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1 Jan A. Kregel Direttore di ricerca presso il Levy Economics Institute of Bard College Consigliere economico del ministero per gli Affari Europei. Crescita e moneta unica: il paradosso della politica fiscale [ Traduzione di Michele Paratico ] La moneta unica e la stabilità del cambio La moneta unica europea, proposta originariamente nel Rapporto Werner pubblicato nel 1970, fu introdotta infine nel 1999 a supporto dell’Atto Unico Europeo (1987). Le proposte di Werner furono formulate nel contesto globale del sistema di cambi fissi di Bretton Woods che era in piena disintegrazione al tempo in cui il Rapporto fu pubblicato. Nonostante le difficoltà di gestione del cambio incontrate all’interno dei cosiddetti “serpenti monetari nel tunnel” (dopo il tramonto di Bretton Woods) la Comunità Economica Europea rimase ferma nella sua intenzione di introdurre l’equivalente di un sistema di cambi fissi, reso irreversibile attraverso una moneta unica, emessa da una autorità monetaria sovranazionale in un mondo di cambi di cambi variabili. La moneta unica fu così una novità per due aspetti, l’adozione di un sistema irreversibile interno di cambio fisso in presenza di un sistema internazionale di cambi variabili, che eliminava così l’aggiustamento del cambio per le relazioni commerciali dei i singoli stati membri rispetto al resto del mondo 1 , e una moneta emessa da una istituzione senza nessuna connessione diretta con un governo nazionale o bilancio di governo 2 , che con ciò eliminava una diretta connessione tra la creazione di liquidità e la politica fiscale governativa. Di fatto, questo problema fu risolto sottomettendo la politica fiscale alla moneta unica attraverso il Protocollo alla Sezione 104 del trattato di Maastricht. Tuttavia l’eliminazione dei cambi bilaterali per le monete nazionali non eliminò l’impatto dei cambi sulle performance dei singoli stati a causa di variazioni del cambio della moneta unica di fronte alle altre monete dei partner commerciali internazionali, che invece fluttuavano. Al contrario, ciò rese uniforme l’impatto delle variazioni del cambio della moneta unica per tutti gli stati membri, anche per quelli che erano ancora lontani dall’aver raggiunto la convergenza economica. Così, però si aveva un impatto differenziato sulle condizioni della produzione nazionale a causa delle differenze nella struttura produttiva nazionale e nelle strutture del commercio estero degli stati membri. Proprio come una politica monetaria uniforme avrebbe un impatto differente attraverso i paesi a seconda della loro particolare condizione economica, variazioni uniformi nel tasso di cambio avrebbero un impatto differente sui paesi, che sarebbe largamente indipendente dalle condizioni economiche nazionali. Allo stesso modo variazioni nelle preferenze di investitori per azioni denominate in dollari US, o variazioni nei flussi globali di capitali potrebbero produrre impatti negativi o positivi nei saldi della bilancia commerciale indipendentemente dalle esigenze della politica nazionale.

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Jan A. Kregel

Direttore di ricerca presso il Levy Economics Institute of Bard College Consigliere economico del ministero per gli Affari Europei.

Crescita e moneta unica: il paradosso della politica fiscale

[ Traduzione di Michele Paratico ]

La moneta unica e la stabilità del cambio La moneta unica europea, proposta originariamente nel Rapporto Werner pubblicato nel

1970, fu introdotta infine nel 1999 a supporto dell’Atto Unico Europeo (1987). Le proposte di Werner furono formulate nel contesto globale del sistema di cambi fissi di Bretton Woods che era in piena disintegrazione al tempo in cui il Rapporto fu pubblicato. Nonostante le difficoltà di gestione del cambio incontrate all’interno dei cosiddetti “serpenti monetari nel tunnel” (dopo il tramonto di Bretton Woods) la Comunità Economica Europea rimase ferma nella sua intenzione di introdurre l’equivalente di un sistema di cambi fissi, reso irreversibile attraverso una moneta unica, emessa da una autorità monetaria sovranazionale in un mondo di cambi di cambi variabili. La moneta unica fu così una novità per due aspetti, l’adozione di un sistema irreversibile interno di cambio fisso in presenza di un sistema internazionale di cambi variabili, che eliminava così l’aggiustamento del cambio per le relazioni commerciali dei i singoli stati membri rispetto al resto del mondo1, e una moneta emessa da una istituzione senza nessuna connessione diretta con un governo nazionale o bilancio di governo2, che con ciò eliminava una diretta connessione tra la creazione di liquidità e la politica fiscale governativa. Di fatto, questo problema fu risolto sottomettendo la politica fiscale alla moneta unica attraverso il Protocollo alla Sezione 104 del trattato di Maastricht. Tuttavia l’eliminazione dei cambi bilaterali per le monete nazionali non eliminò l’impatto dei cambi sulle performance dei singoli stati a causa di variazioni del cambio della moneta unica di fronte alle altre monete dei partner commerciali internazionali, che invece fluttuavano. Al contrario, ciò rese uniforme l’impatto delle variazioni del cambio della moneta unica per tutti gli stati membri, anche per quelli che erano ancora lontani dall’aver raggiunto la convergenza economica. Così, però si aveva un impatto differenziato sulle condizioni della produzione nazionale a causa delle differenze nella struttura produttiva nazionale e nelle strutture del commercio estero degli stati membri. Proprio come una politica monetaria uniforme avrebbe un impatto differente attraverso i paesi a seconda della loro particolare condizione economica, variazioni uniformi nel tasso di cambio avrebbero un impatto differente sui paesi, che sarebbe largamente indipendente dalle condizioni economiche nazionali. Allo stesso modo variazioni nelle preferenze di investitori per azioni denominate in dollari US, o variazioni nei flussi globali di capitali potrebbero produrre impatti negativi o positivi nei saldi della bilancia commerciale indipendentemente dalle esigenze della politica nazionale.

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Aggiustamenti interni agli squilibri esterni Mentre la moneta unica eliminava gli aggiustamenti del tasso di cambio nazionale come rimedio per correggere squilibri commerciali tra gli stati membri e partner commerciali al di fuori della UE, spostava la politica economica verso gli aggiustamenti interni, mediante (il contenimento o la compressione, ndt) del salario nazionale relativo e aggiustamenti di prezzo con partner commerciali della Eurozona e al di fuori di essa. Tuttavia questi aggiustamenti avrebbero un impatto differente sulle competitività relative all’interno e all’esterno della Eurozona, rendendo così difficile determinare il loro impatto. In aggiunta, l’enfasi sull’aggiustamento dei salari nazionali e sui prezzi creò il potenziale per una tendenza deflazionistica simile a quella dominante nel Gold-standard anteguerra. Allora i paesi con bilance commerciali deficitarie si trovavano sotto una pressione crescente per adottare politiche di riduzione dei prezzi relativi al fine di raddrizzare i conti con i paesi in surplus e far segnare attivi verso i loro partner commerciali nel resto del mondo. Mentre la variazione nel valore esterno della moneta unica potrebbe procurare aggiustamenti aggregati della bilancia commerciale estera della Eurozona nel suo insieme, queste variazioni non avrebbero lo stesso impatto per i singoli membri della Eurozona, mentre il Protocollo abilitante (Protocollo alla Sezione 104 del trattato di Maastricht, ndt) non prevedeva nessun meccanismo di politica fiscale per redistribuire o riequilibrare questo impatto sulle condizioni produttive e sociali nei singoli paesi. Allo stesso tempo, la ridenominazione del debito sovrano dei governi nazionali in una moneta emessa indipendentemente dal budget nazionale dei governi membri o dalle banche centrali nazionali limitò decisamente la possibilità di finanziare politiche di aggiustamento per riequilibrare l’impatto differente del cambio delle singole monete. In sostanza il finanziamento governativo della politica fiscale nazionale divenne formalmente identico a quello di ogni istituzione privata. Il finanziamento delle spese dovrebbe essere coperto dalle entrate fiscali, dai prestiti dal settore privato nazionale o estero o dalle vendite degli asset al settore privato nazionale e estero. Se il governo era solito ricorrere al prestito per finanziare una riduzione del gettito fiscale ora, per venire incontro alle esigenze di finanziamento del debito sovrano così generato, si sarebbe richiesto ai governi di generare gettiti fiscali superiori alle spese, ricorrere a prestiti ulteriori (debt roll over) o vendere asset pubblici. E come qualsiasi richiedente prestiti rappresenta un rischio creditizio e si trova di fronte a differenti tassi di interesse legati al rischio, ai richiedenti di prestito “sovrani” dovrebbero essere assegnati differenti rischi di credito determinati dall’abilità dei governi di generare ricavi legati alle condizioni dell’economia nazionale e delle istituzioni. Tuttavia, dopo l’introduzione della moneta unica, il fatto che il ricorso al prestito da parte di un governo era condizionato dall’affidabilità di una banca centrale esterna (ai governi, ndt) sembra aver spinto i prestatori privati a trascurare queste differenze di rischio nazionale nei primi dieci anni di esistenza dell’euro. Così paesi con una più alta richiesta di prestiti e debito pubblico furono poco penalizzati dal mercato, (ad esempio) imponendo alti tassi di interesse. Si giunse così ad una allocazione di liquidità nel settore privato all’interno della Eurozona che rinforzò gli squilibri economici e contribuì alla crisi finanziaria europea dopo il collasso del mercato americano. Questa anomalia di mercato permise a molti singoli governi di accedere al mercato finanziario privato a tassi di interesse attraenti per implementare misure di supporto al reddito nazionale, evitando perciò di porre mano a meccanismi di aggiustamento dei salari e dei prezzi compatibili con il nuovo sistema a moneta unica. Tuttavia, quando questa anomalia di mercato

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del settore privato scomparve, dopo la crisi finanziaria del 2008, e le condizioni economiche resero difficoltosa per i governi la generazione di più alte entrate fiscali per sostituire il finanziamento privato che veniva meno, il mantenimento della stabilità finanziaria di istituzioni finanziarie private e governative richiese un supporto finanziario a livello UE. Vedi la creazione dell’ESFS (European System of Financial Supervision), successivamente rimpiazzato dall‘ESM (European Stability Mechanism), l’estensione del programma di supporto del FMI, e infine il diretto intervento nel mercato dei titoli di debito pubblico da parte della banca centrale, fino al “do what it takes” per prevenire un collasso finanziario distruttivo del mercato dei titoli del debito pubblico e di istituzioni finanziarie private. La necessità di una risposta a livello UE alla crisi avrebbe dovuto rendere evidente che l’attuale struttura di gestione delle politiche fiscali a livello nazionale era incompatibile con il nuovo sistema. Primi riconoscimenti dell’impatto della politica monetaria e delle restrizioni fiscali

Molti commentatori già notarono la difficoltà creata da una politica monetaria guidata da una istituzione centrale che era indipendente dalle politiche fiscali gestite a livello nazionale e soggette a vincoli aggregati. Wynne Godley3 notò molto presto che il trattato di Maastricht definiva esplicitamente accordi monetari ma non forniva alcuna risposta alla domanda “come si deve gestire il resto della politica economica? In quanto il Trattato non propone nessuna nuova istituzione oltre alla Banca Europea, i suoi sostenitori devono supporre che non ci sia bisogno di nient’altro. Ma questo potrebbe essere esatto se economie moderne fossero sistemi che si auto-regolano al punto di non avere bisogno di nessuna gestione.” Egli mostrò inoltre che “i criteri di Maastricht per la convergenza furono concepiti in modo troppo ristretto. Per soddisfare le condizioni necessarie per una unione monetaria di successo non è abbastanza che i paesi membri siano d’accordo nel seguire semplici regole di politica di bilancio….. Essi devono raggiungere un grado di omogeneità strutturale tale che degli shock al sistema nel suo insieme normalmente non abbiano effetti su regioni componenti (l’unione, ndt) in modo drasticamente differente”4 notando che “se l’Europa non avrà un suo proprio bilancio su scala globale… essa avrà ancora, per definizione, un bilancio fisicamente fatto dalla composizione dei singoli bilanci degli stati membri. Il pericolo allora è che i vincoli di bilancio, di fronte ai quali i governi sono individualmente impegnati, impartirà una deriva deflazionistica che chiuderà l’Europa nel suo insieme in una depressione dalla quale non avrà la forza di uscire. Il confronto utile può essere fatto con gli Stati Uniti. …L’analogia è utile perché gli Stati Uniti hanno ovviamente bisogno di un bilancio federale tanto quanto di una banca federale, e le attività delle due autorità devono essere coordinate. Se c’è una recessione, una politica (espansionistica) a livello federale è l’unica risposta appropriata; non è concepibile che azioni correttive siano lasciate agli stati membri, che non hanno né la prospettiva né gli apparati di coordinamento per fare il lavoro. Se c’è un bilancio federale ci deve essere ovviamente un apparato legislativo ed esecutivo che lo mette in atto, e ne sia democraticamente responsabile.”5 Anche membri di spicco della Bundesbank notarono questo scollamento tra una politica monetaria imposta a livello di UE e una politica fiscale lasciata alle decisioni degli stati membri all’interno dei vincoli a supporto della moneta unica. Otmar Issing, un membro della Bundesbank tedesca e infine capo economista della Banca Centrale Europea, notò in un esame del processo di Maastricht che “l’esperienza storica mostra che territori nazionali e territori

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monetari normalmente coincidono…. la legislazione pertinente, di regola, definisce la sovranità monetaria in relazione ad un territorio nazionale …. In contrasto alle regole normali, il Trattato di Maastricht implica una chiara discrepanza tra l’integrazione politica volutamente alquanto modesta e la integrazione monetaria.”6 La crisi finanziaria del 2009 e la politica fiscale straordinaria L’esperienza della crisi finanziaria del 2009 evidenziò questa discrepanza tra una politica monetaria a livello di UE e una politica fiscale lasciata alle decisioni degli stati membri, ma indipendente dalle differenti condizioni che la moneta unica e il cambio producono nelle performance economiche, differenze che sarebbero normalmente compensate da misure di politica fiscale appropriate alle singole situazioni ma che furono limitate dalle condizioni per supportare la moneta unica. Anche se le prime critiche furono ignorate, l’esperienza più recente avrebbe dovuto suggerire il bisogno di un meccanismo alternativo di supporto finanziario alle politiche governative, per venire incontro agli squilibri macroeconomici, che fossero compatibili con la preoccupazione di evitare dei default e mantenere l’integrità dell’euro. Invece la risposta fu di rafforzare i vincoli sugli investimenti nazionali dei singoli governi per sostenere la stabilità del loro bilancio fiscale e così la stabilità dell’euro, piuttosto che la stabilità macroeconomica. Tuttavia ciò rinforzò la tendenza deflazionistica che era già insita nella nuova moneta unica e nel fatto che era emessa da parte di una banca centrale senza una base politico-istituzionale e rese ancora più difficoltoso il riequilibrio dell’impatto delle variazioni internazionali del cambio sulle condizioni delle economie nazionali. L’incrudimento dei vincoli fiscali riduce la flessibilità della risposta alla crisi

Se da una parte le specifiche formali di questi vincoli sugli investimenti governativi contenute nel Protocollo alla Sezione 104c(2) del Trattato di Maastricht e i successivi rafforzamenti nel Patto di Stabilità e Crescita in risposta alla crisi, ad esempio il Six Pack (2011), il Two Pack (2013), e il Titolo III del Trattato die Stabilità Fiscale (il Fiscal Compact) – considerate condizioni necessarie per la stabilità e il successo dell’euro – furono introdotte con l’intenzione di migliorare il coordinamento delle politiche fiscali nazionali, dall’altra esse ridussero la flessibilità dei governi nazionali nel rispondere alla crisi finanziaria e agli squilibri intra-UE creati dalla moneta unica in un sistema globale di cambi fluttuanti. Questa disparità nelle decisioni di politica monetaria e fiscale, il primo a livello UE e il secondo a livello nazionale, e la disparità nella flessibilità della gestione della politica monetaria relativamente alla crescente rigidità degli obiettivi di politica fiscale creano una potenziale instabilità nell’area dell’euro e mina l’operatività della politica monetaria.

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Stabilità fiscale e fragilità finanziaria L’analisi di Minsky della fragilità finanziaria potrebbe fornire una guida al paradosso

delle misure per supportare la stabilità dell’euro che conducono a una instabilità finanziaria nazionale. L’estensione dei precedenti vincoli fiscali al Fiscal Compact introdotto di recente implica che la maggior parte dei governi dovrebbe avere profili di finanziamento che generino un equilibrio fiscale o un surplus. Il Fiscal Compact è l’equivalente di una politica che impone, quale politica comune della UE, ciò che Minsky definì finanza coperta (hedge financing),. Questo significa avere sempre risorse più che sufficienti per soddisfare gli impegni finanziari senza ricorrere al finanziamento aggiuntivo. Stando all’approccio di Minsky questo profilo finanziario dovrebbe procurare una estrema stabilità finanziaria perché i governi avranno sempre le risorse per finanziare i loro impegni di spesa sugli investimenti attuali e sul debito.

Tuttavia questa condizione contiene un paradosso e comporta il teorema di una impossibilità virtuale per i paesi che attualmente hanno debiti e rapporto di deficit sopra il limite del Patto di Stabilità e Crescita, visto che richiede non solo un pareggio di bilancio ma un crescente surplus fiscale che può essere ottenuto solamente attraverso la combinazione di una crescita e di una tassazione più alte. Dal momento che i governi non possono produrre questa crescita attraverso appropriate politiche di gestione della domanda, questa (crescita, ndt) deve venire o dai consumi e investimenti interni o dalla domanda estera. Ma investimenti interni crescenti non possono essere generati riducendo gli investimenti governativi o aumentando le tasse per generare il surplus fiscale necessario, perché questo ha solo l’effetto di ridurre la domanda interna. Un miglioramenti della partita estera non può essere più ottenuto attraverso aggiustamenti del cambio ma comporta l’aggiustamento dei salari e dei prezzi a livello nazionale, che a sua volta genera un impatto negativo sul reddito nazionale e disincentiva gli investimenti. Inoltre questi aggiustamenti devono essere nei confronti dei maggiori partner commerciali, che potrebbero reagire con i propri aggiustamenti di prezzo, rendendo l’aggiustamento richiesto ancora maggiore.

Stabilità fiscale, fragilità finanziaria: il paradosso della politica fiscale Come notato, per Minsky, la stabilità finanziaria è analoga alle richieste del Fiscal

Compact del Patto di Stabilità e Crescita, volendo essere un esempio di finanza coperta (hedge financing) per il governo. Questo richiede che gli introiti della tassazione siano superiori alle spese (T>>G) con un margine tale da ottenere una riduzione del debito. Ma, come notato, alti introiti fiscali in assenza di misure fiscali per produrre una maggiore crescita richiedono che il settore privato paghi maggiori tasse, il che può essere ottenuto solo riducendo gli investimenti privati. Così la capacità del settore privato di aumentare il pagamento di tasse e ripagare il debito richiede che il settore privato spenda meno del suo reddito. Così, se il risparmio netto delle famiglie (Y-C >> 0) e i guadagni netti delle imprese sono > 0, questo significa che per il settore privato nel suo insieme i risparmi dovrebbero superare gli investimenti (S>I). Ma questo contraddice le condizioni di equilibrio macroeconomico nel caso di un sistema chiuso, che vincolano i saldi settoriali a questo risultato: 0 = (S-I) + (T-G). Così per rispettare le condizioni del Fiscal compact, si ha S<I e il settore privato deve finanziare i suoi investimenti a deficit,

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incrementando il suo indebitamento, con un aumento della fragilità finanziaria del settore privato. In un sistema chiuso i settori pubblico e privato non possono essere entrambi impegnati, contemporaneamente, a praticare una finanza coperta (hedge financing). La figura 1 mostra il profilo di finanziamento di Minsky per il settore privato comparato al settore pubblico.

Per un sistema chiuso la figura 1 mostra che non è possibile per entrambi i settori

applicare la finanza coperta come richiesto per la stabilità finanziaria. Un settore deve essere in deficit mentre l’altro è in surplus. Il solo modo in cui entrambi possano essere in surplus è che le misure indicate alle linee 2 o 3 vengano realizzate, aumentando l’indebitamento o dismettendo gli asset. Ma né l’uno né l’altro sarebbero percorsi sostenibili per il settore privato, per di più sotto il giogo del Fiscal Compact. Le stesse relazioni possono essere mostrate in una rappresentazione grafica della contabilità nazionale, per un sistema economico chiuso.

Dalla natura del reddito aggregato sappiamo che il reddito nazionale è determinato dall’aggregato dalle uscite del settore pubblico e di quello privato. Sappiamo anche che la spesa aggregata è determinata dalle decisione delle famiglie a consumare, dagli investimenti del settore privato e dalla spesa pubblica al netto delle tasse. Si assume di solito che le famiglie siano dei risparmiatori netti, spendendo meno del loro reddito (anche se il recente uso dell’apprezzamento degli immobili per finanziare i consumi mette in dubbio questa affermazione), mentre il settore privato spende in investimenti più di quanto ricavi in profitti (anche se questo non si è di certo verificato recentemente negli USA!). Ma, indipendentemente dal rapporto tra le decisioni di spesa delle famiglie e delle imprese, in una economia chiusa il settore privato aggregato non può risparmiare al netto più del deficit netto del settore pubblico. Mentre tutti noi sappiamo (magari per esperienza personale?) che ogni singola entità economica può spendere più di quanto guadagna, questo non è vero per l’economia aggregata nel suo insieme senza qualche aggiustamento in un altro settore o nel livello del reddito. Questo è il fondamento dell’argomentazione data sopra ed è basata sulla definizione della contabilità nazionale dei redditi e degli investimenti:

Y = C + I + (G - T) dove Y è il reddito nazionale, C è la spesa per i consumi, I sono le spese per investimenti, G è la spesa pubblica e T sono le tasse sui redditi. Poiché C = Y – S, allora Y = (Y-S) + I + (G – T). Questo significa che la posizione netta di ciascun settore sarà condizionata dal comportamento dell’altro se il reddito non può essere adeguato per ristabilire l’equilibrio, ad esempio, (S – I) = (G – T).

Figura1 SettorePrivato 1. Hedge:S>1

Sovrano 1. Hedge:T>G

Mal‘equilibriomacroeconomicorichiede0=(S–I)+(T–G) cosìseT>GalloraS<Iquindi 2. Speculativo:ancorapiùdebitooppure 3. Ponzi:S<Ipiùdebito,venditadegliasset

cosìseS>IalloraT<Gquindi 2. Speculativo:ancorapiùdebitooppure 3. Ponzi:G>Tpiùdebito,svenditadegliasset

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Nel grafico 1 il saldo finanziario del settore privato (S – I) è rappresentato sull’asse orizzontale, posizioni alla destra dell’origine degli assi indicano che per saldo il risparmio delle famiglie supera le decisioni di investimento delle imprese e le famiglie acquistano assets finanziari con quei risparmi. Alla sinistra dell’origine degli assi le imprese stanno investendo più di quanto le famiglie siano disposte a risparmiare. L’asse verticale rappresenta il bilancio governativo, sopra l’origine il governo riceve in tasse più di quanto spenda, mentre sotto l’origine è in deficit e devono essere emesse obbligazioni per coprire la differenza tra le uscite e quanto danno le tasse.

La linea tratteggiata mostra tutte le possibili combinazioni di equilibrio tra il settore

privato e quello pubblico per un dato livello di reddito. Per ogni altra combinazione non rappresentata dalla linea tratteggiata, il reddito dovrà entrare in gioco per riequilibrare. Per esempio, nel primo quadrante che mostra le combinazioni di surplus fiscale (settore pubblico, ndt) e del settore privato, gli investimenti sono inferiori al reddito (disponibile, ndt) e così il reddito diminuirà. D’altro canto nel terzo quadrante avviene l’opposto e il reddito crescerà. Per il secondo e quarto quadrante il comportamento del reddito dipende dal rispettivo saldo tra il livello del surplus e quello del deficit. Quando i livelli del surplus sono superiori a quelli deficit il reddito diminuirà e viceversa, come indicato dal grafico. Così come indicato dal precedente paradosso. Non è possibile per il governo gestire uno schema di finanza coperta (hedge financing) senza sacrificare la crescita, a meno che il settore privato non aumenti il suo indebitamento. Ma il settore privato sarebbe disposto a ciò se si aspettasse reddito e profitti nel futuro per giustificare i maggiori investimenti. Ma, come appreso durante la Grande Depressione degli anni ’30 e nel primo decennio del 2000, questo non ha molte possibilità di accadere senza

Grafico1 Equilibrifinanziaridelsettorepubblicoeprivato

I II

III IV

ΔY<0

ΔY<0

ΔY>0

ΔY>0 ΔY>0

ΔY<0

ΔY=0

SurplusfiscaleT>G

DeficitfiscaleG>T

SurplusdelsettorePrivatoS>I

DeficitdelsettorePrivatoS<I

Risparmiodellefamigliesuperioreagliinvestimentidelleimprese

Investimentidelleimpresesuperioriairisparmidellefamiglie

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un impulso esogeno all’attività economica, che normalmente può solo venire da maggiori investimenti governativi attraverso la politica fiscale. Se il governo dovesse gestire un surplus che fosse sufficiente a eliminare l’eccesso di debito nel tempo, allora il risultato sarebbe semplicemente la sostituzione del debito pubblico con il debito privato, oppure la caduta del reddito nazionale, producendo condizioni di stagnazione permanente. Entrambe queste condizioni creano fragilità finanziaria per le famiglie, che sono costrette a prendere in prestito danaro per affrontare situazioni debitorie e per le imprese, in quanto una minore crescita significa meno entrate a disposizione per sostenere i propri impegni finanziari, con un evidente impatto sui prestiti in sofferenza per il sistema finanziario.

C’è una strada per uscire da questo paradosso e da performance economiche perennemente inibite, quale prezzo per la stabilità del debito pubblico e il successo dell’euro? Sì, la risposta è da trovare nel fattore esterno. Per una economia aperta l’equilibrio macroeconomico, al livello di reddito dato, richiede che

0 = (S – I) + (T – G) – (X – M) È possibile che il settore pubblico e quello privato siano in surplus (S>I e T>G) se e solo se c’è una eccedenza delle partite correnti (X>M) sufficientemente grande da mettere sul piatto della bilancia. Questo significa che le condizioni del Fiscal Compact possono essere soddisfatte solo con un surplus esterno sufficientemente grande da compensare i risparmi del settore pubblico e privato. A livello UE questo significa che, poiché alcuni stati avranno bisogno solo di un equilibrio fiscale, mentre i paesi con debito eccessivo avranno bisogno di surplus, l’euro può sopravvivere solo se la UE nel suo insieme ha un surplus esterno. Ma questo significa che la fragilità finanziaria, la spesa in deficit e un indebitamento crescente sono riversati sul resto del mondo; nella situazione attuale verso gli Stati Uniti; ma la politica attuale degli USA sta prendendo iniziative per dismettere i panni del debitore di ultima istanza. La figura 2 riassume questi argomenti. Queste relazioni possono venire rappresentate graficamente trasformando il precedente grafico 1, seguendo una raccomandazione di Robert Parenteau7 di includere il saldo della partita esterna. Il

1. HedgeSovrano(Articolo104) • Settoreprivato

T–G>0 S–I<0(piùdebito)

2.HedgedelSettoreprivato • ViolazioneficaleArticolo104

S–I<0 T–G<0(piùdebito)

Figura2

3.HedgedelSettorepubblicoeprivato

S–I>0eT–G>0 Creditoastranieri

X–M>0 X–M=(S–I)+(T–G) Prestitodastranieri

• Ponziesterno

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grafico 2 rappresenta tre saldi ma solo in due dimensioni, così il grafico è normalizzato sulla base di un saldo in uno dei tre settori per mostrare le posizioni compatibili negli altri due. Per rappresentare il ruolo del Fiscal Compact questo grafico è normalizzato sulla linea a 45 gradi attraverso l’origine che mostra la combinazione delle posizioni del settore privato e del settore esterno compatibili con il pareggio di bilancio statale (T – G = 0).

L’asse verticale mostra la posizione finanziaria del settore privato aggregato, dove il

segno positivo rappresenta un surplus del risparmio (sopra la linea orizzontale) e il segno negativo una crescente posizione debitoria (sotto la linea orizzontale). L’asse orizzontale mostra un surplus delle partite correnti nella parte a destra dell’asse verticale e un deficit nella parte a sinistra dell’asse verticale. Il grafico è così un modo pratico per identificare le posizioni del settore privato ed esterno che sono compatibili con il Fiscal Compact, garanzia per il pareggio di bilancio dello stato. Partendo dall’origine, entrambi i settori privato ed estero sono in equilibrio S – I = 0 e X – M = 0, così pure il governo è in equilibrio: T – G = 0. Come già notato, in qualsiasi punto della linea a 45 gradi il budget statale è completamente coperto. Tuttavia il settore privato può avere un risparmio netto e un profilo a copertura assieme al governo solo nel quadrante IA, nel quale il surplus del settore esterno eccede il surplus del settore privato. Nel quadrante IB, il saldo delle partite correnti non è sufficiente a controbilanciare il risparmio privato e il governo è in deficit. Per rappresentare le condizioni del (fiscal) compact per un surplus fiscale, o per un paese con una posizione debitoria eccessiva, la linea a 45 gradi dovrebbe venire spostata verso il basso a destra come nel grafico 3.

Grafico2 Equilibriofiscale

IBDeficitfiscale II

Deficitfiscale

Pareggiodibilanciostatale

IV

Surplusdelsettoreprivato

Deficitdelsettoreprivato

Surplusdellepartitecorrenti

DeficitdellePartitecorrenti

IASurplusfiscale

IIIBDeficitfiscale

IIIASurplusfiscale

Surplusfiscale

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Questo grafico mostra anche che l’area nel quadrante IV, compatibile con un surplus fiscale, richiede un aumento dell’indebitamento privato abbinato ad un surplus delle partite correnti. Per posizioni nel quadrante IA il surplus esterno deve essere sufficientemente grande da compensare un surplus del settore privato. L’area ombreggiata del grafico dà una rappresentazione delle condizioni che potrebbero essere richieste a paesi come l’Italia e la Grecia, che hanno rapporti di debito molto alti, diciamo di un target del 3% di surplus fiscale. Per questi paesi, dato lo stato del bilancio delle famiglie, è improbabile che possano ricorrere al credito per far fronte a investimenti superiori al reddito. Così il quadrante IV non è una soluzione praticabile. Il grafico può essere normalizzato sull’equilibrio del settore privato come nel grafico 4, dove la linea a 45 gradi mostra le condizioni degli altri due settori, dato l’equilibrio S = I. A meno che il settore privato sia in grado di finanziare gli investimenti con deficit, le posizioni possibili con il Fiscal Compact si trovano nel quadrante IA, con un surplus delle partite correnti sufficiente a bilanciare il risparmio netto combinato del settore privato e del governo. Se incertezze o restrizioni monetarie portano il settore privato a incrementare i risparmi, come mostrato dalla freccia verde, il bilancio delle partite correnti deve essere ancora più elevato per permettere un surplus fiscale. Naturalmente la questione cruciale è se il settore esterno possa venire espanso dell’ammontare necessario per supportare l’equilibrio.

Grafico3 Maggioreequilibriofiscale

IBDeficitfiscale II

Deficitfiscale

PareggiodiBilanciostatale

IV

Surplusdelsettoreprivato

Deficitdelsettoreprivato

Surplusdellepartitecorrenti

DeficitdellePartitecorrenti

IIIBDeficitfiscale

IIIASurplusfiscale

Maggioresurplusfiscale

3%

IASurplusfiscale

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Questi diagrammi suggeriscono che la capacità di ottenere un surplus esterno è cruciale per la capacità del settore privato e pubblico di raggiungere i target fiscali. Poiché il conto con l’estero è l’immagine speculare del bilancio netto del settore privato e del settore pubblico dei loro partner commerciali esteri, l’aggiustamento interno, per permettere ai debitori di pagare completamente i creditori, può aver luogo solo con la cooperazione dei partner commerciali indebitati. Comunque, la differente combinazione dei tre equilibri settoriali avrà un impatto sulla performance di crescita del paese. Le posizioni di equilibrio dei maggiori paesi dell’Eurozona Le posizioni dei maggiori paesi dell’Eurozona sono raffigurate sul grafico 5. La maggior parte dei paesi rappresentati nel grafico ha un tasso di crescita sopra il 2%, a parte l’Italia e la

Grafico4 SurplusdelsettoreprivatoS>I

S=I

IV

SurplusfiscaleT>G

DeficitfiscaleG>T

Surplusdellepartitecorrenti

DeficitdellePartitecorrenti

AumentandoilsurplusfinanziariodelsettoreprivatoS>>I

+1%

S>I

+2%

-1%

-2%

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Francia. Entrambi questi paesi sono penalizzati nella loro capacità di migliorare la loro performance di crescita, in primo luogo perché non possono fare affidamento sull’aggiustamento del cambio, in secondo luogo aggiustamenti dei salari e dei prezzi semplicemente ridurrebbero la domanda interna e in terzo luogo sono messi in gravi difficoltà dal fatto che le altre maggiori economie dell’Eurozona stanno praticando un surplus delle partite correnti molto più alto. La possibilità che rimane è lo stimolo della domanda interna ma questa è preclusa dai limiti alla spesa pubblica. Perciò la bassa crescita aumenta la instabilità (nell’originale, “stability”, evidente refuso, ndt) finanziaria poiché i redditi non sono sufficienti per investire nel mercato finanziario e produce la crescita di crediti in sofferenza nel sistema bancario. Si noti che la Germania e l’Olanda sono i soli paesi nel quadrante IA (infatti la Germania mantiene un surplus nei confronti dei sui partner commerciali nella Eurozona). La Francia è il solo paese con un deficit esterno, mentre i rimanenti paesi si collocano nel quadrante IV con un deficit fiscale entro i limiti del 3%, compensato da surplus del settore privato, ciò significa che la spesa del settore privato non sostiene la domanda interna.

Il paradosso è ancora più forte nelle economie dell’Eurozona che non mostrano surplus delle partite correnti. Queste includono Francia, Belgio e la maggior parte dei paesi più piccoli dell’UE. Per questi paesi il vincolo fiscale del 3% e un deficit esterno implicano che possono ottenere una posizione di finanza coperta (hedge financing) solo operando nel piccolo triangolo verde indicato nel grafico 6.

Saldidelsettorepubblicoedesternodeipaesieuropei

II

IVSurplussettoreprivato

Surplusfiscale

Deficitfiscale

Surplusdellepartitecorrenti Deficitdelle

Partitecorrenti

Ia

IIIb

IIIa

Grafico5

1%

10%

3% ESITEZ

FRGNL

FR

FRG:GermaniaNL:OlandaEZ:EurozonaIT:ItaliaES:SpagnaFR:Francia

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La posizione che incontrerebbero piccoli paesi periferici della EU che cercassero di espandersi per mezzo della domanda interna e investimenti superiori al risparmio nazionale produrrebbe condizioni come mostrato nella zona ombreggiata del grafico 7. Qui solo (“aggiunta del traduttore) crescenti deficit del settore privato sono compatibili con più alti deficit esterni e una migliorata posizione del settore pubblico. Questo ancora una volta evidenzia il fatto che la stabilità del settore pubblico viene solo con un aumento dell’indebitamento del settore privato se manca la capacità di accedere alla domanda esterna vendendo nei mercati esteri.

L’enigmadellapoliticaeconomica(senzasvalutazionichemigliorinoilcontodellepartitecorrenti)

Surplusfiscale

Deficitfiscale

Surplusdellepartitecorrenti

DeficitdellePartitecorrenti

Grafico6

Deficitfiscale=-3%delPIL BilanciofinanziariodelSettoreprivato=0

Possibilesurplusdelsettoreprivato

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Senza surplus esterni può sopravvivere l’Euro?

Questo lascia la domanda esterna come unica soluzione per la sopravvivenza dell’Euro, data l’insistenza sui bilanci statali. Ma senza la capacità di migliorare la competitività esterna attraverso un aggiustamento del cambio, saranno necessari deprezzamenti interni attraverso riduzioni dei salari o aumenti della produttività superiori ad aumenti salariali. Tuttavia questa è una politica che riduce la domanda interna, neutralizzando i benefici di una maggiore domanda estera. E qui sta il paradosso: tutte le politiche proposte per aumentare la crescita dei redditi e

L’UnioneMonetariaEuropeaeilPattodiCrescitaeStabilitàpossonoaumentarelafragilitàfinanziaria

delsettoreprivato

Grafico7

Deficitfiscale

Surplusdellepartitecorrenti

Deficitfiscale=-3%delPIL Bilanciofinanziariodelsettoreprivatonazionale=0

Surplusfiscale

DeficitdellePartitecorrenti

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generare surplus fiscali hanno in definitiva un impatto negativo sulla crescita del reddito. Keynes lo chiamò il paradosso del risparmio; questo è il paradosso della sopravvivenza dell’euro. Storicamente le deflazioni hanno prodotto crisi finanziarie tanto quanto le inflazioni. Mentre la Germania perora la causa di un maggior controllo politico e una maggiore integrazione, la UE potrebbe disintegrarsi a causa di una reazione politica alla stagnazione prolungata.

L’Eurozona è uno Schema di Ponzi? Ma questa soluzione (perenni surplus commerciali, ndt) è finanziariamente stabile? Nel 1940 gli Stati Uniti presero in considerazione una politica di sostegno alla domanda interna attraverso un permanente surplus delle partite correnti. Evsey Domar mostrò che una quota stabile di surplus di export nel PIL era possibile ad una sola condizione: il tasso di crescita del prestito estero ancora da saldare fosse maggiore o uguale al tasso di interesse sui prestiti. Ma riflettendo, si nota che questo è la definizione di uno schema di Ponzi! E la riduzione dei salari e/o deprezzamento della moneta richiesti per mantenere il surplus smorzerebbe la domanda interna, producendo stagnazione. La sopravvivenza dell’Euro basata su un permanente surplus di esportazioni sembra richiedere il mantenimento permanente di uno schema di Ponzi oppure stagflazione, per impedire che le importazioni possano crescere più rapidamente delle esportazioni. Così, data l’incapacità di migliorare la competitività esterna nel breve periodo, è impossibile avere contemporaneamente il settore privato e l’equilibrio fiscale in surplus. Se il settore pubblico deve rimanere al di sotto del 3% di limite del deficit, il settore privato dovrà essere in deficit. Come mostrato chiaramente nel grafico, questo (un surplus contemporaneo del settore pubblico e di quello privato) può accadere solo se un paese ha un surplus delle partite correnti. Così è chiaro che se un paese ha un debito superiore del 60% del PIL può essere in linea con i criteri di convergenza se riesce a posizionarsi nel quadrante IA. Ma questo è esattamente il dilemma dell'aggiustamento sollevato dai vincoli fiscali e del debito, questo significa che ci devono essere altri stati membri che stanno nei quadranti II e III all’interno del limite di deficit del 3%. Così come è inappropriato estendere l’analisi dei vincoli di bilancio delle famiglie all’intera economia, è altrettanto inappropriato estenderla all’analisi della solvenza nazionale in un contesto internazionale. Infatti, potrebbe accadere che proprio le politiche di governi esteri siano il maggior fattore che determina la prestazione interna. Questa fu la conclusione a cui giunse Keynes nel suo lavoro sui debiti di guerra della Germania postbellica (prima guerra mondiale, ndt). La Germania sarebbe stata in grado di ripagare gli Alleati solo se gli Alleati fossero stati disponibili a incentivare i loro consumi di prodotti tedeschi. La soluzione che fu infine adottata – aumentare il prestito privato a breve termine alla Germania invece che incrementare l’importazione di prodotti tedeschi – pose le basi sia per il crack della borsa americana nel 1929 che per l’ascesa del fascismo in Germania.

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L’impatto del salario relativo e dell’aggiustamento di prezzo al posto dell’aggiustamento del cambio È altrettanto importante notare i limiti all’aggiustamento dei prezzi e dei salari. Essi vanno visti in relazione a quelli dei maggiori partner commerciali del paese. Considerate le politiche introdotte dalla governo tedesco dopo la riunificazione nel 1990. La crescita dei salari è stata compressa sotto il livello di crescita della produttività, il costo del lavoro per unità di prodotto scese decisamente e l’inflazione scese sotto il livello del resto della Eurozona. L’impatto fu lo stesso come se la Germania avesse deprezzato la sua moneta, ed è equivalente ad un sussidio implicito agli esportatori o all’introduzione di una tassa su prodotti di consumo importati. I tassi di interesse fissati dalla BCE sulla base del tasso medio di inflazione della Eurozona, in presenza di una più bassa inflazione in Germania, produsse un tasso di interesse relativo reale maggiore in Germania e di conseguenza un incentivo al risparmio privato. Come risultato di queste politiche, il deficit governativo della Germania diminuì notevolmente e il suo surplus esterno salì, rafforzando il tasso di risparmio tedesco, portando a un surplus del settore privato e ad un surplus esterno – una posizione nel quadrante IA. Con un deficit governativo diminuito, o il saldo con l’estero avrebbe dovuto più che compensarlo (per avere crescita, ndt) , o il tasso di crescita sarebbe dovuto crollare – cosa che di fatto è avvenuta. Il risultato è una crescita del PIL tedesco in eccesso sulla crescita dei consumi e un tasso del risparmio tedesco in crescita. Dovrebbe essere ovvio che questo risultato è indipendente dal fatto che la Germania sia o non sia più parsimoniosa dell’Italia o della Grecia, etnicamente o culturalmente. Il settore privato tedesco semplicemente rispose a una politica di incentivi introdotta per pagare i costi della riunificazione. Ma all’interno di una unione monetaria come l’euro, questa politica nazionale significa che la Germania deve essere un prestatore netto per il resto del mondo, e in particolare per il resto dell’UE, nella misura in cui ha un saldo estero positivo con il resto dell’UE, come lo è di fatto. E questo è precisamente quello che accadde negli anni 2000. Le banche tedesche prestarono danaro a privati e governi nella periferia (della EU, ndt) per permettere loro di fare deficit e importare beni, molti dei quali dalla Germania. Il risultato: deficit fiscali ed esteri italiano greco e portoghese, che produssero un tasso di crescita del reddito al di sotto del tasso di crescita del consumo, un basso rapporto di risparmio, ed un crescente rapporto di debito. Non è quindi una sorpresa che alcuni dei più grandi creditori dei debitori periferici come la Grecia fossero banche tedesche (e francesi). Ma se i debitori sono insolventi, allora i prestiti nei bilanci delle banche francesi e tedesche sarebbero in pericolo e non potrebbero venire recuperati senza la creazione di EFSF/EFS per acquistare i prestiti. Ma questo non significa che quei paesi con un bilancio fiscale debole ed un debito estero siano degli spendaccioni mentre i tedeschi sono parsimoniosi. È il mix delle politiche che li rende tali, non una intrinseca caratteristica culturale. Il costo reale di un possibile fallimento sarà a carico delle banche prestatrici. Come già notato, a meno che non ci sia cooperazione per aumentare la flessibilità nella politica interna, non c’è niente che i paesi altamente indebitati della EZ possano fare per cambiare il loro comportamento. L’Italia non può aggiustare il suo cambio se vuole rimanere nella Eurozona. Potrebbe tentare di ridurre la crescita dei salari reali sotto il livello di crescita della produttività, ma questo dovrebbe essere ad un tasso maggiore di quello praticato in Germania e causerebbe una riduzione non solo nella domanda e nell’impiego ma anche del risparmio. Ciò ridurrebbe il risparmio anche in Germania, perché il suo tasso di crescita

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scenderebbe in seguito alla riduzione del surplus con l’estero. La Germania può continuare nel suo comportamento cercando mercati per il suo export al di fuori della Eurozona, il che avvenne quando la Germania aumentò il suo export verso la Cina. Ma, data la nuova politica degli Stati Uniti, questo diventerà sempre più difficile. La linea di fondo è che i paesi altamente indebitati non saranno in grado di pagare i debiti arretrati attraverso l’austerità fiscale, e nemmeno espandendo il loro surplus estero – La soluzione consiste in una coordinazione delle politiche fiscali nella UE e nella economia globale, non nel Fiscal Compact. Paesi altamente indebitati possono definire il loro modo per uscire dall’indebitamento, non possono trovare nell’export la loro via di uscita dal debito, attraverso deprezzamenti interni e aumentando l’export. Invece per far questo (uscire dalla trappola del debito, ndt) c’è bisogno di una riforma delle condizioni della politica fiscale nella UE per sostenere e condividere crescita e occupazione. ……………………………………………………………………………… Note: 1 – Molti sistemi di cambio rimangono interni alla UE, con alcuni paesi che sono esentati dalla intenzione di introdurre l’Euro e altri che mantengono le monete nazionali con tassi fissi/flessibili relativi all’Euro e flessibili di fronte alle monete del resto del mondo. Questo mantenimento simultaneo di tassi fissi e flessibili nei confronti di paesi nell’area e al di fuori dell’area Euro non era previsto nella discussione iniziale sulla moneta unica. Ha prodotto il concetto di velocità differenti o convergenza concentrica nel quale stati membri possono decidere il ritmo al quale essi introduco i vari requisiti per la qualifica di membro (della Unione monetaria europea, ndt). 2 – Mentre molte banche centrali hanno restrizioni sulla loro capacità di finanziare direttamente investimenti governativi, esse sono tutte soggette a qualche grado di controllo democratico rappresentativo della politica, a dispetto della dichiarazione di indipendenza della banca centrale. È comunemente accettato che un coordinamento tra politica monetaria e politica fiscale sia un elemento essenziale della efficienza della politica economica. La BCE fu creata con il Trattato di Maastricht, è soggetta solo alle clausole dei Trattati della UE ed ha poteri ad essa conferiti dalla Commissione Europea, non dal Parlamento Europeo. 3 – Wynne Gogley, “Derailed”, London Review of Books, Vol.15 No.16, 19 Agosto 1993, pagina 9. 4 – Wynne Gogley, “Derailed”, London Review of Books, Vol.15 No.16, 19 Agosto 1993, pagina 9. 5 – Wynne Gogley, London Observer, 31 Agosto 1999, pagina 24. 6 – Otmar Issing, “Europe: Political Uninion through Common Money?”” Occasional Paper 98. London: Institute of Economic Affairs, 1966. 7 – Parenteau, R.2010. “Minsky abd the Eurozone Predicament: Trascending the Dismal Science.” Presentato alla 19° conferenza annual Hyman P. Minsky, “After the Crisis – Planning a New Financial Structure” , New York, N.Y., April 2015