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LIBERA UNIVERSITA’ POPOLARE – REGGIO EMILIA Il governo locale fra crisi e austerità Carlo Baccetti Università di Firenze 3 marzo 2014 Forme e strumenti di democrazia partecipativa nel governo locale

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LIBERA UNIVERSITA’ POPOLARE – REGGIO EMILIA

Il governo locale fra crisi e austerità Carlo Baccetti – Università di Firenze

3 marzo 2014

Forme e strumenti di democrazia partecipativa nel governo locale

Anni Novanta: la “rivoluzione partecipativa” (I)

• Le nuove forme di governance che caratterizzano la politica locale dagli anni Novanta e, in particolare, la diffusione di uno stile decisionale basato sulla negoziazione e sul ricorso a pratiche pattizie si incontrano sempre più spesso con una spinta parallela alla partecipazione che proviene dal basso.

• Una spinta presente specialmente nelle maggiori città ma tutt’altro che assente anche in molti centri più piccoli. I promotori sono movimenti e comitati che si aggregano di solito intorno a obiettivi e tematiche di carattere politico generale (pace tra le nazioni, tutela dell’ambiente, limitazione degli effetti perversi della globalizzazione economica…) ma che rapidamente mettono al centro dell’agenda tematiche specificamente legate a questioni territoriali e locali. Su queste tematiche essi si mobilitano ed assumono come interlocutore/controparte i governi municipali, stimolando l’attivazione di nuove modalità di decision making basate su processi deliberativi di tipo inclusivo.

Anni Novanta: la “rivoluzione partecipativa” (II)

• Negli anni Novanta si è assistito al diffondersi di quella che è stata definita una «rivoluzione partecipativa», una nuova consapevolezza maturata nei cittadini di essere individualmente produttori di territorio e di conoscenza e di avere diritto come tali ad essere ascoltati e a prendere parte attivamente alle decisioni che investono la qualità della vita della comunità locale.

• La «rete della partecipazione» che è venuta costituendosi sul territorio è molto composita, raccoglie associazioni ambientaliste (come WWF e Legambiente), laboratori universitari, associazioni professionali – come quella degli urbanisti (INU) che ha fondato un settore specifico dedicato all’urbanistica partecipata – e decine di gruppi, associazioni e cooperative sociali impegnate nella facilitazione di processi partecipativi, nella gestione di conflitti ambientali e nell’animazione di progetti partecipati.

I precedenti: il decentramento comunale degli anni Settanta (I)

•Quello degli anni Novanta è un fenomeno qualitativamente e quantitativamente nuovo, segno di una trasformazione generale dei rapporti tra società e politica e di una crisi generale del sistema politico e dei meccanismi “tradizionali “ della

rappresentanza. •Un “precedente” interessante di allargamento degli spazi di partecipazione a livello locale furono, tra gli anni Sessanta e Settanta, i consigli di circoscrizione. • Negli anni Settanta è accaduto anche che i Comuni sono stati investiti, dal basso, dalla spinta dei movimenti esplosi alla fine del decennio precedente, dalle rivendicazioni dei comitati spontanei che chiedevano un allargamento degli spazi di partecipazione democratica. • Nacquero così, come ambito di istituzionalizzazione di questa spinta verso forme di democrazia partecipativa, i consigli di circoscrizione (denominati anche municipi, consigli di quartiere o consigli di zona).

• Si può ricordare che provvedimenti in favore del decentramento comunale erano stati previsti già nella legge sull’ordinamento comunale e provinciale del 1915, motivati dalla necessità di fornire strumenti amministrativi più adeguati al governo delle maggiori città.

I precedenti: il decentramento comunale degli anni Settanta (II)

• Questa prima legislazione sul decentramento non fu utilizzata fino agli anni Sessanta. Essa fu applicata per la prima volta a Bologna, nel 1964, a cui seguirono poi altre grandi città: Roma (1966), Catania (1967), Milano e Napoli (1968), Genova (1969). Tra le prime e più importanti esperienze di decentramento amministrativo, che raccoglievano le sollecitazioni dei movimenti ad istituire spazi di democrazia partecipativa, erano stati i consigli di zona, istituiti nel 1968 (e insediati nel 1969) a Milano come prima risposta all’intensa conflittualità urbana di quegli anni in numero di 20.

• I consigli trovavano un loro ruolo non certo nel potere effettivo che esercitavano, quanto nel porsi come filtro ma anche come amplificatore per le domande rivolte al Comune dai movimenti urbani di protesta: nuovi servizi, ampliamento di quelli esistenti, con particolare attenzione alle fasce politicamente deboli della popolazione e, in generale, maggiore attenzione per i bisogni di tipo espressivo ed i valori «postmaterialistici».

I precedenti: il decentramento comunale degli anni Settanta (III)

• Dopo qualche anno i consigli furono disciplinati da una legge statale (278/1976) che accoglieva nell’ordinamento un fenomeno nato spontaneamente soprattutto (ma non solo) nelle città di maggiori dimensioni e introduceva l’elezione diretta. Con la legge del 1976 i consigli furono formalizzati come organi collegiali ed erano previsti, ma non obbligatori, solo per i Comuni con più di 40.000 abitanti che si fossero dotati di un apposito regolamento.

• L’elezione degli organi circoscrizionali avveniva contestualmente a quella del consiglio comunale. Era questa una condizione che di per sé favoriva i partiti più noti e strutturati, presenti nelle assemblee comunali, e rendeva difficile la nascita di liste locali «di movimento», alternative o comunque diverse dai partiti storici. Peraltro, i poteri effettivi dei consigli circoscrizionali erano molto limitati, sul piano delle competenze e della capacità decisionale come delle disponibilità finanziarie.

I precedenti: il decentramento comunale degli anni Settanta (IV)

• Il decentramento infracomunale era stato salutato come una possibilità di rinnovamento istituzionale e di rivitalizzazione della classe politica (come già era avvenuto con le Regioni, nel 1970). Ma proprio come era accaduto con le Regioni, «nella realtà dei “parlamentini” di quartiere, gli effetti di ritorno hanno segnato piuttosto una progressiva “ricentralizzazione” della politica».

• Rimasero delusi quanti avevano visto nel quartiere «un potenziale di rinnovamento anche della politica dei partiti», un luogo della politica locale dove si sarebbero potuto ridefinire le direttive del centro, portando i partiti «fuori» dalle sezioni, con una «quartierizzazione del livello di base dei partiti di massa». È accaduto invece che siano stati i partiti a «metabolizzare i fermenti della democrazia urbana» e ad inserirsi «negli spazi “prepolitici” dei consigli di quartiere, producendo fra l’altro […] un nuovo ceto di professionisti della politica» (De Mucci).

Politiche locali e democrazia partecipativa (I)

• Dal composito mondo della partecipazione proviene ormai una costante sollecitazione verso i governi locali a istituzionalizzare e diffondere l’uso di strumenti di «democrazia partecipativa», intesa come pratica ordinaria di governo in tutti i settori e a tutti i livelli dell’amministrazione locale.

• Per concretizzare questo obiettivo i Comuni vengono sollecitati a cambiamenti mirati ad attivare strumenti di ascolto e di valorizzazione delle espressioni di cittadinanza attiva e dei saperi diffusi (expertises); valorizzando le capacità progettuali nascoste nelle pieghe di settori sociali spesso conflittuali verso le istituzioni ma anche creativi e innovativi.

• A questo scopo è necessario, da una parte, attivare nuovi strumenti di ascolto e di dialogo con i gruppi e le associazioni che si mobilitano autonomamente in azioni di protesta; dall’altra è necessario inventare nuove norme e nuovi modi di operare degli organi istituzionali e dell’apparato amministrativo del Comune. Norme e strumenti tali da mettere in grado la macchina comunale di rendere operative le decisioni che scaturiscono dai processi partecipativi.

Politiche locali e democrazia partecipativa (II)

• Scarto fra l’impegno diffuso della società civile in forme di cittadinanza attiva e gli esiti operativi dei processi partecipativi nelle politiche pubbliche nei diversi campi di trasformazione della città e del territorio, delle politiche ambientali ecc.

• In questa direzione spinge, del resto, anche la normativa vigente sulle autonomie locali: il TUEL 267/2000 sollecita i Comuni ad utilizzare la flessibilità organizzativa consentita dall’autonomia statuaria per valorizzare «le libere forme associative» e promuovere «organismi di partecipazione popolare all’amministrazione locale».

• Inoltre, negli statuti comunali devono essere previste «forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte dei cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi», garantendone un «tempestivo esame» (art. 13).

Politiche locali e democrazia partecipativa (III)

• Il ricorso a processi partecipativi di tipo inclusivo è praticato sovente quando i Comuni si trovano di fronte alla necessità di gestire dei conflitti o di prevenire opposizioni da parte di interessi organizzati e gruppi sociali, verso decisioni che devono essere prese.

• In queste circostanze le istituzioni, invece di mettere le parti sociali di fronte al fatto compiuto, possono trovare più conveniente chiamarle a cooperare per cercare una soluzione condivisa. Gli esempi più frequenti di situazioni in cui i politici ricorrono a strategie di tipo inclusivo e aprono una discussione pubblica nelle comunità interessate riguardano decisioni in merito alla localizzazione delle discariche e gli impianti per il trattamento dei rifiuti.

• La pratica della consultazione e del confronto tra amministrazioni comunali e cittadini singoli o organizzati nella messa a punto di una serie di politiche pubbliche, utilizzando forme di democrazia partecipativa più aperte ed inclusive (quali assemblee, referendum consultivi, sondaggi d’opinione, forum telematici, ecc.) è piuttosto diffusa, quantomeno in alcune aree del paese, come mostrano i risultati di varie ricerche.

L’Unione Europea promuove progetti di sviluppo locale

• La promozione di progetti di sviluppo locale attraverso politiche cooperative e concertative tra tutti gli attori territoriali risponde, del resto, alle linee di indirizzo tracciate dall’Unione europea che allo scopo ha messo a punto e finanziato molteplici strumenti di policy.

• Sulla spinta di programmi promossi in ambito comunitario europeo, come ad esempio il programma Urban e allo scopo di poter disporre dei relativi finanziamenti, si va diffondendo a livello comunale la sottoscrizione di patti territoriali che hanno per oggetto il recupero urbanistico, edilizio e abitativo di quartieri o aree cittadine particolarmente degradate o in fase di trasformazione. Questi programmi «incoraggiano fortemente la gestione concertata – o almeno partecipata e “comunicata” – di piani di recupero urbano», attraverso la formula dei «contratti di quartiere, una sorta di programmazione negoziata a livello micro» (Pichierri). La gestione dei piani di recupero vede il coinvolgimento anche di comitati di cittadini e associazioni di base attivi nelle aree urbane interessate dai «contratti». Il recupero urbano è uno degli ambiti di policy in cui più frequentemente si concretizzano esperienze di democrazia partecipativa.

• Nella seconda metà degli anni Novanta hanno cominciato diffondersi progetti di riqualificazione urbana che perseguono l’obiettivo di uno sviluppo concertato sul piano locale tra Comune, attori economici e cittadini, volti a recuperare non solo in termini urbanistici ma anche sul piano sociale i quartieri più carenti di servizi, di abitazioni e, appunto, di coesione sociale.

Il bilancio partecipativo (I)

• Un altro interessante strumento di democrazia partecipativa che mira ad un coinvolgimento più attivo dei cittadini nel processo decisionale è dato dal «bilancio partecipativo». Si tratta di un’esperienza di democrazia diretta locale che va oltre la normale prassi di consultare i cittadini, già prevista in sede di stesura di bilancio da molti Comuni.

• Il bilancio partecipativo è stato sperimentato per la prima volta negli anni Novanta nella municipalità di Porto Alegre, in Brasile e da qui esportato e fatto proprio da centinaia di enti locali un po’ in tutto il mondo, tanto che sono nate reti internazionali tra le città per unire queste esperienze e per allargarle.

• In sostanza il bilancio partecipativo è una pratica di democrazia diretta mediante la quale i cittadini, partecipando ad apposte assemblee decentrate sul territorio comunale, possono decidere, in costante dialogo con gli amministratori, come utilizzare una parte del bilancio comunale, possono indicare le linee di sviluppo delle politiche locali e scegliere alcune priorità in materia di servizi pubblici, lavori pubblici ed investimenti strutturali.

Il bilancio partecipativo (II)

• La pratica del bilancio partecipativo ha cominciato a diffondersi anche in Italia, sia pure in misura molto limitata. Alcune amministrazioni hanno nominato un assessore o un consigliere con delega al bilancio partecipativo. La procedura partecipativa prevede il coinvolgimento dei cittadini nell’impostazione dei bilanci, con un ciclo di dibattiti in assemblee che vanno avanti per tutto l’anno; le richieste dei cittadini vengono recepite nell’impostazione del bilancio di previsione dell’anno successivo e l’iter decisionale è caratterizzato da una precisa scansione delle diverse fasi temporali.

• Affinché il processo di bilancio partecipativo realizzi un’esperienza sostanziale di democrazia diretta, deve rispondere ad alcuni requisiti: «1) l’esistenza di una dimensione finanziaria, oltre alla lettura delle priorità territoriali; 2) non resti a livello di “vicinato” e di quartiere, ma si estenda al territorio; 3) l’esistenza di una ripetizione “ciclica” e non di un evento isolato nell’ambito di un anno; 4) l’esistenza di momenti deliberativi (argomentati e decisionali); 5) la centralità del momento dei “feedback” dati al cittadino a fine processo» (Allegretti).

• Per quanto ancora esperienza fortemente elitaria, il BP è una interessante pratica di democrazia partecipativa che tiene in rapporto non conflittuale spazi dei democrazia diretta e istituti della democrazia rappresentativa. Probabilmente il consolidamento e l’allargamento di questa esperienza dipenderà anche dalla possibilità che essa venga integrata e coordinata con altri strumenti di programmazione territoriale negoziata, quali, ad esempio, i piani strategici, i progetti europei di sviluppo locale, i piani urbanistici, i piani sociali di zona ecc.

La democrazia deliberativa in Toscana: la LR 69/2007 (aggiornata con la LR 46/2013

• La prima invenzione legislativa che si ispira implicitamente ai principi normativi della democrazia deliberativa è stata elaborata, in Italia, dalla Regione Toscana: nel dicembre 2007 questo ente ha varato una legge (lr n. 69/2007) che ha fissato le «Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali», con la quale ci si propone di sostenere la diffusione e la sperimentazione di nuovi modelli e istituti partecipativi.

• La legge 69 è stata recentemente aggiornata con la LR 46/2013 che ha introdotto, tra l’altro, l’obbligatorietà del dibattito pubblico per tutte le opere che superano la soglia di 50 milioni di euro e per tutte le previsioni di localizzazione contenute in piani regionali, in relazione ad opere pubbliche nazionali.

• La prima applicazione (ante litteram) della LR 69:

• “il caso Castelfalfi”

Nota bibliografica

•Allegretti, G. (2003), L’insegnamento di Porto Alegre, Alinea, Roma. •Allegretti, G. (2009), I bilanci partecipativi in Europa, Ediesse, Roma. •Bobbio, L. (a cura di) (2004), A più voci, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli. •De Mucci, R. (1985), La politica dei cittadini, FrancoAngeli, Milano. •Floridia, A. (2012), La democrazia deliberativa: teorie, processi e sistemi, Carocci, Roma (spec. la parte seconda). •Magnaghi, A. (2006), Dalla partecipazione all’autogoverno della comunità locale: verso il federalismo municipale solidale, «Democrazia e diritto», n. 3, pp. 134-150. •Magnaghi, A. (2010), Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Bollati Boringhieri, Torino. •Pichierri, A. (2001), Concertazione e sviluppo locale, «Stato e mercato», n. 62, pp. 237-66.