ALBANESE – Actio servi corrupti

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ANNALI DEL SEMINARIO GIURI-DICO DELLA UNIVERSITÀ DI PALERMO VOLUME XXVII OMAGGIO dol Cipwfimgnio dt Untvertità P M a r t n o PALERMO TIPOGRAFIA MICHELE MONTAINA MCMLIX •z-t: 5

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ANNALIDEL

SEMINARIO GIURI-DICOD E L L A

UNIVERSITÀ DI PALERMO

VOLUME X X V I I

OMAGGIO dol C ipwf imgniodt

Untvertità P M a r t n o

PALERMOTIPOGRAFIA MICHELE MONTAINA

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BERNARD° ALBANESE

ACTIO SERVI CORRETTI

1. Manca, nella letteratura romanistica moderna, u n a •compiuta trattazione dell'azione in questione, d i c u i è statostudiato soltanto qualche punto particolare ( l ) . E ciò baste-rebbe a fornire, i n l iMine , l a consueta giustificazione al pre-sente lavoro. Senonchè, le ragioni che ci hanno spinto a intra-prenderlo sono, i n realtà, d'altro ordine. Di esse sarà possibilediscorrere adeguatamente in sede conclusiva ; qu i basterà ac-cennare che abbiamo r isol to d i studiare Fa . s e r v i e o r r u p t i(d'ora in poi : a . s. e.) in relazione a nostre precedenti ricer-che sul danno aquiliano e sul fur iurn (2) , c o n l a c o n v i n z i o n e(i) C f r. SCHILLER, Tr a d e secrets and the roman l a w , i n S t u d iRiccobono, I V (Palermo, 1936), p . 81 ss., c o n bib l iograf ia preceden-te ; SCIASCIA, D e servo corrupto, in Var ie tà giuridiche (Mi lano, 1954),p. 97 ss. PROVERA, A c t i o de servo corruplo, in N D I , 1959. Pe r puntiparticolari, cfr. , soprat tut to : KASER, Q u a n t i ea res e s t (Mi inchen,1935), p . 182 ss. ; Vo c i , Risarcimento e pena pr ivata n e l d i r. r o m .class. (Mi lano, 1939), p . 49 ss. LONGO, L a compl ic i tà n e l d i r . p e -nale rom., i n R I D R , 1958, p . 141 ss.

(2) Studi sulla legge Aquilia: I (Adio uttlis e actio in factum

ex- leg-e Aquilia) e H (Le estensioni della legittimazione attiva

aquiliana), i n A n n . Palermo, X X I (1950) (c i ta t i , d 'o ra innanzi , Studisulla legge A q u i l i a _I e I l ) ; L a nozione d i f u r t u m f ino a Neraz io(in A n n . Palermo, X X I I I , 1953); L a nozione d i t u r t um da Nerazioa Marc iano ( i n A n n . Palermo, X X V, 1957); L a nozione del f u r t um

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che i risultati eventualmente raggiunti sarebbero valsi a con-fermare quelli, p iù generali, g ià in quelle ricerche, appunto„conseguiti ; ed inoltre a chiarire sempre più il difficile e va-sto campo del diritto penale privato romano, specie in rela-zione alla formazione del moderno concetto d i illecito civile

Il ri l ievo della mancanza d i trattazioni complete sul no-stro tema, poi, dà ragione anche del perchè non appaia con-veniente far precedere questa nostra dal consueto quadrogenerale del cosiddetto stato della dottrina.

Ci sembra utile, infine, avvertire, per quanto r iguardail sistema che seguiremo, che c i atterremo, più che c i saràpossibile, a l criterio dell'analisi esegetica dei dati testuali, perlo più secondo l'ordine con cui essi son disposti nel tit. i I3 dei Dz:g-esta giustinianel, sede: materiae del nostro istituto.

2. I l commentario ulpianeo all'Editto (l. 23), conserva-toci per la nostra azione in larghi squarci, si apre — dandoinizio contemporaneamente al t i tolo accennato — con la con-sueta trascrizione della promessa edittale.

D. i i, ,i pr. (Ulp. 23 ad Ed.): Ai/ praetor ; 'qui

servum servam al ienum allenam recepisse persuasisseve q u i dei dicetur dolo malo qua eum eam deteriorem facerel, i n eumquanti ea res e r i t i n duplum iudic ium dabo'.

Non giova al proposito insistere sull'evidente natura d ia. i n facturn del r imedio (3) . P i u t t o s t o , u n e s a m e a t t e nt o

del testo pone subito un problema gravissimo.Per primo, uno studioso d i grande finezza e acutezza, i l

nell'elaborazione dei g iu r i s t i romani, i n f u : , 1958 (questi lavori sulfur tum saranno citati, d 'ora innanzi : Fu r t um I , Fu r i um I I , F u t - -tum H I i p r im i due verranno citati secondo i rispettivi 'estrat t i ').• (3) Cfr. LENEL, Das Edictum perpetuum3, p. 175 BUCKLAND, The

Roman Las) o f Slavery (Cambridge, 1908), p. 33 ; SCHILLER, oft.p. S i .

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Huvelin (4) , h a r i l ev a t o, pur senza sp iegar bene le ragioni, come

la redazione edittale presenti quella che egli chiamò una a l -lure contournée >>. I n effetti, le sue ipotesi di base (recepisseservum servam alienum aliertarn e persuasisse.. quic l ei datamato qua eunz eam deleriorem Tacerei), oltre che essere, innega-bilmente, alquanto eterogenee dal punto di vista sostanziale,appaiono, formalmente, connesse con una certa difficoltà.

Per noi — lo diciamo subito — lo stento del periodo èoriginario e non giustifica conclusioni audaci.

Comunque, dal rilievo stilistico — e da altri che vedre-mo, a i suoi occhi p i i probanti ancora — il romanista fran-cese ha dedotto la convinzione d i una formazione successi-va del testo edittale. I n un primo tempo, il pretore avrebbeprevisto solo i l persuadere quid... dolo malo qua... deteriarem_tacerei, includendo in siffatta fattispecie solo le dolose sug-gestioni sfocianti in una deteriorazione i n senso materialedel servo. Successivamente, la deteriorazione sarebbe stataintesa estensivamente fino a ricomprendere anche i peggio-ramenti morali del servo tali d a diminuirne i l valore ve-nale. Infine, sulla stessa via estensiva, sarebbero addiritturastati inclusi espressamente nella previsione edittale anche icasi de l recipere servum.

Noi stessi, i n un precedente lavoro ( ,5) , a b b i a m o s o s t a n -

zialmente aderito a questo i ter delineato d a Huvelin , p u rfacendo — con riferimento a l lo sviluppo de l furtum e deldamnum iniur ia datum — dei rilievi in difformità. (6) . E r a v a -mo mossi a questa adesione soprattutto dalle considerazioniche Huvelin stesso aggiungeva, e con valore prevalente, a lriguardo. Ta l i considerazioni erano : a) i l nome dell'azionein questione allude soltanto alla corruptio, e quindi a l solo

(4) Atudes sur le furtum (1-yon, 1915), p. 5o7 ss.

(5) Furtum I, p. 18o; cfr., ora, anche LONGO, op. di., p. 141 ss.

(6) Op. cit., p. di.

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persuasisse, non al recepisse edittale ; h ) la testimonianza piùantica della nostra azione (D. i i, 3 , 1 6 : A l f e n o V a r o ) p r e -

vede appunto una suggestione dolosa, non un recipere c ) l osviluppo amplissimo della nozione d i furtum, g ià da Huve-lin largamente documentato (e da noi ribadito), rende inverosimile che, all'età di introduzione della nostra azione (certoanteriormente ad Alfeno Varo), si sentisse la necessità di san-zionare in modo autonomo i l comportamento doloso del re-cipere ::tale comportamento era, già di per sè, ricompreso nel-la nozione d i furium.

Si tratta, tuttavia, d i argomenti degn i d i p iù attentavalutazione, oltre che aventi differente portata.

Lasciando da parte, per i l momento, i l motivo desuntodalla « alture contournée », d i cui diremo alla fine ; scartan-do, :come insignificante, l'argomento desunto dal nome dell'a-zione ( in effetti, i l termine corrumpere non appare nè nelloeditto nè nella più probabile redazione della formula (7) ; equindi sarebbe arbitrario desumere da quella che appare unadenominazione della pratica (8) q u a l u n q u e i l l a z i o n e c e r t a s u l la

originaria portata del rimedio pretorio) ; trascurando, comeancor meno significativo, l'argomento desunto da D. i i, 3 ,16, testo che, per riferirsi ad u n caso concreto, n o n puòaffatto escludere altre applicazioni dell'azione a differenti casiconcreti, resta — come particolarmente degno d i attenzione,dal punto di vista sostanziale — l'argomento addotto dallo stu-dioso francese sulla base dei rapporti tra la sfera del furium ela tutela i n factum introdotta con l'editto de servo corrupto.

Per valutare questo argomento, bisogna considerare se-paratamente le ipotesi edittali attestate da D . / i, 3 , i p r . ,in relazione a l presumibile stato d e l s istema g i u r i d i c o c u iesse vengono ad aggiungersi.

(7) Cfr. LENEL, OP. cit., p. 175 n. lo; SCHILLER, OP. cit., p. 82.

(8) Sul fenomeno, cfr. quel che si avrà modo di rilevare in

sede conclusiva: infra, 3 1 .

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Per quanto riguarda, in primo luogo, l a fattispecie delreciPere servum aliertum, è ben probabile che, anteriormenteall'introduzione dell'a. s. c., essa non sia stata considerata altroche un caso d i furto, data l'ampiezza della relativa nozionenella sistematica repubblicana. Ma le nostre ricerche a l r i -guardo ci hanno condotto, e del tutto indipendentemente daqualunque indagine specifica sul l 'a. s. c . , a l l a conclusionesecondo la quale, proprio a partire dall'ultima età repubbli-cana, si cominciò, da parte dei giuristi romani, a circoscri-vere sempre più la nozione d i furium, accentuando, d a unlato, i l rilievo d i un contatto materiale t r a agente e cosaoggetto del furtum ; da un altro lato, precisando un atteg-giarsi particolare del dolo dell'agente, inteso come persegui-mento d i un vantaggio illecito. Tut to questo, certo, non concarattere regolare ed inderogabile, ma come criterio ispira-tore d i decisioni particolari p e r • casi dubbi (9) . P r o p r i o i nrelazione a siffatto processo evolutivo, e supponendo che lanostra azione sia stata introdotta intorno a l la metà del Isec. a. C. (1t ' ) , l ' i p o te s i d el l a r e ce n zi o ri t à d e ll ' ap p li c az i on e

dell'a. s . c. a l recipere servum a l ienum —avanzata d a H u -

(9) Per un quadro dei relativi risultati, cfr. Furlim

(11)) Oltre alla circostanza che l'azione in esame è certamente

nota ad Al feno Va ro (cfr. D . t i , 3, 16) e qu ind i , probabilmente,già a Servi° Sulpicio, no i non abbiamo alcun d a t o ce r to p e r l acollocazione nel tempo d i essa. Tuttavia, la supposizione che l'azio-ne debba farsi r isal ire all'epoca indicata c i sembra suffragata d aalcuni indizi non trascurabili : a) i l responso d i A l feno ci tato mo-stra g ià ben consolidata la nostra azione : ne prevede, infatti, l'ap-plicazione a casi d i corrupi io non corporale; i l che è, dato i l sen-so originario d i corrumpere (cfr. D . 9, 2, 27, 3 e Studi sulla leggeAquil ia I , p. 182), segno d i un certo sviluppo interpretativo ; b) in-torno alla metà, appunto, del pr imo secolo a. C. s i h a u n m o t ointenso d i elaborazione del sistema quir i tar io, caratterizzato, p e rquel che p iù c i interessa, dall'accennata precisazione progressivadella nozione d i f u r t um e dalla introduzione del iudicium cle dolo.

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vello e da noi stessi, come si disse, condivisa in altra sede—ci pare, in realtà, arbitraria. Tut t i g l i indizi in nostro pos-sesso parlano, invece, a favore della presenza originaria, nel-l'editto, della fattispecie discussa : tale presenza — come, delresto, s i vedrà meglio a l termine d i questa indagine —un'ulteriore documentazione del processo d i riduzione e d iprecisazione del furtum.

Si rifletta un istante, i n effetti, sulla circostanza per cuisupporre l'assenza dall'editto originario della fattispecie delrecipere significherebbe automaticamente dover ammettere lapermanenza fermissima dell'indeterminata, amplissima nozionedi furto, propria della più antica elaborazione repubblicana,fino all'età di Alfeno Varo, ed oltre. O r a , c i ò sarebbe incontrasto con i risultati che abbiamo creduto d i poter rica-vare dal nostro studio sul furto ; e in specie con testimo-nianze risalenti allo stesso Al feno Varo, l e qual i provanocome quel giurista abbia non insignificantemente contribuitoal moto d i riduzione del furtum accennato : si confronti, i nparticolare, D . 4.7, 2, 58 ( " ) .

Si può aggiungere un argomento d i non lieve peso de-sunto dalla sanzione e dai presupposti subiettivi dell'illecitoin questione. L a sanzione i n duplum e l'esigenza de l dolo,in realtà, richiamano invincibilmente a l l ' idea de l fur tum.Se, con Huvelin, dovessimo ritenere che l'a. s. e. non haalcuna relazione genetica con i l furto e c i ò è implicitonella proposta dello studioso francese d i r idurre i l tenoreoriginario dell'editto alle parole s i servo servae alieno alie-nae persuasisse qu id dicetur dolo malo quo eum eam d e,e r i o r e mfacerel, i n eum quanti ea res erit in duplunz iudiciunz dabo (1 2) ;ed è anche esplicitamente affermato : l ' a c t i o n servi corrup-ti, comme son nom le prouve, se rattache originairement à

(") Su cui, cfr. Furtztm I, p . 7 8 S S .(") Cfr. oft. cií., p. 5o8 : servae è omesso per errore di stampa.

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la notion du damnunz iniuriae, et non à celle du furtunt» ( " )—tanto i l presupposto del dolo che la condanna i n duplum,estranei ovviamente all'ambiente normalivo del la lex Aqui -

rimarrebbero inspiegabile mistero.In conclusione, tutto induce a ritenere che l'editto ori-

ginario contenesse la previsione del recipere servitm alienum.Per quanto attiene all'altra fattispecie contenuta nel te-

nore edittale a noi noto, e cioè al persuadere, escluso cheessa possa esser stata la sola previsione originaria, s i devepur indagare, stante la innegabile a l l u re contournée » dellaclausola edittale, se non sia essa, invece, ad esser stata ag-giunta in un secondo tempo. Noi , altra volta (1 4) , a b b i a m oaffermato che, sotto i l profilo della fattispecie che c i occu-pa, l 'a. s . e. rappresenta senza dubbio un'integrazione dellaprimitiva tutela aquiliana. Nè v'è dubbio a n c h e riservandol'approfondimento d i questo punto al termine della presentericerca — che proprio l'ipotesi del persuadere servo al ienoè, paradigmaticamente, tipica dell'estensione in v ia utile del-l'a. legis Aquiliae, nel caso che, i n seguito a l l a persuasi°,il servo subisca un damnum aquiliano in senso tecnico, cioèmorte o lesione corporale (cfr., per tutti, Gai. I I I, 2 1 9 ) . L apiù antica testimonianza d i siffatta estensione del la tu te laaquiliana è in una soluzione di Labeone (?), D. 47, 8, 2, 20 (").

(i3) o p • cil., p . 507. Nessun peso ha, ovviamente, di fronte alleconsiderazioni d i sostanza svolte, l 'ulteriore r i l ievo d e l l avo ro d iHuveuN (lc/c. cit., n . 4 ) sulla collocazione della nostra azione n e l' sistema' del l 'edit to perpetuo. Per i l cenno a l n o m e del l 'azioneche, per Huvel in, sarebbe indizio d i esclusiva connessione o r i g i -naria alla tutela aquiliana, s i confronti quanto d e t t o poco p iù su,circa l'estraneità del termine corrumpere all 'editto e al la fo rmu la .

(14) Furlum I, p. r8o ss.

(15) Per la datazione delle estensioni aquiliane, cfr., molto ge-

nericamente, MAQUERON, L e r a e de la furisprtutenee dans l a crea-tion des actions en extension d-e la l o i Aquilia, in Annales A i x - e n -Provence, 43, 1950. Su D . 47, 8, 2, 20, i n particolare, c f r. i n o s t r i

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Il problema è, dunque, d i determinare se la fattispeciedel persuadere un servo altrui a l f ine d i renderlo deteriorpossa aver formato, all'epoca presumibile dell'introduzionedell'a. s. e., oggetto d i una autonoma previsione normativa.E' facile osservare, a l riguardo, che la locuzione edittalegenerica e potrebbe applicarsi quindi, astrattamente, sia adipotesi d i deterioramento fisico che ad ipotesi d i peggiora-mento morale del servo. Inoltre, l'espressa esigenza del do-lo e la sanzione i n duplum differenziano, in sede d i pratica

Studi su l la legge A q u i l i a i. p p . 4 6 s s . e 1 1 7 s s . S O L A ZZ I , N o te

sparse a l Digesto, i n A l t i Acc. Napol i , 63 (1951), p . 24 ss. L a c r i -tica de l Solazzi, a parte i mot iv i formali , g ià da 'altri r i levat i e dame ammessi, s i fonda, per espungere del tutto l'accenno all'a. utir isaquiliana i n D . 47, 8, 2, 20, sull'osservazione c h e « soprattutto èstrana l ' ipotesi che i l publicano chiuda i l gregge i n modo da farlomorire d i fame. Gabell ieri ed esat tor i hanno a l t r i scopi. . .». P e rquesto, i l Solazzi dichiarava non persuasiva la m ia opinione sul lasostanziale genuinità della chiusa. M a nessuno può negare che l asostanziale classicità della concessione del l 'azione u t i l e aqui l ianain fattispecie del t i po d i que l l a proposta i n D . 47, 8, 2, 20 è ga-rantita, a l d i là da ogn i dubbio, da Gai. I I I , 219. De l resto, l ' ipo-tesi de l nostro testo è assai meno infrequente e strana d i quantoil Solazzi credeva, se è vero che, anche ai g iorn i nostri , il caso deldeperimento d i merci ne i deposit i doganali e giudiziari i si realizzaassai spesso.

I l vero problema che sorge dal nostro frammento non è quellodella genuinità della concessione dell'azione aquil iana ut i le , bensìquello della sua provenienza : no i abbiamo supposto che essa r i -salga a Labeone, ma, i n verità, d a t o i l tenore d e l f r . 2, 20, t a l eattribuzione è semplice ipotesi. Certo, la possibilità di tale r imedioè anteriore a Gaio. D e l resto l e aa. in factum a d exemplum legisAquil iae — che rappresentano uno sforzo estensivo ancor magg io -re — sono testimoniate a part i re da A l feno Va r o , probabi lmente;e, con certezza, per l'epoca d i Proculo e Sabino : c f r . Studi su l l alegge Aqu i l i a I, p . 1 8 8 s s .

Ancora su D. 4.7, 8, 2, 20, ma acrit icamente, v . COHEN, T h eprinciple o f causation i n the l e w ú k and the Ronzan Lazt o f dama-ges, i n Studi De Francisci I (1956), p . 325 n . 2.

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applicazione, nettamente, la tutela aquiliana utile dalla disci-plina conseguente a siffatta promessa edittale.

In conclusione, allora, nulla vieta d i ritenere, in v i apreliminare e salvo approfondimenti che potranno farsi soloal termine di questa indagine, che effettivamente anche que-sta seconda fattispecie possa esser stata contenuta, insiemea quella del recipere, nel testo dell'editto originario.

A ciò non osta l a forma della prescrizione edittale.L'andamento sinuoso del periodo — che aveva colpito il Hu-velin e a cui noi stessi avevamo connesso gravi sospetti —può benissimo dipendere esclusivamente da l la necessità d icoordinare i verbi recipere e persuadere, reggenti cas i d i -versi. Del resto, è frequentissimo rilevare u n cer to stentoed una certa ineleganza formale tanto nelle clausole edittaliquanto nelle prescrizioni delle leges romane : la necessità disintetizzare precetti, presupposti e sanzioni non giova certoall'eleganza stilistica, almeno nel senso nel quale la preten-derebbe il nostro gusto.

3. I l paragrafo che segue all'enunciazione della previ-sione edittale non manca di proporre anch'esso gravi dubbi.

D. t i , 3 , i, i ( U l p. 2 3 ad E d. ): Qui bona fide ser-

vum emit, hoc edicto non tenebitur, quia nec t:pse poteri' ser-vi corrupti agere, qu ia n i k i l eius interest servum n o n cor-rumpi e l sane, s i qu is hoc admiserit, eveniet, u t duobusaclio servi corrupti competal, quod est absurdum. S e d neceum, cu i bona fide horno l i be r servi i , hanc actionem posse•exercere opinamur.

Le diagnosi parziali di alterazione, già da molto tem-po e da molti autori avanzate (") , hanno messo in luce al-

' ) I l primo quia è espunto dal NOODT, sulla fede dei Basilici ;la motivazione, veramente aberrante, quia n i l i i t - absurdum è con-dannata dal PERNicE e dal BESELER, nonchè m a l g r a d o i l diversoavviso del KAI.13 ( i l quale, del resto, contrariamente a quanto ap-

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cune mende intollerabili d e l testo, sicchè n o n torneremocerto ad analizzarlo dal punto d i vista formale, o ne i suoidettagli anche sostanziali. Piuttosto, sarà facile notare comela stessa natura dei problemi affrontati i n D . i l , 3,condanni senza rimedio l'intero paragrafo. La questione trat-tata nel testo è una questione d i legittimazione passiva a l -l'azione, cui si innestano due questioni d i legittimazione at-tiva. S i nega la convenibilità del compratore d i buona fede(che, sembra doversi intendere, abbia o prestato asilo o de-teriorato con cattivi consigli i l servo acquistato) ; indi si ne-ga — e con l'aria d i attribuire a siffatta seconda negazioneil valore d i motivazione della prima - - la legittimazione a t -tiva del compratore i n buona fede (nei confronti, sembradoversi intendere, d i un terzo che o dia asilo o corrompail servo aquistato) ; infine, si esclude l a legittimazione atti-va del soggetto cu i l i onzo l iber bona f ide servi/ (nei confron-ti, sembra doversi intendere, del terzo che abbia prestatoasilo o corrotto i l libero).

A parte la discussione delle singole ipotesi e soluzioni— talora aberranti : s i pensi al nessun conto che vien fattodella menzione del dolo nella prescrizione edittale, menzio-ne che rende impossibile la stessa chiamata in causa d i unpossessore d i buona fede ; o all'espressa menzione del servonell'editto che rende incredibile l'esitazione (denunziata dal-l' opinamur) nel negare (1 7) l ' a p p l i c a z i on e a l l i b e r b o na f i de

serviens — è la stessa sistematica del commentario ulpianeoad escludere, per noi, la genuinità dell'intero testo. Che, su-

pare dal l i Index interp., ad h. t . , s i ferma solo sulla f rase e t sanesi quis hoc admiseril)— anche dal VTR; la locuzione actionem...exer-cere è, infine, giudicata spuria dal LEVY. P e r le indicazioni detta-gliate degli autori ora ci tat i sì r invia al i ' Inder inter i , . I e sappi.,ad h. t .

(11) Si ponga mente alla recisione di Paolo, in questione affi-

ne: D . I l , 3, 14, 1 ; sulla cui parte finale, cfr. in f ra , 2 6 .

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bito dopo l'enunciazione della promessa edittale e prima d iogni illustrazione della fattispecie. Ulpiano potesse affronta-re, non dico le questioni generali d i legittimazione, ma unasingola e particolare questione d i legittimazione, ci pare im-pensabile. A ciò si aggiunga che il commentario ulpianeo af-fronterà problemi del genere solo più avanti (a partire dal-l'attuale D . i i, 3 , 5 , 4). S i considerino, infine, tu t t i i gra-vissimi vizi formali e logici già rilevati i n dottr ina. S i v e -drà, allora, che v i son motivi p iù che sufficienti per sospet-tare estraneo al dettato ulpianeo originario l ' intero branostudiato ( " ) .

Si può congetturare — per quel che valgono siffattecongetture — che i l frammento sia una somma d i glossemila prima affermazione, infatti, Q u i bona f i de servum emi l ,hoc edicto non tenebilur potrebbe spiegarsi come una glossaal seguente § 2, glossa tendente ad escludere, per un casoconcreto, l'applicazione del recipere edittale d i cu i U lp ianofornisce la spiegazione. I l resto del f r. i, i p o t r e b b e e s s e -re un tentativo d i motivazione ed estensione operato da unsecondo lettore postclassico, sprovveduto.

Quel che c i appare sicuro, comunque, è l'estraneità delnostro testo al discorso ulpianeo (1 9) . 4 D . ì i , 3, I , 2 (Ulp. 2 3 a d Ed . ) : Quot i autem prae-lor ceti recepisse' , i / a actipimus si suseeperit servum alienum

(18) Per un sospetto generico su tutto il fr. i, i, cfr. già PAM-

PALONI, registrato dall'Indez inter15., ad h.( i9) Non si può, a nostro avviso, ponendosi su di una strada

più conservativa, tentar d i salvare qualcosa d e l testo, d iagnost i -cando l ' intrusione del la parte centrale soltanto : q u a nec-absurdunt.I l testo che ne risulterebbe, p u r assai p iù corretto, andrebbe, p e -rò, egualmente, incontro al le diff icoltà d i o r d i n e sistematico c h eabbiamo rilevato. Piut tosto, s i potrebbe pensare a d u n a p r i m aglossa i n questi termini , cui, successivamente, s i s ia agg iun ta l aparte, p i ù gravemente scorretta, quía nec-absurcium.

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ad se ; e l es1 proprie reczy)ere r e f u g i u m abscondendi causaservo praestare vel i n suo agro vel in alieno loco aedificiove.

Il paragrafo è insospettato e sostanzialmente affidante.Dal punto d i vista formale, a parte l' ineleganza — non so-spetta, però — del susceperil senza soggetto e de l la preci-sazione i n due tempi del significato d i retipere (suscipere adse e refugium praeslare), r itengo che possa essere una glos-sa completomane la parte f inale v e l i n suo-aedificiove), i ncui l a sconcordanza t r a l e ipotesi tradisce u n a frettolosaappiccicatura (2 3 3) .

Ma, a prescindere da tale dettaglio, i l testo è genuinoed importante. L a fattispecie del recipere — ed è d a pre-supporre: con do lo , come s i ved rà t r a p o c o (cfr. in f ra ,§ E i ) — viene dunque considerata come autonomo i l l ec i topunibile i n duplum. Se son vere le nostre conclusioni sullanozione republicana del fu r lum (del resto, conformi su que-sto punto, a quelle g ià fissate d a Huvel in) , allora, questoeditto pretori() segna una tappa notevole nel la progressivadeterminazione del fu r tum che è compito mirabile del pen-siero giuridico romano a partire dall 'ultimo secolo della re-pubblica. Questa volta è i l pretore che, sulla stessa l inea-della giurisprudenza, contribuisce a sottrarre all 'amplissimoterritorio del fu r tum u n distret to importante : i l reciperedolo malo servum alienum. L a concreta por ta ta d i questafattispecie è g ià chiaramente spiegata nel nostro testo. Pre-cisazioni p iù complete, anche sotto i l profilo della differenzacon analoghe fattispecie c h e restano, viceversa, ricompresenell'ambito del f i t r Ium, potranno esser fornite v i a v i a p i ùavanti, e riprese infine, i n sede conclusiva.

(29 Potrebbe supporsi anche un testo originario : vel in suo

vel in alieno, cui sian state intruse, frettolosamente, ulteriori deter-minazioni; altre consimili ipotesi — pur possibili — sono facilmen-te immaginabili.

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5. Assai p iù difficile è i l g iudizio esegetico s u l testoche, nel commentario ulpianeo e ne l Digesto, segue a l laprecisazione del valore del recepisse edittale.

D. i i, 3 , I, 3 (Ulp. 23 ad Ed.): Persuadere autem

est plus quam compelli atque cogi sibi parere. Sed persua-dere TEP/ iliert0V gaTCV, nam et bonum consilium qu is dandopalesi suadere e i malum. E l ideo praelor adiecit I dolo mak,qua eum deteriorem facerell : neque enim delinquit, n i Si. q u itale aliquid servo persuaa'et, e x quo eum fac ia t deteriorem.Qui ig i lur servum sollicilal a d a l iquid v e l faciena'um v e lcogitandum improbe, h i c videtur hoc ediclo no/ari.

Già Noodt (2 1) a v v e rt ì l ' i n so s t e ni b i l i tà de ll a parte ini-

ziale (Persuadere-parere); a parte i ri l ievi sostanziali ovv i i(la frase è senza senso : semmai i l persuadere è meno (2 2)del costringere), formalmente l 'uso de i passivi compelli ecogi è scorrettissimo (l'antico studioso olandese propose unaemendazione, assai vicina a quella seguita dal Mommsen (2 3)nella sua cari/io maior). Ma anche la precisazione, da gram-matico, costituita dal rilievo espresso con la frasetta grecanon sembra potersi ascrivere ad Ulpiano.

Si potrebbe pensare, allora, per l a par te Persuadere-malum, ad un guasto del testo dovuto all'inserzione glosse-matica d'una notazione d i fi lologia spicciola (2 4) . I l p u n t o

(2') Commentarius ad Digesta, in °Pera omnia (Colonia, 1784),

I l , p. 198 : persuadere autem es t p l u s quam suadere Persuadereenim est compellere alque cogere sibi pareri. Iv i anche altra variante.

(22) Non sembra verosimile che, con il p/us, si voglia alludere

ad una maggiore ampiezza d i applicazione. Piuttosto, è chiaro chesi intenderebbe sottolineare una maggiore intensità d i contenuto.

(23) persuadere autem est plus quam suadere : nam qui persua-

da, tamquam compell i t e t quasi cogi t sibi parere.(24) Non si può escludere, però, naturalmente, che Ulpiano

stesso sfoggiasse qualche nozione de l genere. Resterebbe, comun-que, i l guasto logico derivante, non solo dall'assurda proposizioneiniziale, ma anche dall'assenza, ne l testo, d i u n a indicazione d e i

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importante, l'unico d ia ad un giurista poteva interessare, indefinitiva, era quello d i accentuare la necessità d 'una qua-lificazione del persuadere, d i per sè anodino. Ond'è che, del-la parte iniziale, l'unica frase che abbia un senso rilevante

: bonum consilium quis dando potest suadere .et malum, l aquale, peraltro, per esser riferita a l suadere piuttosto cheal persuadere edittale, non appare, essa stessa, ben connes-sa al tema. Comunque, a questo sennato rilievo che sostan-zialmente (ed è quel che conta) rappresenta probabilmentela base logica iniziale del discorso ulpianeo — base su c u isi sono esercitate la altrui attività d i ritocco e l'incerta sortedella tradizione dei manoscritti — si connette bene l a suc-cessiva frase : E l ideo-tacerei!.

La pretesa motivazione (cfr. enim) ulteriore è invece,in realtà, una scialba tautologia, viziata anche da sciatteriaformale (n i si qui): anch'essa ha l'aria d'una insulsa glossa.

Lo stesso, a nostro avviso, va detto per i l periodo f i-nale Qu i igilur-notari, i n cui alla sostanziale inammissibilegenericità (si confronti specialmente — contrastante com'è ol-tre che con i l buon senso, con quelle limitazioni che faticosa-mente i l testo precedente voleva stabilire — l'amplissimo soli-citare a d a l i q u a vel faciendum vel cogitandum (Dimprobe(!):non si parla più del cleteriorem lacere, assai p i ù concreto)si somma una forma chiaramente rivelatrice d'una mano tar-da ed indotta : c f r. a d al iquid vel faciendum vel cogitandume soprattutto l 'hic, che, se è pronome, è inconsuetamenteenfatico ; se è avverbio, costituisce l a dimostrazione del laestraneità dell'autore del rilievo.

Come si vede, l'intero paragrafo è assai poco affidante.L'ipotesi più probabile, comunque, è che esso sia f ru t to d iglossemi aggiunti ad un fondo originario, rabberciati poi dai

termini estremi rispetto al quale i l 15ersuadere sarebbe una via dìmezzo.

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compilatori. I l fondo originario meno improbabile è da sup-porre sia stato costituito da un ri l ievo ulpianeo sulla neces-sità d i qualificare d a l risultato dannoso i l persuadere servoalieno, d i per sè insignificante.

In mancanza, però, d i precisazioni sul valore del ckle-riorem _lacere edittale, ogni osservazione che volessimo fare- - a somiglianza d i quel che potè avvenire per l a fattispe-cie del recipere in relazione alla tutela del fur tum — per lafattispecie del persuadere, i n relazione alla tutela aquiliana,sarebbe azzardata e incompleta. Così anche, e più, ogni giu-dizio sulla portata sostanziale dell'intervento compilatori°.

6. Forse, terreno meno mal sicuro ci offre i l paragrafoimmediatamente seguente.

D. i i, 3 ,i, (Ulp. 23 ad Ed.): Sed utrum ita demum

tenetztr, s i bonae f r u g i servum perpu l i t ad delinquendum, anvero e t s i malum hortatus est ve l malo monstravil, quemad-modum faceret E t est verius e l iam s i malo monstravi t , i n 'quem modum delinqueret, tener i eum. I m m o e t s i er ta s e r -vus omnimodo fug i tu rus ve l f u r tum facturus, h & v e r o l a u -dator huius proposit i t e n e t u r n o n en im °por le/ l a u -dando a u g-e r i m a l i ti a m . S iv e e rg-o bonum servum fecerit ma-

lum sive ma lum feceri t deteriorem, corrupisse videbitur. Esso— malgrado la pedanteria catechistica del la risposta, l ' im-precisione d i alcuni dati pur r i levant i (cfr. laudator hu iuspropositi, troppo sfuocato d i fronte al persuadere edittale edallo stesso sollicitare del sospetto § 3), la sentenziosità mo-ralistica de l non enim ?porta laudando augeri mali t iam (2 5) —

(25) Si potrebbe, forse, espungere con verosimiglianza, come la

parte p iù sospetta de l testo, l a frase I m m o-n t a t i t i a m , c h e h a a n c h e

— oltre a i relat iv i v iz i — il d i fet to d i introdurre, come cosa nota, idue esempi de l fugere e del f u r i u m lacere d i cu i non s i e r a a f -fatto parlato prima. P iù ampi sospetti, che pe rò t ravo lgono q u e lche è, nel f r. t , 4, certamente genuino, s i vedano i n VOLTERRA,

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ha, a i nostri occhi, almeno i l pregio d i stringere più da vi-cino la fattispecie edittale de l per.madere... u t deteriorem

• faure t . S i par la d i perpellere, d i kortarl, d i monstrare quem-admodunz _tacerei; s i introduce, s ia p u r senza i l dovutorilievo, l'equiparazione tra i l persuadere edittale e d i l cor-rumpere, che giustifica i l nome vulgato dell'attio relativa.

Considerando i l nostro paragrafo insieme con i l prece-dente, noi pensiamo d i trovarci d i fronte ai resti d'un pas-so ulpianeo, turbato da glossemi, i n cui s i doveva sottol i-neare (probabilmente con citazioni d i opinioni giurispruden-ziali che sollecitarono interventi semplificatori d e i commis-sari giustinianei) a ) i l valore neut;-o, per così d i re, delpersuasisse edittale b ) la necessità d i sottolineare u l dele-riorem facerel dello stesso editto per qualificare l'azione i l -lecita ; c) l'indifferenza del la condizione iniziale de l servopurchè la sollecitazione abbia, comunque, avuto p e r r isu l -tato un peggioramento d i esso ; d ) l'equivalenza della fatt i -specie in questione con i l corrunzpere.

Ma i travolgimenti che, per var ie cause, supponiamoabbia subito questa parte del commentario ulpianeo, malau-guratamente non c i danno ancora modo di renderci contodi quel che più importa a proposito d i questo aspetto del-l'illecito pretori° in questione. E , cioè, della concreta gam-ma d i peggioramenti servili che vengono in discorso : tuttoquel che, sia pur in passi sospettabili e dubbi, apprendiamoè in ordine a peggioramenti morali (si confronti : i l _lacereve! cogitare improbe del § 3 ; e i l delinquere, i l fugere , i lj u r lum _lacere del 1 . ) . Pure, la questione — imposta d a ltermine edittale deteriorem lacere, rafforzata d a l valore piùantico, materialistico, del verbo corrumpere, e ancora p i ù

' Delinquere' nelle fon t i giuridiche romane, i n R i v . I t a l , p e r l escienze giuridiche, 1930, p. 143 ; e, soprattutto, i n LONCIO, OP. c i / .(cfr. supra, n. 1), p. i i ss.

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ineludibilnriente da alcuni passi che tratteremo (cfr. intra,in fine) — che qui occorre almeno accennare, è se i l dele-riorem tacere includa, o meno, i danneggiamenti f i s i c i d e lservo a seguito degli altrui dolosi consigli.

E' sorprendente che nè i l § 3 nè i l § 4 accennino allaquestione ; tanto p iù sorprendente, giacchè, come vedremo,un passo ulpianeo abbastanza vicino ai nostri dà per scon-tata, sembra, l'applicazione del l 'a. s. c. a i danneggiamentifisici indotti con dolosi consigli (cfr. D . i t, 3 , 3 , 1 , su cuiinfra, 9 ) . Ond'è che sorge con una certa consistenza i ldubbio che i l disordine e l a genericità d e i §§ 3 e 4 nonsiano solo frutto d i glosse, d i rabberciamenti e d i semplifi-cazioni formali ; bensì discendano da un preordinato disegnocompilatorio d i tagliar via dal commentati() ulpianeo — e diescludere dall'ambito di applicabilità, nel sistema giustinianeo,dell'a. s. c. — ogni menzione dei consigli dolosi che sfoci-no in un deterioramento corporale d e l servo. Quanto ta ledubbio sia fondato, potrà vedersi nel seguito d i questa in-dagine.

7. Continuiamo nell'esame del commento ulpianeo. D. i l ,3, i, 5 (Ulp. 23 ad Ed.): Is quoque deteriorem taci!, qui

servo persuada', u t i n i u r i am tacere/ ve l f u r t u m ve l f u g e r e tvel al ienum servum u t soll ici larel ve! u t peculium intricaret,aul ama/or existeret ve l erro, v e l mal is art ibus esse/ deditusve! i n spectaculis n im ius ve l seditiosus v e / s i a d o r i suasi lverbis sive pret i°, u t rationes dominicas interciderel, a d u l t e -rara' ve/ el iam u t rationem s ib i commissam turbare/.

La necessità d'una vasta esemplificazione può ben giu-stificare la scarsa eleganza d i cert i t ra t t i (ad es., le r ipet i -zioni degli u t ) ; ma, anche a supporre che qualche integra-zione sia successiva (o compilatoria o glossematica) (2 8) , n o n

(2) Conforme LONCIO, OP. cit., p. 155, il quale riferisce anche

un sospetto del BESELEL

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vi è mot ivo alcuno, nel complesso, d i sospettare p ropr iodelle esemplificazioni. Come si accennava g i à nel le pagineprecedenti, precisazioni sul malcerto persuadere u t delerio-rem _tacere/ sono naturalissime ed indispensabili.

Se un difetto serio ha i l testo, esso va ricercato altro-ve; e, come accade spesso, un'osservazione d i ord ine f o r -male c i conduce a sospettarlo. E ' facile rilevare un'ingiusti-ficata deroga dalla p iù normale consecutio lemporum nell'ini-zio del testo : persuade/ ut...faceret e tu t t i gli imperfetti con-giuntivi che seguono. S i not i che simile anomalia n o n r i -corre, invece, nella parte finale ( s u a s i t •–u t . . . i n t e r c i d e r e t , e t c . ) ,

Ora, c iò desta sospetto proprio sulle prime parole d e l pas-so e induce a considerarle con maggiore attenzione.

Su ta l via, vien fatto d i chiedersi che senso abbia mai,nel contesto attuale, quel quoque, che sembra collegare l aesemplificazione che seguirà a precedenti precisazioni e desemplificazioni del contegno illecito del corruttore del servoaltrui. I n effetti, però, è facile riscontrare che, nella pa r teprecedente del commentario ulpianeo a noi pervenuto, nien-te esiste che possa correttamente giustificare i l quoque. G l iunici esempi cui, teoricamente, potrebbe riconnettersi l'esem-fplíficazione d i D . i i, 3 , i, 5 , s a n q u e l li r a c c hi u s i n e ll e pa-

role fugiturus vel fur ium facturus del paragrafo precedente.Senonchè, anche a prescindere dai r i l i ev i g i à fatt i , che c ihanno portato a diagnosticare glossematica proprio la partedi D . i i , 3 , i , 4 ove quelle parole son contenute, sta i lfatto che quei casi stessi o r ora accennati non san addo t t iaffatto, nel ft-. r, p e r esemplificare i n generale il persuadereut deleriorem faceret, bensì sono introdotti incidentalmente aproposito d'una diversa questione (sussistenza della responsa-bilità del corruttore anche nel caso d i servo, che omnimodoavrebbe commesso g l i stessi il leciti suggeriti). Considerazio-ne ancora p iù grave è, poi, quella per cui proprio quei ca-si ( l u g i t u r u s ve l f u r t um fa t tu rus) de l § 4 , anche a p r e n -derli — contro ogni probabilità — per genuini, anche a pren-

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derli — contro ogni logica — per un'esemplificazione, n o npossono in nessun caso costituire appiglio p e r i l quoque d icui c i occupiamo, perchè l'esemplificazione del § 5, l i con-tiene espressamente (cfr. D . 11 , 3 , t , 5 :

ve! fugeret)!Resta, quindi, i l mistero del quoque. A risolvere il qua-

le, due strade soltanto, i n prat ica (2 7) , c i s e m b r a n o p o s s i -

bi l i : o supporre l a sua integrale or igine compilatoria ; osupporre la sua genuinità e, contemporaneamente, supporrela soppressione, nel tratto che precede i l § 5, d i altre esem-plificazioni, cui appunto i l quoque, sensatamente, avesse Ori-ginariamente connesso l'esemplificazione del § 5.

La prima via sembra assurda : che, nel pr incipio d e lnostro testo, l a mano compilatoria si r iveli c o n u n tempomal concordato (persuadel) è ben possibile, data la scarsafinezza stilistica del latino giustinianeo ; ma che i compila-tori s i lasciassero andare ad usare a caso congiunzioni, sen-za necessità alcuna, non è possibile ammettere.

Piuttosto, è assai p iù verosimile che i compilatori, t ro-vato nel discorso ulpianeo un doppio ordine d i esemplifica-zioni, ne abbiano soppresso uno, e, sbadatamente, nel rifareil brano, abbian dimenticato quel nesso (quoque) che un ivaoriginariamente i l secondo ordine al primo, soppresso.

Ciò che sosteniamo è tanto p i ù probabile, i n quantoche, oltre all'accertata manomissione dell ' inizio del f r. t , 5(sconcordanza d i tempi), noi possiamo addurre, a r iprova,anche l'evidente alterazione, già dimostrata, dei due para-grafi precedenti. E quella alterazione d i D . i i, 3 , i , 3 e 4ci era parsa proprio consistere in una provocata genericitàed astrattezza in un discorso che, per necessità logica, nel-l'originale, doveva essere preciso e concreto.

• ( n ) Impensabile c i pa re , infatt i , una in t rus ione n e l contestodel f r. i , 5 de i due esempi dell'istigazione a l fu r to e al la fuga.

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Se, dunque, una serie d i esempi è stata, con ogni pro-babilità, soppressa dai compilatori, s i tratta ora d i ritrovarealmeno l'ordine d i fenomeni cui essa s i riferiva. Se s i r i -flette a l fatto che tut t i i casi su cui insiste i l t i t o lo D . t i,3 son casi d i persuasione ad azioni che inducono u n pe r -vertimento morale del servo, è lecito congetturare — salvoprove ulteriori c h e verranno dall'esame successivo — chegli esempi soppressi fossero esempi d i deterioramento c o r -porale del servo.

E c i basti, per ora, questa congettura : solo più avantisi potrà confermarla, e valutarne la portata per lo sviluppostorico.

8. A questo punto, i l discorso delle Pandette intercala unprimo passo escerpito dal l ibro 19 ad Ediclum d i Paolo, li-bro i c u i squarci — con quel l i ulpianei — rappresentano(con la sola eccezione d i t re brev i frammenti d i Gaio, d iMeno Varo e di Marciano) l'intero contenuto del titolo D. /3. S i tratta di D. i x, 3 , 2 ( P a u l . 1 9 a d E d .) : v e/ l u x ur i o su m

vel contumacem f e d i q u i v e u l stu,brum pateretur persuadet.Anche Paolo, ovviamente, doveva esporre, come Ulpia-

no, le sue spiegazioni e l e sue esemplificazioni i n ordinealla duplice fattispecie edittale. L e poche parole d e l f r . 2son tut to quello che ce ne resta.

I l brevissimo frammento, che integra l a g i à copiosaesemplificazione ulpianea nel f r. i , 5 , permette d i aggiun-gere, innanzi tutto, con sicurezza, due sfumature d i perver-timento morale a quelle g i à note : i n effetti, l ' indurre l oschiavo altrui a divenir luxuriosus, per quel tanto che questaqualifica allude alla sregolatezza nell'uso dei beni, si differenziabene, dai vizi precedentemente enunziati ; e così anche l amenzione della contumacia, che esprime indubbiamente la riot-tosità e la disubbidienza, rappresenta un'indicazione nuova.

Nel cenno f inale : quive ut stuprum pateretur persuadet,siamo d i nuovo d i f ronte a d u n ' ingiustificata anomalia

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nella connessione d e i tempi, aggravata d a l ricorrere, i nimmediata precedenza, del perfetto fedi, che fa risaltare an-cor più i l mal connesso persuadet. Tuttavia, l'ipotesi dell'in-durre a subire lo stuprum ben si adatta alla fattispecie edit-tale del persuadere u t deleriorem lacere/ (2 8) , s i c c h e è a s s a i

probabile che i l difetto d i forma accennato debba asCriversiall'opera d i coordinazione dei commissari giustiniani. Prove-nendo i l f r. 2 della stessa massa ' (edittale) da cui era sta-to escerpito anche i l precedente ft-. t , 5, è faci le supporreche l'identica imperfezione formale, che in entrambi i test isi ritrova, sia da attr ibuire a l la stessa mano. Ma, mentrenel f r. i , 5 è probabile che l'attività compilatoria sia anda-ta, come s'è visto, al d i l à del la semplice rielaborazioneformale, ciò non sembra doversi ammettere per i l f r. 2 .

Piuttosto, è da chiedersi come l'esempio addotto n e l -l'ultima proposizione d i D . i t, 3 , 2 s i coordini c o n i l ge-nere dì esempi offerto dal f r. t , 5_ I n altre parole, la pe r -suasio prevista nel f r. 2 ha l 'effetto d i render deterior i lservo nell'animo (come negli esempi precedenti), o nel corpo?

La questione non è oziosa, sia perchè u n a differenzatra i due diversi t ip i d i deterioramento è teoricamente pen-sabile (per i l valore incerto d i deterior e d i corrumpere), siaperchè siffatta differenza è suggerita - - come g i à accenna-to — da alcuni testi, e da alcuni dubbi esposti poco p iù su(cfr. supra, 7 ) .

Se la questione è legittima, anzi necessaria, la sua so-luzione non è facile, data la natura specifica della fattispe-cie d e l persuadere u t s l u p r u m pateretur, fat t ispecie c h e— nella coscienza romana, per quel che è dato d i indurreda alcune valutazioni giuridiche (2 9) — p o t e v a a s s u m e r e t a n -

(28) Cfr. anche D. 48, 5, 6 pr., su cui, v. infra, n. 29.

(28) L'aspetto materiale dello siuprurn 6a1i si ricaverebbe, ad

es., dall'accennato D . 48, 5, 6 pr. (Pap. i de aduli.), ove si applical'a. legis Aqui l iae ; sebbene, forse — per intendere i l caso o c c o r -

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to i l valore d i un fatto rilevante per i l suo aspetto psico-logico e morale, quanto quello d'un fa t to rilevante per i lsuo aspetto d i lesione materiale.

La soppressione da noi supposta ( in base all ' inizio d iD. i t, 3, t , 5), da parte dei compilatori, d i alcuni esempidi deterioramento materiale del servo in seguito a i cat t iv iconsigli altrui, c i induce senz'altro a ritenere che, nel siste-ma compilatorio, la fattispecie d i D . i r , 3 , 2, che q u i c iinteressa, sia assunta come un caso d i indotto peggioramen-to morale. Determinare, invece, se, nell'originale d i Paolo,detta fattispecie avesse eguale valore, ovvero fosse assuntacome un caso d i provocato deterioramento materiale d e lservo (n), dipende dal l ' impossibile accertamento dell ' inte-grale discorso paolino originario. L a questione, per i l d i -ritto classico, deve quindi lasciarsi insoluta.

9. Ci sembra opportuno, adesso, staccarci p e r un mo-mento dall'ordine del t itolo D . I t, 3 , per ricercare altrovetestimonianze che possano concorrere a chiarire l'ambito d iapplicazione dell'a. s. t . . I n effetti, con i due p r im i fram-menti studiati f in qui, s i esaurisce, nel titolo medesimo, l a

ra integrare i l presupposto espresso da D . 47, i o , 25 ( U l p . 18 a dEd.), su cui cfr., oltre g l i autor i addott i dal l ' index, a d li. I., SCDIE-PSES, i n S D H I , 1938, p. I I I . Comunque, i l f r . 6 p r . è al terato.L'aspetto morale dello stioftruni _pali — a prescindere da D. i i, 3, 2,che, appunto, è incerto p o t r e b b e risultare egualmente da D . 48,5, 6 pr. ( i n quanto applica l 'a. iniur iarum), nonché da D . 47, i o ,25 e D. 47, i o , 26 (su cui, v. però, in f ra , 9 ) . Nessun indizio puòtrarsi, a nostro avviso, da D. i, 1 8 , 2 1 , i n c u i l e p a r o l e v e l a n c i l-

la-stupraío sono con ogni evidenza, un'intrusione incongrua ( c f r.infra, 4 28).

(So) Naturalmente, è p iù probabile supporre c h e l o S U P 7-1 4 M

— cui i l servo è indotto s i a operato da persona diversa del sol-lecitatore. Ne l caso che fosse operato dallo stesso «istigatore s o r -gerebbe i l problema della tutela aquiliana.

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trattazione espressamente dedicata all'esemplificazione del leipotesi che si connettono alle previsioni edittali ; e per lo piùil discorso, d'ora innanzi, é generico (recipere, corrumperedeteriorem _lacere, e simili) o riprende ipotesi specifiche g i àenunziate. Tuttavia, .non manca, i n altra sede, qualche indi-cazione interessante d i fattispecie non precisamente coinci-denti con quelle previste nei testi f in qui esaminati.

Contrariamente a l le apparenze, n o n c i aiuta, però, aquesto fine D . 7 , t , 66 (Paul. 47 ad Ed.): Cum usufructua-rio non solum legis A q u i l l a e actio competere potest, sec i etservi corrupt i e t in iu r ia rum, s i serzmm torquendo delerioremfeceril.

Prescindendo qui dai problemi del concorso del le t r eazioni penali citate (31), basti rilevare come l'a. s. c. s ia da-ta per una fattispecie che sorprende. I l torquere servum nonappare, in effetti, potersi connettere i n a lcun modo n è alrecipere nè a l persuadere edittale.

Non v i è dubbio per noi, quindi, che la menzione dellanostra azione debba considerarsi insiticia. La valutazione del-l'intrusione da noi affermata (almeno : et servi corrupti) nonè subordinata all'accertamento d i un divario eventuale dellaimpostazione giustinianea da quella classica, relativamente allanostra azione. I n realtà, è talmente aliena dall'ambito dell'a.s. c, i n ogni tempo, l a fattispecie del la to r tura esercitatamaterialmente sul servo altrui, che sarà facile imputare aduna rozza glossa i l tenore attuale d i D . 7, i , 66.

Da D . 47, IO, 26, cui s'è già accennato (3 2) , n o n s i

può egualmente desumere alcunchè d i nuovo, pensiamo.

(31) Il testo è, però, ignoto al LEVY, nella sua opera famosa

sul concorso del le azioni. Neanche l ' Inclex registra i l nostro testo.(32) Cfr. supra, n. 29,

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D. 47, i o , 26 (Paul. 19 ad Ed.) : Si quis servum meumvel f i l ium ludibrio habeal licei consentientem, tamen ego iniu-riam videor aecipere : veluti s i i n popinarn duxer i l i l lum, s ialea luseril. Sed hoe ulcumque lune locum habere polesl, quo-tiens i l le qu i suadel animum iniuriae faciendae habel. Alquinpalesi malum consilium dare el qui dominum ignora : e l ideoincipil servi corrupti adio necessaria esse.

Spostato ora dai compilatori in sede d i a. iniuriarum, i l— nel commentario d i Paolo — era dedicato a l la nostra

azione ; e quasi certamente Paolo, i n quel luogo, i l lustravale differenze d i applicazione, i n talune ipotesi controverse,tra l 'a. s. c. ed altre azioni (3 3) .

Noi c i limitiamo ad osservare che, se il t i. 26 ha subito,proprio per la sua utilizzazione nel t i to lo D. 47, i o , alcuniinterventi compilatorii (3 4) , n o n è p r o b a b i le c h e p o ss a d i sc u -

tersi la sostanziale genuinità della concessione dell' a. s. e.,nel caso d i un malum tentSiliUM tale da realizzare un lud i -brio kabere servum. Gl i esempi in cui si concreta tale con-

(33) Quel che ci è noto, tuttavia, del commentali() paolino non

consente d i renderci ben conto dell 'ordine della trattazione.(34) Tra questi, è sicuramente da annoverare il mi filium, che

è fuor i posto, avuto r iguardo sia al la provenienza del brano (il 1. 19si occupava, infatt i , dell 'a. s. c.), sia al seguito del testo (che si riferi-sce al dontinus). Le ragioni di questa intrusione compilatoria risulta-no dall'estensione giustinianea dell'a. s. c. al caso dei figli di famiglia(cfr. i n t ra , 2 3 ) . Per l 'accennata interpolazione, v . anche L . EVY,Die Konkurrenz der Akt ionen und Personen i n t klass. rffin. Rechle(Berlin, 1918), l , p. so?. n . 6 . P e r a l t r i p o s s i bi l i g u 3 st i , c fr . I n de z ,

ad h. i . L a diagnosi, però, i v i registrata, del Beseler è d e l t u t t oda respingere : espungere, con i l Beseler, veluti—fine significhereb-be r idurre i l testo ad un insignificante enunciato. Che, poi, la men-zione dell 'a. s. e. — travolta dal Beseler nella condanna s i a o r i -ginaria è. provato dalla provenienza d e l passo, giacche i l 1. 19 adEd. d i Paolo era sedes materiae d i questa azione. Con t ro i l BESE-LER, v. pure g l i autor i c i tat i dal l ' indes, ad h. t .

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tegno ( i n popinam ducere, a lea ludere) possono b e n esseregenuini (3 5) .

Nel complesso, però, non c i si distacca dall'elencazionegià a noi nota : render malis arlibus deditus (D. x i , 3, t , 5)e luxuriosus (D. l i, 3 , 2 ) .

Una nuova fattispecie sembrerebbe proporre D . 47,2, 5 (U lp . 4 3 a d Sab.) : I t e m s i quis an t i l l am al ienam s u -bripuit et f iagi taveri t , utraque actione tenebitur, nam el servicorrupli ag i poter i / e l f u r t i .

Senonche, non è facile interpretare la concreta portatadel fiagitare. I l termine, come significato fondamentale, h acertamente quello d i « richiedere con grande insistenza ».Tuttavia, tanto i l Forcellini che i l Heumann-Seckel (ed an-che i l Vocabular ium iurisprudentiae), facendo base su l s o l onostro testo, assumono l'esistenza d'un significato specifico

« violare ». No i riteniamo — salvo rettifiche che potrebbe-ro venire da una compiuta analisi filologica, che non è d inostra competenza — che questo preteso significato specificonon sia da ammettere. Innanzi tutto, prestando al "(agitare delfr. 2, 5 i l significato d i « violare >, i l testo proverebbe, a ri-gore, per una applicazione dell'a. s. e., non già in un'ipotesidi persuasi°, bensì nell'ipotesi d'una menomazione : e ciò ècontrario a l tenore della promessa edittale. Inoltre, no i cre-diamo che, accettando quel materialistico significato del no-stro verbo, s i sforzerebbe la stessa interpretazione del fr. 2, 5.In effetti, non s i spiegherebbe affatto, in quel modo, nè l adifferenza d i tempo t ra subripuii e fiagitaveril (3 8) , n è l ' o r -

(35) Forse, p<Arebbe pensarsi che le parole si alea luserit siano

un glossema, data la mancanza d i una precisazione ( a d es. : c u mil/o) opportuna.

(36) Ragioniamo in base all'interpretazione del flagitaveril co-

me futuro anteriore indicativo. Se s i dovesse trat tare, invece, d iun perfetto congiuntivo, s i aprirebbe i l p rob lema d i •s p i e g a r e l a

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dine della menzione delle azioni al la f ine de l testo (servicorrupti...el furt i , mentre nell'ipotesi si diceva, inversamente,subripuit e! flagitaverit). Entrambe queste difficoltà, invece,svaniscono, ove si intenda — conformemente all'uso generalee largamente documentato d i fiagitare come r ich iedere in-sistentemente» — il nostro testo, in maniera diversa da quellaimplicita nei citati lessici. Intendendo, cioè, l ' ipotesi comeuna fattispecie d i ratto (subripuil), preceduta ( e c iò spiegal'uso del futuro anteriore) da un'opera d i seduzione Cflagi-/averi° ; i l che vale : intendendo l'ipotesi come un caso d ivero e proprio ratto consensuale della schiava altrui, s i d àragione della differenza dei tempi, ed inoltre ben si spiegail rilevato ordine delle azioni d i cui dispone il dominus dellaschiava stessa. Infatti, logicamente, l'a. s. t'. precede Va. furti,così come l'opera di seduzione h a preceduto l a materialesottrazione. I l più grande vantaggio, poi, dell'interpretazioneda noi proposta è costituito dalla normalità dell'applicazionedell'a. s. c. che ne risulta : si elimina, così, l a necessità d idover ammettere una applicazione del la nostra azione peruna diretta attività lesiva (3 7) . Una curiosa fattispecie d i persuasi° è quella risultanteda D . 47, l I, 5 ( U l p . 5 d e o ff . p ro c .) : In eum, cuius in-

slinctu a d infamandz‘m dominum servus ad statuas contitgis-se compertus er i ! , praeter co r rup t i servi aclionem, quae e xedicto perpetuo competi!, severe animadveriltur.

Dal frammento, per quel che più qui c i interessa, d e -riva l'applicazione della nostra azione al caso di chi persuade

differenza dei modi. I l che non potrebbe farsi a l t ro che supponen-do gravi alterazioni del f r. 2, 5.

(37) È accertato, invece, un senso concreto, sia pure generalis-

simo, per i l sostantivo j lagi t ium, evidentemente connesso al verbofiagitare. Su l problema terminologie() d i f lagi l ium, c f r. VOLTERRA,in Arch iv io giuridico, 1934.

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l'altrui servo a confugere ad statuas a d infamandum domi-num (3 8) . O ra , in questo caso, ben si potrebbe applicare

l'a. in iur iarum, essendo espressamente prevista, nell ' ist iga-zione ipotizzata, una intenzione diffamatoria verso i l dominus.Pure, non deve far meraviglia l a dichiarata applicabilità del-l'a. s. e., potendosi bene considerare come pervert imentoindotto da cattivi consigli l a condotta del servo, l a quale siconcreta, i n pr imo luogo, i n una fuga e, poi, i n u n at teg-giamento irrispettoso e r ibe l le n e i confront i d e l clominus(cfr. i l già noto D . i t, 3 , 2 , su cui supra, § 8 ; e D . i i,3, 15 : s i persuadeatur...ut dominum contemnerel, su cui i n -fra,-§ 2 7) .

Abbiamo riservato d i trattare per ul t imo — perchè p i ùdifforme dalle ipotesi sino ad ora viste, e quindi suscettibile d imeno veloce disamina — la g ià accennata possibilità d i u nriferimento dell'ipotesi edittale del persuadere all'istigazionea compiere att i ta l i da indurre un danneggiamento materia-le dei servi.

Abbiamo già ripetutamente accennato ai motivi che sug-gerivano tale possibilità (valori malcerti dei termini deleriore corrumpere; stato attuale del commentario ulpianeo con-tenuto in D. i I, 3 , I, 3 - 5 ; i n p a r t ic o l a re il q uo qu e del fr. t, 5).

Tal i motivi — accennavamo pure — sono rafforzati da speei-fici dat i testuali. È i l caso, ora, d i esaminare questi u l t im i .

Il pr imo frammento che viene i n questione è D . i r , 3,3, i (U lp . 23 ad Ed.): Linde quaeritur, s i quis servo alienosuaserit i n leclum ascendere ve l i n puteurn descendere et i l l eparens aseenderit vel descenderil et ceciderit crusque vel quid

(38) Sulla curiosa pratica, cfr. Gai. I, 53 ; D. t, 6, 2 ; J. i, 8, 2 ;

Coli. I I I , 3, 3 ; e, per i relativi divieti, i n ordine ai soggetti l iberi :D. 47, Io , 38 ; D. 48, 19, 28, 7 ; C . J . I , 2 5 , i ( c f r . C . T b . 9 , 4 4, i ).

V., anche. Tacito, Ami . 111, 36. Ril ievi su l problema, d a u l t imo,in GIOPPREDI, A d síatuas confugere, in S D I-I I , 1 9 4 6 , p . 1 8 7 s s .

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alluci f r e g-e r i l v e ! p e r ie r i l , 421 i en ea tu r si quidenz sine

dolo malo fecerii, non tenetur, s i dolo malo, lenebitur.l i testo è incluso in quella parte d e l commentario u l -

piane° che s i riferiva a l presupposto edittale del dolo (D. i t,3, 3 p r. + D. 11 , 3 , 3 , i -1-• D. I l, 3 , 5 p r . + D . t i , ,

5, i ) . E ' probabile che esso sia formalmente alterato (3 9) ;ma non v i sono indizi di alterazione sostanziale di rilievo ( 9 .

Il p r imo dato che deve dedursi dal f t-. 3 , i è c h e , c e r -

tamente, Ulpiano, i n precedenza, aveva dovuto includere neldeleriorem lacere casi d i danneggiamento materiale : a l t r i -menti non s i spiegherebbero nè i l ricorso all'esempio speci-fico per affermare l ' e s i g-e n z a d e l d o l o , n è l a m a n i er a c on c u i,

del tut to pacificamente e ovviamente, que l l i esempio stessoviene addotto. Sicchè i l nostro testo rappresenta una validaprova a favore delle diagnosi d i soppressione compilatoriada no i avanzate per D . i l , 3 , I , 3 - 5 .

Non occorre neppur fermarsi particolarmente, tanto es-sa è evidente, sul la strettissima affinità che esiste t ra le ipo-tesi previste d a l f r . 3 , i e quel le introdotte d a l celebreGai. I I I , 219, che prevede l'applicazione dell ' a. u t i l i s legisAquiliae. Piuttosto, è da notare come i presupposti d'appli-cazione dei due diversi r imedi l i differenzlino m o l t o ne t ta -mente : p e r l 'a. s . c., occorre i l dolo ; per l'a. ul i l is aquilia-na, basta la a dit a .

Si capisce come questa diversità d i presupposti doves-se, probabilmente, giustif icare, ne l la trattazione or ig inar iaulpianea, u n discorso d'una certa ampiezza. A l l a mancanzadel quale — certo per intervento semplificativo d i Giustinia-

(39) Nella parte finale, è troppo ovvia la soluzione per cui l'a.

s. c. dipende dalla presenza de l dolo.(419) Potrebbe destare qualche sospetto l'ipotesi del peri-mento

del servo (vel perierit), per la quale, effettivamente, n o n sembrapotersi ben applicare i l deleriorem facere edittale. Non è da esclu-dere, pertanto, che si tratt i d i una glossa.

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no d a attribuire la stesura semplicistica della pa r te f i -nale del f r. 3 , i g i à notata.

Al posto dell'analisi differenziale ulpianea — che suppo-niamo, appunto, soppressa — i compilatori inserirono l'attua-le D . r i, 3 , 4 ( P at t i. 19 ad Ed.): Secl commodius est utili

lege Aqu i l i a eum teneri.Anche questo testo è, probabilmente, a l terato formal -

mente (4 1) l a l o cu z io ne utili lege Aquilia è un'abbreviazio-

ne della corretta espressione u t i l i actione e x l eg-edi marca grecizzante, secondo quanto g ià rilevarono i l Bor-tolucci (4 2) e i l R ot on di 42) ; ancora più sospetto è il taglio

stesso del frammento, giacchè non ha senso d i r che è p i ùcomodo esser tenuto con una azione piuttosto che con un'al-tra ; piuttosto, ovviamente, dovrebbe dirsi essere p iù comodoagire con un mezzo piuttosto che con un altro. I l difetto deltesto, i n sostanza, a nostro parere, non deriva g i à — comesembrò a l Rotondi — dall'uso del commodius ; bensì dall'usodel teneri. N o n c i saremmo fermati su questo dettagl io s enon fosse che, cancellando — con i l Rotondi — il commodius,si rinunzierebbe ad un elemento d i r i l ievo per intendere i lnesso t ra a. s . c. e a. u t i l i s e x leg-e A q u i l i a n e l l ' i p o t e s i d e l

servo indot to a danneggiarsi corporalmente. I l vantaggiofondamentale ( la comodità, appunto) del secondo mezzo pro-cessuale riguardo a l p r imo è costituito, infatt i , dall'evidentecircostanza che, per quello, non è necessaria la prova del dolo.

Il difetto formale — imputabile alla connessione compi-latoria — si spiega allora facilmente con l a volontà g ius t i -nianea d'usare i l verbo teneri i n armonia con le fo rme te -neatur, tenetur, lenetitur della parte f inale del f r. 3 , T.

(41) Cfr., per tutti, i nostri Studi sulla legge Aquilia I, p. 48.

(42) Il mandato di credito, in BIDR, 27 (1914), p. 139 n. 7.

(43) Dalla lex Aquilia all'art. 1-137 C. civ., in Scritti Giuridici,

I I (Milano, 1922), 13. 4 7 5 n . L l •

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Tornando all'inclusione ulpianea originaria delle ipotesidi danneggiamento materiale provocato d a catt ivi consiglinella previsione edittale del persuadere, è a dire che essapuò desumersi testualmente anche da D. i i, 3, 9, 3, fram-mento che occorrerà trattare distesamente a proposito dellaaestimalio della nostra azione (infra, § 18). Qui c i l imite-remo a richiamare che i l testo (escerpito sempre dal L 23ad Ed. ulpianeo) par la d i aestimatio...eius...quod servus i ncorpore ve l i n animo damni senserit. I l cenno a d u n d a n -neggiamento materiale del servo (certo in seguito a persua-si°, chè non si saprebbe vedere nesso alcuno colla fattispe-cie del recipere) non è minimamente sospettabile e confer-ma tanto i l nostro giudizio su D . x i , 3, 3 , I quanto il no-stro sospetto di gravi soppressioni nei §§ 3-5 del fr. D. i i, 3 , t .

Un indizio nello stesso senso, infine, può venire dal looscuro brano del le P a u l i 3enten1iae I , 13a, 5 : De le r io remservum taci ! , q u i fugam suaseril et qu i mores eius corpusvecorruperit.

Non ho trovato trattazioni specifiche sul breve passo.Nè può qui — legata come è la questione ad una totale valuta-zione delle P. S. e del loro sistema — procedersi a d u nesame esauriente. I l riferimento del paragrafo al l 'a. s. c.comunemente presupposto (4 4) . E d e f f e t t i v a m e nt e , p e r l a p a r-

te Deteriorem-furtum, non sembra potersi supporre altro ri-ferimento. I l resto del passo, che si sostanzia nell'afferma-zione per cui (deteriorem servum f l u i i ) c i q u i mores e i ustorpusve corruperit — e che sarebbe rilevante ai nostr i a t -tuali f ini — contiene, però, un principio che sembra ecces-sivamente generico, ed anzi apertamente contrastante con i

(44) Cfr., ad es. : SCHULZ, in ZSS, 47 (1927), p. 44 ; SCHERILLO,

in S lud i Riccobono, I, p. 44 ; SCHU.LER, p p . 82 n. 25 ; 96 n. 132 ;100 n. 157. V. , anche, ad h. i . , l'ediz. HUSCHKE-SECKEL-KCIBLEFG

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caratteri dell'a. s. c.. Non sembra, infatti, che s i prevedaqui un persuadere u t corpus corrumpatur, bensì direttamen-te un corrumpere corpus.

Pensare ad un'inclusione postclassica volontaria d i cor-pusve — soluzione formalmente sbrigativa e plausibile — nonsembra possibile sostanzialmente, data la tendenza postclas-sica (che si è cercato d i dimostrare fin qui) a soppressionidelle fattispecie di danneggiamenti corporali de l servo i nseguito a dolosi consigli. Nè è probabile escludere i l riferi-mento del passo delle Sententiae col tema dell'a. s. c., giac-chè esistono pure degli indizi d i ordine sistematico che giu-stificano i l riferimento in questione (4 5) . N o n r e s t a c h e a t -

tribuire l'equivocità formale della seconda parte de l para-grafo ad una delle — non poche, a quanto sembra — manipostclassiche che sono intervenute nella redazione dell'ope-retta intitolata a Paolo. Tale attribuzione, tuttavia, non deve,a nostro avviso, implicare i l giudizio di una intenzione d iinnovazione sostanziale : piuttosto, va interpretata solo comeuna imperfetta maniera d i esprimersi.

Io. Mentre non v i sono — crediamo — altri sussidi va-lidi per arricchire i l nostro elenco d i atti ricadenti nell'am-bito dell'editto de servo corrupto, altre numerose testimo-nianze vengono, come già s'accennò, a confermare l'elencofin qui stabilito.

Nel riportare brevissimamente queste altre testimonian-ze, non ci fermeremo naturalmente su alcuna questione even-tualmente attinente ai testi in cui son contenute. I passi re-lativi, infatti, verranno trattati, se sarà i l caso particolar-mente, in seguito. I n realtà, al presente, c i preme solo com-pletare l'elencazione delle fattispecie a noi note.

(ls) Cfr., specialmente, SCHULz e SCUERILLo, c i ta t i ne l l a no taprecedente.

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Queste ulteriori testimonianze sono :a) D . i i, 3 , i o ; D. i i, 3, ix pr. ; D. i I, 3, 11, 2;

D. i x, 3 , 12 ; D. ix, 3, 14, 6 ; D. 11, 3, 16 ; D. 2, Il, so;

Gai. I I I , 198 ; C . 6 , 2 , 2 0 e forse P. S. i, 1 3 a , 5 : c h e s iriferiscono all'istigazione a l furto

b) D . 2 , 14, 50 ; C . 9 , 20, 2 ; P . S . I l , 31, 33, eforse P. S. I , 13a, 5 : che si riferiscono all'istigazione alla fuga;

c) D . xx,3 , i s , c he sì r i fe ri sc e a ll ' is ti ga zi on e alla di-

subbidienzad) D . x x, 3 , I x, i e D. 47, 2, 52, 24 : che si rife-

riscono all'istigazione a rivelare o a danneggiare documentie) D . t r, 3 , 14, 7 , che s i riferisce all'istigazione a

commettere danneggiatnentif ) D i . i, , 5 ,i ; D. i i, , 5, 4 ; D. Il, 3, 8 ;

D. I l, 3 , 9 pr.; D. xi, 3, 9,i ; D. lI, 3, 9, 2 ; D. 11, 3,

9, 3 ; D . I l , 3 , 13, ; D . i x, , 1 4 , ; D . I l, 3 , 1 4 , 2

D. I l , 3 , 14, 3 ; D . x i, 3 , 1 4 , 6 ; D . i i,3 , 1 4 , 7 ; D . t t,

3, 14, 8 ; D . l i , 3 , 14, 9 ; C. 6 , 2 , 4 ; forse P. S . i , 13a,5 : che s i riferiscono genericamente a l corrumpere, persua-dere, sollicilare, deleriorem lacere, v i l i o r f i e r i e simil i

g) D . 3 , 5 p r. ; D . I l , 3 , 5 , 4 ; D . I I> 3 , 9 p r . ;D. I l , 3 , 1 I , 2 : che s i riferiscono a l recipere ; c f r . anche

C. 9 , 20, 2 che s i riferisce a l suscipere.

t. Integrato così, con una ricognizione delle fatt ispe-cie connesse nelle font i al le previsioni edittali, il quadro checi risultava da D . I l, 3 , I , 2 - 5 e D . i x , 3 , 2 , p o ss i am o

riprendere ordinatamente i l nostro esame, passando breve-mente ad occuparci d i

D. l I, 3 , 3 pr. (Plp. 23 ad Ed.): Dolo Inalo adiecio

calliditatem notai praefor eius qu i persuade/ : ceterum si quissine dolo a'eteriorem fecerit non nolatur, e i s i lusus graf iaf e d i non tenetur.

Il r i l ievo d e l presupposto edittale d e l d o l o - quellostesso che darà, come già v isto, ne l paragrafo immediata-

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mente successivo, occasione al giurista di proporre la diffe-renza t ra l'a. s. c. e l'a. ut i l is ex lege Aqui l la — è oppor-tuno, e indiscutibilmente genuino, nella par te iniziale de lframmento (4 6) . P e r c o n tr o , il s eg ui t o ( c el e ru m-n on t en et ur ),

a parte la sua banalità, è, con evidenza scorretto, tanto daaver sollecitato due diverse proposte d i emendazione de lMommsen e del Ferrini (4 7) . S i t r a t t a d i q u e s t i on e p r i va d i

valore sostanziale : comunque, i l nostro parere è che• tuttoil tratto finale sia un sunto compilatorio. Indizi i n questosenso c i sembrano, oltre la scorrettezza, i l non notatur (cheappare suggerito dal notai precedente) e i l deteriorem fece-r i t che (al contrario del precedente, corretto, jt e r s u a d e l ) a c -cenna più al risultato (cui, con evidenza, non è logico con-nettere, o meno, i l dolo) che all'azione.

Di D . i t, '3, 3, i — che applica al caso del danneg-giamento fisico, indotto nel servo dai cattivi consigli, l'esi-genza del dolo — abbiamo già detto nel § 9. E così anchedi D . ii, 3 , 4 , s t re t ta me nt e connesso al precedente.

D. i t, 3 , 5 p r . (U lp . 2 3 a d Ed. ) : D o l i verbum etiamad eunt q u i recepii referendum est, u t n o n a l i u s teneatur,nisi qu i dolo malo recepii; celerum s i quis, u t domino c u -stodirei, recepii ve l humanitate v e l misericordia ductus v e lalia probala atque iusta ratione, non tenebitur.

L'estensione, sottolineata qui d a Ulpiano, dell'esigenzadel dolo anche alla fattispecie edittale del receftisse, non sor-

(46) Per alcuni dubbi — basati sul ricorrere del termine calli-

ditas, e p e r n o i d e l t u t t o in fondat i — cfr. BESELER, Meleternalaju r i s romani, in Mnem. Pappoulias (Atene, 1934), p. 55.

(41) Per il primo, v. l'edili() maior dei Digesta ; per il secondo,

l'edizione milanese. I l Mommsen sopprime n o n notatur, e t e v isostituisce u t (già i n questo senso, peraltro, Aloandro). I l secondosopprime non notatur, e t e v i sostituisce ve!.

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prende nè desta difficoltà (4 8) : i n e f f e t t i , i l t e s t o d e l l ' e d it t o ,

per i l dolo, sembra letteralmente far riferimento soltanto al-l'ipotesi del persuasisse. D a qui, l'opportunità del rilievo ul-piane° : i l quale, poi, è sostanzialmente giustificato dal va-lore intrinseco del termine recipere, qual'è g i à sottolineatodallo stesso Ulpiano in D . I X, 3 , t , 2 , p i ù s u v i s t o : e s t

proprie recipere r e l v i u m a b se o n d e n d i c a u s a servopraestare. L a seconda parte del frammento, forse n o n i m -macolata (4 9) , n o n c i i n te r es s a p a rt i co l ar m en t e.

A proposito d i questa estensione giurisprudenziale del-l'esigenza del dolo anche alla fattispecie del recipere, pensoche essa aiuti a comprendere un brevissimo tratto paolino,altrimenti difficilmente spiegabile. Alludiamo a D. 37, 15, 6(Paul. i i a d Ed . ) : nec servi corrupti agetur.

Il frammento è inserito dai compilatori nel mezzo d'untratto del 1. I o ad Edielunt d i Ulpiano (D. 37, 15, 5, 1 - D. 37, 15, 7 pr.), nel quale s i esclude che, nei confrontidei patroni, i liberti possano agire con actiones famosae ocon azioni che abbiano la menzione del dolo o della fraus,ancorchè non famosae. Ora, i compilatori inseriscono il ft. 6nel discorso ulpianeo in un modo che indurrebbe invinci-bilmente a concludere che l'a. s. e. non contenesse menzio-ne del dolo (o della fraus). S i legga, i n effetti, i l gruppodei t re brevissimi testi

(48) HITVELIN, oft. eit., p. 508, trae, invece, argomento da questo

paragrafo per rafforzare la sua ipotesi, già da no i criticata (supra,•I 2), d'una origine successiva della previsione edittale del recepisse.

(49) L'espunzione proposta dal MARCHI (RIDR.,17, p. 26) della

frase generalizzante ve l a l i a-r a l i o n e p u ò b e n e s s e r e f o n d a t a. N o t ia -

mo, invece, come i l celerum s i d i D . r i , 3, 5 pr. confermi l ' i den-tica costruzione precedentemente vista in D . I l , 3, 3 pr. S i tratta

e a dimostrarlo basta una scorsa al V I R d ' un t i p i co m o d oulpianeo. Qualche ineleganza formale si ri leva ne l la p r ima p a r t edel tes to ( u l non al ins. . .n is i qui ) .

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D. 37, 15, 5, i (Ulp. I o ad Ed.): Sed nec famosae actio-nes adversus eos dantur, nec hae quidem, quae doli vel frau-dis ha beni mentionem

D. 37 , 15, 6 (Paul. i i ad Ed.): nec servi corrupti agetur,D. 37, 15, 7 pr. (Ulp. I o ad Ad.): l icei famosae non sinl.Il singolare intreccio io credo che v a d a spiegato c o n

la circostanza secondo la quale Paolo, nel i . i i ad Ed., do-veva discutere, i n relazione al divieto d i esercizio delle azio-ni accennate, se l 'a. s. c. fosse sempre d a escludere, datoil letterale riferimento del presupposto del dolo, in essa, allasola ipotesi del persuadere e non a quella del recipere• ( A n a -logo cenno è possibile che abbia fatto Paolo nel I. 18 ad Ed.,in sede d i espressa trattazione dell'a. s. c., nella parte a noiignota, perchè sacrificata dai compilatori alla parallela t ra t -tazione ulpianea). Che la conclusione d i Paolo fosse, comequella ulpianea, nel senso d i estendere l'esigenza d e l do loanche a l recipere, non v i è motivo d i dubitare, atteso a n -che i l tenore del f r. D . 37, 15, 6 .

In sostanza, pensiamo che Paolo, dopo aver precisatoche, a rigore, l 'a. s. c. non avrebbe potuto considerarsi i ntutte le sue applicazioni come avente d o l i mentionem, neescludesse egualmente, e i n ogni caso, l'esercizio n e l rap -porto particolare accennato, i n forza della consolidata appli-cazione giurisprudenziale del requisito del dolo anche all'ipo-tesi del recipere, applicazione testimoniata appunto da D. i t,3, 5 p r. (oltre che da D. i t, 3 , t , 2) .

Nella redazione tramandataci nel Digesto, l 'ultimo passodedicato a l presupposto del dolo nel cofnmentario ulpianeo

D. t , 3 , 5 , I (U lp . 23 ad Ed. ) : S i quis do lo ma lepersuaserit quid servo quem liberum putabal, mihi videtur te-neri eum oporlere nza ius enim delinquit, q u i l iberum p u -lans corrumpit e t ideo, s i servus fuerit, lenebitur.

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— —

Il testo, come è noto, è stato giudicato dal Beseler (5° )

alterato : le parole mihi --fuerit son state, dall'illustre critico,considerate un glossema sostituito all'originario non ulpianeo.La motivazione — suggerita d a u n ri l ievo dogmatico de lBinding ( ) — consiste in ciò, che punire la corruzione di unsoggetto supposto libero ( in realtà servo) sarebbe cosa giu-ridicamente corretta se la corruzione di u n soggetto real-mente libero ricadesse, in via analogica, sotto l a sanzionedell'editto de servo corrz tit to (5 2) . P e r t a n t o , i l t e s t o f a r eb b e

sacrificio del vero concetto d i dolo a d una vaga idea d iequità, ed opererebbe attraverso un'analogia del tutto falsa (5 3) .

In effetti, e pur tenendo conto che sembra trattarsi d iuna decisione particolare avanzata con cautela (5 4) , a n c h enoi riteniamo i l testo alterato.

A riprova, si possono addurre tut te quelle decisionigiurisprudenziali in materia d i furturn — e quindi i n re la-zione ad un analogo presupposto d i dolo (5 5) — d a l l e q u a l i

risulta che la convinzione d i non ledere u n d i r i t to a l t ru i

(50) Beitrdge, IV, pp. 243-244 ; cfr. ZSS, 45 (1925), p. 462.

(51) Die Nornzen una' ihre Uebertrefung, 11, 22 (Leipzig, 1916),

p. 708 ss.(52) BESELER, Beitreig-e, cit., p. 244 in nota. Il Beseler, però,

parte dall'erroneo presupposto per c u i l ' a . s. c. s i applicherebbesoltanto a l deterioramento morale del servo.

(53) Parafrasiamo le parole del BINDING (op. cit., p. 709), fatte

proprie dal Beseier.(54) Il Binding, senza illazioni ai fini della genuinità del testo,

da lu i non discussa, aveva rilevato, appunto, i l m ih i videtur, comeespressione d i perplessità ulpianea, e si l imitava a criticare la de-cisione dal punto d i vista del r igore logico.

(55) Il BINDING, op. cit., p. 709 n. 87, esattamente esclude che

possa addursi, a conferma d i D . t i , 3, 5, i , l'apparentemente ana-logo D. 9, 2, 45, : non essendo richiesto, i n mater ia d i l eggeAquilia, i l dolo, l 'errore dell'agente non incide sulla punibilità.

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esclude la punibil ità : ad es., cfr. D. 47, 2, 21, i e 3 ; D . 47,2, 43, 6 e i o ; D . 1.7, 2 , 46, 7 (5 5) .

Tuttavia, non c i sembra nel vero i l Beseler quando giu-dica u n glossema l'alterazione d i D . I I, 3 , 5 , i : g i à è im-probabile ciò da l punto d i vista formale (supporre l 'espun-zione del non significa attribuire al presunto glossatore unaaudacia non credibile). Ma, piuttosto, è da credere a d unavolontaria interpolazione sostanziale compilatoria, l a qua leha per base logica proprio quell'estensione del l 'a . s . e., i nvia analogica, a l caso del l ibero della quale dovremo occu-parci (5 7) , e che p re su pp on ev an o teoricamente il Binding

ed i l Beseler. Altresì, può condiderarsi ragione dell' interpo-lazione da noi affermata l'accentuazione repressiva i n sensorigoristico testimoniata, per Giustiniano appunto, da una suafamosa costituzione (C. 6 , 2 , 20), della quale pure c i t o c -cherà trattare specificamente p iù innanzi (5 8) .

In conclusione, l 'opinione ulpianea or ig inar ia dovevaessere nel senso d i non ritener colpevole l'agente n e l casoproposto ( m i h i v ide iu r (non ) tener i eum) ; è compi la tor ia l asoluzione at tua le (oportere-lenebitur).

Non s i può escludere del tutto, però, un contrasto giu-risprudenziale a l riguardo, nel testo or ig inar io (5 9) : i l c h emeglio spiegherebbe i l rilevato mih i v i k t u r ulpianeo.

(56) Su questi testi, v., per tutti, i nostri Furium I, p. 143 ss.

(D. 47, 2, 21 , i e 3 ) ; F u rt u m Il, p. 19 n. 35 (D. 47, 2, 43, 6) ; ibid.,

p. 18 ss. (D. 47, 2, 4 3 , i o ) ; i b i d . , p . 1 84 ( D. 4 7, 2, 46! 7).

(57) Infra, 23.

(58) Infra, 29.

(59) Dico ciò riferendomi ad alcune soluzioni audaci di cui ci

resta traccia i n materia d i fur tum, e per le quali s i considera im-putabiie, comunque, chi sia in dolo, anche se i l f u r t i » ; è obietti-vamente impossibile (cfr. D. 47, 19, 6 - su cui Furtum I, p. 195 ss. -e D. 47, 2, 46, 8 - s u c ui F ur tu m Il, p. 56). Però, il caso di D.

3, 5, i è diverso, evidentemente.

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1 2. I successivi due paragrafi del commentario d i .1 . 1 1 -piano son brevissimi e forniscono precisazioni sulle caratte-

ristiche processuali della nostra azione : l 'ammontare del lacondanna e la possibilità d i esperimento i n via nossale.

D. i r, 3 , 5 , 2 (U lp . 23 a d Ed . ) : H a e t ad io etiam ad-versus fatentem i n duplum esl, quamvis A q u i l i a in f i l ian ientdumtaxat eaerceal.

E' palesemente alterata, per noi, la parte finale : quam-vis-coereeal, d i cui è i l logica l a connessione (non r isul taesser stata sottolineata, i n precedenza, una analogia con latutela aquiliana, pur esistente) : sommaria (Aquilia!) ed equi-voca (a prima vista sembrerebbe che l'a. legis Aquil iae nonsia esperibile contro i l fatens !) l a forma. S i tratta con mol-ta probabilità, d'un rapido glossema

Sostanzialmente, i l testo c i ribadisce che l'a. s. e. ha lacondemnatio i n duplum, conformemente a quanto g i à sape-vamo dalla disposizione edittale. I problemi della aestimaliodella nostra azione sono i più gravi che i l tema presenti edovranno trattarsi più avanti.

D. I l , 3 , 5 , 3 (U lp . 2 3 a d E d . ) : S i servus servavefeeisse dieetur, iud ic ium cum nozae declinane redditur.

Qui siamo d i fronte, probabilmente, al la citazione par -ziale dell'espressa clausola edittale (a'): l'applicazione del lanostra azione in via nossale è pacifica e conforme a i p r i n -cipii (6 2) , e i l f rammen to è genuino. Con esso — come ha

(60) Diversa, e non persuasiva, proposta in BETT1, Studii sulla

l i t is aestimatto del proc, c iv. rom. H : Le «aa. quibus e t r en t e tpoenam persequimur» de l processo classico (Città di Castello, 1915),p. 23. U n sospetto generico anche i n EHRHARDT, L i t i s aestimatioim rOm. Formularprozess (Mtinchen, 1937), p. 62 n. 6.

(6') Cfr. LEMEL, Das Ediclum perpetuum, cit., p. 75.

(62) Cfr., per tutti, DE VISSCHER, Le regime romain de la ~sa-

l i te(B ru xe l le s, 19£17), p. 426.

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ben osservato i l Lenel (6 3) — s i c h i u d e i l c o m m en t o u l pi a

neo al testo dell'editto ; da questo punto in poi, i l giuristapassava all'analisi dettagliata della formula.

13. D . i l , 3 , 5, 4 (Ulp. 23 ad Ed.) : Haec adio re -fe r tu r a d lempus servi COTTUPH vel recepii, n o n ad praesens,e/ ideo et s i decesserit vel alienatus s i i ve l manumissus, n i -kilo minus locunz habebil adio, nec ext ingui tur manumissio-ne semel n a t a a d i o : (6 4) D . r t , 3 , 7 ( U l p . 2 3 a d E d .) :

nam e t ma l i serv i forsitan consequuntur l ibertalem e l Ab o s t e -r ior causa interelum i r i bu i t manumissionis iustam ral ionem.

L'insieme dei due testi è indubbiamente alterato, comeha ben visto i l Beseler (6 5) : l a s u a r i c o s t r u zi o n e d e l f r . 5 , 4

— sebbene motivata, i n apparenza, in relazione all'ingiusti-ficata avversione per la forma et ideo — è assai probabile,per ragioni sostanziali che sorgono dal nesso del t ra t to ul-piane° con la formula dell'a. s. c., nesso stabilito, come sidisse, dal Lenel. I l f r. 7 è integralmente espunto dal Bese-ler : anche noi pensiamo così, e riteniamo che s i t ra t t i d iuna sciocca glossa (6 6) .

Contro D . I I, 3 , 5 , 4 , è d a r i l ev a r e : l ' e sp r es s io n e sbri-

gativa adio retertur ; la triplice ripetizione del termine adio;il riferimento della frasetta finale alla sola ipotesi del la ma-

(63) L.

e.(64) A questo punto, nel Digesto. è inserito D. xi,3, 6, tratto

da Paul. 19 ad Ed., sul quale cfr. in f ra , 1 3 è opportuno, p e rnoi, trattare insieme i due brani attr ibuit i ad Ulpiano.

(65) Beitrag,e, I I I , p. 85, ove s i espunge i l f r. 7 ; ZSS, 45, p. 462,ove s i conferma la precedente diagnosi, e s i propone, i n più, unarestituzione radicale del f r. 5, 4 : Haec-el ideo viene sostituito conla fo rmula o una sua parte; e l s i (serzius) decesserit...; l ocum ha-bebit (haee) actio [nec-ael io] Conformemente anche KASER, Quantiea res est, cit., p. 187 n. 21.

(66) Cfr. BESELER, Beitrdge, cit., il quale, appunto, qualifica il

passo come « einfàltig ! ».

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numissione. Contro i l f r. 7 : la sostanziale scempiaggine delrilievo ; l a palese estraneità al contesto di chi lo scrive ( for-sitan ; l a sciatta forma ( t o s t e r i e r causa ; i n t e rdum ; t r i -buil ; iusiam rationem).

Il rilievo, comunque, del riferimento dell'azione al tem-po dell'attuazione dell'illecito, per quel che riguarda l a l e -gittimazione attiva del dominus servi, appare sostanzialmen-te genuino e pienamente conforme alle regole del le azionipenali. I l Lenel, che ha supposto, come si è detto, che, daltratto in esame, inizi i l commento ai verba formulae, con-gettura che, a questo punto, I l lpiano discorresse d'una clau-sola formulare che, in riferimento a l servo per c u i s i ag i -sce, precisasse c u m i s i n frotestale A i A i essa (1 3 7) . A n c h ese non restano vestigia nelle fonti d i siffatto congetturatoinciso, e, quindi, anche se si può, con fondamento, suppor-re che, alla precisazione — che i l Lenel vorrebbe contenutanella formula — si sia sostanzialmente pervenuti, invece, in viadi interpretazione giurisprudenziale (6 8) , q u e l c h e è c e r t o è

che i l f r. D . i t, 3, 5, 4 s i spiega bene supponendo un'ana-lisi della legittimazione attiva nel senso accertato, sostanzial-mente, dal Lenel ed in relazione c o n l a formula, secondoquanto anche i l Beseler ha confermato.

In effetti, c iò è, i n generale, coerente con l'abituale im-postazione dei l i b r i ad Ediclum, e poi appare l'unico modoper rendersi ragione della struttura del commentario u lp ia-neo nel tratto D . I x , 3 , 5 , 4-9 ,

(67) Oltre 1'o/n cit., cfr. ralingenesia, LI, p. 553.

(68) Ciò sembrerebbe escluso dall'attuale tenore del fr• 5, 4,

ove è detto, senz'altro, re fer tur, i n apparente r i fer imento a d u ndato oggett ivo e indubitabile nascente dal la formula. M a n o n èdetto che i l testo or iginario ulpianeo si esprimesse al lo stesso mo-do. Ta l e r i l ievo non è, forse, inut i le, i n quan to n o i supponiamoche i l Lene l sia stato mosso al la sua proposta essenzialmente da ltenore attuale d i D . I t, 3, 5, 4.

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Allo stesso ordine d i idee si connetteD. i i, , 6 ( Pau l. 19 ad Ed.): praelerilae enim utili-

latis aestimatio i n hoc iudicium versatur.Il testo, brevissimo, è, a l solito, intercalato dai compi-

latori nel mezzo d i passi ulpianei, per integrare, motivan-dolo, i l ri l ievo precedente. S i vuole in sostanza, giustificarel'accertamento della legittimazione attiva a l momento dellarealizzazione dell'illecito c o n l a considerazione p e r cu i , aquello stesso momento, va riportata la valutazione dell'aesti-malie. Già i l Mommsen ha osservato, però, che il passo nonè intercalato bene, giacchè, a rigore avrebbe dovuto segui-re alle parole habebil adio del f r. 5, 4 (6 9) . I l v e r o è c h e

l'incongruenza avvertita dal Mommsen è anche i n relazionealla alterazione della parte finale del f r. 5 , 4. Comunque, i lfr. 6 è sostanzialmente genuino e conferma i l precedente te-sto ulpianeo.

Al (glossematico) f r. 7 segue un ulteriore, breve inser-to paolino nel discorso ulpianeo. D . i l, 3 , 8 ( P a u l . 1 9 a dEd.): Sed et heres eius, cuius servus corruplus est, habethanc actionem, non solum s i manserz«1 in hereditate servus,sed et si exierit, forte legalus.

Anche questo residuo del commentario d i Paolo i n -sospettato, e con ogni apparenza genuino s i connette a lpunto della legittimazione attiva d i ch i e ra dominus serv ial momento della realizzazione dell'illecito. L a soluzione èconforme alla posizione dell'erede quale successore i n locumet ius: per questo, l'erede è considerato legittimato ad agi-re per la corruptio (ed è a credere, naturalmente, ancheper l'eventuale recipere) che, i n vita del de cuius, si sia rea-lizzata, anche se i l servo sia stato legato ( in ogni forma d ilegato, è da intendere).

(69) Cfr. l'edili° maior dei Digesta, ad h. I.

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— 46 —I frr. D . l I , 3, 5, 4 ; 6 ; 7 ; 8 pongono, naturalmente,

oltre ai problemi d i legittimazione attiva, dei problemi i m -portanti relativamente al tempo del la valutazione dell 'am-montare de l danno. D i questi, abbastanza controversi, c ioccuperemo trattando della aestimatio del la nostra azione(infra, § 16).

Per una conferma, ulpianea, della testimonianza paoli-na sulla legittimazione attiva dell'erede, cfr. D. r i , 3, 13 pr.,su cu i i n f ra , § 25.

14. Maggior rilievo, e maggiori difficoltà esegetiche, pre-sentano g l i ultimi due passi ulpianei relativi a l problemaformulare accennato.

Il primo d i essi è D . i i, 3 , 9 p r . ( U l p . 2 3 a d E d . ):

Si quis servum communenz meum e t suunz corruper i t , apudlul ianum l ib ro nono digesiorum quaer i tu r, a n h a c actioneteneri „tossii, e l a l t teneri e u m socio : praelerea po ler i t e lcommuni dividundo e l Pro socio, s i socii sint, teneri, u tlianus a i / . Sed cur deieriorem fac i t Izzlianus condicionem so-di , s i cum socio agal, quanz s i c u m extraneo a g i t Y N a mqui curai extraneo agi i , s ive recepii sive corruperi l agere po-tesi, q u i cum socio, sine allernatione, i c l est si corrupit. N i s iforte non pulavi t lu l ianus hoc cadere i n socium n e m o enimsuum recipi l . Sed s i celandi an imo recepii, palesi defenditeneri eum.

Il f r. ha una vasta letteratura crit ica ( " ) , che, s e ha

(70) Per la quale — oltre ai numerosi autori citati, ad h. i., dal-

l'Indea: ( I e Suppi.) - cfr., almeno : EIN, Le azioni dei condomini,in B_IDR, 39 (1931), p. 248 i n nota, i l quale, senza anal is i e, pernoi, senza fondamento, dà. per sostanzialmente genuino i l nost rotesto ; così, anche, i l FRezzA, A d i o cornmuni dividundo, i n R i v .ital. per le scienze giur. , 1932, pp. 62-63 ; cfr. anche SCHEPSES, op.cit., i n S D H I , 1938, p. 126, sulla scia de l la dot t r ina dominante ;

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— 4 7

colto con esattezza, a m io avviso, varie mende, e se ha i n -dividuato con precisione anche intrusioni postclassiche, h atuttavia — e sorprendentemente — negletto l ' alterazione d ifondo p iù importante, a l l a l u c e della quale soltanto, ol t retutto, tu t t i g l i a l t r i v iz i del testo appaiono pienamente spie-gabili.

Se leggiamo senza preconcetti i l paragrafo — e senza,per i l momento, lasciarci fermare da pur evidenti i n d i z i d ialterazione — una fondamentale illogicità c i colpisce. Mentrein una pr ima parte ( S i quis-lul ianus a i ! ) s i ammette, nel-l'ipotesi contemplata (corruptio del servo comune operata daun condomino), l 'a . s . c . ( o l t r e ad a l t re az ioni ) a favoredegli a l t r i condomini ; tu t ta l a seconda parte (Sed cur -eum)è, evidentemente, basata sul presupposto d'un trattamento disfavore dei condomini danneggiati, a paragone dei terzi estra-nei. I l che è assolutamente sorprendente.

Per spiegarci i l fenomeno con chiarezza, cominciamo lanostra indagine p ropr io dal l ' in iz io dell 'accennata secondaparte. I l testo s i chiede : Sed cur deieriorem f a c i t lu l ianuscondicionem socii , s i cum socio agal, quam s i cum extraneoagi i? L'interrogazione è da molt i , e con ragione, giudicataspuria (7 3) . L o p ro va , anche per noi, dal punto di vista for-

male, propr io la forma interrogativa, e, d a l punto d i vistasostanziale, i l seguito del testo, ove — come vedremo e co-me è facile rilevare, comunque, d a una semplice lettura —non s i fornisce, i n definitiva, alcuna risposta certa.

v., ino l t re , NIEDERLANDER, D i e E n t z v i c k l u n g-s g e s c h i c h t e d e s F u r t u m

und seme elymologischen Able i tungen, i n Z S S , 6 6 (1950), p . 210,senza alcun approfondimento e i n relazione, specialmente, alla fra-se finale (Sed si-eum), che si vuole genuina ; l a genuinità de l t e -sto, infine, è ammessa, senza esame, pu re d a l BRETONE, Servuscommunis (Napoli, 1958), p. 168 n. 35.

(u) BESELER, A LBERTARIO, PRINGSHEIM, BERGER, KROGER, BIONDI,RICCODONO p e r le citazioni, cfr. Index interp., cit. Manca, a buonconto, negli autori ci tat i , un'analisi esegetica ampia e motivata.

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Ad ogni modo, u n punto è di singolare importanza ( im-portanza, si badi, che non verrebbe affatto meno ove, per assur-da ipotesi, si dovesse disattendere l'estraneità dell'interrogazio-ne al contesto ulpiano originario che noi, con così ampia partedella dottrina, sosteniamo) : ed i l punto consiste nell'evidentecontrasto tra i l senso stesso dell'interrogazione — da chiunque,ripetiamo, essa provenga — e quanto precede. Contrasto chenon potrebbe palesarsi p iù stridentemente : chè la soluzioneche precede l'interrogazione, lungi d a l concretarsi i n u n adelerior condicio del condomino d i fronte a l terzo eventuale,si concreta a l contrario nella concessione, sicura, di ben dueazioni (a. s. e. e a. communi diviclundo), ed in quella, even-tuale, d'un'altra (a. p ro socio, s i socii sint). E ' evidente, percontro, che, agendo cum extraneo, i l condomino non p o t r àesperire altro che la sola a. s. c.. Come, allora, giustif icarel'interrogazione ?

Io credo che, implicitamente o esplicitamente, t u t t i icritici citati s i sian fondati s u questa insanabile illogicità delnesso t ra pr ima parte ed interrogazione per condannare que-st'ultima. E , se questo è vero, c i troviamo di fronte ad unodi quei casi, non rar i nella critica interpolazionistica, i n cu iun risultato esatto è raggiunto per una v ia sostanzialmenteinsufficiente.

E valga la riflessione d i un istante. S i attribuisca l ' in -terrogazione ad un glossatore, la s i attribuisca a i compilato-ri, l a si attribuisca a chicchessia, s i p u ò m a i supporre i nqualcuno l 'assurdità d i volersi render ragione, a proposi tod'una affermazione (teneri eum socio), proprio d e l contrariodi quell'affermazione (deterior condicio)?

Procedendo, come s'è fatto, ad espungere soltanto, comeillogica, l'interrogaziOne Sea'-agii., s i è ragionato come se sifosse d i fronte, non già a testi giuridici venerabili e trava-gliati Per secoli da studiosi, anche se d i vario valore, bensìcome se si fosse d i fronte ad elaborati d i dementi.

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E pure, la soluzione esatta non deve considerarsi d i f -ficile; ed uno studioso, almeno, t r a i c r i t ic i cu i c i siamoriferiti, i l Riccobono cioè, avrebbe potuto sostanzialmenteraggiungerla, i n base proprio a i r isultat i i n linea generaleconseguiti in un suo famoso, e splendido, studio (7 2) .

La soluzione del problema sorge non appena ci s i pon-ga i l dubbio che la parte iniziale, e precisamente l a deci-sione (el a i l &neri eum socio), sia a sua volta, e gravementee sostanzialmente, alterata, anzi capovolta. I l dubbio, cioè,che Giuliano, citato da Ulpiano, concludesse per l'esclusionedell'a. ss. c. t ra condomini : per intendersi i n riferimento alcontesto, i l dubbio se i l testo ulpianeo originario n o n suo-nasse p iu t tos to : 6,1 a i l l e n e ri e um s o ci o .

A noi, siffatto dubbio si presenta con estrema sponta-neità, non solo i n relazione al tenore attuale del testo ed allagià rilevata incredibilità d i attribuire a chicchessia un'assur-dità del genere di quella ri levata, ma anche per invincibilerichiamo ad un nostro precedente risultato in tema d i leggeAquilia, conseguito proprio i n conformità al pensiero ricco-boniano già richiamato (7 3) : t r a i c o n d o m i ni , i g i u r i st i c l as -

(12) Dalla communio del a'irillo quirilario alla comproprield mo-

derna, i n Essays... ed. by Vinogradoff (Oxford, r g 13), p. 56 ss.(73) Cfr. Sludi sulla legge Aquilia I, p. 29 ss- Di diverso av-

viso recentemente, i l BRETONE, OP. d i . , p . 177 ss.. Non è questa lasede per un approfondimento integrale del problema, che, de l r e -sto, importa la considerazione completa del le azioni penali tra con-domini, almeno. N o i restiamo convint i dell'esattezza dei nostr i r i -sultati i n tema d i tutela aquiliana ; e crediamo, a d i più, che quan-to qu i s i cerca d i dimostrare i n tema d i a. s_ c. valga a rafforzarequei risultati.

In relazione al le crit iche d e l Bretone, è d a osservare, ne l lasperanza d i p iù conveniente occasione per ritornare sull'argomento,quanto segue.

Innanzi tut to, i l mot ivo centrale del dissenso del B. è che i omuoverei dall'equivoco d i considerare identiche le ipotesi d i dan-no (aquiliano) provocato da un servo comune a scapito di un con-

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sici non ammettono l'esercizio della normale a . legis Aqu i -liae, per l'impossibilità d i considerare realizzato in iur ia qua-lunque comportamento (anche lesivo) del condomino, il qua-

domino e le ipotesi d i danno provocato da un condomino sulla co-sa comune. Questa cr i t ica è ingiusta : io, lung i dal l 'equiparare l ediverse fattispecie, ho argomentato da l l ' una a l l ' a l t ra ; e nessunopuò negare l'estrema aff inità concettuale del le due ipotesi, spec ieatteso i l fenomeno del la responsabilità nossale. De l resto, i l B . r i -corda solo i n nota (p. 168 n . 35) — sì che i l presunto m io equivo-co g l i venga facile da ri levare nel testo — che i o argomentavo an-che da testi (Co l i . X I ' , 7, 8 D . 9 , 2, 27, I o ; D . i o , 3, 26) c h eponevano espressamente l ' ipotesi de l danneggiamento operato da lcondomino sul la cosa comune. Orbene, d i questi u l t im i test i , i l B.si l ibera troppo disinvoltamente : non ne contesta l a genuinità, nela portata, tua adduce alcune difficoltà. Senonchè adducere incon-veniens (ammesso poi che d i c iò s i t ra t t i davvero, i l che a me nonsembra, sebbene qui non s ia i l luogo per provarlo) non est solvereargumentum, come dicevano g l i scolastici.

Quel che è p iù grave è, poi , che i l B. asserisce che , n e l ca-so d i danno operato da u n condomino sulla cosa comune, « l'eser-cizio dell'actio legis Aqui l iae da parte del condomino offeso c o n -tro i l contitolare è pienamente fondato » (p. 169). Ora, questa èuna pura asserzione che andava d imostrata : s e n o n a l t r o — an-che a non vo ler affrontare una disamina esegetica in contrappostoalle nostre osservazioni testual i — occorreva superare l'ostacolo co-stituito dall ' impossibil i tà d i qualificare in iu r ia u n compor tamentoin suo del condomino, nonchè quel lo cost i tui to da l l a inappl icabi -l i tà del disposto testuale del la legge A q u i l i a (alienum) a l caso d idanneggiamento d i cosa, non al trui , ma comune.

Quest'ultimo r i l ievo c i porta a sospettare che i l B. non abbia te-nuto nel giusto conto che l'esclusione tra condomini dell'a. legis Aqui-liae normale dipendeva, pe r noi, d a ragioni tecniche d 'ordine for-mulare, soprattutto. Che, i n realtà, non s i t ra t t i d i sostanziale ne-cessità normativa, è dimostrato dal la concessione, classica, dell 'a.in factum ad e _ z-e r n p l u m l e g i s A q u i l ia e a l c as o p r op o st o . E' p ro ba -

bile, tuttavia, che io abbia l a m ia parte d i colpa i n questa manca-ta avvertenza, pe r non avere approfondito a sufficienza i l tema i nquello studio aquiliano. Persevero, p e r necessità, nell 'errore — co-me s i vede — anche questa' vol ta.

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le, sulla cosa comune, per via della concezione caratteristicadella communio classica, opera piuttosto sempre iure ; non-ché per l'impossibilità d i considerare alienus l 'oggetto co-mune (7 4) . L o s vi lu pp o della tutela aquiliana, però, consen-

te, in siffatti casi, la concessione d i un'a. in factum ad exem-plum legis Aquil iae ; alla stessa stregua d i a l t r i numerosicasi, i n cui, egualmente, manca, a rigore della lettera delplebiscito aquiliano, un comportamento illecito tipico (o per-ché si tratta d i comportamento omissivo, o perché si trattadi danneggiamento realizzato rebus integris) (7 5) . C o m u n q u e ,

L'amico Bretone m i consentirà pochi a l t r i rapid iss imi cenni ,di ordine testuale, sempre nella speranza d i p o t e r presto r i p ren -dere p iù ampiamente i l discorso : a) pe r D. 4, 9, 6, i (cfr. BRETO-NE, op. ci l . , p. 168 n. 135); non è vero che i l testo postul i l 'esclu-sione del l 'a . l e g i s A q u i l i a e noxa l i s t r a condomini, potendosi, i nogni caso, la frase idem cliceiur, e l s i communis s i i riferir bene, ol-tre che all'ammissione dell'a, i n fac lum adversus naulam, etc., an-che al quamquam-mecum s i i (e cioè anche al le azioni aqui l iana edi fur to) : ma non s i avverte subito che i l testo è al terato ? L ' i n -terpretazione d i D. 4, 9, 6, 1 da no i accettata, de l resto, è, se pu rcon fede nella genuinità del frammento, pienamente affermata i ndottrina (cfr., per tut t i , BIONDI, Acliones n o 2-a l e s i n A n n . P a l e r m o

rgzs, p. I / 3 n. 3) ; b ) D . 9, 4, i o non s i r i fer isce affatto al l 'a.s. c. — checchè ne pensino i chiari autor i (EIN e SfoRt : i l pr imoasserendo senza ombra d i prova ; i l secondo esprimendosi dubi ta-tivamente e senza escludere affatto i l r i fer imento all'a. legis Aqui-liae) c i ta t i dal B. (1. e.): nu l la forza, nel testo, a questa conclusio-ne; ed inoltre, la provenienza del frammento esclude i l tema del-l'editto de servo corruplo ed impone i l r i fer imento a l t e m a de l l alegge Aqui l ia : cfr. LENEL, P a l i n g-e n e s i a I , p . r o r t . D e l r e s t o , a c h e

mai giova, per la questione d i fondo, che s i t r a t t i d i a. s. c. o d ia. legís Aqui l iae? I l problema è assolutamente ident ico, come r i -sulta dalle considerazioni che, i n questa indagine svolgiamo.

(74) Cfr. anche quanto si dice nella nota precedente.

(75) Per altra estensione, realizzata invece ove vi siano il lace-

re e i l comportamento in iu r ia nonchè i l damnunt materiale, me-diante aa. uliles, r inviamo sempre a l nostro scr i t to citato.

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l'esercizio t r a condomini della normale azione aquil iananegato.

Discendendo questa particolare caratteristica del regimeaquiliano dalla natura del condominio classico e dalla lette-ra della legge Aquilia, ed- essendo, i n un punto importante(i termini : servunt servam al ienum alienam), identica anchela lettera dell'editto de servo corrupto, i l dubbio che, anchenel caso del f r. 9 pr., Giuliano ed i classici dovessero per-venire all'esclusione dell'a. s. e. t ra condomini diviene — eciò tanto più, si badi, in relazione all'apparentemente incon-grua domanda Seci cur-agit? — certezza.

Partendo da questa certezza, l 'analisi della formazionestorica del travagliato contesto attuale del nostro paragrafo,diviene assai più facile e persuasiva. Possiamo procedervi,ormai, con ordine.

Il principio del paragrafo doveva, originariamente, suo-nare: S i quis SeYVUM communem [nzeum t u u m ] (7 8) c o r -ruperit, apud lu t ianum l i b r o nono dz:gestorum quaer i tur ankac acHone teneri possit, e t a i ' (non> (7 7) t e n e r i e u m s o c i o :

praelerea poteri ' c o m m u n i dividundo et pro socio, s i sociisint, teneri, u t fu l ianus a i ' '7 8) .

(76) Meum et tuum, in relazione all'inizio del testo ove si dice

si quis (e non s i tu o s i ego) nonché al la locuzione successiva te-neri e u rn s o c i o , è sicuramente un glossema ; e c i ò malgradola corrispondenza con un altro, affine, testo ulpianeo D . 9, 2, 27,T, i n cu i i d est tneus e l tuus è probabilmente genuino, perché ut i -le a chiarire la fattispecie e b e n connesso n e l contesto. A n c h eper questo frammento, cfr., da ult imo, Studi sulla legge Aqu i l iap. 36.

(n) Per questo capovolgimento, cfr. quanto detto nel la t rat ta-zione che precede.

(78) Non può escludersi, certo, per il tratto praeterea-ail, un qual-

che rimaneggiamento (cfr. la mancanza del termine adio, per quelpochissimo che vale; e la ripetuta citazione di Giuliano, piuttosto malconnessa formalmente). M a la proposta de l B iond i d i espungere

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In ordine a sitfatto testo, verosimilmente, un glossatoresi chiedeva — in base certamente alla mutata concezione post-classica del condominio ed alla diversa procedura d e l suotempo — perchè mai si dovesse, a seguir Giuliano (ed 1.11-piano che, secondo noi, aderiva a lui) realizzare, per un con-domino che intendesse agire nei confronti dell'altro, una si-tuazione meno favorevole, i n ordine all'a. s. c., d i quella chesi sarebbe verificata s e si fosse agito, invece, nei confrontidi un estraneo.

Se c i fermiamo ancora un istante, su questo tratto delframmento (S i quis-Iulianus aie, è per chiederci a chi debbaascriversi la soppressione del non, da noi affermata. Non vi èdubbio, a nostro modo d i vedere, che qui siamo di fronte aduno dei più sicuri casi di interpolazione sostanziale. L a qua-le è coerente agli sviluppi postclassici del condominio. C o -

tutto i l t rat to è basata, per noi, soltanto su una visione non esat-ta dell 'a. communi dividundo classica : s u l punto, anche per le c i -tazioni, cfr., sempre, Studi sul la legge Aqu i l i a I , p . 35 e ibid. n . i .La tesi de l Biondi — e cioè l'espunzione totale de l t r a t t o praele-rea-ai l — potrebbe forse apparir fondata, i n relazione a l la succes-siva glossa Sect cu r -ag i l Y I n sostanza, s i potrebbe pensare che co-lui che ha scritto quel la domanda non l 'avrebbe scr i t ta, se, effet-tivamente, i l testo or iginario avesse — come appunto, parlando sol-tanto d i r imaneggiamento, no i abb iamo sostenuto p e r i l t r a t t opraelerea-ait — previsto, sempre, l a concessione de l l ' a . communidividundo e, i n c a s o d i societas, quella de l l ' a . ,pro socio. Ciò i nquanto, attraverso queste concessioni, l a situazione del condominoè, i n ogni caso, ben tutelata anche nei confront i de l socio. Senon-che, è facile osservare, i n contrario, che quel la domanda ha sensosolo i n relazione all 'a, s. c., non potendosi certo, i n nessun caso,supporre un paragone t ra condomino ed estraneo su l p iano de l l eazioni communi dividundo e _pro socio! S u l l a portata de l suppostorimaneggiamento, comunque, non è possibile a nostro avviso, da-re un g iud iz io s icuro. I l c h e sembra, d e l resto, s o r t e comune— come s i vedra ( in t ra , i 29) d e i pochi test i r imast ic i i n m a -teria d i concorso dell 'a. s. e. con azioni relpersecutorie.

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me, i n sostanza, Giustiniano finisce per ammettere l'eserci-zio della normale a. legis Aquil iae tra condomini, i n luogodella classica a . i n factum ad exemplum i. Aq . (7 9) ; c o s ì ,egualmente, l'imperatore bizantino non trova p iù nessun o -stacolo nè nella concezione, modificata, del condominio, nènel testo dell'editto pretori°, nè nelle esigenze formulari, perammettere l'esercizio dell'a. s. c. t ra condomini.

A parte i l parallelismo invocato, del resto, è facile per-suadersi che, ove si ammetta, c o n noi, la soppressione delnon, non si può, p e r ragioni evidenti d i mancata autoritànormativa, attribuire a p r i va t i studiosi postclassici un cosìaudace capovolgimento.

Al riguardo, però, è da chiedersi — specie in vista del-l'accennata introduzione d'una tutela i n factunz aquiliana incasi analoghi, ed in vista del cenno, che, ad altro proposito,noi troviamo, anche in tema d i a. s. e., circa estensioni pro-cessuali (cfr. i l contiguo f r. 9, i del quale dovremo subi tooccuparci : infra, § 15 ; e a I l , 3 , 14, t , su cui v. Mira,§ 26) - se i classici non abbiano escogitato qualche rime-dio estensivo, per permettere l'applicazione del la tutela d icui a l nostro editto anche tra condomini.

Con la riserva discendente, ovviamente, dal silenzio del-le fonti a noi note, dobbiamo rispondere negativamente aquesto dubbio. I l fatto che l'editto fondamentale d à luogoad un'adio i n factunt non sembra favorevole, i n l inea d iprincipio, alla possibilità di un'estensione mediante altre azio-ni i n factunt o utiles. I n ogni caso, l'argomento decisivo èper noi un altro : se, i n effetti, nel testo, s i fosse trovataoriginariamente la concessione d i un rimedio secondario, o

(79) Sul punto, cfr. la nostra op. cit., pp. 29-44; e 192-193. E'

bene notare come, almeno entro cert i l im i t i , l ' innovazione g i us t i -nianea i n tema d i a. legis Aqui l iae t ra condomini sia solo d i n a -tura formale : all 'a. i n factum si sostituisce, i n e f fe t t i , sovente, l adiretta a. legis Aquiliae.

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anche un dubbio giurisprudenziale in tal senso, i l glossatorenon si sarebbe posta la questione della deterior condicio delcondomino, o se la sarebbe posta appoggiandosi all'autori-tà degli eventuali avversari d i Giuliano ; n è i compilatori,le cui tendenze estensive son ben indicate dall'attività spie-gata nell'analoga materia della legge Aquilia, avrebbero maicancellato la menzione di quel rimedio, affermato o proposto.

Una conferma della nostra diagnosi circa D. l I, 3 , 9 p r . ,e della relativa ricostruzione, potrà esser desunta p iù avanti

anche da D. x i , 3, 14, 2 ( infra, § 26).Continuiamo nell'esame del f r. 9 pr_. A l la glossa Secl

c u r-a g il z9, segue un complicato sviluppo, anch'esso — e con

ragione — giudicato da molt i studiosi ( n ) come non genui-no. Sebbene superfluo, in fondo, ai nostri fini, un esame ra-pido d i codesto sviluppo c i consentirà d i renderci totale ra-gione del contesto attuale del nostro paragrafo.

Noi pensiamo che colui che s'er'a posto la sorpresa do-manda d i fronte alla soluzione negativa — o anche un suc-cessivo glossatore, i l che è lo stesso — si sia sforzato d i ri-spondervi ; e , i n c i ò veramente r bizantineggiando a b b i acreduto d i rinvenire la chiave del mistero (di quel che, mu-tate le idee sul condominio e cessata la procedura formula-re, g l i doveva sembrare mistero) nella circostanza secondola quale, nella fattispecie proposta d a Giuliano, s i parlavasoltanto d i corrumpere. TI glossatore, infatti, ha creduto d ipoter escludere la generalità della soluzione negativa, ed hadistinto tra recipere e corrumpere, proponendo il dubbio cheGiuliano abbia escluso l'a. s. c. t ra condomini solo nel casodi corrumpere (Nam-,gine allernatione). L'applicazione, poi, disiffatta distinzione glossematica è stata rielaborata dai com-

(") BESELER, ALBERTARIO, PRINGSHEIM, KRCYGER, Cit. I motivi for-mali e sostanziali sono d i tale evidenza e gravità che n o n met teconto ripeterli.

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pilatori, con molta probabilità, per non farla stridere troppo conla soppressione del non nella soluzione iniziale. Tanto che,probabilmente, l'applicazione della distinzione è, addirittura,capovolta rispetto al valore del glossema originario. Così so-lo si può spiegare, infatti, la frasetta jet est s i co r rult i t , c h esegue, nel testo attuale alla distinzione glossematica esplica-tiva della soluzione negativa giulianea. I n realtà, stante tut-to quello che si è f in qui detto, è probabilissimo che il glos-satore dicesse a questo punto : ict est s i recepii. L'attuale idest s i torrupit sarebbe insensato rispetto alla soluzione nega-tiva che, appunto, escludeva, nella fattispecie proposta d aGiuliano ( s i-c o r r u p e ri t ), l ' e s er c i z io d e ll ' a. s. c. ; mentre è

sensatissimo, i n sè e per sè, d i fronte alla soluzione posi t i -va risultante dalla dimostrata interpolazione.

La prova testuale dell'asserita ulteriore alterazione giu-stinianea — operata, questa volta, su u n glossema l a s ipuò avere con evidenza, nel seguito del glossema :

Questa parte del testo presuppone palesemente che i lglossatore non aveva molta fiducia nella sua stessa prece-dente distinzione tra corrunzpere (rispetto al quale non v i èper Giuliano possibilità d i esercizio del l 'a. s. c. t ra condo-mini) e recipere (rispetto al quale i l postclassico ha suppo-sto, n e l g lossema N a r n-a l l e r n a t i o n e , i d e s t s i E c o r r up i l l

(recepii), che anche Giuliano potesse ammettere l'eserciziodell'a. s. c. t ra condomini). L a prova del la scarsa f iducianella distinzione, e d ino l t re l a prova che l a distinzione— prima del rimaneggiamento giustinianeo — avesse la por-tata affermata, sono offerte (dicevamo) dalla frase, pur essaglossematica : N i s i forte non pn lav i t f i t l ianus hoc cadere i nsocium ; nono entrn suum recipi l . I l senso d i ques ta f r asenon sembra poter esser stato altro che quello d i sospettare(ed era, poi, sospetto fondatissimo !) che, malgrado l a b i -zantina distinzione, anche nel caso d i recipere, Giuliano ne-gasse l'esperibilità t ra condomini dell'a. s. e..

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E' opportuno rilevare che questo dubbio del glossatoreè la miglior prova dell'origine compilatoria del corrupit nel-la frasetta i t l est s i corrupit. Attribuendo a l glossatore, i neffetti, quel verbo, si dovrebbe presupporre che i l glossatorestesso ritenesse che Giuliano avesse concesso per i l corrztm-pere la nostra azione t r a condomini. E d a l lora — a partel'incomprensibilità assoluta d i tutto i l discorso glossematicoprecedente — ne risulterebbe del tutto incongruo pure l ' u l -timo dubbio (Nisi-recipit, appunto), anch'esso glossematico.Come si potrebbe, infatti, tentare d i rendersi conto d i u n aprecisa soluzione giulianea (esperibilità t r a condomini de l -l'a. s. e. nell'ipotesi di recipere), se, poco prima, si fosse at-tribuita a Giuliano u n a diversa soluzione (esperibilità t r acondomini dell'a. s. e. nell'ipotesi del corrumpere)? I l veroè che i l dubbio Nisi-suum recipit ha significato solo se s isuppone la distinzione del glossatore nel senso d i attribuirea Giuliano l'affermazione dell'esperibilità dell'a. s. e. t ra con-domini nel caso del recipere. Sono i compilatori, ripetiamo,ad avere — in coerenza con l'affermazione iniziale — modifi-cato l'opinione che i l glossatore attribuiva a Giuliano, ren-dendo, anche sotto questo riguardo, assai confuso il contesto.

L'ultima frase, infine, Seti si-teneri eum rappresenta lasoluzione che i l glossatore dà al propr io dubbio : i n o g n icaso, Giuliano non può — sembra dirsi i l glossatore — ave-re escluso t ra condomini la nostra azione, almeno o v e r i -corra i l recipere celandi animo.

Per chiarire al lettore la non semplice esegesi che pre-cede, riteniamo opportuno rendere evidente i l procedimentodi formazione del f r. 9 pr. da noi affermato, mediante unoschema, i n cui la prima colonna si riferisce al testo u lp ia-neo originario, la seconda all'inserzione d i glossemi, l a ter-za alla sistemazione compilatoria ; le lettere tra parentesi co-stituiscono, da una colonna all'altra, i richiami alle successi-ve integrazioni o trasformazioni del testo stesso.

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Si quis servum com-munem (a) corrupe-ril, apud lulianum li-bro nono clkesiorumqueuritur, an hac ac-/ione teneri possil, etai! non (b) teneri nonsocio : praeterea p o -Ieri! et communi d i -vidundo e l pro socio,si socii s in i , teneri,3t1 lu l ianus a i ! (8 1)(e)

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(a) meum e l tuum

(c) Secl cur delerio-rem f a c i l I u . i ia n u scondicionem sodi, s icum socio agat, quamsi CUM estraneo agii?Nam qu i cum estra-neo agi i , sive recepiisive corruperit agerepolest, qui cum socio,sine alterna/ione, i dest s i recepii (d). M -si forte non putavi llulianus koc caderein socium n e m o e-nim s u u m r e c i p i t .Secl s i celandi animorecepii, palesi defen-di teneri eum.

t8I) Per questo ultimo tratto, cfr. supra n. 78.

(b) soppresso i lnon

(d) sostituito i l re-cepii con corrupit.

Riteniamo che s i t rat t i d 'un interessante esempio di for-mazione progressiva d i un difficile testo compilatori°. Si par-

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te da una soluzione negativa netta e logica. A d essa fannoseguito dubbi — motivati da ignoranza de l regime condo-miniale e della procedura formulare classici — di uno (o più)studiosi postclassici ; dubbi sfocianti in un tentativo d i limi-tazione della negazione originaria al solo caso de l earrum-pere. Infine, Giustiniano, ponendo sullo stesso piano testo eglosse, con due piccole trasformazioni, e non curandosi mol-to della coerenza formale, giunge a capovolgere sia i l testooriginario sia lo stesso tentativo d i innovazione risultanteda í glossemi, pervenendo all'afiermazione dell'esperibilità del-l'a. s. e. t ra condomini sia nel caso d i corrumpere, sia n e lcaso del recipere servum conzmunem.

15. L'ult imo tratto d i questa parte de l commentati()ulpianeo, pur presentando difficoltà assai gravi, non offre,purtroppo, elementi altrettanto solidi d i quelli che presenta-va i l precedente fr. 9 pr., per una diagnosi affidante.

Si tratta d i D . t I , 3, 9, i (111p. 23 ad Ed . ) : S i i nservo eg-o h a be a m usum f ru ct um , fu p rop ri et at em, si quidem

a me s i i deterior factus, poteris mecum exper i r i , s i f u i e lfeceris, ego agere u l i l i actione possum : ad ~ n e s enim co r -ruptelas haec ad io perl ine' et interesse f ruc tuar i i videtur bo-nae t r u g i servum esse, i n qua usum f r u c t u m habet. E t s i

forte al ius eum reeeperit ve l corruperit, u t i l i s ad io f ructua-rio competit.

Il frammento è poco noto alla critica (8 2) , m a p r e s e n -

(82) Segnaliamo un sospetto del PAMPALON1, Il concetto classico

dell' usufruito i n B I D R , 22 (1910), p. 145 n. 5, che propone d i e -spungere la menzione dell'a. u t i l i s le due volte in cui essa ricorre :ma c iò con l ' intento d i riconoscere, in conformi tà a l l a sua n o t adottrina sull'usufrutto, la legitt imazione a t t i va normale del l 'usu-fruttuario. Espressamente ritengono i l testo genu ino : LENE', DasEdiclum, cit., p. 175 ; Voc i , op. cit . p. 51; AMBROSINO, Usufru l to ecommunio, i n S D H I , 1950, p . 202 n. 68.

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6o

ta tal i difetti formali da far sorgere subito notevoli sospetti.Si noti, in effetti : l a proposizione iniziale (Si-,broPrietatem)sembrerebbe introdurre una questione d i pertinenza del l 'a.s. c. all 'uno o all'altro dei soggetti in discorso, non già unproblema d i reciproci rapporti ; t r e proposizioni introdotteda s i in immediata continuità son davvero ineleganti e x -,beriri da solo è troppo sbrigativo ; i d feceris è uno sgra-ziato It e n da n 1 al p re ce de nt e si... .a me sii delerior factus;

possum è discordante dal poteris della apodosi precedente esimmetrica ; la motivazione è generalizzante, e perciò ine-satta : ad onznes_corruptelas; per altro, essa è visibilmentemal concordata con i l discorso precedente : ora compare, alposto d i ego, f ructuar ius; receperil ve l corrztperil costituisceun discorso più generale d i quello f in allora tenuto (laceredeteriorem); c o n zit e t i l , r i f e r i t o a d u n a a z io n e u t il e , è s o sp e tt o .

D'altra parte, se è lecito qui utilizzare i l risultato otte-nuto nel paragrafo precedente, deve giudicarsi inverosimileun'applicazione utile della nostra azione ad altri che al pro-prietario. L'usufruttuario, del resto, sia contro il proprietarioche contro i l terzo, potrebbe avere la tutela dell'a, de dolo.

Vi sono, come s i vede, validi motivi per congetturareche i principi contenuti in D . t i , , 9, i s iano d i totalefattura postclassica, quasi certamente compilatoria, nell ' in-tento, facilitato dalla caduta delle formulae, d i estendere laapplicazione dell'a. s. e. restringendo quella dell 'a, de dolo.Qualche indizio in questo senso può esser rappresentato dal-la circostanza che, nel commentati° paolino dedicato alla le-gittimazione attiva, parzialmente conservatoci negl i attual iD. I l , 3, 14, 1-4, non solo non v i è traccia d 'una con-cessione dell'azione all'usufruttuario ( i l che non è molto pro-bante, data l'opera d i coordinamento normalmente svoltadai compilatori), ma, circostanza d i maggior peso, si t rovauna decisione d i specie che sembra ispirata ad un ordine diidee tale da escludere la possibilità stessa d i quella conces-sione. Alludiamo a D. IX , 3, 14, 3 — su cui dovremo a suo

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6 ~ d m .

luogo (intra, § 26) fermarci - - ove si concede a l l ' usufrut-tuario, contro i l dominus del servo in usufrutto, l'azione ser-vi torrupti in v ia nossale, per l'opera di corruzione che quelservo i n usufrutto, appunto, ha svol to n e i confronti d ' u nservo proprio dell'usufruttuario. E questo mal si adatta a l -l'eventuale posizione quasi dominicale che si vorrebbe rico-noscere, in D . i . i, 3 , 9 , I, a l l ' u s uf r u t t u ar i o .

Se giudichiamo frutto probabile d i una alterazione so -stanziale i l f r. 9 , i , non c i pare possibile tentare u n r i co-struzione del testo, che forse si limitava, i n origine, soltan-to ad affermare la legittimazione attiva del dominus nel ca-so che i l servo in usufrutto fosse stato corrotto dall'usufrut-tuario o da un terzo.

Al termine d i questa indagine su prob lemi.d i l e g i t t i m a -

zione, è poi da ripetere quanto ebbimo occasione d i affer-mare i n principio (suftra, § 3), a proposito del f r. D . i r,3, i, i ed a proposito, in particolare, della probabile estra-

neità al contesto genuino della questione circa i l possessoredi buona fede.

16. Con i frammenti che seguono, entriamo i n quelloche è, senza dubbio, i l p iù difficile dei problemi che le fon-ti pongono relativamente alla nostra azione : quello dell 'ae-stimali&

La dottrina v i si è fermata alquanto, specie in occasio-ne d i studi generali sul formulare quant i ea res est. P u r -troppo, i suoi risultati — costruiti, d e l resto, s u disaminasolo parziale dei testi utilizzabili — son lungi dall'esser con-cordi. I n definitiva, i due problemi essenziali e assai contro-troverà, sono : a) tenore della formula per quel che riguar-da l a aestimatio ed il momento cui essa deve riferirsi b ) cr i -terio della aestimatio.

a) Cominciamo dal primo : tenore della formula p e rquanto attiene alraestimatio e momento della valutazione.

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L'editto, come s'è visto, contiene la consueta espressio-ne quanti ea res erit, con evidente connessione al la reda-zione dell'intera promessa al tempo futuro (clicetur, iudiciumdabo): cfr. D. i i,3 , i pr. Nessun elemento certo abbiamo, in-vece, per quanto riguarda la formula. La dottrina dominan-te, con i l Lenel (8 3) a l l a t e s t a , r i t i en e c he a nc he q ue st a con-

tenesse la clausola in questione al futuro. Onde si dovrebbesupporre una valutazione del danno q u a l i che ne siano icriteri d i determinazione — riferita a l momento della con-danna. Indizi i n questo senso i l Lene], e gl i autori che l oseguono, desumono soprattutto da D. i i, 3, g, 2, che è ap-punto i l primo dei frammenti che ora ci si presentano, se-guendo l'ordine fin qui adottato (8 4) .

D. i x , , 9 , 2 ( U i p . 23 a d Ed. ) : D a t u r ( = k i n a d i oquanti ea res eri ! , eius dupli.

Come si ricorderà (cfr. supra, § 2.), Ulpiano si trova,in questa parte del suo commentario, già in pieno corso deldettagliato esame della formula. Ond'è che la corrente dot-trinale d i cu i diciamo h a potuto effermare senz'altro chenella formula era contenuta l'espressione q. e. r . eri!.

A questa affermazione s i oppone, n o n tanto l'anticapresa d i posizione del Rudorff (8 5) , i l q u a l e r i c o s t r u i v a l a

formula con quant i ea res lune fu i ! , quanto l a p iù recentetesi del Voci (8 6) , i l q u a l e p e ns a c he , al _ fu i! f o rm ul a re ori-

ginario, « un tardo correttore » abbia potuto — tratto in in-

(8) Das Ediclum perpetuum, cit., p . 175 ; espressamente con-forme, anche, KASER, op. cit., p. 182 n. 2.

(84) Minore importanza, come indizio, ha D. IT, 3, II pr., pur

citato da l Lenel e dal Kaser. I n questo fr., si legge : verbanè è necessario supporre — data la connessione e d i l valore d e ltesto (su cui, v. in f ra , 1 9 ) — una sostituzione d i Miet i ad un ori-ginario formulae, come vuole i l LENEL, Palingenesia Il, p. 553 n. 3.

(85) De iurisdielione edictum. Ecticti perpetui quae reliqua sunt

(Lipsiae, 1889), p . 96.(86) Op. cit., pp. 22 IL 50 : 79.

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ganno dal testo dell'editto (D. l i , 3, 1, pr.) — sostituire eritin D. i t , 3 , 9, 2 ; ed anche in D . l I , 3 , l I p r . (8 7) .

In realtà, dal punto d i vista sostanziale, s i deve sen-z 'altro ammettere che, conformemente alla regola in materiadi azioni penali, la valutazione — quale che sia stato i l te-nore della formula — si riferiva al tempo dell'attuazione del-l'illecito. L a contraria opinione del Lenel e soprattutto delKaser (8 8) , o l tr e che o sc ur a, è in c on tr add iz ione con le fonti

e insostenibile. Come si può fare la valutazione de l m inorvalore del servo al momento della condanna se, a l momen-to della condanna, i l servo non esiste più o è divenuto l i -berto (per la possibilità d i casi del genere, cfr. D. l i , 3 , 5,4 ; 6 ; 7 e 8, sui quali, v. già supra, § 13) ?

Di conseguenza, ove anche l a formula come l 'edi t toavesse contenuto l ' erit, secondo quanto emergerebbe da lfr. 9, 2, sarebbe pur sempre da affermare che, in via di in-terpretazione, la giurisprudenza ha riferito questa parte dellaformula a l passato, e precisamente ad tempus servi corruptivel recOli (D. i r, , 5 , 4 ) C o n s id e r a nd o , c o mu n qu e , che,

per accedere alla ricostruzione del Lenel, occorre anche sup-porre — come si è visto — un'originaria clausola formularecum is (servus) A i A i essel, d i cui non v ' è indizio alcunoe che sarebbe sostanzialmente in contrasto 4c o n i l p r e t e s oeri/ formulare, noi saremmo inclinati a seguire la posizionedel Voci, e ad ammettere una formula con i l q. e. r . fui t .

Dal punto d i v is ta crit ico, D . i i, 3 , 9, 2 è t roppobreve per prestarsi a specifici esami : la forma sembra cor-retta ed i l testo costituisce appena l'enunciazione del tema

(87) Per questo testo, come si vedrà meglio, il Voci, in altro

luogo •op.cil., pp. so-si), propone l'espunzione della frase che con-tiene quanti ea res er i l : n o i concordiamo — se p u r per diversimotivi — con questa diagnosi. Sul punto, cfr. infra, 1 9 .

(88) Op. di., pp. 187-

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controverso che sarà trattato in seguito : criteri d a seguirenella aestimatio della nostra azione.

17. b ) E ' questo i l secondo, e i l p iù grave, dei proble-mi cui c i riferivamo ne l paragrafo precedente. A d esso c iintroduce direttamente, sempre seguendo l'ordine prestabilito,D. i i, , g, 3, il quale però va studiato in stretta relazione

con g l i altri passi del commentario ulpianeo che vengonoin immediata successione (D. IX , 3, i i p r. e 2). Atten-to riferimento, poi, va fatto — e questo dà già un'idea del-la complessità del problema — agli squarci paralleli del com-mentario paolino pervenutici ( D . XI , 3, i o ; 12 ;. 14, 5-9) .Cominciamo col trascrivere i l brano ulpianeo.

D. i i , 3 , 9 , 3 (U lp . 2 3 a d E d . ) : Secl quaestionis est,aestimatio u t rum eius clumiaxat f i e r i debeat, quocl servus i ncorpore ve l i n animo damni senserit, h o c e s t quanto v i l i-o rservus factus s i i , a n vero et ceterorum. E I Neratius a i / tan t icondemnandum corruptorem, quan t i servus ob id , q u o d sub-pertus s i i , m inor is s i i (8 9) . D . i t , 3 ,I I ( U l p . 2 3 a d E d .)

Neratius a i l postea f u r i a facta i n aestinzationem non venire.Ouam sententiam veram pia° n a m el verba edicti q u a n t i eares e r i t 0M7le detr imentum recipiunt. i . Servo Aersuasi, u tehirografa debitorum corrumpal v ide l ice l tenebor. Seti si con-suetudine peccandi postea e t rationes ceteraque simii ia inst ru-menta sub l raxe r i t v e l in ter lever i t deleverit, dicendum e r i lcorruptorem horum nomine n o n tener i . 2 , Ouamvis autemrerum subtraclarum nomine servi corrufrti competat actio,men a ' f u r t i agere possumus, ofte enim consilio soll icitatorisvidentur res abesse : n e c su f f i c ie l a l teru t ra actione egisse,quía al tera alteram non minui t . Idem e l i n eo, q u i servitmrecepii c i celavi/ et deleriorem f e d i , Iu l ianus scribit s u n t

(89) A questo punto, è intercalato D. ti, 3, io (Paul. 19 ad Ed.).

su cui, cfr. i n fra, 2 2 .

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enim diversa maleficia f u r i s e t eius q u i deleriorem se rvumhoc amplius et condictionis nomine lenebitur. Quamvis

enim condictione hominem, poenam autem f u r t i actione con-seculus s i i , tamen e t quoci interest debebil consegui actioneservi carrupti.

Una prima lettura d i questo squarcio — mentre c i dànotizia d'una disputa giurisprudenziale circa i l cr i ter io concui dovrà procedersi alla stima del g. e. r. erit (o f u i t ) , so-stenendosi da alcuni un metodo restrittivo, da altri un me-todo d i più ampia valutazione — offre occasione ad una r i -flessione preliminare che non va taciuta. Ulpiano, cioè, sem-bra pórre i l problema dell' aestimatio con riferimento al so -lo caso del persuadere, e con esclusione dell'altra fattispecie(recipere) prevista dall'editto. L a circostanza — sulla qualenon m i risulta alcun rilievo nella dottr ina — sembra certa,avuto riguardo sia alle espressioni i n corpore o d in animodamni senserit e corrzeptorem del f r. g, 3 ; sia, e più, all'e-sempio del f r. i 1, i

Tanto più singolare è i l fenomeno, avuto riguardo a lfatto che, neppure nel parallelo commentario di Paolo, si rie-sce a distinguere in alcun modo tra recipere e persuadereai f ini dell'aestimatio. N è a c i ò viene chiarimento alcunodalle fonti in nostro possesso, anche ad altro proposito. Ep-pure, ragionando in tesi generale, mentre i l persuadere...quadeleriorem faceret ha in sè specificamente l'idea della d imi -nuzione d i valore per un danno nel corpo o nell'animo (co-me si esprime, appunto, D . i 1, 3, 9, 3 ) ; n o n altrettanto,probabilmente, deve dirsi per i l recipere, che sembra usatoin assoluto (cioè non collegato con l a proposizione finalequa eum eam deteriorem _lacere' dello stesso ed i t to ) e che ,

'2(2) Nel frammento t t, 2, in una inestricabile confusione, si

distinguono invece le fattispecie del persuadere e del recipere, mala frase sunt enim-fecit sembra considerare i l recipere come u nmodo d i deleriorem tacere. Su ciò, cfr. i n f ra , 2 1 .

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inoltre, dato i l suo accertato senso d i refugium abscondendicausa servo praestare (cfr. D . I l , 3, t , 2), non sembra po-tersi connettere ad un peggioramento qualsiasi, fisico o mo-rale, del servo, i l quale, già per. il fatto d'esser in fuga (sida aver potuto profittare dell'attività protettrice altrui : i l re-cipere, appunto), è — ma autonomamente — svilito, in quan-to servus y u g-i t i v u s (9 1) .

Stando così le cose, mentre i l modo d i porre il proble-ma dell' aeslimatio nei testi ulpianei, i l cui esame stiamo af-frontando, ha senso solo p e r una previsione edittale, perl'alti a — e precisamente per i l recipere (dolo rnalo) servumservam allenum alienam — esso non sembra coerente.

E questo è un primo ostacolo contro cui si u r ta l ' i n -dagine d i D. t i , 3, 9, 3 e segg.. Mistero del quale noi nonsapremmo fornire altra spiegazione che in v ia congetturale.

E' facile osservare (e s'è già accennato) che l'insieme delletestimonianze in nostro possesso relativamente all'a. s. c. è assaipiù incentrato sulla fattispecie del persuadere che non su quelladel recipere. L o stesso nome dell'azione fa prevalere in mo-do deciso l'ipotesi del persuadere. E questi sono, intanto,segni d'una applicazione più frequente indubbiamente giàin età classica — dell'azione al caso del persuadere che nona quello del recipere. Ciò si può facilmente spiegare con l aconsiderazione secondo la quale i l recipere servum alienumè spesso suscettibile d i diversa persecuzione giuridica. L'ap-

(9i) Questa è una delle circostanze che in linea astratta, e col-

legandosi alla famosa a l l u r e contournée » d i D. i i, 3 , i p r . ( c f r .supra, 2 ) , potrebbero addirittura suggerire l'ipotesi d'una integraleinserzione compilatoria della fattispecie del recipere nella previsioneedittale. Ta le ipotesi, cui potrebbe aggiungersi l ' indizio costitui-to dal nome dell'azione, è, naturalmente, del t u t t o assurda. Ognicosa può spiegarsi bene e con la p iù frequente applicazione c las-sica del la nostra azione al caso del persuadere e c o n larghe sop-pre3sioni compilato ne.

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plicabilità della l e x Fabia ad un caso del genere è sicura,innanzi tutto (9 2) . P e r q u a nt o a t t ie n e , p oi , a ll a p e rs e cu z io n e

privata, l'applicabilità dell'a. f u r t i è indubitabile nel caso d icelare servum fugi t ivum dolo malo (9 3) , a t t i v i t à a s s a i v i c i n a

al recipere edittale, sebbene certamente diversa (9 4) . S e s i

(92) Del resto, anche al caso del persuadere. Cfr. per tutti, Hu-

VELIN, op, d i . , p. 105 e ss.; p iù d i recente, v. l o scritto del PRINO-SHEIM, citato in t ra , n. 95.

(93) Cfr., per tutti, Furturn p. 152 con i testi ulpianei es-

senziali, cui son da aggiungere, d'altra provenienza : Gai. 11, 0 0 ;C. 6, 2, ; C. 6, 2, 6 ; C. 9, 20, 12 C . I I , 48, 23.

(94) E' questo un punto di notevole importanza : per quanto

nelle fonti - anche letterarie - non c i restino precisazioni sul s i -gnificato d i celare (servum e simili), è da ritenere con certezza chesi t rat t i d i un termine tecnico per la previsione d i alcuni i l lec i t i .

Ciò è certo per i l f u r t um: cfr. Gai. I I I , 200 ; D . t i , 4, i pr.D. 47, 2, 46, 6 ; cfr. D. 25, 2, 17,r (per l'a. rerum amolarum); D . 47,2, 48, i e 3 (pur se in qualche parte, forse, alterati); I l 47, ro, 25(su cui, supra, * 8 ) ; D. 47, 2, 39 ; P. S. I l , 31, 12. A questo p r o -posito, non cit iamo i testi i n materia del discusso animus celana'i,su cui però, cfr., da ultimo, Funt imi H , p. 208, con r invio, soprat-tutto, a p. 181 ss.. Per la maggior parte dei testi ora citati, si ve-da, attraverso l ' indice delle fonti, in Furtum 1" e H .

Il significato tecnico d i celare è pure certo per la l ex Fab ia :si vedano le font i tramite i l VI I?, ad h. v., sub 11. Esso è, inoltre,molto probabile anche per al tr i provvedimenti legislativi ( lex Cor-netta e lex A l z a ) : s i veda, egualmente, i l V I R , l . c..

Celare implica d i cer to u n a at t iv i tà criminosa posi t iva eprobabilmente la contrectatio: cfr. D. 29, 2, 71, 6 (1.51p. 61 ad Ed.):Amovisse eum accipimus. qu i quid celaverit... Invece, recz:pere, im -plica solo un atteggiamento passivo, omissivo : c f r . D. i i, 3, I , 2(su cu i supra, * 4).

Con l'occasione, avanziamo i l sospetto che alla differenza trail recipere ed i l celare fosse dedicato, nel contesto originario, D. 47,2, 48, 2 (1.11p. 42 ad Sab.): Qu i [ex volunlate domini ] servum rece-pii, quin neque f u r neque plagiarius s i i plus quam manifesturn est[ : quis enim volunlatem domini habens f u r dici paesi ( S i m i l i al-terazioni può aver subito D. 47, 2, 48, 3 : Q u o d [ s i dominus-fur]si celavit tune f u r esse incipit... Ta l i diagnosi evitano la palese ba-

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considera, infine, che secondo t i l l'O p i n i O n e c l a s s i c a i l s e r v u m

fugit ivus fa f u r t u m s u i al dominus, apparirà probabile c h e— secondo alcuni giuristi, almeno — i l recipere possa con-cretare un caso d i responsabilità o,be COnSilia, e quindi con-sentire l'applicazione, secondo un altro punto d i vista, dellastessa a. f u r t i (9 5) .

Tutto questo può già spiegare sia la scarsa elaborazio-ne, i n generale, della fattispecie de l recipere, sia, specifica-tamente, la mancanza d i un 'elaborazione minuziosa in ordi-ne all'aestimatio in quella fattispecie. Ma non deve, per ciò,escludersi u n espresso intervento soppressivo compilatori°in questo senso ; anzi, tale intervento è da ritenere senz'al-tro probabile, non sembrando possibile imputare così rad i -cale, e strano, silenzio nè ad Ulpiano nè a Paolo. L ' in ter -vento compilatorio da n o i supposto sarebbe naturalmentesolo uno sviluppo delle posizioni classiche.

Quale fosse, poi, l'aestimatio da seguire nel caso d i re-t-ipere è impossibile dire con certezza. Non è impossibile,

però, data la latitudine dell'espressione edittale e data l'affi-nità con la tutela del furtum che ispira certo — come s 'èvisto (supra, § 2) e come meglio si vedrà (infra, § 31) —il primitivo editto de servo torruplo, congetturare, che, in ca-so d i recipere, i l convenuto soccombente fosse tenuto al dop-pio del valore dell'intero servo. 111 che spiegherebbe — stanteanche la normalità d i siffatta probabile soluzione — ancormeglio, la mancanza, nelle testimonianze a n o i pervenute,

nalita dei testi attuali). Per sospetti sul la parte finale d i D . 47, 2,48, 2, cfr. Index, ad h. t - L'alterazione da noi diagnosticata con -seguirebbe — secondo noi — ad una ignoranza postclassica dei va-lori tecnici del recttere e de l celare.

(95) Sul punto, cfr. Furium H, pp. 64 e 93 n. 438 ; e, ivi igno-

rato, PRINGSHEIM, Servus fu r i t i vus sui f u r i um facit, i n Festschr i l lSchulz, I (Weimar, t95I), p . 279 ss., con conclusioni radical i c h enon seguo.

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d'una qualsiasi traccia d i disputa giurisprudenziale al riguar-do: i l punto doveva esser pacifico.

18. Segnalato così il primo ostacolo che sorgeva dal-la lettura dello squarcio ulpianeo in esame, passiamo all'ana-lisi diretta dei testi, i quali — va ripetuto — pongono proble-mi esegetici d i notevole difficoltà.

Sembra certa, sostanzialmente, la genuinità del primo :quello in cui, posta la questione se V aesti)natio — nel casodel persuadere — debba operarsi solo sulla base della d im i -nuzione del valore del servo, ovvero su una base più ampia,Ulpiano informa d i una opinione restrittiva d i Nerazio ( D .I l , 3 , 9, 3).

Abbiamo detto sostanzialmente perchè — a parte l'e-nigmatico ob i d quod subpertus s i i , unanimemente attr ibui todalla dottrina ad un errore del manoscritto (9 6) , e c h e p o -trebbe essere bene (si noti la ripetizione sgradevole del si i)un glossema — il testo presenta qualche difetto.

Innanzi tutto, la già rilevata mancanza d'ogni cenno alcaso del reettere dà, almeno a nostro parere, l a prova d iuna alterazione soppressiva compilatoria : è impossibile — ri-petiamo — che Ulpiano affrontasse in generale l'argomento del-l'aestimatio senza riferirsi alle due fattispecie previste dal loeditto. Poi, non è certo esauriente e chiara l'espressione ce-terorum, termine troppo indeterminato e senza riferimentoalcuno a precedenti sostantivi (9 7) . I n f i n e , i m p r e c i s o , e p r o -

bilmente dovuto ad un taglio compilatori°, è i l modo d i e-sprimersi attribuito a Nerazio : non si può dire affatto tanticondemnandum corruptorem quant i servus... minor is s i i , sen-

(96) Cfr. FR:oiNCKEL, in Hermes, 6o (1925), p. 425 ; ed inoltre, le

note con proposta d i emendazione, degl i edi tor i de i Diges la. Cfr.anche KASER, op. cit . , p. 182 n. 3.

(91) E' esatto, sostanzialmente, ma arbitrario formalmente, in-

tegrare : cetera (dammi), come fa i l KASER, OP. d i . , p . 183.

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za accennare affatto al arupium. (Nella parte precedente, par-lare d i aestimatio... eas etc. senza menzione de l doppio, èinvece ben corretto, dato che, nel concetto di aestimatio, v 'èil senso generale d i I base del computo della condemnatioTin questo brano successivo, a l contrario, s i parla della con-demnatio in concreto, ed è perciò erroneo tacere del duptum.)Al riguardo — ed attesa l'inserzione a questo punto del fram-mento d i Paolo (D. i 1, 3, i o ) — noi pensiamo ad un tagliocompilatorio, che abbia travolto, appunto, e la menzione deldupium e, quel che è più grave, i l cenno — nel senso, pro-babilmente, da noi precisato sulla fine del paragrafo prece-dente - all'aestimatio nel caso d i recz:pere.

La soppressione, però, d i questo secondo ordine di con-siderazioni potrebbe ben essere stata operata, invece, daicompilatori t ra i l § 2 e i l § 3 ; così che i l Sed quaestionisest iniziale di quest'ultimo paragrafo potrebbe anche inten-dersi i n contraddizione ad una pacifica affermazione del laapplicazione del quanti ea res eri t (o futY) aldel servo, in caso d i recil5ere•

Se i difetti rilevati rendono D. i i, 3 , g ,incompletezza, noi non pensiamo tuttavia che

valore totale

3 sospetto d ivi siano ele-

menti d i sorta per giudicare n o n genuino que l che c e neresta. Ond'è che possiamo partire, come da un dato affidante,dalla notizia ulpianea circa la quaestio e la soluzione restrit-tiva d i Nerazio.

19. I l paragrafo che segue (D. I I, 3 , r i p r. ) è piùcomplesso. Innanzi tutto, in esso sorprende un contrasto in-negabile t ra l'approvazione d i Ulpiano ad un'ulteriore spe-cificazione del pensiero d i Nerazio e l a motivazione d i sif-fatta approvazione.

Non v i è dubbio che, almeno a primo esame, i l prin-cipio attribuito ancora una volta a Nerazio sembra ribadirela prima soluzione negativa dello stesso giurista attestata daD. i i, , 9, 3, E se è così, i l fatto che Ulpiano, pe r mo-

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tivare la propria adesione a quella soluzione negativa, ado-peri un periodo in cui s i dice : nam e l verba edieli... omnedetrimentum recipiunt non può non apparire un nonsenso.

L'illogicità è tanto evidente d a aver determinato neicritici un duplice ordine d i soluzioni. D a u n la to , a lcun istudiosi (9s ) h a nn o s o st e nu t o essere r ad ic al me nt e compilato-

ria l'adesione d i Ulpiano. A l posto della quale, hanno con-getturato l'esistenza, nel testo originario, d 'un espresso dis-senso del quale la frase n a m-r e c i p i u n t , a p p u n t o , s a r e b b e l a

motivazione : e ciò, o mutando veram i n fa lsam (Lene°,ovvero aggiungendo a veram un non (Kaser).

Da un altro lato, invece, il Voci (9 9) h a r i t e n u t o g e n u i n a

l'adesione ulpianea, ma ha giudicato fuori posto, e quindi spo-stato alla fine dell'attuale fr. 9, 3, la motivazione n a m-r e c i p i u n t .

E' da avvertire — per fornire u n quadro esatto del lostato della dottrina - - che i l Lenel ha, i n relazione alla suadiagnosi e per coordinare D . i t, 3 , 9, 3 con D . 11, 3 , 11pr. (da lu i capovolto rispetto al valore attuale), proposto an-che di tagliar via, i n quesfultimo testo, le parole Nerat iusai t postea, e d i inserire un aulem tra [ur ta e Acta ( m ) ; men-tre i l Voci, dal canto suo, ha attribuito all' inizio del f r.pr. un significato diverso da quello evidente (e che, tra l'al-tro, ha motivato le diagnosi d i capovolgimento del Lenel edel Kaser) : l'eminente studioso ha, infatti, affermato che Ne-razio intendeva escludere (ed in ciò aveva l'espresso consen-so d i Ulpiano) dall'aestimalio dell'a. s. c. i furt i s u c c es-

(98) Soprattutto, LENEL, Paling-enesia, 11, p. 703 n. 2 ; con leggera

variante formale, cfr. anche KASER, OP. d i . , p . 183 ; c f r. , anche,SCHILLER, oft. cit., p. l o l LONGO, OP. cit., p. 149.(

99) Op. cit., p. 51.

( ' " ) L a proposta de l Lenel , per questo particolare, oltre tutto,non è assolutamente attendibile, presupponendo un g ra tu i to lavo-ro d i cesello da parte de i compilatori . I l Kaser, appunto, non l asegue, p u r accettando — come s'è visto — la parte sostanziale del-la diagnosi leneliana.

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s i v i a quelli compiuti dal servo per istigazione altrui : valea dire, tutt i i futuri furt i che il servo, ormai corrotto, avreb-be potuto compiere.

Entrambe le posizioni dottrinali esposte sono, a nostroparere, da disattendere. Quella leneliana, a parte i dettagliformali (bc"), perchè è da provare, altrimenti che con la setn-plice constatazione del contrasto, una così sostanziale altera-zione. D i essa, invece, naturalmente, si sarebbero dovutespiegare le ragioni. Del resto, lo stesso Lenel — che eviden-temente fa leva sulla motivazione nam-recipiunt, ritenuta ge-nuina, p e r capovolgere l'adesione ulpianea precedente —deve riconoscere che, proprio i n quella motivazione, è, al-meno, alterata la parola edicti, sostituita, a suo giudizio, al-l'originario formulae. Ne segue che, salvo miglior dimostra-zione, la proposta leneliana non è da seguire, potendosi — senon altro — sempre pensare, in base alla semplice consta-tazione del contrasto che h a determinato l a soluzione delLene', che alterata sia, a l contrario, la motivazione nam-re-cipiunt, e genuina l'adesione ulpianea.

Dicevamo : « salvo miglior dimostrazione o : è quanto hatentato d i fare i l Kaser. Questo studioso h a corredato l asua sostanziale accettazione dei risultati de l Lene ' de i se-guenti motivi : a) l'esistenza della motivazione nam-recipiunt;b) l'esistenza d i testi ulpianei (D. I l , 3, l i , i e 2) e pao-lini (D. I l, , i o ) c he p ro va no come i g iu ri st i classici se-

guissero una strada opposta a quella di Nerazio, ammetten-do una aestinzatio ampia.

E' facile obiettare : a) l'argomento è, come si disse, ri-torcibile : non può essere itp. la motivazione ? b ) i l testopaolino va lasciato da parte, sia perchè è possibile addurne

(iOI) Cfr. la nota precedente; inoltre, la connessione postulatadal Lenel con l'inserzione d i aulem, è imprecisa : avrebbe dovutodirsi, semmai, enim o simili.

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altri dello stesso giurista d i valore d e l t u t t o contrario (ades. D . 11, 3, 14, 5 e 8) ; sia, soprattutto, perchè Paolo non

Ulpiano, e può aver avuto idee diverse a riguardo del lanostra quaestio ; per quanto riguarda, poi, i testi ulpianeicontrastanti — e precisamente i frr. i r, i e 2 - essi, comesi vedrà, sono gravissimamenti sospetti.

Circa la posizione del Voci, d'altra parte, è da osser-vare, innanzi tutto, che non si capisce perchè s i dovrebbeconsiderare « fuori posto » l a motivazione nam-reciplunt. I lVoci dice che essa dovrebbe andare a l la f ine del f r. g, 3.Ma questo è impossibile, perchè si stabilirebbe, in t a l mo-do, in ogni caso, t ra l'affermazione d i Nerazio (fr. 9 , 3tanti condemnandum corruplorem, quanti servus... minorise la motivazione che i l Voc i vorrebbe spostare a questopunto, un contrasto altrettanto stridente di quello che ora esi-ste tra le due parti del f r. i i p r . . Ma è l'interpretazionedell'inizio d i quest'ultimo testo fornita dal Voci, soprattutto,che va analizzata. Interpretare quell'inizio n e l senso d i « ifurti fatti successivamente » è cosa che i l Voci può fare consicurezza poichè egli si è rappresentato i l contesto d e l 1r.

pr. in modo diverso da quello che risulta dalla sua ef-fettiva redazione. Ciò è provato testualmente dal f a t t o chelo studioso in questione scrive : « se Ulpiano dice f u r i ap o s l e a fac la n o n può riferirsi ai furt i suggeriti dal cor-ruttore e può quindi nella decisione trovarsi d'accordo conNerazio, dal quale dissente, si, ma in un punto diverso » ( "2) .Senonchè, i l testo dice N e r a t i u s a i l poslea f u r i a f i u t a —(non fur ia postea facta); e l'interpretazione più naturale del-le parole de l testo (interpretazione del Lenel, del Kaser,dello Schiller, del Longo) appare essere : « successivamente,Nerazio dice che i furt i commessi... ». I n conclusione, la p0-

(102) Era questa già — si noti — l'interpretazione della Glassa

ordinaria, ad li. e,.

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— 7 4

sizione del Voci è anch'essa (sebbene, come si vedrà, per noi,molto più vicina al vero della precedente) assai dubbia.

Se, dunque, non ci dichiaramo convinti dalle diagnosifin qu i formulate per D. i i, 3 , r i p r . , è p o s s i b i le d a re r a-

gione in modo persuasivo del contrasto palese che — que-sto è certo — rende insostenibile l'attuale contesto ?

E' opportuno premettere — soprattutto pe r n o n averl'aria d'aver criticato con sufficienza i pareri (del resto, mol-to acuti e degni d i riguardo) degli studiosi o r ora chiamatiin causa — che, non meno del Lenel, del Kaser e del Voci,anche noi siamo necessariamente forzati alle congetture, da-to lo stato dei testi.

Sappiamo già, per que l che osservammo a r iguardodella probabile soppressione d i parte della trattazione ulpia-nea in questo punto (cfr. supra, 1 6 ) , come i l discorso ul-piane° abbia qui attratto la particolare attenzione dei com-pilatori. Possiamo inoltre — ed è i l caso d i r i levarlo e -spressamente — confermarci nel la certezza d i u n a intensaopera compilatoria su questo tratto del commentario ulpia-neo, osservando che i commissari imperiali hanno interrottoil discorso d i Ulpiano in D . I I, 3, 9, 3, inserendovi un luo-go paolino (D. i t, 3 , i o ) , sul quale dovremo fermarci, madel quale si può dire, f in d'ora, che in esso traspare, cer-tissima, una soluzione al problema della aestimatio i n sen-so radicalmente opposto a quella di Nerazio, e cioè nel sen-so d i una aestimatio ampia.

Viene spontaneo chiedersi perchè mai i compilatori, sela soluzione ulpianea originaria fosse stata — come, i n fon-do, concordemente vogliono tut t i g l i studiosi a l cui pensie-ro c i siamo riferiti o p p o s t a a quella d i Nerazio (e cioè,se Ulpiano propendeva per una aestimalio ampia), s i s iandati la cura d i inserire al punto decisivo, subito dopo la no-tizia della soluzione restrittiva d i Nerazio, la opinione di unaltro giurista (Paolo). E altrettanto spontaneo è pensare che

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a ciò s i siano indotti, invece, propr io perchè U lp iano con-divideva l'opinione restrittiva d i Nerazio, da essi respinta.

Questa congettura d i massima dà ragione dell'inserzio-ne compilatoria del f r. i o e — quel p iù che conta f a ap-parire in ben altra luce quell'adesione ulpianea (quam sen-lentiam veram tu /o ) contenuta nel f r. I I p r. , che i l Lene!,con quanti l o hanno seguito, voleva capovolgere, e c h e i lVoci voleva riferire soltanto ad un problema particolarissimo.

Supposta — come abbiamo fatto — invece, una adesio-ne piena d i Ulpiano a Nerazio nel testo originario, i l p r o -blema della motivazione, stridentemente contradittoria, con-tenuta nello stesso f r. I i p r . può esser r isol to, i n v i a d icongettura, ritenendo che quella motivazione è — come, delresto, ha già, su altre premesse, ben intuito i l Voci — estra-nea a l contesto originario. M a — ed i n questo c i distacchia-mo, naturalmente, da l Voc i — estranea, non n e l senso cheessa è fuori posto, bensì nel senso c h e essa è d i fa t turacompilatoria. Rappresenta, in sostanza, la conclusione espres-sa dell'opzione giustinianea per la soluzione opposta a quelladi Nerazio (ed Ulpiano) ; opzione che traspare, con evidenza,dall'inserzione del f r. Io nel bel mezzo del discorso ulpianeo.

E' faci le, tuttavia, rendersi con to c h e l' interpolazioneda noi sostenuta per la motivazione n a m-r e c i p i u n t ( i n t e r p o -lazione della quale è possibile fornire anche qualche i n d i -zio formale ( In ) , m a non trascurabile) non risolve i l contra-sto, da cui siamo partit i , t ra l ' inizio e la fine del f r. i i pr..Solo, sposta la spiegazione d i esso sul piano del d i r i t to del-la compilazione, piuttosto che su quello del d i r i t t o classico

( "3) Edicli è fuor di posto, come ha visto LEMEL, I. c., in una

fase della trattazione dedicata all'analisi della formula; ma soprat-tutto, si badi alla banalità, in sè e per sè, della motivazione, che,se esatta, vanificherebbe ogni possibilità d i qudestio in materia d iaeslimaíio, contrariamente all'espressa attestazione d i D . 11, 3, 9, 3.-

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e del pensiero ulpianeo. I n altre parole, come si r isolve i lcontrasto, nel sistema della compilazione ?

A questo punto, viene opportuno i l ricordo dell ' inter-pretazione già citata degli studiosi medioevali, al riguardo.Si sa quanto infallibile sia, d i regola, l'interpretazione r i -specchiata dalla Glassa ordinaria, per quel che attiene al dirittogiustinianeo. Dicemmo, si ricorderà, che la Glossa, appunto,aveva, preceduto i l Voci nell'interpretare la frase : Neratiusai/ postea fur ia fatta..., nel senso d i « Nerazio dice che ifurti fatti successivamente... » : come il Voci invertiva l'ordinedelle parole ( fur ia poslea fatta), così la Glossa inserisce unavirgola nel contesto (Neratius ail, postea f u r i a fatta...) Orbe-ne, l'interpretazione in questione è, per noi, corretta e incon-futabile per i l diritto giustinianeo. Basta riflettere all'eviden-te nesso tra i l postea d i cui discorriamo e tutto i l paragra-fo successivo (D. i t, 3, ii , t ) , o v e — s i b a d i — r i c o rr e p r e-

cisamente i l medesimo termine (tostea), e questa vol ta conl'indubbio riferimento ad atti illeciti de l servo indipendentidalla corruzione altrui, ma ad essa successivi.

A questo punto, si potrà obiettare : e perchè non rite-nere — come è più semplice — che i l Voci abbia ragione, eche i l postea del f r. i i pr nel senso della Glossa e del Vocisia ulpianeo, ed ulpianeo l'intero discorso d i D . I l , 3, i l ,t, allo stesso Postea ispirato ; e perchè, pertanto, non l im i -

, tarsi all'espunzione della motivazione nam-recipiunt d i cu i ,del resto, noi stessi sosteniamo l'intrusione, senza per altrosupporre una originaria adesione integrale di Ulpiano al pen-siero d i Nerazio ?

Rispondiamo : anche noi saremmo per la soluzione piùsemplice ; senonchè : a) interpretare i l poslea de l f r. i i p r .nel senso della Glossa e del Voci, e per noi di Giustiniano,una necessità cui ci si può acconciare nei riguardi del cat-tivo latino postclassico, ma è impossibile su l piano del l in-guaggio ulpianeo ; b ) l'inserzione del f r i o nel mezzo deldiscorso ulpianeo è un indizio troppo forte d i u n interven-

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to sostanziale compilatori° perchè noi possiamo a cuor leg-gero ammettere che Ulpiano divergesse da Nerazio c ) l 'a-desione d i Ulpiano a. N e r a z i o è t r o p po f r a nc a e i n c on d i z io -

nata (quam sententiant verant puto) perchè la si possa restrin-gere ad un sol punto ; d ) questo stesso punto a cui si re-stringerebbe — per Giustiniano, e per la Glossa ed i l Vo-ci — l'adesione d i Ulpiano a Nerazio, è, del resto, indegnodi riflessione per un vero giurista, non potendosi per certodiscutere seriamente d i una specie d i responsabilità eternaed indeterminabile, a meno d i esser profeti (1 0 4) , p e r t u t t i i

malestri futuri d i un servo che taluno abbia, una volta, i -stigato a commettere un atto illecito ; e) il fr. t i , i è — ri-petiamo quel che dicemmo poco più su — • troppo gremitodi difetti perchè si possa considerarlo classico, e pertanto, sipossa assumerlo come prova d'una divergenza t ra Ulpianoe Nerazio (come esplicitamente fa i l Kaser, secondo quantosi è det to p i ù s u , e come implicitamente fanno i l Lenel,quanti lo seguono e lo stesso Voci) : l o dimostreremo, delresto, t ra poco.

Se quindi siamo forzati a seguire una via p iù comples-sa è per fondate ragioni.

Quali sono, i n sostanza, le conclusioni cui conduce lavia in questione ? Anche i l poska d i D . T t, 3, i i p r. è - -come la motivazione n a n t-r e c i p i u n t — f r u t t o d i u n a i n s e r-

zione compilatoria, la quale è ispirata dal contenuto del suc-cessivo f r. i t, i d i origine, con estrema probabilità, glos-sematica. I n sostanza, noi pensiamo che i compilatori si tro-varono di fronte ad un testo ulpianeo (D. i t, 3, 9, 3 + D. i i,3, i i p r. ) press'a poco d i questo tenore : Sed quaestionisest, aestimatio u i run t eius dunttaxat f i e r i debeal, q u o d ser-

(iO4) E' interessante notare come questo punto sia acutamenterilevato dal Voci , L c., i l quale, peraltro, non n e desume quel lache a no i sembra l 'ovvia conseguenza : che , cioè, nè Neraz io n eUlpiano potevano seriamente porsi quel problema.

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- 78 -vus i n corpore ve l i n animo damni senserit, h o c est quanto

vit ior servus factus sii', a n vero et ceterorum. E t Neratiusa i ' tant i condemnandum corruplorem, q u a n t i servus [0B-sii ]minoris s i i (1 0 5) . N e r a ti u s a il [ f t os t ea ] f ur ia facta in aesti-

mationem non venire. Quam sententiam veram Auto.Pensiamo ancora che a questo testo accedesse, incorpo-

rata, una glossa consistente nell'attuale D. i i,3 , I I , I, g l o s -sa che poneva, e risolveva ovviamente, un futile problema.

Riteniamo, infine, che i compilatori, non condividendoper nulla le soluzioni d i Nerazio e Ulpiano, t roppo restrit-tive ai loro occhi ( "6) , a b b i a n o i n s e r i to a m e tà d el d i sc o r-

so la soluzione estensiva di Paolo, rappresentata ancora dal-l'attuale D. i x , 3, i o ; abbiano falsificato l'adesione d i 131-piano a Nerazio inserendo u n Ab o s t e a n e l f r . i i p r . , p o s i e a

in base al quale fecero apparire Nerazio e Paolo preoccu-pati d i quello stesso futile problema cui si riferiva la glassa

(05) Si ricordi, però, quanto si è detto suftra, 17, su alcuni

difetti formali del testo e su possibili mutilazioni da esso subite.( "6) Non è da pensare, però, che, sostanzialmente, l'opinione

di Nerazio e Ulpiano rappresentasse, dal pun to d i v is ta prat ico,un grave inconveniente per i l padrone del servo corrotto. In ogn icaso, gl i competerà, per le cose sottratte dal servo, siano esse f i -nite i n mano a l corruttore o in mano a terzi, l 'a. f u r t i : contro i lcorruttore o cont ro i terzi. Se, poi, dal consiglio doloso, i l servosia stato indotto a danneggiare cose del padrone o d i terzi, i l do-minus sarà tutelato egualmente : nel primo caso con l'a. legis Aqui-liae ut i l is ; nel secondo, comprendendo nell'aestimatio del l 'a. s, c.l'Intero valore del servo (che egli avrà facoltà d i consegnare i nvia nossale al terzo danneggiato che agisca contro d i lu i ) . Se, in -fine, i l servo — per istigazione al t ru i a b b i a derubato u n terzo,anche in questo caso, i l dominus convenuto col l 'a, f u r t i no_valispotrà liberarsi operando la no_tue dediti° e potrà convenire l'istiga-tore con l'a. s. c. per i l doppio de l valore — annullato, appunto,attraverso l'esposizione all'abbandono nossale — del servo.

Queste considerazioni dovranno esser tenute presenti a pro-posito del problema dell'eventuale concorso d i azioni.

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contenuta nell'attuale D . I l , 3 , t t, i (1 0 7) ; e d a b b i a n o ,

per ultimo, sanzionato la loro scelta in favore della valuta-zione estensiva del l ' aestimatio dell 'a. s. c. con la, alquantobanale e scorretta, motivazione n a m-r e c i i 5 i u n t .

Con questa, non semplice (ma, a noi sembra, assai pro-babile) congettura, tentiamo di renderci ragione della primaparte del lungo squarcio ulpianeo che abbiamo incominciatoad esaminare nel § 17. Strettamente connessa a l la d imo-strazione o r ora svolta è l'indagine — i cui risultati parziali,del resto, son stati già anticipati nel corso delle pagine pre-cedenti — sulla seconda parte d i quello squarcio, e precisa-mente sui f r r. D . X I , 3, l i , I e 2.

20. I l ft-. r i , i è stato — e davvero in modo inspie-gabile — considerato senza sospetto alcuno, si può dire, dalladottrina, e fino a tempi a noi molto vicini (1 0 8) .

Anzi, si può aggiungere che implicitamente ed esplicita-mente (Kaser), esso è stato posto a fondamento delle posi-zioni dottrinali recenti relativamente alla valutazione del pen-siero ulpianeo a riguardo dell' aestimatio dell'a. s. c.

Eppure, in esso, v i son vizi tali da sollecitare i più gravisospetti. Solo recentissimamente, nel corso d i u n ampio einteressante studio, i l Longo ( l " ) ha, d a molt i pun t i d ivista, a nostro avviso, con piena ragione, elevato d e i so-spetti radicali sul nostro testo. Egli ha ritenuto, precisamente,

(IO) A ciò, certo, essi furori t ra t t i dell'erronea valutazione del-l'attuale f r. i x , 1, la cu i origine glossematica, certo, non percepi-rono (ne, forse, potevan percepire).

(08) V. un sospetto — incredibile, però — dello SCIIILLER, OP.

cit., p. 84 n. 40: i l quale vorrebbe sostituire a l videlicel uno s t i l i -cel, sulla fede dei repertorii (HEUMANN-SECKEL e GOARNERI-CITATI)che ri levano la predilezione bizantina per videlicel. Ma lo Schil lernon spiega perche m a i i bizantini s i sarebbero dedicat i a s imi -li r i tocchi.

( i ") o p . cit., p. 156.

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che la parte d i esso che va da Sed s i alla f ine, c ioè pro-prio la parte in cui si escluderebbe l a responsabilità del loistigatore in ordine ai malefici commessi, indipendentementee successivamente, dal servo, sia una interpolazione sostan-ziale, corrispondente alla volontà compilatoria d i « limitareprecettivamente la portata del testo, mediante la distinzione »(« tra risarcibilità dei danni diretti e danni indiretti »).

A -f on dame nt o di questa esegesi, il Longo rileva difetti

formali (l ' introduzione con sed s i ; consuetzuz'o peccandi ; eele-raque s imi l ia ; dicendum eri i . . .non tener i) ; e , da l p u n t o d ivista sostanziale, la circostanza secondo la quale l a dist in-zione fra danni diretti e indiretti è, anche in altri ed accer-tati esempi, frutto d i interventi giustinianei.

Per vero, a noi è sempre sembrato poco probabile checompilatori — specie nel Digesto che non aveva f ini didat-

tici — abbian potuto perdere il loro tempo ad alterare dei testiintroducendo questioni che essi stessi, poi, avrebbero conside-rato irrilevanti, o negativamente risolto; sicchè non saprem-mo, i n base al solo indizio sostanziale affermato dal Longo,accedere alla diagnosi accennata. Gravi, invece, sono alcunidegli indizi formal i r i levat i d a l Longo (1 1 1 3) . A l t r e t t a n t ogravi, del resto, se ne possono notare anche nella parte ini-ziale del f r. i i , t . S i rifletta, infatti, in primo luogo, ad unacuriosa circostanza l ' a t t o suggerito al servo è designato conil verbo corrumpere (chirograja). Ora, non è chi non veda lainopportunità, anzi la goffaggine, di simile designazione, men-tre si è in tema d i a. •s• e.; e quindi, mentre i l termine cor-rumpere è specifico per l'azione dell'istigatore, non g i à perquella del servo mal consigliato. Ciò è tanto più mal scrittoin quanto, da un lato, chi ha redatto i l f r . i t, i possiedeuna, perfino eccessiva, ricchezza lessicale per designare a l -trimenti quel corrumpere chirografa (s i parla subito dopo,

(110) Consuetudine Abeccandi; ceteraque dicendum erit...

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8 —

infatti, d i interlinere e d i ardere, oltre che di sublraltere); edin quanto, da un al t ro lato, la parola corruftfor è adoperatanel seguito del testo per designare l' istigatore, e n o n g i àcolui che è stato indotto al preteso corrumftere ehirograla ( " l ) .Si può attribuire ad un giurista classico questo grossolanoed affrettato modo d i esprimersi ?

Inoltre : che senso avrebbe mai, ove i l testo fosse ge-nuino, l a brachilogica espressione videlicel ienebor ? Non ècerto l'esistenza d'una responsabilità con la nostra azione cheè in discussione, bensì l'ampiezza d i quel la responsabilità.Dire che l'istigatore sarà tenuto è d i r troppo poco, quandola questione d i fondo era s i r icordi i l filo del discorso ul-piane° a e s i i n t a l i o utrum eius durntaxat f i e r i debeal gzeodservus... damni a n vero ci eeterorum (D. 1 1, 3, 9, 3).

Altrettanto — e p iù g rave ancora — l'incongruenza so-stanziale segnalata appare, ove s i pensi a l tenore del para-grafo immediatamente precedente. E d invero, se quel para-grafo (D . i t, 3 , t i p r. ) lo consideriamo ( p e r assurdo — anostro avviso) genuino, esso non può certo costituire la ba-se per una pronta comprensione dell'espressione via'elieet le-nebor : giacchè — in quel caso — il ft-. i i pr. avrebbe sempli-cemente i l valore d i escludere i danni provocati indipenden-temente dal consiglio (postea lierta fatta, nel senso g i à v i -sto) ; e nel precedente discorso attribuito a d U lp iano n o nsi t rova nulla che affermi la responsabilità — sia pur i n mi-sura ridotta — per i danni cagionati dal comportamento delservo mal consigliato (1 1 2) . P e g g i o v a n n o l e c o se s e c o ns i -

(111) Del resto, è scorretto anche il passaggio dal discorso per-

sonale concreto t persuasi) a l discorso impersonale e astratto (cor-ruplorem).

142) E' da notare che il fr. 9, 3 si riferiva alla sola diminuzio-

ne del prezzo del servo ; mentre i l f r. i i pr. già darebbe p e r r i -solto i l problema della valutazione di altr i danni e s i l imiterebbesolo a negare l'inclusione dei furt i realizzati successivamente.

OMACIGJOStorú t i& g3fri'st,UrsOgirtila P l b w r n o

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— 8 2 -

deriamo quel f r. i i p r. nel suo probabile contenuto genui-no originario (cfr. supra, § r g ) : allora, l'espressione vide-licei tenebor appare ancora più aberrante, seguendo diretta-mente all'esclusione d i ogni valutazione degli atti illeciti sug-geriti al servo.

In ogni caso, quindi, la soluzione videlicei tenebor a p -pare sgraziata, sommaria ed oscura.

Se sommiamo questi motivi formali e sostanziali a quel-li formali, rilevati acutamente dal Longo ; e se, inoltre, r i -chiamiamo quel che già si disse sulla corrispondenza sospettatra i l 15ostea, equivocamente collocato ne l f r. i i pr_, ed i lpostea di D . i r, 3 , r r, t , l'unica soluzione possibile c i sem-bra quella d i considerare una glossa — germogliata i n u nclima giuridico in cui la soluzione restrittiva d i Nerazio edUlpiano era disattesa — l'intero fr_ i i, 1 . Corrispondente-mente, i l f r. 1 I p r. appare sempre meglio essere u n adat-tamento compilatori° d'un ben diverso testo ulpianeo a l lesoluzioni ed allo stesso tenore formale della glossa rappre-sentata dal f r. t i , r . L'adattamento in questione s i r ive labene nelle due alterazioni d i fondo già notate nel f r. i i pr.[postea]; [ n a m-r e c i p i u n t ] .21. E siamo, così, giunti all'ultimo tratto della parte inesame del commentario ulpianeo : D . l i , 3, 11, 2 .La critica ha, i n maniera inconfutabile, ri levato sva-riati vizi formali e sostanziali i n gran parte del testo (1 1 3) .L'esegesi dominante s i p u ò ancora considerare quella delLevy (11 4) , s eg u it a , ad esemp io, dal Kaser, e secondo la quale

( i13) Alle copiose indicazioni dell'Indes (I e Sappi.), ad h. t.,

aggiungi: KASER, OP. d i . , p. 183 n . 7 ; SCHEPSES, OP. r i t . , p . 125 ;SCHILLER, OP. d i . , p. 9 3 ; LON00, OP. ci i . , p. 146 ss..

(14) op. cu., I, p. 468 ss.; Il, i, p. 32 ss.. Di contrario avvi-

so — esattamente, ma a prescindere da ogni cr i t ica testuale — Vo-ci, oft. cit., p. 125 n . 4.

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si salvava integralmente l ' inizio Ouamvis -non m inu i t (1 1 5) ;si sospettava gravemente i l brano da Idern alla fine, dichia-randosi, peraltro, spurio con sicurezza solo i l tratto hoc am-plius -fine.

Il Longo ( "6) , i n v e ce , h a r e c en t i ss i m am e n te p ro po st o

di espungere l'intero paragrafo.Converrà. esaminare, soprattutto, la posizione d i questo

ultimo studioso. Sono gravissimi — e già rilevati, come si èdetto — gli indizi formali a carico della parte ia'em-fine. Sono,invece, meno persuasive le considerazioni del Longo sul re-sto del passo, ed in sostanza sull'intera struttura giur id icadi D . 11, 3, I l, 2 .A nostro avviso, infatti, non basta, per escludere, con ilLongo (1 1 7) , l a c l as s ic i tà del concor so tra a. s. c. e a. furti,

asserito nel nostro testo, affermare che l 'uno o l 'altro rime-dio avrebbe parimenti adempiuto la funzione risarcitoria, eche cumularli significherebbe esaltare un principio d i politi-ca legislativa diretto alla pubblica persecuzione dei fatt i de-littuosi. I l problema del cumulo t ra le azioni penali non puòesser negato così, senza indagini p iù ampie (1 1 8) ; n è n e g a t o ,soprattutto, i n assoluto ed in generale.

Piuttosto, per una esegesi p iù sicura del nostro testo,non bisogna, crediamo, perdere d i vista i l posto che i l f r.

2 occupa nel discorso ulpianeo. E quindi, ancor primache proporsi la questione generale della possibilità d i agireper la medesima fattispecie criminosa, con a. fur t i e con a.s. c., bisogna chiedersi i n che senso U lp iano poteva porsiun problema d e l genere. L a domanda — naturalmente —

( "5) Per la proposta di mutare minuit in consumi!, cfr. Index,

cit. (EisELE, LEvv).(416) Op. di., p. 146 ss.

(111) 015. cit., p. 149, da cui cito quasi letteralmente.

(118) Il LONGO si riferisce brevemente alla celebre opera del Levy,

ma non entra nel la questione sostanziale ; cfr. op. cit., p. 153 n. 81.

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si impone, sia in rapporto ai difetti già da tanto tempo ecosì persuasivamente rilevati dalla critica, sia — e più — inrapporto a tutta la dimostrazione che abbiamo svolto sin quiintorno al pensiero d i Ulpiano.

E' evidente, infatti, che, postulando (come abbiamo fatto)un'adesione ulpianea alla soluzione restrittiva di Nerazio, ab-biamo implicitamente già escluso che, in questo tratto, I.11-piano potesse ammettere la concorrenza tra a. s. c. e a. (u r l in e l s e n s o d e l t e s t o i n e s a m e . N o i non esclu-diamo che Ulpiano, d i fronte al caso di taluno che avessecorrotto un servo altrui (o g l i avesse dato rifugio), possa a-ver pensato presentandosene le premesse a d una even-tuale concorrenza dell'a. s. c. con l'azione di furto. Ma so-steniamo che, in ogni caso, Ulpiano avrebbe — in confor-mità alla sua adesione alla tes i restrittiva d i Nerazio — li-mitato l'aeslinzalio dell'a. s. e. a l doppio della diminuzionedi valore del servo (o, secondo quel che ci è parso più pro-babile nel caso del recipere, a l doppio del valore de l servomedesimo), salvo a valutare, invece, nell'aestimatio dell 'a._l'urli (sempre, ripetiamo, che ne ricorressero i presupposti),il multiplo del valore delle cose sottratte dal servo in seguitoal cattivo consiglio (ovvero, n e l caso de l servus receptus,delle cose sottratte dal servo e contrectalae dolo male dall'au-tore del reczpere) ( "9) .

Dunque s e pur per altra via n o i siamo d'accordocon i l Longo nel dichiarare l'alterazione grave, non solodelle parti d i D . I l, 3 , 1 1 , 2 g i à s o s p et t a t e d a ll a d o tt r i na ,

ma — ed anzi soprattutto — della parte iniziale (Quarnvis-abesse), che è quella, poi, che d à luogo a tut t i i ragiona-menti, piuttosto mal connessi, e pessimamente espressi de lseguito del frammento.

(io) O, naturalmente, del valore dello stesso servo, ove sia es-so oggetto d i ccmtrectatio.

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Del resto, ove non bastassero le ragioni desunte dal lanostra ricostruzione della posizione ulpianea , quel lo stessoche abbiamo or ora accennato in ordine al senso che, nelpensiero d i Ulpiano, avrebbe potuto avere, secondo noi, unproblema d i concorso tra a. s. c. e a. fun i , c i apre la stradaa rinvenire, indipendentemente, altre, ed altrettanto perento-rie, ragioni di condanna per la parte iniziale di D. t i, 3 , I l, 2 .

Si r i f letta p e r u n istante i n effetti — all'assurdo d iattribuire ad Ulpiano (quale che s ia stato i l suo pensierosull'aestimatio dell'a. s. c.) la posizione rispecchiata nel con-testo attuale a proposito dell'a. fur t i . Avrebbe potuto maiUlpiano — anche se avesse ammesso l'aeslimalio i n sensoampio nell'a. s. c. — parlar così semplicisticamente d i ressubtraciae, senza precisare affatto a chi fosse stata opera-ta la sottrazione ? Non sarebbe stato elementare distingue-re tra l'eventuale sottrazione operata ai danni d e l dominusservi e quella operata ai danni del terzo ? E le due ipotesinon avrebbero postulato un trattamento diverso ? Con la sot-trazione al dominus operata dal servo corrotto, in effetti, sor-geva, innanzi tu t to , i l problema della stessa possibilità d iesperimento dell'a. fu r t i , data la singolarità dell'ipotesi dellasottrazione in questione (1 2 0) ; e , c o m u n q u e, l a p o s i z io n e d el

terzo sollecitatore avrebbe dovuto esser discussa per stabilirese si può, ope consilio, rispondere per complicità i n un attodel genere (1 2 1) . C h e s e , p oi , si p o st u la s se invece l 'i po te si

che i l sollecitatore, ha, per suo conto, approfittato delle cosesottratte dal servo al dominus, è evidente che egli sarebbe,sì, responsabile d i furtum, ma non certo ope consilio. Egual-mente complessa è, infine, la questione, s e postuliamo, in-vece, che i l servo corrotto abbia sottratto qualcosa a d u n

(12O) Sul problema, v. in fra, 30.

(121) In senso affermativo, cfr. D. 47, 2, 36, i, e su di esso e

le *q ue st i on i relat ive, infra, 30.

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terzo. I n questo caso, naturalmente, i l &m inus serv i ha,certo, l 'a. s. c., per la corruzione, contro l'istigatore ; m al'a fur t i , invece, spetta i n v i a nossale a l terzo derubatocontro i l dominus servi, così come, eventualmente, g l i po -trebbe spettare ra. f u r t i °pie consilio direttamente contro l oistigatore. D'altra parte, i l dominus servi nei confronti dell'i-stigatore potrebbe far valere, con l 'a. s . t . , più che la dimi-nuzione del valore del servo, addirittura l'annullamento d ivalore conseguente all'eventuale noxae deditio che egli dovràcompiere in favore del terzo derubato, p e r evitare l a r e -sponsabilità moltiplicata cui potrebbe essere esposto, e chepotrebbe superare i l valore stesso del servo.

In conclusione, nella prima ipotesi (sottrazione delle resal dominus) e nella seconda (sottrazione delle re: ad un terzo),l'eventuale problema d i concorso tra a. f u r t i e a. s. t . s ipone in modo vario, profondamente diverso e comunquesuscettibile d'una complessa analisi, indipendentemente dallasoluzione che si accetti per l'aestimatio dell'a. s. c.

Tenendo presenti queste considerazioni, è per noi di as-soluta evidenza i l fatto che non si possa per nulla attribui-re ad Ulpiano, o ad un qualunque giurista classico (e menoche mai a quel Giuliano, i l cui nome è chiamato i n causaproprio in uno dei più aberranti passaggi (1 2 2) d i D . t t , 3 ,

t, 2), non solo la forma, ma soprattutto la sostanza attua-le, del nostro testo : ragioni d i scorrettezza formale, d i i n -coerenza con la più verosimile soluzione ulpianea d e l p ro -blema dell'aestimatio nell'a. s. c. e soprattutto d i profondainsostenibilità giuridica della stessa posizione delle ipotesi,vietano d i considerare testimonianza classica i l f r. i i, 2 .

(122) Giuliano e citato a proposito del servo receplus e celatus:

ipotesi che poneva, certo, data la vicinanza e la differenza t r a l efattispecie, problemi interessanti. Credo con certezza alterato, per-ché insensato, i l t ratto c i deleriorent f e d i ; cfr. m i ra , 3 0 .

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Anche ammessa qualche possibilità d i azzardare una ri-costruzione, almeno parziale, del nostro testo — e cioè am-mettendo che non si tratta (come vorrebbe i l Longo) d'unatotale inserzione postclassica — non è questa l a sede pe rtentarla (1 2 3) .

Piuttosto, al termine d i questo g i à troppo lungo d i -scorso sul tratto in questione del commentario ulpianeo,necessario rilevare come — sostanzialmente — l' affermazio-ne dell'inclusione delle res subtraelae nell'aestimatio dell 'a.s. e., testimoniata con disinvoltura — anzi, si direbbe, pre-supposta senz'altro en passata (Ouamvis...competat.. .)(124) —da D. 11, 3, i i, 2 , n o n p o s sa r i c o l le g a r si ad a lt ro che a

D. i t, 3, l o , testo paolino affermante l'aestimalio con cri-teri ampi, e che, appunto per questo e per la sua inserzionecompilatoria a l momento decisivo, nonchè per tutte le con-formi testimonianze che in seguito vedremo, ci si rivela co-me i l centro delle predilezioni giustinianee in ordine ali' ae -stimati° nell 'a. s. e.

22. S i capirà, allora, perché, a questo punto, tornandoper un istante indietro rispetto all'ordine de l Digesto, sianecessario fermarsi proprio su quel testo d i Paolo.

D. t i , 3 , IO (Paul . 19 ad Ed.): I n hoc iudicium etiamrerum aesl imal io veni t , quas secum servus abslul i t , q u i aomne darnnum dup la tu r, neque interer i t , a d eum 1)erlatae

jue r i n t res an a d al ium sive eliam consumplae e l e n i m

(123) Del resto, per la sostanza, i cenni dati più su forniscono

le linee essenziali delle nostre opinioni. Torneremo s u l testo, i n -fra, 3 0 .

e24) Va da sè che anche questo disinvolto procedere — inso-

stenibile proprio perchè, nel commentarlo ulpianeo, pure nella re-dazione alterata a no i trasmessa d a Giustiniano, non v ' è tracciadell'affermazione a cui l a f rase Quamvis-competaí pretenderebberiferirsi — è non ul t imo indizio della non genuinità di D. t i , 3, Ti, 2.

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iustius est eum teneri, q u i princeps f i e n i deUcii, quam eumquaeri, a d quem res perlatae sunt.

Il frammento è stato attaccato dalla critica, per motiviformali, nella sua parte finale (elenim-sunt). Argomentandodall'eienint, o dal valore della parola l'ustius, o dall'espres-sione princeps delicti, l'Albertario, soprattutto, ed i l Dona-tuti (1 2 5) hanno giudicato una intrusione la chiusa del testo.

E' strano come nessuno de i due studiosi, nè alcunodi quelli che l i hanno seguito (1 2 6) , a b b i a r i l e v a t o c h e , a l

di là degli indizi formali, quella chiusa è certamente spuriaper motivi sostanziali : sarebbe, infatti, del tutto impensabi-le convenire con l'a. s. e. i l terzo, cui eventualmente sianstate portate le cose sottratte dal servo corrotto, non fosseche per i l fatto che i l terzo non aveva posto i n essere a l -cuna corruzione !

Anche la parte immediatamente precedente. da neque-intererit a consumplae sint , è certo manomessa (1 2 7) .

Si può, infine, aggiungere che la motivazione quia-du-platur appare ingiustificatamente assertiva, ed anzi r icordada vicino quella simile (nam-reciplunt) d i D . i r, 3 , il p r . ,già da noi giudicata compilatoria (cfr. supra, 1 9 ) .

Vien fatto, allora, d i considerare come •rielaborazioneformale compilatoria i l tratto neque-sint, epostclassica i tratti quia-dupiatur e elenim

Il pr incipio che I n hoc ludicium eliam(io venii, quas securn servus absiul i i — l'unico

come-sun/.

rerum

creazione

davveroaestima-

im-

(125) Per le citazioni particolari, cfr. Index, ad h.

(v2g) SCHILLER, op. cit,, p. 'or; Voci, op. cil., pp. 50-5t LON-

00, OP. cit., p. 150. Cfr. anche KASER, OP. cil.,pp.183-184 e 184 11. 8,che, con buoni motiv i formali, estende la diagnosi d i alterazionea partire da neque; forse, un sospetto in questo senso era g là : i nDONATUTI, Anns Perugia 33 (1921), p. 389.

(t") v . i r i l ievi formali, stringenti, accennati parzialmente d a lDONATUrt e p iù comniutamente dal KASER : cfr. n . 126.

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portante, poi, nel contesto attuale — gode invece — a pre-scindere dall'impeccabile forma — d'una salda presunzionedi genuinità sostanziale, soprattutto per i l fatto d'esser sta-to inserito dai compilatori nel mezzo dello squarcio ulpia-neo or ora studiato. E ' facile rilevare, infatti, che, se i l prin-cipio che ci interessa dovesse ritenersi d'origine compilato-ria, non si capirebbe affatto perchè mai i compilatori nonavrebbero operato l a l o ro innovazione sostanziale diretta-mente sul testo ulpianeo, piuttosto di darsi la pena d i i n -serire, a mosaico, i l frammento paolino dopo averlo sostan-zialmente interpolato.

A d i più, a favore della genuinità del tratto iniziale diD. i t, 3 , i o milita un'altra presunzione d i qualche peso :quella, cioè, costituita dalla notizia ulpianea (cfr. D . 1 , 3,9, 3 ) dell'esistenza d i u n a quaestio intorno all'aestimatio.Ora, se tale quaestio non si può affatto far consistere — co-me abbiamo tentato d i dimostrare fin qui — in un contra-sto tra Nerazio e Ulpiano, è ben probabile che essa, inve-ce, consistesse in un contrasto t ra una corrente d i cui eraportavoce Ulpiano ed un'altra corrente d i c u i e ra rappre-sentante Paolo.

Infine, sempre a favore della genuinità del la frase I nhoc-abstulit del nostro testo, si può addurre, per que l chevale, la testimonianza costituita da D. I l, 3 , 1 2 ( P a u l . 1 9ad Ed.) — brano che, probabilmente, era strettamente con-nesso, nell'originale, a D . X l , 3, IO. D . 1- t , 3 , 1 2 s u o n a :quia manet reus obligatus el iam rebus reddi t is, e stabil isceun principio che ben p u ò — sostanzialmente — connettersia quello della inclusione nell'aestinzatio dell'a. s. c. delle co-se sottratte dal servo pervertito al proprio padrone. I l com-plesso d i D . i i , , i o , nella parte p iù probabilmente ge-nuina s o s t a n z i a l m e n t e (1 2 8) , e D . 1 1 , 3 , 1 2 d à u n

(128)•In hoc iudicium eliam rerum aestimatio miti/ quas secum

servus abstulit (genuino) [quia-duplatur, n e q u e intererit ad eum

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9,3senso generale ben chiaro ed accettabile : affermazione della

possibilità d i includere nell'aestimatio dell'a. s. c. le cose sot-tratte dal- servo al dominus, anche in caso d i passaggio aterzi o d i perimento d i esse : e ciò perchè, anche nell ' ipo-tesi d i eventuale restituzione delle cose stesse a l dominus,l'illecito del corruttore permane egualmente.

Ci sembra, in conclusione, che esistono ragioni g rav ie molteplici a sostegno della genuinità del la testimonianzapiù importante dataci da D. i , 3 , i o . Paolo, effettivamen-te, doveva r i tener possibile ampliare l'interpretazione d e lquanti ea res eri / (o M i ) della formula della nostra azione,fino ad includervi l ' aestimatio delle cose sottratte dal servoal padrone. S i afferma, così, l'esistenza d'un contrasto d e -ciso t ra Paolo e Ulpiano.

23. I l problema dell'aestimatio - almeno dal punto d ivista dell'accertamento testuale del le originarie posizioni d ifondo — potrebbe considerarsi chiuso con l e affermazioniprecedenti : esistenza d'un contrasto giurisprudenziale t ra cri-terio restrittivo e criterio ampio, i n età classica ; scelta giu-stinianea, realizzata i n via d i alterazioni e d i inserzioni, peruno dei due criteri, precisamente per i l p iù ampio. C i t r o -viamo d i fronte, quindi, ad un interessante caso di interven-to sostanziale sui testi che, però, non innova rispetto a so-luzioni classiche, sia pure non incontrastate.

Prima, però, d i poterci dichiarare, senz'altro, sicuri d isimili conclusioni, bisogna tener conto d i un ult imo proble-ma esegetico. Esso è costituito da una serie d i testimonian-ze espresse, attribuite a Paolo, proprio in tema d i aestima-tio della nostra azione, e delle quali occorre esaminare l acoerenza, o meno, sia tra dì lo ro , sia c o n D. i i , 3 , l o e

pertatae fuer in t res an a d alium sive eliam consumplae s in t (riela-borato formalmente).

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9 I —

D. I l , 3 , I 2 (e le affermazioni paoline i n essi, secondo noi,contenute).

Tali testimonianze sono incluse nello squarcio D. 11, 3,14, 5 -9 , del quale occorre quindi subito occuparci, a p re -scindere dall'ordine d e l Digesto. A l sol i to, riportiamo i n -nanzi tu t to i testi.

D. J i, 3 , 14 (Paul . 19 ad Ed.): 5. In hac actione non

extra rem dzeplum est : ic l enim quod damni datum es t du -plalur. 6 . H i s consequenter e l i l l u d probatur, u t , s i servo7,1e0 bersuaseris, u t Ti / i o fur tum facial, n o n solum i n i dteneris, qua delerior servus effectus est, sed e l i n i d quot iTi/io praesiaturus sim. 7 . I tem non solunz s i nzihi damnumdederit consilio tuo, sed etiam s i extraneo, eo qua que nomi-ne m ih i teneris, quoti ego lege Aqu i l ia obnoxius sinz : aut siex conduci° leneor alicui, quoti c i servum locavi e t propterle deterior factus si i , teneberis el hoc nomine, e t s i qua l a -ha sint_ 8_ Aestimatio autem habetur i n h i t t actione, quan-ti servus v i l ior factus s i i , quod a f f i do iztdicis expedielur.9. Interdunz 'amen e t s i i , u t non expedial talemservum habere. U i r u m ergo et Ab r e t i u m c o g i l u r d a r e s o f f i c i -

et servum doininus lucr i faci l , a n vero cogi debet do-minus restiluere servum et prel ium serv i accipere E l ve-rius est electionem domino dai-i, sive servum detinere cupi/el damnum, quant i deterior servus factus est, i n duplum ac-cipere, ve l servo restituto, s i copiam huius r e i habeal, pre-lium quidem s im i l i modo accipere, cedere autent sollicitatoripericulo eius de dominio servi actionibus. Quot i /amen de re-stitutione hominis dicitur, lune locum habet, CUM homine vivoagitur. O u i d aulem s i manumisso e o aga tu r ? N o n fac i leaftud iudicem audietur dicendo ideo se manumisisse, quoniamha bere noluerat domi, u t et pretium habe al e l libertum.

La lettura d i questo brano non manca di suscitare, im-mediatamente, l e più gravi perplessità. Basta considerare, perora — ed anche a prescindere, da o g n i a l t r a osservazioneparticolare — come, in esso, si contengono due b r.e v i d i c h i a -

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razioni (quella del § 5 e quella del 8 ) che sembrano, inmaniera estremamente decisa, testimoniare per una interpre-tazione restrittiva dell' aestimatio, n che, in conseguenza, ap-paiono in grave contraddizione sia con quella che n o i ab-biamo supposto esser stata l'autentica posizione paolina, ar-gomentando già dalla intercalazione d i D . i t, 3, io nel mez-zo del commentario ulpianeo s i a con i l contenuto inequi-vocabile dello stesso D . i i, 3, i o ; s ia, infine, con i l con-testo stesso in cui quei paragrafi 5 e 8 son contenuti.

La gravità dell'affermata contraddizione apparirà -conparticolare evidenza sol che si leggano, d i seguito, questeaffermazioni

a) I n hoc iudicium el iam rerum aestimalio venil, quassecum servus abstuli i . . .. ( D . l l , 3 , l o )

b) I n hac actione non extra rem d ult l u m e s l . . . ( D . i i ,

3, 14 , 5)

c) H i s consequenter...non solum i n i d teneris qua de-terior servus effectus esi, sed eliam i n id . . . (D. i r, 3, 14, 6)

d) Ilem...eo quoque nomine m i l t i leneris, quod egolege A q u i l i a obnoxizts sim... ( D i I, 3 , 1 4 , 7 )

e) Aestimal io autem habetur i n k a c act ione q u a n l i,servus v i l i o r factus si i , quod officio iudicis expedietur (D. i i ,3, 14 , 8) .

Si capisce facilmente quanto sia viziata — e addiritturascoraggiante — l'attuale stesura del passo che c i interessa.Si ripete, i n sostanza, aggravata, la stessa intrinseca con-traddizione già rilevata nel parallelo passo ulpianeo (D. i i,3, 9, 2 e 3 + D. 11, 3, i i p r. - 2). E come, nel caso d e ipassi ulpianei, un chiarimento venne dalla distinzione t r a itratti originarii, i tratti glossematici ed i tratt i compilatorii,analoga strada deve anche questa volta seguirsi.

Dato lo stato eccezionalmente intricato e difficile d e itesti, è necessario fissare quelli che, sulla base d e i prece-denti risultati, possiamo considerare pun t i fermi. E c ioe :a) prevalenza indubitata, nel sistema giustinianeo,

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medio più ampia b ) contrasti classici tra un'opinione resti-h-tiva (d i Nerazio ed Ulpiano), e d un'opinione estensiva ( d iPaolo); c) segni d i vivace elaborazione postclassica a t t e -stata da glossemi — sulla questione dell' aestinzatio.

Se si condividono siffatte premesse — che a n o i sem-brano offrire l'unica strada per una comprensione logica edarmonica dei testi — il giudizio che deve darsi dei f r r. 14,5 e 14, 8 è già chiaro. No i escludiamo, cioè, che, almenocon i l valore che essi hanno, o sembrano avere, attualmen-te, quei testi possano aver figurato nel la trattazione or ig i -naria d i Paolo.

Non è raro — si s a — nelle nostre indagini, i l casoche, d i fronte a due testimonianze contrarie e parallele, at -tribuite perfino — com'è i l caso nostro — ad un solo l i b r odella stessa opera d i un medesimo giurista, l'interprete s iacostretto a dichiararne genuina l'una ed intrusa l'altra. Cer-to, quanto più si affinino i nostri criteri d i indagine esege-tica (per non parlare della, sempre doverosa, verifica de l laconciliabilità, sul piano dogmatico, d i testimonianze, non d irado solo apparentemente divergenti), tanto p i ù frequentipoSsono essere i casi d i risoluzione meno radicale dei con-trasti del genere. Alludiamo, specialmente, all'attenta consi-derazione della sede originaria, considerazione che i l luminasu possibili connessioni d i brani che, isolati, sembrano averun senso diverso da quello che può esser stato i l senso au-tentico. Tuttavia rimangono sempre casi, i n cui unico rime-dio pensabile è i l sacrificio d'uno dei termini del contrasto,salvo a spiegare, naturalmente, sia i l perchè del la sceltache si opera, sia la più probabile origine della testimonian-za che si sacrifica.

Per cercare d i vedere p i ù chiaro possibile n e l com-plesso delle testimonianze paoline in esame, è da rilevare,innanzi tutto, come le affermazioni, già esaminate e r i tenu-te sostanzialmente genuine, d i D . i i , 3 , i o e 12 (inclusio-ne nell'aestimatio dell'a. s. c. delle cose eventualmente sot -

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tratte da l servo, ed irrilevanza del la sorte — trasmissioneall'istigatore, ad un terzo, distruzione, e perf ino restituzio-ne al dominus - di esse), son state escerpite d a i compila-tori, per poi essere intarsiate n e l discorso ulplaneo, certa-mente dal lungo brano d i Paolo d i cui c i resta ampio trat-to nell'attuale D . i i , 3 , 14.

Salvo, naturalmente, a ritornar specificamente s u t u t t ii paragrafi d i questo frammento che non saranno q u i a p -profonditi, è interessante, ora, cercare d i rintracciare la tra-ma esposítiva originaria del discorso d i Paolo, per accerta-re da quale punto d i esso si debba — in u n tentativo d iricostruzione — ritenere escerpito i l tratto rappresentato at-tualmente da D . i i, 3 , i o e 1 2 .

Le tracce che restano del 1. 19 ad Ed. d i Paolo, a r i -guardo della nostra azione, permettono agevolmente d i ipo-tizzare .u n c e rt o p a ra l le l is mo con la c or ri sp on de nt e trattazio-

ne del 1. 23 ad Ed. d i Ulpiano, a no i , i n qualche modo,meglio nota (per la maggiore utilizzazione fattane dai com-pilatori).

Anche Paolo doveva analizzare, innanzi t u t to , i l tes toedittale (e d i ciò resta qualche traccia nei già veduti D.3, 2 e D . t r , 3, 4 ) ; indi, doveva anch'egli volgersi all'ana-lisi della formula. A questa seconda parte dovevano r i fer i r -si, oltre che i f r r. già veduti D . I l , 3, 6 e D . i i, 3 , 8 , a n -che i pr imi paragrafi del passo che ora c i interessa : preci-samente D . 11, 3 , 1 4 p r . i ; 2 ; 3 e 4, t es ti , t ut ti , la cui

connessione con i problemi d i legittimazione è evidente.Come, nel commentario ulpianeo, dopo questi problemi

di legittimazione (D. i i i , 3 , 5, 4 ; [ 7 ] ; 9 p r. e i ) , s i pas-sava (D. i i, 3 , 9, 5 ss.) a i problemi dell'aestimatio; così,nel commentario d i Paolo, dopo D . i i, 3 , 14, 4 — ultimotesto dedicato ai problemi d i legittimazione — si doveva pas-sare a discorrere intorno all'aestimalio.

Sorge, su tal via, un problema specifico : l ' introduzio-ne all'accennata nuova fase della trattazione paolina è rap-

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presentata da D . i t, 3, I O 2r 1 2 ( s p o s t a t o — p e r l e n o t e r a -

gioni — dai compilatori), o dall'attuale D . I l , 3, 14, 5 ?La logica p iù verosimile, e lo stesso procedimento del

-commentati° ulpianeo nel punto corrispondente (1 2 9) , f a n n ogiudicare che l'anello d i passaggio al problema dell'aestima-tio non possa esser stato costituito dalrattuale D . I l , 3, l oquesto passo, infatti, è già impegnato n e l problema del lavalutazione concreta de l quanium dev'essere raddoppiato.Senonchè, i l f r. 14, 4 — che dovrebbe allora rappresentarel'accennato anello d i passaggio — non è certo intatto.

In esso, l'espressione non ex t ra rent è discretamenteoscura, e sembra costituire i l punto più grave e p i ù con-traddittorio con quel che, aliunde, abbiamo accertato sul laposizione di Paolo. L a forma, poi, della prima frase sembraassai inelegante ( In hac actione non extra rem duplum est),e assai più adatta ad una rapida nota che non ad un testoelaborato. Infine, la connessione tra questa prima frase e lamotivazione ( i d enim quad damni datum est duplatur) solle-va gravi difficoltà. Ed invero, se non ex t ra r e m significa— come pare — valutazione del solo detrimento materialedel servo, dire che ciò accade perchè v ien raddoppiato i ldanno che si è arrecato o è una banalità o è un'assurdità.E' una banalità, se per damnum si intende l a diminuzionedi valore del servo ; è un'assurdità, se per damnum s i i n -tende qualcosa d i più.

Anche per questi ri l ievi d i forma e d i sostanza (oltreche per le considerazioni già svolte sulla posizione d i Pao-lo), per noi, i l problema, a riguardo d i D . i i, 3 , 1 4 , 5 , n o nè già, quindi, quello d i discuterne la genuinità, che ritenia-mo impossibile. E , piuttosto, quello d i spiegarne l'origine.

(129) D. i 1, 3, 9, z e 3 ; nel primo paragrafo, si pone il prin-

cipio dell'aestimatio nel duplum del quanti ea res erit (o f i d i ) ; nelsecondo, s i dà notizia del la d i spu ta s u l contenuto concreto d e lquanti ea res e r i t (o f u i t ) .

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Per noi, i l tenore originario del f r. 14., 5 dev'esser sta-to corrispondente a quel lo dell'ulpianeo D . l I , 3, 9, 2 ( D a -Jur autem ad io quant i e a r e s _erit [ o f u i ! ] , e ius d u p l í )Non vediamo, ammesso questo, a l t ra possibilità — salvo adipotizzare, cosa sempre da non escludere, u n p iù vas to r i -maneggiamento, conseguente al l 'a t t iv i tà compi lator ia v o l t aad escerpire i l t ra t to rappresentato dagl i attuali D. i i, 3, i oe 12 — che quella d i u n testo originario d e l f r. D . t t, 3 ,14, 5 , de l t i po : I n hac aeti 971€ [non-enint] quod damni da-tum est duplatur.

A. siffatto possibile (1 3 0) , b r e v e , c o n t e s to , n oi p e n si a m o

che una mano estranea abbia aggiunto l a precisazione, sor-prendente, non ext ra rem cluptunt est. Tale precisazione, for-malmente dubbia e sommaria, non sembra poter aver avu -to a l t ro senso se non quello d i anticipare l a soluzione restrit-tiva del problema, che indubbiamente Paolo (a somiglianzadi Ulp iano i n D . t i , 3, 9, 3) doveva subito fa r seguire, cir-ca l a portata dell'aestimatio. Questa precisazione, inol tre,contraria al la soluzione accettata con evidenza dai compi la-tori, ond'è che no i non possiamo a d essi attr ibuir la. N o nresta che pensare ad u n glosserna ; supporre, cioè, che unostudioso postclassico, seguace dell'opinione neraziana ed t i l -pianea ( i n senso, cioè, restritt ivo), abbia qu i appuntato, dis-sentendo: non ext ra rem dztplunt est. Scivolata n e l conte-sto, l a frase viene mantenuta dai compilatori (attribuendo ares un significato generico i n relazione a l quant i ea res...?).Un i d enint compilatorio svolge, insieme, i l compito d i r i -stabilire l a coerenza formale del periodo e que l lo d i n e u -tralizzare, da l punto d i v i s ta sostanziale, l a por ta ta de l la

( i30) Si intende che questa ricostruzione è fatta a titolo di e-

sempio. L'essenziale, per noi, è che i l tenore or ig inar io d i D . t t,3, 14, 5 coincidesse sostanzialmente con D. t i , 3, 9, 2, e le diver-genze sostanziali t ra i due contesti attual i sian f rut to d i glosse.

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precisazione stessa (1 3 1) , s b i a d e n do l a i n u n g e n er i c o ed am-

piissimo concetto d i damnunz. Ovviamente, la connessionecompilatoria dà luogo all'incoerenza, da noi rilevata, t ra l edue parti del breve testo.

Va da sè che queste son congetture : pure, c i sembraquesta la via migliore per spiegare i n modo plausibile lapresenza in D . i i, 3 , 1 4 , 5 , d ' u na p r e c is a z i on e ( no n e xt ra

rem duplum est) la quale non si può in nessun caso at t r i -buire nè a Paolo nè a Giustiniano.

Prima d i passare agli altr i paragrafi del brano paolinoche stiamo studiando, è opportuno d i re che, in D . i i, ,14, 5, è stato giudicato genuino il principio : I n hat actionenon extra rem duplum est, ed un glossema l a parte r ima-nente, dal Levy e dal Kaser (1 3 2) . I l t e s t o , i n o l t r e , è s t a t o

oggetto d'una proposta di correzione (che non pare attendibile,perchè non è preceduta da alcuna disamina del contesto pao-lino ed è mossa dalla supposizione di sollecitudini dogmaticheassolutamente improbabili in Paolo, almeno i n questa occa-sione) da parte del Betti (1 3 3) . I n f i n e , è d a d i r e c h e , a r i s ul -

(131) Il procedimento supposto ha qualche analogia con quello

che abbiamo visto realizzarsi nel la mot ivazione nam-rec ip iunt i nD. IX, 3, r i p r. (cfr. supra, 1 9 ) ; e con quello che vedremo a pro-posito d i D . t i, , 1 4 , 8 ( c f r. i n f ra , 23 )-

( (32) Cfr. LEVY, OP. cii., II, i,p. 33 ; KASER, OP, cit., p. 184 fl. 12.

A l pr incipio I n hac actione non ex t ra rem duplum est, che g l i au-tori c i tat i r i tengono genuino, viene prestato, nientemeno, i l valored'una precisazione teorica del carattere misto de l l 'a . s. c. (LEvv) :cosa assolutamente inverosimile, dato i l tenore e l a collocazionedel frammento (e ciò, a prescindere da ogni cont rar io argomentoche deve addursi contro la tesi complessiva del 1.,Evv ; v., per tutti,al r iguardo, le penetranti e decisive osservazioni de l Voc i , oft.1>assint, e spec. p. i o o ss.) ; ovvero i l valore d'una esclusione d e l -l'interesse d'affezione (KAsER) ; i l che significa prestare al la paro ledel testo un significato che assolutamente non hanno.

( '33) La struttura dell'obblig-azione romana e il problema della

sua genesi 2 (Milano, 1955), p. 194: [dup lum)(poena)

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— 98 *lati sostanzialmente più vicini, i n pratica, ai nostri, condu-

cono le opinioni d i quanti, invece, hanno ritenuto D . ii , 3 ,14, 5 o totalmente compilatori° (1" ) ; o , a l m e n o , s t r a v o l t o

nel senso dai commissari imperiali (1 3 5) ; s e b b e n e l ' u n o e

l'altro dei risultati in questione c i sembrino non giustifica-bili, attesa la posizione — sostanzialmente analoga a quellaoriginaria di Paolo — tenuta, nella questione dell'aestimatio,dai compilatori.

24. Molto meno gravi questioni sorgono da D. i I, 3 ,14, 6 , che, secondo quanto fin qui s'è sostenuto, doveva, nelcontesto originario, seguire a d una dichiarazione genericasulla condemnatio i n duplunt della nostra azione (dichiara-zione stravolta nell'attuale D . i I, 3, 14, 5 ) e ad una di-scussione sulla portata dell'aestintatio, risolta in senso esten-sivo, discussione della quale ci restano — spostati e mutilatidai compilatori — gli attuali f r r. D . r i, 3 , i o e 1 2 .

La collocazione cui accenniamo merita d i esser sotto-lineata, perchè spiega l ' i n i z i o d e l 1-r. 1 4 , 6 ( H i s c o n s e q u e n t e r ),

paradossale nel contesto attuale (1 3 8) .

D. l I , 3, 4 , 6 è ritenuto da tutti, nelle sue afferma-zioni sostanziali, genuino. L o è — naturalmente — anche pernoi, ed è, anzi, così strettamente connesso con i l principio

(134) Così, forse, Voci, op. ed., pp. 91 n. i e 155 n. 3. Già il

KANN, Klagenmehreil bei einem De l i k t (Berlin, 1901), p. 46 (cit. dalLevy, e a me non noto), a quel che pare, proponeva l'espunzionetotale de l nostro frammento.

(135) Così già ALOANDRO, e più di recente ALBERTARIO, Nota sulle

azioni penali..., i n B I D R 26 (1913), p . t o t ss. ( = S t u d i I V, p. 381),il quale espunge i l non ed i l t ra t to finale id-duplatur.

(136) Il KASER, OP. di., p. 185, appunto, espunge — a torto, se-

condo quanto r isulta dai nostr i r i l ievi — His-probatur, ut. L e p a -role H i s consequenier et sono omesse, ma senza intenzione, pro-babilmente, d i diagnosi d i interpolazione, dal Vo c i , o/5. cit., p. so.

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già affermato da Paolo i n D . I T, 3 , i o , da costituire u nelemento essenziale per la determinazione della posizione delnostro giurista. Qualche menda formale (1 3 7) n o n i n c i d e s u l

valore e l'attendibilità del frammento.

Non diverso giudizio è, poi, da formulare per D. Ti , 3,T4, 7, i l quale pure ci conferma in modo affidante l'esattezzadella nostra ricostruzione, nelle sue linee essenziali, di questotratto del commentario d i Paolo. I l f r. 14, 7 , infatti, preve-de esplicitamente l'inclusione, nell'aestimaiio dell'a. s, c,, deldanno che i l servo pervertito ha arrecato a cose del domi-Aus o d i un terzo (verso i l quale i l dominus sarà responsa-bile con a. legis Aquil iae nozalls). L a distinzione, e l'egualtrattamento, delle due ipotesi d i danneggiamento — appareevidente — corrispondono perfettamente alla distinzione, edall'egual trattamento, delle ipotesi d i furto operato dal ser-vo corrotto, d i cui ai f r r. D . t t, 3, i o (e 2 ) e D . l i , 3 ,14, 6, da noi ritenuti, come si ricorderà, strettamente con-nessi, nell'originario contesto paolino.

Anche i l f r. 14, 7 n o n è , probabilmente, immune d aqualche alterazione, che, comunque, non ne modifica la por-tata (1 3 8) . La coe renza della sostanza del frammento con

quel che sappiamo della posizione d i Paolo è più che palese.

(137) Alludo al teneris, mal connesso con l'ut precedente ; pe-

rò, può trattarsi d i u n errore d i copista.(138) Rilievi, in sè e per sè esatti, sulla seconda parte (aut-

sunt), so» avanzati da l KASER, op. c i t . , p . 185 : tu t tav ia, p i ù c h econsiderare glosserni l e due frasi e t -s i i e e t -s in t , ed interpolato,al posto d i u n i tem, l ' iniziale au l (ma perchè ma i avrebbero fa t tociò i compilatori ?), preferiamo, dato l o sti le dimesso d i t u t ta que-sta seconda parte (cfr., o l t re ai r i l ievi del KASER : teneor...teneberis;et hoc nomine), pensare ad una interpolazione completiva, ovveroad una glossa.

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Inspiegabile per collocazione, se genuino, sarebbe, i n -vece, e i n stridente contraddizione — già ri levammo — conla posizione accertata d i Pao lo , i l f r . D . 11 , 3 , 14, S. L esforzate spiegazioni d i qualche studioso, mirant i a minimiz-zare la contraddizione accennata, non possono essere accet-tate (1 3 9) . Per noi, anche questa volta, si tratta di una an-

notazione crit ica alle soluzioni paoline, de l t u t t o s imi le aquella riscontrata i n D . 11 , 3 , 14, 5 . Qui , anzi, i l va loreavversativo della proposizione è sottolineato, con evidenza,dall'autem n o n può trattarsi che della tenace opposizionedi quel lettore da no i ipotizzato che, persuaso della tesi re-strittiva (sostenuta da Nerazio e Ulpiano), non r inunc ia a lrilievo, glossematico, de l propr io dissenso.

Riteniamo assai verosimile che i l i m i t i d e l glossemasiano stati : Aestimatio autem habetur i n hac actione, quant iservus v i t io r factus si i .

Come, i n D . I l , 3 , 14, 5 — secondo la nostra conget-tura — i compilatori tentarono d i neutralizzare l a por ta tacontraddittoria d e l glossema, mediante l a connessione i denim (1 4 0) ; c os ì , nel nostro tr. 14, 8, essi fecero seguire al

glossema, che ritrovarono incorporato nel testo, u n a preci-sazione alquanto discutibile formalmente (quoci officio iudicisexpedietur) ( 14 t ) el le, sostanzialmente, distrugge — riservan-

(I") Al ludiamo specialmente al KASER, OP. Cit., p. 185, i l qua-le vuole attribuire al f r. 14, 8 i l valore d i un r i l i evo differenzialetra i l regime dell'a. s. e. e quello dell'a. legis Aquiliae, nel sensoche — mentre, per quest'ultima, si valuta l ' intero valore de l ser-vo — nella prima, si parte dal mero deprezzamento del servo stesso.I l Kaser presuppone m a senza alcuna verosimiglianza (dato quelche si è visto sulla coincidenza t ra la posizione d i Paolo e quellagiustinianea, ol tre tutto) — uno spostamento compilatorio d e l f t-.14, 8 da un'imprecisata connessione originaria.

( "40) Cfr. supra, 23 ; analogo procedimento si è supposto an-

che per D. I I , 3, r i p r. (cfr. supra, 1 9 ) .(14') Brutto specialmente, ex7ftedietur: cfr. l'uso dello stesso

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do a l giudice la più larga discrezionalità d i valutazione —la portata restrittiva del glossema medesimo.

Pur se questa è, ancora, una congettura, c i pare chefornisca una spiegazione plausibile del f r. 14, 8, i n sè e nelsuo rapporto con le posizioni paoline e giustinianee.

Del tutto aberrante da ogni principio classico, e ta leda non esser suscettibile d i alcuna diagnosi che presuma dipoter rintracciare un eventuale substrato classico ; or r ib i l -mente scorretto, dal punto d i vista formale, e, sostanzial-mente, ispirato all'esecuzione manu mil i tar i (cogi) e a d unregime che fa pensare a quello dell'a. redhibitoria (15relium)o a quello delle azioni con clausola arbitraria (resiiluere);e, quindi, da considerare integralmente postclassico è, infi-ne, D . 11, 3 , 1 4 ,9 , d el q ua le non vai neppur la pena di

tentare una analisi, dopo i r i l ievi particolari del la do t t r i -na (142), e , s o pr a t tu t to , dopo il motivato giudizio di totale

origine postclassica fornito esattamente dal Kaser (1 4 3) . Così, anche l'esame complessivo del tratto dedicato daPaolo al problema dell'aestimatio conduce a risultati concor-di a quelli che si eran desunti dalle testimonianze ulpianee.Le posizioni contrastanti dei giuristi classici, ed i l dissensoperdurante sulla questione, testimoniato da alcuni interessan-ti glossemi, vengono superati, nel sistema compilatori°, conl'adozione della posizione d i quei classici che, come Paolo,propendevano per un'aestin2atio ampia, tale d a comprende-re — come base per i l dutilum della condanna — non solola diminuzione d i prezzo subita da l servo i n seguito a l la

verbo nel i successivo, i n b e n a l t r o senso ; n o n bel lo , anche, i lquod iniziale.

(142) Per la quale, oltre alle numerose indicazioni dell'indez

( I e Suppi.), v., anche gli autori ci tat i dal KASER, op.cie., p. 186 n. 17.( "3) Op. cit., pp. 185-186 ; cfr. anche PROVERA, in NDI, cit., p. 6.

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corruzione, bensì anche tutte quelle perdite patrimoniali chela cattiva condotta del servo ha cagionato a l padrone, siadirettamente, sia tramite i l sorgere d i una sua responsabili-tà verso terzi ((44).

Mancano, invece, come pure s'è accennato, testimonian-ze sull'ammontare dell'aeslimatio nel caso del recipere ser-vum alienum, e ciò, probabilmente, a seguito d i soppressio-ni compilatorie (( 4 5) . 25. Per seguire le questioni relative all'aeslinzatio, ab-biamo dovuto staccarci dall'ordine prescelto.

Ripigliamo, ora, i l fi lo, dall'ultimo squarcio de l com-mentario ulpianeo che ci rimane.

D. i i , 3, 1 3 pr. (Ulp. 23 ad Ed.) : Haec adio perpe-tua est, non lemporaria h e r e d i celerisque successoribuscompetil, i n heredem non d a b z-t u r q u a p o e n a l i s e s t .

I rilievi che son stati fatti in letteratura, sul breve fram-mento, non ne toccano, in genere, la sostanza ( " ) p r a t i -camente, la monotona estensione anche ai celeri successore:non modifica per nulla l a testimonianza i n questione. L aquale, essenzialmente, si concreta nelle due caratteristiche ri-

( "4) Dubbio, perciò, resta — in base a quel che dicemmo sulla

seconda parte d i D . i l , 3, 14, 7 — se i classici abbiano ammessoanche una responsabilità del donzinus (e quindi poi del corruttore),indipendentemente dal caso del maleficiunz del lo schiavo.

(145) Cfr. supra, 17.

( i " ) V. però, Settut.z, Classical Ronzan Law (Oxford, igsi) p. 47,il quale dichiara — senza prove — postclassica la perpetuità d e l l aazione i n questione, e quindi interpolato i l f r. 13 or.. Contro, p e rtutti, v. AMELOTTI, L a prescrizione del le azioni in d i r. rom. (Mi la-no, x958), l i 43 n. 64, con giudiziosi r i l ievi .

Per osservazioni d i carattere formale sul nostro testo, invece,cfr. Indez, ad li. t .

Per l a legittimazione attiva dell 'erede, cfr. anche D . 1 t, 3, 8, .già studiato (supra, 1 3 ) .

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- 10 3 -conosciute alla nostra azione : perpetuità e natura penale.

La prima caratteristica — della quale non v i sono a l -tre testimonianze — ben può spiegarsi, malgrado l ' originepretoria dell' azione, con l a somiglianza che esiste indub-biamente tra l 'a. s. c. da un lato e l'a. f u r t i e l ' a . l e g-i sAquiliae dall'altro, entrambe perpetue ( "7) . S u l l ' i m p o r t a n z adecisiva d i questa imitati°, è appena da richiamare la notis-sima testimonianza gaiana ( IV, i i t).

La seconda caratteristica — la dichiarata natura pena-le — non è revocata in dubbio neppure da quella parte del-la dottrina che vuole attribuire alla nostra azione l a qua l i --fica di mixict. Il problema della classificazione delle azioni,

a questo riguardo, esula palesemente dai l imit i del presentestudio. Noi non c i dispenseremo, però, dall'affermare la no-

. stra convinzione circa l'inesattezza della qualifica accennata,per i l diritto classico. Anche a volere, per assurdo, attribui-re a Gai. I V, 6 ss. un significato corrispondente ai paralle-li passi bizantini ( i n particolare J. I V, 6, 1 6 ss.), nessunopotrà sostenere che l 'a. s. e. è- s e c o n d o i t e r m i n i d i q u e l

passo gaiano — una d i quelle quibus rem et poenam terse-quimur. I p iù recenti sostenitori d i questa indimostrabilenatura mixta della nostra azione (Levy e Kaser), del resto,si fondano e oscuramente, oltre tu t to — sul non ex t r arent del già veduto D. I l , 3 , 14 , 5 : e s ' è d e t t o , p o c o p i ù

su, quale fragile, anzi nul lo , fondamento quel testo possarappresentare ( "8) .

( "7) Tutti gli autori che si sono occupati della perpetuità del-

la nostra azione l 'hanno giustificata con l ' imi taz ione del l 'a . l e g i sAquiliae. L a giustificazione è incompleta, i n quan to c h e b isognaaggiungere, senza dubbio, anche i l r i l i evo del l ' imitazione de l l 'a .f u n i , estremamente vicina al la nostra azione, sia sotto i l profi lo delpresupposto de l dolo, sia sotto i l p ro f i lo de l l a condanna i n u nmultiplo. Cfr., a l riguardo, supra, 2 ed in f ra , 3 1 .

(148) Contro le tesi del Levy e del Kaser, cfr. la pregevolissi-

ma opera del Vo c i p iù vo l te citata, specialmente p. 9! e ss. I l Va-

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D. I I , 3 , 13, i (111p. 23 a d Ed. ) ; Sed et s i quis ser-vurn hereditarium corruperit, hac actione tenebitur s e c i e tpelilione hereditatis quasi praedo lenebitur

Si tratta dell 'ult imo passo ulpianeo i n nostro possessosull'argomento.

L'esperibilità dell'azione (da parte dell'erede, è d a i n -tendere), nel caso d i corruzione (e recipere) del servo e re -ditario, s i afferma in riferimento a l dubbio, d i stile, che na-sce dalla condizione d i r e : sine domino del servo ereditariostesso. Non v i è luogo a difficoltà, come sempre n e i casianaloghi, circa la soluzione prospettata dal nostro testo, peril d i r i t to classico. E . per questo aspetto, D . r t, 3 , 13, i è ,infatti, insospettato i n dottrina.

Sospetti, invece, ha suscitato la parte finale (1 4 9) : p e r

la quale, se potessimo avanzare u n a congettura, penserem-mo ad un riferimento — anzichè a l caso della corrup i io - -a quello del reca:pere servum (heredzilarium), I l paragone d icolui c h e accoglie abscondendi causa (cfr. D . i t, 3 , 1, 2 )con i l possessore d i mala fede è ben ammissibile.

Lo stato attuale del testo — ove si accolga l'accennatacongettura — si spiegherebbe con l 'att ività compilatoria sop-pressiva, g ià da altr i esempi suffragata, delle ipotesi re la t i -ve al recipere servum alienum.

I l testo, peraltro, non precisa, neppure per i l sistema

ci, oft. cit., p. 155, esplicitamente afferma la natura penale — e nonmista — dell'a. s. e..

(149) BESELER, Beitrage, IV, p. 49, ha proposto la soppressione

di Sed e l pel i t ione-tenebitur. D e i r ecen t i s t ud i os i del l 'heredi lat is-petilio l 'unico che cita, ma d i volo, i l nostro testo, è i l TALAMANCA,Studi su l la leg. passiva a l l a heredital is pe l i l i o (Milano, 1956), p. 155n. 26. .11 LENEL, D a : Ediclum, cit., p. 175 considera — non in ten-do perche — i l caso del f r. 13, i come un caso d i estensione ut i ledella nostra azione.

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giustinianeo, i l rapporto tra l'a. s. c. e hereditatis Adit i° (1 5 0) . 26. Vengono adesso in esame, nell'ordine, i pr imi p a -ragrafi dello squarcio d i Paolo (D . i l , 3 , 14), d i cui g ranparte è g ià stata studiata a proposi to dell'aestimatio. S i èanche visto, a suo luogo, i l nesso d i questo squarcio c o lpiù verosimile ordine d i trattazione del commentario di Pao-lo: e s'è visto, precisamente, come quei pr imi paragrafi d iD. 3 , 14 fossero dedicati a i problemi d i legittimazioneattiva. T r a quello che è i l passo meno lontano d a questo(D. i i, , 8 : si r ic or de rà , infatti, che abbiamo sostenuto

che D . I I, 3, i o e 12 sono stati to l t i dai compilatori da untratto successivo d i D . i t, 3 , 14 ) ed i l principio del fr. 14,i compilatori avranno certo soppresso qualcosa : i l fr. 8, tut-tavia, trattava g ià d i questioni di legittimazione attiva. D. r i,3, 1 4 pr. , comunque, è dai commissari bizantini, a l so l i to ,strettamente connesso con i l brano ulpianeo che l o prece-de (D . l i , 3 , 13, i ) .

D. 3 , 1 4 p r. (Paul. 1g a d Ed.) : u t tantum veniatin hereditalis pehtionem quantum i n hanc attionem.

Non è facile, almeno a no i , giudicare d e l frammentosenza approfondire i l t e m a de l la hereditatis petit io. L ' i m -pressione che dà i l testo è nel senso della possibilità d i e -sperire, non g ià l 'una e l 'al tra delle azioni in questione, ben-sì l 'una o l 'altra. E questa circostanza, forse, è a l la basedella proposta del Beseler, che vuole espungere l ' intero te-sto (1 5 1) . Noi in mancanza di più sicure notizie, preferiamo

dichiarare la nostra ignoranza (1 5 2) .

(150) Per qualche cenno, v., per tutti, Levv, op. cit„ Il, i, p. 14

Il. .1-•(45I) Beiírd,gre, IV, p. 48.

(152) Sul problema, ma su basi ormai superate, cfr. Staeg, Die

Passiviegiiimation bei der Reivindicalio (Leipzig, 1907), p. 173 ss..

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Fuori discussione (1 5 3) è , i n v e c e , o r m ai , l ' o r ig i n e c om -

pilatoria dell'estensione uti le dell'a. s. c. a l caso dei f igl i d ifamiglia, tanto che non è neppure i l caso d i rifare l'esameesegetico della relativa testimonianza : D . r i , 3, 14, I (Paul.19 ad Ed.). I n questo testo, n o i riteniamo d i provenienzagiustinianea tutto i l tratto q u i a-c o r r u m p i (1 5 4) . A l l e o s s e r -

vazioni degli studiosi che c i hanno preceduto n e l giudiziodell'origine bizantina dell'a. utilis in questione, possiamo ag-giungere g l i ostacoli che deriverebbero, i n età classica, dal-l'ammettere simile estensione, data la natura d i a. in faelumpropria del nostro mezzo processuale nonchè quelli che de-riverebbero dal la scarsa verosimiglianza d i una appl icabi l i tàdella pretesa estensione al caso d i recipere. Se si aggiungo-no queste considerazioni all'impossibilità d ' una aestimalioquanti f i l ius vi l ior factus est e all'improprietà stilistica d e lft-. 14, I, s i v ed r à q ua nt o sia salda la concorde diagnosi di

un sostanziale intervento giustinianeo.

Assai interessante, invece, è i l frammento che segue.D. i i , 3 , 14 , 2 ( P a ul . 1 9 ad E d. ): Si se rvus COMM7I-

nis nzeus e l tuus p r olt r i u m m e u m s e r v um c o r r up e r g , S a b z.-

( i53) Cfr. Index (I e Supplà, ad h. I_ Non mi è stato possibi-

le consultare una delle opere de l Ferr in i c i tate dall i / tu/ex (D i r i t topenale romano. Teor ie generati, p. 523 n . 2 ) ; tuttavia — non i n d i -cato da l l ' index — dello stesso FERRINI, è da vedere : D i r i t t o /Pe-nale romano. Esposizione storica e dol l r inale (Milano, 1902), p. 331n. 3, dove è ottimamente motivata l a d iagnos i d i interpolazionedel t ra t to sed uti l is-fine. Tu t t i g l i a l t r i a u t o r i i nd i ca t i da I l ' i ndexnon aggiungono nuovi r i l ievi . A d essi son da aggiungere, ora, a l -meno : KAsER, op, cit., p . 186 TI. 19 e PROVERA, i n N D I , cit., p . 6.

(154) Comunemente (cfr. la nota precedente), si considera alte-

rato i l testo soltanto da sect al la fine. N o i pensiamo a p i ù vastaintrusione, perchè lo st i le del frammento, da gaia i n p o i , è d a v -vero brut to ; e l'osservazione e / pauperiorem-manente appare, ad-dirittura, semiincomprensibile. Ol t re tutto, s i t rat ta d i osservazio-ni perfettamente insignif icanti.

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71US non Aosse a g i cum socio, perinde ezique si proprius nzeusservus corrupisset tonservum. I t em s i serzrus communis e x -traneum corruperil, videndum est, utrunz cum duobus ag i de-beal an e t cum s ingu l i s exemplo ceterarum noza rummagis est, u t unusquisque i n solidum teneatur, altero autemsolvente alterum

L'attenzione degli studiosi si è fermata, soprattutto, sul-la seconda parte del testo, in ordine al problema del regi -me dell'azione contro i condomini del servo che abbia cor-rotto un servo estraneo (1 5 5) . L a d i a g n o s i p r e v a l en t e , e a n-

che a nostro avviso da seguire, è quella che vuole espun-gere la frase finale, poco credibile d i fronte a l regime ac-certato delle azioni nossali (1 5 8) : a l / e r o -l i b e r a i - i ; f r a s e o l t re

tutto, formalmente dubbia, dato l'infinito senza reggente.Insospettato, viceversa, è i l resto. Nè vi è dubbio, so-

stanzialmente, sulla prima decisione. L'esclusione della azio-ne nossale tra condomini (1 5 7) è s i c u r a , m a l g r a do q u a l ch e

rimaneggiamento del testo (1 5 8) . L a r a g i o n e d i q u e s t a e s c l u-

sione risiede nell'impossibilità d i considerare soggetto pas-sivo di un delitto compiuto d a u n servo i l dominus de lservo medesimo (cfr. Gai. I V, 7 8 i n generale, e, ad es., itesti da noi citati i n tema d i f u r i um: suPra, § 21) : l'ap-plicazione di questo principio è strettamente connessa conla considerazione d e l servo comune come servo propr io

(455) A questa parte sì riferiscono le citazioni registrate nell'in-

dex ( I e Suppl.), ad h. L . Aggiungi : Voc i , op. c i l . , p . 155, comesembra.

( i56) Sul punto, v., per tutti, LEV,/, Citr, I, p. 309 ss.

( i") Cfr., da ult imo, B R E-r o m e , S e r v u s c o m m u n is , c i t . , p . 1 58 s s.

(158) Il BRerome, Op. cii., p. 164, propone di inserire ai! dopo

Sabinus. Non accediamo al la proposta perchè i l rimaneggiamentoci sembra p iù vasto : la protasi non è coerente formalmente c o nl'apodosi, dato che, nella prima, s i par la concretamente d i meus4 tuus, d i propr ium meum, e nella seconda, invece, genericamentesi dice : cum socio.

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d'uno solo d e i condomini, letteralmente affermata nell'ana-logia perzilde atque s i propr ius meus servus corrupisset con-servum del nostro frammento. D a c i ò è facile dedurre co-me non sia possibile — come p u r e è stato fatto d i recen-te — ricondurre la negazione delle azioni nossali t r a con -domini e s c l u s i v a m e n t e a l l a particolare na tura del-l'oblzkalio e x delicto (1 5 9) . I n f a t t i , a l l a p r o s p et t i v a c a r at t e r i-

stica dell'impossibilità d i ritenere i l condomino t i to lare d iuna pretesa per i l maleficio a suo danno commesso d a lservo in condominio, s i giunge attraverso l a considerazionedel servo come se fosse i n proprietà esclusiva de l condo-mino. E ciò vai quanto dire che è l a natura d e l condo-minio classico — concepito, sotto molt i profi l i , come domi -nio plurimo integrale — la quale induce a considerare i m -possibile una pretesa del condomino verso l 'altro per i l ma-leficium del servo comune. Pertanto, la testimonianza prezio-sa d i Sabino (e Paolo) contenuta i n D . I I , 3 , t, 2 c o n -sente d i rafforzare quel che si disse a proposito d i D .3, 9 p r. (cfr. szepra, § 14), e più i n generale quel che an-che altrove (1" ) s i è c e r ca t o di d i mo s tr a re in ordine alla

esclusione d i alcune azioni penali t r a condomini, nel siste-ma classico (1 8' ) .

:Meno interessante — ai f ini dell'a. s. e. - è la secon-da parte del testo, nella quale s i afferma l a responsabilitàsolidale d i ciascun condomino nel caso di corruptio d'un ser-vo estraneo realizzata dal servo comune. I l principio è c o -munemente ritenuto genuino (1 8 2) , e c r e d o a r a g i o n e , p u r

(159) Così il BRETONE, oj5. cit., p. 161 ss.

(160) S tud i sulla legge Aqu i l i a I , p. 29 ss.( i61) Il valore di D. lI, 3, 14, 2, ai fini della questione accen-

nata, era stato g ià esattamente v is to da l CUIACIO, Opera (ed. Pra-to), I X , c• 947.

(162) Cfr., per tutti, LEVY, op. cit., I, p. 309 ss.; BRETONE, OP.

CU., p. 158 11. 2,

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se tutta questa seconda parte — anche a prescindere dal lagià ricordata alterazione della frase finale — non sia immu-ne da 'sospetti d i rielaborazione formale ( "3) .

L'intero f r. 14, 2 dunque, appare formalmente r ie la-borato : ciò — stante la sicura genuinità del le soluzioni i nesso contenute, salvo l ' u l t ima (altero-liberari) - dovrà a t -tribuirsi ad uno dei consueti lavori d i semplificazione com-pilatoria : soppressione d i controversie, d i citazioni g iur i -sprudenziali, etc.

Più rapidi cenni basteranno per g l i ul t imi due brevis-simi paragrafi dello squarcio paolino : D . i l , 3 , 14, 3 e 4,entrambi dedicati all'applicazione nossale della nostra azione.

D. i r , 3 , 14, 3 (Paul. 19 ad Ed.) : S i iS i n p i o usumfructum habeo, servum meum corruperit, e r i t mih i adio cumdomino proprielatis.

Il testo afferma la responsabilità nossale del nudo pro-prietario per i l maleficio operato dal servo in usufrutto cor-rompendo un servo dell'usufruttuario. Esso, insospettato ecertamente genuino (1 8 4) , n o n o f f r e p a r t i c ol a r e i n t e re s s e , s al -

vo quel che può nascere dalla sua collocazione immediata-mente contigua a l caso del servus tommunis. D a questa col-locazione si potrebbe desumere un indizio a favore della te-

(163) Cum duobus e cum sing-ulis sono corretti solo se si toglie

via, i l , de l resto superfluo, servus communis, sì da collegare d i re t -tamente l ' ipotesi a quella precedente ; noxarum — sebbene i l D EVISSCHER, Le r é g-i m e r o m a i n d e l a n o z a li t é , c i t. , p. 546 n. 41, con-

sideri i l termine normale — sembra mal applicato (al posto d i ac-tionum noxal ium?) ; t u t t o l 'andamento del testo — che non spiegaperchè sorgano dubbi su un'eventuale particolarità dell'a. s. c. noxa-lis, e serba traccia d i qualche controvers ia (mag is e s t ) - è t a l eda fa r sospettare un rimaneggiamento formale.

(164) In ogni caso sostanzialmente, ove si voglia sospettare per

la sua brevità e per la mancanza d i qualche precisazione (servusnatura nossale dell'azione).

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I I O

si dell'Ambrosino (1 6 5) s u l l ' a f f i n it à r i l e va t a da a l cu n i g iu ri -

sti classici tra ususfructus e communio. L'indizio in questio-ne, d'altronde, corrisponde a quel che si riscontra n e l pa -rallelo commentario ulpianeo, nel quale, come s i ricorderà,sono pure strettamente contigue le due ipotesi d e l condo-minio e dell'usufrutto (cfr. D . i i, 3 , 9 p r . e t ) .

Il secondo testo è più breve e più dubbio formalmen-te (1 66) .

D. i i, , 14, 4 (Paul. 19 ad Ed.) : Pignoris dati no-

mine debitor habet hanc actionem.L'affermazione della legittimazione attiva d e l debitore

pignoratizio nell'a. s. c,, nel caso d i corruzione d'un servodato in pegno (1 8 7) — s e p u r e o b b li g a a p r es u pp o rr e che

(secondo la normalità, del resto) i l debitore sia anche do-MinUS servi — non solleVa alcuna difficoltà, anzi è del tuttoovvia. Anche qui — per i rilevati v i z i formali — supporre-mo fondatamente un'attività di semplificazione da parte deicompilatori.

Del rimanente del f r. D . i t , 3 , 14 (§§ 5 - 9) s i è g i àdetto a suo luogo (supra, §§ 23-24).

(165) Usufrullo e communio, eit., in SDH1 16 (1950}, p. 183 ss..

L'indizio è ri levato dallo stesso compianto studioso a p. 219 n. 121,ma limitatamente a D . i 1, 3 , 1 4 , 2 e 3 ; v a l e l a p e na d i a g g iu n -

gere D . I l , 3, 9 pr. e i . Cfr., anche, quanto s i rileverà per D . 47,7, 5 : i n f ra , 2 8 (n. 178), a proposito d i D. Io , 3, 8, 2.

(t") Manca la menzione del servo ; It i g n o r i s i n l u o g o d i p i -

gnori ; manca la menzione della corruptio.

(4.6.1) Non intendo il motivo per cui il Voci, op.cit., p. si con-

sidera i l nostro testo come un esempio d i estensione ut i le a l cre-ditore pignoratizio. Inaccettabile — e confusa — la classificazionedel RUDORFF, oft. c* . , p. 96 n. Io.

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27. Nel t i tolo D . 11, 3 restano d a esaminare, ormai,solo tre frammenti, che, i n realtà, non c i forniscono a lcundato nuovo d i rilievo.

D. I X , 3, 15 (Gai. 6 ad Ed. prov.) : Cor rump i tu r animusservi e l s i persuadeatur ei, u t dominum contemneret.

Abbiamo già richiamato questo testo (cfr. supra, § 9),a proposito d i D . 47, i l , 5 e D . i i, 3 , 3 , e s o t t o l i n e a t ola normalità della ricomprensione di siffatti casi nella sferad'applicazione dell'a. s. e. Qui, non abbiamo quasi nulla d inuovo da osservare. E ' facile rilevare una certa incongruen-za dei temp i adopera t i ( s i persuadeatur...ul...contemnerel)dalla quale, però — anche per la brevità e l'isolamento de lframmento — non è possibile desumere alcunchè. S i po t ràaggiungere — per quel che vale — l'impressione (che vienedall'iniziale : Corrumpitur animus servi) d i esser d i f ronteal residuo d i una ordinata disamina gaiana, nell'originale,delle fattispecie del persuadere edittale, con distinzione t r adeterioramenti materiali e morali. Avremmo, quindi, un al-tro lieve indizio che può rafforzarci nel la convinzione g i àmanifestata da noi, e suffragata da rilievi esegetici, dell'ori-ginaria applicazione dell'a. s. c. anche a i casi d i istigazioniconcluse con un deterioramente fisico de i servi; applicazio-ne soppressa da Giustiniano (cfr. supra, § 6 ss.).

Viene ora i l celebre brano d i Alfeno, anch'esso già c i -tato (cfr. supra, § 2).

D. i i, 3, 16 (Alf . 2 ari k • ) : D o m z « n us s e r v um d i s P en s a l or e m

manumisit, ,z5ostea rationes ab eo accepit et acni eis non con-starei, comperit apud quandam muliereulam pecuniam eum con-sumpsisse quaerebatur, possetne agere serv i c o r r u p i eum eamuliere, eum i s servus i a m l iber esse/. Respondi tosse, sedeliam f u r t i de peeuniis, quas servus a d eam detulisset.

Mentre non aumenta le nostre cognizioni - - ci era no-ta, infatti, g ià da altr i testi, e soprattutto da D . i i , 3, i, 5(su cui, supra, § 7), l a possibilità d i applicare l a nostra

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azione nel caso d i istigazione a sottrarre oggett i d e l do -minus nonchè (cfr. D l i , 3, 5, 4 s u cui , swpra, § 13 )la possibilità d i agire anche dopo l a manomissione de lservo corrotto — i l f r. 16 non si presta neppure a partico-lari sviluppi esegetici. A noi appare de l tu t to genuino. C ipare, infatti, un caso evidente d i errore d i amanuense quel-lo costituito dalle parole et atm eis non constarei, da emen-dare — con i l van der Water (1 8 8) — i n e t c u m e a e n o n c o n -

s'areni. Non ci sembra da seguire affatto i l giudizio — or-mai, inspiegabilmente, dominante — di coloro che voglionoespungere le ultime parole (sed-delutissel) (1 8 9) . S i p u ò — a n -

zi si deve, nella fattispecie - - ravvisare, nel maneggio del de-naro scialacquato dal servo, un comportamento tale, da par-te della donnetta, da concretare i l Jur/uni : v i è, senza dub-bio, i l dolo, dato che si presuppone espressamente llistiza-zione a derubare i l dominus ; e v i è , altresì, la con/reciti/io,dato che si parla d i consumere a f t u d mulierculam e si ri-badisce ciò con l'accenno al deferre ad eam pecunias. Che,infine, sia opportuno, i n un responso, precisare, oltre a quan-to veniva chiesto, anche la possibilità d i esperire u n a l t romezzo d i tutela, non può apparire che naturale e d i per sèevidente. Dovremo ritornare brevemente sul frammento, r i -ferendoci al fenomeno del concorso d i azioni ( infra, 2 9 ) .

Ancora più breve discorso esige, infine, l 'ultimo f ram-mento del titolo.

D. ] ] , 3 , 1 7 (Marciar]. 4 reg. ) : Serv i corrupl i nomine

(68) Citato nell'edizione milanese dei Digesta, ad h. i_

( ) Cfr. Index- I , a d h , I _ O r a, è da a g gi u ng e re anche LON-

GO, OP. ci i . , p. 147. Tan to i l Longo quanto gl i autori che l ' hannopreceduto ragionano — secondo me, a tor to s u l l a base d i u n aresponsabilità ope consitio della muliercula. Ma i l testo n o n d i c enulla d i ciò, ed i l caso è, invece, da accostare a que l lo d i Gai..I I I , 198.

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e/ CO2ZS tante matrimonio mari to i n mulierem dedur ad io, sedfavore nupl iarum i n simplum.

Con ogni probabilità, è d i origine giustinianea la nor-ma finale (sed-in simplum), secondo una dottrina ormai con-solidata (1 7 0) . A l c o nt r ar i o , del tutto da d is at te nd er e ci sem-

bra la proposta del Levy (7' ) d i e s p u n g e r e e t c o n s t a nt e m a-

trimonio: dato i l significato generico del termine mulier, i lframmento, togliendo quel le parole, sarebbe insignificante.A d i più, la precisazione della permanenza del matrimonioè, con ogni verosimiglianza, sottolineata da Marciano, in vi-sta dell'affinità tra a. s. c. e a. f u r t i (cfr. supra, 2 ed in-fra, § p ) : s i vuoi, così, distinguere la possibilità d i eser-cizio della nostra azione (non famosa: c f r. D . 37, 15, 6,su cui supra,§ i o ) dalla impossibilità d i esperimento dell'a.f u r t i tra coniugi (cfr. D . 25, 2, i e D . 47, 2, 52 pr.-2).

3, 8, 2 ; D . 17, 2, 5 6 : D. 37 , 15, 6 ; D . 47, t , 2, 5 ; D . 47,2, 5 2 , 2 4 ; D . 47, 10, 26 ; D . 47, 11, 5 ; D . 48, 5 , 6 pr.Gai. I I I , 198; P. S. I , 13a, 5; P. .5. I l , 31, 33 ; C. 6, 2,;

28. Esaurito, così, l'esame esegetico del t i tolo D. i i,3 ,contiamo ora d i svolgere assai rapidamente una simi le i n -

dagine su quei testi che, in diversa sede, c i son stat i con-servati e che abbian qualche relazione con Fa. s. c.

L'elenco delle testimonianze i n questione è tutt 'altroche lungo : D. i, 1 8 , 2 1 ; D . 2 , I 4, so ; D. 7, 66 ; D. lo,

4 ; C . 6 , 2 , 2 0 ; C . 9 , 2 0 , 2 .

D'altra parte, dei 17 testi o r o ra elencati, alcuni - eprecisamente : D . 7, i, 6 6 ( c f r . s u p r a , § 9 ) ; D . 3 7, 1 5, 6 ( cf r.

supra, § r ) ; D . 47, I , 2 , 5 (cf r. supra, § 9 ) ; D 4.7, i o ,26 (c f r. supra, § 9 ) ; D . 47, l i, 5 ( c f r . s u p r a , § 9 ) ; D . 4 . 8 ,(

470) Cfr. Index 1, ad h.

(171) Per la citazione, rinviamo all'index /, ad h. 1.. Non ci è

stato possibile consultare l o scritto in questione.

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5, 6 pr. (cfr. supra, § 8) ; P. S. I, I 3 , 5 (cfr. supra,§ 9) —san già stati espressamente presi i n esame. Sui r imanentidieci testi, i l discorso non presenta particolare difficoltà.

Non s i riferisce alla normale procedura D . i , i S , 21(Paul. i . sing. de off. ads.): Praeses cum cognoscat de ser-vo corrupto vel ancilla devirginala vel servo stupraio, s i ac-tor rerurn agenlis corruplus esse dicetur vel eiusmodi l i orno,m' non ad solam iacturam aa'versus substantiam, sed ad totiusdomus eversionem pertineal : severissime debel animadvertere.

Tuttavia, i l testo — ove sono con certezza un'intrusionepostclassica le parole vel ancilla-stuprato, come è dimostratodal fraintendimento evidente dell'espressione corruptus, termi-ne, nel caso concreto originario, relativo certamente soltantoad un vizio morale (( 7 2) ; e d o v e a n c h e i l r e s to è c e r ta m e nt e

rimaneggiato (1 7 3) —è i n t e r es s a n te . E ss o ci dà, per via in-

diretta, conferma della posizione paolina in tema d'aeslima-lio della nostra azione. Come, nel processo formulare, Pao-lo ammetteva un largo criterio d i stima d e l danno recato

( l72) Il testo, sostanzialmente, è incentrato sulla particolare

importanza del le mansioni de l servo. L a corruzione d i questo v anecessariamente intesa come pervertimento morale, che faccia ve -nir meno le ragioni d i particolare fiducia goduta dal servo stesso.Ciò emerge dal la considerazione dell ' intero contesto.

(173) Diagnosi varie sul frammento si vedano nell'ina'es (I e

suppl.), a d h. l _ Tut tavia, non r i terrei che i problemi re lat iv i a l ledubbie frasi actor rerum ageniis e ve! eiusmodi-pertineat possanoessere r isol t i — come, i n genere, fanno g l i autori cui ci riferiamo —con l ' ipotesi d i glossemi. T r a l ' intenzione innocuamente estensivadella prima alterazione da no i supposta (vet ancilla-stuftralo) ed ifini d i queste due al t re alterazioni, v i è divario. Ci pa r meglio, perqueste u l t i m e , supporre u n r imaneggiamento giust inianeo, forseconnesso a precisazioni (necessarie per mutate condizioni storiche)sulla funzione de l servus actor. Inf ine, non è neppure del t u t to af-fidante i l t roppo generico precetto f ina le : severissime debet a n i -madveriere.

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al dominus con la corruzione del servo ; così, nella animad-VerSiO del praeses, egli ritiene elemento ri levante i l dannoindiretto subito da taluno con la corruptio d i un servo, cheoccupi un posto particolarmente vitale dell'amministrazionedomestica.

D. 2 , 14 , 5 0 ,131p. 4.2 a d Sab.) : N o n impossibile putoin contractibus depositi, commodati et locali el ceteris similibuslzoc pachtm ' ne facias furem ve l fug-itivum servum meunzkoc est : ne soll i t i les u t f u r f la l , u t fugi t ivus f i a t : n e i t aneglegas servum, u t f u r eff ic iatur. S icu t enim servi corrupliactio locum habet, i l a potest etiam haec pa t i i ° locum ha berequae a d non corrumpendos servos pertinet.

Anche questo frammento deve aver subito alterazioniformali (1 7 4) : c o mu n qu e , la s os ta nz a è genuina, e di essa

fanno fede alcuni frammenti dello stesso 1. 42 a d Sab. d iUlpiano, opportunamente avvicinati a l nostro ne l la Palin-g-enesia del Lenel (175). In ogni caso, il frammento non ci

fornisce alcuna notizia d i rilievo sulla nostra azione, qu i r i-chiamata solo per analogia. L e fattispecie del lacere furemvel fugitivum ci eran già notissime.

D. I o , 3, 8, 2 (Paul. 23 ad Ed.): Ven i t in COMMUnidivz«a'undo iudicium s i quis rem communem deteriorem fecerit,forte servum vulnerando aztt animum eius corrumpendo a l aarbores cx Ando excidenclo. A nostro avviso, sono del tuttoinaccettabili, almeno dal punto d i vista sostanziale (1 7 6) , l e

(1.14) Non alludo tanto alla parte iniziale, dove pur si è voluto

vedere un in ten to generalizzante, quanto, p iut tosto, a l glossemaassai probabile: hoc est-efficiatur. Rinviamo ancora a l l ' i ndex (.1. eSappi.), ad h. t . per le citazioni dettagliate degli autor i (SCIALOJA,DE RUGGIERO, DE FRANCISCI, KUNKEL) al cui avviso ci riferiamo.

( i75) II, 1170.

(176) Che il ft-. possa esser • rimaneggiato formalmente, si può

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Si tratta, quindi, a nostro parere, d i t re casi in cui laconcezione romana del condominio non consentiva assoluta-mente l'esperimento tra condomini delle azioni relative, ond'èche si deve necessariamente ricorrere, i n dir i t to classico, a liudicium communi a'ividundo ( t " ) .

ampiamente documentata dal l 'Ambrosino (c f r. U s u f r u l t o e com-munio, cit., passim), e da no i stessi verificata i n tema d i a . s. c(cfr. supra, n. 156) d e l l ' a b i t u a l e contiguità d i trattazione dei pro-blemi relat iv i a l condominio e d i quel l i relat ivi all 'usufrutto, nel leopere d e i g iu r is t i romani. Ta le contiguità è particolarmente spic-cata a proposito dei problemi d i legittimazione att iva a l l e azioni .Su ta l v ia, la congettura che, i n D . 47, 7, 5, I. P a o l o t r a t t a s s e d e l -l'esperibilità del l 'a . arborum f u r t i m caesarum tra condomini è g iàprobabile. P iù probabile diventa, a nostro avviso, se si pone menteall'attuale tenore del f r. 5, t . L'analogia t r a l ' a . leg is Aqui l iae el'a. arborum f u r l i m caesarum poteva ben esser rilevata d a Pao losotto i l prof i lo della comune esclusione d i entrambe n e i rapport itra condomini, specialmente attesa la puntuale corrispondenza d ipresupposti t r a l e due azioni, che emerge del la r i levata circostanzaper cui, i n entrambe le azioni, s i r ichiedono le caratteristiche del-l ' iniuria e del la al lenità dell'oggetto. Entrambi codest i presuppo-sti, a rigore, non sussistono t ra condomini . Ond 'è che entrambele azioni dovevano essere, d a i classici, negate, almeno nella loroforma normale, t ra condomini. E d a questo reg ime comune benpuò essersi r i feri to, appunto, Paolo i n quel t ra t to del la sua operadi cui c i resta l 'attuale f r. 5,

Se si accetta questa congettura, s i avrà un ul ter iore elementodi prova per la nostra tes i part icolare sull 'esclusione del l 'a . s. c.tra condomini (e ciò per la conferma che, così interpretato, D . 47,7, 5, i d à al la nostra interpretazione d i D . Io, 3, 8, 2) ; nonchè perla nostra tesi p iù generale re la t iva all 'esclusione d i determinateazioni penali t r a condomini.

( "9) Salva naturalmente, la già ricordata possibilità di esperi-

re l 'a. i n fac lum ad e z-e m p l u m l e g-i s A q u i l i a e, i n c a so d i d a nn e g-

giamento. Ta le possibil ità d i estensioni i n fac tum è esclusa c o -me si disse — per l'a. s. e.. Per l'a. arborum f u r t i m caesarum, noncrediamo — da u n pr imo esame delle font i , ma i l p u n t o mer i te -rebbe certo un autonomo approfondimento — che esistano testimo-

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Così inteso, i l f r. 8 , 2 è un notevole elemento d i con-ferma per la tesi da no i sostenuta i n tema d i a. legis Aqu i -liae (1" ) , e di a. s. e. (f"). Tesi che è del tutto.opposta a

quella de l Biondi, per i l quale, addirittura, i l divieto, gene-rale, d i esercizio delle azioni penali t r a condomini sarebbeuna innovazione giustinianea ( '8 2) .

Noi crediamo che g l i elementi addotti, s ia a propositodella tutela aquiliana, s ia a proposito del l 'edi t to d e servocorruftio, debbano considerarsi una sufficiente giustificazionedella nostra posizione. Certo, i l tema delle azioni penali tracondomini meriterebbe c o m e s i è, del resto, già detto piùsu (1 83) -- una nuova indagine in base agli elementi da noi

accertati. Comunque, riteniamo che la nostra tesi, p e r c u iil divieto d i esperimento tra condomini d i alcune azioni pe-nali è classico, ed è basato sul presupposto dell'impossibilitàdi considerare formularmente i l condomino a l la stregua d iun estraneo, s i possa giudicare testualmente provata e coe-rente a l le esigenze del processo formulare.

Sotto al t r i aspetti, i l f r . 8 , 2 non fornisce, sul l 'a. s. e.,altra notizia d i rilievo, se non la conferma, ind i ret ta , del lagià p i ù volte affermata applicazione classica (e, p i ù ancora,giustinianea) dell'azione a i casi di deterioramento morale delservo, p iù che a quelli d i deterioramento materiale.

D. 17 , 2, 56 (Paul. 6 a d Sai'.): Nec quiequam interest,utrum manenle societale praesl i ter i l ob fur tum a n dissoluta

nianze che possano far pensare ad una estensione i n factum. Ciò,tanto p iù in quanto l'azione in questione, pur avendo u n prece-dente decemvirale, è proposta come r imedio i n factuin, nel l 'edit-to del pretore. Sulla natura dell'a. arborum fu r t im caesarum, v., daultimo, Furtunz I, p . 1 7 s s . .

(>1" ) Studi sulla legge Aquilia I, p. 29 ss.

( '81) SuPra, 14.

( "2) Acliones nosales, cit. p. 114.

(83) Cfr. supra, n. 73.

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ea. Idemque est i n omnibus turpibus ctationibus, ve lu t i i n i u -riarum, v i bonorum raptorum, se rv i co r rup t i e t s imi l ibus,et i n omnibus poenis pecuniariis quae e x publ ic isaccittuni.

Anche a prescindere dal la ben dubbia genuinità de ltratto in cui è contenuto i l nome della nostra azione (1 8 4) ,nulla apprendiamo da questo frammento, a i nostri fini.

D. 47, 2 , 52 , 2 4 (Ulp. 3 7 a d Ed . ) : Sed s i servo per-suasum s i i , u t labulas meas describeret, Auto, si quidem ser-vo persuasum s i i , se rv i corrupti agendum, s i ipse f e d i d edolo aclionem dandam.

Sul testo abbiamo avuto occasione d i fermarci, altrove,a più riprese (1S5) , r i l e v an d o l a d i f fi c o lt à di f o rm ul a re , su

di esso, giudizi cert i . Connesso com'è a d una trattazioneulpianea svolta in relazione al pensiero d i Mela, i l fr. 52, 24impone — come quelli che lo precedono ne l brano ulpia-

(184) Per tutti, v. ALBERTARIO, Maleficium, in Studi 111, p. 201

Ll• Sul problema generale cui i l testo s i riferisce, da ult imo, cfr.ARANaro-Rutz, L a società i z d i r. rom. (Napoli , 1950), p. 116 ss..

( '85) Cfr. Furtum I, p. 75 11. 3 e Furtum //, p. rso 11. 326. Su

D. 47, 2, 52, 24, v. anche, ora, LON00, OP. cit., p. 158 ss., i l qualeaccetta la diagnosi del Lenel (ed esattamente, a nost ro avviso)tuttavia — se ben vedo v u o i trarre dai f r. 52, 24 una prova perl'impOssibilità, nel d i r i t to classico, d i u n concorso t r a a . s. c. eda. f u r t i ope consitio. A parte i l dissenso nostro s u questo p u n t o(cfr. in f ra , 2 9 ) , no i r i teniamo che, nel describere tabulas, non s iravvisasse, da parte d i ILIpiano (ne, tanto meno, d i Giust in iano,che prosegue nella l inea classica d i restr izione de l l a nozione d ifurtum), un f u r t u m ; ond'è che i l frammento i n questione n o n èriconducibile ai problemi delra. f u r t i ape consitio, per i l d i r i t t oclassico o per quello giustinianeo. Ben p u ò supporsi, invece, cheMela d a cui la questione originariamente, forse, fu impostata —avesse considerato possibile i l f u r tum i n questa fatt ispecie, nonfosse che per negarlo (cfr. F t i r t um I , p. 75 n. 3).

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neo — la considerazione d i problemi gravi i n ordine all'evo-luzione del furtum, specialmente ope consilio.

Describére tabulas sembra riferirsi al copiare scri t t i al-t ru i : perciò, abbiamo altrove supposto che Ulpiano esclu-desse l 'a. f u r t i per mancanza d i contreclatio, o, p iù specifi-camente, d i sottrazione. Per quel che, comunque, in questasede c i riguarda d i più, ben si comprende l'eventuale con-cessione dell'a. s. c., che, del resto, trova applicazioni — giàviste (cfr. supra, § 7 ; cfr. anche D . I I, 3 , i t, t , per noipostclassico supra, § 20) — in casi affini d i istigazione adalterazioni documentali.

Sorprendente è, a questo riguardo, l'assenza della men-zione della nostra azione i n D . 47, 2, 52, 23, altro testoda noi studiato in tema d i furto (1 8 6) e c h e q u i n o n è i l

caso d i r iportare. Si applica l'a. f u r t i (1 8 7) a c h i a b b i a i n -

dotto i l servo altrui ad alterare documenti del donzinus (al-meno, così riteniamo) : i l caso è tipico — come si vide (su-pra, § 7) — anche per l'applicazione dell'a. s. c.. I l silenziodel nostro testo, forse, è da attribuire a d Ulpiano, interes-sato i n particolare al furtunz in questa parte del suo com-mentario. Ma non è da escludere — specie in confronto conD. 47, 2 , 52, 24 u n a rielaborazione compilatoria a f i n isemplificativi (1 8 8) .

Casi del genere pongono, naturalmente, i l problema delconcorso tra a. s. e. e a. fur t i , già da noi accennato sia aproposito di a 47, t , 2, 5 (suftra, § 9), sia a proposito d i

(186) Cfr. Furlum I, p. 73 ss.; //, pp. 145 e i5o.

(181) Normale — secondo noi — per Mela ; ofte consilio, per

piano.(188) Su D. 47, 2, 52, 23, v., ora, LONOO, 0/5. cii., p. 156 ss., ove

si sospetta che la menzione dell'a. s. c. sia stata espunta dai com-pilatori. L'argomento fondamentale d i cui s i serve i l Longo è, pe-rò, i l confronto con D. 3 , t t, t , che pe r n o i n o n è genu ina(cfr. supra, 2 0 ) .

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D. I I I , 3,I l , 2 (supra, § 21), sia infine a proposito di D.3, 16 (supra, § 27), e sul quale dovremo ancora tornaretra breve.

P. S . I I , 31 , 3 3 : Q u i servo fugue consilium dedit, f u r -t i quidenz actione non tenetztr, sed servi co r rup t i (1 8 9) è p i ùinteressante per la storia del fur ium che p e r quel la de l lanostra azione. Comunque, la fattispecie dell'istigazione a l l afuga è tipica per l 'a. s. e. e non solleva problemi particolari.

C. 6, 2, 4 (Alex. a. 222) : Adverms eum dumtaxat, quemservum tuum sollicitasse dicis, s i eum deterioris a n i m i f e d i ,servi corrupti agere po/es. O u o d s i so l l ic i ta tum occul tavi l ,eliam f u r t i cum e o agere potes. Quas actiones e t i am p e rprocuratorem exercere min ime prohiberis.

Il rescritto in questione non ha — che noi .sappiamo —vasta letteratura egeg ; comunque, i l principio della cumula-bilità t ra le due azioni i n questione, testimoniato anche daD. 47, t , 2, 5 (SUPra, § 9), è del tutto pacifico e conformeai p iù probabili criteri v igent i i n questa intr icata materia.Piuttosto, è da osservare che non d e l t u t to comprensibilerisulta, nel rescritto d i Alessando Severo, quell'iniziale dum-laxat questa limitazione, infatti, non sembra affatto neces-saria, essendo ovvio che si possa agire soltanto contro i lcorruttore. S i può pensare ad una concreta particolarità. delquesito che potrebbe aver obbligato l' imperatore a precisa-re i l punto. Ma più verosimile c i sembra l a congettura d iuna relazione sostanziale tra i l dumtaxat ed i l successivo s i

(189) Su cui, da ultimo, cfr. Furtum H, pp. 137-139, in relazio-

ne a D.,47, 2, 36 pr., su cu i dovremo tornare t ra poco.(t") Qualche cenno i n LEVY, OP. CU., I , p. 466 e SCHILLER, op.

cit., p. 93 n. i : questo A . c i ta anche u n l avo ro d i NABER, pe rme irraggiungibile HUVELIN, oft. cit., p . 691 n . 2 ; PginvosHErm, oft.d i . , i n Festschri f t & M a ; I , p . 297.

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eum deterioris an imi fed i . I n ta l modo, s i avrebbe u n a l i -mitazione dell'applicazione dell 'a. s . e., non g i à a qualun-que persuadere (sal i i citare, come s i esprime i l rescritto), masolo a quello che avesse provocato i l deterioramento d e lservo. Giudicare se l o stato attuale del testo sia dovuto a dincuria stilistica della cancelleria, ovvero r isult i dall'incorpo-razione d i un glossa (dumtaxat s i eum deteriori s a n i m i fe-d i ) , ovvero ancora da interpolazioni, è, per noi, impossibile.La precisazione : an im i , certo, f a incl inare p e r u n a de l ledue ul t ime ipotesi, dovendosi considerare accertata — a no-stro modo d i vedere — una tendenza postclassica a l l a p i ùaccentuata esclusione dall'ambito della nostra azione dei de-terioramenti materiali conseguenti a i cattivi cons ig l i dat i a lservo al t ru i (c f r. supra, §§ 6 , 7 , 9 ) .

Altra possibilità che non s i può scartare a p r i o r i è cheil dumtaxat, sospetto per collocazione, intendesse stabilire uncontrapposto t r a la sola ipotesi della sollecitazione d e l se r -vo e quella dell'occultamento del servo sollecitato : s i c h ela contrapposizione s i stabilirebbe t ra dumtaxat e i l quod-si...eliam successivo. Per tale possibilità, d'altra parte, biso-gnerebbe supporre un r i facimento r i a s s u n t o ? - - generaledel rescritto : cosa niente affat to improbabile, dato quantosappiamo circa i l m o d o d i trasmissione de l le costi tuzioniimperiali (1 9 1) . Ad un analogo — seppure n o n coincidente — risultatoconduce un'altra costiluzione del Codice giustinianeo. C . 9 ,20, 2 (An t . a . 213) : S i ab Ael iano servum Num suseeplumet aliquamdiu oecullatum moxque eo suadente fugae a'alumprobare poies, legis Fabiae crimen p e r l e v e l actionem

t '91) Per tutti. cfr., da ultimo, le acute considerazioni di Vol..-

TERRA, Intorno ad alcune costituzioni d i Costantino, i n Remi. Ace•Lineei (Se. morali , stor. e filai.) 1958, p. 62 ss„

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eam r e m proposi lam, i d esi se rv i corrupi l l , p e r procura loremluum Persegui poles.

Tralasciando alcuni problemi che i l rescritto d i Cara-calla solleva ---- ragioni del silenzio sul l ' a. f u r t i (192), diffe-renze tra i l processo pubblico ex lege Fabia e quello p r i -vato ex edicto servi corrupti per quel che attiene al la pos-sibilità d i servirsi di un procuralor — e che qui non interes-sano particolarmente, resta la fattispecie della suasio alla fugadel servo altrui come tipica applicazione della nostra azione.E, sotto questo profilo, il rescritto non è soggetto a dubbi ( " ) .

29. Abbiamo riservato per ult imi Gai. II I , DO ed i duepassi giustinianei che, con evidenza, ad esso corrispondono(C. 6, 2, 20 e J. 4, t , 8), perchè richiedono u n discorsomeno rapido ed offrono l'occasione di tornare sull'ultimo deiproblemi importanti che restano d a definire, intorno a l lanostra azione : quello del concorso.

Nella sua esposizione de l regime de l fu r lum, Ga io(III, 197) ha dovuto, ancora una volta, sottolineare quel re-quisito del delitto in questione, che già Sabino aveva posto

( "2) Eppure, vi è qui lo stesso occultare che ritreviamo in C. 6,

2, 4 ; ed i l corrispondente celare servum è fatt ispecie t i p i ca d e lfurtzon (cfr., ad es., D . 47, 2, 48, 1-3 ; D. i l , 4, i pr.). De l res to ,le differenze tra questo t ipo d i f u r t um ed i l crimen della lex« Fa-bia non son chiare, nè lo erano forse agli stessi romani, come ap-pare da D 48, 15, 6 pr. Tu t t o i l tema della lex- Fabia aspetta unaelaborazione. Tornando a C. 9, 20, 2, si p u ò forse supporre c h el'imperatore non preveda l 'a. f u r t i data la fattispecie i n c u i n o nemerge una sottrazione vera e propria (aliquamdiu accultalum, diceil testo) : e ciò si inquadrerebbe nella tendenza classica a r idurrel'ambito della nozione d i fur tum, operando anche in base all'ideadi sottrazione.

( "3) La costituzione è ignota al Huvelin, al Levy, allo Schiller,

al Provera, e d•i n g e n e re a t u t ti g li s t ud i os i del n os tr o tema.

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in gran rilievo e che consisteva nell'agere invito domino (1 9 4) .Appunto nel paragrafo che clinteressa, Gaio si ferma su que-sto requisito.

Gai. I I I , 198 : Sed et s i creda/ aliquis invito domino serem contrectare, domino autem volente i d f ia t , d ic i tur f u r -lum non f ier i . Unde i l l ud quaesitum [et f t roba lum]("5) e s t ,cum Ti t i us servum meum sollz«citaverit, u t quasdam res nzihisubriperel el ad eum perterret, i d ad me per tu l i t (1 9 6) , e g odum volo TZ. H U M i n i p so d e li c to d e pr e l ie n de r e, ft er mi se ri m

(194) Cfr. Furlum H, cit., p. 202 n• 444, COn richiamo alla suc-

cessiva nota 451 (er r. 450) : i n queste note si t roveranno i r i n v i iad a l t r i luoghi dei nostr i s tudi nei qual i questo presupposto d e lfu r tum è studiato.

(195) E' giustamente espunto dagli editori : si tratta di un glos-

sema, probabilmente, anche se non c i r iesce fac i l e in tenderne i lsignificato ed i l valore. L e paro le e t probalum, o l t re tu t to , man-cano nel paral lelo passo del le ist i tuzioni imperial i J . I V, t , 8 ) .

(196) Così il Veronese ; le Istituzioni giustinianee hanno et ser-

vus i d ad Maevium 'V I -Uter i ' ( la menzione d i M a e m.u s è c o n s e -guenza dell ' impostazione generale data a l passo gaiano nel le I s t i -tuzioni imper ia l i : a l so l i to , i r i fe r iment i personal i : ego> n o s , e t c .originarii, son trasformati per non a t t r ibu i re fat t ispecie imbaraz-zanti all ' imperatore, autore de l discorso d i re t t o is t i tuz ionale : s u lfenomeno, da ul t imo, cfr. F u r i u m I l, p . 8 7 n . 2 0 ) . G l i e d i t o r i d e l -

l'opera gaiana emendano (et servus) i d ad m e pertuter i t . Ri tenia-mo che l 'or ig inar io i d ad me per tu l i t sia un glossema, inteso a desplicitare un dato impl ic i to ne l testo : i l fat to che i l se rvo l ea l -mente riferisce a l padrone la maliziosa proposta d i Tiz io . Più chela superfluità d e l det tagl io , c i muove , a giudicare glossematicol'inciso i d ad me per i :a i ' , l 'uso del v e r b o jt e r f e r r e n e l s e n s o d i

riferire» — uso non consueto a Gaio (cfr. i n senso mater ia le =portare » i n I I , 71 e I I I , 184) ed i n s t r idente cont rasto c o n l a

duplice applicazione nel lo stesso I I I , 198 del medesimo v e r b o i nsenso materiale.

Sull'intero Gai. I I I , 198, diverse congetture, p i ù rad ica l i m asenza giustificazione, i n BESELER, Fruges et paleae I I , in FesischraftSehulz, I , p. 18 ss.

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vo quasdam res a d eum perferre, u t r u m f u r t i a n se rv ieorrupti iudicio teneatur T i l i u s mi / l i , a n neut ro (1 9 7) . R e -sponsum neutro eum teneri, f u r t i ideo q u o d non i n v i t o m eres contrectaverit, serv i cor rup t i ideo q u o d deterid9r SerVZISlattus non est.

Tralasciando quel che attiene esclusivamente ai proble-mi del fur tum (del resto, non v i è alcunchè d i particolar-mente complesso), è qui da rilevare che l a fattispecie pre-vista per l'eventuale applicazione dell'a. s. c. consiste nell'i-stigazione a sottrarre cose del dominus. Ta l e fattispecieinterpretata, a i fini dell'azione che c i interessa, come p r o -duttiva d i un deterioramento (morale) d e l servo. Siamo,quindi, i n piena armonia con tutte le altre testimonianze giàviste. Nella specie, i l servo non è deterlor faclus, p ropr ioperchè, stante la sua fedeltà e la sua cooperazione con i lpadrone, non è divenuto f a r ; e quindi non si ha possibilitàdi esperire l 'a. s. e.

La rigorosa soluzione logica de i classici p e r l ' ipotesicuriosa riportata da Gaio non piacque c o m ' è notissimo--al senso moralistico d i Giustiniano, i l quale con una suacostituzione del 530, che fa parte indubbiamente delle fa -mose Quinquaginta decisiones (1 9 8) , i m p o s e a l c a s o u n a s o -

luzione del tutto diversa e severa : responsabilità cumulativae con a. f u r t i e coa a. s. e. L a notizia della controversiache Giustiniano intende risolvere è contenuta, ne l la par te

(497) Anche per queste due ultime parole (gin neutro), si po-

trebbe pensare ad un glossema : perché, infatt i , non contemplareallora — come pur doveva venire spontaneo a ch i s i fosse messosulla v ia dell'enumerazione completa delle possibili soluzioni — an-che l ' ipotesi de l concorso cumulativo delle due azioni ?

( i98) Di ciò fa fede, oltre alla utilizzazione della costituzione

nelle Istituzioni, l'espresso tenore della norma imper ia le, allorchèorgogliosamente dichiara : Nobis itaque eorum altercationes deci-dentibus plact ‘ i t ; nonché i l tes to ist i tuzionale c h e par la let tera l -mente d i decisi°.

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iniziale della costituzione, in modo tale da fa r rimpiangerela semplicità e la chiarezza dello stile gaiano ; nel § t , se-gue, con stile corrispondente, la soluzione imperiale.

C. 6 , 2 , 2 0 (Just. a . 530 ) : S i quis servo alieno suase-r i l al iquam rem domin i su i subripere c i ad se deducere, ser-VUS autem hoc domino manitestaverit e t domino concedenteres eius a d iniquum huiusmodi sztasionis auctorem pertulerit,el ipse invenlus j i te r i t rem detinere, q u a l i lenetur actione i squi res suscepil utrumne pro occasione f u r t i a n p r o servo,quia eum corrumpere vo in il. u t non solum fu r t i , sed e l i amservi corrupti i s obligetur veteres dubilaverunt. i . Nobis i ta -que eorunz allercationes decidentibus placui l non so lum f u r t iaclionem, sed eliam serv i corrupti contra e u m dare . L i c e ienim delerior servus min ime faclus est, /amen consilium cor-ruploris ad perniciem probi ta l is s e r v i introduclum e s t : e /quenzadmodum secundum iu r i s regulas f u r t u m quia'em n o nest commissum, qu ia i s videtur f u r l u m committere, q u i con-tra domin i voluntatem res eius contractal, ipse au lem f u r t iactione propter do lum s u u m lenetur, i l a e l se rv i co r rup t icentra eum ad io propter suum v i l i um non ab r e extendatur,ut s i i c i poenalis ad io imposita lanzquam re ipsa fuisset ser-vus corruplus, n e ex huiusmodi impunitate e l i n a l i um ser-vum, q u i tossi i COTrUMPi hoc lacere per/empie/.

Sarebbe interessante, da un punto d i vista stilistico,involuzioni e le illogicità d e l lat ino giustinianeo,

che collima a perfezione cori quello usato i n cert i procedi-menti compilatori d i alterazione dei testi del Digesto (cosìsi rivela come l'uso della lingua latina è davvero, i n e tàbizantina, una sopravvivenza : s i tratta d'uno strumento e-spressivo che non si sa più piegare con precisione a rap -presentare un pensiero nitido). Sì badi, tanto per fare qual-che esempio, alla parte terminale del pr. : quali-dubilaverunt,ove — per dire una cosa semplicissima (quel che Gaio espri-me in poche parole: u t r u m f u r t i an servi co r rup t ilenealur Ti l ius) s i adopera una selva d i pesanti e acca-

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vallate parole ; ovvero si guardi alla parte che intende mo-tivare la decisione d e l : licel-pertemplet, o v e sembra,addirittura, che i l gusto del le riserve (litel...tamen) e de iparallelismi (quemadmodum...ita) prenda la mano ai redattoriin una specie di goffa acrobazia verbale.

Tuttavia, non è questo i l luogo, per tentare u n a si f -fatta analisi stilistica. Convien ri levare, piuttosto, che, n e lpr., Giustiniano si esprime in modo tale da render chiarocome, ai suoi tempi, la tipicità della antiche azioni sia, or-mai, del tutto priva d i senso (p ro occasione f u r t i a n p r oservo, quia eum corrumpere voluit) .

Inoltre, nella stessa parte finale del p r. , Giustiniano siriferisce al dubbio dei classici configurandolo i n u n sensodiverso da quello che appariva a Gaio : non già. dubbio pu-ro e semplice sull'esperibilità dell'una o dell'altra azione (odi entrambe), bensì dubbio sull'eventuale cumulo dell'a. s. c.con quella fur t i , la quale, a prima vista, sembra considera-ta, invece, come pacificamente esperibile per i veteres.

Questa impressione provocata dalla frase del la c . 20 :ut non solum fur t i , sed eliam servi corrupti is obligetur ve-teres dubilaverunt, è rafforzata dalla let tura d e l corrispon-dente brano istiluzionale : J. 4, i, 8 .J. 4 , i

, 8 : Sed e' si creda/ aliquis invito domino se

rem commodatam s i b i contrettare, domino autem volentefica, dici lur fur tum non f ier i . l i n d e i l l u d quaesitum est,tum Ti t i us servum Maev i i sollicitaverit, u t quasdanz resdomino subriperet e t a d eumper te r re ts c i s e r v u s i d a dMaevium pertulerit, Maevizts, dura v id i T i t i u m i n ipso de-litto deprrehendere, permisit servo quasdam res a d eum ib e r -"'erre, utrum f u r t i an servi corrupti iudit io teneaturan neutro E t cum nobis super hac dubitatione suggestum estet antiquorum prudentium super hoc altercationes perspexi-mus, quibusdam neque servi corrupti actionem praestantibus,quibusdam f u r t i tantummoclo n o s huiusmodi cal l idi tat i ob-viam eunies per nostram decisionem sanximus non solum

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f u r t i actionem, sed eliam serv i co r rup t i contra e u m d a r ilicei enim i s servus delerior a sollicitatore minime factus estet ideo non concurrant regulae, quae servi corrupti actionemintroducerent, /amen consilium corruptoris a d perniciem pro-bilatis servi introductum est, u t s i i c i poenalis ad io imposi -fa, larnquam r e ipsa fuisset servus corruplus, ne e x huius-modi impunitale e l i n a l i um servum, q u i possit eorrumpi ,tale facinus a quibusdam perpetretur.

Questo brano, almeno ne l la posizione de l la quest ione(Sed el-an neutro ?), è assai p iù corretto del la costituzione,giacchè segue da vicino i l testo gaiano, con qualche legge-ra deviazione ( l " ) . Nel la par te successiva ( E ! eum-perpe-tretur), invece, r icorrono, sulla scorta della costituzione, cheè ricalcata d a presso, pesantezze ed incoerenze st i l ist iche elogiche. Qu i , ora, però, c i interessa essenzialmente s o l o i lrilievo, secondo i l quale alcuni a n t i q u i ,avrebbero concessotantummodo l'azione d i fur to, mentre a l t r i (e questo l o sap-piamo g ià d a Gaio) negavano ogni azione.

Resta, così, confermata l'impressione g ià desunta da l lac. 2 0 : a lcuni classici — dice Giustiniano — concedevano l'a.fur t i .

I l Longo (2 0 0) , d i r e c en t e , ha d ub it at o della e sa tt ez za

di questa notizia. Crediamo a torto, perchè l o stesso G a i osi r i fer iva ad un dubbio — certo concretamente emerso —sull'esperibilità dell 'una o dell 'altra azione ; d a c iò è l o g i c odedurre che qualche classico aveva sostenuto l 'opinione del-resperibilità dell 'a. f u r t i (nonchè quella dell'esperibilità d e l -l'a, s. e. o d i entrambe, addiri t tura, precorrendo in ciò Gin-stiniano). Comunque, l a p r o v a dell'esistenza del l 'opinioneclassica d i cu i dubi ta i l Longa sembra potersi dedu r re t e -stualmente d a D . 47, 2 , 16 , 8 (U lp . 42 a d Sab. ) : ...quae-

( i99) La precisazione commodalam è connessa, certo, alla fu-

sione, mal operata, qui, d i due paragrafi gaiani 1 9 7 - 1 9 8 ) .(200) Op. cil., p. 254

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r i tur, s i ego me inv i to domino lacere Autarem, a t m domi -nus ve/lei an f u r t i ad io s i i . E t a i ! P o mit o n i u s f u r t u m m e

facere... (2 0 1) .

Le ragione, poi, della soluzione severa d i Giustinianoche ricorre, s i direbbe, addirittura alla finzione (tamquam reOsa fuisset servus earruplus) per punire quel che s i sareb-be indotti a qualificare un reato impossibile (per i l caso delfurto) ed i l tentativo (per il caso della corruptio), sono — co-me è stato concordemente ben visto (2 0 2) — r a g i o n i d i p o -

litica legislativa.Ma che da questi due passi (C. 6, 2, 20 e J. 4., i , 8)

possa indursi — come ha sostenuto di recente il Longo (2 0 3) —

giustinianea della possibilità d i concorrenza t r a a .s. e. e a. f u r t i non sembra affatto potersi d i re , oltre tu t todata la speciosità e la « curiosità », si direbbe, del caso r i -solto. I n sostanza, i testi giustinianei sono interessanti soloper nuovi indirizzi più severi in materia d i repressione pe-nale, non già per nuove vedute sul concorso del le azioni.Questi stessi passi, poi, insieme con i l brano gaiano, n o nestendono certo le nostre cognizioni sulra.s.c. (204).

30. Prendendo spunto dal caso proposto da Gaio e di-versamente risolto dai classici e da Giustiniano, non è inop-portuno, ormai, cercare d i vedere più chiaro in ordine ai pro-

(2111) Sul testo, e sul superamento del principio in questione,

cfr. Fu r tum H , p . 5 6 ss., con richiamo all'interessante D . 47, 19, 6.(202) Da ultimo, LON00, 0/5. cit., p. 154 ss.

(203) 0/5. ci!., p. rsz ss..

(204) Al più, si deve dire che i due passi giustinianei mostra-

no come, per i bizantini — diversamente da quanto è avvenu to aproposito d i a l t re acliones poenales (ad es.: actio legis Aquil iae)ií peso del la . s. c. s i è spostato sempre p iù verso i l c a m p o pub -blicistico (punizione d i u n comportamento antisociale, p iut tosto<che risarcimento e poena privata). Ciò è conforme, del resto, an-che a l d iminui to peso degl i schiavi nell'economia postclassica.

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blemi del concorso tra l 'a. s. c. ed altri mezzi processuali, a iquali tante altre volte — a proposito di singoli testi — abbia-mo avuto occasione d i accennare. Si tratta di un settore dellacui ardua complessità dà già un'idea quel tanto che ebbimooccasione d i accennare a proposito d i D . j i , 3, 11, 2 (su-t ra, § 21) ; e che — va detto subito — non trova nelle fontielementi sufficienti per una disamina esauriente. C i ferme-remo, pertanto, soltanto s u u n punto meno incerto deglialtri : e precisamente, sul punto del concorso t ra a. s. c. ea. fur t i . A l riguardo, però, si deve, innanzi tut to, dichia-rare improponibile concretamente una questione : quella pre-cisamente che potrebbe sorgere i n relazione al discusso prin-cipio pe r cu i servus fug i t ivus su i fu r tum fac i l . S i potrebbe,infatti, teoricamente, pensare che, nel caso di istigazione delservo alla fuga, l'istigatore sia tenuto con a. s. e. ed anchecon a. f u r t i ope consitio (2 0 5) . T u t t a v i a , i l s i l e n z io d e i t e s ti

al riguardo e gli stessi dubbi sul principio ora richiamato (2 0 6)non permettono alcuna indagine fruttuosa.

La concorrenza t ra a. s. e. e a. f u r t i può essere s tu -diata, invece — ed è, appunto, questa l'unica questione chequi si affronta — sotto un prof i lo meno singolare : quel loche sorge dalla istigazione d'un servo a derubare i l dominus.

Sebbene t ra i quesiti che si pone Ga io ( I I I , 198) ciònon sia espressamente previsto, no i pensiamo che, ove r i -corressero, nella fattispecie ipotizzata (istigazione, appunto,di un servo a derubare i l padrone), tan to l ' inv i to dominores contrectare da parte del sollecitatore quanto i l deteriorf ier i del servo, si sarebbe dovuto senza dubbio concludereper i l cumulo dell'a, f u r t i con quella servi corrupt i contro

(205) Ciò in quanto, ovviamente, al furtum sui commesso dal

servo fuggito s i aggiungerebbe i l f u r t u m ofte consitio dell ' istigato-re al la fuga ( = f u r l u m sui) . Per un cenno a questo aspetto d e lproblema, v. g ià supra, 1 7 .

(206) Su cui, cfr. qualche cenno, infra, n. zio.

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colui che, con evidenza, avrebbe realizzato così due distintimalefieia. Ciò è conforme al principio classico che sembra in-discutibile in materia (2 0 7) . G a i . I I I , 1 9 8 v a c o n s i de r a t o u na

testimonianza indiretta a favore del concorso cumulativo del-l'a. s. e. con l ' a. f u r t i normale, proprio per i l modo gene-rale con cui, ivi, è impostato i l quesito. Ciò è, del resto, quelche risulta dai già veduti C. 6, 2, 4 (cfr. supra,§ 28); D . i t,3, i6 (c fr . supra, § 27) e D. 47,i, 2, 5 (cfr. supra, § 9).

Dobbiamo concludere che la possibilità d i una concorrenzacumulativa tra l e d u e azioni i n questione è indubitabiletanto per l'età classica quanto per quella giustinianta.

Gai. I I I , 198, invece, non sfiora affatto il problema, chepur è pensai:Aie, d i un furtum ope consilio del sollecitatore inrelazione alla sottrazione — diciamo così — primaria, opera-ta eventualmente dal servo per suo consiglio ; nè, corrispon-dentemente, i l problema d i u n concorso t r a a . s. e. e a.f u r t i oPe consilio.

Questo problema era, invece — come si ricorderà — af-frontato in D . t i , 3 , i l , 2 (SII cui, v. SUPra, § 21), la cuiprima parte era, appunto, così concepita : Oziamvis eninzrerum subfraelarum n o m i n e s e r v i co r rup t i tompetat a d i o ,/amen e l f u r t i agere possumus : ope enim consi l io so l l ic i ta-toris videntur res «tesse.

La dottrina che, i n un modo più o meno ampio, ha— e con grande fondatezza — dichiarato d'origine postclas-sica i l lungo seguito del f r. I l , 2 h a invece — come puresi disse a suo luogo — sostenuto, in genere, la genuinitàdella parte del testo da noi o r ora trascritta (2 0 8) . N o i , p e r

(20) Su questo pacifico principio, cfr., per tutti, LEvv, oft. cit.,

I, p. 462.(208) Con la sola eccezione del Longo, le cui ragioni, però, ab-

biamo discusso (cfr. supra, 2 1 ) . A l l a crit ica che r ivolgemmo allatroppo radicale soluzione del chiaro romanista, ora possiamo a g -giungere anche l 'argomento che si desume da Gai. 111,198 : è evi-

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contro, connettendoci a l le nostre conclusioni c i rca l a so -luzione ulpianea (restrittiva) del problema de l l ' aestimatio,negammo che si potesse attribuire ad Ulpiano la frase r e -rum subtradarum nomine serv i corrupt i competat adio.

Ora, tornando sui problemi in questione, occorre cer-care d i verificare la possibilità astratta di considerare furtunzoPe tonsaio l'azione d i chi abbia sollecitato i l servo a l t ru ia sottrarre qualcosa al proprio dominus ; e vedere se la re-lativa, eventuale, azione d i furtum ape WItSZ. H O f o s s e c u m u -labile con l 'a. s. e.. Si tratta, in sostanza, di vedere se D. i t,3, i , 2 possa considerarsi d i contenuto classico, sebbenecertamente non ulpio neo.

I testi affermano che i l servo che sottragga cose del do-minus commette furtum ma non è, ovviamente, perseguibi-le con a. f u r t i : c f r. D . 47, 2, 17 pr. ; D . 47, 2, 57, 3D. 41, 2, 15. Questo sembra a noi un insegnamento con-solidato e indubitabile. Tuttavia, espressamente nel caso no-stro — e cioè nel caso in cui un servo p e r istigazione a l -trui porti v ia delle cose al suo padrone — le fonti c i pre-sentano un altro insegnamento, che ci appare come egual-mente indubitato. Secondo questo insegnamento, l'istigatoreè tenuto per furtum ope consilio : ciò è detto espressamenteda D. 47, 2, 36, i e 2, testi che, i n vario modo, riferisco-no opinioni concordi d i Sabino, POMpOrli0 e Ulpiano, e lacui genuinità sostanziale non può essere affatto discussa (2 0 9) .dente — e ritorneremo sul punto subito — che l a stessa posizionedi Gai. I I I 198 postula la possibil ità d i una discussione s u l con -corso t ra a. s. c. e a. f u r t i .

(209) Sul secondo dei due testi citati, cfr., da ultimo, Furtum

p. 167 n. 166, e — Ivi ignorato — il concorde avviso del PRINGSHEIM,oft. cit., in Festschri f t Schutz, I , p. 296.

Va osservato che, pu r se i l pr incipio p e r cu i l ' is t igatore d e lservo a fuggire cum rebus risponde d i f u r t um ape consitio n o n è.a r igore d i logica, u n p r inc ip io eccezionale, d a t a l a sussistenza(or ora richiamata ne l testo) d i un f u r t u m del servo a carico d e l

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— 1 33 —

Il fat to — sia detto pe r inciso — che i n questi due testi nonsi par l i dell 'a. s. e. n o n è p iù sorprendente di quanto l 'ana-logo silenzio sia i n D . 47, 2 , 3 6 p r. (2" ) l a t r a t t a z i o n edominus, s i tratta egualmente d i una costruzione g iur id ica sottile.

E c iò è espresso bene dal placui l d i D . 47, 22 3 62 1-2 ( s u l t e s t o ,

a nostra conoscenza, esiste solo un sospetto — del tu t to infonda-to, pe r noi — del MICOLIER, Pécule e l capaci/é patrimoniale, Lyon,1932, p. 731). Sulle crit iche del LONGO, OP. cit., p. 165, a D, 47, 2 36, 2,v. l a nota seguente

Su D. 47, 2, 36, 3, inf ine — non interessante ai n o s t r i f i n i —cfr., da ult imo, LONGO, OP. cit., p . 166. N o i crediamo, i n questotesto, frutto di una glossa tutto i l tratto finale a partire da Quid ergo.

(210) La genuinità integrale di questo frammento sembra so-

stenuta, d i recente dal PRINGSHEIM, OP. di'., p . 295 ss. P e r nostreparziali riserve sul testo r i s e r v e che, per altro, non ne intaccanoaffatto la sostanza — cfr. F u r i u m I , p. 173 ss.

Anche i l PRINGSHEIM (OP. cit., p. 296 n. I) accennava, a l riguar-do, all 'applicabilità dell'a. s. e.

Su questo punto i n particolare, cfr. F u r t u m I, p. 178 ss., con-tro i l lazioni inaccettabi l i d i Fluvelin. Aggiungiamo qui che l 'emi-nente studioso francese h a avuto i l torto d i non considerare cheil silenzio, i n base al quale ha motivato la sua tesi sull'evoluzionestorica dell'a. s. e. (sulla tesi , c f r. , supra, 2 ) , n o n è g ià silenziosoltanto d i Sabino, bensì d i Pomponio e d i Ulpiano ; n e segueche — a meno d i estendere la sua tesi anche per l'epoca d i questipiù tardi giurist i ( i l che è palesemente assurdo) — l'argomento e

lenlio del romanista francese è del tut to fallace.Di versa esegesi, radicalmente negativa, presenta ora del l ' inte-

ro D . 47, 2, 36 i l l-ONGO, OP. C i4 p. 143 ss., l e cui pos iz ion i n o nnon m i sembrano da seguire : a) innanzi tut to, i n l inea generale,il Longo non distingue sempre i l caso di fur tum ape consilio dal ca-so d i fu r tu rn normalmente realizzato dal sollecitatore con l a con-trectalio delle cose sottratte dal servo al padrone ; non c i ta la te-stimonianza fondamentale d i Gai. I I I , 198 n è considera i l p r i n -cipio — pacifico — del concorso cumulat ivo de l l e az ion i pena l i ;b) p iù particolarmente, i l Longo afferma, per D. 47, z, 36 pr. —con-tro le accennate convinzioni da noi espresse (Furtum I, p. 173 ss.) —la genuinità della motivazione nee-facit: ma non discute d e i d i -fetti formal i da no i r i levati e n o n t iene presente che dichiarare

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— 13 4 - —era dedicata espressamente a l furto ; i brani sono ri tagl iat i

ad opera dei compilatori d a l contesto originario ; nessunameraviglia che non resti traccia dell'a. s. c..

Se, nel caso dell'istigazione del servo altrui a deruba-re i l clontinus (D. 47, 2, 36, I ) ed in quello dell'istigazio-ne dello stesso a fuggire curn rebus (D. 47, 2, 36, 2), al-cuni giuristi classici hanno concesso contro l'istigatore l ' a.f u n i ope COIZSZWO, nessun dubbio ragionevole — dato il prin-cipio classico del cumulo delle azioni penali — deve sussi-stere sulla conclusione per cu i , nelle stesse fattispecie, r i -correndone naturalmente i presupposti, g l i stessi giur ist i a -vranno concesso anche l'a. s. e..

Perchè, però, d i tale concorso a noi n o n sian g iuntemolte testimonianze esplicite — ed anzi resti soltanto il dub-bio D . t r, , t , 2 (2" ) — è un p rob lema oscuro.

che i l COPISZWUM maium non costituisce f u r i u m sarebbe, almeno,incauto ed impreciso per un giurista classico, non fosse che per laesistenza della parola consitium nella t ipica espressionefurtum opecansitio; e) per D. 47, 2, 36, 2, l a ricostruzione del LONGO, 0/5.p. 165 è inaccettabile : o l t r e tu t to , bisognerebbe ammettere u n aazione del claminus contro i l proprio servo fuggit ivo p e r i l fu r to ,il che è aberrante• Per altr i r i l ievi, r iguardanti punt i d i det tag l ioed a l t r i testi addott i dal Longo (specialmente D . 47, 2, 52, 23 e24 ; D. 11, 3, ix, 2 ; D. II, 3, 16 ; D. ii, 3, IL pr.), si veda quan-

to, testo per testo, s i è detto o si d i rà nel presente lavoro.Non sarà inopportuno r i levare q u i c h e i l tenore del l ' in tero

D. 47, 2, 36 esclude — come mette in fo r te r i l ievo i l PRINGSHEIM(/. C.) — l'applicazione del principio per cui servus f u g i n v u s f u r -lum sui facU. Ma da ciò a concludere, con i l Pringsheim, che quelprincipio sia da attr ibuire alle famigerate scuole orientali (o/5. cit.,p. 299), i l passo m i sembra — di f ronte a i d a t i testuali l u n g o earduo. Preferisco pensare ad una origine classica e ad una scarsafortuna del principio stesso, eseogitato — come egregiamente rilevail Pringsheim — in ordine all'usucapione.

(214) Forse, si potrebbero aggiungere gli indizi desumibili da

D . 4 7 , 2 , 5 2 , 2 3 e 2 4 (S11 c u i , s u p r a , 2 8 ) .

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— i 35 —

Non essendo verosimile, ripetiamo, che i classici i n ge-nerale non ammettessero questo concorso, dati gl i elementi— poco p i ù s u accennati (cfr. p , 131) — che possediamosul pacifico concorso t ra a. s. c. e a. f u r t i normale, non r i-mane a nostro avviso, che congetturare, con qualche, fonda-mento, una sistematica soppressione compilatoria d i discus-sioni esistenti al riguardo, t ra i giuristi classici, proprio i nrelazione a quel che abbiamo accertato essere un punto as-sai grave d i dissenso perfino t ra Paolo ed Ulpiano : i n re-lazione — vogliamo dire — al problema dell'aestimatio del-l'a. s. c,.

Si può congetturare, cioè, che quella corrente dottrinalela quale sosteneva l'aestimatio ristretta nel la nostra azionefacesse leva, per far prevalere tale soluzione, anche sulla r i-gorosità eccessiva cui avrebbe condotto la soluzione opposta :le res subtractae, in sostanza, sarebbero state stimate duevolte (una volta nell'a, fu r t i ope consilio, ed un'altra volta, ap-punto, nell'a. s. c.) in un loro multiplo, anche senza un effetti-vo arricchimento dell'istigatore. E s i potrebbe congetturareche i compilatori, dopo avere eliminato la tesi dell'aestima-tio più ristretta, abbiano soppresso gran parte dei riferimen-ti originari al problema del cumulo t r a a . s. c. e a. f u r t ioPe consilio, riferimenti, appunto, legati probabilmente al ladisputa tra i sostenitori delle due diverse soluzioni in temadi aestimatio della prima azione. Questo spiegherebbe la re-ticenza delle fonti sul punto, reticenza che non è facile at-tribuire alla giurisprudenza classica.

Per quanto riguarda D . i i, 3, I l , 2 , i n particolare,esclusa l'attribuzione ad Ulpiano, si deve pensare a d unarielaborazione compilatoria, che, forse prendendo spunto daun discorso originario d i diverso contenuto, ha, comunque,sostanzialmente accolto la soluzione della corrente giurispru-denziale opposta a Nerazio ed Ulpiano, per quanto r iguar-da l'ampiezza dell'aestimatio ; ma ha accolto, per quanto r i-guarda i l concorso dell'a. s. c. con l ' a , f u r t i ope consitio,

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— 1 3 6 —

-le posizioni concordi della giurisprudenza classica. In altre

parole, mentre tut t i i classici, a nostro avviso, ammetteva-no i l concorso cumulativo t ra a. f u r t i (normale o ope con-saio, a seconda che v i fosse stata, o meno, contreciatio d aparte del sollecitatore) e a. s. c., l a corrente c u i aderivaUlpiano non computava nell'aestimatio dell'a. s. e. i l valoredelle res subtractae dal servo, e lo computava, invece, solonell'aestimatio dell'a. fu r t i . L a corrente opposta includevaquel valore ne1Pczestimatio d i entrambe le azioni.

A puro titolo di esempio si potrebbe congetturare peril principio d i D . I l, 3 , I J, 2 , u n t e s to O r i g in a r i o : g u az z i-

vis autem rerztm subtraclarum nomine s e r v i c o r r u p l i (non)competa' adio. lanzen [ e l l f u r t i agere possumus, ope e n i n tconsilio sollicitatoris videntur res abesse... Su ta l v ia, inoltre,si potrebbe congetturare che i l seguito del testo (sui cui di-fetti, v. suPra, § 2 r) non sia affatto integrale creazione com-pilatoria, bensì l'adattamento d i soluzioni classiche ( d i Pao-lo ?) all'alterata affermazione iniziale. Non mancano g rav iincoerenze in questa parte : alludiamo soprattutto a l t ra t toIdem-facit, dove, per noi, è un'intrusione postclassica, de-rivata da un fraintendimento, i l cenno ripetuto al deterioremlacere; pensiamo, infatti, che Giuliano abbia effettivamenteposto i l problema del concorso t r a a . f u r t i e a. s. c. peril caso d i reczpere c i celare (fattispecie diverse, cfr. supra,§ 16). Ciò è provato, c i sembra, dal rilievo dato ai diversamale ficia. E ' certo — e ciò è pacifico i n dot t r ina — com-pilatori°, poi, i l tratto finale koc aMPliltS-COrTUPli • M a le af-fermazioni sostanziali sul concorso cumulativo t ra la nostraazione e l'a, f u r t i ope consilio sono certo, se p u r n o n u l -pianee, classiche.

Concludendo, pertanto, converrà ripetere che l ' a . s. e.in dir i t to classico viene certamente in concorrenza cumula-tiva con l 'a. f u r t i normale (arg. ex : Gai. I I I , 198 ; D . 47,I, 2 , 5 ; D . 11, 3, 16 e C. 6, 2 , 4 ) nonchè con l'a. fu r t i

, o p e t o n s i l z a ( a r g . e x : D . 4 7 , 2 , 3 6 ; D . I l, 3 , lI , 2 [ i t p . ]

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e D. 47, 2, 52, 23-24 [itp.]). Sostanzialmente, Giustinianonon innova su queste posizioni : le alterazioni dei testi de-rivano essenzialmente dalla risoluzione compilatoria della di-sputa classica tra i sostenitori d'una aestimatio restrittiva equelli d'una aestimatio estensiva nella nostra azione, e dallascelta compilatoria delle soluzioni p iù recenti e p i ù restrit-tive in tema di furtum. Una conferma delle posizioni g in-stinianee in tema d i concorso cumulativo t r a a . s. c. e a.fur t i viene, naturalmente, da C. 6 , 2, 20 e J. 4, i, 8 ( 2 1 2 ) ,Per i l concorso, po i , del la nostra azione con altre azio-ni penali — scartate le testimonianze inattendibili d i D . 48,5, 6 pr. (cfr. supra, § 8) e eli n 7, t , 66 (cfr. supra, § 9) —la possibilità d i un concorso cumulativo deve ammettersi so-lo in base ai principi generali (2 1 3) .

Nulla d i sicuro, invece, ci sentiamo d i poter dire circail concorso dell 'a. s . e, con azioni reipersecutorie (214).

31. Tr a molte oscurità e lacune, l'indagine fin qui con-dotta fornisce pure — se non c i inganna l a consuetudinecol tema su f f i c i en t i fondamenti per un quadro del nostroistituto ben armonico con quelli che — nel corso d'una se-rie d i ricerche precedenti — ci sono apparsi i lineamenti

(212) Si vede, dunque, perchè non possiamo seguire assoluta-

mente i l Longo nelle sue conclusioni generali su i p rob lem i re la-tivi a l concorso dell'a. s. e. con l 'a. f u r t i .

( ) D . 47, IO, 26, infatt i , non s i pronunzia sull'eventuale con-corso tra a. s. e. e a. in iu r ia rum (sul testo, v . supra, 9 ) . A l t r iproblemi d i concorso — ad es. quello eventuale t ra a. s. e. e p ro-cessi penali pubbl ici o straordinari (cfr. C. 9, 20, 2 per la l e x Fa-lda; e D. 47, I J , 5, per una animactversio del preside) - non t ro -vano basi testuali sufficienti per essere qui studiati.

(214) Cfr. quanto si è rilevato a proposito di D. ir, 3, 13, i e

14 (supra, 2 5 e 26) ; nonché a proposito d i D . 3 , 9 pr,. (su-_pra, 1 4 ) .

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evolutivi generali delle principali f igure d i del i t t i pr ivat ifur iurn e damnum in i u r i a datum.

In fondo, se ci siamo risolti a tentare l'esplorazione diquesta minore provincia del diritto penale privato romanorappresentata dall'editto de servo corrupto, è stato propr ioperché, d a gran tempo, siamo convinti che, a l modernoprincipio della risarcibilità d'ogni danno cagionato per fattoproprio (fuori dai casi della responsabilità contrattuale) (2 1 5) ,il dir i t to romano offre le premesse storiche attraverso u n aassai estesa opera d i elaborazione, svoltasi contemporanea-mente e (per i l senso che una simile espressione può averenell'esperienza giuridica romana) coordinatamente, in tutt i isettori delle cosidette aa. poenales_

Questa convinzione non è conforme a quella corrente.L'opinione assolutamente dominante (2 1 6) r i t i e n e c h e l e p r e -

messe storiche d i quel principio vadano ricercate esclusiva-mente nell'elaborazione del solo settore della tutela aquilia-na. E questa opinione dominante appare addirittura, consa-crata nella terminologia corrente (2'7) .

Accertare i n modo criticamente completo l'esattezzadella nostra diversa convinzione è un compito non lieve. Lericerche f in qui compiute da noi riguardano, essenzialmente,i t re campi del furto, del danno aquiliano e, ora, dell'edittode servo corrupto. Abbiamo avuto p iù volte, per incidens, oc-

(2'5) Principio sanzionato in tutti gli ordinamenti moderni.

Rinviamo all'ampia ricerca del DE CUPIS, I l danno (Milano, 14947),p. 328, con vasta letteratura e c o n r icchi r i fer imenti a i modern iordinamenti.

(216) Basti citare, invece di ogni altra prova, l'eloquente titolo

della celebre, e pregevole, ricerca del ROTONDI: D a l l a lex Aqui l iaall 'art. r t s t del Cod. civ.. L a convinzione che è a base d i questotitolo è ancor oggi indiscussa.

(20) E' facile intendere come si alluda qui alla terminologia

tenacissima : danno aquiliano, responsabilità aquiliana, colpa aqui-liana, etc..

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casione d i parlare anche d i a l t r i r imedi penal i (2 1 8) . Q u e lche resta da fare, comunque, i n ordine alla prospettiva in-dicata, è immenso : tut to i l settore dell ' iniuria, quello dellarapina, lo stesso campo — fin qui solo sfiorato — del dolzes,nonchè i molteplici minori territori, civi l i o pretori o straor-dinari, cui inerisce i l concetto d i pena privata, e la cui r i -cognizione, da sola, è già un lavoro difficile.

Tentiamo, almeno, d i raccogliere que l che si è ritenu-to d i poter accertare f i n qu i . C i incoraggia, del resto,progressivo chiarirsi delle nostre stesse i d e e ; e l 'armoniadei risultati parziali, v ia via conseguiti, c i conferma in quel-la convinzione d i base cui accennavamo.

Prima, però, d i aggiungere alle f i la della dimostrazio-ne i dati desunti dalla precedente indagine sull 'a. s . e., èopportuno — dato che qui si tratta, dopo tutto, d i conclu-dere — riandare brevissimamente a i principali r isultat i d idettaglio conseguiti o accolti (2 1 9) .

L'editto de servo corruplo, introdotto verosimilmente sul-la fine dell'età repubblicana, ha previsto un'azione in factum,con condanna nel doppio, per le ipotesi del doloso recipereservum alienum e della dolosa istigazione del servo altrui adatti tal i da determinarne un deterioramento, patrimonialmen-te apprezzabile, nel corpo o ne i costumi. Ta le azione e raperpetua, penale, esperibile in via nossale e n o n esperibilecontro g l i e red i dell'autore dell'illecito. Quale che fosse— ed è un punto non facilmente determinabile — il tenoredella formula al riguardo, l'azione è legata, per quanto attienealr aestimatio, a l momento della realizzazione dell'illecito. A

(218) Cfr., per un quadro di insieme dei risultati, Furtum

(219) Data la brevità della presente indagine e l'esistenza di un

indice analit ico e d i un indice delle font i , i l l e t to re c i v o r r à d i -spensare dal procedere, nel le r ighe che seguono, a fast id iosi r i n -vii (affermazione per affermazione) a l le relative d imostrazioni cheson state svolte nel corso de l lavoro,

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— —

questo stesso momento, naturalmente, è legato l'accertamentodella legittimazione attiva. Come altre azioni in cui ciò e raimposto da ragioni d i tecnica imprescindibili, anche l a no-stra azione è, i n diritto classico, non esperibile t r a condo-mini : l o vieta i l tenore dell'editto che parla d i alienum ser-vum (e simili). Quanto alla aestimatio, mentre non esistonoelementi certi per giudicare d i essa ne l caso d e l reciy5ere,sappiamo con sicurezza che, nel caso d i persuadere, i g i n -risti classici eran divisi t ra un indirizzo restrittivo e d u n oestensivo : pe r g l i un i , l'aestimatio doveva ricomprenderesolo la diminuzione di prezzo d e l servo ; per g l i a l t r i , i npiù, anche i l valore delle cose sottratte o danneggiate d a lservo, ed altri eventuali impoverimenti indiretti del dominus.Connessi strettamente alla soluzione del problema dell'aesti-matio eran quelli relativi ad alcuni casi d i concorso del lanostra azione con altre azioni penali. Restano tracce di que-stioni specialmente in ordine al concorso con l ' a . fun i i: èassai probabile che i sostenitori della tesi restrittiva facesse-ro leva sulle conseguenze eccessivamente severe cui avrebbecondotto la tesi opposta. Comunque, non v i sono ragioniper negare che tutt i i classici — sia pure con l e accennatedivergenze sulla portata dell'aesiimalio — abbiano, conforme-mente ai principi, ammesso i l concorso cumulativo t ra l ' a .s. e. ed altre azioni penali. Per nul la informati siamo s u iproblemi d i concorso eventuale con azioni n o n penali. L amaggior parte delle testimonianze circa la nostra azione riguar-da ipotesi d i persuadere, piuttosto che d i reezpere. Ciò deveprobabilmente farsi risalire alla stessa età classica, dato chel'ipotesi del reciPere non poneva particolari problemi interpre-tativi, nè doveva presentarsi con mol ta frequenza. Ciò dàragione del nome corrente — certamente classico (cfr. Gai.III, 198) — della nostra azione, con evidenza relativo al so-lo caso del persuadere. A l lo stato dell'elaborazione classica,egualmente, deve farsi risalire l a pratica limitazione — ri-specchiata anch>essa dalle testimonianze in nostro possesso —

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— 14 l -

delle ipotesi del persuadere ai soli casi che determinano unpeggioramento morale del servo : i l settore dei consigli de -terminanti deterioramenti fisici era coperto praticamente, i netà classica, con molto maggiore comodità, dalle estensioniutili aquiliane, già testimoniate a partire da Labeone (2 2 ( )) ;e se è vero che l 'a. s, e. presentava i l vantaggio della con-danna i n duplum, è pur vero che l'azione ut i le aquiliananon esigeva la prova del dolo.

Le innovazioni compilatorie meritano d'esser considera-te complessivamente. Scarsa importanza innovativa h a l ascelta decisamente operata da Giustiniano i n favore del lasoluzione estensiva in tema d i aestimatio. Non maggiore r i -lievo hanno le posizioni giustinianee, connesse, in tema d iconcorso. È, più che altro, una singolarità la soluzione, i l -logica e severa, data da Giustiniano (C. 6, 2, 20 e J. 4, t, 8)al problema — scolastico, del resto — posto da Gaio (III, 198).Non molta importanza ha, po i , l'innovazione compilatoriaper cui si riduce al simplum l'aestimalio nel caso che l'azio-ne venga esperita, costanle malrinzonio, t ra coniugi (D . x I,3, 17). Connessa a mutate esigenze dogmatiche (concezionedel condominio) e processuali (caduta della procedura for-mulare), nonchè conforme a direttive generali giustinianee,è l'ammissione — compilatoria — dell'a. s. c. t ra i condomi-ni. I compilatori procedono decisamente sulla strada de iclassici, per quanto riguarda la pratica limitazione della no-stra azione ai soli casi del persuadere, ed i n particolare aicasi d i persuasi° che inducono peggioramenti morali. Questaè, in definitiva, la più saliente nota dell'elaborazione giusti-nianea. L a quale, i n sostanza, trasforma la nostra azione inuna specie d i tutela della morale. C i ò — che è conforme,oltre che alle ideologie giustinianee, alla sempre maggior ri-levanza della personalità umana dei servi, a scapito del la

(220) Studi sulla legge Aquilia I, p. 46 ss. ibid, p. 187.

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considerazione esclusivamente patrimoniale — si r ispecchiaanche i n quella che è la p iù sorprendente innovazione nellanostra mater ia : l'estensione, i n v i a u t i le , al la repressionedei peggioramenti moral i indott i da i cattivi consig l i , nei f i -gli d i famiglia D . i i, 3 , 1 4 , t ) .

Se questi sono i t ra t t i p iù ri levanti dello sviluppo sto-rico dell 'a. s. e., i l maggior interesse — ai t in i de l la d i m o -strazione cui accennavamo sul principio d i questo paragra-fo — si incentra sul momento iniziale ; e precisamente sulleragioni che hanno, storicamente, determinato i l sorgere de lnostro editto.

Fin dall ' in;zio — e mutando avviso i n o rd ine a d u n anostra precedente, affrettata, adesione ad una contraria tes idi Huvel in — noi abbiamo visto come non v i siano ragionisufficienti per sostenere una formazione i n d u e t e m p i d e l -l'editto de servo corruplo. Pertanto, i l problema delle ragio-ni storiche determinanti l a sua emanazione va impostato con-temporaneamente per entrambe le fattispecie : quella del per-suadere e quel la d e l recipere.

A no i sembra che, visto i n sìffatta prospettiva, i l n o -stro edit to debba considerarsi come un'integrazione s imu l -tanea delle due differenti sfere giuridiche del fu r lu in e de ldamnum in iu r ia datum. Nell'epoca p iù presumibile del n a -scere dell'editto cie servo eorruplo, l a sfera del f u r tum è giàesposta ad un progressivo processo d i restrizione, operatosul doppio fronte del momento subiett ivo e d e l momento

\obiettivo (221 ) contemporaneamente, l a sfera del danno a-quiliano è, viceversa, esposta ad un processo d i estensione,operato sul doppio fronte delle azioni u t i l i e delle azioni infactunz a d exemplum leg is A q u i l i a e (2 2 2) .

I due accennati processi, d i opposto verso, non sono in-

(221) Su ciò, Furtum H, p. 194 ss. ; e Furturn

(2") Sludi sulla legge Aquilia I, p. 179 ss,

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— 14 3 —dipendenti : alcune delle estensioni della sfera aquiliana sono

operate a spese — per d i r così — della sfera d e l f u r i u mcosì che la restrizione di questa corrisponde all'ampliamentodi quella.

Ora in questo complesso momento evolutivo, s i inseri-sce, a nostro parere, i l sorgere dell'editto de servo corruplo•Da un lato, e precisamente nella previsione del recipere, es-so si coordina con la sfera del furtum, d i cui ripete (è be-ne osservarlo d i nuovo) alcuni t ra t t i essenziali, quali l 'esi-genza del dolo e la condanna in un multiplo. Dall'altro, in-vece, si coordina con la sfera della tutela aquiliana, e pre-cisamente nella previsione del persuadere : d i ciò è tracciaevidente nella terminologia comune che accenna al corrum-pere, fattispecie — come è notissimo — strettamente connes-sa ad un termine del plebiscito aquiliano : ruperil.

In ordine alla prima connessione, la funzione d e l n o -stro editto consiste nel reprimere u n comportamento che,stante le precisazioni incessanti subite dalla nozione di furtzem,non poteva ormai p iù ricomprendersi in essa. Allorchè, in ef-fetti, s i viene a richiedere sempre più insistentemente, per ilconsistere del furizem, dal lato obiettivo, un contatto (Ungere,adtreciare, conireclare) t ra agente e oggetto de l f u r i u m , e,dal lato subiettivo, un dolo specifico sempre più tendente acoincidere con la persecuzione di u n vantaggio dell'agente,la fattispecie del reczpere sembra meritevole di una autonomaprevisione normativa. Ciò in quanto i l r e e-t : p e r e b e n p u ò l i -

mitarsi ad un passivo comportamento permissivo e d omis-sivo, senza vantaggio alcuno per chi l o pone i n essere esenza contatto alcuno con i l servo. Ta l e autonoma previ-sione normativa è contenuta, appunto, in una parte dell'edit-to a'e servo corrupto. E , data anche l'identità dei presuppo-sti e della condanna (almeno secondo i l nostro avviso sullaportata dell'aestimatio nel caso del reci)5ere: cfr. supra, § I 7e, naturalmente, prendendo i n considerazione i l caso, piùfrequente, del solo furtum nec malgfeslum), i l rapporto t ra

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la sanzione del fur lum e la nuova sanzione pretoria del re-cz:pere non appare, in definitiva, diverso da quello che, i n al-tra. sede, si è accertato esser stato i l rapporto tra l 'a. legisAqui l iae normale e quella i n f a c l u m a d exemplum l e g i sAquiliae in una particolare ed importantissima applicazione.Si è visto, infatti, a suo tempo (2 2 3) , c o m e i g i u r i s t i c l a s -

sici abbiano sostenuto l'applicazione dell 'a, i n faelum aqui-liana a casi d i comportamento omissivo cui fosse consegui-to un evento dannoso del t ipo di quelli previsti dal capo Ie dal capo I I I del plebiscito aquiliano. N o i supponiamo,appunto, che i l pretore abbia apprestato l'a. s. e. (che è i n!adun i ) , ne l caso del recipere servum al ienum, s u p resup-posti del tutto analoghi a quelli che determinarono i g iur i -sti (e i l pretore medesimo) all'accennata estensione aquil ia-na : e cioè per reprimere, i n conformità alla repressione del

furlum, quei comportamenti omissivi che sfociavano i n u nevento dannoso del t ipo d i quello normalmente conseguenteal fur lum, e che ormai la coscienza giuridica - - sensibiliz-zata alle esigenze della relazione materiale t ra agente e og-getto, del vantaggio dell'agente, e via dicendo — non per -metteva più d i considerare furlum.

In ordine alla seconda connessione genetica del nostroeditto — quella con la sfera del danno aquiliano — la fun-zione del rimedio pretor i° consiste, egualmente, nel repr i -mere un comportamento che non poteva ricadere neppurenelle più ardite estensioni delle norme del plebiscito aquiliano-

La giurisprudenza classica pervenne, come è noto e co-me accennammo più su, mediante estensione in via utile, aricomprendere nella tutela aquiliana que i danni, in sensomateriale e corrispondente alle ipotesi de l plebiscito (ocei-dere, urere, frange-re, rum,bere), che fossero stati provocati,,non già mediante un contatto fisico (torpore torpori, secon-

(22) Studi sulla legge Aquilia I, pp. 14 ss.; 183 ss..

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do la terminologia d i scuola), bensì mediante a l t r i mezzi :ed in particolare (cfr. Gai. I I I , 219), quelle lesioni materialidello schiavo che erano conseguenti all'altrui persuasi°.

Tale estensione, per quel che ne sappiamo, non si ini-zia comunque prima d i Labeone (224) n è si spinge mai adanneggiamenti del servo non rispondenti obiettivamente alleprevisioni della legge Aquilia. Ben s'intende, pertanto, come,in età repubblicana avanzata, e prima ancora dell'accennataestensione aquiliana suggerita dalla giurisprudenza, i l p re -tore possa avere avvertito l'esigenza di reprimere e le persua-siones che, successivamente, sarebbero state incluse nella tu-tela utile aquiliana (cioè, quelle che determinavano perimentoo lesioni materiali del servo) e le persuasiones che determi-navano soltanto deterioramenti morali del servo, e che, per-ciò, eran del tutto incompatibili con le previsioni della leg-ge Aquilia.

Naturalmente, l'esigenza d i reprimere quest'ultimo t ipodi persuasi° è parallela anche all'incremento del mercato deglischiavi, all'affinarsi del regime edilizio dei vizi de mancipiisvendundis qu ind i , nasce da esigenze pratiche impellenti.

Il pretore provvede mediante l'editto de servo corruplo,nella parte relativa al persuadere, così in certa misura, dun-que, precorrendo i l regime delle estensioni aquiliane. Lo svi-luppo successivo del l ' interpretazione giurisprudenziale delcampo aquiliano tende a far praticamente diminuire di granlunga l'importanza d i questa previsione edittale, p e r que lche attiene alle lesioni materiali, ed a far emergere soltantola ipotesi del persuadere cu i sia conseguito uno svilimentomorale del servo.

Nè sarà fuor d i luogo, a questo proposito, u n u l t imorilievo. Come, nell'ambito dell'interpretazione aquiliana, l'ori-ginaria esigenza d 'un damnum corpore corpori risponde a d

(224) Cfr. supra, n. 220.

— 14 5 —

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— 1 4 6 —

una fondamentale funzione d i determinazione del nesso d icausalità (2 2 5) ; c o s ì, i l s u pe r am en t o di s if fa tt o criterio ma-

terialistico s i manifesta nello sviluppo successivo, s ia nel-l'interno della stessa sfera aquiliana, tramite le aa. utiles,sia all'esterno di quella sfera, mediante la creazione paral-lela di mezzi nuovi, t ra i quali un posto spiccato e d inte-ressante compete, appunto, all'editto d i cui ci siamo in que-sto lavoro occupati.

Se le considerazioni ora svolte sul ruolo storico del no-stro editto appaiono fondate, s i vedrà bene l'importanza che,nella evoluzione complessa del sistema dei delieta, viene adassumere i l tema indagato. I n conclusione, i delitti privati,nel diritto romano, non possono storicamente intendersi senon in un unico quadro, che insieme si articola e si svilup-pa nel tempo. Le radici storiche del moderno concetto d iillecito civile sono assai più complesse d i quanto non si cre-da comunemente.

(225) Sludi sulla legge Aquilia I, p. 181. Nel campo del furlum,

al contrario, i l crescente r i l ievo d i un contat to materiale t r a l a -dro e cosa rubata risponde ad una esigenza d e l t u t t o diversa, ecorrispondente appunto al differente verso di evoluzione (restrittivo)della nozione d i fur lum. L a spiegazione del diverso ruolo storicodel materiale contatto t ra soggetto e oggetto risiede, ovviamente,nel diverso presupposto subiettivo che domina le sfere del f u r l ume del damnunt: nella prima, i l concetto d i dolo, che impone u n aprecisazione rigorosa della responsabilità ; ne l l a seconda, i l con -cetto di in iu r ia a g-e r e , t r o p p o g e n e r ic o e v a go , p er una m e nt a li t à

ancora ristretta, per non esigere una qualche più evidente prec i -sazione.

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INDICE D E I T E S T I C I TAT I

D . T ,

11 2 ,

18, 21 : p . 26 n. 29, 113, 114.14, so : p . 36, 113, 115.

n. 55, 41, i b id n- 59-

D. u , 3, s , 2 : p . 42.

D. u , 3, 3, i : p . 2 / ,

D . 4 , 9, 6, t : p . 51 t i . . 73- D. i l , 3, 5, 3 : p . 42.

37, 111.:4 p . 33, 94

,5 p r . : p. 32,

D. 7 , , 66 : p . 27, 113, 137. D. l I , 3, 5, 4 : 13. 15 , 36, 43, ibid.

D. 9, 2, 27, I : p . 5 2 n . 7 6 . n. 65, 44, ib id. n . 68, 45 , 46,D. 9, 2, 27, 3 : p. 9 n . I o . 63, 94, 11 2 .

D. 9, 2, 27, I O : p . 5 0 n . 7 3 . D. u , 3, 6 : p . 43 n . 64, 45, 46,D. 9, 2

945, i : p . 40 n. 55. 6

3, 94.

P. S. I , 13a, 5 : p. 34, 36, 113.P. S. I I , 31, 12 : p. 67 n. 94, 113.P. S. I I , 3T, 33 : p . 36, 121.

n. 29, 29, 31, 94-D. t i , 3, 3 Pre : p . 32, 36, 38 n. 49,

D. u , 3, 3, i : p . 2 / , 31, 32, 33,

Coli. I I I , 3, 3 : p . 31 n . 38.Coli. X I I , 7, 8 : p . so n. 73.

34, 36,

D. 3 ,D. t i , 3,

37, 111.:4 p . 33, 94

,5 p r . : p. 32, 36, 37, 38n. 49, 39-

D. i, 6, 2 : p. 31 n. 38.

D. 11, 3, 5, 1: 13- 32,

36,

39, 40

Gai. I , 53 : p . 31 n . 38. D . l i , 3,i p r. p . 6, 8 , 62 , 6 3 ,Gai. I l , 200: p . 67 l i t i . 93 e 94. 6 6 n. 91.Gai. I I I , 197 : p . 123, 128 n. 199. D . I I , 3, I , i : 1). 13, 14, 15 n. 18,Gai. I I I , 198 : p . 112 1-1. 1 6 9 , 1 1 3 , 6 1 .

123, 124, ibict. 11.196, 128 n. 199, D . u , 3, I , 2 : p. 15, 36, 38, 39 ,130, 131, ib id. 11. 208, 133, 140, 6 6 , 67 n . 94, 103.141. D . t i , 3, i , 3 : p . 17, 19, 20, 21 ,

Gai. I I I , 219 : p . u , 12 ti. 15, 32, 2 3 , 31, 32, 34, 36.145. D . I I , 3, 1, : p . 1 9 , i b i d . t i . 2 5 ,

Gai. I V, 6 : p. 103. 2 0 , 21, 23, 31, 32, 3 4 , 3 6 .Gai, I V , 78: p . 107. D . i i, 3, I , 5 : p. 21, 22, 23, ibid.Gai. TV, 11x : p . 103. n . 27, 25, 26, 29, 3 1 , 32 , 34 ,

36, T i t .D. l i , 3, 2 : p. 24, 25 , 26 , ibici.

D. 9, 4, I o : p . 51 n . 73. D. i l , 3, : p . 43, ibid. n.65, 44,D. i o , 3, 8, 2 : p . n o n. 165, 113, 4 5 , 46, 63 , 9 4 .

115, 118. D . u , 3, 8 : p . 36, 4 5 , 4 6 , 6 3 , 9 4 ,

D. i o , 3, 26 : p . so n. 73.• 1 0 2 n. 146, ros.

Page 145: ALBANESE – Actio servi corrupti

D.D.

70, 72, 7 4, 75, 76, 87, 89, 90,

92, 93, 94, 95, 96, 98, 99, 105.D. I l , 3, i i p r. : p . 36, 62 n . 84,

I I I , 1 1 2 , 1 2 1 , 1 3 1 , 1 3 6 .

D. i l , 3, r7 : p . 112, 141.D. 1-1 , 4, i pr. : p. 67 n. 93, 123

63, 64, 70, 71, 73, 74, 75 , 76, n . 1 9 2 .

137 n. 213.

77, 78, 81, i l i d . n . /12, 82, 88, D. 17, 2, 56 : p. 113, 118,

O.

92, 97 n . 1 3 1 , 1 0 0 n . 1 4 0 .

3, 9, 2 : p. 36, 62, 63, 70,

D. 25, 2 , I : p . 113.D. r i , 3, l i , : p. 36, 64, 65, 72, D. 25, 2 , 17, I : p. 67 n. 94,

66, 69 , 7 0, 71, 73, 74, 75 n- 103,

73, 76,

77, 78, 79, 80, 82,

92,

D. 29, 2, 71, 6 : p . 67 n. 94.

96.

120, ibid. n. 188.

i r, 3, 15 : p. 31, 36,

D. 37, 15, 5, i : D. 38, 39.D . T i , 3 , 11, 2 : p . 36, 64, 65 n. 90, D. 37, 15, 6 : p . 38, 39, 113.

72, 73, 79, 82, 83, 84, 85 , 86, D. 37, 15,

7 Pr- : P- 38, 3 9 -

87, ibid. n. 124, 92 99,

121, D. 41, 2, 15 : p . 132.130, 131, 134, 135, 136. D. 47, 2, 5 : p . 2 9 , 3 0 n . 3

6 ,D. l I, 3,

12 : p. 36 , 89, 91 , 93, 113, 1 2 0 , 1 2 1 , 1 3 1 , 1 3 6 .

94, 95, 96, 98, 105-

D. 47, 2, 17 : p. 132.D. i ,, 3 ,

13 : p . 46, 102, ibid. D. 47, 2,

21, I : p . 41, ibid. n. 56..n- 146, 105. D. 47, 2 , 21, 3 : p. 41, ibid. n. 56.

D. i l , 3, 13, : p . 36 , 1 03 ,

104

D. 47, 2, 36 Pr- : P. 133, ibid. 11.,

D. 3, 9 Pr- : P- 36, 46, 52, 5 5 ,

93, 95, 96, i b i d n . 130, 97, 98-

59, 94, 108, i r o , ib id . n . 16 5 ,

loo, 103.137 n. 213.

D. I l , 3, 14, 6 : p. 36, 64, q i , 92,D. r, 3, 9, 1 : p. 36, 44, 54, 59 , 98, 99-

6o, 61, 94, t Io, i l/ id. n. 165. O. 11, 3, 14, : P. 36, 64, 91, 92,

D. 3, 9, 2 : p. 36, 62, 63, 70, 99, 102 n. 144-92, 95 n. 129, 96, ibid. n. I30.

D. r i , 3, 14 , : p . 3 6, 6 4, 73. 91,

D. 11, 3, 9, 3 : P. 34, 36, 64 , 65 ,

9 2 , 9 3 , 9 7 n . 1 3 1 , 1 0 0 , i b i d .

66, 69 , 7 0, 71, 73, 74, 75 n- 103,

n. 139, tox.7 7 , S r n . 1 1 2 , 8 9 , 9 2 , 9 5 11. 1 2 9 , D. l I , 3, 14, 9 : p. 36, 64, 91,101.96. D. i r

, 3, 15 : p. 31, 36,

D. I l , 3, i o : p. 36, 64, ibid. 11. 89 ,

D. xi, , 16 : p . 8, 9 n . I O , 36,

n. 149, 105, 137 n . 214.3, 14 : p . 94, 105.3, 14, 1 : p . 14 t i . 17, 36,

54, 60 , 9 4, 105, 141.

D. i i, , 14, 2 : p. 36, 55, 60, 94,

los, 1°8, ibid. n . 161, 109, n on. 165.

D. r i , , 14 , 3 : P - 36, 60 , 9 4, 10 9,

n o n. 165.D. l i, 3 , 14, 4 : p. 60, 94, 95, 109,

ho.D. i i , 3, 14, 5 : p . 64, 73, 91, 92,

- 14 8 -

D.

D.

D.

D.O.D.O.

2 1 0 , 1 3 6 .

47, 2, 36, : p . 85 n. 121, 132,ibid. n . 209, 134, ib id . n , 210,1 3 6 .

4 7 , 2 , 3 6 , 2 : p . 1 3 2 , i b i d . n .

209, 134, Mit i . n. 210, 136.47, 2, 3 6, 3 : P- 133 n- 209,

i b i d . I I , 2 1 0 , 1 3 6 .

47, 2, 3 9 : P. 67 n. 94.

47› 2, 4 3, 6 : p. 41, ibid. n.56.

47, 2, 4 3, Io: p. 4i, ibid. n. 56.

47, 2, 46, 6 : p. 67 11. 94.

Page 146: ALBANESE – Actio servi corrupti

- 14 9 -

D. 47, 2, 46, 7 : p . 41, ib id . a 56. D . 47, i l , 5 : p . 30,i i i, 1 1 3 , 13 7D. 47, 2, 46, 8 : p . 41 n . 59, 128. n . 213.D. 47, 2, 48, p . 67 n . 94, 1 2 3 D . 47, 19, 6 p . 4 1 n . 5 9 , 1 2 9

n . 1 9 2 . n . 2 0 1 .

D. 47, 2, 48, 2 : p . 67 n . 94, 123 D . 48, 5, 6 p r . : p . 25 I L 28, ib id.n . 1 9 2 . n . 2 9 , 1 1 3 , 1 3 7 .

D. 47, 2, 48, 3 : p . 67 n . 94, 1 2 3 D . 48, 15, 6 p r . : p . 123 11. 192.n. 192. D . 48, 19, 28, 7 : p . 31 n . 38.

T i 47, 2 , 52 p r . - 2 : p . 113.T i 47, 2, 52, 23 : p . 120, i b i d . n . C . T h . 9 , 44, i : p . 31 n . 38.

1 8 8 , 1 3 4 n . 2 1 1 , 1 3 6 .

D. 47, 2, 52, 24 : p . 36, 113, 119, J . I , 8, 2 : p . 3 / n . 38.ibid. n , 185, I 20 , 134 I I . 211, J . I V , i , 8 ; p . 123, 1 2 4 n . 1 9 5 ,136. 1 2 7 , 129, 137, 141.

D. 47, 2, 5 7 , 3 : p. 132 . J. tv, 6, 16: p. 103.

D. 47, 2, 5 8 : p . IO.D. 47, 7, 5 : p . I I 0 n . 165 , 11 3 C . 1 , 25 t : p . 31 n . 38.

n. 178. C . 6 , 2, 4 : p . 3 6 , 6 7 n . 9 3 , 1 13 ,

D. 47, 7, 7 pr• p . / 1 6 n . 178. 1 2 1 , 131, 136.D. 47, 7, 8 p r . : p . 116 n . 178. C . 6> 2 , 6 : p . 6 7 t l . 9 3 .

D. 47, 7, 8, 3 : p . 116 n . 178. C . 6 , 2, 20 : p . 41, 113, 123, 126 ,D. 47, 8, 2, 20 : p . i i , ibict. 0.15, 1 2 8 , 129, 137, 141.

12 n . 15. C . 9 , 20, 2 : p , 36, 113, 122 , 1 2 3D. 47, I o , : p. 2 60 . 2 9 , 6 7 n . 9 4 * n . 1 9 2.

D. 47, I o , 2 6 : p . 26 D. 29, 27, 28, C . 9 , 20, I 2 : p , 6 7 n . 9 3 , 13 7 113, 137 11, 213. n . 213.D. 47, IO, 3 8 : p . 31 n . 38. C . I 1 4 8 , 23 : p . 67 n . 93.

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I N D I C E

i. Premessa . •2. I l testo dell'ediclum de servo corrupto • •3. D . I I, 3, i , t e sua origine postclassica .4. D. I l , 3, 1, 2 e determinazione del renpere ed i t -

tale . • • •

Pag.»»

»

56

I 3̂

155. D . I l , 3, I , 3 e determinazione del persuadere e -

dittale . . . • » 176. D. I l , 3, i , 4 : u l ter ior i precisazioni sul persuadere » 197. D. 1 /• 3 , i , 5 : e s em p li f ic a zi o ni del persuadere

» 2 1

8. D . I i, 3, 2 : ancora sul persuadere • • • • » 249. Ricognizione d e i cas i d ' applicazione de l ! ' editto

fuori dalla sedes materiae • • • » 26io. Conferma della ricognizione svolta. » 35I I . L'esigenza del dolo • • . • » 3

612. Condemnatio i n duplunz e nossalità • • » 4213. Momento cronologico decisivo pe r l a determina-

zione della legittimazione attiva • » 4314. L'azione servi corrupt i tra condomini » 4615. Ancora della legittimazione attiva . » 5916. L'aestimatio: a) tenore della formula » 6117. L'aestimatio: b) cr i ter i d i valutazione • » 6418. Segue . » 6919. Segue . » 7

020. Segue . • » 7921. Segue • . » 8222. Segue . • » 8723. Segue » 9024. Segue . • • » 9

825. Perpetuità e natura penale dell'azione » 1 0 2

26. Esame d i alcune u l te r io r i testimonianze paol inesui punt i già veduti . » 105

27. D. I I , 3, 1-5 ; 1 6 e 1 7 • • • » ii/

28. Esame dei r imanenti 'testi estranei al la sedes ma-teriat • • • • » 1 1 3

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1 5 2 -

29. Segue: i n particolare Gai . I I I , 198; C . 6, 2, 20 eJ. 4, 1, 8 . . . . . . . • • P a g . 1 2 3

30. Concorso t ra a. s.. c. e a. f d r i i • • . . » T 2931. Conclusioni generali sul lo sviluppo storico del l 'a-

zione e sulla sua rilevanza nel la storia dell ' i l lecitocivile • » 13 7INDICE DEI TESTI CITATI 1 4 7