Crispi E Colonialismo

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Francesco Crispi & il colonialismo italiano fino al 1900

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Francesco Crispi &

il colonialismo italiano fino al 1900

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Francesco Crispi (1818 – 1901)

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FRANCESCO CRISPI

-                    Nascita a Ribera (Agrigento) il 4 ottobre 1818;

Si laurea in Giurisprudenza all'università di Palermo nel 1843; attività forense a Napoli

-                    1848 partecipa alla vittoria della rivolta indipendentista siciliana contro i Borboni

-                    1849 restaurazione governo borbonico (15 maggio); fuga a Torino, contatti epistolari con Mazzini

-                    1853 espulsione dal Piemonte per il coinvolgimento nella cospirazione mazziniana di Milano (6 febbraio), per la liberazione della città degli Austriaci; fuga a Malta; poi a Parigi

-                    1858 partecipazione all'attentato dinamitardo di Felice Orsini contro Napoleone III; espulsione dalla Francia; incontro con Mazzini a Londra; cospirazione per la liberazione dell'Italia

-                    1859 rientro in Italia; coerentemente all'ideale mazziniano si oppone all'ingrandimento del Piemonte

-                    perdita iniziale dell'ideale democratico – repubblicano; avvicinamento a Garibaldi

-                    1860 organizzazione della Spedizione dei mille; durante la dittatura garibaldina viene scelto come ministro dell'Interno e delle Finanze nel nuovo governo provvisorio siciliano; dimissioni per i contrasti tra Garibaldi e Cavour (tentativo garibaldino di occupare lo Stato Pontificio alleato della Francia, mentre Cavour era in trattative con lo Stato francese già da alcuni anni); intervento delle truppe regolari italiane; annessione del Regno delle due Sicilie al Regno sabaudo

-                    1861 entrata come parte dell'estrema sinistra nella Camera dei deputati

-                    1864 conversione alla fede monarchica (realismo politico); “la monarchia ci unisce, la repubblica ci dividerebbe” (7 maggio); decorazione del Collare dell'Annunziata;

-                    1867 secondo tentativo di Garibaldi di conquistare lo Stato Pontificio. Salvataggio di Garibaldi da parte di Crispi alla stazione di Monterotondo prima che i Francesi lo prendano

-                    1876 avvento al potere della Sinistra; 1877 elezione a presidente della Camera

-                    periodo di stasi

-                    29 luglio 1887 - 1891 dopo la morte di Depretis diventa Primo ministro, primo meridionale ad occupare tale carica;

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Politica: novità progressiste: approvazione del Codice Zanardelli (libertà di

associazione e di sciopero, abolizione pena di morte) economia: politica protezionistica (dazi doganali), sviluppo apparato

industriale nei settori della siderurgia e della metallurgia, prima assenti politica estera: potenziamento della Triplice Alleanza con Germania ed

Austria-Ungheria, guerra commerciale contro la Francia, politica coloniale

-                    1891 fine del primo ministero per la bocciatura della sua richiesta di maggiori finanziamenti nella politica coloniale, il Parlamento è contrario; successori: di Rudinì e Giolitti

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SCANDALO DELLA BANCA DI ROMA

Crisi generale del sistema bancario, cause: depressione del 1887-88

investimenti e prestiti nell'edilizia

risanamento per il colera del 1884

Per coprire la perdita, la Banca Romana si dà all'emissione di moneta non autorizzata e di biglietti aventi lo stesso numero di serie.

  GIUGNO 1889, dall'inchiesta intrapresa risulta un disavanzo di 9 milioni di lire.

Il giorno dopo l'informazione viene smentita e spiegata con “l'imperizia degli inquirenti”.

  GIUGNO 1891, di Rudinì si oppone alla diffusione dei risultati dell'inchiesta in senato “in nome dei supremi interessi del Paese e della patria”.

  DICEMBRE 1892, un inquirente rende noti i risultati: a fronte dei 60.000.000 biglietti autorizzati ne sono stati emessi 113.000.000, di cui 40.000.000 in serie doppia.

  GENNAIO 1893, il Presidente della Corte dei Conti conferma l'irregolarità; il governatore della banca e il direttore vengono arrestati e confessano di aver versato somme di denaro a ministri, tra i quali Giolitti e Crispi.

  MARZO 1893, un comitato di 7 parlamentari indaga: nella relazione di novembre emerge il coinvolgimento di 22 parlamentari, tra cui Crispi.

  1894, al processo viene votata l'assoluzione degli imputati: per evitare l'implicazione di uomini di spicco, infatti, i giudici fanno sparire dei documenti fondamentali per la dimostrazione della colpevolezza degli imputati.

  Effetti dello scandalo: risonanza nell'opinione pubblica

crollo del Credito mobiliare e crollo della Banca Generale

  Per limitare il caos finanziario, Giolitti riordina il sistema creditizio, costituendo la Banca d'Italia

  1893, crisi politica; dimissioni di Giolitti; salita a Capo del governo di Crispi.

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Il 2° ministero di Crispi

        1893 II° ministero di Crispi, dimostrazione di un carattere conservatore ed autoritario:

depressione dei disordini operai (Fasci siciliani)

scioglimento del Partito socialista (1894)

Politica estera: visita a Bismarck per una consultazione sul funzionamento della Triplice Alleanza, integrata con il Naval entente con la Gran Bretagna.

Politica interna: adozione di un nuovo codice sanitario e commerciale riforme dell'amministrazione della giustizia.

                    1896 sconfitta di Adua; crisi del governo; fine del II ministero

                    1900 ultima apparizione pubblica in onore dei funerali del re Umberto I

12 agosto 1901 morte di Crispi a Napoli, all'età di 83 anni

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IL COLONIALISMO ITALIANO Il colonialismo italiano fu una politica di espansione territoriale

ad imitazione delle grandi potenze europee, impegnate a concorrere per la supremazia nello “scramble for Africa” (la corsa alla formazione dell’Impero dell’Africa Orientale Italiana (A.O.I.) sotto il regime fascista, per poi concludersi con la fine della seconda guerra mondiale. La prima fase di questa impresa coloniale va dal 1869, con l’acquisto italiano del porto di Assab in Eritrea, al 1896, con la pesante disfatta di Adua e la conseguente Pace di Addis Abeba.

 Le ragioni che spinsero l’Italia a partecipare alla “corsa alle

colonie” sono riassunte dalla celebre orazione del Presidente del Consiglio Francesco Crispi, il principale fautore di una forte e determinata politica coloniale dell’Italia, che pronunciò:

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" Taluni hanno creduto che le colonie fossero un lusso: non hanno capito che sono una necessità per la

madrepatria, la quale se ne vale per il consumo dei suoi prodotti. Quando i mari ci saranno chiusi ed avremo

bisogno dei mercati stranieri, dovremo ricorrere alle armi per poterceli aprire. La prudenza dell'uomo di stato è di guardare a codesto avvenire: e i nostri ministri, non

provvedendo in tempo, lasciano ai nostri figli una sanguinosa eredità di guerre.

L'Africa vi sfugge! E non tarderanno a prendersela le grandi potenze marittime (...),Le colonie sono una necessità della vita moderna. Noi non possiamo

rimanere inerti e far sì che le altre potenze occupino da sole tutte le parti del mondo inesplorate, altrimenti saremo

colpevoli di un gran delitto verso la patria nostra; comportandosi da inerti chiuderemmo per sempre le vie

alle nostre navi ed i mercati ai nostri prodotti .... Noi cominciamo oggi, e mal si comincerebbe quando, al primo

ostacolo, si fuggisse dai punti che abbiamo occupato! Siamo a Massaua e ci resteremo! Nell' Africa noi

esercitiamo una missione di civiltà: questa missione appartiene all'Italia e non possiamo abbandonarla!".

(Presidente del Consiglio Francesco Crispi)

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Esse furono dunque:

• Politiche:

-        si doveva difendere il prestigio della neonata potenza italiana, che aveva il diritto di rivendicare l’appartenenza al medesimo rango delle altre grandi nazioni europee:

-        per rivalsa dopo lo “schiaffo di Tunisi”, un'umiliazione internazionale subita dall'Italia nel 1881 ad opera dei francesi, che stabilirono il protettorato sulla Tunisia nonostante i precedenti accordi che la definivano obiettivo delle mire coloniali italiane;

• Economiche:

-        lo sviluppo economico imponeva di trovare materie prime e manodopera a basso costo (da cui lo sfruttamento delle risorse e degli indigeni locali) e mercati in cui vendere la produzione eccedente;

-        permetteva non trascurabili vantaggi per le società italiane che esportando all’estero dovevano affrontare scali e dazi alle dogane;

-        forniva una valvola di sfogo per assorbire l’eccesso di manodopera, poiché l’offerta superava la domanda e ciò costringeva molti italiani ad emigrare;

• Sociali:

-        la necessità di dare un diverso senso al fenomeno migratorio: poiché molti connazionali emigravano verso i più svariati paesi del mondo, perché non persuaderli ad indirizzarsi verso i nuovi territori posti sotto la bandiera italiana? A tale proposito fu diffuso il cliché della donna “indigena” esotica, disponibile e voluttuosa attraverso la massiccia diffusione di cartoline che funzionavano come una sorta di “richiamo erotico” per i colonizzatori;

        Ideologiche:

-        nelle idee del governo doveva servire anche come una sorta di incubazione per una coscienza nazionale;

-        il dovere dell’Italia, per via della sua superiorità, di farsi carico della "missione civilizzatrice" che competeva alle nazioni sviluppate e di razza bianca nei confronti dei cosiddetti "selvaggi", al fine di procurare loro benessere economico e progresso civile, il cosiddetto “fardello dell’uomo bianco”.

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INIZIO POLITICA COLONIALE

Il momento iniziale della storia colonialista italiana è da collocare nel 1869, anno dell’apertura del canale di Suez, che, dopo le grandi scoperte geografiche dei secoli precedenti, rappresenta un nuovo momento di comunicazione tra tutto il mondo: iniziano così le missioni e le esplorazioni geografiche di molti intrepidi volontari italiani.

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Attraverso il missionario-esploratore Giuseppe Sapeto, la compagnia navale

genovese Rubattino acquista nel 1869 la Baia di Assab sulla costa dell’Eritrea per crearvi

un deposito di carbone per lo scalo delle navi. Nel 1870 l’Italia pone la sua prima

“bandierina tricolore” ad Assab, ad indicare l’idea di una nazione che, anche se nata da poco, vuole cercare degli spazi in qualità di

potenza appena sorta.

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Tunisia

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Alle esplorazioni tengono dietro occupazioni di piccoli territori, ma l’Italia aspira in verità alla colonizzazione della Tunisia, sia per motivi storici (molte città costiere erano state fondate dai Normanni del Regno di Sicilia) sia per la posizione strategica di fronte alla Sicilia. Durante il Congresso di Berlino (1878) infatti c’erano stati degli accordi tra Francia ed Italia, che tuttavia i francesi poi non rispettano sfruttando l’inettitudine del governo italiano: con il pretesto di impedire le incursioni dei Crumiri, costringono il Bey di Tunisi ad accettare il protettorato francese, e l’Italia viene umiliata dallo “schiaffo di Tunisi” (1881).

Il fatto non può che scatenare feroci critiche e polemiche nell’opinione pubblica italiana, ma essendo impossibilitato ad intraprendere una vera e propria spedizione coloniale offensiva in Tunisia, il governo si rivolge al Corno d’Africa, una zona dell’Africa orientale nella quale l’insediamento coloniale appare più agevole sia perché esploratori e missionari avevano per così dire aperto un varco in quella regione, sia perché la concorrenza degli altri paesi europei nella zona è meno agguerrita. Inoltre l’Italia, desiderosa di rompere il suo isolamento e di contrastare la Francia che aveva occupato Tunisi, stringe la Triplice Alleanza con la Germania e l’Austria-Ungheria (1882), già alleate nella Duplice Alleanza, avversa alla Francia.

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Lo stato italiano guidato da Depretis acquista quindi sempre nel 1882 la Baia di Assab, abbandonata per quasi dieci anni, dalla compagnia genovese Rubattino per 104.100 lire. Nel 1884 sbarcano a Massaua, anch’essa lungo il litorale eritreo come Assab, i primi contingenti italiani, occupano la città e da essa poi avanzano nell’interno e lungo la costa, assicurandosi il controllo di tutta la vicina fascia costiera tra Massaua ed Assab che avrebbe di lì a pochi anni formato la futura colonia di Eritrea, ma che per il momento costituisce i “possedimenti italiani del Mar Rosso”.

Tuttavia con l’annessione di Massaua come capitale provvisoria del possedimento d’oltremare ed in particolare per l’occupazione di Saati (a 30 km da Massaua) verso la fine dell’anno, dove viene edificata una fortificazione, i movimenti militari italiani destarono la preoccupazione del negus neghesti (re dei re) Giovanni IV, sovrano dell’Etiopia, che decise di intervenire.

Il 25 gennaio del 1887 il ras Alula, primo generale abissino e signore di Asmara, attacca su ordine del negus Giovanni IV il presidio italiano di Saati.

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Il giorno dopo, il 26 gennaio, una colonna di 548 soldati italiani viene inviata sotto la guida del colonnello Tommaso De Cristoforis in soccorso al presidio di Saati con dei rifornimenti: appena avvistati, vengono assaltati dai 7000 abissini del ras etiopico Alula a Dogali, 20 km a ovest di Massaua. Nella Battaglia di Dogali (26 gennaio 1887), dopo un’eroica resistenza di oltre 4 ore, solo 87 dei 548 italiani sfuggono al massacro. Quest’attacco inaspettato, oltre a provocare una insanabile frattura nelle relazioni tra il re dell’Etiopia e quello dell’Italia ed ad alimentare il risentimento nazionalistico, rafforza l’ appoggio del governo italiano a Menelik II, alla cui corte era ospitato l’ambasciatore italiano Pietro Antonelli, per minare l'autorità del negus neghesti Giovanni IV e del ras Alula. In Italia verranno anche costruiti dei monumenti in onore dei soldati caduti come ad esempio "Piazza dei Cinquecento" a Roma, che verrà nominata così per i circa cinquecento italiani che presero parte alla battaglia di Dogali.

Grazie anche all’appoggio di Austria e Germania, con cui aveva stretto la Triplice Alleanza dopo lo schiaffo di Tunisi, l’Italia l’anno seguente rioccupa il presidio di Saati e ristabilisce il prestigio nazionale. Poco dopo il negus Giovanni IV muore e Francesco Crispi pattuisce immediatamente con il negus dello Scioa Menelik II una convenzione segreta e lo appoggia affinché diventi negus neghesti dell’Abissinia, come gli italiani chiamavano all’epoca l’Etiopia.

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Il 2 maggio 1889 Antonelli induce il negus Menelik II, nuovo sovrano dell’Etiopia, a stipulare un trattato di amicizia e di commercio con l'Italia, che viene detto Trattato di Uccialli dalla località in cui viene concluso, poi ratificato il 1 ottobre dello stesso anno con una convenzione addizionale. L’Italia gli riconosce la legittimità del potere in Abissinia, mentre lui accetta le conquiste dell'Italia in Etiopia.

Con il trattato di Uccialli, Menelik accettava la presenza degli italiani sull'altopiano e conveniva di utilizzare l'Italia come canale di comunicazione di preferenza con i paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento viene chiaramente interpretato dagli italiani (ma tradotto nella lingua amarica diversamente) come l'accettazione di un protettorato, e per alcuni anni sarà fonte di controversie fra i due paesi, che costituiranno il casus belli della Campagna d’Africa Orientale del 1895-1896 che si concluderà con la pesante sconfitta subita dall'Italia ad Adua.

Con decreto reale del 1° gennaio 1890, tutti i possedimenti italiani del Mar Rosso sono riuniti ufficialmente sotto una sola amministrazione con il nome di Colonia Eritrea.

Crispi intende inoltre estendere ulteriormente i domini coloniali italiani, ma una politica di potenza richiede ingenti spese militari e, di fronte alla possibilità dell’aggravarsi del deficit pubblico, egli chiede al Parlamento un inasprimento fiscale, che gli viene astiosamente rifiutato, portando alla momentanea caduta del suo governo (1891) ed alla sostituzione con il gabinetto dell’opponente di Rudinì.

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Articolo 17 del Trattato di Uccialli (1889):XVII. - S. Maestà il Re dei Re di Etiopia consente di servirsi del governo di S.

Maestà il Re D'Italia per tutte le trattazioni di affari che ha con altre

potenze o Governi. (attenzione a questo "consente" che fu maltradotto in

amarico in "poteva", perchè distingue il testo ufficiale in italiano che stabiliva il

protettorato del Regno d'Italia sull'Etiopia da quello in amarico per il

quale Menelik non intenderà più riconoscere il protettorato.)

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CAMPAGNA D’AFRICA ORIENTALE (1895-1896)CAMPAGNA D’AFRICA ORIENTALE (1895-1896)

 Il termine campagna d'Africa orientale (o Guerra d’Abissinia) si riferisce ai combattimenti impari tra le forze italiane e quelle etiopi degli anni 1895-1896, che hanno inizio il 1° dicembre 1895 in seguito al rifiuto di Menelik di rispettare gli accordi pattuiti nel Trattato di Uccialli, defezione che spinge l’Italia ad un intervento incerto con una spedizione militare nel 1895 nella regione etiopica del Tigré, al confine con l'Eritrea.

Questo voltafaccia avviene a causa di uno svizzero, l'ingegnere ILG, che poi diverrà il consigliere ascoltatissimo del Negus, e di agenti francesi che erano riusciti, intrigando e calunniando l'Italia, a cambiare completamente gli atteggiamenti di MENELIK nei suoi confronti. Gli si era, fra le altre maldicenze, fatto notare che l'articolo 17 del Trattato d'Uccialli disponeva l'Abissinia sotto il protettorato dell'Italia, essendo in esso detto che il Negus "consentiva" di servirsi del governo italiano per tutte le trattazioni dei suoi affari internazionali.

Fortuna per Menelik che nelle traduzione amarica (che aveva valore ufficiale come la redazione italiana) del trattato si trovava una trasposizione incorretta di quel “consentiva” che alterava il significato dell'articolo 17: infatti il traduttore aveva scritto che il Negus "poteva" servirsi, nelle relazioni con le altre potenze europee, del governo italiano. Nella versione italiana il termine fu invece tradotto con un "consente".

Allora Menelick, protestandosi indipendente, comunica alle potenze europee la sua incoronazione ad imperatore d'Abissinia ed allega la copia del suo trattato di Uccialli, che con quel "poteva" fa intendere chiaramente che lui dispone della facoltà di rivolgersi non solo all'Italia, ma anche di servirsi delle relazioni delle altre potenze europee. D’altro canto, però, la delegazione Scioana che era venuta in Italia ad avallare la stesura della bozza dell'accordo era pienamente cosciente che con tale trattato (come riportavano ampiamente i giornali dell'epoca) l'Abissinia si sarebbe trasformata in protettorato italiano, ma finse di ignorare ciò al fine di ottenere le armi ed il prestito milionario che erano alla base dell'accordo economico.

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(Tigré)

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Per questo Menelik, non avendo più bisogno dell’Italia né per prestiti milionari e neppure per il rifornimento di armi, dato che tempestivamente si fa avanti la

Francia e gli offre quarantamila fucili e dieci cannoni a tiro rapido, prima dichiara all’ambasciatore Antonelli che avrebbe rispettato l’articolo 17 e si

sarebbe servito esclusivamente dell’Italia per la trattazione degli affari internazionali, subito dopo però gli fa firmare una dichiarazione, che doveva

assicurare tale promessa, nella quale si stabilisce di “cancellare l’articolo 17”. Accusato dall’Italia di aver mancato alla parola data e richiestogli dovute

spiegazioni di tale comportamento irrispettoso verso la nazione protettrice, il Negus Menelik si scusa asserendo che quando aveva proposto di lasciare immutato l'Art. 17 "gli girava la testa". Siamo nel 1891: la reputazione

internazionale dell’Italia subisce un’intollerabile smacco.

L’Italia, dopo 4 anni di dispute con il negus abissino, si risolve a reagire con l’occupazione da parte di un forte contingente italiano della regione del Tigré, zona etiopica al confine con l’Eritrea, tuttavia questa risoluzione non si rivela

molto azzardata da un punto di vista strategico: Menelik difatti aveva utilizzato la "pausa" di quattro anni concessagli dall'incertezza italiana per ammodernare il proprio esercito con nuove armi, concessegli in particolare

dalla Francia, ostile all’Italia. Nel dicembre del 1895 si muove personalmente anch’egli con un gran numero di uomini alla volta del Tigré per affrontare le

truppe italiane.

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Nonostante il comandante italiano, Oreste Baratieri, saggiamente non volesse impegnarsi in uno scontro diretto vista l’enorme disparità di forze, il Primo Ministro Francesco

Crispi, ritenendo le forze abissine dei semplici "selvaggi" come erroneamente pensavano gli europei, ordina

perentoriamente a Baratieri di impegnare i suoi uomini in battaglia e di sconfiggere le forze nemiche.

Il 7 dicembre 1895 avviene la cruente Battaglia dell'Amba Alagi, presso il monte Amba Alagi nell'acrocoro etiope: il presidio italiano comandato dal Maggiore Pietro Toselli,

composto da 19 ufficiali e 2.300 soldati, viene assalito da circa 30.000 abissini, ossia da un esercito 15 volte più

numeroso del loro e meglio rifornito di armi e provviste. Nello scontro le forze italiane vengono completamente

annientate, non vi è alcun sopravvissuto.

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Battaglia dell'Amba Alagi

Parte Guerra di Abissinia

Data: 7 dicembre 1895

Luogo: monte Amba Alagi, acrocoro etiopico

Esito: Vittoria etiope

Schieramenti

Italia Abissinia

Comandanti

Pietro Toselli† Menelik II

Effettivi

2.319 uomini circa 30.000 uomini

Perdite

Perì l'intero corpo d'armata Sconosciute

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Dopo un certo numero di ulteriori scontri minori, il 1° marzo 1896 le forze italiane capitanate dal tenente generale Oreste Baratieri e quelle abissine del negus

Menelik II si fronteggiano nella epica Battaglia di Adua, che pone termine alle operazioni militari della campagna

d'Africa Orientale per molti anni: la Battaglia di Adua infligge agli italiani quella che è unanimemente considerata la più grave disfatta mai subita dai

colonizzatori “bianchi” europei in Africa.

Il generale Oreste Baratieri disponeva in totale di 36 000 uomini, tra italiani ed Ascari: una metà la lascia a presidio di Massaua, Asmara e delle altre piazzeforti della Colonia

Eritrea, di cui era governatore e le restanti 18 000 le organizza in un corpo di operazione strutturato in quattro brigate, che comanda personalmente nella marcia verso

l'interno.

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Scrive Chris Proutky:«Costoro [gli Italiani] avevano carte geografiche inadeguate, armi antiquate, scarse ed inefficienti

strumentazioni per le comunicazioni e scadenti scarponi inadatti per il terreno roccioso. I nuovi fucili Remington non erano stati assegnati perché Baratieri, costretto ad operare in

regime di stretta economia di bilancio, volle esaurire le vecchie cartucce che non erano adatte ai Remington. Il

morale era terribilmente basso perché i veterani erano malati ed i nuovi arrivati troppo inesperti per coltivare un qualche

“spirito di corpo”. Inoltre vi era una penuria di muli e di selle».

Le stime per le forze etiopiche al comando di Menelik sono di 100 000 uomini come minimo e 150 000 come massimo, pertanto

da sei ad otto volte le forze italiane disponibili.

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TEORIA…

…PRATICA

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David Levering Lewis afferma che il piano della battaglia italiano

<<Prevedeva che tre colonne marciassero in formazione parallela verso la cima di tre montagne - da Bormida al comando della destra, Albertone alla sinistra e Arimondi al centro – con una forza di riserva al comando di Ellena che seguiva Arimondi. Il fuoco incrociato d'appoggio di ogni colonna avrebbe dovuto falciare il nemico. La brigata di

Albertone avrebbe dato il passo alle altre. Essa era in posizione sulla sommità chiamata Chidane Meret, vantaggio che avrebbe fornito agli italiani la possibilità di dominare il

terreno in cui si sarebbero scontrati con gli etiopici.

Tuttavia le tre brigate italiane erano giunte separatamente alla fine della loro marcia notturna e si erano sparpagliate dopo l'attraversamento di numerosi chilometri di terreno molto accidentato. Le loro mappe lacunose indussero il generale Albertone a scambiare

per errore una montagna per Chidane Meret e quando un esploratore gli rivelò il suo errore, Albertone avanzò per raggiungere la postazione corretta, tuttavia dirigendosi così direttamente contro la posizione tenuta dal ras Alula, primo generale abissino, di cui non

sospettava la presenza.>>

La brigata di Albertone è la prima a incontrare l'assalto etiopico alle 6:00 del mattino, presso Chidane Meret, dove gli Etiopici sono riusciti a montare la loro artiglieria dopo

essere stati avvisati poche ore prime del tentativo italiano. I suoi uomini, nonostante la schiacciante inferiorità numerica, tengono le loro posizioni per oltre due ore, finché Albertone non è fatto prigioniero e, sotto la pressione etiopica, quanti sopravvivono

cercano rifugio nelle file della brigata di Arimondi, poco distante. Essa è però costretta ad arretrare sotto i colpi degli etiopici, che ripetutamente caricarono la posizione italiana per tre ore con una forza gradualmente evanescente fintanto che Menelik lancia nella mischia

la sua riserva di 25.000 aborigeni e sommerge i difensori italiani. Due compagnie di bersaglieri che erano arrivate in quel medesimo momento non hanno la possibilità di

portare alcun aiuto e vengono annichilite con poco sforzo.

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Battaglia di Adua

Data: 1 marzo, 1896

Luogo: Adua, Etiopia

Esito: Vittoria decisiva etiope

Schieramenti

Etiopia Italia

Effettivi

150000 ~ 100000 (con armi da fuoco),un numero sconosciuto di artiglierie e mitragliatrici

17 700 (tutti con armi da fuoco),56 pezzi d'artiglieria

Perdite

4 000–5 000 morti,8 000 feriti[1]

7 000 morti,1 500 feriti,3 000 prigionieri[1]

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« Signori, si dispongano con la loro gente e vediamo di finire (morire)

bene »

(Ten. Col. Giuseppe Galliano, Adua, 1 marzo 1896)

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La brigata italiana del generale da Bormida s’è messa nel frattempo in movimento per sostenere Albertone, ma non è

in grado di raggiungerlo in tempo. Tagliato fuori dal restante dell'esercito italiano, da Bormida comincia un cauto arretramento, pur combattendo, verso le retrovie

italiane. Tuttavia da Bormida dirige la sua forza inavvertitamente – sicuramente per colpa delle mappe

grossolanamente inesatte e l'inaffidabilità, se non il tradimento, delle sue guide - in una stretta vallata in cui la

cavalleria nemica massacra la sua brigata al grido di «Ebalgume! Ebalgume!» ("Falcia! Falcia!"). I resti umani del

generale da Bormida non verranno mai ritrovati.

Le rimanenti due brigate, sotto Baratieri, vengono aggirate e fatte a pezzi sui declivi del Monte Belah. A mezzogiorno,

alla conclusione della battaglia di Adua, i sopravvissuti dell'esercito italiano sono in piena ritirata e la battaglia è

già conclusa.

Gli italiani incassano circa 7000 morti, 1500 feriti e 3000 prigionieri nella battaglia e di conseguenza sono costretti ad arretrare in Eritrea, mentre le perdite etiopiche sono

stimate a circa 4000/5000 uomini e 8000 feriti.

Nel loro rifugiarsi nelle retrovie in Eritrea, gli italiani non hanno alternative per sopravvivere se non abbandonare tutta la loro artiglieria e 11000 fucili,

come pure la maggior parte dei loro trasporti.

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La satira francese

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Un interrogativo irrisolto è quello del perché l'imperatore Menelik abbia mancato di sfruttare la sua vittoria e abbia consentito agli italiani in rotta di rifugiarsi in Eritrea. Varie risposte sono state fornite. Al momento, Menelik denunciò una scarsità di cavalleria per infliggere il colpo di grazia ai soldati italiani in fuga, ma Chris Proutky pensa piuttosto ad una "una carenza di

nerbo da parte di Menelik". Lewis crede piuttosto che "è assai probabile che il totale annichilimento delle forze di Baratieri e una conquista dell'Eritrea

avrebbe comportato da parte italiana la necessità di trasformare una guerra coloniale in una crociata nazionale" con tutto ciò che di negativo questa

decisione avrebbe potuto comportare per l'Etiopia, che solamente voleva vedersi garantita la propria indipendenza.

Come esito diretto della battaglia, Menelik fa tranquillamente ritorno alla sua capitale, Addis Abeba, aspettando l'inevitabile crisi del governo italiano

derivante dall'imbarazzo di fronte all'opinione pubblica italiana ed internazionale. Non deve attendere molto che l'Italia il 26 novembre 1896

cede al Trattato di Addis Abeba, riconoscendo l'Etiopia come Stato indipendente, rinunciando alle sue mire espansionistiche sull’Abissinia,

ritirandosi immediatamente dalla regione del Tigré e ritornando ai confini stabiliti dal Trattato di Uccialli.

Francesco Crispi, che tanto aveva spinto la nazione verso questa impresa coloniale, si dimette dalla presidenza del consiglio.

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« Non si affidi alle carte, altrimenti non ritroverà più il suo reggimento. Creda a me che sono un

vecchio ufficiale di carriera. Ho fatto tutta la campagna d'Africa.

Ad Adua abbiamo perduto, perché avevamo qualche carta. Perciò siamo andati a finire a

ovest invece che a est.Qualcosa come se si attaccasse Venezia al posto

di Verona. » 

(Dal libro di Emilio Lussu, Un anno sull'altipiano)

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Piccola curiosità

Nel conflitto perse la vita anche Luigi Bocconi, figlio di Ferdinando Bocconi, fondatore dell'Università Commerciale Luigi Bocconi, che chiamò così proprio in onore del figlio scomparso nel corso della battaglia di Adua.

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La prima colonia in Somalia fu stabilita tra il 1889 ed il 1890 nel sud del paese inizialmente come

protettorato, e solo dal 1905 diviene colonia italiana.

Già nel 1885 era stato stipulato il primo accordo tra il sultano di Zanzibar e l'Italia per ottenere un protettorato sulla Somalia, ma solo dal 1889 si

riesce a collocare un protettorato, mentre risale al 1892 l’occupazione da parte dell’Italia dell’area

meridionale, che verrà poi conosciuta come Somalia italiana.

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Tientsin è la quarta municipalità della Cina per popolazione. Dal 1901, grazie

all'intervento contro i ribelli nella Rivolta dei Boxer, l'Italia, così come altre potenze quali

l'Impero Britannico, la Francia, il Giappone, la Russia, l'Impero Austro-Ungarico e il Belgio, ebbe una concessione territoriale nella città, che fu utilizzata principalmente come sede

diplomatica e base commerciale per l'Oriente.

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RAGIONI DELL’INSUCCESSO DELLA POLITICA COLONIALE ITALIANA

Le ragioni per cui l’Italia andò incontro ad un prevedibile insuccesso su larga scala nel suo progetto coloniale sono numerose e ci fanno comprendere come l’esperienza coloniale italiana abbia rappresentato unicamente un’”avventura” per lo più svantaggiosa, soprattutto a causa del resoconto economico in perdita che le colonia ci hanno lasciato:

1. la politica espansionista si trovava a dover fare i conti con una forte opposizione interna, incarnata da diversi strati della borghesia che non vedevano in essa alcun interesse positivo: la maggioranza che lo sosteneva era la borghesia, ma non quella vera nuova borghesia che da qualche tempo stava nascendo a partire dall'inizio degli anni '90, quando la crisi economica era finita e quella borghesia legata all'industria nell'emergente triangolo industriale del Nord Italia si stava avviando verso una decisiva fase di sviluppo, ed era quindi insofferente agli alti costi economici e sociali delle avventure coloniali.

2. la spedizione militare fu organizzata in maniera confusa ed approssimativa, gettandosi alla conquista di territori lontani senza avere né i mezzi logistici di base né tantomeno il potenziale economico necessario, come lo stesso Chris Proutky fa notare:

«Costoro [gli Italiani] avevano carte geografiche inadeguate, armi antiquate, scarsi e inefficienti strumentazioni per le comunicazioni e scadenti scarponi inadatti per il terreno roccioso. (I nuovi fucili Remington non erano stati assegnati perché Baratieri, costretto ad operare in regime di stretta economia di bilancio, volle esaurire le vecchie cartucce che non erano adatte ai Remington). Il morale era terribilmente basso perché i veterani erano malati i nuovi arrivati troppo inesperti per coltivare un qualche “spirito di corpo”. Inoltre vi era una penuria di muli e di selle».

3. il colonialismo italiano si caratterizzò per un’assoluta ignoranza del territorio e delle popolazioni che vi abitavano, considerate barbare, inette e militarmente incapaci, sottovalutando di conseguenza anche le loro capacità di resistenza che così li colse impreparati.

4. poggiava su di una imponente propaganda, e come questa è caduta, tale esperienza coloniale è stata facilmente rimossa e non ha lasciato tracce, né tantomeno si è dimostrata un’esperienza di costruzione identitaria nazionale come si sperava.

5. per via del ritardo con cui parte l’iniziativa coloniale, ci si deve accontentare delle regioni più povere ed infruttuose dell’Africa, le sole rimaste libere dopo le conquiste degli altri stati europei.

6. dominava una grande polemica di allora rivolta al colonialismo italiano, che arrivava direttamente da un fronte interno mobilitato dall’idea secondo cui all’interno dell’Italia stessa ci fossero già abbastanza colonie: le terre del Mezzogiorno.

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Cristina

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Valeria