivano e verso il quale tutti gli altri convergono.

L’Eucaristia, più che un dono di Dio, è Dio stesso che si dona. Più che comunicarcila grazia, ci comunica la persona stessa di Gesù, fonte di ogni grazia. Quando vedia-mo un’icona di Cristo, possiamo dire che rassomiglia a Lui, ma non è Lui. Dell’Ostiaconsacrata, invece, dobbiamo dire che non rassomiglia a Cristo, ma è Cristo.

L’Eucaristia è l’unico sacramento non provvisorio, ma eterno, essendo la presenzastessa di quel Signore Gesù, con il quale vivremo per tutta l’eternità, condividendo lasua gloria.

L’Eucaristia è un mistero infinito, letteralmente infinito, dal momento che è Diostesso che nel suo amore infinito si dona a noi. E’ un mistero eterno, letteralmenteeterno, dal momento che in esso è già contenuta tutta l’eternità. Diceva il santo Cu-rato d’Ars: « Niente è così grande come l’Eucaristia, figlioli miei! Avete un bel con-frontare tutte le buone azioni del mondo con una Comunione ben fatta, e avretesempre come un granello di polvere al cospetto d’una montagna! ».

Nel 2003 Giovanni Paolo II ha fatto dono alla Chiesa dell’enciclica Ecclesia de Eu-charistia, perché il nostro rapporto con l’Eucaristia sia vissuto con più intimità eprofondità. Se partecipiamo alla Messa, dobbiamo essere disposti ad accogliere tutticoloro che Gesù stesso ama e per i quali, come per noi, ha dato la sua vita.

La Messa non è un rito o una celebrazione di qualcosa, ma è l’attualizzazione del-la volontà di Dio, il desiderio del suo cuore. Noi ci riuniamo per celebrare e proclama-re la nuova creazione nel Cristo, nella quale « non c’è più Greco o Giudeo, circonci-sione o in circoncisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti »(Col 3, 11). Attorno alla mensa di Gesù la divisione, la dispersione, l’opposizione, l’o-stilità spariscono, e abbiamo invece l’unità, la comunione, l’amicizia, la pace.

Gesù accetta e accoglie ciascuno, si fa solidale con ogni uomo, e invita tutti i suoiamici ad allargare la loro solidarietà nei suoi confronti per includervi tutti gli uomini.Gesù ci invita a una comunione più profonda con Lui e con coloro che noi siamo ten-tati di ignorare e di rifiutare, ci invita a un amore sempre più grande.

Riflettiamo allora sulle parole che diciamo, sulle preghiere che facciamo durante laMessa. Nella Preghiera eucaristica III ci rivolgiamo a Dio perché « continui a radunare in-torno a Sé un popolo che, da un confine all’altro della terra, offra al tuo nome il sacrifi-cio perfetto » e gli chiediamo: «… a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Fi-glio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo eun solo spirito… Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua pre-senza; ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi ».

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Davvero possiamo dire che l’Eucaristia non è soltanto la vita del singolocristiano, ma è anche la vita di tutti i popoli. Niente è capace di unire le per-

sone più dell’Eucaristia. Si tratta di un’unità che va al di là delle regole e delle leggi, epersino degli affetti che ci legano agli altri.

L’Eucaristia è unità in sé. «Come potremo non avere lo stesso spirito di carità – di-ce Paolo – noi che mangiamo lo stesso pane eucaristico?». L’eucaristia realizza ilgrande sogno di Gesù: «Che tutti siano una cosa sola» (cf Gv 17, 21). In effetti, «nelmistero eucaristico Gesù edifica la Chiesa come comunione, secondo il supremo mo-dello evocato nella preghiera sacerdotale: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, sianoanch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv17,21)» (MND 20).

La nostra Comunione non dura soltanto per il momento della Messa. Va da séche essa è l’atteggiamento fondamentale della nostra vita ed è anche il segno piùgrande del regno di Dio che si realizza nel mondo.

La nostra fraternità è il sacramento della presenza e dell’azione di Dio. Il no-stro essere testimoni del Signore non è legato al bene che facciamo, ma piutto-sto a come lasciamo trasparire da noi l’effetto dell’Eucaristia. La nostra fede èuna verità, e la verità è il Vangelo; e il Vangelo ci porta ad avere il volto e il cuoredi Gesù Eucaristia.

Partecipare alla Messa vuol dire per noi aprirci agli altri, guardare attorno a noicon gli occhi non dell’indifferenza o della diffidenza, ma con gli occhi stessi di Gesù.

Chi sa di essere accolto dal Signore, sa anche accogliere gli altri con l’amore delSignore stesso. Egli ci ha riuniti e ci ha accolti nella sua casa; ora noi ci apriamo al-l’accoglienza verso tutti, amando ogni persona con il suo stesso amore. Fare Eucari-stia significa infatti farsi compagni di viaggio degli uomini, accoglierli come fratelli eaccogliersi reciprocamente, per diventare ed essere una sola famiglia. Il principalepunto di riferimento è la scelta di Gesù Cristo.

La spiritualità eucaristica è una spiritualità incarnata. Leggiamo nel Vangelo diGiovanni: « Il Verbo si è fatto carne » (Gv 1, 14). Egli si è fatto uomo nella condizio-ne di debolezza e di mortalità; come scrive la lettera agli Ebrei, « non abbiamo unsommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato luistesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4, 15).

Spesso noi abbiamo un atteggiamento sbagliato nei confronti dell’Eucaristia: ciaccontentiamo di guardarla, di adorarla; ma il suo fine ultimo è che l’incarniamo.L’Eucaristia è l’icona della nostra presenza nel mondo. La spiritualità del Cuore di Ge-sù si può riassumere in una sola parola: essere « presenza eucaristica ».

Ma che cosa significa questo? Vuol dire incarnarsi, entrare dentro le realtà uma-ne, condividere la storia e orientarla verso il Regno, condividere le sorti dell’umanità,identificarsi con i problemi, le sofferenze e le speranze degli uomini. Pensiamo aquello che diciamo nella preghiera dell’Offerta: « Cuore divino di Gesù, io ti offro permezzo del Cuore Immacolato di Maria, madre della Chiesa, in unione al Sacrificio eu-caristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno: in ripara-

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zione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello SpiritoSanto, a gloria del divin Padre ».

La consacrazione al Cuore divino di Gesù è l’essere chiamati a diventare con il Cri-sto l’Eucaristia del mondo. Non possiamo restare come dei semplici spettatori davantiagli avvenimenti, alle situazioni e ai drammi del nostro mondo. La verità di quello chediciamo sta proprio nel fatto del nostro riunirci attorno alla mensa di Gesù Cristo,che è il « Signore di tutti » (At 10, 36; Rm 10,12).

Gesù è il « Signore di tutti »: questa è la ragione per cui occorre superare ogniostacolo che può creare divisione o separazione nel banchetto della salvezza. Non èpossibile ricevere l’Eucaristia e poi restare nei nostri particolarismi, nelle nostre simpa-tie o antipatie.

Non possiamo non essere fratelli di tutti e con tutti. Pensiamo al brano del Vange-lo del fariseo e della peccatrice perdonata (cf. Lc 7,36-50). L’atteggiamento di Gesùverso la donna è messo in relazione con l’atteggiamento del fariseo Simone, il qualenon avrebbe certamente permesso a questa donna di avvicinarlo, come invece hafatto Gesù.

L’atteggiamento di Gesù è accogliente, sia verso la donna sia verso Simone e isuoi invitati. Egli li esorta a diventare persone di perdono, di riconciliazione e di pace.Lo stile di una comunità eucaristica è uno stile accogliente, rivela la capacità diun’autentica condivisione, di disponibilità all’ascolto, di partecipazione alle gioie e al-le speranze, alle tristezze e alle angosce degli uomini e, soprattutto, a quelle dei po-veri e di tutti coloro che soffrono. Infatti, non c’è nulla di veramente umano che nontrovi eco nel nostro cuore di discepoli di Gesù Cristo (cf. GS 1).

Nella Preghiera eucaristica V/B domandiamo al Signore: « Rendici aperti e disponi-bili verso i fratelli che incontriamo sul nostro cammino, perché possiamo condivider-ne i dolori e le angosce, le gioie e le speranze, e progredire insieme sulla via della sal-vezza ».

Noi siamo testimoni del Cristo, della sua risurrezione, nella misura in cui siamouomini di dialogo. E la celebrazione stessa dell’Eucaristia è un grande dialogo tra Dioe il suo popolo.

Il documento Sacramentum caritatis di Benedetto XVI c’invita a prestare attenzio-ne a « tutte le forme di linguaggio previste dalla liturgia: parola e canto, gesti e silen-zi, movimento del corpo, colori liturgici dei paramenti. La liturgia, in effetti, possiedeper sua natura una varietà di registri di comunicazione che le consentono di mirare alcoinvolgimento di tutto l’essere umano » (n. 40). Fare Eucaristia significa aprirsi aldialogo con Dio. Il Padre è un Dio di dialogo (cf. Eb 1, 1-2); Gesù Cristo è la Paroladel Padre. Ha dialogato con i discepoli di Emmaus, spiegando loro il senso delle Scrit-ture. Il vero dialogo non si improvvisa, ma è frutto della preghiera, a cui dobbiamodedicarci con fiducia e costanza.

Alla scuola dell’Eucaristia impariamo non soltanto il dialogo, ma anche a vivere lariconciliazione, a donare amore e pace. « Il cristiano che partecipa all’Eucaristia ap-prende da essa a farsi promotore di comunione, di pace, di solidarietà, in tutte le cir-

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costanze della vita. L’immagine lacerata del nostro mondo, che ha iniziato ilnuovo Millennio con lo spettro del terrorismo e la tragedia della guerra,

chiama più che mai i cristiani a vivere l’Eucaristia come una grande scuola di pace,dove si formano uomini e donne che, a vari livelli di responsabilità nella vita sociale,culturale, politica, si fanno tessitori di dialogo e di annuncio. Ma come può avveniretutto questo?

Per imparare a dialogare e annunciare, occorre, prima di tutto, essere uomini spi-rituali, che sanno contemplare il volto di Gesù Cristo, discepoli attenti alla sua Parola,capaci di vivere l’obbedienza della fede.

Occorre essere attenti alla Parola. L’ascolto del Vangelo non può essere fatto senon in un clima di preghiera, di contemplazione e di fede, perché solo una letturaorante delle Scritture produce la vita. Solo quando il cuore è in preghiera, avviene l’a-scolto autentico del Vangelo, quella che abbiamo definito la « lettura orante ». E sequesta lettura è fatta in comunità, essa diventa capace di proporsi alle necessità del-l’uomo, ai suoi drammi e speranze di tutti i giorni. E’ un’illusione pensare che il tem-po della preghiera, della contemplazione e dell’adorazione non sia necessario, nonsia fondamentale.

La preghiera è lo spazio contemplativo che ci permette di passare dalla celebra-zione alla vita: « E’ necessario che ogni fedele assimili, nella meditazione personale ecomunitaria, i valori che l’Eucaristia esprime, gli atteggiamenti che essa ispira, i pro-positi di vita che suscita » (MND 25).

Mai siamo così Chiesa quando celebriamo l’Eucaristia. L’Eucaristia, nel suo insie-me, è la grande preghiera della Chiesa. Nella Messa si raccoglie tutta l’offerta liberadel Cristo risorto al Padre per tutta l’umanità. Nella Messa nessuno è escluso: il cieloe la terra, gli angeli e i santi, i vivi e i morti, i giusti e i peccatori, i beati e i dannati.

Se la preghiera ci mette in una relazione cosciente e volontaria con Dio, a mag-gior ragione ci ottiene questo l’Eucaristia, che è il desiderio di salvezza del Cristostesso per noi. L’Eucaristia può essere sintetizzata in tre parole: « Amore che dà la Vi-ta mediante il suo Corpo» 1).

L’Eucaristia è dono, sacrificio, oblazione. La Preghiera eucaristica III ci fa chiedereal Padre: « Egli (lo Spirito Santo) faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito ». E lapreghiera eucaristica IV: «… a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane eberranno di quest’unico calice, concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito San-to, diventino offerta viva in Cristo, a lode della tua gloria ».

Fare Eucaristia significa « farsi dono » per gli altri e perdere la propria vita per co-struire la comunione con Dio e con gli altri. Diventare comunità eucaristica non è fa-cile finchè non si entra nella mentalità del « farsi dono ».

La soluzione ai problemi del mondo e dell’uomo avviene sempre a partire dal cuo-re e dalla volontà di amare con verità, con l’amore stesso con cui Cristo ci ha amatoe che si manifesta nell’Eucaristia: l’amore che è donato, diffuso; l’amore che si sacrifi-ca (cf. Gv 12,24; 1 Gv 3, 16).

Il segreto è dare a Dio tutto il nostro io senza condizioni. E’ ciò che troviamo scrit-

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to nel libro dell’Imitazione di Cristo: « Da’ tutto per trovare tutto ». Gesù ciha detto nel Vangelo: « Se il chicco di grano caduto in terra non muore, ri-mane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24) (2). Donandosi a noinell’Eucaristia, Gesù, oltre a consegnarci tutto se stesso, ci ha voluto consegnare an-che uno stile di vita.

Attraverso l’Eucaristia Egli si fa pane per entrare in noi, per rendersi « mangiabile», « per farsi uno » con tutti, per servire, per amare tutto il mondo. Vuole « farsiuno » fino a lasciarsi mangiare. Questo è l’amore. Gesù vuole « farsi uno » in modoche gli altri si sentano nutriti dal nostro amore, confortati, sollevati, compresi.

Tutto è iniziato quel giovedì santo, in cui Egli ha istituito l’Eucaristia. Il tempo sitrasforma in eternità; il tradimento si trasforma nel volontario consegnarsi di Gesùnelle mani dei suoi nemici; il pane e il vino si trasformano nel suo corpo e nel suosangue. C’è da parte di Gesù un lasciare i suoi amici, per poi restare per sempre conloro. Quel corpo che ha ricevuto da Maria, ora Gesù lo consegna ai suoi amici. Lo de-porrà nelle loro mani, lo affiderà ad essi ed essi lo trasmetteranno ad altri. Da quellasera in poi, Egli passerà di mano in mano, di cuore in cuore, fino alla fine dei tempi.Tutto prende le mosse da qui.

L’Eucaristia è la sorgente di ogni atto di carità, di ogni amore che si dona, che sioffre nel servizio per gli altri, senza fare calcoli, fino in fondo, fino alla fine. Gesù hamostrato in modo straordinario ciò, proprio nell’istituzione dell’Eucaristia. E chi maipotrebbe amare in tal maniera? Chi mai ha amato così? In verità, un amore può spin-gersi oltre? No, nell’amore mai nessuno si è spinto, né potrà spingersi, fino a conse-gnare la propria vita, per darla a noi in un poco di pane e di vino.

C’è dunque un legame indissolubile tra Dio – lì dov’è più povero, fragile, trascura-to, abbandonato – e coloro che sono i più poveri, fragili, stanchi, vulnerabili, abban-donati. Non si può aprire la porta a Gesù nella sua estrema povertà e poi chiuderla infaccia a coloro per i quali Egli ha dato la sua vita! Non si può mangiare il Pane dellasua tavola e rifiutare il pane della propria tavola a quelli che non ne hanno! Non sipuò pretendere di amare il Povero per eccellenza, Gesù, e restare indifferenti ai pove-ri di tutte le possibili povertà!

E’ l’Eucaristia a spingere oltre quello che i nostri occhi vedono e il nostro cuoresente. A immagine del Cristo eucaristico, che si fa dono totale e gratuito per l’uma-nità, diventare comunità eucaristica vuol dire introdurre nella storia del nostro tem-po, a partire dalle nostre case, dai nostri ambienti di lavoro, dalle nostre amicizie,senza paura o senza troppo rispetto umano, una forza di amore per trasformare lalogica del nostro mondo conformista e convenzionale, in un modello diverso e inuno stile di vita diverso: quello del Vangelo. Vuol dire il coraggio di proporre il Vange-lo nella sua totalità, perché solo nella sua totalità il Vangelo è tale.

Ma a quale prezzo si può vivere il Vangelo? Dal momento che l’uomo si allontanadalla verità, anche l’amore si svuota della radice della verità, fino a ridursi, per molti,solo a un sentimento. Così l’aspetto del sacrificio, della rinuncia, del morire a se stes-si costituisce per queste persone una vera e propria situazione dolorosa.

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Non si può costruire una vera comunità eucaristica senza questa dimen-sione dell’amore che si dona sino alla fine. L’amore vero richiede la croce.

Dopo aver ricevuto l’Eucaristia, la misura del nostro amore verso i nostri fratelli e so-relle è quella dell’amore di Gesù verso di noi: un amore senza misura, dato che Egli ciha amati fino a morire. Un amore che sia la traduzione concreta del comandamentonuovo di Gesù: « Amatevi come io ho amato voi » (cf. Gv 13, 34).

Anche noi dobbiamo essere pronti a donare la nostra vita per gli altri, cioè a sa-perli accettare, a non giudicare, a non prendere le distanze da loro a causa dei nostripregiudizi, a non creare muri di indifferenze o situazioni di ipocrisia.

Essere pronti a dare la nostra vita per gli altri vuol dire vivere il nuovo spirito, ac-cogliere la « logica della croce », che deriva dall’Eucaristia; vuol dire diventare grandifacendosi piccoli, realizzare se stessi donandosi. Far parte di una comunità in cui vigel’unica legge dell’amore e che attua il dono di sé.

Ritrovarsi a celebrare l’Eucaristia significa essere consapevoli di ciò di cui noi sia-mo testimoni. Un corpo ci viene in realtà non solo dato, ma consegnato; un sangueci viene in realtà non solo offerto, ma versato. L’uno e l’altro sono separati, prima diunirsi in noi, e di unirci tra noi, come segno della risurrezione del Signore.

Ciò che ci viene messo tra le mani non è un chicco di grano, un acino d’uva, ma è ilgrano macinato in farina e passato nel fuoco del forno, e sono grappoli di uva torchiati(il Getsemani era « l’orto del torchio »). E’ proprio il sangue che Egli effettivamente ver-serà sulla croce; è il corpo che Egli effettivamente consegnerà; è una carne che verràeffettivamente torturata; è un cuore che verrà effettivamente trafitto, è un’anima cheverrà effettivamente straziata. E’ proprio questo ciò che Egli ci dona, ci lascia, ci affida.

Qui l’interminabile passione del mondo si fonde con la sua, per esserne assunta,consacrata, trasfigurata dal di dentro. Gesù viene incontro a tutte le nostre passioni,agonie o banali sofferenze, per fecondarle; in una parola, per divinizzarle. Nell’Euca-ristia, Egli ci ama in silenzio.

E’ in questo Corpo consegnato alle nostre mani che si ricompone l’unità del cor-po frazionato della Chiesa. Se l’Eucaristia è il Corpo spezzato di Cristo, lo è perchésia guarita ogni divisione provocata nel corpo dell’umanità dai peccati degli uomini edal loro tremendo egoismo, perché sia cicatrizzata ogni lacerazione del mondo daChi è stato straziato dai chiodi infissi sul legno per riunire tutti i dispersi.

Essere comunità eucaristica vuol dire diventare parte del Cuore eucaristico di Diostesso. Il Cuore eucaristico di Dio è il suo amore compassionevole che si riversa sullenostre ferite, che ci cerca nei nostri smarrimenti, che non si dà pace fino a quandonon ci invita alla sua mensa, dove tutti siamo serviti da Lui e diventiamo servi gli unidegli altri, come dice il Vangelo.

Fare Eucaristia significa « farsi servitori ». « Nell’Eucaristia il nostro Dio ha mani-festato la forma estrema dell’amore, rovesciando tutti i criteri di dominio che reggo-no troppo spesso i rapporti umani e affermando in modo radicale il criterio di servi-zio: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti » (Mc 9, 35)(MND 28).

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Il Prefazio della preghiera eucaristica V/C ci presenta Gesù modello diamore, e ci fa dire al Padre: « In lui ci hai manifestato il tuo amore per i pic-coli e i poveri, per gli ammalati e gli esclusi. Mai egli si chiuse alle necessità e alle sof-ferenze dei fratelli. Con la vita e la parola annunziò al mondo che tu sei Padre e haicura di tutti i tuoi figli ». E nella medesima Preghiera chiediamo ancora al Padre:«Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli; infondi in noi la lucedella tua parola per confortare gli affaticati e gli oppressi; fa’ che ci impegniamo leal-mente al servizio dei poveri e dei sofferenti».

Come testimoni dell’Eucaristia, dovremmo avere sempre come punto di riferi-mento il capitolo 13 del Vangelo di Giovanni, al quale si aggiunge la parabola delbuon samaritano del Vangelo di Luca.

In questi versetti viene descritto, in modo chiaro, come offrire il nostro servizio eu-caristico. Ascoltiamo: « Un Samaritano… passandogli accanto lo vide e ne ebbecompassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, carica-tolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno se-guente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciòche spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno » (cf. Lc 10, 25-37).

Il servizio ha come scopo quello di ridonare all’uomo la sua dignità di uomo e di fi-glio di Dio. Niente più dell’Eucaristia è capace di rendere all’uomo la sua vera dignità.Sì, l’Eucaristia rivela all’uomo la dignità di tutta la sua persona in quanto figlio di Dio.

Voglio concludere dicendo che le nostre comunità cristiane diventeranno vere «comunità eucaristiche » quando tutte le dimensioni e tutte le implicazioni del Miste-ro eucaristico saranno vissute nella verità e nella fedeltà. L’Eucaristia è la risposta aisegni dei tempi della cultura contemporanea: alla cultura della morte essa rispondecon la cultura della vita; contro l’egoismo individuale e sociale, essa afferma il donototale; all’odio e al terrorismo oppone l’amore; di fronte al positivismo scientifico,l’Eucaristia proclama il mistero; opponendosi alla disperazione, l’Eucaristia insegna lasperanza certa dell’eternità beata.

L’Eucaristia indica che la Chiesa e il futuro del genere umano sono legati al Cristo,unica roccia veramente duratura, e a nessun’altra realtà. E’ per questo che la vittoriadel Cristo è il popolo cristiano che crede, celebra e vive il Mistero eucaristico.

1) Daniel Ange, L’Eucaristia, «mangiare» l’amore.2) A livello di Sacra Scrittura, come punto di riferimento possiamo prendere le lette-

re di Paolo ai Filippesi (2,1-11) e agli Efesini (2,13-16), e i gesti di Gesù durantel’Ultima Cena: prendere il pane, spezzarlo e donarlo, perché è il suo Corpo dato;prendere il calice e condividerlo, perché esso contiene il suo Sangue versato.

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1 da Alla scuola di Gesù Eucaristia di Luigi Oropallo, edizioni AdP

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ra i testi liturgici latini cono-sciuti non solo dagli specia-listi ma anche – almeno un

po’ – dai cristiani comuni, si deveannoverare verosimilmente la se-quenza pasquale Victimae paschalilaudes.

Si tratta di un vero gioiello musi-cale, letterario e teologico, che da unlato ci riporta a quell’epoca oscura eaffascinante che ha segnato il pas-saggio dal primo al secondo millen-nio cristiano, dall’altro ci presenta informa esteticamente insuperata il mi-stero della risurrezione e l’oggettodella nostra speranza.

Victimae paschali è una delle cin-que sole sequenze (delle migliaia chene circolavano) a esser conservatenel Missale romanum edito da sanPio V dopo la riforma tridentina.1 Ri-vela la sua arcaicità per il fatto dinon avere – a differenza delle altrequattro – un metro vero e proprio,ma solo una ritmica sillabica con ri-tornelli asimmetrici.

L’autore sembra ormai definitiva-mente identificato con Wipone (Wipo,diminutivo di Wigbert) di Burgundia,nato intorno al 990 a Solothurn (traBerna e Basilea, nell’attuale Svizzera,ma all’epoca territorio del regno di

Burgundia), e morto da eremita, tra il1046 e il 1050, verosimilmente in Ba-viera o Boemia. Cappellano dell’impe-ratore Corrado II il Salico, partecipò al-la sua solenne incoronazione, avvenu-ta a Roma nel 1027, e descrisse le im-prese del sovrano in un’importantecronaca in lingua latina (Gesta Chuon-radi imperatoris).

La sua sequenza Victimae paschaliebbe anche larga diffusione in unaversione tedesca: le note iniziali delfamoso canto pasquale Christ ist er-standen (Cristo è risorto) sono infattiun calco dell’incipit della sequenzalatina. Il testo, nella sua scarna bre-vità, racchiude una straordinaria ric-chezza di contenuti teologici e di im-magini poetiche, che meritano un’at-tenta meditazione.

Capita sovente, infatti, che nellaliturgia pasquale, soprattutto quellaparrocchiale, non si riesca a conferi-re il giusto rilievo al canto della se-quenza: trascurando il testo latino,pur presente nel lezionario (anchenell’edizione più recente); essa trop-po spesso non viene neppure decla-mata, ma solamente “letta”, sbriga-tivamente e senza espressione, la-sciando che il suo ricco contenutoscivoli via.

La sequenzaVictimae paschali laudes

don Filippo Morlacchi

T

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Victimae paschali laudesimmolent Christiani.

Agnus redemit oves:Christus innocens Patrireconciliavit peccatores.

Mors et vita duelloconflixere mirando,dux vitae mortuus regnat vivus.

«Dic nobis, Maria,quid vidisti in via?»«Sepulchrum Christi viventiset gloriam vidi resurgentis,

angelicos testes,sudarium et vestes.Surrexit Christus spes mea,praecedet suos in Galilaea».

Scimus Christum surrexissea mortuis vere;tu nobis, victor rex, miserere!

Alla vittima pasquale offrano lodi i cristiani.

L’Agnello ha redento le pecore:Cristo, innocente, ha riconciliato con il Padre i peccatori.

Morte e vita si sono scontratein un prodigioso duello:il Signore della vita, che era morto,regna vivente.

«Dicci, o Maria, che hai visto per strada?»«Il sepolcro del Cristo viventee la gloria di Colui che è risorto,

gli angeli, suoi testimoni,il sudario e le vesti.Cristo, mia speranza, è risortoe precede i suoi in Galilea».

Sappiamo che Cristo è risortoveramente dai morti:o re vittorioso, abbi pietà di noi!

quarta e la quinta descrivono un dialo-go con Maria Maddalena sul tipo dellesacre rappresentazioni, e si muovononel registro più grave (dorico plagale).L’attuale sesta strofa era in origine pre-ceduta da un’altra strofa oggi omessa2,ed è una confessione di fede pasquale,espressa nella sua forma più genuina earcaica, secondo il costume ancora og-gi diffuso presso le chiese orientali.

Il tema del sacrificio, sebbene nondirettamente formulato, è sotteso a

La struttura dell’insieme, già eviden-te a un primo sguardo sul testo, è con-fermata e resa ancora più chiara se siconsidera la scansione melodica: la pri-ma strofa, che invita alla lode, è infattiisolata, e presenta una melodia a sestante; le altre strofe si susseguono in-vece a coppie omologhe per musica econtenuto: la seconda e la terza pre-sentano infatti l’evento della redenzio-ne, e sono cantate su una melodia nelregistro acuto (dorico autentico); la

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tutta la composizione, fin dalsuo inizio. Cristo è identificato,

secondo 1Cor 5,7 con la «vittima pa-squale» prescritta per il rituale ebraicodella pesah: la sua morte in croce,compiutasi nel pomeriggio della para-sceve (in greco paraskeuè, cioè “pre-parazione”) della Pasqua, ossia nelmomento in cui venivano immolate levittime sacrificali nel tempio di Gerusa-lemme, indica in lui l’«agnello di Dio»(Gv 1,29), il vero agnello pasquale, delquale le vittime offerte secondo le pre-scrizioni della legge antica erano soloprefigurazione. A Cristo, «agnello im-molato» (Ap 13,8) è giusto restituireun «sacrificio di lode» (Sal 49,14): l’e-sortazione suona quindi a “immolarelodi”, ossia rendere al Signore risorto ilvero «culto spirituale» (Rm 12,2), checonsiste nel «frutto di labbra che invo-cano il suo nome» (Eb 13,15). Nessunaltro rito può essere gradito al Padre,se non la confessione della signoria delsuo Cristo e l’adesione cordiale a Coluiche ha versato il suo sangue per do-narci la salvezza.

La seconda strofa, con i toni para-dossali che caratterizzano sempre lafede cristiana, e soprattutto il misteropasquale, canta l’Agnello immolatocome il redentore del gregge. InfattiCristo, l’«agnello di Dio» (Gv 1,29) cheoffre se stesso per l’umanità è anche«il buon Pastore… [che] dà la vita perle sue pecore» (Gv 10,11): egli dimo-stra di essere Pastore «secondo il cuo-re di Dio» (cfr Ger 3,15) proprio per-ché non spadroneggia sulle pecore a

lui affidate (cfr 1Pt 5,3)3, ma al contra-rio, immola liberamente se stesso co-me agnello condotto al macello:«oblatus est quia ipse voluit» (Is 53,7).Ben a ragione l’antichissimo innoAkàthistos canta la Vergine Maria co-me «madre dell’Agnello e del Pastore»(VIII). L’esito dell’immolazione di Cristoè la redenzione, la riconciliazione con ilPadre di ogni uomo: non nel senso cheil sangue della vittima sia servito a pla-care l’ira di Dio, ma nel senso che la vi-ta pienamente donata – corpo/panespezzato, sangue/vino versato – è il se-gno di una nuova comunione perfetta-mente realizzata.

La redenzione viene plasticamentedipinta nella strofa successiva: la mortee la vita vengono personificate e de-scritte come impegnate in un duelloall’ultimo sangue. Per comprenderemeglio la metafora poetica, non va di-menticato che la prassi del duello eratristemente conosciuta, all’epoca in cuifu scritta la sequentia, soprattutto co-me strumento per trarre auspici (ilduello fra due “campioni” prima diuna battaglia, per prevederne l’esito) ocome strumento di giudizio (in base al-la convinzione che Dio, somma giusti-zia, avrebbe concesso la vittoria all’in-nocente e portato l’ingiusto alla scon-fitta). La vittoria della vita sulla morterealizzatasi grazie alla risurrezione diCristo si presenta quindi come antici-pazione profetica della risurrezione fu-tura di tutti i credenti, quando si com-pirà la piena vittoria della vita e la defi-nitiva sconfitta dell’«ultimo nemico»

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(1Cor 15,26), cioè la morte. Gesù vie-ne qualificato “Signore della vita” (duxvitae) o, meglio ancora, «comandante,capo della vita»: è lui il “campione”che ha sconfitto in duello «colui cheha il potere della morte» (Eb 2,14) eche ha condotto la schiera degli elettialla vittoria sulle potenze del male esulla morte. Egli è morto davvero (enon solo apparentemente, come affer-ma la diceria diffusa – stando a Mt28,15 – già subito dopo la sua sepol-tura), ma adesso risorto vive in eterno:«la morte non ha più potere su di lui»(Rm 6,9), egli regnat vivus cioè – comesi canta in ogni orazione liturgica –«vive e regna nei secoli dei secoli». Lasua vittoria sulla morte non è un sem-plice “aver scampato il pericolo” o“essere sopravvissuto”: al contrario,egli non è sfuggito alla ha gustato finoin fondo l’amaro calice della morte,ma proprio per questo ora la sua vitto-ria è piena e totale, egli domina e re-gna, e il suo regno e la sua vita nonavranno fine.

La quarta e quinta strofa ci presen-tano una scena dialogica che ci riportaa quelle forme di teatro popolare (odramma liturgico) già praticate alla fi-ne del sec. X e che si sarebbero poiampiamente diffuse nel tardo medioe-vo. Si tratta del famoso Quem quaeri-tis («Chi cercate?»), una sorta di brevescenetta composta per compendiareteatralmente l’annuncio della pasqua.4

La domanda «Chi cerchi?» è rivolta di-rettamente da Gesù a Maria Maddale-na in Gv 20,15, ma nell’apocrifo Van-

gelo di Pietro è l’angelo a in-terrogare, al plurale, le donnegiunte al sepolcro5. La sequenza checommentiamo immagina la scena suc-cessiva, e cioè l’interrogativo dei disce-poli a Maria Maddalena, al ritorno dalsepolcro: «Cosa hai visto?». La detta-gliata risposta di Maria, che non a ca-so è designata dalla tradizione come“apostola degli apostoli”6, riassumetutta la fede pasquale, compendiatanei segni da cui si può intuire la risur-rezione: il sepolcro ormai vuoto, per-ché l’oscurità della tomba non ha po-tuto trattenere il Cristo vivente e lumi-noso; gli angeli, testimoni celesti delRisorto; le vesti (o bende) che hannoavvolto il corpo del Signore e il suda-rio, «piegato in un luogo a parte», se-condo la testimonianza del quartovangelo (Gv 20,7). Maria dichiara an-che di aver visto la gloria del Signore, eproclama con tutto il cuore la fede del-la Chiesa: «Cristo, mia speranza, è ri-sorto!». Fa seguito l’invito per i disce-poli a tornare in Galilea, dove tuttoaveva avuto inizio, per incontrare il Ri-sorto e celebrare così il “nuovo” inizio,la vita nuova dei risorti con il Risorto.

L’ultima strofa esprime il consensodella Chiesa alla proclamazione di fe-de della Maddalena. La prima perso-na plurale («scimus», «sappiamo») in-dica infatti la partecipazione diretta dicoloro che stanno cantando la se-quenza alla confessione di fede dellaChiesa. «Christòs anèsti» – «alithòsanèsti» («Cristo è risorto!» – «È vera-mente risorto!») è il saluto pasquale

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consueto ancora oggi nellatradizione d’Oriente: saluto

che si rispecchia in questi versi e cherichiama una delle più originarie pro-fessioni di fede: «Davvero il Signore èrisorto, ed è apparso a Simone» (cfrLc 24,34). Così il credente rinnova lasua fede, confessandola con certezzasolidissima (come rivelano le parole“sappiamo” e “veramente”), e lacompleta poi con l’invocazione diperdono e misericordia: «Tu, re vitto-rioso, abbi pietà di noi». La risurrezio-

ne di Cristo è infatti dono di graziaper tutti, e la sua vittoria è fonte disalvezza per coloro che la accolgono.Né deve sorprendere che il canto del-la gioia pasquale si chiuda con il mi-serere: la misericordia divina che sieffonde sull’umanità è il primo deidoni della redenzione. Dal perdono edalla grazia scaturiscono infatti lagioia pasquale e la pace che invadonoil cuore dei credenti, e che i cantoridella sequenza, a voce spiegata, an-nunciano al mondo intero.

——————1 Una breve presentazione della storia dell’origine e degli sviluppi del genere letterario della sequentia si

può trovare in Culmine e fonte 2007/1, pp. 55ss.2 Alcuni manoscritti, tra cui l’importante Codice 366 di Einsiedeln, riportano infatti la seguente strofa

prima della sesta e conclusiva: «Credendum est magis soli / Mariae veraci / quam Judaeorum turbaefallaci» («Si deve credere piuttosto alla sola / Maria verace / che alla schiera menzognera degli ebrei»).Il sapore antisemita di questi versi li ha fatti presto cadere in disuso, tanto che già il Missale del 1570 liometteva.

3 L’espressione della Prima lettera di Pietro suona in greco katakyrèuontes, che significa letteralmente«mettendosi a fare il Signore [Kyrios] al posto di…»: il falso pastore è colui che scalza la signoria diCristo, invece di promuoverla, e pretende di esser lui il proprietario e Signore del gregge. Il contrario diciò che ha fatto Gesù: «Io prego per loro… per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi» (Gv 17,9).

4 Il testo archetipo di questo antico dramma liturgico è più o meno il seguente: «Quem quaeritis in se-pulchro, christicolae?» – «Jesum Nazarenum crucifixum, o coelicole» – «Non est hic, surrexit, sicutpraedixerat. Ite nunziate quia surrexit, dicentes: Alleluia, surrexit Dominus hodie…» («Chi cercate nelsepolcro, o cristiani?» – «Gesù Nazareno, il crocifisso, o esseri del cielo». «Non è qui, è risorto comeaveva predetto. Andate, annunziate che è risorto, dicendo: Alleluia, oggi il Signore è risorto…»). Il te-sto presenta una teatralità marcatissima e ricalca l’ite missa est che conclude la liturgia eucaristica.Con il tempo si svilupparono analoghi testi teatrali per celebrare il Natale («quaem quaeritis in praese-pe?»), a dimostrazione della grandissima popolarità dell’usanza.

5 «All’alba della domenica, Maria Maddalena […] prendendo con sé le amiche andò al sepolcro, doveera stato deposto. […] quando giunsero trovarono il sepolcro aperto e, avvicinatesi, si chinarono e vi-dero un giovinetto seduto nel mezzo della tomba, bello e ricoperto di un abito splendente, il qualedisse loro: Perché siete venute? Chi cercate? Forse colui che è stato crocifisso? È risuscitato e se ne èandato» (Vangelo di Pietro, XII,50-51.XIII,55-56; trad. di M. Craveri).

6 Cfr S. TOMMASO D’AQUINO, Commento al Vangelo di Giovanni, XX, 3.

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superficiali. Abbiamo già visto quali equanti pilastri siano stati infitti nel ter-reno ancor intatto della danza nel pri-mo Novecento: essi – il balletto classi-co e la danza moderna - sono ancorala struttura portante d’ogni creatività, ilinguaggi essenziali per dire l’anima, lapreghiera, Dio stesso. Linguaggi chenel tempo non hanno tenuto alte leparatie stagne d’origine, ma che han-no dato luogo a una sinergia di forzemirabile. Pur senza coagularsi in vere eproprie correnti, pur senza dar luogo ascuole imperiosamente dogmatiche: sìche non da oggi riteniamo che quellain esame sia per la danza storia digrandi personalità, di geni solitari piùche di movimenti. Ed è in tal senso cheprocederemo.

Una figura di luminoso spicco èsenz’altro quella di José Limón (1908-1972). Allievo di Doris Humphrey, lasua opera è percorsa da una vena dinobile e severa spiritualità, spesso le-gata alle tradizioni del natio Messico.Così La Malinche (1949) è una rappre-sentazione della Passione a opera

evelations (Rivelazioni) è il ti-tolo di un balletto dell’ameri-cano Alvin Ailey di cui diremo

tra poco la bellezza e l’importanza. Maè anche il sottotitolo di questa quintae penultima parte del nostro viaggioattraverso tremila anni di danza e fe-de. Perché questo mezzo secolo (e ol-tre) ha realmente assistito a una seriedi “rivelazioni”, di epifanie della tema-tica religiosa nella danza non solo distraordinario impatto artistico, ma an-che di afflato spirituale frastagliato emolteplice, certo, contradditorio talo-ra, eppur alto a tal segno da indurci adattenzioni e a riflessioni né rade, né

Danzava con tutte le forze davanti al Signore... 2 Sam 6, 14

Tremila anni di fede e danzaParte quarta: “rivelazioni” (dal 1950 in poi…)

don Maurizio Modugno

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Il manifesto per un balletto di José Limón

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d’un gruppo itinerante di con-tadini, The Visitation (1952) è

una rilettura del Vangelo dell’Annun-ciazione, mentre The Unsung (1970)guarda alla fede degli indigeni ameri-cani. Tra i lavori più forti e significatividi Limón vanno collocati The Apostate(1959), sulla vicenda di Giuliano l’apo-stata; There is a Time (1956), che èuna trasposizione danzata di Qoeleth2; Psalm opera del 1967, ispirata daltema biblico dei trentasei saggi che siaccollano tutti i dolori del mondo, mariportato alla Shoah e ove l’andamen-to rapsodico della danza è dolente eimploso, con il solista a dominare, perintensità e carisma, la scena; assaidrammatici sono anche The traitor(1954), lacerante confronto fra Gesù eGiuda e soprattutto Missa brevis(1958), eseguito per la prima volta inuna chiesa bombardata di Budapest,con la toccante scena finale, in cui ledanzatrici vengono innalzate e tra-

sportate come le statue della Madon-na nelle processioni messicane. Dellastessa generazione di Limón, l’ameri-cano Alwin Nikolais (1910-1993) viracon forza l’espressività della moderndance verso un’astrazione non priva dirisvolti speculativi: ciò che non gli haimpedito di firmare, nel ventennio1960-1980 lavori quali Sanctum,Tower (sulla metafora della Torre diBabele) e Liturgies. Se il cristianesimoè decisamente a margine del mondod’idee di grandi figure quali MerceCunningham e Anthony Tudor (en-trambi legati al buddismo) o di ErickHawkins e Paul Taylor (il ritualismodell’uno e l’umanesimo dell’altro han-no matrici meramente filosofiche),uno dei nomi più celebri della danzad’oggi ha guardato alla religione convivissimo interesse: parliamo di Mauri-ce Béjart (1927-2007). Francese, figliodel filosofo Gaston Berger, intelligen-za tra le più fantasiose e geniali delloscorso secolo, attento scrutatore d’o-gni cultura, Béjart parte da un impo-sto strettamente classico per aprirsi siaalla lezione della Graham, sia a unaforma personale e suggestiva di teatrodanzato arricchito dagli intarsi più di-versi. Già Messe pour le temps pre-sent (1967), pur con tutto il suo sin-cretismo, è percorsa da una pietas direspiro altissimo; non inferiore in Lanuit obscure (1968), dedicato a sanGiovanni della Croce (i brani erano re-citati da Maria Casarés) e al viaggiodell’anima dall’amore carnale alla suaidentità spirituale attraverso la notte;

Maurice Béjart e Maria Casarés in La nuitobscure

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Actus tragicus (1969, su musica di Ba-ch) è una delle sue più profondeesplorazioni del mistero della morte.Con Nijinskij, clown de Dieu Béjartpercorre la dolorosa parabola del bal-lerino russo Vaslav Nijinskij secondo ilsuo diario, sublimandone il delirante

misticismo in una metafora d’ognipersecuzione, d’ogni crocifissione, digrande pathos. Al mito cantato daGoethe è dedicato l’imponente NotreFaust, ove si scontrano violentementel’angelico (danzato su musica di Bach)e il diabolico (su travolgenti tanghi ar-gentini), per un’opera di magistralebellezza pittorica e tra le maggiori delcoreografo marsigliese. Assai più inti-ma è Messe pour le temps futur(1983), su un argomento di dom Hel-der Camara, ed energica, inimitabile,nel porre in danza domande ancoroggi inquietanti sul futuro dell’uomo;La nuit (1992) è illustrata da Béjartstesso: “Ho cominciato a lavorare su

La notte trasfigurata di Schön-berg come guida verso il poe-ma di Dehmel che lo aveva ispirato –“Ho in me un figlio e non è tuo” – esubito l’immagine di Maria e Giusep-pe nel Vangelo mi si è posta davanti”.Tra le opere più tarde (e sovente unpo’ stanche) di Béjart vanno citate siaJuan y Teresa, singolare passo a duenel quale due vagabondi si credonoGiovanni della Croce e Teresa d’Avila,ma compiono ugualmente un “loroviaggio nella notte oscura fino al ca-stello dell’anima”; sia Jerusalem, citéde la paix (1997), trittico composto daCrucifixion, Le voyage nocturne, Di-bouk e dedicato alle tre religioni mo-noteiste. Coronamento d’un camminocreativo che ha pochi uguali quanto avivezza di sguardo sull’uomo e sullasua fede.

Ambito di cui, dopo il 1968, gliStati Uniti sembrano disinteressarsi.O interessarsi in modo singolare. Adesempio l’americano Gerald Arpino(1923-2008) ha realizzato per il Jof-frey Ballet alcuni lavori emblematicidel filone del cosiddetto “rock bal-let”: Sacred Grove on Mount Tamal-pais (1972), una sorta di cerimonia dinozze tra “figli dei fiori”, seguita dal-la nascita di un bambino che sarà unmessia o un profeta; e Trinity (1969),un rito in tre parti in cui gruppi digiovani danzano su musica sacra ar-rangiata in stile rock; vi spicca il fina-le “Saturday” in cui tutti portanocandele accese danzando sull’ “IteMissa est” e lasciando poi il palcosce-

Il manifesto di Jesus Christ Superstar

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nico vuoto, ma con le candeledisposte sul pavimento. La

sintesi più felice delle pulsioni rilettu-ristiche degli anni Settanta è stataraggiunta dal musical Jesus Christ Su-perstar, che, il 12 ottobre 1971 vienerappresentato per la prima volta aBroadway dove rimane in scena per18 mesi. In seguito anche la produ-zione teatrale nel West End londinesedel 1972 ottiene un enorme succes-so, rimanendo in scena per otto annie diventando inquel momento i lmusical continua-t ivamente più alungo rappresen-tato a Londra. Altempo del la suauscita l'opera, do-vuta a Tim Rice eAndrew LloydWebber, con le co-reografie di RobertIscove, destò nu-merose polemiche,soprattutto perl ' i m p o s t a z i o n enon convenzionale con cui venivanosviluppati i personaggi e la storia. Ipunti più controversi riguardarono ilfatto che la divinità di Gesù non ve-nisse data per scontata, ma posta indubbio dalle parole di Giuda: Youreally do believe this talk of God istrue? (Credi veramente che questevoci su Dio siano vere?). Inoltre la fi-gura di Maria Maddalena, rappresen-tata come palesemente innamorata

di Gesù nel brano I don't know howto love him (Non so come amarlo).Infine la rappresentazione della follache incita alla crocifissione venne vi-sta da alcuni esponenti ebraici comeantisemita. Tutto ciò provocò prote-ste da parte di diversi gruppi fonda-mentalisti, sia cristiani, sia ebraici,che in alcuni casi indussero addirittu-ra a sospendere le rappresentazioni,come ad esempio in Sud Africa, men-tre non fu in dubbio l’approvazione

della Chiesa catto-lica. Rivisto oggi,Jesus Christ Super-star appare un’o-pera di qualità ec-cezionale, vibrantedall’inizio alla finesia nelle straordi-narie musiche, sianella movimenta-tissima coreogra-f ia. Meno noto,ma non trascurabi-le, in un simile am-bito, anche il filmGodspell (1973),

con le coreografie di Sammy Bayes,in cui dieci giovani danzano e mima-no per la strada alcuni episodi delVangelo, dal Battesimo di Gesù allaPassione. Pur nella validità dei risulta-ti, non può negarsi che questi lavori equelli di Arpino (a non dir d’altri simi-li) risultino alla distanza se non data-ti, certo testimonianza di un’epoca edi un gusto non più attuali. Traversa-no per contro intatte ogni stagione

Un momento di Revelations di Alvin Ailey

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culturale proposte teatrali e coreo-grafiche solo apparentemente pecu-liari. Pensiamo anzitutto a Black Nati-vity, una vera e propria sacra rappre-sentazione costruita su “gospels” ne-ro americani da Langston Hughes nel1961 e più volte portata in Italia. Ladanza non vi svolge un ruolo prota-gonistico, ma è parte naturale di unavicenda che si svolge con la soavità diun affresco del Beato Angelico. Face-va parte del cast originario di BlackNativity a Broadway un ballerino dicolore dalle non comuni doti: AlvinAiley (1931-1989). Formatosi con Le-ster Horton, ma attento anche alle le-z ioni di Martha Graham, DorisHumphrey e José Limón, Ailey lavoraprima a Broadway, con Carmen deLavallade, Harry Belafonte e LenaHorne, poi nel 1957 fonda l’ Alvin Ai-ley American Dance Theater, che gui-derà per oltre trent’anni. Capolavoroassoluto d’una attività creativa checonta ben settantanove titoli, il suoballetto Revelations (1960), basato suspirituals, gospels e blues, è un cantofatto danza in metri di stupenda poe-sia, percorso da una spiritualità sem-plice e sorgiva (quella dei neri delprofondo Sud statunitense), ma inti-ma e palpitante, che – eseguito mi-gliaia di volte in tutto il mondo – noncessa e non cesserà di commuovereed entusiasmare. Da ricordare di Ai-ley anche Mary Lou's Mass e il dram-matico Cry. Dall’Europa giungono,accanto od oltre Béjart, segnali d’at-tenzione all’ambito religioso forse

non costanti, ma tutt’altroche privi di significato. Così idue Requiem di Kenneth MacMillan(1929-1992), il primo (1976) su musi-ca di Fauré, il secondo (1986) su unapartitura di Lloyd Webber. Così ilpensoso Kyrie Eleison di John Cranko(1927-1973). Così il complesso (e ta-lora paradossale) La creazione delmondo dei russi Natalja Kasatkina eVladimir Vasiliov, allievi di Goleizov-skij, realizzato per il Teatro Kirov diLeningrado nel 1971. Così ancoral ’austera e grandiosa PsalmSymphony (1978), del cecoslovaccoJiri Kylian (1947), ispirata ai Salmi 39,40 e 150 attraverso l’omonima parti-

tura di Stravinskij. Così infine il pos-sente, concitato Requiem (1996, sumusica di Mozart) del russo Boris Eif-man, cui si deve anche My Jerusalem,apologo sulle tre religioni che coabi-tano nella città santa. Un filo più lun-go e saldo per scandagliare il sacro èravvisabile nell’italiano Vittorio Biagi(1941). Segnato in modo determi-nante dall’esperienza con Béjart, Bia-gi ha al suo attivo una produzione sin

La Matthäus Passion di John Neumeier

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troppo vasta, sin troppo am-biziosa, ma non priva di qua-

lità e di riflessione: più che i suoi stu-di sul tema del Requiem (utilizzandodi volta in volta quello di Berlioz,quello di Verdi o quello di Mozart), cihanno colpito sia alcune pagine diLeonardo, ou le pouvoir de l’homme(1981), con quella “Pietà” arcaiciz-zante di palese rinvio a Masaccio, siala Passione secondo S. Giovanni(1974), una danza volutamente d’“arte povera” (non esente da unosguardo al linguaggio visivo di Pasoli-ni), ma violenta e straziata. Forse laparola più alta pronunciata in tutto ilnostro cammino d’indagine su danzae cristianesimo viene però ancora daun americano, benché di formazionee d’esperienza affatto europee: JohnNeumeier (1942). Legato ormai datrentasei anni all’Hamburg Ballet, viha creato lavori di meditata profon-dità e di maestoso senso architettoni-co: Josephlegende, Matthäus Pas-sion, Requiem, Magnificat, Messiah,a non dire del ciclo coreografico de-

dicato alle sinfonie “spirituali” di Gu-stav Mahler. Noi conosciamo bene laMatthäus Passion (1981) al punto daadditarla senza ambagi come un veromonumento dell’esplorazione del sa-cro attraverso la danza. L’andamentonarrativo suggerito dall’oratorio diBach è solo in parte adempiuto. Agi-ta su un palcoscenico semivuoto, solocon alcune panche e alcuni praticabilie in costumi chiari, senza tempo, lacoreografia ne trae l’essenza più in-terna: il dolore, lo stupore, la coralità,la solitudine, le certezze, le angosce,gli slanci, i ripiegamenti; evocandoframmenti d’immagine o disegnandopure astrazioni, esibendo il tragico esuggerendo il sublime, piangendo,pregando, sperando. Lo stesso Neu-meier ha fatto del ruolo di Cristo,con la sua “non-giovinezza”, conmovimenti rar i e pregnanti , consguardi d’impressionante espressività,un evento d’amore e di sofferenzanon uguagliabile. Ecco, appunto, una“rivelazione”, d’arte e di fede: comedicevamo all’inizio…

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idi un Angelo forte che pro-clamava a gran voce: ‘Chi èdegno di aprire il libro e scio-

glierne i sigilli?’. Ma nessuno né incielo, né in terra, né sotto terra era ingrado di aprire il libro e di leggerlo.Io piangevo molto perché non si tro-vava nessuno degno di aprire il libroe di leggerlo. Uno dei vegliardi midisse: ‘Non piangere più; ha vinto illeone della tribù di Giuda, il Germo-glio di Davide, e aprirà il libro e i suoisette sigilli’ ” (Ap 5,2-5).

Il leone, il Germoglio di Davide èl’Agnello immolato, l’unica risposta

al mistero del dolore e della morte,l’unica luce, l’unica scuola, l’unicomaestro. È la croce la nuova cattedrae il Crocifisso il nuovo maestro: “Ve-nite a me… Imparate da me!” (Mt11,29), “Non fatevi chiamare mae-stri, perché uno solo è il vostro Mae-stro, il Cristo” (Mt23,10).

“Dove l’uomo potrebbe cercare larisposta ad interrogativi drammaticicome quelli del dolore, della soffe-renza dell’innocente e della morte, senon nella luce che promana dal mi-stero della passione, morte e risurre-zione di Cristo?” (Fides et ratio, 12).

La croce di Gesù come vite fecon-da alimenta i suoi tralci, ognuno dinoi, nutrendoli e fortificandoli con lalinfa del suo amore. Con questa cer-tezza e gioia nel cuore sottopongoalla vostra attenzione due opere: uncrocefisso ligneo policromo di scuolaveneta della prima metà del XV sec,conservato nel Palazzo Vescovile diVicenza, e un’ancona della metà delXV sec. conosciuta con il nome di“Copia del Volto Santo di Lucca”.

La prima, pur rientrando nella ti-pologia del Christus patiens, ovverodel Cristo agonizzante con la testareclinata e gli occhi socchiusi, (con-trapposta a quella tardo antica del

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Li disseti al torrentedelle tue delizie!

Roberta Boesso

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Christus triumphans raffigu-rato ancora vivente), mi ha

molto colpito per la grande serenità edolcezza del volto nonostante il mo-mento drammatico della morte. Cri-sto è come dolcemente addormen-tato a sottolineare non tanto un cor-po sfigurato da una passione e mortecruenta e crudele, ma la volontà diaver abbracciato la croce con amore,aderendo così al progetto di salvezzauniversale del Padre. Il morso dellamorte non uccide, ma addormenta. Ilveleno mortifero è diventato provvi-denziale sonnifero, per cui morirenon è altro che “addormentarsi nellasperanza della risurrezione” (Liturgiadella messa).

La nuova iconografia del Christuspatiens ebbe origine nell’Oriente bi-zantino intorno all’VIII secolo per ri-spondere alle necessità teologiche edottrinali di sottolineare, insieme allanatura divina, anche l’umanità delCristo. L’avvento delle lotte iconocla-ste, di fatto, ne limitò fortemente losviluppo in ambito bizantino, mentresussistono interessanti testimonianzedel suo confluire in Europa nell’artecarolingia a partire dall’825-830. InOccidente continuarono a coesisterea lungo le due varianti figurative delcrocifisso, il ‘vivente’ e il ‘paziente’appunto, creando anche esemplariibridi ma, almeno per l’Italia, fu solol’avvento della spiritualità francesca-na nel XIII secolo a imprimere unanetta preferenza a favore di un mag-gior realismo.

L’iconografia dell’opera in esamecorrisponde alla narrazione evangeli-ca di Luca (23,44-46) e di Giovanni(19,30) quando Cristo, resa l’animaal Padre si abbandona serenamentealla morte terrena. Grande risalto vie-ne conferita dalla policromia alla feri-ta del torace e a quelle provocate daichiodi, in quanto testimonianza deipatimenti della passione. La profondalacerazione inflitta a Gesù per accer-tarne l’avvenuto decesso è rappre-sentata, secondo una consolidata tra-dizione figurativa di origine altome-dievale, sul fianco destro di Cristo enon su quello sinistro come vorrebbela reale posizione anatomica del cuo-re. Nel vangelo di Giovanni (19,33-35) viene dato risalto al fendente po-st mortem in quanto da quel tagliofluirono dissociati sangue e acqua,segni dell’eucaristia e del sacramentodel battesimo, da cui nasce la Chiesa.

Inoltre l’immagine evangelica deltempio dal velo squarciato nel mezzopuò essere messa in connessione conil corpo di Gesù, nuovo tempio dalcui fianco destro fluì l’acqua purifi-cante della profezia di Ezechiele.

L’ancona in legno policromo edorato di impianto architettonicomonumentale del Volto Santo di Luc-ca con il miracolo del giullare, aiutavisivamente a cogliere tutta la gran-dezza del miracolo del sacrificio eu-caristico che in ogni liturgia si rinno-va sull’altare.

L’episodio, tratto dalla Leggendadi Leboino che narra del viaggio peri-

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coloso e dell’arrivo a Lucca del VoltoSanto, racconta di un giullare (ingi-nocchiato a destra dell’altare) che,trovandosi di fronte al Volto, nonavendo altri averi, gli dedica le suemelodie. Il Cristo lo ricompensa do-nandogli un suo calzare d’argentoche però il giullare restituisce con de-vozione.

Al centro del dipinto domina ilChristus triumphans, re e sacerdote,con abito e insigne sacerdotali e re-gali, la corona sul capo e la crocegreca sul petto in foglia d’oro. Raffi-gurato appog-giato a una cro-ce tr i lobata inpiedi sull’altarecon le bracciaaperte , è rac-chiuso in unamandorla a ome-ga dal fondo ros-so dorato, sim-bolo della sua re-galità divina ac-quistata median-te la sua mortesulla croce: egli èil Cristo Re, prin-c ip io e f ine diogni cosa. Il simbolismo del colorerosso si evidenzia ulteriormente nelgesto del piede destro poggiato sulcalice, nell’atto di versare dalle stig-mate il suo sangue.

Il sole e la luna ai lati della crocealludono al racconto evangelico del-l’eclissi verificatasi da mezzogiorno

alle tre del pomeriggio, du-rante la crocifissione. NellaCi t tà d i D io (L ibro XVI , cap.26)sant’Agostino scrive: “L’Antico Te-stamento non è altro che il Nuovocoperto da un velo, e il Nuovo non èaltro che l’Antico svelato”. L’Antico(la luna) si può comprendere soltan-to alla luce del Nuovo (il sole).

Ai piedi dell’altare e in dimensioniridotte un giovane, probabilmente ilcommittente dell’opera, sorregge unlibro di preghiere.

Il Signore dei cieli e della terra è ilsenso della no-stra vita, la metada raggiungere.Senza la speran-za tutto è assur-do: I l dolorescandal izza, lagioia i l lude eprolunga l’ago-nia, come unsorso d’acquaper uno destina-to a morire disete.

La speranzainvece trasfigurail mio pianto, lo

rende luminoso e prezioso, riempie diconsolazione le mie lacrime. La vitadiventa la vigilia di una festa eterna einimmaginabile: “Quanto è preziosala tua grazia, o Dio!... Si saziano del-l’abbondanza della tua casa e li dis-seti al torrente delle tue delizie” (Sal36,8-9).

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genitori allevano i figli con amore perGesù; dove i membri della famiglia fre-quentano i sacramenti, e dove prevaleuno spirito di umiltà, obbedienza, amorereciproco e disciplina.

Già il papa Pio XI sottolineava in unsuo intervento:“Il primo e più naturaleluogo dove i fiori del santuario dovreb-bero quasi spontaneamente crescere efiorire resta quasi sempre la famiglia verae profondamente cristiana. La maggiorparte dei santi vescovi e preti dei quali‘la Chiesa dichiara il pregio’ debbono l’i-nizio della loro vocazione e della lorosantità all’esempio e all’insegnamento diun padre forte nella fede e nelle princi-pali virtù, di una pura, devota madre, diuna famiglia in cui l’amor di Dio e delprossimo, uniti alla semplicità di vita,hanno regnato supremi.”

E il Concilio Vaticano II ribadisce conmaggiore incisività: “E infine i coniugicristiani, in virtù del sacramento del ma-trimonio, col quale significano e parteci-pano il mistero di unità e di fecondoamore che intercorre tra Cristo e la Chie-sa (cfr. Ef 5,32), si aiutano a vicenda perraggiungere la santità nella vita coniuga-le; accettando ed educando la prole essihanno così, nel loro stato di vita e nellaloro funzione, il proprio dono in mezzoal popolo di Dio. Da questa missione, in-fatti, procede la famiglia, nella quale na-scono i nuovi cittadini della società uma-na, i quali per la grazia dello Spirito San-

Luigi Maria Boccardosuor Clara Caforio, ef

rovo sempre significativo legge-re le biografie di uomini e don-ne che sono stati considerati

beati e santi dalla Chiesa dopo un per-corso più o meno lungo… Mi viene dapensare: ma quante altre testimonianzenascoste, quanta passione mai rivelata,quanta carità profusa o quanto doloresopportato con dignità! Le virtù di moltifratelli e sorelle non le conosceremomai, probabilmente perché il Signorevuole avere Lui solo il diritto di tenerlestrette nel cavo delle sue mani.

Ogni goccia in Dio ha lo spessoredella vastità, come immense possonosembrare le lacrime dei bambini o deglianziani. I santi anonimi ci camminanoaccanto, gustano l’aria, sanno tacere,lottano e sperano… Sarebbe interessan-te tracciare profili su testimoni scono-sciuti a moltissimi; sì perché questi fannoparte delle nostre quotidianità, vivono ohanno vissuto con noi … Siccome devorispondere a richieste precise cerco didocumentarmi allora su persone cono-sciute da tanti o da pochi.

Questa volta vado a bussare alla por-ta di una bella famiglia che ha avuto ilprivilegio di avere due membri entrambisacerdoti e entrambi beati. Particolar-mente nei tempi passati la famiglia haavuto un ruolo molto importante nel di-scernimento e nella crescita delle voca-zioni. Il terreno primario per la nascitadelle vocazioni è la casa, il luogo dove i

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to diventano col battesimo figli di Dio eperpetuano attraverso i secoli il suo po-polo.

In questa che si potrebbe chiamareChiesa domestica, i genitori devono es-sere per i loro figli i primi maestri dellafede e secondare la vocazione propria diognuno, quella sacra in modo speciale”.La famiglia costituisce, dunque, il primoambito naturale della maturazione uma-na e cristiana delle nuove generazioni,dove è possibile coltivare valori e virtù,dove si trova il terreno necessario per re-sistere all’azione devastante dell’indivi-dualismo e del materialismo. Senza di-lungarmi ancora “busso” alla porta del-la famiglia Boccardo… Collochiamoci aTorino intorno al 1848.

Luigi Boccardo nasce a Moncalieri(TO) il 9 agosto 1861, settimo di diecifigli da Gaspare e da Giuseppina Ma-lerba. Il primogenito Giovanni è anchepadrino del piccolo Luigi e divenendosacerdote sarà anche un ottima guidaper suo fratello. Intanto il piccolo di-mostra presto di avere un’indole gene-rosa e piena di vita.

Dalla mamma e dal papà, impara apregare e presto ancora assai piccolo,impara a servire la S. Messa. Dotato dibuona volontà e propenso verso gli studii genitori contadini lo iscrivono per il gin-nasio al “Real Collegio” dei padri Barna-biti di Moncalieri, già frequentato dalfratello Giovanni; in questo ambiente re-ligioso e con l’esempio del fratello, av-verte presto il desiderio di diventare sa-cerdote; anche la sorella Giacinta nel1874, aveva scelto la via del chiostro,

entrando con il nome di suorVeronica fra le Suore diSant’Anna.

È ancora il fratello Giovanni, a con-vincere i genitori ad accogliere la voca-zione sacerdotale di quel secondo fi-glio e sempre lui, si assume l’impegnodi pagare la retta degli studi per tuttigli anni futuri; nell’ottobre 1875 ‘Luigi-no’, com’era chiamato in casa, entranel Seminario di Giaveno, dove vestel’abito clericale il 23 settembre 1877,qui frequenta la quarta e quinta ginna-sio, dopo aver superato una bruttamalattia che lo aveva portato quasi al-la morte.

I disegni di Dio seguono percorsi dif-ferenti ed è così che nell’autunno del1877 il chierico Luigi Boccardo, entraper lo studio della filosofia, nel Semina-

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rio di Chieri, dove si trovava co-me direttore spirituale il fratello

maggiore. Qui trascorre tutti gli anni del-la formazione lasciandosi plasmare dalloSpirito che lavora in profondità nono-stante i dubbi, gli scoraggiamenti, gli en-tusiasmi, tipici di ogni itinerario… Il no-stro beato non era immune alle proble-matiche giovanili ma sostenuto dai su-periori a da suo fratello Giovanni, diret-tore spirituale dei chierici, supera ognidifficoltà abbandonandosi all’azione delSignore.

Con lo studio della teologia, va manmano maturando nel chierico Luigi Boc-cardo, la sua filiale devozione e consa-crazione alla Madonna, alla quale venivaattribuita la sua salvezza di qualche an-no prima, quando in procinto di morire,gli fu fatto bere un poco d’acqua diLourdes; è ancora conservata un’imma-ginetta della Vergine, su cui Luigi scrissee firmò: “Questa è Colei che mi salvò edil cuor mi rubò”.

Il giovane viene ordinato sacerdote il7 giugno 1884 dal cardinale arcivescovoGaetano Alimonda; il giorno dopo cele-bra la sua Prima Messa nella parrocchiad’origine a Moncalieri, alla presenzacommossa dei genitori, e dei numerosifratelli. Prima di essere trasferito trascor-re ancora un anno come assistente nelSeminario di Torino, poi l’arcivescovo lodestina a Pancalieri. La sua permanenzadi circa un anno in questo luogo, coinci-de con un’epidemia di colera, che fa ol-tre cinquanta vittime; egli è presente inprima linea nell’assistere i moribondi egli ammalati; a causa delle drammatiche

conseguenze dell’epidemia, il fratelloparroco Giovanni Boccardo, fonderà laCongregazione delle Suore “Povere Fi-glie di S. Gaetano”.

Dopo due anni, nell’autunno 1879,Luigi Boccardo si trasferisce nel Semi-nario Teologico di via XX Settembre aTorino, qui trova come padre spirituale ilcanonico, poi Beato Giuseppe Allamano(1851-1926) una delle tante sante figureche hanno dato notevoli contributi spiri-tuali al Piemonte in quel periodo.

Luigi intanto percorre strade diverseda quelle del fratello; il canonico Allama-no lo vuole in città, docente al ConvittoEcclesiastico, in mezzo ai sacerdoti giova-ni che completano i loro studi. Insegnatante discipline ma “prima di tutto sipreoccupa che i preti siano confessori ebuoni padri delle anime, che sappiano in-tessere tra i fedeli di ogni ceto un’intensavita di amore con Dio. Gesù eucaristico,con la Messa celebrata ogni giorno confede e fervore, che deve essere al centrodella vita di tutti, in primo luogo dei sa-cerdoti”. Lui stesso trascorre tutto il tem-po che può, nel suo confessionale alla“Consolata”: dal suo cuore ardente diamore a Cristo, si formano generazioni disacerdoti, migliaia e migliaia di ottimi cri-stiani, di piccoli e grandi apostoli di Gesùproprio in un tempo molto difficile. Nondimentichiamo che in questo periodo tra-vagliato vivono uomini la cui santità sidiffonde ovunque: è il tempo di san Giu-seppe Cafasso, di don Bosco e appuntoanche di don Allamano canonico dellaConsolata, il venerato Santuario mariano.

Il sacerdote e don Luigi lavoreranno

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insieme per ben 30 anni dal 1886 al1916, in completa sintonia, don Luigicon umiltà, pazienza e sollecitudine,opera al fianco di don Allamano sosti-tuendolo, quando i molteplici impegnidel canonico si fanno sempre più nume-rosi: I restauri del Santuario, le iniziativeper porlo come centro di spiritualità per itorinesi, la fondazione del Bollettino, lafondazione e gestione delle Congrega-zioni religiose dei Missionari e delle Mis-sionarie della Consolata.

Un’opera veramente instancabilequella del nostro beato, che continuacosì ad essere il direttore spirituale e l’or-ganizzatore della vita dei sacerdoti allievidel Convitto, fa anche scuola di religionenel quartiere; tiene conferenze, insegnaliturgia e pastorale nell’ambito del San-tuario, ma soprattutto passa ore ed orenella preghiera e nel confessionale.

Il 2 giugno 1909 Luigi viene nomina-to Canonico onorario della Collegiatadella SS. Trinità; sempre più innamoratodi Gesù e di sua Madre si fa pellegrino aLourdes, Roma, Napoli, Firenze, Lucca.L’amore rende operosi, il nostro sacerdo-te fa suo il versetto del salmo “lo zelodella tua casa mi divora”.

Nel 1913 dona alla stampa la sua pri-ma opera ascetica Il figlio spirituale; par-te prima della sua maggiore opera: Con-fessione e Direzione, la seconda parte Ilpadre spirituale e l’appendice Le celestivocazioni, vengono pubblicate negli an-ni dal 1913 al 1928 con numerose ri-stampe, perché molto ricercate.

Il 30 dicembre 1913, il fratello Gio-vanni Maria, prevosto di Pancalieri,

muore, indicandolo come suc-cessore alla guida delle opereda lui fondate. Il dolore di don Luigi èprofondo, doveva tutto al fratello, dal-la sua vocazione alla formazione sacer-dotale; il 9 gennaio 1914 il cardinaleAgostino Richelmy lo nomina Superio-re Generale della Congregazione, or-mai diffusa in parecchi luoghi d’Italia.

Inizia così per lui una nuova fase del-la sua vita desiderosa più di stabilità chedi movimento;,egli deve adattarsi a viag-giare in tutt’Italia per organizzare il pro-bandato e il Noviziato, visitare, conosce-re ed organizzare le varie comunità spar-se in Italia, aprire nuove Case, ammini-strare un’Istituzione che comprendevaormai parecchie centinaia di suore, deci-ne di Case e Comunità, migliaia di assi-stiti tra vecchi, malati, bambini e sacer-doti anziani. Spesso, lui così fragile, vaad incoraggiarle e viaggia per l’Italia asostenere le loro opere. La sua profondaumanità cambia i cuori dei più reniten-ti… Nel 1919, il Card. Richelmy, gli affi-da l’Istituto dei Ciechi a Torino.

Don Luigi paga tutti i debiti in cuiviene a trovarsi, confidando nella Prov-videnza, poi d’accordo con il suo Arci-vescovo e con Madre Gaetana (laconfondatrice) porta a Torino la casageneralizia della Congregazione, inLungo Dora Napoli, dove sorge la loronuova residenza, inaugurata e benedet-ta dal Card. Gamba nel 1928. La pas-sione per le anime cresce in lui conquella potenza simile a quella che avevacoinvolto il fratello Giovanni: pronto aoccuparsi dei sacerdoti, delle suore, dei

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fedeli, dei più lontani, che ac-corrono al suo confessionale, e

predicando esercizi al clero e ai laici,progetta la costruzione di una chiesadedicata a Cristo Sacerdote e Re, laquale sorge, presso la casa delle “Figliedi San Gaetano”, ed è consacrata il 24ottobre 1931.

In quegli anni, si è accorto che tra legiovani cieche di cui si prende cura conla delicatezza di una madre, alcune so-gnano la consacrazione aDio nella vita religiosa: eb-bene don Luigi Boccardo, il2 febbraio 1932, con loro,dà vita alle “Figlie di GesùRe”, suore non vedenti,dedite alla preghiera e allacontemplazione: “non-ve-denti, vedono Dio che altri,vedenti, non vedono, eaiutano molti a vederlo; sono «le figliedella luce»”. Da Roma, papa Pio XI e ilcard. Pacelli, suo segretario di stato (fu-turo Pio XII) effondono sull’opera ab-bondanti benedizioni.

Non si può non accennare alle 1027lettere scritte da Luigi Boccardo, raccoltein sette volumi, dal 1901 al 1936, direttea laici, sacerdoti e religiosi, in cui è con-densata ed espressa tutta la spiritualità,l’ascesi, la fiducia in Dio, di questo sacer-dote, umile, discreto ma attivissimo; dis-se di sé: “Tre cose non avrei mai creduto

di fare: scrivere libri, fondare suore e co-struire chiese. Le ho fatte tutte etre!…”. Presagendo l’approssimarsi del-la fine, padre Luigi lasciò man mano levarie Opere, alla cura di altri successorifra cui il teologo Camillo Dionisio; op-presso da vari malanni, celebra l’ultimaMessa all’altare della Consolata nel suoSantuario di Gesù Re il 26 aprile 1936.

Come buon operaio che ha consu-mato ogni energia nella vigna del Si-

gnore don Luigi si preparaall’incontro con Dio. Con-suma le sue ultime ener-gie nel consolidamentodella sua Opera, nella gui-da dei sacerdoti e delleanime, finché può nellapredicazione, sempre finoall’estremo nel confessio-nale. Si spegne sereno il 9

giugno 1936. Il 15 novembre 1937, lasalma viene traslata dal cimitero al San-tuario di via Lungo Dora Napoli; l’8giugno 1961 presso la Curia di Torino,ebbe inizio la Causa per la sua beatifi-cazione, che dal 19 aprile 1979 è spo-stata a Roma presso la competenteCongregazione Vaticana. Il 12 aprile2003 è stato dichiarato ‘venerabile’ edil 14 aprile 2007 è stata celebrata lasua beatificazione nella nuova chiesatorinese del Santo Volto. La memoria li-turgica viene celebrata il 9 giugno.

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Bibliografia:www.santiebeati.itVAUDAGNOTTI A., Vite dei canonici Giovanni e Luigi Boccardo, Torino 1929VAUDAGNOTTI A., Il canonico Luigi Boccardo. Un direttore di anime, un maestro del clero, Torino 1946giuseppeallamano.ismico.org