Cs narcotraffico albanese
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Ufficio del Procuratore
COMUNICATO STAMPA
12 luglio 2013
L’operazione odierna. Dodici narcotrafficanti albanesi arrestati, circa 11 kg di marijuana, 17
di eroina e 2,5 di cocaina sequestrati: questi i dati dell’ultima vasta operazione antidroga
condotta, questa mattina, dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Bari,
coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia, nel quadrilatero Bari-Modugno-Gravina-
Altamura. Sequestrato, nel Milanese, anche un laboratorio destinato al taglio e al
confezionamento delle sostanze stupefacenti.
L’inchiesta ha, appunto, inizio con l’individuazione di un vero e proprio laboratorio, in un
appartamento sito in Cesano Boscone nel Milanese, destinato al “taglio” ed al confezionamento
di droga nel quale si rifornivano ulteriori cellule albanesi di stanza in Puglia gestito da tre
narcotrafficanti albanesi, tutti tratti in arresto in flagranza di reato. L’operazione antidroga è
giunta al termine di una delicata e complessa attività info-investigativa (con assidui servizi di
osservazione e pedinamento) orientata al monitoraggio di alcuni albanesi dimoranti
nell’hinterland barese, che nel giro di qualche settimana ha permesso agli specialisti del GICO
del Nucleo di Polizia Tributaria di Bari di risalire ai luoghi di lavorazione dello stupefacente (il
suddetto laboratorio milanese). Al momento dell’irruzione i militari hanno sorpreso i tre
narcotrafficanti in possesso di oltre 17 chili di eroina, più di 2 chili e mezzo di cocaina e sostanza
da taglio per un peso di 10 chili circa, oltre al materiale necessario per il “taglio” ed il
confezionamento dei narcotici quali setacci di varie misure, frullatori, bilancini di precisione ed
una pressa. Inoltre, venivano sequestrati quasi 100mila euro in contanti, divisi in mazzette
appositamente numerate, costituenti, con ogni probabilità, la provvista da destinare all’acquisto
di nuove partite di stupefacente. A comprova dell’alto profilo criminale dei tre narcotrafficanti
arrestati nel Milanese, e rinchiusi nel carcere di San Vittore, anche il rinvenimento, sempre nel
corso delle perquisizioni, di una pistola di fabbricazione belga con caricatore inserito contenente
sei cartucce, ulteriori sette proiettili ed una micidiale mono-colpo in metallo simile ad una penna,
il tutto abilmente occultato all’interno di confezioni di pasta.
L’inchiesta ha, poi, avuto uno sviluppo tutto pugliese: il 7 luglio scorso a Barletta nel corso di un
servizio di controllo del territorio, volto alla prevenzione e repressione del traffico illecito di
sostanze stupefacenti, i militari del GICO trovavano in un’auto di un cittadino dimorante a
Barletta un borsone con all’interno 20 involucri contenenti marijuana del tipo “skunk” per un
peso di circa 11 kg. e 6 panetti di hashish pari a 600 grammi circa abilmente confezionati
sottovuoto al fine di eludere eventuali controlli da parte di unità cinofile. E’ stata la particolare
tipologia della droga sequestrata - la “skunk”, 4 volte più forte della comune “erba”, ricavata da
un incrocio tra Cannabis Sativa (75%) e Cannabis Indica (25%) ottenuto modificando
geneticamente le coltivazioni – a suscitare un particolare interesse investigativo: sul mercato, la
“skunk” può costare, al cliente finale, fino a 60 euro al grammo (45 euro è invece il costo per
grammo sostenuto dall’organizzazione criminale) contro i 10 euro di costo, sempre al
consumatore finale (8 euro per l’organizzazione criminale) della marijuana normale, tant’è che
una volta immessa sul mercato lo stupefacente avrebbe fruttato sul mercato oltre 650mila euro.
I risultati ottenuti dal 2010 al 2013. Risultati che dimostrano in modo inequivocabile come la
mafia albanese ha compiuto quel salto di qualità nel traffico internazionale di droga imponendosi
sul mercato criminale, tramite una miriade di piccole comunità disseminate in vari Stati, in tutta
Europa (in modo particolare in Italia, Spagna, Olanda e Germania), ma che vedono la Puglia la
“testa di ponte” del suddetto traffico. Basti pensare che dal gennaio 2010 al giugno 2013 solo le
inchieste della Dda e della Procura di Bari, affidate alla Guardia di Finanza, hanno portato
complessivamente all’arresto di 419 albanesi, circa 8,5 tonnellate di marijuana e hashish, 307 kg
di eroina e 36 di cocaina sequestrati (di questi 73 arresti, 7 tonnellate di “erba”, 220 kg di eroina
sequestrati solo nel Porto di Bari che si conferma crocevia di importazione di sostanze
stupefacenti dai Paesi dell’Est).
La Puglia crocevia dei traffici illeciti. Il territorio pugliese, quindi, si conferma così il
principale punto d’ingresso marittimo della sostanza stupefacente proveniente dall’Albania ed il
modus operandi adottato dai gruppi criminali albanesi per il traffico dello stupefacente è
diversificato e si realizza:
attraverso sbarchi sulle coste salentine, utilizzando gommoni di altura, l’ultimo dei quali la
scorsa settimana che ha portato al sequestro di 1,2 tonnellate di marijuana;
via terra, a mezzo di corrieri spesso di nazionalità italiana, olandese e tedesca per il trasporto
delle partite di stupefacente dai Paesi di stoccaggio ( Spagna, Olanda e Germania). Sul punto,
si registra una ripresa della tradizionale rotta Balcanica alla luce dei sempre più serrati
controlli di polizia lungo le coste nonché all’interno degli scali portuali: il narcotico è scortato
da uno o più staffette che precedono i mezzi (solitamente auto a noleggio) trasportanti il carico
illecito;
nella raccolta dei narco-proventi e nel pagamento delle partite di droga principalmente tramite
la consegna diretta del denaro per contanti. Al riguardo, risultano di particolare interesse
investigativo alcuni espedienti utilizzati dai narcos albanesi per il rimpatrio del ricavato delle
vendite delle sostanze stupefacenti. Ciò avverrebbe mediante “spalloni” che trasportano il
denaro contante ovvero mediante vere e proprie operazioni di riciclaggio operate, ad esempio,
mediante l’acquisto, in Italia, di auto di lusso destinate alla successiva vendita nel Paese delle
Aquile; il ricavato confluirebbe nelle casse delle medesime organizzazioni criminali promotrici
dei traffici illeciti.
La vigilanza preventiva e il contrasto a questo modus operandi, da parte della Guardia di
Finanza, nel porto di Bari si sviluppa attraverso i seguenti steps:
all’arrivo delle motonavi, le unità operative sottobordo procedono – nell’ambito delle misure
preventive attuate in ambito portuale (acquisizione e consultazione delle liste passeggeri,
screening del programma informativo che raccoglie segnalazioni ed immagazzina lo storico
dei transiti di veicoli e passeggeri, rilevazione di allert) – all’individuazione dei mezzi e/o
passeggeri da sottoporre a controllo;
al termine delle operazioni di sbarco, i soggetti così individuati vengono sottoposti al materiale
controllo, anche attraverso metodologie di ispezione particolarmente evolute quali il silhouette
scan (ovvero un macchinario dotato di un generatore RX utilizzato per controlli non invasivi di
persone e veicoli in transito, in grado di funzionare autonomamente grazie ad un gruppo
elettrogeno collegato a monitor dedicati attraversi i quali gli operatori di polizia possono
effettuare un esame visivo del profilo e delle densità del carico trasportato).
L’evoluzione della mafia albanese. Dopo aver inizialmente commercializzato la marijuana
prodotta in patria, oggi il ruolo dei criminali albanesi si è elevato da quello iniziale di semplici
“corrieri” a quello di importanti ed affidabili referenti delle organizzazioni di trafficanti delle
aree di produzione, di transito, di stoccaggio e di consumo. Ma l’evoluzione criminale albanese
non ha riguardato solo i narcos: la qualità dello stupefacente coltivato nel Paese delle Aquile è
progressivamente migliorata, soprattutto per quanto attiene la marijuana che, da una primordiale
produzione, quasi a “conduzione familiare”, ha oggi raggiunto livelli di coltivazione industriale
(mediante apposite serre in grado di assicurare una costante infiorescenza anche nei mesi freddi).
Nonostante il salto di qualità criminale da “corrieri” a “narcotrafficanti” l’organigramma dei
clan albanesi, però, resta ancora tuttora a “struttura chiusa”: gli appartenenti fanno parte dello
stesso nucleo familiare o allo stesso villaggio che fa riferimento a un capo supremo e molti capi
intermedi intercambiabili. Il loro Codice di riferimento resta il “kanun”, un insieme di leggi
consuetudinarie tramandate per via orale che, tra l’altro, prescrivono l’obbligo di vendetta per le
offese e la fedeltà alla famiglia. La “tenuta” della struttura è, poi, garantita, oltre che da una
solida “base direttiva” in Albania, da una serie di cellule operative i cui affiliati sono riusciti, nel
corso degli anni, a regolarizzare la propria posizione nei vari territori in cui operano, creando un
punto di riferimento e raccordo di strategica importanza per i trafficanti. Si tratta spesso di
soggetti perfettamente integrati con la popolazione locale che, in molti casi, conducono una vita
apparentemente normale.
Da un’analisi criminologica condotta dal GICO di Bari questo connubio è avvenuto sicuramente
in Puglia, qui la criminalità albanese si è perfettamente inserita, nel corso degli anni, nel tessuto
sociale, ma è stata anche in grado di stringere alleanze con la malavita locale:in particolare,
negli ultimi anni, è stato riscontrato un quasi sistematico ricorso all’impiego, nei più svariati
ruoli (dal corriere al magazziniere) di cittadini italiani da parte delle consorterie albanesi, attesi i
minori controlli di polizia cui gli stessi vengono sottoposti. Riscontri di questo genere si sono
avuti sia nell’operazione “Riviera 2011”, conclusasi nei giorni scorsi: i “capi”
dell’organizzazione albanese hanno stoccato oltre 600 kg di marijuana in un container ubicato
nell’area recintata di un cantiere edile nella disponibilità di un cittadino italiano del bresciano al
quale veniva affidata anche la custodia del prezioso carico, ma sotto la supervisione dell’albanese
Eduart Mucaj; sia nell’operazione “The Butchers 2011” dove un cittadino italiano di Porto
Cesareo viene comandato dai “capi” albanesi di giungere sulle coste salentine con il proprio
furgone per caricare quasi 500 kg di marijuana appena giunti via mare su appositi gommoni. Ma
significativa è anche la circostanza emersa nell’indagine “Shoku” del 2010, allorquando un
cittadino italiano di Altamura con la propria auto si è messo a disposizione di soggetti albanesi,
sempre domiciliati in Altamura, come “autista” per andare a Bologna a ritirare un carico di
eroina da destinare al mercato pugliese. Ma nonostante le organizzazioni albanesi riescono a
porsi sempre più come nuclei autosufficienti, in grado di gestire tutto il ciclo del traffico
illecito,(dalla coltivazione, all’importazione, fino alla distribuzione capillare sul territorio di
destinazione) c’è un “limite” che la loro attività illecita incontra: nei quartieri di Bari l’attività di
spaccio rimane sotto il totale controllo della criminalità organizzata locale.
La più importante inchiesta di contrasto. L’operazione “Riviera 2011”: l’inchiesta - scaturita
dal sequestro di circa 1 kg di eroina nel porto di Bari nell’ottobre del 2010 - porta
all’individuazione e all’arresto in carcere di nove fra cittadini albanesi e italiani appartenenti ad
un’organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, operante
tra la l’Albania, la Grecia e l’Italia, con ramificazioni in diverse città italiane, tra le quali Salò e
Gardone Riviera nel Bresciano, la stessa Brescia, Saronno nel Varesotto, Como, Genova e
Foggia, in grado di movimentare ingenti quantitativi di narcotico del tipo marijuana. Le
operazioni illecite venivano pianificate nei minimi particolari, nel corso di veri e propri summit
tenuti in Albania dai promotori degli illeciti perseguiti, lontano da “occhi” ed “orecchie”
indiscrete. L’organizzazione poteva contare su un’imponente struttura logistica transazionale, in
grado di movimentare ingenti quantitativi di marijuana e reperire idonei locali per il loro
deposito sia in Grecia (in particolare a Patrasso) che in Italia. Da qui, la droga raggiungeva con
motonave di linea le località di smistamento del narcotico ove operavano i veri e propri
“grossisti” dell’organizzazione.
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