CROMIE ISSUE #8

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Foto di Peppe Trotta vincitore del contest di Camera Chiara del Mese di Febbraio 2013 - Musica

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Periodico di FotografiaSommario

Cultura3 - I Grandi Maestri della Fotografia: Josef Koudelka

Spazio Portfolio 6 - Cristina Insinga:Sporco

16 - Alessandro Romeo:Ri-Trovarsi a Instnabul

26 - La Libreria Fotografica

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CulturaI Grandi Maestri della Fotografia

Josef KoudelkaIl Genio della Luce

Riconosciuto come uno dei migliori fotografi del mondo è uno dei pionieri del fotogiornalismo e membro di Magnum. Nel 1961 conseguì un titolo accademico presso l’Università di Praga e iniziò a ottenere commissioni da riviste di teatro fotografando con regolarità il dietro le quinte delle produzioni sceniche del Teatro di Praga. Nel 1967 Koudelka decise di rinunciare alla carriera di ingegnere per dedicarsi completamente alla fotografia. È molto nota la testimonianza foto-grafica che ha offerto sulla fine della Primavera di Praga, Le sue immagini di quegli eventi divennero drammatici simboli internazionali. Nel 1969 l’ “Anonimo foto-grafo Ceco” fu premiato con la Robert Capa Gold Medal dell’Overseas Press Club, per la realizzazione di fotografie che richiedevano un eccezionale coraggio.Negli anni settanta e ottanta, Koudelka proseguì il suo lavoro grazie al sostegno di numerosi riconoscimenti e premi, continuando ad esporre e pubblicare importanti progetti come Gypsies (1975, il suo primo libro) e Exiles (1988, il secondo). Dal 1986 ha lavorato con una fotocamera panoramica e una selezione delle foto otte-nute è stata pubblicata nel libro Chaos, del 1999. Koudelka ha pubblicato oltre una dozzina di libri di sue fotografie, inclusa la più recente opera, il volume retrospet-tivo Koudelka, del 2006.

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Lungo tutta la sua carriera, Koudelka è stato lodato per la capacità nel catturare la presenza dello spirito umano sullo sfondo di paesaggi malinconici. Desolazione, abbandono, partenza, disperazione e alienazione, sono temi costanti nel suo lavoro. I suoi soggetti sembrano talvolta uscire da un mondo fiabesco. Tuttavia, qualcuno legge nel suo lavoro una speranza: la persistenza dell’attività dell’uomo, a dispetto della sua fragilità. I suoi lavori più recenti focalizzano l’interesse sul paesaggio vuoto della presenza dell’uomo.Ha vinto premi significativi come un Prix Nadar (1978), un Grand Prix National de la Photographie (1989), l’Hasselblad Foundation International Award in Photography (1992).

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Cristina InsingaSporco

Cristina giovane fotografa messinese classe ‘89,dopo aver finito gli studi di grafica pubblicitaria e fotografia e aver collaborato per due anni con diversi studi fotogra-fici e fotografi professionisti, ha deciso di intraprendere la strada della fotografia a livello professionale.Per lei fotografia è tutto, ed è il modo più bello per poter conservare nel tempo i propri ricordi, le proprie emozioni. Per questo motivo in maniera attenta e discreta ama fare reportage di matrimonio, il giorno più bello della vita di una coppia, senza perdere neanche un momento, dalla preparazione della sposa fino al taglio finale della torta; cattura gli abbracci e i sorrisi di amici e parenti al soffio delle 18 candeline; cercando di far trasparire l’anima negli occhi del soggetto che ritrae, documentando il tutto con un proprio stile. Da poco più di un anno ha fondato insieme a Ezio Cosenza la “The Cube Production” cominciando ad occuparsi oltre che di direzione della fotografia, anche di aiuto regia e riprese video con constante impegno.Diversi premi e riconoscimenti ricevuti e diverse mostre all’attivo.Del suo lavoro Cristina ci dice:“Ogni giorno compiamo un numero svariato di azioni che determinano la nostra estrazione sociale, i nostri usi e consumi, il nostro essere buoni o cattivi. Non im-porta chi si è, quotidianamente noi ci alziamo, mangiamo, lavoriamo, soffriamo, amiamo, gioiamo e a fine giornata quando ci immergiamo dentro la vasca da bag-no, o sotto la doccia, cerchiamo di lavarci dai nostri problemi, dalle nostre preoc-cupazioni, dallo sporco che ci portiamo fuori e dentro l’anima, da quei pensieri che sembrano consumarci lentamente e che ci rendono tutti così simili e allo stesso tempo diversi, tutti così umani e con la voglia di voler rinascere e cambiare tutto, anche se solo per 10 minuti, il tempo di una doccia.”

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- Quando inzia la tua passione/interesse per la fotografia?Premetto che la fotografia era una delle materie del mio corso di studi alle superiori, ma allora io la vedevo appunto solo come una “materia”, che non riuscivo a comprendere né a capire fino in fondo. Sono arrivata anche al punto di odiarla. La molla che mi ha fatto ricredere su tutto è scattata nel 2011, in un momento molto particolare della mia vita, quando ho capito di non avere i requisiti giusti per intraprendere la carriera di fumettista e illustratrice (mia aspirazione da sempre), così mi sono alzata una mattina e ho deciso che se non potevo fare quello nella vita, volevo comunque realizzarmi in qualcosa che potesse comunicare le mie emozioni, i miei pensieri attraverso le immagini. Quale mezzo migliore se non la fotografia? Scatto dopo scatto ho cominciato ad apprezzare e poi ad amare quello che stavo facendo, tanto da spingermi ad aprire oggi uno studio fotografico nel mio paese di residenza.

- Qual’è il genere fotografico che preferisci o con il quale trovi maggiori af-finità?Senza alcun dubbio i generi che preferisco sono il ritratto e il reportage, perché ti spingono a conoscere la realtà che ti sta intorno, ti fanno vedere le persone e i loro gesti in maniera differente. Amo raccontare delle storie dove al centro di tutto c’è l’uomo e la sua quotidianità.

- Quanto tempo dedichi alla fotografia?Ogni giorno della mia vita!

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- Da dove nasce il tuo progetto “Sporco”? e per quale motivo?Come ho detto prima, mi piace raccontare storie dove l’uomo e la quotidianità siano i protagonisti. Da questo pensiero nasce “Sporco”. La doccia o il bagno è un momento che tutti viviamo giornalmente. E’ un momento di riflessione, oltre che di relax durante la propria giornata.

- Quali sono per te i fotografi che riconosci come punti di riferimento?Sono veramente moltissimi. Fra i primi sicuramente Ferdinando Scianna, Edoardo Agresti e Francesco Zizola, ma adoro gli scatti di Simone Raeli e Simone Sapienza, soprattutto quelli riguardanti Istanbul. La nostra terra è piena di talenti e credo che i due “Simone” siano tra i più bravi che abbiamo.

- Progetti per il futuro?Si certo! Il primo è sicuramente quello di portare avanti questa mia attività di fotografa e fare sempre meglio, oltre che, quello di portare avanti dei progetti e delle serie fotografiche.

- Come vedi la fotografia oggi? Oggi la fotografia è sicuramente diversa da quella di ieri, da quando è diventata accessibile a tutti, chiunque ha intorno al collo una reflex e se questo da una parte può essere un punto a sfavore per il mondo della fotografia professionale, dall’altra parte è un grande incentivo per i futuri talenti, per quelle persone che fino a ieri, nonostante la passione non si sarebbero potuti permettere l’hobby della fotografia. Per me è stato così. Se non ci fossero state le “entry level” a darmi la possibilità di mettermi in gioco non sarei qui!

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Foto di Cristina Insinga © Riproduzione riservata

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Foto di Cristina Insinga © Riproduzione riservata

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Foto di Cristina Insinga © Riproduzione riservata

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Foto di Crisitna Insinga © Riproduzione riservata

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Foto di Cristina Insinga © Riproduzione riservata

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Foto di Cristina Insinga © Riproduzione riservata

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Alessandro RomeoRi-Trovarsi a Instanbul

Alessandro Romeo, nato nel 1977 e cresciuto a Taormina, si trasferisce a Catania per intraprendere gli studi universitari nella facoltà di Ingegneria Informatica.Da sempre appassionato di fotografia, e occhio attento e sensibile alle tematiche sociali, intraprende la sua ricerca artistica prediligendo la fotografia giornalistica e reportage. Nel 2010 compra la prima reflex e inizia a studiare corsi e seguire seminari.E’ uno degli autori degli scatti raccolti nel libro “U iancu e u niuru”, realizzato dall’ACAF ed edito nel 2011, che racconta la città di Catania.Dal 2012 collabora come fotografo per i mensili “I Siciliani giovani” e “I cordai” e come Direttore della Fotografia per la rubrica televisiva UrbanWeek a Catania, città dove vive e lavora.Ha ottenuto diversi riconoscimenti, tra cui l’ultimo 1° Classificato ex-aequo all’ultima edizione di Young FaCTory.Del suo lavoro Alessandro ci dice:“Istanbul cattura con dolcezza, è intima, forse per la sua natura mediorientale, riflette su se stessa e invita a farlo.Nei quartieri poveri, abitati da minoranze, sembra di ritrovare i paesini dell’entroterra siculo, dove la gente è accogliente, le strade sono vissute come estensione della propria casa e vi giocano i bambini, un passato sospeso.La curiosa attenzione rivolta alla città e la stessa che gli abitanti hanno verso chi li indaga, poggiando il loro sguardo indulgente su chi forse non sentono cosìstraniero.”

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- Quando inzia la tua passione/interesse per la fotografia?La domanda che mi interessa maggiormente pormi è “perché?”. Il perché delle proprie scelte è molto pertinente nella fotografia.Ricordo che tra i 12 e i 16 anni scattavo in occasione di gite o eventi familiari, in quelle occasioni era mia madre a mettermi in mano delle camere compatte automatiche che ancora possiedo, e quello che mi piaceva maggiormente era l’aspetto tecnico in se, l’oggetto fotocamera.Forse la prima volta che ho scattato provando piacere nel realizzare belle composizioni è stato a 18 anni in Spagna, per la gita di fine anno, sempre in analogico, ma con una camera stavolta comprata apposta perché ne volevo una mia.Dopo molti anni e pochissime foto nel 2010 ho deciso che volevo fare qualcosa di più serio, il successivo acquisto di una reflex fu più un modo per affermare questa volontà che l’esigenza di uno strumento tecnicamente migliore.Ma tornando alla domanda. Perché ho cominciato a scattare fotografie? Non lo so... quando avrò trovato questa risposta oltre a trovare soluzione il fotografo probabilmente la troverà anche l’uomo.

- Qual’è il genere fotografico che preferisci o con il quale trovi maggiori af-finità?In genere la maggior parte delle persone iniziano con le stesse fotografie, l’autoritratto, col quale ho però difficoltà a confrontarmi, le foto ricordo, che un po mi annoiano, e il “reportage”.Potrei rispondere semplificando che ho preferito iniziare col reportage, guardando nella direzione del racconto/documento giornalistico. Per farlo ho cercato di avere dei referenti per i miei lavori e sin dall’inizio del 2012 faccio parte della redazione de “I Siciliani giovani” collaborando con il responsabile della fotografia con grande soddisfazione perché è una vera occasione di crescita e mi sta insegnando molto.Ultimamente ho sentito la necessità di andare oltre il documento e il visibile, comincio a sentire il desiderio di ‘creare’ ‘immaginare’ quello che poi la camera si preoccuperà’ di registrare.In ogni caso anche anche quando faccio fotografia documentaristica cerco di avere scatti che, da un punto di vista strettamente estetico, rispecchino il mio personale concetto di bello, oltre che tecnicamente ben realizzate, senza far mancare obiettività al contenuto, ma allo stesso tempo non nascondendo il mio personale punto di vista.

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Ci sono credo dei falsi miti riguardo la fotografia di documento, ad uso dei più smaliziati e a scapito di chi ci si approccia al genere da poco. Le fotografie devono mostrare il fatto esattamente cosi’ come appare davanti a noi... il fatto rappresentato è più importante dell’aspetto estetico e tecnico della foto... solo per citarne alcuni.Peccato che all’occasione queste massime vengano declinate come meglio si desidera pur di ottenere una foto di successo. Le più belle foto giornalistiche sono prima di tutto bellissime fotografie, scattate con grande perizia tecnica e forte sentimento estetico da grandi fotografi i quali grazie a tali strumenti riescono poi a dare forte rilievo al fatto rappresentato. Ma è più “romantico” raccontare che si scatta senza sapere neanche come, colpiti inconsapevolmente dagli eventi che osserviamo... baggianate.

- Quanto tempo dedichi alla fotografia?Facendo una summa delle risposte che i non professionisti danno a questa domanda, a costo di essere banale: 24 ore al giorno, e comunque troppo poco... è chiaro che chi vive con passione la fotografia costruisce immagini fotografiche anche quando non ha con se la fotocamera, “vede” in giro per la propria strada fotografie, e sviluppa concetti e progetti.Il problema del tempo nasce proprio coi progetti. Per realizzare dei seri lavori fotografici, che siano composti da un singolo scatto o una serie, che sia un’inchiesta o dei ritratti, ci vuole molto tempo, e direi anche, la possibilità e la serenità del tempo giusto, dei momenti di maggiore predisposizione.La cosa che più mi pesa nella fotografia e non potere dedicare tutto il tempo che vorrei. Scambierei volentieri la mia reflex full frame con una entry level se potessi però utilizzarla tutte le volte che voglio.

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- Da dove nasce il tuo progetto “Ri-Trovarsi a Istanbul”? e per quale mo-tivo?Una fortunata coincidenza che mi ha portato a visitare una città che da un po stava nel mio immaginario. Due miei amici fotografi dovevano recarsi a Istanbul per terminare un lavoro di reportage e sviluppare un nuovo progetto. Alla fine siamo partiti in quattro, tutti amici e tutti appassionati di foto, anche se di solito siamo in cinque, ognuno ha sviluppato un proprio progetto pur condividendo conoscenze e suggerimenti.Credo molto nello scambio di idee, più che altro è una mia personale necessità, devo condividere e discutere dei mie progetti per far si che prendano il giusto respiro e possa comprendere davvero il perché io stesso voglio dargli una particolare connotazione. Anche per la costruzione del racconto “Ri-Trovarsi a Istanbul”, nella fase di editing, ho chiesto il consiglio degli amici di cui più mi fido, e della mia ragazza, anche lei fotografa, che mi regala sempre la sua visione femminile dello sguardo, cosa che le invidio molto.Quello che ho cercato di mostrare con questo reportage è il segno emotivo che la città mi ha lasciato, esponendo il mio io interiore prima ancora che il sensore della fotocamera. E’ un racconto in parte autobiografico, su ciò di conosciuto che vi ho ritrovato, in particolare la la mia terra e la sua sicilianità, riconoscibile, ai miei occhi, per le strade e nei modi di fare della gente.

- Quali sono per te i fotografi che riconosci come punti di riferimento?Non credo di averne. Non dico questo per arroganza, sia beninteso, perché mi lascio sempre affascinare dalle foto cui attribuisco particolare importanza. Di solito ricordo più le foto, le serie in particolare, che i fotografi che le hanno scattate.Sono sempre più consapevole però che lo studio delle opere dei grandi, classici e contemporanei, sia fondamentale per l’educazione dello sguardo. Anche se spesso questo processo porta ad un comportamento di emulazione, anche involontario, e quindi un ripetersi di foto “alla Ghirri”, “alla Fontana”, “alla National Geographic” o anche “alla Masturzo” o “alla Pellegrin”, quasi si trattasse di filtri di Instagram. Mi annovero serenamente tra gli affetti da questo “vizio”, nella speranza che si trasformi nella ricerca della mia individualità fotografica.Voglio comunque menzionare un poeta che, casualmente, usa la fotocamera per scrivere, Tano D’Amico. Le sue foto dei “movimenti” sono le più belle che abbia mai visto, e sentirlo parlare è illuminante.

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- Progetti per il futuro?Come dicevo mi piacerebbe fotografare un mondo non visibile agli altri, ovvero quello delle mie idee, che sono spesso poco reali. Non è facile, devo fare i conti con la consapevolezza di me, mettermi fortemente in gioco... forse ci riuscirò o forse no.Nel frattempo vorrei continuare con il reportage, declinandolo il più possibile verso il sociale, e strutturandolo sempre più come progetto. La progettualità è fondamentale e significa essenzialmente ancora sapere perché realizzare un racconto, per poi passare al come.

- Come vedi la fotografia oggi? Alla grande! La fotografia ha ritrovato una grande diffusione, sia in termini di fruitori che di creatori di contenuti. Quello che va meno bene è l’educazione all’immagine, davvero scarsa, che si forma solo attraverso un già visto che difficilmente è autoriale. Questo produce cattivi fotografi e peggiori osservatori. Tra l’altro la fotografia è uno dei più importanti strumenti per veicolare messaggi e idee, perciò ad alcuni sta bene che non si sia in grado di capire le immagini.

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Foto di Alessandro Romeo © Riproduzione riservata

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Foto di LAlessandro Romeo© Riproduzione riservata

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Foto di Alessandro Romeoi © Riproduzione riservata

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Leggere la fotografiadi Augusto Pieroni

Alessandro Romeo suggerisce questo primo libro con la seguente motivazione: “Mi ha fatto prendere coscienza soprattutto del fatto che la fotografia, anche ai tempi dell’apparente effimero digitale, è un oggetto. E’ rappresentato da ciò che decido di mostrare, che sia un’immagine su un monitor, o una costosa stampa fine art. Non è solo ciò che registra la macchina quando premiamo il pulsante di scatto, e men che meno quello che abbiamo in mente prima di premerlo. Almeno se c’è l’intenzione di condividere le proprie immagini è necessario tenerlo a mente.

Sulla FotografiaRealtà e immagine nella nostra societàdi Susan Sontag

Alessandro Romeo suggerisce questo altro libro.Questa vuole essere una riflessione.Una riflessione dedicata, in particolar modo, a chi è convinto che la fotografia rappresenti la realtà, che sia l’immagine di una porzione di mondo, una cornice oggettiva e pura, un click e via, rendi eterno quell’attimo (come sono soliti dire i fotografi romantici nei loro spot promozionali da orticaria..) Ma non è così. O almeno, correggiamo il tiro: non è così secondo me.

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