CortocircuitO n°7 - LIBERA DEMOCRAZIA IN LIBERO MERCATO

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Settimo numero dell'aperiodico fiorentino di informazione, analisi, riflessioni

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“Finché esiste il potereprivato nel sistemaeconomico, é una bar-zelletta parlare di de-mocrazia.” Noam Chomsky

Giocavamo con ninnoli ad alta tecnologia,

divertiti per il nuovo computer, il nuovo

cellulare, e conducevamo una vita tranquilla

e spensierata. O almeno così facevano i più.

Barcamenandoci fra uno sfizio e l’altro che

questa società ci offriva così a buon mercato,

pensando poco al domani. E qualche volta,

un po’ divertiti e un po’ indignati, osserva-

vamo saltimbanco, pagliacci e giocolieri gri-

dare, offendersi e lanciare impossibili e vuoti

proclami in quel ridicolo teatrino chiamato

parlamento. Ma poco ci é davvero impor-

tato, in fondo la nostra vita continuava e po-

teva continuare così, senza preoccupazioni.

Quelle loro decisioni in realtà mai ci avreb-

bero influenzato. O almeno così pensavano

i più. Mentre loro gestivano i loro sporchi

affari, noi nelle chiacchere da bar ci indigna-

vamo per prostitute e corruzione, ma in

fondo anche noi continuavamo a fare i no-

stri di affari, preoccupandoci, alla fine, poi

non troppo. Fino a quando il giochino non

si è rotto, ed infine una dura realtà venne

presentata al mondo intero. Benvenuti nella

Favola Democratica.

Mentre il terreno continuava a franare, un

uomo indignato per scandali e corruzioni,

un uomo sempre ben informato, e che se-

guiva puntualmente i mentori della verità,

da Santoro a Travaglio, da Grillo a Fazio,

ligio al suo dovere continuava a recarsi a

quel canonico appuntamento, quali le ele-

zioni elettorali. Votando forse un più sobrio

PD contro il mostro berlusconiano, o forse,

perché più “radicale”, un Vendola, creden-

dolo il volto nuovo della sinistra. Ergeva così

la società il suo nuovo modello di uomo po-

litico, aiutata dai mass media: un “sincero de-

mocratico” che nonostante tutto continuava

a veder nella via istituzionale la soluzione. E

che mentre poneva quella x, simbolo di

tutto il suo potere, di tutto il suo controllo

sulla politica, non si preoccupava di quanto

potessero esser false le sue convinzioni. Una

x una volta ogni quattro o cinque anni, ecco

a voi tutto il potere politico lasciato dalle

istituzioni al cosiddetto “popolo sovrano”.

Un modello verticistico, che crea i suoi capi

e le sue élite e che come ogni altro modello

simile crea il divario fra base e vertici. Certo

un sistema verticistico dov’é la base a sce-

gliere i suoi capi, ma dei quali subirà ogni

scelta. Che non ci si sorprenda allora se in

una democrazia rappresentativa i propri vo-

leri non sono rispettati.

di una piena occupazione, un basso costo

della vita, la possibilità di non morire sul la-

voro, la possibilità di avere una istruzione

tesa all’autoformazione. Ecco come “libe-

rare” si tramuta in “estromettere”, estromet-

terci dalla possibilità di scegliere una vita

dignitosa, lasciando queste problematiche in

mano al libero mercato, o meglio, ai padroni

di esso. E che li si voglia chiamar ricchi, ca-

pitalisti, borghesi, imprenditori, lobbisti o

uomini della finanza il risultato finale non

cambia, una classe spadroneggia sul mondo,

aiutata dalla connivenza della politica. Per-

ché in un regno dove merci, risorse, lavoro,

e quindi anche uomini, possono essere com-

prati sul mercato, chi possiede capitali ne è

il re.

Mentre in Italia la scena era dominata da

mafiosi e corrotti da un lato, e legalisti e mo-

ralisti dall’altro, in questo gioco delle parti

durato quasi un ventennio, dietro le quinte

si consumava la trama che ci avrebbe con-

dotto fino ad oggi. E sarà sorpreso, o forse

no, il “sincero democratico” nello scoprire

che i principali attori italiani di questa na-

scosta commedia, oramai divenuta la prin-

cipale, sono proprio coloro che ha eletto e

votato, e che osano definirsi “rappresentanti

del centro-sinistra”.

EDITORIALE

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Benvenuti nella FavolaDemocratica

non siamo in una democrazia

qualunque, ma che la nostra é

una democrazia capitalista

Nell’ultimo trentennio la storia ha visto or-

ganizzarsi la classe dominate, pronta sì a

competere al proprio interno, ma unita nel

far vincere un'unica ideologia, un unico

pensiero, che avrebbe cercato di spazzar via

quello che era il loro più pericoloso rivale

ideologico, ad oggi minoritario, pensiero

marxista.

Dalle lobby alle think tanks, e con la diffu-

sione del pensiero unico attraverso scuole,

università e mass media, hanno esteso le loro

Se qualcuno crederà che tale contraddizione

sia casuale, una mera contingenza storica o

una particolarità della casta italiana, é ben

lontano dalla verità. Non siamo noi, con

quella x, a decidere né di leggi, né di ri-

forme, né di economia, ma chi sarà per noi

a prendere decisioni al riguardo.

Queste élite, questi vertici, questi uomini ai

quali deleghiamo il nostro potere politico

saranno a decidere. Uomini che dialogano,

si accordano, si scontrano e si corrompono.

Questo scenario un po’ sbiadito ed un po’

grigio si tinge subito di un vivo colore

quando comprendiamo che non siamo in

una democrazia qualunque, ma che la nostra

é una democrazia capitalista. Ecco a voi gli

altri attori dietro le quinte.

I più ne avranno sentito parlare come di

“Democrazia Liberale”. Questa formula,

assai più digeribile, nasconde i veri principi

di tale regime politico. Infatti essa, in nome

di un diritto privato, “libera” dalla politica la

gestione di tutte quelle problematiche che

in realtà sono pubbliche: il mantenimento

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Il 9 novembre scorso, Mario Monti vienenominato senatore a vita per aver “illu-strato la Patria per altissimi meriti nelcampo scientifico e sociale”. Certo cheNapolitano non ha tirato fuori dal cap-pello uno qualunque. Di formazione boc-coniana, Monti è nominato commissarioeuropeo dal primo governo Berlusconi, esuccessivamente confermato da D'Alema,stando in Commissione per un totale didieci anni, dal 1994 al 2004, facendo cosìanche parte della Commissione Santer,costretta alle dimissioni per uno scandalodi corruzione. È stato advisor della Coca-Cola company, dal 2005 al 2011 interna-tional advisor della Goldman Sachs (tra lepiù grandi banche d'affari al mondo), dal2005 al 2008 presidente dell'organizza-zione think thank Bruegel, nonché presi-dente per l'Europa della commissionetrilaterale e membro del gruppo Bilder-berg dal 2010. Le sue ormai famose ori-gini fanno del primo ministro prima ditutto un uomo del mercato, come testi-moniano le borse, che, particolarmenteballerine in periodo di crisi, festeggianoprima la sua nomina alla presidenza delconsiglio, poi le sue prime mosse da pre-mier. La figura di tecnocrate gli calza de-cisamente stretta, dato che non ha maitentato di nascondere le sue idee liberiste,come testimoniato fin da subito dalle suedichiarazioni, e ora palesato dalla manovravarata a fine dell'anno passato. Un anno fascriveva sul corriere della sera l'editoriale“Meno illusioni per dare speranza”, in cuisosteneva che le rivendicazioni sociali distampo marxista (tematiche predominanti,a suo dire, nel dibattito politico preceden-temente al ventennio berlusconiano),sono “un grosso ostacolo alle riforme”.Ostacolo che può essere superato, comenel caso delle “due importanti riformedovute a Mariastella Gelmini e a SergioMarchionne. Grazie alla loro determina-zione, verrà un po' ridotto l'handicap del-

l'Italia nel formare studenti, nel fare ri-cerca, nel fabbricare automobili”.

in carriera che fa leggi ad personam, e inquesto senso è addirittura più politico ilgoverno attuale di quello precedente. L'ar-ticolo 18 dello statuto dei lavoratori, giàduramente attaccato dall'ultima finanziariadel governo Berlusconi, è ormai in viad'estinzione, visto che, anche se non vienecitato nell'ultima manovra di governo, idettami di tale decreto sottoscrivono ilvolere dell'Europa, che già si era espressain materia di flessibilità del lavoro, nellasopra citata lettera, comandando un'asso-luta libertà di licenziare. Sono invece giàstati definiti pesanti tagli alla previdenzasociale, con le pensioni che diventano unmiraggio per i venturi lavoratori, che nonpotranno percepirla prima dei 67 anni,senza distinzioni di sesso, con la possibilitàdel “pensionamento anticipato” in cambiodella decurtazione del 2% sull'assegnopensionistico per ogni anno di anticipo.Inoltre, ci sarà il blocco delle indicizza-zioni delle pensioni superiori ai 1400euro. Verrà reintrodotta l'Ici sotto falsonome (Imu) alla quota fissata al 7,6 permille, con i Comuni che potranno ritoc-carla del 2 per mille. Già aumentate le ac-cise sui carburanti, con un pieno che

P o l i t i c a

L'Europa scende in camp 4

Il commissario Montisotto l'egida di Bruxelles

Lo spirito liberista del neo premier è de-cisamente manifesto nel suo operato incommissione europea: qui diventa l'iconadel rigore contro il mercato dei grandimonopoli e per la libera concorrenza (fa-mosa in questo senso la maxi-multa di500 milioni inflitta alla Microsoft), agendoprima come commissario europeo al mer-cato unico e ai servizi finanziari, poi, dal'99, come commissario alla concorrenza,in veste della quale impedisce la fusionetra la General Electric e la Honeywell.Così si presenta il connivente europeista,con cui si elargisce una salda intesa daMario a Mario, dalla BCE alla presidenzadel consiglio. Effettivamente, trova piùspazio per essere ascoltata la famigeratalettera di Trichet e Draghi in un governopresieduto da uno col passato di MarioMonti, piuttosto che da un imprenditore

Sosteneva che le rivendicazionisociali di stampo marxista sono“un grosso ostacolo alle riforme”

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costerà circa 10-13 euro in più. Le tasseaumenteranno, ma non secondo un si-stema proporzionale: dopo l'aumentodell'1% dovuto alla finanziaria di Tre-monti, verrà nuovamente aumentata l'Iva,dal 21% al 23%, per i beni di consumo, percompletare il quadro delle misure che col-piscono le fasce medio-basse della popo-lazione. Un occhio di riguardo, e nonpoteva essere altrimenti, se lo prende l'im-prenditoria italiana, con sgravi sull'Irap perchi assume donne e giovani sotto i 35anni, e liberalizzazioni su limitazioni inbase alle locazioni geografiche e su oraridi esercizi commerciali. Sono inoltre stan-ziati 4,8 miliardi destinati alle grandiopere, confermando lo stanziamento di 2miliardi per la TAV, mentre per il trasportopubblico vengono confermati tagli del75%. Queste le misure più importanti diquello che è stato definito dallo stessoMonti decreto “salva-Italia”, mentre daitagli si salvano i 131 cacciabombardieriche costeranno 15 miliardi, spesa ritenutanecessaria dal ministero della difesa DiPaola. In trepida attesa per l'imminente fase due,i protagonisti del giorno prima della scena

politica italiana si godono lo spettacolo,incitando talvolta le critiche, ma rima-nendo sempre nella “responsabile” e stra-tegica (e assai ambigua) posizione disostegno distaccato al “governo di unitànazionale”.

mente, in maniera più grave, avviene inGrecia, dove basta una Merkel inviperitaa impedire un referendum sull'accordocon l'UE per l'intervento finanziario e lesuccessive e drastiche misure di austerità.Il commissariamento greco con Papade-mos, anche lui con un passato alla bancaprestanome alle istituzioni GoldmanSachs, esattamente come Draghi e Monti,è il passo immediatamente successivo, ediventa un monito importante da Bruxel-les verso i paesi che possono in qualchemodo mettere in pericolo gli equilibrieconomici europei.Monti, annunciando la fase due già da luibattezzata “cresci-Italia”, ha dichiarato che“i tempi saranno piuttosto veloci, l'Europaci attende con ulteriori provvedimenti perl'Eurogruppo del 23 gennaio e per ilConsiglio del 30 gennaio”. In quello cheverosimilmente verrà sottoposto al votoparlamentare sotto forma di decreto, ri-spettando ancora una volta il consigliodell'altro Mario, assisteremo ad una “rial-locazione nel mercato del lavoro, in uncontesto mondiale comunque caratteriz-zato da una continua evoluzione dellaproduzione”. Un avvertimento al mondodel lavoro, sempre più indirizzato ad assi-milare il modello Marchionne: con la pa-rola d'ordine “flessibilità” si staconformando il lavoro alla precarietà eallo sfruttamento. È invece difficile imma-ginare un'economia in crescita, avendo fis-sato l'obiettivo del pareggio di bilancioentro il 2013 e vista l'imminente svenditadi 450 miliardi di titoli di stato, ma soprat-tutto con un pil in costante ed inesorabilecalo. È più facile prospettarsi un periododi recessione e conseguenti misure di au-sterità sempre più pesanti. Del resto è lostesso Napolitano, augurandoci buonanno, ad affermare che “nessun grupposociale può sottrarsi all'impegno di con-tribuire al risanamento dei conti pub-blici”.

poc o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

-f.R-

Si ritrovano così uniti a condividere il me-desimo programma di governo il cane e ilgatto PD e PDL, consapevoli e sollevatidal fatto che qualcuno al posto loro stiadifendendo l'economia liberista a scapitodel benessere e dei beni comuni. La loro“responsabilità” ci ha condotti al commis-sariamento, evidenziando il fatto che lagentile concessione della classe dirigentedelle elezioni è superflua e dannosa in pe-riodo di crisi, quando le cose vanno fattecelermente e in un certo modo. Simil-

La loro “responsabilità” ci hacondotti al commissariamento,evidenziando il fatto che la gen-tile concessione della classe diri-gente delle elezioni è superflua edannosa in periodo di crisi

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È un fatto innegabile, l’11 Novembre 2011è una data che segna la fine di un’era. Ber-lusconi, ormai più vicino agli ottanta che aisettanta, ha intrapreso una parabola discen-dente dalla quale probabilmente non si ri-prenderà. Il “Cavaliere” ha dominato lascena politica degli ultimi vent’anni tantoche gli accostamenti tra lui e il Duce sonoormai una prassi quotidiana. Ma cos’è suc-cesso esattamente negli ultimi 20 anni inItalia? Nella memoria popolare tutto o quasifa riferimento a Silvio Berlusconi. Dalle bat-tute all’Europarlamento rivolte a un social-democratico tedesco, passando alle corna inuna foto di gruppo. Più che un politico, uncabarettista capace di vendere e comprare,come si trattasse di un tappeto, un pro-gramma politico. Con l’arrivo in scena diBerlusconi, il mondo della politica diventamarketing: un prodotto da vendere in tv, se-guendo i sondaggi.

Proviamo a ricostruire i fatti realmente im-portanti degli ultimi 20 anni.

18 Gennaio 1994: il Cavaliere annuncia lacreazione del movimento politico Forza Ita-lia che riprende la retorica anticomunistadella Dc e una buona parte dei suoi rapporticlientelari. Due mesi dopo è alla testa delgoverno. Nel frattempo l’accoppiata Amato-Ciampi ha dimostrato che per privatizzarel’economia italiana un governo di destranon è necessario.

P o l i t i c a

11 11 2011: il giorno della liberazione. Sì ma quale?c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g 6

7 Febbraio 1992: viene firmato il trattato diMaastricht che rinvigorisce il processo diformazione di un’unione monetaria. L’eco-nomia italiana non naviga in buone acque.

Aprile: la coalizione Dc-Psi-Pli-Psdi vincele elezioni con una maggioranza risicata edà vita a un governo guidato dal socialistaAmato. Il Pci si è da poco disciolto in Ds eRifondazione Comunista e la Lega Nordottiene l’otto per cento.

Luglio: inizia la stagione del rigore. Con undecreto, Eni, Iri, ed Enel diventano S.P.A. Èil preludio alla svendita del patrimonio in-dustriale italiano detenuto dallo stato. Finemese: governo e sindacati si accordano: lascala mobile non esiste più. D’ora in poil’adeguamento dei salari all’inflazione nonsarà più automatico ma negoziato di voltain volta da sindacati e industriali con la me-diazione del governo. È il primo di una

lunga serie di sacrifici “chiesti” agli italianiper potersi agganciare al futuro Euro.

Settembre: sottoposta a un impressionanteattacco speculativo, attuato da George Soros,la Lira viene svalutata del 20-25% e fattauscire dal Sistema Monetario Europeo.

Dicembre: per rasserenare i mercati il go-verno Amato mette in atto una finanziariada 93.000 miliardi di lire; circa 50 miliardidi Euro, con tagli in tutti i settori del welfaree aumento delle tasse, senza dimenticarequelle che saranno e sono tutt’oggi il cavallodi battaglia del centro sinistra italiano: le pri-vatizzazioni.

Marzo 1993: a più di un anno dall’iniziodelle indagini di Mani Pulite, il governoAmato, falcidiato da avvisi di garanzia devedimettersi e il Presidente della Repubblicaordina a Carlo Azeglio Ciampi, governatoredella Banca d’Italia per più di dieci anni, diformare un governo tecnico, il primo dellastoria repubblicana.

Luglio: il modello concertativo si impone e,per i lavoratori, è un colpo durissimo. In so-stanza i sindacati decidono di abbandonaredefinitivamente lo scontro con governo eimprenditori e di sedersi al tavolo con loro.Da questa data gli scioperi diventano pocopiù che passerelle elettorali. Mentre BettinoCraxi si rifugia in Tunisia dall’amico Ben Alìe la DC e il PSI sono travolti dagli sviluppidell’indagine Mani Pulite, l’Italia si avviasulla strada del bipolarismo.

Aprile 1996: a vincere le elezioni è Prodi,uomo dal passato politico non certo illustre.Alla storia è passato come l’anti-Berlusconiper eccellenza, un uomo di cultura (profes-sore universitario), garante della democraziaa fronte di un Berlusconi pronto a ridurla abrandelli e l’unico capace di vincere eletto-ralmente contro di lui.La realtà è però un’altra. Ministro dell’indu-stria nel 1978; è presidente dell’Iri tra l’82e l’89 e poi nel ‘93-’94. In sostanza, per circadieci anni, è manager di un raggruppamentodi imprese che faceva dell’Iri, nel ‘93, la set-tima industria a livello mondiale. Se per tec-nico si definisce un governo con una nutritapresenza di imprenditori, banchieri e finan-zieri, si può affermare che a un governo tec-nico ne succede un altro. Ciampi si ritrova adirigere lo strategico ministero di Tesoro, Bi-lancio e Programmazione Economica tra il’96 e il ’99 prima di diventare Presidente

10 giorni dopo in Italia inizia l’indagineMani Pulite che porta ad uno sconvolgi-mento del quadro politico che aveva rettoper decenni.

Gennaio 1995: a seguito della rottura conBossi, si forma un governo tecnico guidatoda Dini, ex ministro del tesoro e direttoredella banca d’Italia per 15 anni.

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della Repubblica. Come dire, l’Italia diventauno stato di tecnici. Tra il ’96 e il 2001 mal-grado le numerose crisi di governo, non siandò mai a votare; questo perché c’era sem-pre qualcuno in parlamento pronto a soste-nere la posizione “tutto ma non Berlusconi.”(posizione ripresa dall’Unione nel 2006) Esì che in quegli anni fu fatto veramente ditutto. In politica estera “la responsabilità” delcentro-sinistra è la consegna di Ocalan, lea-der del Pkk, alle autorità turche e la parte-cipazione alla guerra in Kosovo. In nomedell’entrata nell’Euro, i governi di centro-si-nistra guidati prima da Prodi, poi daD’Alema e Amato, misero in campo un im-pressionante programma di privatizzazionedell’economia andando a rinforzare quelloche era stato messo in atto negli anni pre-cedenti. Nei settori di ferrovie, autostrade etelefonia furono fatti entrare i privati. Que-sto “pregevole lavoro” consentì al governo

D’Alema di strappare l’Oscar europeo per ilmaggior numero di privatizzazioni attuateda un solo governo. Non casualmente, diprivatizzazioni si parlò, era il giugno del ’92,a bordo dello Yacht reale Britannia. A bordosi trovavano, oltre a una serie di banchieriinglesi ben addestrati da un decennio diThatcher, il Presidente dell’Eni e il Direttoregenerale di Confindustria, accompagnatidall’oggi ben noto Mario Draghi. La sta-gione delle privatizzazioni è stata talmenteoscura per il paese che perfino la Corte deiConti parla di “importanti criticità” e di“scarsa trasparenza.” La scelta dei governi dicentro-sinistra fu quella di sacrificare l’eco-nomia nazionale sull’altare della monetaunica. Sacrifici, come la sbandierata “tassaper l’Europa” che, a distanza di poco più diun decennio, comportano altri sacrifici chie-sti, non casualmente, da un altro governo dibanchieri e imprenditori, anche se chia-

marlo tecnico ne aumenta appeal e digeri-bilità. Gli ultimi 20 anni possono quindi es-sere letti come lo scontro tra uncentro-sinistra deciso a privatizzare l’econo-mia e un imprenditore mafioso intenzionatoa utilizzare la macchina statale per distribuiree ricevere favori, in modo non troppo di-verso da quanto aveva fatto la Dc per 40anni. Ciò che appare folle, alla luce dellabreve cronologia che precede, è parlare diventennio Berlusconiano: negli anni ’90Berlusconi è alla testa del governo per menodi un anno e la responsabilità delle scelte po-litiche prese in quegli anni, va all’accoppiatadi governi tecnici e di centro-sinistra, unitinello svendere il paese. Ciò che maggior-mente si può imputare a Berlusconi è il Ber-lusconismo: avere predicato per anni lamercificazione del corpo femminile, il cultodel capo, il mito dell’uomo di successo, aversostenuto tendenze xenofobo-razziste e datolegittimità a fascisti, attraverso l’abolizionedel reato d’opinione, avrà nei prossimi annicontraccolpi pesanti per la società italiana.Ma non tutto il male vien per nuocere: l’11Novembre è stato necessario. D’ora in poi,usciti da quest’anestesia, si tornerà a parlaredi Politica. In una crisi che si annuncia lunga e pro-fonda, ognuno di noi, liberato dall’oppri-mente fantasma berlusconiano, dovràesporsi. Se intende sostenere Monti, Napo-litano, Draghi, Prodi, D’Alema e compagnia,lo faccia pure. Ma non si nasconda dietro laformula “tutto tranne Berlusconi.” Ieri po-teva, oggi no. Oggi, e ancor più domani, nonsi potrà essere anti-berlusconiani. La sta-gione degli alibi è finita. Per tutti.

iberazione. Sì ma quale?c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :>> “L'autunno nero del '92 tra tasse esvalutazioni, Lira: storia e curiosità,” Sole24 Ore, 2010>> “Convegno sul Britannia”, 2 giu 1992,Corriere della Sera >> Paolo Barnard “Il più grande crimine”

-Victor-

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Quando sentiamo parlare di lobby, fonda-zioni, think tanks e affini, spesso non ca-piamo veramente cosa sono, come agiscono,e i legami che hanno con le istituzioni checi governano. Un po’ di definizioni: perlobby si intende un gruppo organizzatoportatore di un interesse da tutelare, chemolto spesso viene spacciato per pubblico. Icosiddetti Think Tanks (Serbatoi di Pen-siero), invece, sono grandi gruppi di ricercacon lo scopo di influenzare l’opinione pub-blica, con la partecipazione di Fondazioniper la raccolta di fondi, attraverso grandicampagne di informazione di massa, il fi-nanziamento dell’istruzione superiore, laformazione e la ricerca. L’obiettivo di questedue strutture è quello di infiltrare negli am-bienti giusti (università, luoghi di potere) iprincipi economici Neoliberali. Ricordiamosolo alcuni nomi di queste Fondazioni eThink Tanks: La Rockfeller Foundation,Heritage Foundation in America. In Eu-ropa: nel Regno Unito, L’Institute of Eco-nomic Affairs, l’Adam Smith Institute; ilCUOA, Bruno Leoni, Acer e Aspen in Ita-lia. L’inizio dell’attività di questi gruppi sipuò far risalire agli anni '40, ma é durantegli anni '70 che raggiungono la loro “etàdell’oro”. Due uomini su tutti vanno ricor-dati per l’uso che in quegli anni é stato fattodi questi due strumenti per diffonderel’ideologia/religione Neoliberale: MiltonFriedman e Karl Brunner. Mentre Brunnersi occupava di lanciare la sua crociata in Eu-ropa, Friedman fondò una scuola di pensieropassata alla storia come i “Chicago Boys”dall’università in cui lavorava per diffonderela deregolamentazione totale, privatizzazioniselvagge e altre atrocità. Lo sanno bene i ci-leni, che durante la dittatura di Pinochet,oltre a subire una pesantissima repressionedel dissenso, omicidi di persone non graditee torture, si vedevano imposti sulle loro testequelle idee economiche di cui Friedman ei suoi “Chicago Boys” erano portatori. Laloro opera, e quella delle Fondazioni eThink Tanks, ebbe un considerevole suc-cesso. Dice lo storico dell’economia John F.Henry: “Oltre a finanziare lo sviluppo diprogrammi specifici e di curricula, oltre a

promuovere la ricerca per il laissez faire ineconomia, le Fondazioni per il Libero Mer-cato sponsorizzarono master e borse di stu-dio in legge, economia, scienze politiche eaffari sociali. Promossero cattedre universi-tarie, libri e progetti. Una volta formulate, leprescrizioni di politica e la loro anima da Li-bero Mercato vengono comunicate nonsolo ai funzionari di governo, ma anche alpubblico attraverso i grandi media e i gior-nalisti che quelle Fondazioni sponsoriz-zano”.

modificazione del concetto stesso di istru-zione e quindi di come strutturare scuole euniversità, oppure il documento redatto daBusiness Europe per Van Rompuy, il Presi-dente del Consiglio Europeo, in cui “consi-gliano” alcune manovre per affrontare lacrisi nell’eurozona, come il ruolo centraleda attribuire alla Commissione Europea e lapossibilità di sanzionare i paesi che “sgar-rano”. Altri dati possono aiutarci a capirel’enorme attività di questi gruppi, non soloeuropei ma anche americani, come l’Am-Cham EU Committee, il comitato europeodella Camera di Commercio Americana, ecinesi: ci sono 2600 gruppi di lobbisti regi-strati a Bruxelles, in totale sono 55000 per-sone che tentano di influenzare i 30000funzionari e tecnici comunitari. Questa at-tività é legalmente riconosciuta a livello eu-ropeo, anzi é addirittura considerata comeuno strumento democratico che contribui-sce in modo diretto e trasparente alla gover-nance delle istituzioni pubbliche e private.E’ quindi evidente il grave deficit democra-tico, non solo europeo ma del mondo occi-dentale, che vive sotto l’egida del liberomercato. Istituzioni che hanno un grandepotere sulle nostre vite sono scollegate dalcontrollo delle masse e facilmente influen-zabili dai grandi poteri finanziari e indu-striali, che fanno ricadere sulla testa dei piùdeboli il peso di quelle decisioni. Bisognaquindi riappropriarci della nostra vita esmettere di delegare ad altri le scelte più im-portanti.

P o l i t i c a8

-Supertramp-

Il Mestiere del Lobbista

L’obiettivo di queste due strut-ture è quello di infiltrare negli am-bienti giusti (università, luoghi dipotere) i principi economici Neoli-berali

Insieme alle Think Tanks e alle Fondazioni,altre organizzazioni si occupavano di far re-capitare quei concetti a politici chiave. Que-sti gruppi di interesse o lobby, hanno ad oggiun’influenza sugli organi decisionali senzaparagoni. Oltre al caso Americano, anchel’U.E. ha una capitale del lobbying: Bruxel-les. L’interesse della lobby nei confronti degliorganismi europei, più che mettere le manisu una parte dei fondi per il finanziamentodei programmi e progetti comunitari, è datodal fatto che questi ultimi incidono sullaformazione dell’80% delle legislazioni na-zionali, regionali e locali dei Paesi membri.L’influenza su Bruxelles ha quindi conse-guenze economiche sul funzionamento diuno Stato e della sua economia, oltre che sulprocesso normativo e regolamentare euro-peo. Come non ricordare il gruppo Bilder-berg o l’influente mano dell’ ERT, la tavolarotonda degli industriali europei, sui processilegislativi comunitari che portarono alla

L’influenza di gruppi dipressione, think tanks e fondazioni sugli organiist i tuzionali e sul le nostrevite

Fonti:>> www.lobbyingitalia.com >> www.paolobarnard.info>>www.megachip.info

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"Da un grande potere derivano grandi re-sponsabilità". Nel mondo dei fumetti questomotto spinge i supereroi a usare i loro fan-tastici poteri per affrontare minacce catastro-fiche anziché per interessi personali. Nelmondo reale minacce certo non mancano:povertà, crisi, disoccupazione, corruzione,dissesto ambientale sono solo esempi, mal'elenco non è certo finito. E' per questomotivo che politici di destra, centro e sinistrahanno deciso di superare vecchie ideologieed entrare tutti assieme al governo. L'hannofatto per dimostrare la loro responsabilità, lapatria ha chiamato e loro non si sono tiratiindietro.Recentemente i primi a innalzare il termine"responsabilità" al vertice della scala dei va-lori sono stati proprio i cosiddetti responsa-bili. La versione nobile vuole che alcunideputati si ribellassero al tentativo di ribal-tone ordito da poteri anti-nazionali votandola fiducia al governo Berlusconi per salvareil paese dallo spread, dal default, dalla crisi.Altri potranno avere diverse letture dellemotivazioni di questi personaggi ma, co-munque sia andata, oggi la responsabilità hatrionfato, è diventata un valore bipartisan.Napolitano e Monti, che sembrano la re-sponsabilità fatta persona, hanno dovutochiudere la parentesi berlusconiana per ini-ziare una nuova fase di superamento delleostilità, di competenza e responsabilità.

Fortuna che abbiamo una classe dirigenteresponsabile, competente, diligente, pragma-tica, disposta a mettere da parte i propriideali e a compiere sacrifici. Se necessario,disposta persino ad assumere grandi poteri.Gli ideali. In questa società siamo abituati aconfondere gli ideali con le utopie, realizzarei desideri più profondi della collettività sem-bra diventato impossibile. Gli ideali, chepuntavano a questo, sono dunque lasciati abambini e sognatori, mentre noi dimenti-chiamo che nei cambiamenti della politicae della storia questi sono stati (e saranno) es-senziali. Scordiamo anche che l'azione del-l'uomo politico è sempre guidata daqualcosa, che non può essere l'istinto; se siescludono gli ideali, a fare da bussola restanosolo gli interessi. Gli interessi della classe di-rigente: potenti, banche, politici.I sacrifici. Sentiamo questa parola, dal sensoarcano e profondo, alla televisione. A chie-derli è stato Monti: Ne' lacrime ne' sangue,ma sacrifici. Già, perchè restano poco credi-bili, malgrado la commozione del ministroFornero, le lacrime del sacerdote che, ver-gine fra le braccia e pugnale nel fodero, vaverso l'altare. Questa notte non sarà lui a pa-gare il prezzo più alto per soddisfare e in-graziarsi il dio-finanza. Sì, perché tanto é

nobile la promessa di fare sacrifici quantopoi difficile farli in prima persona. E poichéla manovra risponde a un'economia che nonprevede sacrifici per imprenditori, industrialie grandi proprietari, siamo noi a doverli fare.Pensioni basse agli anziani e sempre più lon-tane per i lavoratori e disoccupazione per igiovani. Il potere. Tutti questi responsabili cichiedono la possibilità di comandare. Ce lochiese Bertolaso, che per sbrigare i grandieventi, dalle visite del papa alla realizzazionedi impianti sportivi, aveva l'opportunità diderogare, infrangere, leggi nazionali. Anchea Monti per realizzare i piani dell'Europaserve un grande potere. I partiti hanno ac-cettato di cedere il proprio o giocano a farel'opposizione per opportunismo politico, oraMonti ha bisogno che i cittadini siano com-patti e docili, disposti a lasciarsi comandare.Ha bisogno del nostro potere.Il significato originario di responsabilità nonera però questo: anzi, la consapevolezza delleconseguenze delle proprie azioni può por-tarci a essere irresponsabili verso questo statodi cose, proprio per la responsabilità che ab-biamo verso la collettività e verso il domani.

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-Spartaco-

I Responsabili Quando un governo trasforma il pensiero unico in imperativo morale

Se si escludono gli ideali, a fare dabussola restano solo gli interessi.Gli interessi della classe dirigente:potenti, banche, politici.

Ma cosa significa essere responsabili? Gior-nali e TV hanno la risposta già pronta: pa-gare le tasse, onorare gli impegni, coesionesociale. Pagare il debito, onorare gli obblighiimposti da banche e unione europea, conti-nuare a studiare, lavorare, consumare, votare.Anche se tutto questo fa schifo. Avere altreambizioni sarebbe un lusso, non resta chescegliere il meno peggio. Almeno così vienedetto. I compiti di chi vuole valorizzarel'immagine e il buon nome dell'Italia nonsono certo facili, ai limiti dell'impossibile.

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A nostro vedere, alcuni fatti sono innegabili.Possiamo affermare che in questi ultimi mesinon si sono visti gli effetti più devastantidella Crisi, ma solo quelli iniziali; possiamoaffermare che è finita la stagione politica diBerlusconi, ma non il berlusconismo, bendiffuso e presente nella società e nelle per-sone; possiamo infine constatare che il go-verno Monti rappresenta, più che unaliberazione, l’inizio delle riforme neoliberi-ste di seconda generazione.In tale epoca, e con tali pensieri, la domandache sorge più frequentemente è: che ne saràdi Noi? Un Noi che è molto composito, e che habisogno di essere definito. Un Noi che partedalla nostra generazione, quella frutto delmondo neoliberista, della vittoria del pen-siero unico ma anche dei doni di Natale delCapitalismo degli anni ’90. Tradite le pro-messe di prosperità e felicità del Capitali-smo, dal nulla sembriamo scaraventati in unavita di precarietà. Perché quello che si pro-verà a fare in questa crisi, non é altro che at-tuare le riforme neoliberiste di secondagenerazione, dove l’obiettivo ultimo non èprecarizzare il lavoro, ma l’intera vita. Ciòcomporterà: tutti i servizi privatizzati, pen-sione privata, assenza di ridistribuzione delreddito da parte dello Stato, abbassamentogeneralizzato dei salari, precarizzazione delposto di lavoro e della dimora (tramite affittie mutui). Ciò coinvolgerà integralmentequesta generazione, così come i lavoratoriche subiscono questi attacchi e le genera-zioni che verranno. Diventeremo, sia sesiamo studenti sia se siamo lavoratori, pre-cari, in quanto la nostra vita sarà precaria.Un filo rosso torna così a unire le condi-zioni di vita delle persone, che saranno ob-bligate a riflettere, e ad usciredall’individualismo in cui tutti noi ci siamorifugiati. La Storia, contrariamente a quantoci avevano raccontato, si è rimessa in moto;quello che non riusciamo a capire è che lastoria sta per assumere una velocità sorpren-dente. Questa crisi cambierà la vita di tuttinoi: studenti, giovani precari, lavoratori, di-soccupati. Ma rimane sempre al centro deldilemma quel dubbio: che ne sarà di Noi?

Tale domanda racchiude una forza che nonè riconducibile alla risposta, ma che si auto-afferma nella domanda. Perché nella do-manda, in verità, si affermano alcune cose: ilnostro futuro non è già deciso e scelto, ecoinvolge pienamente Noi nella nostra esi-stenza. La domanda si autoafferma perché,banalmente, non c’è risposta. La risposta saràdata dalle nostre azioni e dal nostro impe-gno. La forza della domanda è il riscoprirel’esistenza di un Noi che scavalca l’Io, e ca-pire che la risposta non può essere delegataa nessuno, ma deve essere data da tutti. Si ab-bandona il destino individuale di una vitaridotta a consumo e merce, riscoprendo ilbisogno della politica. Politica intesa comecondivisone delle proprie idee e delle pro-prie aspirazioni, come bisogno di influire ecambiare la propria vita e lo scenario doveavviene. Quest’ultimo bisogno diventeràsempre più urgente e necessario man mano

anni, non si è reso conto che la ‘concerta-zione’ della CGIL significava l’accettazionedei diktat della classe dominante, e che pro-prio gli uomini antiberlusconiani (Napoli-tano, Prodi, Veltroni, D’Alema fra tutti)rappresentavano gli interessi del Mercato.Il nostro compito sarà quindi definire leforme, le idee e le azioni, e, anche se nonabbiamo una risposta organica pronta, pos-siamo iniziare a pensare da dove ripartire.

1. Una qualsiasi forma politica oggi deve ri-partire dall’anticapitalismo; anticapitalismointeso come rifiuto della logica del profittoa favore del bene comune. Questa crisi di-mostra nuovamente gli effetti devastanti ditale sistema, e la sempre maggior impossibi-lità di trovare una soluzione per il bene deitanti e non dei pochi all’interno di esso.Sono sempre più devastanti gli effetti am-bientali, sociali e politici del sistema, e sem-pre più evidente la sua insostenibilità.Dobbiamo costruire un sistema alternativoprima che il Capitalismo porti alla distru-zione dell’umanità. In tale momento storicol’anticapitalismo potrebbe riunire le varieanime antisistemiche della società, dal co-munismo nelle sue varie forme all’ambien-talismo, passando per l’antiautoritarismo e leidee libertarie.

2. Ripartire dall’anticapitalismo, con un de-ciso rifiuto, però, delle varie ortodossie, chetendono a creare delle sette più che collet-tivi politici. Il No necessario e più forte èallo stalinismo, che ha tradito i sogni deglioppressi e dei rivoluzionari di tutto ilmondo. Stalinismo rifiutato nella sua ver-sione storica come nei sui residui politici at-tuali. E’ necessario quindi oggi rifiutare ilverticismo, l’esaltazione del leader, l’autori-tarismo, come la superiorità a priori data dalmilitantismo o dalla presunta veridicità as-soluta dell’analisi. Dobbiamo oggi anche di-scostarci da qualsiasi presa di posizionerigida sull’avanguardismo e sulla presa delpotere. I fallimenti del passato ci dimostranoche non basta prendere il potere, ma che ènecessario creare rapporti di potere eguali-tari e orizzontali. Ciò significa che dob-

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che le condizioni materiali peggioreranno esarà necessaria una risposta politica e socialeantisistema. Il bisogno crescente di politicaci obbligherà alla ricerca di forme, idee,azioni in cui riconoscerci e identificarci. Talecrisi ci ha trovato impreparati, non avendoavuto una risposta organica pronta a fron-teggiare la situazione attuale. Chi è rimastoscottato dalle prime sconfitte o dagli erroridel movimento, scegliendo di rifugiarsi nellasfera individuale, pecca di ingenuità o super-ficialità. Dopo trent’anni di distruzione si-stematica di qualsiasi organizzazionepopolare e di qualsiasi idea di Sinistra, è im-pensabile che la risposta politica alla fase sto-rica attuale sia immediata e semplice. Stiamoparlando comunque del popolo italiano,che, così preso a infamare Berlusconi per 20

Quello che si proverà a fare inquesta crisi, non é altro che at-tuare le riforme neoliberiste diseconda generazione, dovel’obiettivo ultimo non é preca-rizzare il lavoro, ma l’interavita.

Che ne sarà di Noi?Brevi riflessioni politiche sulla situazione attuale

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biamo creare l’uomo nuovo, un uomo chenei rapporti sociali e nella vita quotidianariesca a distruggere i rapporti di potere in-trinsechi della società capitalistica. Non pos-siamo concentrarci solo sulla presa delpotere, ma anche sul cambiamento del-l’uomo in quanto individuo. Ciò non signi-fica rifiutare i pensieri politici creati nelpassato, ma saperne cogliere l’insegnamento,provando a superarne i limiti. L’Allievodovrà sempre superare il Maestro, altrimentisi sarà fermata l’evoluzione dell’uomo e delsuo pensiero.

3. I vari movimenti che si sono visti finorasi sono divisi intorno al tema della legalità,quando in verità la divisione non è fra ‘le-galisti’ e ‘illegalisti’, ma fra ‘rivoluzionari’ e‘riformisti’. Il sistema non ritiene illegalesolo una forma di protesta violenta, ma ri-tiene illegale una qualsiasi forma di protestaantisistema il cui obiettivo ultimo é il cam-bio della società. Dobbiamo capire qualisono le forme politiche e di protesta mi-gliori e più efficaci, senza cadere nell’inge-nuità che i vertici del potere possanoaccettare una forma di protesta rivoluziona-ria. Qualsiasi ordine costituito vuole man-tenere lo status quo, e prova a distruggerequalsiasi movimento che lo vuole trasfor-mare radicalmente. Un qualsiasi movimentoantisistema sarà, se efficace, ‘illegale’, a pre-scindere se la sua forma politica sarà violentao pacifica.

4. In tale momento storico di forte arretra-mento e frammentarietà politica, è necessa-

tuzionale-parlamentare, in quanto sia le isti-tuzioni attuali sono totalmente inadeguate emanipolabili, rappresentando infatti un osta-colo al cambiamento, sia non esistono oggipartiti nell’arco parlamentare che non vo-gliono applicare le ricette neoliberiste. E’fondamentale creare un movimento nazio-nale per dare unità e continuità alle espe-rienze locali, perché se la lotta rimarrà legataa singole rivendicazioni o a singole città, lasconfitta e il fallimento delle istanze rivolu-zionarie saranno inevitabili. Questo scritto vuole aprire uno spazio di di-scussione, che è necessario e urgente in Italiacome a Firenze. Lungi dal rappresentare laverità, vuole creare polemica, riflessioni,spunti. Non avendo una visione organicadel reale, lo scritto vuole però dare dei puntida cui far partire la riflessione e l’agire poli-tico. Oggi è necessario legare la parola al-l’azione, senza cadere in retoricheintellettuali tendenti al borghese, comenell’azione fine a se stessa. In una crisi strut-turale capitalistica, i movimenti rivoluzio-nari e popolari devono avanzare. Ciò saràpossibile se riusciremo a farci capire da co-loro per cui professiamo di voler fare uncambiamento, cioè i lavoratori e gli sfruttatidi tutto il mondo, e se riusciremo a darciun’organizzazione efficace rispetto alla con-gettura storica. Avremo bisogno di tutti, econ tutti ci riferiamo soprattutto a chi senteil fervore rivoluzionario dentro il proprioanimo.

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-Jules-

Caduta una visione unificante, i vari grup-petti antisistema si sono racchiusi in una re-torica ultrà delle proprie idee. E’ necessarioquindi superare la “mentalità delle parroc-chiette” e creare un blocco anticapitalista. Senon supereremo la frammentarietà sarà dif-ficile affrontare i nemici che ostacolano ilnostro cammino.

5. Infine, per ultimo, è necessario creare unmovimento nazionale che unisca le varieesperienze locali. Abbiamo bisogno di orga-nizzazione, continuità, ed essere tanti piccolipunti di riferimento per poter affrontare ledifficoltà delle lotte politiche: essere direttorid’orchestra che facciano realmente partedell’orchestra stessa, e che mettino in con-dizione gli altri orchestrali di dare il megliodi loro. In tale momento storico possiamoconstatare il totale fallimento della via isti-

Politica intesa come condivisonedelle proprie idee e delle proprieaspirazioni, come bisogno di in-fluire e cambiare la propria vita elo scenario dove avviene.

rio superare i limiti imposti dalle varie par-rocchiette e scuole di pensiero politiche.Nonostante siamo lontani da un momentorivoluzionario, i vari collettivi e gruppi po-litici perdono più tempo a imporre la pro-pria visione del mondo agli altri gruppi,invece che a trovare la migliore sintesi cherispecchi tutte le anime del movimento.

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Dalla lotta di classe alla concertazione, dallapretesa ed ottenimento di nuovi diritti, allagraduale abolizione degli stessi. Con tutto ciòche questo comporta…

“Noi non possiamo più obbligare leaziende a trattenere alle loro dipen-denze un numero di lavoratori cheesorbita le loro possibilità produttive,né possiamo continuare a pretendereche la Cassaintegrazione assista in viapermanente i lavoratori eccedenti. [….] Noi siamo tuttavia convinti che im-porre alle aziende quote di manodo-pera eccedenti sia una politica suicida.L’economia italiana sta piegandosisulle ginocchia anche a causa di questapolitica. Perciò, sebbene nessunoquanto noi si renda conto della diffi-coltà del problema, riteniamo che leaziende, quando sia accertato il lorostato di crisi, abbiano il diritto di li-cenziare.”

In questa intervista di Eugenio Scalfari,comparsa su La Repubblica il 24 gennaiodel 1978 (articolo intitolato “Lavoratoristringete la cinghia”), l’allora segretario dellaCGIL Luciano Lama esprime il propriopensiero in merito alla possibilità delleaziende di licenziare in tronco un gran nu-mero di lavoratori. Ma facciamo qualchepasso indietro. Fino alla fine degli anni ’70esisteva in Italia un movimento operaiomolto forte e gran numero di organizza-zioni comuniste e rivoluzionarie che in-fluenzavano significativamente i vertici delsindacato e del Partito Comunista (i qualiutilizzavano solo di facciata la retorica dellalotta di classe) portandoli ad appoggiare lelotte dei lavoratori. Ma tutto questo ha ces-sato di esistere circa trent’anni fa, a causa diuna trasformazione lenta, graduale però de-finitiva del PCI e del movimento sindacaleitaliano, passati definitivamente ad essereconcertativi, consociativi, d’accordo con il

neoliberismo e con l’impostazione socio-economica capitalista. Tutti gli accordi fir-mati in questi anni in nome dellaconcertazione ed appoggiati via via dallevarie organizzazioni politiche figlie del PCI,sono infatti servite solo ad indebolire i lavo-ratori ed a ridurre il loro peso e la loro forzacontrattuale. La concertazione infatti, ha al-lontanato il sindacato dai lavoratori, vistoche questi non vi si riconoscevano, facendoin modo che si negoziasse sulla gradualeabolizione dei diritti acquisiti. Un signore dinome Karl Marx tempo fa, invece, dicevache "....i rapporti tra Capitale e Lavoro nonsono dati una volta per sempre, ma cam-biano in virtù dei rapporti di forza tra leclassi” (quindi o lotti per avere il coltellodalla parte del manico e riesci a vincere inbase a quanto dimostri di essere organizzatoe tenace, oppure preparati a subire una con-troffensiva). E queste parole un tempo eranoprese sul serio, trovavano applicazione pra-tica tutti i giorni nei percorsi di lotta, sia sin-dacale che di movimento: dagli scioperiandatisi sempre più a moltiplicare dagli anni60’ agli anni 70’ (che non duravano certo 4ore..), ai sabotaggi nelle fabbriche per fer-mare la produzione e causare gravi perditeeconomiche agli imprenditori (si preferivachiamarli padroni), fino alla solidarietà congli altri gruppi sociali come i disoccupati, ipensionati, gli studenti.

Tutto questo, come detto, assieme ad un pa-trimonio di cultura popolare di lotta e resi-stenza che oggi possiamo solo immaginare,si è progressivamente sgretolato e, parallela-mente, il mondo degli industriali, dei ban-chieri e dei poteri forti (un tempo si sarebbedetto i capitalisti) ha pianificato e messo inpratica una controffensiva sbalorditiva: ge-neralmente si parla di attacco del Capitalenei confronti del lavoro. Cosa vuol dire? Si-gnifica che, nel momento di maggior diffu-sione dell’idea di “sinistra” a livello mondiale(in tutte le sue declinazioni), nel momentoin cui la partecipazione delle persone vedevaun’impennata colossale e la pretesa di nuovidiritti dava vita alle prime forme di Stato so-ciale, mentre i partiti comunisti e antisistemain Europa come altrove si rafforzavano, i po-teri forti decisero che questo non doveva es-sere più tollerato. La loro strategia (vedi adesempio la recensione nell’ ultima pagina)consistette da una parte nel frammentare ilmondo del lavoro a livello pratico con lospostamento progressivo della produzione lasua riorganizzazione (creazione dell’indotto)in altre aree del globo, dove le rivendicazionisalariali erano più tenui, nella creazione digrandi masse di disoccupati

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La seconda resistenza traditac o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g 12

La concertazione infatti, ha al-lontanato il sindacato dai lavora-tori, visto che questi non vi siriconoscevano, facendo in modoche si negoziasse sulla gradualeabolizione dei diritti acquisiti.

(il solito Marx le chiamava “esercito indu-striale di riserva”) pronte da utilizzare peressere sfruttate offrendogli un lavoro retri-buito la metà e in condizioni peggiori diprima e, infine, seducendo col fascino dellaricchezza e del “dialogo” buona parte deiquadri dirigenti di sindacati, CGIL su tutti,e partiti, PCI in particolare. Stiamo parlandodi un processo ideato negli anni 70’, messoin pratica gradualmente, ma che riuscì amettere il primo mattone di un muro che sisarebbe rafforzato sempre più: su tutti lamarcia dei “quarantamila” (per lo più impie-

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gati, i “colletti bianchi”) alla FIAT di Torino,con la quale i dirigenti dell’azienda riusci-rono a vanificare la lotta degli operai, portataavanti da 37 giorni con un picchetto davantialla fabbrica, e a far accettare qunidicimilalicenziamenti. Il precedente indebolì il sin-dacato in tutti i settori in Italia e la concer-tazione divenne la norma, mentre losciopero, la conflittualità del lavoro, la lotta,furono completamente abbandonati. Oggiinfatti, dopo aver taciuto o quasi su leggi inmateria di precarizzazione del lavoro pro-mulgate dal centro sinistra (vedi pacchettoTreu) e dopo non aver criticato l’accordodel 1993 che prevedeva, per le sigle firma-tarie dei contratti, l’assegnazione automaticadel 33% nelle elezioni dei rappresentanti deilavoratori (RSU), escludendo di conse-guenza i sindacati di base, Maurizio Landiniattuale segretario della FIOM si accorgeche non esiste più la “democrazia” in fab-brica. Queste le sue parole oggi, dopo che il13 dicembre scorso il modello Pomiglianoo modello Marchionne, è diventato realtàper i dipendenti Fiat di tutta Italia, da Mira-fiori a Melfi , in barba al Contratto Collet-tivo Nazionale e allo Statuto dei Lavoratori(prodotti dell’epoca di cui sopra, non acaso). La FIOM, dunque, nel 1993 non poseil problema della democrazia in fabbrica ma,quasi dieci anni dopo, esclusa dal tavolo con-certativo e non firmando il contratto, parladi assenza di democrazia. Paradossalmente

oggi è proprio la FIOM ad essere un po’ piùvicina alle lotte dei lavoratori assieme ai sin-dacati di base , a volte temporeggiando pervedere come va (vedi lotta alla INNSE diLambrate) altre opponendosi ai vari diktataziendali (come con Marchionnne), altre an-cora in maniera contraddittoria cercando difar accettare ai lavoratori il meno peggio.

FIOM, proprio mentre si tratta di combat-tere il governo tecnico reazionario diMonti, l’istituzionalizzazione della “flex se-curity” (abolizione dell’art 18 o suo aggira-mento, quindi licenziamenti facili) e lelacrime e sangue da far digerire alle “classisubalterne”. Se non sappiamo fare questo,non sapremo stare al fianco di chi oggi, no-nostante tutto, si ribella: come i lavoratoridelle cooperative dell’Esselunga di Pioltello,dell’IRISBUS, della OMSA, gli ex WagonLits (dei treni notte), così come i lavoratoridella Piaggio di Pontedera e della Jabil. Tuttilicenziati in tronco, tutti in lotta e, pur-troppo, lasciati da soli.In ogni caso, l’unicaalternativa per scongiurare ulteriori scenaricatastrofici, è quella di impostare la lotta alfianco di chi si oppone, per una fuoriuscitaglobale e definitiva da un capitalismo desti-nato al collasso. Ciò significa restituire valoreal lavoro collettivo, rilanciando la centralitàdel lavoro produttivo in un assetto di auto-gestione dei lavoratori. Non basta appro-priarsi dei mezzi produttivi, né rovesciare ilquadro dei rapporti di forza vigenti, ma oc-corre rivoluzionare il modo di organizzaree gestire la produzione stessa. Le aziende ca-pitaliste sono nate per ricavare profitti pri-vati, non per soddisfare le istanze vitali dellepersone. E’ la loro natura intrinseca. Perciòbisogna riconvertire le imprese alla produ-zione di beni di prima necessità, cosicché ilvalore d’utilizzo (quello d’uso) recuperi ilsuo antico primato sul valore commerciale(il valore di scambio), e l’autoconsumo delleunità produttive locali, politicamente auto-gestite nei termini di una gestione diretta, siimponga sulle false esigenze consumisticheindotte dal mercato (il cosiddetto feticciodella merce), evitando di subordinare i biso-gni umani alle sanguinarie leggi del profitto.

traditac o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :>> www.clashcityworkers.org>> www.inchiestaoperaia.org>>Lavoro e Capitale nella teo-ria di Marx, Guido Carandini

-Marcos-

Nonostante queste sue ambiguità di fondo,la totale mancanza di conflittualità sindacalee di rivendicazioni poste in modo radicale,la FIOM è isolata nella CGIL (al soldo deimoderni liberisti di destra del Partito De-mocratico). L’accordo siglato il 28 giugnotra Confindustria e sindacati, fra cui la CGIL(immaginatevi quarant’anni fa se sarebbestato possibile) ne è una conferma. Quindibisogna capire il ruolo di certi soggetti, dicerti schieramenti. Bisogna capire come maiSusanna Camusso cerca di escludere la

Stiamo parlando di unprocesso ideato negli anni70’, messo in pratica gra-dualmente, ma che riuscì amettere il primo mattonedi un muro che si sarebberafforzato sempre più

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La retorica dellacrisi e la sua incon-sistenza reale

Ed eccoci in crisi, lo spread sale, il nervosi-smo dei mercati finanziari si fa sentire. Dob-biamo fare sacrifici, essere solidali, esserebuoni con il prossimo... Meglio ancora se ilprossimo è un banchiere, un industriale e unricco! Ma cosa sta succedendo nel “belpaese” mentre la solidarietà ci rende tuttiamici? Precarizzazione della vita e dei sala-riati, possibilità di essere licenziati arbitraria-mente, sottorappresentanza dei lavoratori insindacati e parlamento, liberalizzazioni e im-poverimento dei lavoratori e arricchimentodei capitalisti sono solo le ciliegine di unatorta ancor più amara. Per smontare la lindae pulita retorica solidale bisogna risalire ilfiume delle ingiustizie fino alla sorgente.Fino a dove sorge questo sistema che ci haportati in crisi. Infatti, il sistema in cui vi-viamo si riproduce, creando la sua ricchezzasull'accumulazione di capitale da parte delcapitalista. Questo viene ottenuto con la mi-gliore combinazione dei fattori produttivi(materie prime, macchinari, lavoro, ecc...) alfine di risparmiare sui costi e guadagnaresulla vendita, cioè ottenere profitto.Il lavoro è, quindi, centrale nel processo diriproduzione del sistema. È proprio dalla ca-pacità del lavoro di creare beni o servizi damaterie prime, da prodotti non assemblati oda servizi non impacchettati che, al mo-mento della vendita, il capitalista si arricchi-sce, appropriandosi del valore aggiunto dallavoro umano durante la produzione. Il la-voro, infatti, è un “fattore produttivo” parti-colare, che il capitalista “acquista” sulmercato del lavoro. Per diminuire i costi diproduzione e ottenere maggiori profitti,oltre ad acquistare macchinari più efficentio materie prime più economiche, l'interessedel capitalista sarà, quindi, comprare la forzalavoro al prezzo più basso possibile. Il lavo-ratore essendo costretto a vendersi sul mer-cato del lavoro (per la necessità fisica dimangiare) sarà costretto ad accettare il livellosalariale che il capitalista pone, e questo

potrà essere alzato la lotta collettiva. Ovvia-mente, il salario del singolo lavoratore saràcontrattato al ribasso più sarà in concorrenzacon gli altri disoccupati (quindi più aumentala disoccupazione) e meno sarà difeso da di-ritti sindacali. Ma c'è qualcosa in più. Quellostesso salario che il capitalista corrisponde,al ribasso, al lavoratore, perché questa eco-nomia funzioni, dovrà essere speso per farlorientrare nelle mani del capitalista. Dall'altrolato, chiaramente, il lavoratore ha interessead essere pagato di più, per potersi permet-tere una vita più dignitosa. Mentre durantegli “anni d'oro”, in cui la necessità di accon-tentare popolazioni dilaniate dalla secondaGuerra Mondiale, e l'urgenza della ricostru-zione spingeva gli stati a spendere per lan-ciare l'economia e alzare il benessere, neglianni settanta prendono forma i progenitoridelle politiche neoliberali attuate da Monti.I governi Reagan e Thatcher, infatti, si fannosostenitori di un nuovo paradigma ideolo-gico, che prevede una visione della societàin cui lo stato cede tutte le sue funzioni almercato, che, con la logica del profitto, do-vrebbe assicurare il benessere della società.Quindi, si privatizza tutti, o quasi, i settoriche prima appartenevano allo stato, con unasvendita della ricchezza collettiva dei citta-dini in favore di chi si può permettere dicomprare, vale a dire banchieri e industriali.In quegli anni si ha un processo che porta,in meno di 20 anni, per esempio negli StatiUniti, il 10% della popolazione a possedereil 50% della ricchezza nazionale. Il 90% dellapopolazione statunitense oggigiorno si ac-

attentamente, si nota come i politici chehanno calcato la scena dell'Italia repubbli-cana siano strettamente legati ad interessiparticolari di finanza e impresa, non al po-polo. Da “manipulite” a Berlusconi, sicura-mente è apparso lampante come lacorruzione e il governo degli interessi deci-desse della nostra vita. Ma è soprattutto conil centro sinistra che arrivano al governo lemedaglie d'oro per le losche privatizzazioni.Prodi, D'Alema e compagnia bella sono iprincipali responsabili della svendita del pa-trimonio statale degli anni '90. Il governo Monti è poi così tanto diverso?Monti rappresenta il mondo delle lobbydella finanza, non gli italiani! Non a casoproviene, come Mario Draghi, dalle file dellaGoldman Sachs. Non a caso i ministri pro-posti dal professore sono legati ad Intesa-SanPaolo, Telecom, Mediagroup, La Repub-blica, General Motors (legata alla Fiat dei ri-catti di Marchionne) e, chiaramente,Confindustria. La finanziaria, cronometrata

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LA SOLIDARIETÀ:“Scusi mi

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Prodi, D'Alema e compagniabella sono i principali responsabilidella svendita del patrimonio sta-tale degli anni '90. Il governoMonti è poi così tanto diverso?

contenta della stessa quantità di ricchezzacon cui ingrassano quel 10% di ricchi. Equesto è quello che sta succedendo anche inEuropa e in Italia.Ma riflettiamo: la democrazia dovrebbe ga-rantire il potere al popolo. Però, se si osserva

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dalla BCE ed approvata a tempo di record

dal governo Monti, vede infatti una redistri-

buzione del reddito complessivo in favore

del mercato: tagli ai servizzi di welfare; au-

mento dell’accise sui carburanti, che colpisce

specialemnte i redditi bassi; aiuti spregiudi-

cati alle banche con tassi di interesse spro-

porzionati posti sul prestito di soldi pubblici;

attacco al famigerato articolo 18 (aumen-

gono livelli modesti o nulli di ricchezza;all’opposto, poche famiglie dispongono diuna ricchezza elevata. [...] la metà più poveradelle famiglie italiane detiene il 10% dellaricchezza totale, mentre il 10% più ricco de-tiene quasi il 45% della ricchezza comples-siva”. E, se questo succedeva nel 2009, possiamopreoccuparci. Il Professor Monti perseguepolitiche che redistribuiscono i redditi in fa-vore dei già ricchi. Ovvero quelli che pos-seggono, imprese, banche, e quelli chesostituiranno lo stato nei settori privatizzati.E' evidente come vi sia un’asimmetria dipotere tra lavoratori e capitalisti, in favore diquesti ultimi, e come la retorica della soli-darietà sia solo una maschera messa ad artesul viso grottesco di un sistema ingiusto.Dovrebbe essere facile capire come gli inte-ressi tra chi lavora e chi dà lavoro siano for-temente contrastanti, e che questi ultimisono rappresentati dagli stessi uomini che cichiedono sacrifici. Certo, in questa crisisiamo tutti sulla stessa barca, ma mentre quel10% della popolazione è sul ponte a godersila fresca brezza, il 90% è in sala macchine asgobbare per portare in crociera i ricchi. Mala cosa più assurda è che, dall'alto della loroposizione, ci chiedono di faticare di più peraumentare la velocità, dato che loro stessihanno sbagliato rotta.Dovremmo, quindi, essere contenti che lebanche e le imprese vengano salvate dal de-naro pubblico? Questa risposta non è senzadubbio facile, ma se si pensa che il denaropubblico è ricchezza, in maggior parte, pre-levata dai salari, ed è quindi di appartenenzadel popolo, che è composto più da lavoratoriche da banchieri ed impresari, direi di no!Per di più, quei soldi che provengono dallatassazione sono ottenuti dai salariati con ilprocesso sopra descritto, che presupponeuna distribuzione ineguale della ricchezza.Un progetto di sfruttamento che prima faingrassare i capitalisti e poi, entrando in crisiper la stessa avarizia dei ricchi, richiede anoi, la classe sfruttata, un aiutino per tornarea far soldi. Quella che propongono è senzadubbio una risposta alla crisi, ma è la mi-gliore risposta per i ricchi che vogliono di-ventarlo ancora di più. Pare essere unica e

dispiace, ma la devo sfruttare ”

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

-Philip Liguori-

inevitabile, poiché sostenuta da tutte le forzepolitiche, da destra a sinistra. Quei movi-menti sociali, invece, che dicono “no all'Eu-ropa della crisi!” e che tanto fanno uso dellecifre 99% contro 1%, attualizzano l’intrin-seco conflitto di classe che aveva teorizzatoMarx, e che ora appare particolarmentelampante. Non ci è concesso stupirci se cichiedono altri sacrifici. Siamo noi che nonstiamo facendo il nostro interesse. Siamo noiche pensiamo che volendo bene alle bancheloro ne vorranno a noi. Ma questa situazione non può perpetuarsi alungo, perché le contraddizioni sempre piùevidenti renderanno non solo impraticabilela retorica della solidarietà, ma paleseranno,anche, quanto assurdo sia che lo sfruttatocammini portando in braccio, perché non siaffatichi, lo sfruttatore. La loro stessa aviditàmette già in moto la nostra rivincita. Sarànecessaria un’umanità nuova, forte, antica-pitalista, cosciente e altruista, che si rendaconto che i caveau dei ricchi sono giàtroppo pieni, tante pance invece troppovuote, e le vite troppo consumate dal lavoro.Combatterà. Perché combattere per unmondo egualitario e umano è l'interesse ditutti. Certo, non proprio di tutti.

tando la licenziabilità dei lavoratori si inne-sca il processo di abbassamento dei salari). Inun rapporto della Banca d'Italia relativo al2009 si può leggere: “molte famiglie deten-

Per smontare la linda e pulita re-torica solidale bisogna risalire ilfiume delle ingiustizie fino allasorgente. Fino a dove sorge que-sto sistema che ci ha portati incrisi.

Dovrebbe essere facile capirecome gli interessi tra chi lavora echi dà lavoro siano fortementecontrastanti, e che questi ultimisono rappresentati dagli stessiuomini che ci chiedono sacrifici.

Fonti:>> “La ricchezza delle famiglie ita-liane”, Banca Italia >> “Il Capitale”, Karl Marx

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Democrazia e Capitalismo

dalla Rivoluzione francese

a oggi

Il modo migliore per rendere un popoloignorante e docile é privarlo della conce-zione storica, del sapere del passato. Se unpopolo non sa da dove viene, difficilmentepotrà capire dove lo stanno portando, e inmodo ancor più drammatico non saprà maidove deve andare. Non solo non avrà unavisione sistemica e organica del mondo, maqualsiasi concetto sarà manipolabile e privodi un veritiero significato storico e politico.Questo é uno dei motivi per cui, quando siparla di Democrazia, gli scribacchini di corteci raccontano quello che vogliono e le masseignoranti abbassano il capo annuendo, comequando lo scolaretto impreparato viene ri-preso e istruito dalla maestra. Sembrerannoparole dure ed estreme, ma sicuramente ap-propriate per il popolo italiano, che per qua-rant’anni é stato democristiano, per unventennio berlusconiano, o al massimo fie-ramente antiberlusconiano, e che infine fe-steggiava in piazza con cori e bandierel’arrivo di Monti, un po’ come gli ultras diuna squadra di calcio quando viene annun-ciato l’acquisto di un grande campione.La democrazia moderna nasce nel 1789 conla Rivoluzione Francese, prendendo tale av-venimento come data di riferimento sto-rico. Anche se democrazia letteralmentesignifica potere del popolo, in Francia nel1789 vince in realtà solo una parte ben spe-cifica di esso: la borghesia. Sostenuta anchedagli strati più bassi della società, nella Ri-voluzione Francese la borghesia sconfigge lacorona, la nobiltà e il clero. La borghesia ela nobiltà rappresentavano anche dei sistemieconomici e sociali ben precisi: rispettiva-mente il capitalismo e il feudalesimo. L’800sarà, infatti, il secolo della definitiva afferma-zione del capitalismo a sistema economicoprima continentale (l’Europa, compren-dendo anche le sue colonie, e quindi gli StatiUniti) e poi mondiale.Tali asserzioni trovano una fondata giustifi-cazione nella costituzione francese, dove, tra

i diritti inalienabili dell’uomo, al diritto allavita, alla parola, alla libertà di stampa e reli-giosa, viene affiancato un diritto particolaree fortemente classista: il diritto alla proprietà.

parla della democrazia moderna occidentaleha poco senso non parlare anche del capita-lismo, in quanto la democrazia é cambiatanon solo, ma soprattutto, in funzione deicambiamenti strutturali del capitalismo.Nella prima metà dell’800, infatti, la demo-crazia non coincideva con il potere del po-polo, in quanto mediamente neanche il 2%della popolazione aveva diritto al voto, chea sua volta dipendeva anche dal reddito.Nell’800, quindi, i contadini si liberano sìdai vincoli feudali, ma é negato loro il dirittodi voto, e si ritrovano imprigionati nellanuova schiavitù moderna, quella salariale. Nella prima metà dell'800 l’Europa é attra-versata dallo scontro fra un'élite liberale, pro-motrice dello sviluppo democratico ecapitalistico, e un'élite conservatrice, rappre-sentante degli interessi dei gruppi legati al-l’ancien régime. Ma lo scontro non é fra ilpotere popolare e quello nobiliare, ma frauna borghesia progressista e liberale e unaborghesia legata maggiormente alla terra econservatrice.Il moderno stato democratico nasce quindicome comitato d’affari della borghesia, dove

S o c i e t à & C u l t u r a

LOVE STORY A 16

Se un popolo non sa da doveviene, difficilmente potrà capiredove lo stanno portando, e inmodo ancor più drammatico nonsaprà mai dove deve andare.

Ciò é molto importante da ricordare, inquanto la costituzione francese venne presaa modello per le future costituzioni demo-cratiche e, a oggi, in quasi tutti i paesi la pro-prietà viene sancita come diritto dell’uomo.Non sorprende quindi che proprio queipaesi che nel ‘700 furono scossi da ‘rivolu-zioni democratiche’, la Francia, la Gran Bre-tagna e gli Stati Uniti, saranno poi i paesi piùpotenti nei secoli ad avvenire, in quanto sa-ranno i primi paesi che inizieranno la tran-sizione da un sistema feudale ad unocapitalistico.Possiamo quindi affermare che quando si

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le élite si scontrano fra di loro, mentre il po-polo é totalmente escluso dal dibattito poli-tico.Nel 1848 avviene una nuova rottura: in-sieme alla nascita dei primi poli industriali,vincono in quasi tutta Europa le idee repub-blicane e democratiche (e quindi anchequelle élite maggiormente liberali). Inoltre,quello stesso anno Marx scrive ‘Il manifestodel Partito Comunista’: i lavoratori, cioè lastragrande maggioranza del popolo, stavanoiniziando un lento ma inarrestabile processodi organizzazione politica ed entrò così a farparte del dibattito politico anche la sfera so-ciale. E’ in questo clima di cambiamento chenacquero la prima Internazionale dei lavo-ratori e la Comune di Parigi, il primo espe-rimento di autogoverno popolare nellastoria, che nonostante la sua breve vita lasciòuna forte impronta fino allo scoppio dellaprima guerra mondiale. In tutta Europa pre-sero infatti piede movimenti e partiti socia-listi, e in misura minore anarchici, e lademocrazia assunse ben presto una funzionedi contenimento delle masse. Il suffragiouniversale rendeva finalmente anche le

masse partecipi della vita politica. Ma la fac-ciata democratica della società non devetrarre in inganno, e dobbiamo renderciconto che quasi ogni conquista da parte delpopolo fu in realtà una concessione oun’abile manovra di alcune èlite, per portareavanti i propri progetti politici ed econo-mici: ne sono chiari esempi la scuola dimassa obbligatoria, in un momento in cuiera funzionale allo Stato disporre di uominialfabetizzati e capaci di svolgere determinatefunzioni, e il potente uso dei mass media,che entravano nelle case senza dover bussarealla porta. Mentre la possibilità del socialismo invadeval’Europa, in seguito alla Grande Depressionedel 1873, le rivalità imperialiste, la corsa agliarmamenti e le continue tensioni interna-zionali che coinvolsero le élite delle grandipotenze portarono allo scoppio della primaguerra mondiale. Con la crisi del 1929 il ca-pitalismo arrivò a una situazione in cui ne-cessitava di un maggiore intervento delloStato: uno degli svolti fu il New Deal diRoosevelt con il modello keynesiano negliStati Uniti, mentre in Europa si rafforzaronoi regimi totalitari. In ogni caso in quel mo-mento era lo Stato lo strumento di turno.

esso si vedeva inoltre attaccato dall'avanza-mento dell’URSS. Una forte politica socialenon poteva essere più indispensabile che inquel momento: si aprì allora una nuova “gol-den age”, in cui si assistette a uno sviluppoeconomico veramente impetuoso. La tecno-logia aumentava a ritmi sempre più accele-rati e il tenore di vita delle persone con essa,grazie anche alla concessione di nuovi dirittiche rendevano l’apparente libertà indivi-duale sempre più forte e vicina. Apparente,perché tempo trent’anni ed ecco che, neglianni '80, dopo gli anni di fermento, già sicominciava a perdere alcuni di quei diritti:il capitalismo era ormai uscito dalla sua di-mensione nazionale, da tempo si era inne-scato un sistema di dimensione globale, e lademocrazia appariva di nuovo come unabella veste per legittimarsi. Anche fuori daiconfini europei e statunitensi, mentre l’Asiae l’Africa venivano decolonizzate intornoagli anni ’60, in America Latina esplodeva ilfervore rivoluzionario, sotto la sempre piùevidente dipendenza dagli interessi stranieri,soprattutto statunitensi. Ma la parentesi ri-voluzionaria fu chiusa violentemente spessoa suon di colpi di stato, con l'instaurazionedi forti dittature. Come per rimediare a unmomento di debolezza, ecco che chi avevamandato avanti la macchina del mondo finoad allora riprendeva il suo posto e si prepa-rava ad un nuovo passo.

SENSO UNICO c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

-Bet & Jules-

Questo é un emblema di come il capitali-smo si sia storicamente servito della demo-crazia: finché è necessaria e funzionale unapolitica sociale di contenimento, ecco che lademocrazia si fa spazio, quando non lo è piùe le priorità diventano altre, ecco che cadela maschera, più o meno brutalmente. Nel dopoguerra il capitalismo subì un forteindebolimento: dilaniata da due conflittimondiali e dai regimi fascisti e nazisti la so-cietà si avvicinava agli ideali di sinistra ed

Il capitalismo si è storicamenteservito della democrazia: finché ènecessaria e funzionale una poli-tica sociale di contenimento, eccoche la democrazia si fa spazio,quando non lo è più e le prioritàdiventano altre, ecco che cade lamaschera, più o meno brutal-mente.

E', infatti, in questo momento che si svi-luppa e si impone il Neoliberismo, il mo-dello economico che dagli anni ’70 ha avutosempre più peso sulle nostre vite e in nomedel quale stiamo pian piano perdendo moltidei diritti di cui godevamo, in quei tempiche erano di crisi per il capitalismo e di be-nessere per la società.

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Tra l’industria dell’alternativo e quella dell’indigna-zione, alla ricerca di una coscienza critica

Sono tempi bui questi... La crisi avanza, gliaffitti sono cari, il lavoro non si trova, la pen-sione si allontana. Dalle televisioni, dalleradio, dai giornali, la richiesta che i gover-nanti fanno al popolo italiano è una sola,chiara e forte: sacrifici. E così tirare avanti èsempre più dura, siamo sempre più infelici,ma sentiamo che in fondo è giusto: stiamofacendo qualcosa per salvare il nostro paese. Non è automatico e non è elementare, abi-tuati come siamo ad essere bombardati di ri-chieste: lavora, consuma, spendi, rassegnati.Ma, mentre tiriamo avanti la vita che cihanno chiesto di condurre, possiamo co-munque decidere di fare una scelta: prenderecoscienza. Partiamo da questo presupposto:democrazia significa governo del popolo. Laprima cosa da fare è accettare che, volenti onolenti, siamo tutti parte del sistema. Vi-viamo in un capitalismo globalizzato, che ciha illuso di poter scegliere, mettendoci poidavanti una macchina della Fiat e una dellaRenault, una maglietta di H&M e una delmercato, prodotte in Taiwan o chissà dove.Dobbiamo lavorare, e non abbiamo il tempodi costruirci una casa, di cucirci gli abiti e dicoltivare un orto: siamo costretti a selezio-nare i prodotti più adatti a noi in un cata-logo creato da altri. Prendere coscienzasignifica imparare ad essere critici. Ogni ar-ticolo nel ventaglio che ci è proposto portain seno delle contraddizioni: verosimilmenteporta il marchio di una multinazionale o diuna sua sottomarca, quasi sicuramente qual-cuno, da qualche parte del mondo, è statosfruttato per produrlo e, con ogni probabi-lità, l’azienda che l’ha messo sul mercato fi-nanzia commerci di armi o guerre civili. Ciòche noi possiamo fare è cercare di indivi-duare le contraddizioni nelle scelte che fac-ciamo, e, di conseguenza, provare a rispettareil più possibile la nostra integrità personale,morale e politica. Il morbo più grande che va ad infettare lanostra coscienza è l’autoassoluzione. È facile cadere nella sua trappola: ci rendetutto molto più semplice. È arrivata a per-meare ogni aspetto della società odierna, di-ventando il leitmotiv delle nostre vite.Quanto è facile sentirci bene con noi stessi

quando condividiamo un link “politico” suFacebook, ci compriamo un paio di panta-loni per 150� che fanno molto squatter, in-filiamo 5� nel barattolo di Emergency eandiamo alle feste nei centri sociali. Quanto è facile sentirci politicizzati quandoscriviamo ACAB sulle porte dei bagni. Pa-radossalmente, l’”industria dell’alternativo”è alimentata da una larga parte di personeche hanno, sì, uno stimolo ad impegnarsi,ma preferiscono farlo nell’apparenza chenon nella sostanza. Così si può dormiresonni tranquilli, perché pur non mettendosiin gioco quotidianamente si è comunqueconsiderati parte di quell’area “antisistema”. Stessa cosa vale per la maggior parte deimeccanismi a cui siamo abituati: dalla de-lega, ingranaggio primario di questo si-stema, che ci porta a proiettare suqualcun’altro i doveri che abbiamo nei con-fronti della società, fino alla scelta del menopeggio, perché qualcuno bisogna pur votare,e d’altronde i sogni appartengono ai giovani,che ancora, fintanto non dovranno iniziarea mantenersi, se li possono permettere. C'è chi si autoassolve così, dando fiducia aipaladini dell’industria dell’indignazione, aivari Grillo, Travaglio, Saviano, Santoro, le fi-gure che negli ultimi anni più ci hanno aiu-tato nel recitare il nostro quotidianocopione di “gente di sinistra”. Ciecamenteapplauditi anche quando si definiscono “uo-mini di destra”; idolatrati fino a diventare in-

toccabili mentre denunciano la corruzione,le mafie, la decadenza della democrazia, per-ché fa comodo sentirsi dire che se la societàin cui viviamo è questa la responsabilità nonè nostra, ma della “Casta”. La verità è che lasemplice indignazione porta a deresponsa-bilizzarsi, a convincersi che non ci si debbamettere in gioco per cambiare le cose.

S o c i e t à & C u l t u r a

La Belleza Es Tu Cabeza18

- Marlene-

Ciò che dobbiamo fare è prendere co-scienza. È nostro dovere, soprattutto se ci de-finiamo “democratici”, premere perché ilgoverno sia davvero del popolo, perché lepersone abbiano un peso nella collettività.Dobbiamo essere critici, in ogni contesto. Sideve cercare di essere sempre coerenti connoi stessi e con i nostri ideali. Altrimenti,altro non rimane da fare che guardarci allospecchio, e renderci conto che se viviamo inuna società ingiusta, priva di uguaglianza esolidarietà, è ora di smetterla con l’incolparequalcun’altro: la colpa è solo nostra.

Ma, mentre tiriamo avanti la vitache ci hanno chiesto di condurre,possiamo comunque decidere difare una scelta: prendere co-scienza.

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Non vi sentite anche voi più leggeri? Final-mente sollevati? Non eravate anche voi stufidi quei dogmi ideologici che appesantivanole nostre coscienze e che proponevano undelirante mondo utopistico? Adesso final-mente possiamo dire di essere liberi di rag-giungere il successo, di arrampicarci fino alloscalino più alto della gerarchia sociale; adessola nostra vita è più semplice, non è più unaquestione di ingiustizia o disuguaglianza,adesso finalmente è una questione di merito.Siamo liberi di avere i nostri conti in banca,di prevalere sui nostri fratelli, perché qualesarebbe la nostra colpa? Quella di essere piùmeritevoli degli altri? In una società dove siproclama la morte delle ideologie, i fautoridel pensiero unico che parlano attraverso leistituzioni, la scuola e i suoi innumerevoliopinionisti televisivi, stanno cercando difarci credere che quello di cui abbiamo bi-sogno non è una società dove si abbattonole differenze di classe, ma dove queste tro-vino una giustificazione plausibile. Qualepuò essere la risposta migliore se non un cri-terio che si spaccia per dispensatore di pariopportunità, come un metro giusto e infal-libile quale il merito? Ci stanno lentamentee silenziosamente indottrinando con dogmiche loro potranno anche definire “laici” mache in realtà fanno tutti parte di quella bib-bia moderna che regola il buon funziona-mento del nostro sistema capitalista.

un peso che non è il nostro ma che è insitoin questo sistema: non potendo avere tuttiallo stesso modo ci viene detto che la colpanon è loro ma nostra, perché non siamo ab-bastanza intelligenti, motivati, competitivi,abbastanza MERITEVOLI. Il meccanismocosì premia solo chi è più funzionale allosviluppo e alla crescita del sistema stesso, se-lezionandolo accuratamente tra coloro chequesto lo accettano e lo assimilano. Fin daquando siamo piccoli, ci viene chiesto di es-sere migliori degli altri, attraverso un sistemaeducativo basato interamente sull’individua-lismo e la competitività, proiettati fin dal-l’infanzia in quel mondo economico che cipresenta davanti una guerra tra miseri peraccaparrarsi quel poco che il sistema con-cede: il nostro pezzo di “sogno americano”.E se non riusciamo? Se non siamo all’altezzadel nostro compito? Se non siamo abba-stanza meritevoli? Quello che ci aspetta èsolitudine ed emarginazione, in una societàdove non sappiamo più trovare il valore dellacollettività e della solidarietà, dove per co-loro che soffrono sotto il peso della frustra-zione e del fallimento qualcuno ha giàpronta una pillola della felicità a buon mer-cato. Concorrenza e meritocrazia sono arminon nostre. Non saremo mai dei vincenti,

perché vincenti non si è mai da soli: l'indi-vidualismo, l'egoismo, la competizione sonole leggi di un uomo schiavo, di colui chepassivamente accetta i diktat morali di que-sta élite economica. E quando crederemo diessere “arrivati” e ci guarderemo indietrosenza vedere nessuno, ci renderemo contoche non abbiamo vinto ma ci siamo sempli-cemente fatti comprare, passivamente ac-cettando l'idea che non possiamo avere tuttiallo stesso modo ma che è necessario che lasocietà si divida in coloro che meritano diavere e coloro che non lo meritano.Le nostre armi invece dovrebbero esserealtre, ritrovando quei sentimenti di solida-rietà e fratellanza che ci rendono donne euomini liberi, riappropriandoci di una so-cietà dove il merito e il valore dell’individuotrovi soddisfazione nel mettersi a disposi-zione di tutti e facendo crescere insieme ase anche la collettività di cui fa parte. Dob-biamo cominciare rifiutando quelle catenelaiche che ci costringono a guardarci tra noicome nemici, come temibili concorrenti,mentre in alto banchettano ridendo alla vistadel circo degli ultimi che lotta per gli avanzi.

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

-Frida-

Stanno cercando di farci credereche quello di cui abbiamo bisognonon è una società dove si abbat-tono le differenze di classe, madove queste trovino una giustifi-cazione plausibile.

Il dio merito e l’immacolata concorrenza

La concorrenza, la meritocrazia, non sonoaltro che parte di un nuovo complesso ideo-logico, creato ad arte per mantenere lo statusquo di un mondo intrinsecamente ingiusto.In una società che fonda il proprio sistemaeconomico sulle disuguaglianze e lo sfrut-tamento com’è possibile parlare di giustiziae meritocrazia? Ci viene caricato addosso

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Fin da bambini, grazie ai sorrisi amorevolidella mamma, impariamo cosa è giusto,mentre a impedirci di ripetere azioni sba-gliate arrivano i rimproveri paterni. Uscitidi casa è la maestra che ci insegna a convi-vere con gli altri bambini: è necessario co-noscere e rispettare nuove regole per fare ilnostro ingresso nella società. Una volta in-teriorizzate le norme della "società civile"siamo pronti per diventare perfetti cittadini:sappiamo quali sono i nostri diritti, i doverie i divieti, cosa è giusto e cosa è sbagliato,cosa è legale e cosa è illegale. E questi dueconcetti, legalità e giustizia, li consideriamocoincidenti, interscambiabili. Con la stessafede con cui il credente si attiene alle leggidivine, il cittadino della democrazia occi-dentale si conforma alle leggi del suo paese,proposte da un governo o un parlamentodemocraticamente eletti e approvate dallamaggioranza parlamentare: in una parola,giuste.

Ma basta un occhio più critico per notarele differenze e le contraddizioni tra i dueconcetti: così i liberi cittadini europei pos-sono non solo circolare, ma anche stabilirsi,lavorare o sposarsi nei paesi dell’Unione,mentre chi attraversa il Mediterraneo percercare di oltrepassare le sue mura, cadenell’illegalità nel momento stesso in cuimette piede sul suolo europeo; condan-niamo la prostituzione, mentre siamo bom-bardati da immagini di donne che vendonoil loro corpo in cambio di soldi e prestigio;perseguiamo i venditori ambulanti mentrefavoriamo il mercato (legale) delle multina-

un testo di legge, attraverso un referendum.Se si considera poi il costo delle campagneelettorali, risulta evidente come l’accesso allapolitica sia possibile solo alla classe abbientee come la stessa gara tra candidati non siatanto politica, quanto economica.Un altro difetto insito nella democrazia ve-niva notato persino da uno dei maggiori so-stenitori della democrazia liberale,Tocqueville, nel 1835 “Non vi è un monarcatanto assoluto che possa riunire nelle suemani tutte le forze della società e vincere leresistenze, come può farlo una maggioranzainvestita del diritto di fare le leggi e di met-terle in esecuzione. […] Inoltre, un re ha sol-tanto un potere materiale, che agisce sulleazioni ma che non può toccare le volontà,mentre la maggioranza è dotata di una forza,insieme materiale e morale, che agisce sullevolontà come sulle azioni e che annienta neltempo stesso l’azione e il desiderio diazione.” Si tratta del cosiddetto dispotismodella maggioranza, un rischio insito nellademocrazia rappresentativa o in qualsiasi si-stema decisionale basato sulla maggioranza.Esso porta, da una parte, alla mancanza ditutela delle minoranze, così come dell'indi-viduo, del singolo caso; dall'altra, favorisce lanecessità, da parte degli individui, di identi-ficarsi nel gruppo vincente, maggioritario, e

S o c i e t à & C u l t u r a

Condannati alla 20

Come la classe dominante ci educa alla legalità

“La devianza è negli occhi di chiguarda” e chi guarda, punta ildito, etichetta, è una maggio-ranza, politica e culturale, creataed educata ad hoc per riprodurrequesto sistema economico-poli-tico-sociale

zionali, che sfruttano territori e manodoperanei paesi del terzo mondo.E se per caso qualche sincero sostenitoredella giustizia e della democrazia si imbattein qualche discrasia tra legalità e giustizia,trova una legge ingiusta, piuttosto che con-siderare l’intero sistema di leggi e normecome necessario alla riproduzione di questosistema economico e sociale, basato sul pro-fitto, sulla concorrenza, sul merito, sullamaggioranza, tende invece a puntare il ditocontro un determinato governo, o partito. Equi si palesa la prima falla dell’impalcaturademocratica: la delega. Malgrado i governidi gran parte dei paesi del mondo venganodefiniti con il termine democrazia (poteredel popolo), il popolo nei fatti esercita ununico, limitato e limitante potere, quello divoto. Una volta messa quella crocetta checonsente a qualche candidato di ottenere iltanto desiderato seggio in Parlamento, questiavrà il reale potere di governare senza vin-colo di mandato, ovvero senza dover tenereconto delle richieste degli elettori e tanto-meno delle promesse fatte per ottenere lapoltrona. Il popolo, invece, soddisfatto diquesta ridicola “partecipazione” politica,sprofonderà nella poltrona di casa fino allaprossima tornata elettorale, a meno che nonsia chiamato a cambiare qualche virgola di

Page 21: CortocircuitO n°7 - LIBERA DEMOCRAZIA IN LIBERO MERCATO

di omologarsi, culturalmente e politica-mente, per avere la certezza di essere accet-tati e di raggiungere i propri obiettivi. Inquesto modo, l’opposizione al pensiero vin-cente non solo non è possibile, ma nonviene nemmeno pensata. Il concetto dimaggioranza, quindi, garantisce l’accetta-zione della legalità nel caso in cui questa sidiscosti dal sentimento di giustizia.Malgrado le contraddizioni palesi di un si-stema che continuiamo a definire “poteredel popolo”, il sistema democratico- rappre-sentativo continua ad essere considerato ilmigliore possibile. Questo perché più cheun sistema è un’ideologia, l’ideologia che èrisultata vincente poiché funzionale allaclasse dominante. E in quanto tale essa habisogno di riprodursi e di auto-approvarsicontinuamente. A svolgere questo compitoci sono gli Apparati Ideologici di Stato: lafamiglia, la scuola, la chiesa e i media. Gliapparati ideologici svolgono la doppia fun-zione di propagazione e conservazione dellenorme sociali e delle leggi di uno Stato e dicreazione del retroterra culturale affinchécerte norme e leggi possano essere appro-vate, con la certezza che trovino consensotra la popolazione. Così, in Italia, si diffonde

la paura dell’immigrato, si sbattono i volti distupratori, di “mostri” stranieri, in televi-sione e sui giornali, per poi realizzare leggipersecutorie anti-clandestino e costruireC.I.E., senza che gli italiani si scandalizzino.La funzione di questi apparati è fondamen-tale, in quanto hanno il potere di renderecondivisibile e far proprio un sistema dileggi, che altrimenti rimarrebbe sconosciutoe autoreferenziale.Ma come ogni sistema di norme, anchequello democratico ha le sue anomalie, lesue devianze, che vanno soppresse, emargi-nate e usate come esempio da non seguire.E qui entra in gioco un altro strumentodella legalità: gli Apparati Repressivi di Stato.Anche questi hanno un duplice ruolo:quello di dissuadere dal deviare e di punirela devianza. Essi, infatti, con la loro stessa esi-stenza fungono da deterrente per eventualiatti definiti illegali, mentre, quando puni-scono, contribuiscono a creare l’identikit deldeviante, a fornire l’esempio da non seguire.Entrambi questi apparati adottano un si-stema educativo antico, quello basato sulpremio e sulla punizione. Così ci educano,premiandoci prima con sorrisi o lecca-leccain famiglia, poi con l’accettazione, il presti-

gio, la ricchezza, il successo nella società,mentre chi devia deve scontare punizioni,morali e fisiche, come il voto di condotta, labocciatura, l’esclusione, l’umiliazione, lagogna sociale, il manganello e le sbarre.Ma chi definisce l’illegalità e la devianza?“La devianza è negli occhi di chi guarda” echi guarda, punta il dito, etichetta, è unamaggioranza, politica e culturale, creata ededucata ad hoc per riprodurre questo si-stema economico-politico-sociale. È evi-dente che la legalità non è un valore, ma unaforma, un principio vuoto che fa riferi-mento al sistema di leggi in cui viene adot-tato. Esso cambia, nel corso della storia e congli spostamenti geografici, ma soprattuttoesprime le esigenze politiche e culturali dicoloro che stabiliscono il sistema di leggi, indue parole, la classe dominante. Chiediamociquindi se la loro legalità potrà mai coinci-dere con i nostri diritti e le nostre necessità,con il nostro sentimento di giustizia, con lagiustizia sociale.Ricordiamoci che le più importanti conqui-ste sociali sono frutto dell’illegalità, pensatenella clandestinità e ottenute con praticheillegali. Si pensi ai primi scioperi e manife-stazioni, inizialmente considerati dei reati,puniti con licenziamenti in blocco e spessorepressi nel sangue, prima di diventare un di-ritto dei lavoratori e una pratica di lottacondivisa e riconosciuta (e ora minata dallenuove politiche neoliberiste).Comprendiamo, allora, che non esiste via le-gale per uscire da un sistema che necessitadi questo concetto per riprodursi e che nedefinisce il significato.

legalitàc o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :

-Ines-

>> Althusser L., Ideologia e appa-rati ideologici di Stato>> A. de Tocqueville, La democra-zia in America

Page 22: CortocircuitO n°7 - LIBERA DEMOCRAZIA IN LIBERO MERCATO

Si tratta di eventi diffusi, quotidiani, resi in-

visibili dai soliti col consenso di tutti. Par-

liamo degli episodi di razzismo che

giornalmente scuotono i nostri quartieri, le

nostre città; inosservati nella maggior parte

dei casi, scatenano il putiferio mediatico

quando si va oltre la semplice discrimina-

zione, sfociando in vera e propria persecu-

zione. Lampante il caso fiorentino. La

mattina del 13 dicembre tanti immigrati,

come ogni giorno, aprono il mercato di

piazza Dalmazia, senza minimamente imma-

ginare cosa sarebbe successo di lì a poco.

Gianluca Casseri, esponente e “ideologo”

della sede pistoiese di Casapound, organiz-

zazione neofascista, entra nel mercato e apre

il fuoco con lo scopo preciso di fare strage

di “immondizia negra”, come lui stesso la

definiva. Non soddisfatto dell’opera, sale in

macchina e si reca al mercato di S. Lorenzo

per continuare la pulizia etnica. Resosi

conto di non aver più scampo, si suicida con

un colpo alla gola. Bilancio della mattinata

2 morti e 3 feriti, tutti senegalesi.

Niente di nuovo per la "cronaca nera",

come spesso vengono etichettati questo tipo

di crimini. L’episodio di Firenze, infatti, cade

pochi giorni dopo l’incendio del campo

rom a Torino e precede di neanche una set-

timana l’aggressione a Verona da parte di un

gruppo di “coraggiosi” naziskin contro un

13enne cingalese. Follia, estremismo, malat-

tia mentale, sono queste le giustificazioni

che vengono balbettate dai media a difesa di

una oscenità che ha le proprie cause in un

ben diverso contesto, quello del razzismo

permeato da parte dei governi nella società,

dei poteri forti e, di conseguenza, dai media

stessi. Dell'assassino Casseri si cerca di dire

le stesse cose, negando palesi collusioni e i

plausi avvenuti sul web dal mondo del-

l'estrema destra italiana.

I fatti di Firenze, Torino e Verona non sono

quindi riconducibili alla sola follia, ma sono

parte integrante di un sistema che tollera i

fascisti, legittimando organizzazioni come

CasaPound, a cui concede spazi e anche pol-

trone nelle istituzioni.

Qui l’ipocrisia si spreca: abbiamo assistito

alle giravolte e alle sfilate di politicanti che

si contorcevano e versavano lacrime di coc-

codrillo per i fatti di Firenze, chiedendo a

gran voce interventi di tutto il panorama

istituzionale, dallo sceriffo Renzi a Nonno

Napolitano, passando per segreterie di par-

tito fino ai sindacati, con la speranza di una

redenzione globale dalla pazzia accidentale

F i r e n z e

“L’Uomo Nero”

22

Riflessioni su xenofo-

bia e razzismo nella

società italiana

Follia, estremismo, malattiamentale, sono queste le giu-stificazioni che vengonobalbettate dai media a di-fesa di una oscenità che hale proprie cause in un ben di-verso contesto, quello delrazzismo

e sporadica. Si dimentica troppo spesso, in-

vece, che i fautori effettivi del razzismo dif-

fuso e capillare che infetta la società e le

strade sono proprio questi loschi individui

che piangono i fratelli senegalesi, gli stessi

delle politiche securitarie e razziste, dei vari

pacchetti sicurezza e del reato di immigra-

zione clandestina.

In primis il tanto acclamato Napolitano, che

nel 1998 si fa portatore e firmatario della

celeberrima legge Turco-Napolitano, che

concepisce le strutture detentive conosciute

oggi come CIE per rinchiudere tutti gli

stranieri sottoposti a provvedimenti di

espulsione. Poco più tardi, nel 2002, durante

il secondo governo Berlusconi viene varata

la legge Bossi-Fini, che autorizza i respingi-

menti in mare, non concedendo di fatto

l’accesso alle procedure di richiesta asilo ai

migranti. Il governo si rende così colpevole

di atroci stragi nel Mar Mediterraneo, che

vedono migliaia di migranti affogati alla ri-

cerca di una vita dignitosa.

Ma il corso di questa vergogna continua: nel

Page 23: CortocircuitO n°7 - LIBERA DEMOCRAZIA IN LIBERO MERCATO

2008 il cosiddetto Pacchetto Sicurezza san-

cisce l’aumento del periodo massimo di de-

tenzione nei CIE a 18mesi, non

concedendo inoltre in alcun modo il per-

messo di soggiorno a chi non ha un lavoro

regolare.

Quindi poca speranza rimane a chi, per bi-

sogno, fame o persecuzione, decide di la-

sciare il proprio paese per un futuro

migliore: lo scenario che gli si prospetta da-

vanti è agghiacciante. Dopo aver pagato un

qualche ricco scafista, e nel caso fortuito che

si riesca a sbarcare sulla terra ferma, l’unica

speranza rimane la schiavitù nei campi della

’ndrangheta, in qualche impalcatura mal

montata o a lavare vetri per pochi spiccioli

al giorno, senza un minimo di speranza per

una casa o di una qualsiasi progettualità fu-

tura.

tensioni sociali aumentano, il migrante può

facilmente divenire il canale di sfogo per chi,

come loro, paga le conseguenza delle re-

centi, durissime, politiche di austerity. Ap-

pare lampante che da questo conflitto

sociale, scatenato dalla cultura xenofoba do-

minante e dalle leggi razziste, gli unici a gio-

varsene sono coloro che davvero “ci rubano

il lavoro”, i vari Marchionne e Marcegaglia,

gli imprenditori affaristi e il padronato in

generale.

Nonostante questo desolante scenario ab-

biamo potuto vedere che qualcosa si sta

muovendo all’interno delle comunità mi-

granti, delle realtà cittadine.

In seguito ai fatti di Firenze, un corteo di

ventimila persone si snoda per la città. Un

corteo antirazzista, che non si preclude però,

come ogni evento mediatico che si rispetti,

di diventare subito passerella per volti della

politica italiana, da Renzi a Rossi, da Bersani

a Vendola, antirazzisti ai microfoni e sciovi-

nisti dietro la scrivania, schierandosi in

prima linea a sostegno della costruzione di

un CIE in Toscana e fieri difensori della li-

bera espressione, dai proclami fascisti di Ca-

sapound, fino al loro appoggio in diverse

manifestazioni di cui questi ultimi si fanno

organizzatori a delinquere. La grandissima

partecipazione cittadina al corteo del 17 Di-

cembre evidenzia una generale indignazione

per i fatti accaduti. Ma allo stesso tempo

deve far riflettere. Dovevamo arrivare a una

simile tragedia per sprigionare questo innato

sentimento antirazzista in ognuno di noi? O

semplicemente la morte di questi due poveri

ragazzi senegalesi ha fatto riflettere, ha inne-

scato un diffuso esame di coscienza, ci ha

fatto sentire in colpa e forse, per un mo-

mento, tutti abbiamo pensato di vivere in

una città razzista, un paese razzista, una so-

cietà razzista? E' forse sembrato doveroso

rendere omaggio alle comunità straniere,

magari consapevoli di averle discriminate

fino al giorno prima, quando cambiavi

strada alla vista di un venditore ambulante o

di un senzatetto, per paura di qualche ac-

cento straniero. Dovevamo insomma ripu-

lirci un po’ la coscienza, sentirsi in fondo un

po’ meno xenofobi. E domani? Cosa faremo

domani? Tutto come prima, ci siamo con-

fessati, possiamo ricominciare a peccare. Per

essere antirazzisti non basta tenere la ban-

diera senegalese come immagine profilo su

un qualsiasi social network per una setti-

mana, dobbiamo svincolarci totalmente dalle

banalizzazioni, a partire dal linguaggio, dal

comportamento quotidiano, che spesso –

anche inconsciamente- riproducono stereo-

tipi razzisti. Dobbiamo rilanciare una ferma

e concreta lotta, senza ridurla a mera solida-

rietà o autoassoluzione.

Lottare contro il razzismo significa eviden-

ziare con rigore e quotidianità questo si-

stema di disuguaglianze e sfruttamento,

significa ripensare e diffondere una cultura

diversa, che abbia come caposaldo l’effettiva

e non apparente uguaglianza di tutti gli uo-

mini. Sono queste le basi necessarie a supe-

rare il razzismo, espressione manifesta di un

sistema verticistico, gerarchico, basato su

sfruttamento e subordinazione di un essere

a un altro.

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

-Entropy & Zirkuitu Laburra-

>> www.infoaut.org

>> www.senzasoste.it

>> www.informa-azione.info

>> www.uninomade.org

Fonti :

Oltre 15 anni di politichedell’odio hanno arginato lapossibilità per gli stranieri diuna qualsiasi reale integra-zione sociale

Oltre 15 anni di politiche dell’odio hanno

arginato la possibilità per gli stranieri di una

qualsiasi reale integrazione sociale; si é ve-

nuta a creare una vera e propria “categoria

degli immigrati”, una nuova classe lavora-

trice estremamente marginalizzata e sfrutta-

bile.

Il flusso di migranti, quindi, più che essere

contrastato, viene in qualche modo “tute-

lato” affinché chi vive dello sfruttamento e

della disgrazia di certi popoli, possa conti-

nuare sulla propria strada, ricattando sia le-

galmente che fisicamente questa nuova

grande forza lavoro costretta ai margini della

società.

Tutto questo viene condito da luoghi co-

muni mal assortiti, propri di una società be-

cera e approssimativa; il migrante come

“colui che ci ruba il lavoro” diventa idea dif-

fusa, contribuendo a mantenere in vita quel

sano razzismo che permette ai veri interes-

sati di fomentare la guerra fra poveri. Spe-

cialmente di questi tempi di crisi, in cui le

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