Crisi strutturale o crisi congiunturale? Le prospettive del settore a medio-lungo termine

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strutturale o c giunturale? prospettive de medio-lungo te al punto di vist el sociologo” Intervento di Enrico Finzi (Presidente di Astra Ricerche) al convegno annuale Gifco (Gruppo Italiano Fabbricanti Cartone Ondulato - Assografici), Camogli, 15 e 16 maggio 2009 “Crisi strutturale o crisi congiunturale? Le prospettive del settore a medio-lungo termine, dal punto di vista del sociologo”

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Intervento di Enrico Finzi (Presidente di Astra Ricerche) al convegno annuale Gifco (Gruppo Italiano Fabbricanti Cartone Ondulato - Assografici), Camogli, 15 e 16 maggio 2009

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Intervento di Enrico Finzi (Presidente di Astra Ricerche) al convegno annuale Gifco (Gruppo Italiano Fabbricanti Cartone Ondulato - Assografici), Camogli, 15 e 16 maggio 2009

“Crisi strutturale o crisi congiunturale? Le prospettive del settore a medio-lungo termine, dal punto di vista del sociologo”

Intervento di Enrico Finzi (Presidente di Astra Ricerche) al convegno annuale Gifco (Gruppo Italiano Fabbricanti Cartone Ondulato - Assografici), Camogli, 15 e 16 maggio 2009

“Crisi strutturale o crisi congiunturale? Le prospettive del settore a medio-lungo termine, dal punto di vista del sociologo”

PREAMBOLO: LA VERA DOMANDA� Fuor di metafora, la questione che mi viene chiesto di affrontare - e che sta a cuore a tut-ti - è “quando ne veniamo fuori?”. Cercherò, dunque, di rispondere, a rischio di esserecontestato e sbeffeggiato.Parto dal dato reso noto questa mattina, e non ancora ufficializzato dalla stampa: nel primotrimestre di quest’anno il calo del PIL si assesta al -6% rispetto al primo trimestre dell’annoscorso. Dunque, anche nell’ipotesi improbabile che il Paese mantenga un profilo costante- cioè non recedessimo né crescessimo più per tutto il resto del 2009 - il PIL si attestereb-be al -4,6%: molto peggio di quanto prevedessero gli esperti internazionali e nazionali, chesi fermavano al -4%. In realtà, ovviamente, non avremo un profilo piatto. Il modello econo-metrico che abbiamo messo a punto nell’81 e che, dati alla mano, continua ad essere mi-gliore anche di quello adottato in Confindustria, prevede sia un secondo sia un terzo trime-stre in calo. Per l’Italia, dunque, quest’anno dovrebbe chiudersi con un PIL in calo del -6.5%:un dato sconvolgente. La sua gravità si misura anche per comparazione, ricordando chel’unica recessione significativa della nostra storia recente, quella del ‘93, ha avuto un impat-to men che dimezzato e, per di più, spalmato su un numero inferiore di mesi. Ciononostante- si badi bene - ci mettemmo tre anni e mezzo a tirarcene fuori.Dunque, per essere corretti il fenomeno va inquadrato così: non solo siamo in una crisi ne-rissima ma, oltretutto, questa sarà seguita da una ripresa molto lenta. Fatti i conti questa vol-ta ci giochiamo un 7 anni: 2 per cadere nel baratro e 5 per risalire.

INTERMEZZO (IL GIUSTO MEZZO)� Chiunque sostenga che in realtà “va bene” è, dunque, un imbecille: è colto da beota ot-timismo, come dicevano i greci. O, se preferiamo dirla con gli psicologi, ha un atteggiamen-to denegatorio (vede le cose come stanno ma non lo vuole ammettere).Ugualmente beota è chi dice che la crisi è inarrestabile e destinata ad aggravarsi conti-nuamente. Non è così. E già adesso non è così: come ha detto Tremonti, che è un erudito,non c’è stato Armageddon. Nella nostra cultura biblica Armageddon è il giudizio universa-le; riferito al nostro ambito di discorso significa che “l’effetto domino” per cui, giorno dopogiorno, avremmo letto di un fallimento dopo l’altro, non c’è stato. La capacità di risposta del-le nostre imprese leader, finanziare anzitutto, è stata quasi pari alle loro responsabilità nelloscatenare la crisi, e la quantità di risorse messe in campo per sostenere il sistema è stata

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Quando ne verremo fuori?

Nè ottimisti né catastrofisti

impressionante. La pagheremo per anni in termini di inflazione - e forse questo non è chia-ro a tutti - e tuttavia l’operazione è riuscita.Teniamo, dunque, una linea mediana, né ottimista né catastrofista. E il nostro settore? Mi sono informato: l’industria del cartone ondulato vive un calo già apartire dal 2007, con una accelerazione nel 2008. E ora ha iniziato male l’anno, collocan-dosi al di sotto dell’andamento medio dell’economia. Tuttavia non me ne preoccuperei piùdi tanto perché, nel medio periodo, il cartone ondulato va meglio della media: cala molto,ma risale prima e più vigorosamente. E questo, in effetti, è ciò che prevedo accadrà.

LA SITUAZIONE È GRAVE, E LO È PER 5 MOTIVI� IIl primo motivo è la generale crisi economico-finanziaria, ovvero il “congelamento” del-l’economia in tutti i settori, anche quelli che per ora mostrano un andamento positivo (esem-pio tipico, la tecnologia di consumo - cellulari, televisori ecc. - che cresce ancora, magari“solo” di un +2%, dopo i precedenti sviluppi a 2 cifre (e spesso anche superiori al 20%!).Si tratta, insomma, di un effetto generale; è già stato studiato in occasione delle crisi pre-cedenti e sappiamo dunque che nessun settore riesce a sottrarsi.Ma c’è di più. Non solo la crisi attuale è gravissima, ma presenta anche il carattere nuovodella contemporaneità. Insomma: vi ricordate che una volta i settori esportatori dicevano “an-diamo male negli Usa per via dei cambi però la Germania tiene”? Bene. Oggi, invece, non“tira” più niente. Riassumendo, questa crisi presenta il carattere inedito del regresso contemporaneo delleeconomie di tutto il mondo: negli Usa, in tutto il Nordamerica, nel Centro e Sudamerica, inAfrica, nell’Asia vicina e lontana, nei Paesi dell’ex Unione Sovietica, nella vecchia Europa...E, dunque, nessuno può sottrarsi.

� II secondo motivo che rende questa crisi così grave deriva dal fatto che il vostro settoreè connotato da una export orientation non elevatissima. Insomma, la performance del car-tone ondulato dipende prevalentemente dall’economia interna e, secondo i dati statistici,l’economia italiana va peggio della media europea. È pur vero che ci sono dei Paesi gran-dissimi e potentissimi che vanno peggio di noi (la Germania, per esempio), o dei Paesi vi-cini (la Spagna) che per anni ci hanno fatto mangiare la polvere - anche nel ciclismo! - cheora stanno vivendo un tracollo verticale. Ciò non toglie che noi abbiamo un tasso di decre-mento dell’economia reale superiore alla media europea. Non è vero, infatti, come diconoalcuni, che l’Italia sta meglio. Sta meglio dal punto di vista finanziario, se non altro per l’anti-chissima tradizione di risparmio degli italiani e per l’arretratezza del sistema bancario (ar-retratezza che lo ha, in parte, protetto dalle conseguenze più nefaste della crisi internazio-nale), tant’è che l’istituto di credito che ha pagato lo scotto più elevato è stato Unicredit,proprio perché più avanzato. Dunque voi - imprenditori del cartone - risentite maggiormente della crisi generale in quan-to operate nell’economia reale e non in quella finanziaria. I vostri clienti hanno frenato in mi-sura superiore al “necessario”, generando un effetto-terrore che si è tradotto in un fermo im-provviso e spesso quasi totale degli ordini (e questi, oltretutto, non si sono trasferiti su altrimateriali, manifestandosi proprio come il sintomo di una “over reaction”).

� C’è, poi, un altro elemento da considerare, che pesa in Italia più che altrove, ed è il no-stro carattere nazionale (tema di cui si parla poco). Parlo qui del “sentiment” degli italiani,termine tecnico che designa l’ottimismo e il pessimismo dei connazionali: chi, come me, lostudia, sa bene che gli italiani sono un popolo connotato da ciclotimicità, ovvero dall’alter-nanza di fasi di euforia e di depressione. Si tratta di uno stato psicologico, a volte indipen-dente dall’andamento delle cose, presente in tutti i Paesi ma da noi in misura più marcata.Anzi, per essere più precisi dovrei dire che noi italiani siamo “un popolo ciclotimico con seniprofondi e ravvicinati”. Ciò non ha a nulla che fare con la sessualità. Deriva dal fatto che,

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Prima difficoltà: la contemporaneitàdelle crisi

Seconda difficoltà:le peculiaritàdell’economiaitaliana

Terza difficoltà: un carattere“ballerino”

se disegnate un grafico con l’ottimismo posizionato in alto e il pessimismo in basso, nel trac-ciare il sentiment seguite un andamento altalenante (ciclotimico) che ciascuno di noi pre-senta normalmente ed è per così dire fisiologico (insomma non patologico, se non quandoè molto accentuato). Se costruite queste curve seguendo lo stato d’animo dell’opinione pub-blica italiana, otterrete dei seni (picchi) molto alti e poi molto bassi quando cadiamo in de-pressione, e per giunta corti perché né le fasi alte né quelle basse durano a lungo.Che c’entra con l’andamento nel vostro settore? C’entra moltissimo. Perché di fronte alle difficol-tà generate dalla crisi assistiamo a un gioco al rimpallo: i vostri clienti reagiscono in maniera ci-clotimica ipotizzando che i loro clienti reagiscano in maniera ciclotimica. Questo meccanismo,come si può intuire, moltiplica gli effetti del fenomeno e noi, infatti, siamo caduti in depressionepiù che qualsiasi altro Paese europeo. Me lo aspettavo ma - giuro - non in questa misura!

� � � Il sentiment degli ultimi 30 anni - Per convincervi di quanto conti questo fattore, bastache pensiate che quasi tutti i vostri prodotti sono collegati all’andamento del largo consumo: os-sia, in definitiva, che voi dipendete dalla domanda di massa. Insomma, chi vi “alimenta” sonocoloro che usano prodotti imballati nel cartone ondulato, ossia “la popolazione”. EvidenteÈ evidente, allora, quanto sia importante sapere qual è il sentiment nazionale. Ecco idati aggiornati. Per 30 anni, da quando abbiamo iniziato a fare questo tipo di ricerche, l’Italiaha manifestato un sentiment elevato e positivo piuttosto stabile, sugli argomenti più disparati.Chi se ne è avvantaggiato? Tutti.La Bayer, per fare un esempio facile, commissiona ricerche sul sentiment chiedendo alle per-sone se nel futuro prossimo prevedono di stare meglio, peggio o stabili di salute. La Bayer, in-fatti, sa che se la gente prevede di stare male, già adesso più farmaci da banco; è un effetto au-tomatico. Le donne, che si prendono cura dell’armadietto delle medicine di casa (quello dovenoi uomini di solito non teniamo quasi nulla), riempiono l’armadietto perché “non si sa mai”…in generale… io stocco. Indagando sul sentiment della popolazione, dunque, si colgono se-gni significativi sull’andamento dei farmaci da banco.La domanda che, invece, interessa a me è “come crede che le andranno le cose nel prossi-mo anno?”. Gli ottimisti in senso stretto sono coloro che, indipendentemente da come stanno inassoluto, dicono che staranno un po’ o molto meglio. Poi ci sono gli stabili, che andranno “comeadesso”. Ma com’è adesso: ”male, così-così o bene? Gli stabili positivi sono considerati ottimi-sti in quanto non c’è niente di meglio che stare bene e pensare di continuare così. Considerandola media degli ultimi trent’anni, queste due categorie sommate insieme rivelano che il 63% de-gli italiani erano ottimisti: circa 2 italiani su 3 si prospettavano miglioramento o stabilità positiva.E questo è uno dei principali motivi per cui l’Italia è andata piuttosto bene fino ad ora.

� � � La caduta - Uno di voi mi diceva che per vent’anni avete vissuto una crescita conti-nua; beh, in parte ciò è stato dovuto a questo: migliorava il tenore di vita e l’ottimismo por-tava a consumare di più (anche i prodotti impacchettati nel vostro amato ondulato).La situazione ha iniziato a peggiorare nell’ultimo trimestre del 1999, subito prima del volge-re del millennio, prima dell’introduzione dell’euro e anche prima dell’attentato alle Torri Gemelle.A quell’epoca si è iniziato a notare mese dopo mese, anzi trimestre dopo trimestre, che l’umo-re collettivo stava peggiorando. Per un po’ abbiamo pensato a un fenomeno congiunturale.Poi ci si è resi conto che il carattere nazionale stava cambiando. Già all’inizio del millennioeravamo entrati in fase depressiva, prima poco e poi sempre più evidentemente.Ecco alcuni dati significativi: nella rilevazione di inizio d’anno, fatta per la Banca PopolareMilanese, nel gennaio del 2007 circa il 50% degli italiani si dichiaravano ottimista, il restopessimista o incerto. Nel 2008, alla seconda settimana di gennaio, eravamo già piombati al42%. E quest’anno non credevo ai miei occhi: 29% a gennaio. Mai visto niente di simile!Sappiate anche che ciò è accaduto in una cinquantina di Paesi (dove si conduce questotipo di indagine) ma in nessun luogo come in Italia, perché - appunto - siamo un paese iper-ciclotimico.

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� � � La rimonta - Ma dov’è, allora, la buona notizia? Sta nel fatto che gli italiani hanno senilunghi in altezza ma corti in ampiezza: dunque non riusciamo a rimanere a lungo in una con-dizione di depressione. E questo si vede in ogni ambito. Non esiste alcun Paese al mondoin cui un allenatore vince tre partite e allora chiede il triplo dello stipendio e finisce in primapagina sulla Gazzetta dello sport. Così non esiste alcun Paese al mondo in cui un allenato-re perde tre partite e viene praticamente dato per cacciato.Che c’entra? Rivediamo il primo punto, quello relativo alla crisi generale. C’è ed è grave, ma- al di là dell’ottimismo spesso di maniera della Banca Mondiale, dell’Ocse e di tutti questiquegli organismi che dicono sempre che “va male, ma non così male e l’anno prossimo an-drà meglio” - nell’insieme è convinzione diffusa che l’inizio della recovery si collocherà nel-l’ultimo quadrimestre di questo anno maledetto. E i segnali dicono che ci sarà una pur lie-ve ripresa dell’economia già a partire dal primo trimestre del 2010. Un po’ per ideologia,pressione mediatica, ecc. ma un po’ per sostanza: non c’è dubbio che il peggio sia pas-sato. Quanto al punto due (il “congelamento” degli ordini, Ndr), gli imprenditori vostri clien-ti - specialmente chi opera nel settore alimentare - stanno rivedendo i loro programmi, aven-do scoperto la crisi c’è ma meno grave di quanto pensassero.Io lavoro per alcune grandi catene della GDO e per imprenditori di vari settori, e posso dun-que citare alcuni dati concreti e significativi. Uno riguarda Coop, che rappresenta il 18% del-la distribuzione organizzata italiana, e domina una classifica in cui la quota del secondo ope-ratore non raggiunge le due cifre. Bene, Coop, molto forte sia nell’alimentare sia nelle altremerceologie da super e ipermercato, segnala che è finito il calo del food. O, meglio, persi-ste ma a valore, come effetto della forte e reiterata politica promozionale attuata un po’ datutte le insegne della distribuzione (che hanno preferito ridurre il valore dello scontrino me-dio pur di sostenere i consumi a quantità). L’entità di questo fenomeno varia, anche di mol-to. Da un recente lavoro per esempio, è emerso che nel 2007 il tasso di promozionalità eradel 16% (un sesto del valore delle merci “se ne va” in promozione) mentre in questo momen-to la media nazionale è del 29%. Va tenuto presente, al riguardo, che la GDO usa con lar-ghezza la leva promozionale anche per sottrarre ulteriori quote di mercato al dettaglio tra-dizionale che, infatti, registra una drammatica moria di punti-vendita. Tornando al dettaglio,vediamo poi che al Nord l’indice attuale di promozionalità è intorno al 20%, mentre in Siciliae Calabria arriva al 50% perché, in taluni casi, si preferisce vendere in perdita pur di man-tenere il cliente, facendo così un investimento sul territorio.Dunque, nell’alimentare la crisi è già finita o - meglio - c’è ancora, ma assai contenuta. Unaltro esempio? Il consumo di ortofrutta: l’anno scorso era calato tra il 12% e il 16%, con con-seguenze sensibili per il vostro ondulato, mentre oggi è sotto del 2% e, anche in questo caso,possiamo dire che il peggio è sicuramente alle spalle. Ma, al di là dei singoli esempi, quel-lo che mi preme dire è che la reazione isterica della maggior parte dei vostri clienti sta rien-trando: oggi l’idea condivisa è che “certo va male, ma non è la catastrofe che ci eravamodetti”. Una catastrofe, effettivamente, enfatizzata dai media. Attenzione: dire che la colpasia dei giornalisti, che fanno il loro mestiere, in realtà non ha senso. Tuttavia, è pur vero chetanto pessimismo non può che avere peggiorato le cose, perché quando uno si confrontasolo con notizie negative si sente un cretino se anche solo pensa, fra sé e sé, che le coseforse non sono davvero così “pessime”.Dunque, io credo che da qui all’autunno una parte della vostra clientela riprenderà fiato. Eil sentiment? Come va? Rispetto al 29% di ottimisti di due mesi prima, a marzo sono saliti al33%. E a inizio di aprile eravamo al 37%. Dunque, in tre mesi c’è stato un incremento di 8punti, corrispondente a 4 milioni circa di persone (l’universo di riferimento è costituito da cir-ca 51 milioni di italiani) che nel giro di due mesi sono passate dal pessimismo più cupo a unseppur moderato ottimismo.Stando ai risultati delle nostre indagini, insomma, il giro di boa psico-culturale è già passato. Sipuò ritornare indietro? Non credo. Conosco troppo bene i nostri connazionali. Risaliremo ra-pidamente oltre il 40%, per gli stessi motivi che orientano il sentire gli imprenditori. Gli italiani

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iniziano a dire in parte “Tutto qui? La crisi non è poi così grave”, e mentre c’è una parte delPaese , in particolare, che desidera fortemente sperare di sperare. Perché, non dimentichia-molo, noi italiani non riusciamo a stare a lungo in depressione, abbiamo bisogno di far dellescommesse positive. Siamo un paese mediterraneo, anche a Bolzano (che peraltro, non di-mentichiamolo, rispetto al Tirolo è a meridione, così come lo stesso Tirolo rispetto alla Baviera,e questa rispetto ad Amburgo e così via, fino al Polo…). Siamo mediterranei ed estroversi. Èdunque vero che cadiamo più degli altri in depressione, ma è anche vero che siamo i primi auscirne e che veleggeremo - più o meno responsabilmente - verso un atteggiamento positivo.

� Il quarto elemento che determina la crisi, e che so preoccuparvi, è l’attacco al packaging.Un attacco che ha tre facce: la prima è la critica dell’overpackaging, la “colpevolizzazio-ne” del packaging. Eurisko non può che avervi detto, prima che io arrivassi, che l’immaginedel cartone ondulato è molto buona in sé, oltre che eccellente a confronto con quella deglialtri materiali da imballaggio. La questione dell’overpackaging viene in effetti seguita conqualche interesse da parte della popolazione: tuttavia dobbiamo subito precisare che la car-ta e il cartone non rappresentano l’area di tensione. Sotto esame sono altri materiali. La seconda faccia del problema, in grado di incidere sui volumi, consiste in quella tenden-za collettiva alla sobrietà, all’essenzialità, alla semplicità che era già sensibile prima della cri-si e che ora non può che essere cresciuta. Se una parte del vostro business è stato co-struito sul baroccheggiante, il complesso, il voluminoso, un pochino pagherete il dazio. Èuna tendenza generale, che ritroviamo in Ikea come da Zara, in atto già da tempo, e non ver-so la riduzione del cartone ondulato in particolare ma volta a contenere la quantità dl mate-riale utilizzato in generale, con ricadute sui volumi. È dunque possibile che talune tenden-ze socio-culturali orientino in questo senso i consumi, ma non in misura rilevante: se fossiin voi non me ne preoccuperei. Il terzo aspetto del problema riguarda i prodotti senza pac-kaging, cioè sfusi. Si tratta di una minaccia non del tutto irrilevante perché, effettivamente,esiste un diffuso mood a favore del “latte del contadino”. Questo favore, però, tende a di-minuire con l’uso del prodotto: più lo usi meno lo ami. Anzitutto per via dei rischi di conta-minazione batterica, perché il packaging serve essenzialmente a rendere trasportabile e aproteggere il prodotto; (in ultima analisi a renderlo sicuro, specie se alimentare). E poi per-ché il prodotto sfuso perde una serie di benefit, apparentemente secondari, che invece ilconfezionamento riesce a garantire. Dunque, non c’è dubbio: un po’ di “moda” e un po’ diinteresse per i prodotti del territorio, onesti, di stagione, che non hanno grandi costi logisticiecc. indubbiamente ci sono, sostenuti anche da organizzazioni che hanno una certa influen-za presso la classe dirigente e gli intellettuali. Ma i vantaggi del packaging sono straordi-nariamente rilevanti e la società italiana non è affatto disposta a rinunciare alla cornucopiadel super e dell’ipermercato. E questo riguarda tutto: un po’ meno (ma neanche tanto meno)l’ortofrutta, dove ci sono concreti motivi a favore di un razionale approvvigionamento sui mer-cati locali, anche se questi non sono in grado né di rispondere alla domanda di frutti esoti-ci (per fare un esempio) e - tipicamente nel Nord del Paese, né di saturare, con la sola pro-duzione locale, la domanda locale.

� � � Tante bolle e qualche balla - Detto questo, dobbiamo riconoscere che esistonodei reali fenomeni di overpackaging. Di che cosa sto parlando? Del fatto che le confezionisono state sovra utilizzate come medium, ossia come mezzo di comunicazione, per veico-lare messaggi destinati alla testa e al cuore (comprese le etichette consumeristiche). Altroche “venditore silenzioso”! Il packaging è diventato un venditore urlante! E si è esagerato,un po’ tutto il marketing ha esagerato. Noi parliamo di molte bolle ma - forse - dovremmo fareun po’ di esame autocritico e, perché no?, riprendere una misura più sobria. Perché - forse- c’è stata anche un po’ di bolla del marketing (e ci sono state anche un po’ di balle del mar-keting…). L’invito a riprendere la misura viene dalla constatazione che, anche per effetto del-la crisi, c’è stato uno slittamento nelle caratteristiche delle confezioni considerate impor-

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Quarta difficoltà:l’attacco al packaging

tanti. Oggi la gente è meno attenta ed entusiasta ai contenuti di marketing di una confezio-ne, e presta più attenzione alla sua capacità di proteggere il contenuto contro urti e cadu-te, possibili contaminazioni, fuoriuscite del prodotto ecc.: insomma, alla funzione primaria dicontenere, proteggere e rendere il trasporto più leggero (nel vostro caso molto leggero, per-ché il peso del cartone ondulato è strutturalmente basso rispetto ad altri materiali).Dunque, riassumendo, alcune buone ragioni consigliano un ritorno alla sobrietà ma, nel-l’insieme, le minacce generate da residui di ecologismo fondamentalista, dall’esaltazioneper i prodotti del contadino (magari finanziata dalle grandi confederazioni dell’agricoltura),dal rifiuto dell’overpackaging sono, nella sostanza, minacce secondarie. La verità è che del-la carta e del cartoncino non ci priveremo.

� � � La carta, consumi in crescita - Una quindicina d’anni fa svolgemmo, sul compar-to delle macchina da stampa, un lavoro che ricordo con piacere. Una grande impresa,che non nominerò, pagò 800 milioni dell’epoca a una società affinché disegnasse lo scena-rio del settore negli anni successivi. Quella ricerca, in sostanza, affermava che in capo a po-chi anni in Italia non si sarebbe stampato sostanzialmente più nulla: loro erano americanie, dunque, sapevano che Internet avrebbe soppiantato gli altri mezzi di comunicazione scrit-ta. L’anno dopo, a distanza di pochi mesi, noi dicemmo - basandoci sui più modesti stru-menti dei nostri scenari - che non era così: che sì, ci sarebbero stati dei cambiamenti ma chepiù si fosse diffusa Internet e più la gente avrebbe stampato documenti. Oggi i dati ci dico-no che, come conseguenza del diffondersi di Internet, l’uso della carta da stampante è au-mentata del 12%. Insomma, oggi siamo totalmente informatizzati ma poi stampiamo i con-tenuti che trasmettiamo in digitale perché riusciamo a ragionare meglio sul tabulato. Nel campo dei media è tutto abbastanza chiaro: nella storia è arrivata la radio e la carta stam-pata ha venduto più di prima; è arrivata la TV e la radio è più amata che mai (38 milioni di ita-liani la ascoltano tutti i giorni e continuano a incrementare i fatturati pubblicitari); abbiamopreso a comunicare via SMS e se da un lato, in effetti, sono morte le cartoline (ridotte didue terzi), dall’altro la carta è più viva che mai. Anzi, nel lungo termine avremo bisogno dipiù carta e per più ordini di motivi. Qualche esempio? L’alfabetizzazione cresce, allargandola base dei lettori. Insomma, per comunicare, anche con i nuovi mezzi elettronici, si usanoparole, anche se magari più semplici; dunque è in atto un recupero della lettura e della scrit-tura. E poiché l’Italia resta tutt’oggi uno dei Paesi con la più bassa percentuale di laureati,c’è ancora molto margine di miglioramento. Insomma, la carta non scomparirà, esatta-mente come l’e-book non farà scomparire i libri, anzi…Poi, con l’andar del tempo avremo sicuramente meno packaging per unità di prodotto, peròavremo sicuramente anche più unità di prodotto, anche perché i prodotti si fanno semprepiù piccoli (se non altro perché si riducono i nuclei famigliari).E ancora: si userà più packaging a base cellulosica a scapito di altri materiali, perché car-ta e cartone presentano alcuni vantaggi strutturali, a partire dall’assolta riciclabilità (ci saràun motivo per cui l’Italia ha raggiunto proprio qui la leadership europea nell’uso dei materia-li riciclati...). Questa propensione è sostenuta dal fatto che ormai nessuno parla più di stra-ge di alberi dell’Amazzonia, perché oggi tutti, salvo forse qualche maestro male informato,sanno che non è vero: più usiamo carta, cartone e cartoncino e più riforestiamo. Parliamo,insomma di risorse rinnovabili: una caratteristica tanto più preziosa quanto maggiori diver-ranno i problemi di reperibilità delle materie prime, tendenzialmente sempre più drammati-ci man mano che crescono le economie asiatiche, i loro fabbisogni (di energia, materieprime, ecc.) e i relativi prezzi.

� Dunque, andiamo verso un mondo in cui il vostro materiale e quello che ci sta dentro è de-stinato a crescere. Ma allora qual è il vero problema?Il problema c’è. Io sono ottimista a medio-lungo termine (e anche a breve ma non a brevis-simo...). Credo, infatti, che già verso la fine dell’anno vi renderete conto che i cinque citati

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Quinta difficoltà: il vero problema e la sua soluzione

fattori di crisi alleggeriranno il loro peso. E sono convinto che l’anno prossimo non sarà po-sitivo ma che le difficoltà generate dalla crisi saranno molto più sopportabili. Addirittura, ri-tengo che già a partire dalla metà del 2010 vi si offriranno più opportunità che minacce. Eche fra due anni non solo il peggio sarà passato, ma avremo ripreso la crescita.E il problema, allora? Detto in parole semplici, non credo che ci sia spazio per tutti.In quasi tutti i comparti economici, come sappiamo, gli indici di concentrazione tendono acrescere e quantità crescenti di prodotto faranno capo a un numero sempre più basso diimprese. Spiace dirlo ma bisogna dirlo: anche nel vostro settore ci sono realtà troppo mar-ginali, che non riescono e non riusciranno a fare le tre cose indispensabili per superare ledifficoltà attuali e prepararsi alla ripresa (cost saving, massa critica e capacità di investirein innovazione).Dunque, nell’insieme, avremo meno imprese “vive” per ciascun settore. E questo vuol direche è meglio chiudere prima di fallire, vendere (o fondersi, fare merger attivi o passivi, co-struire alleanze) prima di andare a gambe all’aria… perché uno dei principali fattori di de-bolezza dell’economia italiana è l’eccessiva frammentazione del tessuto produttivo… per-ché non c’è grasso che cola per tutti.

IN CONCLUSIONE� Un processo di concentrazione più radicale dell’attuale è non solo inevitabile ma perfinoauspicabile. E la sfida si gioca già nel dopo-crisi, mettendo in campo come arma principa-le quella dell’innovazione. A tutto campo. Perché si tratta di battere strade mai percorse, fareesperimenti e prove, rischiare il vicolo cieco… E questo ci vede in vantaggio perché la ca-ratteristica peculiare della miglior imprenditoria italiana è, appunto, la creatività.Dunque, in tutta franchezza, non credo che fra 10 anni le vostre imprese ci saranno anco-ra tutte; immagino uno scenario con un numero un po’ più basso di imprese, un po’ più gran-di e più capaci di cambiare.La mia conclusione è che stiamo vivendo un momento drammatico, ma abbiamo già gira-to la boa dal punto di vista psicologico (penso al sentiment della popolazione ma anche de-gli imprenditori): continueremo a volare bassissimo per i prossimi mesi sul piano sia dellaproduzione sia, soprattutto, dell’occupazione. Siamo dunque nella fase più cupa della crisi,ma ne verremo fuori, e prima di altri, sorprendendo noi stessi e il mondo per questa nostramillenaria abilità nel cogliere le occasioni.Non sono sicuro che arriveremo tutti alla meta ma sono sicuro che ci arriveremo alla gran-de. Anche perché cresce la domanda di confezioni performanti e competitive, amiche del-la natura, leggere e facili da trasportare, massimamente amabili in termini di look e di infor-mazione, simpatiche (in una recente ricerca sui vari materiali a confronto ho verificato che lacarta e il cartone costituiscono le materie prime più simpatiche alla popolazione, quelle chesuscitano il massimo di cordialità, la minore aggressività, offrendo il maggior comfort esi-stenziale). Prevedo, insomma, una vita con più cartoncino. È una previsione, un auspicio eanche un augurio.

ENRICO FINZI - Ricercatore di marketing, consulente, giornalista, è il fondatore di Astra Srl(società di consulenza strategica nata nel 1983) di cui oggi presidente e amministratore uni-co. http://www.astraricerche.it

G.I.F.C.O. Gruppo Italiano Fabbricanti Cartone Ondulato - Nell’ambito di Assografici(Associazione Nazionale Italiana Industrie Grafiche Cartotecniche e Trasformatrici) raggrup-pa e rappresenta 68 aziende produttrici che coprono ben oltre l'80% dell'intera produzionenazionale di cartone ondulato (http://www.gifco.it).

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Chi arriverà alla meta,ci arriverà allagrande