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IL PARADOSSO L'ASSURDO LABIRINTO DELLA MENTE E DEL REALE Esame di Stato 2017/2018 Liceo scientifico Tonino Guerra Novafeltria Marco Cespi VS

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IL PARADOSSO L'ASSURDO LABIRINTO DELLA MENTE E DEL REALE

Esame di Stato 2017/2018

Liceo scientifico Tonino Guerra Novafeltria

Marco Cespi VS

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Indice

Introduzione ................................................................................................................ 3

Matematica

Paradossi di Zenone e le serie …................................................................................. 4

Fisica

Paradosso dei gemelli ….............................................................................................. 6

Paradosso del gatto di Schrödinger ............................................................................. 7

Paradosso EPR …........................................................................................................ 8

Filosofia

Le antinomie kantiane ….............................................................................................. 9

Il paradosso della fede kierkegaardiano …................................................................. 10

Italiano

Giuseppe Ungaretti …................................................................................................... 11

Franz Kafka ….............................................................................................................. 13

Inglese

The Theatre of the Absurd: Samuel Beckett's “Waiting for Godot” …............................ 14

Bibliografia ….............................................................................................................. 15

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Introduzione

“Il grande inganno è che le cose siano come esse sono.” (Georg Wilhelm Friedrich Hegel)

"La verità nasce come paradosso e muore come ovvietà." (Arthur Schopenhauer)

"Il paradosso è un esempio dell'ineffabile mistero che si cela dietro il velo delle apparenze." (Mario Praz)

Il termine paradosso deriva dai termini greci "para" e "doxa", che significano contro e opinione, e sta dunque ad indicare qualcosa di inaccettabile perché contrario all'esperienza e all'opinione comune pur partendo da presupposti validi. Il filosofo Mark Sainsbury definisce il paradosso come "una conclusione apparentemente inaccettabile, che deriva da premesse apparentemente accettabili, per mezzo di un ragionamento apparentemente accettabile". La scelta di questo percorso è dovuta al mio interesse versotutto ciò che riguarda assurdità, misteri del mondo, significati nascosti, enigmi, contraddizioni, ambiguità, ragionamenti e scoperte che fanno "girare" la testa per via della loro incompatibilità con la ragione umana. Mi colpisce infatti la modalità di interazione dellapsiche umana di fronte a fenomeni di questo tipo, e ritengo che a volte siano indispensabiliper avere una visione originalmente critica di una situazione che appare come contraddittoria e che un cambiamento del punto di vista possa portare ad una soluzione alla quale paradossalmente si può giungere solo con ragionamenti paradossali. Infatti credo che l'atmosfera onirica, straniante e perturbante che le situazioni assurde e paradossali contribuiscono a creare uniscano tutti gli ambiti su cui la ragione umana può operare, e l'uomo deve avere la capacità di sapere rivolgere a suo favore le apparenti difficoltà create da contraddizioni vere o presunte per superare gli ostacoli e ottenere risultati difficilmente pronosticabili non solo nella scienza ma anche nell'arte. Se il caos è un ordine non ancora decifrato credo che probabilmente solo un approccio assurdo e paradossale ad esso possa permetterci di comprendere e definire perfettibilmente il carattere entropico di un universo sempre più complesso.

René Magritte,Golconda,1953

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Paradossi di Zenone e le serie

Zenone può essere considerato il padre del paradosso anche perché è l'ideatore del ragionamento per assurdo, che consiste nella dimostrazione di A a partire dalla supposizione che la sua negazione, non-A, sia vera per poi giungere logicamente ad una contraddizione. Il paradosso più famoso di Zenone è quello di Achille e la tartaruga: una sua possibile esemplificazione si può ottenere considerando l'eroe greco nella posizione A e una tartaruga che si trova in un punto B più avanti di 100 metri rispetto ad A. Secondo il filosofo greco Achille non riuscirà mai a raggiungere la tartaruga, nonostante questa si muova ad una velocità di 5 metri al secondo contro i 10 dell'eroe (la misura delle velocità non è realistica, ma utile per i calcoli e sufficiente per comprendere il paradosso). L'affermazione paradossale di Zenone è dovuta al suo ragionamento riguardante l'analisi della vicenda: infatti Achille scatta veloce e in un certo tempo t raggiunge il punto in cui erala tartaruga, ma nel frattempo essa ha percorso un certo spazio. Allo stesso modo di primaAchille raggiunge rapidamente il punto in cui era la tartaruga, che nel frattempo ha percorso un altro tratto di percorso, seppur molto breve. La gara prosegue così all'infinito, con Achille che sarà sempre più vicino alla tartaruga che però rimarrà sempre in testa con un vantaggio infinitesimo. Il paradosso può essere risolto sia fisicamente che matematicamente, e propone inoltre anche spunti filosofici. Per la prima risoluzione si considera la legge oraria del moto rettilineo uniforme (s=v0t+s0): le leggi orarie dei moti dei due protagonisti saranno dunque sA=vA•t per quanto riguarda Achille e sT=vT•t+s0 perla tartaruga. Per risolvere il paradosso si deve trovare l'istante t in cui la posizione di Achille sia la stessa della tartaruga, e per farlo occorre eguagliare sA e sT: risolvendo il sistema infatti si ricava il tempo che l'eroe greco impiega per raggiungere il rivale, e che con i dati usati in questo tipo di formulazione coincide con 20 s. Per quanto riguarda la risoluzione matematica invece bisogna comprendere che la somma di infiniti termini può avere come risultato un numero finito e per farlo occorre introdurre il concetto di serie, che è la successione delle somme parziali n-esime:

Una serie infinita può essere divergente, se il risultato è un infinito, o convergente ad un numero finito. Nel caso di questo paradosso la progressione geometrica e la rispettiva serie che meglio rappresentano la situazione sono le seguenti:

Si può capire dunque che la serie converge a 1, e che il paradosso è risolto anche in questo modo. Zenone col suo paradosso ha fatto capire la difficoltà di operare con una somma infinita di termini, e solo a partire dal XVII secolo, con lo sviluppo del calcolo infinitesimale, si sono potuti risolvere in modo definitivo i problemi posti dalle somme di infiniti termini. A questo proposito Russell scrisse: "Si dimostra che, se Achille raggiungerà mai la tartaruga, questo dovrà accadere dopo che sia trascorso un numero infinito di istanti dal momento della sua partenza. E questo, di fatto, è vero; ma non è vero che un numero infinito di istanti dia origine a un tempo infinitamente lungo, e quindi non si può affatto concludere che Achille non raggiungerà mai la tartaruga".

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I rischi derivanti dall'utilizzo delle serie infinite furono riscontrate anche dal matematico del XVII secolo Guido Grandi, che evidenziò un problema relativo alla somma di infiniti termini seguente, che è dovuto al diverso raggruppamento degli addendi:

1 + (-1 + 1) + (-1 + 1) + ... = 1

(1 - 1) + (1 - 1) + (1 - 1) + ... = 0

In base a questo raggruppamento il risultato della somma è sia 0 che 1, e ciò fa capire chequando si cerca di estendere alle quantità infinite il nostro modo usuale di operare con le quantità finite c'è la necessità di definire nuove regole e procedimenti, se non si vuole cadere in contraddizioni, formule prive di senso e paradossi. Zenone ovviamente propone soprattutto riflessioni filosofiche con i suoi paradossi, attraverso i quali vuol far capire che la natura, il mondo del molteplice e del divenire studiato dai filosofi precedenti, costituisce il regno dell'apparenza, dell'essere e del non essere, oggetto d'opinione e di inestricabili paradossi, come quelli della dicotomia, della freccia e del già analizzato paradosso di Achille e della tartaruga. In quello della dicotomia spiega che ciò che si muove, prima di raggiungere un traguardo, deve prima raggiungere la metà del percorso, dopo aver percorso la metà della metà e così via: il paradosso sta nell'ammettere che in un tempo finito e determinato sia possibile percorrere uno spazio infinito, dal momento che è suddivisibile in infinite frazioni. Il paradosso della freccia consiste invece nella considerazione del movimento come composizione di istanti in cui ciò che appare muoversi in realtà è fermo: Zenone afferma che "se infatti ogni cosa o è in quiete o è in movimento, e nulla si muove quando sia in uno spazio uguale a sé, e poiché ciò che si muove occupa sempre in ogni istante uno spazio uguale a sé, allora la freccia che si muove è immobile".

Maurits Cornelis Escher, Salita e Discesa, 1960

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Paradosso dei gemelli

Questo paradosso, che in realtà è più precisamente un esperimento ideale, è una conseguenza della teoria della relatività di Einstein che permette di notare come alcuni aspetti di essa siano contrari al senso comune. La formulazione originaria del paradosso era questa: "Se si trovano in A due orologi sincroni e si muove uno di essi con velocità costante su una curva chiusa, finché ritorna in A dopo t secondi, quest’ultimo orologio al suo arrivo in A si trova, rispetto all’orologio rimasto immobile, in ritardo di t/2(v/c)^2 secondi. Dunque, un orologio che si trovi all’equatore deve procedere un po’ più lentamente che un orologio uguale e posto nelle stesse condizioni, che si trovi al polo." L'esperimento che riprende questa prima versione invece consiste nella partenza di un ragazzo per un viaggio interstellare e nel suo ritorno sulla terra, dove lo attende il gemello: se questo viaggio potesse essere compiuto a velocità prossime a quella della luce al ritorno del gemello viaggiatore quello terrestre dovrebbe essere invecchiato più velocemente di lui, dato che secondo la teoria della relatività il tempo non è più assoluto, ma lo scorrere di esso dipende dal sistema di riferimento in cui lo si misura. Infatti Einstein introduce il concetto di tempo proprio, che coincide con l'intervallo di tempo che separa due eventi che avvengono nella stessa posizione, quella che l'osservatore misura quando è in quiete: il tempo proprio dipende dalla velocità del sistema, e in particolare se v tende ac idealmente il tempo rallenta dato che l'intervallo tra un rintocco e l'altro dell'orologio si dilata. L'aspetto che forse può sembrare paradossale nell'esperimento dei due gemelli è l'apparente simmetria del sistema: scegliendo l'astronave come sistema di riferimento è la terra che si allontana o si avvicina a velocità prossime a quelle della luce, e facendo questa considerazione non si capisce perché il tempo misurato dai due sia diverso. Il motivo è che la terra e l'astronave sono due sistemi di riferimento non equivalenti, in quanto il secondo è un sistema accelerato mentre la Terra, con le dovute approssimazioni,può essere considerato un sistema di riferimento inerziale. A partire da queste constatazioni si comprende come nella fase di allontanamento dalla terra ciascuno dei duegemelli dovrebbe vedere l'ipotetico orologio dell'altro scorrere più lentamente, mentre durante l'avvicinamento dovrebbe vederlo scorrere più rapidamente. Ma le fasi di allontanamento e avvicinamento misurate dai due gemelli hanno durate differenti, dato cheil gemello in viaggio realizza subito l'inversione di moto quando raggiunge la stella, mentreil terrestre deve aspettare il lungo tempo che la luce impiega a coprire la distanza stella-terra. Questa asimmetria è alla base della differenza dei tempi misurati fra partenza e ritorno dai due gemelli, nei loro rispettivi sistemi di riferimento.

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Paradosso del gatto di Schrödinger

Nel 1935 Erwin Schrödinger propose questo "esperimento pensato" per dimostrare i limiti della meccanica quantistica nel descrivere un sistema macroscopico. L'esperimento consiste nel rinchiudere all'interno di una scatola posta in una stanza isolata dall'esterno un gatto, una fiala di cianuro, un contatore Geiger (che rileva le radiazioni) e un isotopo radioattivo. Il decadimento di questo atomo è un evento probabilistico: infatti, secondo la fisica quantistica, il comportamento di una particella elementare non è prevedibile con esattezza, dato che sappiamo con certezza che un singolo atomo di uranio emetterà radiazioni ma non possiamo dire assolutamente quando questo accadrà, dunque dopo un certo tempo avrà uguale probabilità di essere decaduto o no. Tale limitazione non esiste invece per i sistemi macroscopici, cioè composti da milioni di atomi riuniti: una volta conosciuti alcuni dati, si può sapere con esattezza che cosa e quando accadrà in essi. Schrödinger mescolò i due casi, quello quantistico e quello macroscopico, ipotizzando questo esperimento in cui non si può sapere quando l’atomo emetterà una particella radioattiva, fatto che attiverà il contatore Geiger e aprirà la fiala di veleno, provocando cosìla morte del gatto, sistema macroscopico il cui destino risulta ora regolato da leggi probabilistiche: infatti la sovrapposizione dei due stati decaduto-non decaduto dell'atomo èadesso trasferita anche al gatto, cosicchè l'intero sistema della stanza risulta essere in uno stato di sovrapposizione di due possibilità. Il gatto può quindi essere considerato allo stesso tempo sia vivo che morto, ambiguità risolvibile solo attraverso l'esperimento, ovvero l'apertura del contenitore, e il paradosso sta proprio qui: finché non si compie l'osservazione diretta il gatto può essere considerato indifferentemente in uno dei due stati, mentre dopo di essa si alterano i parametri del sistema con cui si attribuirà al gatto uno stato determinato e coerente con la nostra realtà consueta. Ciò avviene perché nel mondo microscopico ogni singola particella si comporta individualmente come delocalizzata, mentre nel nostro universo macroscopico un aggregato di particelle non si comporta individualmente come la singola particella. Questo paradosso mette dunque in luce un problema ontologico dato dalla sovrapposizione degli stati vivo-morto da cui il gatto risulta essere caratterizzato, e fu sfruttato dal fisico austriaco per mostrare l'indeterminazione della meccanica quantistica data la difficile comprensione del rapporto tra mondo microscopico e macroscopico.

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Paradosso EPR

Il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, definito anche paradosso EPR, è un esperimento mentale che dimostra come una misura eseguita su una parte di un sistema quantistico possa propagare istantaneamente un effetto sul risultato di un'altra misura, compiuta successivamente su un'altra parte dello stesso sistema quantistico, indipendentemente dalla distanza tra le due parti. La meccanica quantistica risponde infattial principio di non località dal momento che se si compie un esperimento si influenzano zone lontane. L'esperimento ideale che i tre collaboratori proposero nel 1935 aveva il fine di dimostrare che la meccanica quantistica non poteva essere considerata una teoria fisicacompleta (dal momento che una teoria fisica può dirsi completa solo se prende in considerazione ogni elemento fisico di realtà, ovvero le quantità fisiche il cui valore può essere predetto con esattezza prima di qualunque misura) e che dovevano esistere delle variabili nascoste, sconosciute, in grado di completarla. Tale esperimento si basava sullo stato di entaglement, ovvero di intreccio, in cui due particelle sono strettamente correlate tra loro, tanto da costituire in realtà un sistema unico dove la modifica dell'una ha ripercussioni istantanee sull'altra. Infatti in questa prova mentale due elettroni sono posti con spin opposto, con momento angolare totale nullo e vengono divisi e mandati uno sulla Terra e uno lontanissimo nello spazio. Il paradosso sta nel fatto che se si cambia spin ad uno dei due cambia anche l'altro, c'è un'interazione istantanea tra particelle lontanissime: questo perché essendo il secondo elettrone in una condizione di entanglement (cioè un'entità unica col primo elettrone) esso non avrà più la libertà di assumere indifferentemente uno dei due stati, e nell'istante esatto della misura del suo "compagno" anche lui finirà per assumere uno stato definito. Grazie al paradosso EPR si giunge alla conclusione che l'universo possiede una dimensione di non-località. A livello subatomico infatti è dimostrato che le particelle possono essere correlate in modo istantaneo per via non-locale.

Maurits Cornelis Escher, Mani che disegnano, 1948

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Le antinomie kantiane

La parola antinomia significa propriamente "conflitto di leggi", ma fu estesa da Kant a indicare il “cortocircuito” cui la ragione incorre, in virtù dei suoi stessi procedimenti. Le antinomie kantiane sono quattro paradossi logici contenuti nella "Critica della ragion pura" di Immanuel Kant e consistono in affermazioni opposte, ciascuna dimostrabile logicamente, senza contraddizioni, e inconfutabile: questo perché traggono le loro fondamenta da un presupposto inconoscibile, ovvero la realtà come esperienza totalizzante ed esperibile. Infatti secondo Kant il mondo come totalità dei fenomeni non è un fenomeno accessibile: dato che un fenomeno è qualcosa di cui il soggetto ha esperienza ed essendo l'uomo all'interno del mondo egli non può elaborare conclusioni sulla natura del mondo come insieme di fenomeni. Se infatti tentasse di elaborare teorie cosmologiche cadrebbe nelle antinomie, ossia teorie antitetiche tra le quali non è possibilestabilire quale sia vera e quale falsa, essendo tutte dimostrabili allo stesso modo. Il filosofoed epistemologo austriaco Karl Popper parlerà a tal proposito di falsificazionismo, che consiste nel concludere che una teoria è scientifica quando è in linea di principio passibile di smentita sperimentale. Nel caso evidenziato da Kant nulla è veramente dimostrabile in quanto tutto è ugualmente dimostrabile, data la natura inconfutabile di queste antinomie. Dato che la cosa in sé, ossia la realtà, è per Kant inconoscibile, la ragione non può dimostrare alcuna delle quattro antinomie kantiane. Kant afferma che le tesi sono proprie del pensiero metafisico e del razionalismo, mentre le antitesi sono tipiche dell'empirismo e della scienza.

Le quattro antinomie di Kant sono le seguenti:

Con Kant dunque il paradosso, formulato sotto forma di antinomia, mostra la naturaillusoria che caratterizza il tentativo della ragione di conoscere la totalità di una realtà cheè per definizione inconoscibile e "altro" altro rispetto al mondo fenomenico.

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Il paradosso della fede kierkegaardiano

Kierkegaard pone l'accento sull'esistenza individuale del Singolo, che non ha di fronte a séun destino già scritto ma infiniti cammini alternativi dovuti alle infinite sliding doors di frontealle quali l'uomo non ha preindicazioni suggerite da uno Spirito e in base alle quali dunquenulla è necessario, ma tutto è possibile. La realtà è concepita come una pluralità di verità tutte contemporaneamente valide e contraddittorie, che si manifestano all'uomo nella veste di infinite biforcazioni caratterizzate da alternative disgiuntive. Questa è la dialettica dell'enter-eller e corrisponde alla dinamica dell'aut-aut in cui finché non si compie una scelta tutto resta possibile ma anche la non scelta è una scelta. Kierkegaard constata che il nostro divenire è caratterizzato per questo motivo da un'angoscia ed una disperazione permanenti: la prima è la condizione esistenziale dovuta al fatto che l'uomo aprendosi al divenire è posto in solitudine di fronte ad un'infinità di scelte che non assicurano niente ed alle quali non si giunge per mezzo di una mano invisibile. La seconda consiste invece nella consapevolezza dello stallo perenne dovuto al fatto che se noi scegliamo di essere qualcosa di diverso da noi stessi constatiamo il nostro fallimento, mentre se decidiamo di essere noi stessi realizziamo di essere esseri incompiuti. Questa è dunque la “malattia mortale” ed universale dell'uomo, che uccide la sua anima di fronte alla realtà di un abisso incolmabile. Egli tenta di combattere l'horror vacui cercando appagamento in Dio e concependosi come sua creatura imperfetta, giustificando così il proprio fallimento e la propria incompiutezza in vista di un riscatto futuro ignoto: la fede è pertanto un appiglio salvifico che risolve la natura incompiuta dell'uomo, un affidarsi cieco e irrazionale ad una divinità in grado di risollevarci dal nostro stato di precarietà esistenziale. La componente paradossale della filosofia kierkegaardiana consiste proprio nel terzo stadio della vita, il quale prevede un rapporto di solitudine con Dio, potenza minacciosa ed insondabile per l'uomo al quale egli obbedisce senza discutere e senza comprendere. Dio infatti pone l'uomo religioso di fronte al mare del mistero, nel quale i suoi parametri si perdono: l'atto difede implica una rottura decisa con la ragione ed esige il passaggio, attraverso un salto nell'irrazionalità caratterizzato da "timore e tremore", ad una sfera da abbracciare nella suaassurdità. Il simbolo di questo stadio è Abramo, a cui Dio ordina di sacrificare l'unico figlio Isacco, sancendo la sospensione della legge morale e l'abbandono dello stadio etico. L'uomo obbedisce senza sapere e comprendere lo scopo di tale comandamento. Per esprimere il paradosso della fede Kierkegaard sfrutta due formule: "credo quia absurdum",ovvero credo perché è assurdo, forse ripresa dal teologo africano Tertulliano, e "comprendere che non si può (né si deve) comprendere". Con queste massime l'autore intende farci mostrarci come i dogmi della religione vadano difesi con tanta più convinzione quanto più si rivelano incompatibili con una ragione umana destinata a soccombere e dunque come il paradosso, la contraddizione e l'assurdità costituiscano l'unico presupposto fondativo su cui si sorregge e giustifica la fede in Dio.

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Giuseppe Ungaretti

Giuseppe Ungaretti sfrutta il paradosso per creare immagini forti che mettano in luce gli orrori provocati dalle guerre mondiali. Le sue poesie principali che prevedono questo aspetto particolare sono "Veglia" e "Non gridate più".

Veglia

Un’intera nottatabuttato vicinoa un compagnomassacratocon la sua boccadigrignatavolta al pleniluniocon la congestionedelle sue manipenetratanel mio silenzioho scrittolettere piene d’amore

Non sono mai statotantoattaccato alla vita

Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Questa poesia, che fa parte dell'"Allegria", è caratterizzata da scelte lessicali violentemente cariche e deformanti, soprattutto per quanto riguarda i participi passati (buttato, massacrato, digrignata, penetrata), che provocano un suono aspro, l'eliminazionedegli aggettivi e anche la modalità stilistica in cui si presenta. Il testo deve infatti la sua "forza" alla natura espressionistica delle parole di Ungaretti, e anche alla conclusione paradossale enfatizzata dallo spazio che la isola dal resto della poesia. Il poeta, attraversoquesta considerazione finale quasi contraddittoria che si contrappone all'immagine icasticadi una scena di guerra, vuole trasmettere uno scatto positivo che risponde ad un'esigenza di armonia e che rifiuta la potenziale resa all'insensatezza del dolore e della morte a cui il resto del testo potrebbe condurre. Infatti per Ungaretti la guerra è il momento esemplare della tragedia esistenziale in cui comunque resta possibile l'espressione della vitalità, ovvero di una "allegria" intesa come energia vitale che può essere colta nella condizione intrinsecamente disperata dell'uomo moderno e che in "Veglia" si manifesta nell'assurda conclusione. La guerra è dunque il momento per riscoprire la propria identità, dato che l'uomo sente la presenza costante della morte di fronte al massacro provocato da quest'ultima e nonostante questo o forse proprio per questo riesce paradossalmente ad abbracciare un disperato vitalismo e un sentimento di umanità e solidarietà.

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Non gridate più

Cessate d’uccidere i morti,non gridate più, non gridatese li volete ancora udire,se sperate di non perire.

Hanno l’impercettibile sussurro,non fanno più rumoredel crescere dell’erba,lieta dove non passa l’uomo.

In questa poesia, della raccolta "Il dolore", Ungaretti sfrutta la funzione conativa della lingua attraverso la forza degli imperativi, che non è quella del comando ma quella di una preghiera, per rivolgersi ai superstiti invitandoli a rispettare il sacrificio dei morti. Il testo è tutto composto di adynata e immagini paradossali per enfatizzare il paradosso dell'uomo che uccide: infatti il poeta esorta a non uccidere più i morti, che sono gli unici veramente ingrado di parlare e di offrire l'unico messaggio di salvezza per un'umanità che paradossalmente continua ad uccidere, motivo per cui l'erba è lieta dove non passa l'uomo. Al gridare (simbolo di barbarie) dei vivi che esprimono odio si contrappone la muta presenza dei morti, che coi loro impercettibili sussurri possono trasmettere un messaggio di pace.

René Magritte, La riproduzione vietata, 1937

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Franz Kafka

Franz Kafka è uno degli autori che nelle sue opere si cimenta di più nel rappresentare eventi che necessitano di una lettura allegorica, anche se nel caso dello scrittore boemo cisi avvicina di più ad una "allegoria vuota". Deriva da lui il neologismo "kafkiano", che indicauna situazione paradossale, assurda e angosciante che il soggetto è costretto ad accettare a causa di un'atmosfera quasi onirica e surreale dalla quale si sente schiacciato e che implica l'impossibilità di una qualunque reazione, sia sul piano pratico che su quello psicologico. L'opera di Kafka più rappresentativa ed emblematica da questo punto di vista può essere considerata "Il processo", in cui il tema dell'impossibilità della reazione da parte del protagonista Josef K. viene messo in relazione con quello della burocrazia giudiziaria e in cui egli viene a trovarsi intrappolato in una molteplicità di eventi labirintici e paradossali che lo pongono in una situazione minacciosa nei suoi confronti rispetto alla sua quotidianità. Per esprimere lo stesso tipo di concetto Freud utilizza il termine "perturbante" (“Unheimlich”, non familiare), che appunto descrive una situazione che è estranea e familiare al tempo stesso e che risulta appunto inquietante per questa sua ambiguità, dato che consiste nell'apparizione di una realtà non familiare, inconsueta, incredibile in una dimensione che per un momento appare familiare, possibile, credibile. Inparticolare Kafka ne "Il processo" presenta il protagonista, un impiegato di banca, che deve sempre espiare una colpa a lui ignota in una società incomprensibile e assurda che lo perseguita e a cui deve sottomettersi in quanto agisce secondo meccanismi del tutto misteriosi in un'atmosfera onirica di incubo. In questa vicenda paradossale e angosciante e quindi kafkiana la punizione, la repressione e il senso di colpa diventano allegoria dell'insensatezza della vita nella società moderna e della condizione esistenziale di deiezione e smarrimento dell'uomo. L'allegorismo kafkiano è comunque vuoto perché l'autore rappresenta la vicenda per "dire altro", ma questo "altro" rimane indecifrabile o comunque privo di una interpretazione univoca: per esempio una delle letture del romanzoè quella teologica, secondo la quale il tribunale rappresenterebbe un Dio terribile e onnipresente come quello ebraico in cui il boemo credeva, un Dio al quale non è possibile sfuggire nonostante il signor K. cerchi di dimenticarlo. Il testo si apre con l'arresto del protagonista, e mentre il processo avanza implacabile egli è coinvolto in situazioni paradossali: per esempio in una seduta K. comprende che giudice e platea gli sono apertamente ostili e allora inizia un discorso che sembra essere potenzialmente convincente nel quale denuncia l'illogicità della situazione e l'operato dei due uomini che sisono presentati nella sua stanza ma che si conclude con un nulla di fatto, al contrario di quello che il lettore sarebbe portato ad immaginare, anche per via di elementi surreali che accompagnano la vicenda (come la coppia di amanti). In un altro episodio il signor K. sente dei rumori provenire da un ripostiglio e scopre che i due funzionari che lo avevano arrestato sono puniti da un "bastonatore" per via delle lamentele del protagonista riguardo ai modi in cui lo avevano trattato: Josef, che non voleva accusarli direttamente, inizia a nutrire un profondo seppur immotivabile senso di colpa e inoltre si preoccupa principalmente che i frustati non facciano troppo rumore per via della vergogna che provava per questo processo. Anche la conclusione del romanzo mette in risalto il paradosso e l'assurdo kafkiano: il protagonista viene invitato dal direttore della banca ad accompagnare un cliente italiano in visita alla città ma l'ospite non si presenta all'appuntamento. Il disguido sembra essere un pretesto per attirare Josef K. all'interno di un luogo di culto dove un sacerdote al corrente della sua situazione allude, attraverso una parabola, alla sua condanna: infatti egli attende ora la sua fine e non oppone resistenza, anzi asseconda le procedure, essendo consapevole del suo destino, e viene ucciso in unacava abbandonata mentre nota da lontano una figura misteriosa che si sporge dalla finestra.

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The Theatre of the Absurd: Samuel Beckett's “Waiting for Godot”

The Theatre of the Absurd is a kind of drama in which playwrights want to express the meaninglessness and absurdity of modern life thanks to paradoxes and nonsenses: in factthere is a lack of certainties that leads man in the existential doubt of being unable to find any purpose in his actions. An example of this kind of Theatre is rapresented by Samuel Beckett, that in his surrealistic tragicomedy "Waiting for Godot" tries to convey this message thanks to a fragmented language and an illogical plot. Beckett proposes repetitive and pointless actions, illogical and aimless dialogues and an open ending to emphasise the senselessness of the human condition (characterised by loneliness and fear) and a dark view of life, that is an endless wait in which certitudes and basic assumptions of the past are no longer valid. "Waiting for Godot" is a play made up of two acts and in which nothing happens, twice: in fact the events are repeated, pointless and meaningless, and this Beckett's choice is important because he wants to express the inadequacy of reason to give meaning to the world, the lack of communication and the absurdity of life and the indifference of the universe. The main theme of the play is obviously the theme of waiting: Beckett represents the nihilism, uselessness and absurdityof his characters' "waiting", accompained by their fear of non-existence and their view of life as a prison in which human beings are condemned to lead a boring and meaningless life. The play can also be read in a religious key that increases its ambiguity. In the setting that the play proposes only the tree, with its four or five leaves, seems to be alive but it only suggests the idea of the passing of time and of the suicide, even if the two men's attempts end in failure. Vladimir is practical, persistent, rational and talkative, while Estragon is rather silent, inconstant, inclined to fall asleep and dream. In the other couple of characters there are Pozzo, who is the rich master who acts, and Lucky, the poor servant who thinks. The interaction between the four people can also be divided into two other pairs, made up of Vladimir and Lucky on the one hand (both symbolizing the "intellect") and Pozzo and Estragon on the other (representing the "body"): so thanks to this division we can see the dualism between mind and body. Unlike traditional plays, Waiting for Godot has a circular structure and there isn't a real plot: two homeless, Vladimir and Estragon, are waiting for a man called Godot, who may rapresent God, death, hope or other important elements in the human existence. The tramps, during their waiting, do nothing or absurd things (like looking for something in a hat or in a shoe) or consider suicide, hanging themselves from a tree, but they never do anything. They consider the suicide as a solution to their pain, but they don’t commit it because in Beckett's opinion death can’t be a solution to their problem, it can’t solve the problem of life. Other two men, Pozzo and Lucky, enter and interact with them, and then they go. The first act ends with a boy saying that Godot will not come tonight but will surely come tomorrow. Act two is very similar. So the play ends with the two men unable to move and still waiting Godot. According to Beckett, the play was inspired by Caspar David Friedrich'spainting “Two Men Contemplating the Moon” (1825-30).

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Bibliografia

Bergamini M., Barozzi G., Trifone A., Matematica.blu 2.0, Zanichelli, 2017

Romeni C., Fisica e realtà.blu, Zanichelli, 2017

Firrao F.P., Givone S., Filosofia, Editore Bulgarini, 2012

Luperini R., Cataldi P., Marchese F., Marchiani L., Il nuovo la scrittura e l'interpretazione, G.B.Palumbo Editore,2011

Ellis D.J., Literature for life, Loescher Editore, 2011

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