Corso di Laurea Specialistica in Psicologia Clinica e ... SPECIALISTICA STEFANIA... · Narcotici...

158
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI MILANO – BICOCCA Facoltà di Psicologia Corso di Laurea Specialistica in Psicologia Clinica e Neuropsicologia IL GRUPPO : SETTING PRIVILEGIATO PER LA CURA DELLE DIPENDENZE DA SOSTANZE L’esperienza del Gruppo d’Incontro rogersiano presso la Comunità Terapeutica Dianova Onlus di Garbagnate Milanese Tesi Specialistica di : Stefania RONDINA Matricola n. 079477 Relatore : Chiar.ma Prof.ssa Silvia Dina CORBELLA 1 Anno Accademico 2006/2007

Transcript of Corso di Laurea Specialistica in Psicologia Clinica e ... SPECIALISTICA STEFANIA... · Narcotici...

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI MILANO – BICOCCA

Facoltà di Psicologia

Corso di Laurea Specialistica in Psicologia Clinica e Neuropsicologia

IL GRUPPO : SETTING PRIVILEGIATO PER LA CURA DELLE DIPENDENZE DA

SOSTANZE L’esperienza del Gruppo d’Incontro rogersiano presso la Comunità Terapeutica

Dianova Onlus di Garbagnate Milanese

Tesi Specialistica di : Stefania RONDINA Matricola n. 079477

Relatore : Chiar.ma Prof.ssa Silvia Dina CORBELLA

1 Anno Accademico 2006/2007

INDICE

Riassunto

Abstract

Introduzione

CAPITOLO I LA DIPENDENZA PATOLOGICA DA SOSTANZE

Introduzione

1. La dipendenza patologica da sostanze

2. Modelli teorici

3. Premessa

3.1 L’approccio rogersiano

3.2 L’approccio psicoanalitico

2.2 a) Il punto di vista gruppoanalitico

2.2 b) L’approccio di Khantzian : la teoria dell’auto-cura

2.3 L’approccio cognitivo-comportamentale

2.4 L’approccio sistemico-relazionale

2.5 La “filosofia” dei Narcotici Anonimi

Considerazioni conclusive

CAPITOLO II IL GRUPPO COME STRUMENTO D’ELEZIONE NEL TRATTAMENTO DI PAZIENTI CON

DISTURBI DA USO DI SOSTANZE PSICOATTIVE

Introduzione

1. Il gruppo terapeutico e la sua applicazione nel trattamento di pazienti con disturbo da uso di sostanze

2. Concetti teorici delle dinamiche di gruppo

3. Alcune caratteristiche peculiari dei processi gruppali con pazienti tossicodipendenti

4. Il gruppo come “spazio contenitore e trasformativo” per i soggetti tossicodipendenti

3.1 La variabile del tempo nei gruppi con Disturbi da Uso di Sostanze

3.2 L’omogeneità del problema della dipendenza : una caratteristica saliente nel processo di gruppo

3.3 La dimensione corporea all’interno del gruppo con soggetti tossicodipendenti

2

CAPITOLO III LE TERAPIE DI GRUPPO NELLA CURA DEI PAZIENTI CON DISTURBO D’ABUSO DI

SOSTANZE

Premessa

1. Terapie di gruppo nel trattamento di pazienti con Disturbo da Uso di Sostanze

2. Le terapie di gruppo più frequenti nell’ambito istituzionale

2.1 GRUPPO D’INCONTRO ROGERSIANO

2.2 CBT GROUP (COGNITIVE-BEHAVIOURAL THERAPY GROUP) di K. Carroll

2.3 GDC (Gruppi di Counseling delle droghe) di R.D. Weiss , S.M Mirin et al.

3. Le terapie di gruppo ad orientamento psicanalitico

3.1 MDGT (Terapia Dinamica modificata di gruppo) di E.J. Khantzian

3.2 GRF ( GRUPPO PER LA RIPRESA DELLE FUNZIONI) di C. Zucca Alessandrelli

3.3 IPT GROUP (INTERPERSONAL PSYCHOTHERAPY GROUP ) di G. Klerman et al.

4. Le terapie di gruppo che coinvolgono i familiari

4.1 I GRUPPI SISTEMICO – RELAZIONALI PER ABUSATORI DI SOSTANZE di S. Iacone et al.

5. I gruppi di auto-aiuto

5.1 I NARCOTICI ANONIMI

CAPITOLO IV LA COMUNITA’ COME STRUMENTO DI CURA DELLE TOSSICODIPENDENZE

Introduzione

1. Storia delle origini e degli sviluppi della comunità terapeutica

2. Il percorso comunitario

3. Le potenzialità gruppali insite nell’ambito comunitario CAPITOLO V L’ESPERIENZA DI TERAPIA DI GRUPPO AD ORIENTAMENTO ROGERSIANO PRESSO LA

COMUNITA’ TERAPEUTICA “DIANOVA ONLUS” PER IL RECUPERO DELLE TOSSICODIPENDENZE.

Introduzione

Premessa

1. L’esperienza del Gruppo d’Incontro ad orientamento rogersiano

1.2 La matrice teorica di riferimento

1.3 Struttura del gruppo

1.4 Setting

1.5 I principi e le regole del gruppo rogersiano

1.6 Finalità del gruppo rogersiano

2. Il processo di gruppo

3. I focus tematici trattati nelle sedute di gruppo

3.1 L’esperienza del limite

3.2 la vergogna

3.3 La difficoltà nella cura di sé

3.4 L’autostima

3

3.5 La tolleranza affettiva

3.6 Le relazioni con gli altri

3.7 La vulnerabilità

CONCLUSIONI

Premessa

1. Teorie e tecniche di gruppo a confronto : punti in comune e punti discordanti nell’applicazione della terapia di

gruppo per soggetti tossicodipendenti

1.1 Il Gruppo d’Incontro a confronto con l’MDGT, con il GRF e con l’IPT GROUP

1.2 Il Gruppo d’Incontro a confronto con il CBT GROUP e il GDC

1.3 Il Gruppo d’Incontro a confronto con il Gruppo sistemico-relazionale

1.4 Il Gruppo d’Incontro a confronto con i Gruppi di auto-aiuto ( N.A )

2. La valutazione del gruppo d’Incontro secondo l’orientamento rogersiano

3. Alcune riflessioni conclusive

APPENDICE I

APPENDICE II

BIBLIOGRAFIA

4

RIASSUNTO

La problematica varia e complessa della tossicodipendenza che mi sono trovata ad affrontare e

approfondire durante il mio tirocinio trimestrale specialistico , ha ispirato il lavoro esposto in

questa Tesi.

La Tesi è stata articolata essenzialmente in due parti :

- nella prima parte di tipo teorico-descrittivo , dopo avere delineato il concetto di dipendenza

patologica dalle sostanze e le sue caratteristiche , sono state esposte le posizioni a riguardo di

alcune tra le prospettive teoriche più note nell’applicazione della terapia di gruppo in questo

settore. Successivamente , evidenziando le notevoli potenzialità del setting gruppale ( noto

storicamente per il trattamento delle dipendenze da sostanze ) sono state esplicitate le peculiarità

e i fattori terapeutici insiti in ogni gruppo di cura (indipendentemente dall’orientamento teorico)

per poi presentare , nello specifico , i diversi modelli applicativi di terapia di gruppo per pazienti

tossicodipendenti delineati dalle prospettive teoriche precedentemente presentate.

- la parte osservativo-sperimentale della Tesi è nata dall’impegno in qualità di osservatrice

partecipante e registrante a diverse sedute di Gruppo ad orientamento rogersiano (GRUPPO

D’INCONTRO) presso la Comunità Terapeutica per la cura e la riabilitazione delle

tossicodipendenze “Dianova Onlus” di Garbagnate Milanese (durante il periodo del mio tirocinio

trimestrale specialistico). Sottolineando le peculiarità terapeutiche e le potenzialità gruppali

insite nel contesto comunitario , ho riportato , attraverso l’utilizzo delle cosiddette “vignette di

gruppo” , il processo gruppale e i focus tematici affrontati dai pazienti all’interno del GRUPPO

D’INCONTRO. Inoltre , è stato esposto un confronto tra il modello di cura del GRUPPO

D’INCONTRO rogersiano ( non nato originariamente per la cura delle tossicodipendenze) e le

altre tecniche di gruppo descritte nel corso del lavoro . Infine , sono state riportate le valutazioni

conclusive da parte dei soggetti partecipanti al GRUPPO D’INCONTRO constatando come tutti

abbiano valutato l’esperienza di trattamento gruppale come una parte del processo comunitario di

cura molto soddisfacente : i soggetti hanno riportato traguardi e cambiamenti che non si

limitavano alla sfera personale ed intima , ma che si estendevano alla loro vita comunitaria ,

familiare e sociale concretizzando gli obiettivi fondanti del GRUPPO D’INCONTRO rogersiano.

Parole chiave : tossicodipendenza , terapia di gruppo , Gruppo d’Incontro rogersiano

5

ABSTRACT

This study is composed of two parts.

The first part is descriptive and theoretical : after underlining the drug dependence’s concept , I

have presented the theoretical opinions of some of the most important perspectives that apply

group therapy for the treatment of this pathology. Then , showing the power of the setting group ,

the innate therapeutic factors of the therapeutic group , I have described , in detail , the different

model of group therapy for drug addicts .

The second part is observative and experimental , it shows my experience of observer of

Rogers’ group therapy in a therapeutic community for the treatment of drug addicts ( Dianova

Onlus in Garbagnate Milanese).

Underlining the importance of the community context , I have referred to the group process and

the themes faced during the Rogers’ Encounter Group.

I have exposed a comparison between Rogers’ Encounter Group and the others group therapies

mentioned.

Finally I have written the valuations of group’s members , verifying the success of group

therapy among the participants. They have estimated , without a doubt , the efficacy of Encounter

Group in their “community journey” and the concrete realization of the Rogers’ therapy aims in

their personal and social life.

Keywords : drug addiction , group therapy , Rogers’ Encounter Group

6

INTRODUZIONE

Le diverse forme con cui si presenta il fenomeno della tossicodipendenza , le varietà di

sostanze e delle modalità di assunzione delle stesse in risposta a differenti bisogni e carenze ,

sono alcuni dei fattori che testimoniano la diversità di ogni soggetto con problemi di

dipendenza da sostanze , stimolando interrogativi complessi e affascinanti sulle possibilità di

cura (Sava , 2006 ).

Tuttavia , da anni , la letteratura psicologica del settore , l’evoluzione dei servizi per le

dipendenze da sostanze e la condizione mentale caratteristica del soggetto tossicodipendente ,

hanno sottolineato , nell’ambito di cura , l’impareggiabile idoneità della terapia di gruppo :

pertanto , il setting gruppale è inteso come il luogo terapeutico elettivo nel campo delle

tossicodipendenze .

Per i pazienti tossicodipendenti lo spazio terapeutico deve essere concepito come uno spazio

“a più voci” ( Lo Russo , 2006) : uno spazio animato dal terapeuta e dagli altri membri del

gruppo in cui elaborare insieme un itinerario di cura e di progressiva crescita personale.

In altre parole , le tecniche terapeutiche di gruppo si sono rivelate le più efficaci nel rispondere

alle diverse costellazioni personologiche e psicopatologiche dei soggetti tossicodipendenti

(Matano e Yalom 1991) : gli studiosi attribuiscono questa scelta al “potere dei gruppi, cioè al

potere di respingere le predominanti pressioni culturali che spingono il soggetto ad assumere

sostanze, alla loro capacità di fornire un sostegno efficace a coloro i quali soffrono

dell’alienazione della dipendenza, offrendo dei modelli di ruolo e sfruttando il potere dei pari,

costituendo una forza importante contro i processi di negazione e resistenza che caratterizzano

questi soggetti” ( Galanter , Kleber,1998).

Date queste premesse , ho deciso di organizzare il mio lavoro di Tesi descrivendo inizialmente

il concetto di “dipendenza patologica dalle sostanze” secondo alcune delle prospettive teoriche

più importanti e più applicate nel settore delle tossicodipendenze (Capitolo I ) : la prospettiva

rogersiana , quella psicoanalitica ( con particolare attenzione all’orientamento della

gruppoanalisi e alla teoria dell’auto-cura ideata da E.J Khantzian ) , la prospettiva sistemico-

7

relazionale , quella cognitivo-comportamentale e quella proposta dai gruppi di self-help dei

Narcotici Anonimi.

Il panorama delle applicazioni del gruppo terapeutico per soggetti tossicodipendenti è vario e

molto numeroso , ma nonostante esista una copiosa variabilità di tecniche e teorie , tutte queste si

rifanno ad alcuni imprescindibili e comuni principi insiti nello strumento “gruppo”(Capitolo II).

Pertanto ho focalizzato lo studio spiegando come il gruppo terapeutico svolga una funzione

complessa per i soggetti tossicodipendenti : esso è uno spazio trasformativo che li supporta nella

sviluppo di un progetto comune (Carraro ,1997) all’interno del quale confluiscono fantasie ,

aspettative e desideri (individuali , interazionali e relativi all’ambito dell’istituzione curante) . Si

crea una vera e propria “atmosfera di gruppo” (A.A V.V , 1997) che porta alla nascita della

cosiddetta “mente di gruppo” : essa è , per i soggetti tossicodipendenti , la messa in atto di una

comunicazione sincrona e autentica , spesso mai percepita prima.

In seguito , dopo avere esplicitato l’utilizzo delle potenzialità gruppali come principio e

metodo guida da parte dei diversi approcci teorici , ho descritto in modo specifico le modalità

terapeutiche di gruppo adottate dalle prospettive precedentemente esposte (Capitolo III ) :

GRUPPI DI INCONTRO di C. Rogers , MDGT (Terapia Dinamica modificata di gruppo) di.

Khantzian ; GRF (Gruppo per la Ripresa delle Funzioni ) di C. Zucca Alessandrelli ; IPT

GROUP (Terapia Interpersonale di gruppo ) di Klerman , Weissman e Rounsaville ; GRUPPI DI

MATRICE SISTEMICO-RELAZIONALE di Iacone et al. ; CBT GROUP (Gruppi di Terapia

Cognitiva-Comportamentale per abusatori di sostanze) di K. Carroll ; GDC (Gruppi di

Counseling delle droghe) di Weiss et al. e i GRUPPI di SELF-HELP DEI NAROCTICI

ANONIMI.

Dopo avere delineato in modo dettagliato il punto di vista teorico e pratico dei diversi

orientamenti descritti , ho riportato la mia esperienza di Gruppo d’Incontro rogersiano presso la

Comunità Terapeutica Dianova Onlus di Garbagnate Milanese.

Ho deciso di suddividere questo lavoro in due parti :

- nella prima parte (Capitolo IV) ho esposto la storica importanza della “comunità terapeutica”

come luogo e spazio di cura delle tossicodipendenze , descrivendo le sue origini , i suoi sviluppi ,

l’offerta di cura e le sue insite potenzialità gruppali . Inoltre , ho evidenziato come la comunità

terapeutica , abbia svolto , durante il Gruppo d’Incontro , un setting parallelo a quello proposto

dalla terapia rogersiana in atto : il luogo fisico e mentale dove si è sviluppato il processo di cura.

8

- nella seconda parte (Capitolo V) ho descritto la mia esperienza di osservatrice partecipante e

registrante al Gruppo d’Incontro rogersiano a cadenza settimanale nell’arco del mio tirocinio

specialistico trimestrale presso la struttura.

In questa parte del lavoro , dopo avere messo in evidenza la matrice teorica rogersiana , le

caratteristiche della struttura del gruppo , le sue finalità e le peculiarità del setting , ho descritto il

processo di gruppo e i focus tematici affrontati accompagnandoli con delle “vignette di gruppo”

esemplificative.

Ho potuto constatare che il gruppo attraverso la coesione e il senso di appartenenza dei suoi

membri , si rivela come uno spazio fisico e mentale contenitivo : ognuno , al suo interno , è

libero dal giudizio degli altri, può esprimersi liberamente e sentirsi al sicuro. Il gruppo è un

contenitore che svolge la funzione di “schermo protettivo” , dove sentirsi accolti , ascoltati e

stabili : è un’occasione di sviluppo che consente ai pazienti di affrontare le vulnerabilità

determinate dalla dipendenza.

Come esposto più volte nella stesura della Tesi , l’approccio rogersiano di gruppo non è stato

studiato per rispondere specificatamente alla tossicodipendenza ( diversamente dagli altri

approcci presentati ) : tuttavia , i principi del Gruppo d’Incontro , stilati in modo non

strettamente specifico e strutturato e in gran parte congruenti alle tecniche costituite ad hoc per

le tossicodipendenze , sono stati adattati efficacemente dalla scuola rogersiana alla cura di

questo disturbo.

Pertanto , all’interno dei paragrafi conclusivi , ho esplicitato il confronto tra lo stesso Gruppo

d’Incontro e le altre tecniche gruppali presentate , dimostrando l’idoneità del suo ampio utilizzo

- soprattutto nelle istituzioni pubbliche ed in particolare nelle Comunità Terapeutiche - come

metodo adatto alla cura delle tossicodipendenze (Carraro , 1997 ; Fasolo , 2006).

Inoltre , ho riportato la valutazione qualitativa conclusiva del Gruppo d’Incontro a cui ho

partecipato , attenendomi alle indicazioni di Rogers (Rogers , 1985 ) : l’autore riteneva che la

valutazione fosse un processo basato sulla libera espressione di ciò che i membri sentivano a

livello sensoriale. Rogers (Rogers , 1985) aggiungeva che : “un Gruppo d’Incontro e’ riuscito se

i membri valutano l’esperienza gruppale come un’esperienza soddisfacente e remunerativa che in

un qualsiasi modo li abbia fatti progredire nella loro crescita personale”.

Dalle auto-valutazioni raccolte al termine delle sedute , ho potuto verificare come il percorso

di cura del Gruppo d’Incontro sia stato valutato dai membri in modo ampiamente soddisfacente

e abbia apportato dei cambiamenti sostanziali nelle caratteristiche personologiche e nelle

9

modalità di agire dei soggetti partecipanti : inoltre , il traguardo terapeutico non si e’ limitato a

cambiamenti strettamente personali , ma alla loro generalizzazione alla vita comunitaria ,

familiare e sociale.

CAPITOLO I

LA DIPENDENZA PATOLOGICA DA SOSTANZE

10

Introduzione

La ricerca di sostanze o di comportamenti capaci di rendere più efficaci le prestazioni sia

intellettuali che fisiche nasconde , da sempre , il sogno umano di potere realizzare il superamento

dei limiti e dell’angoscia sperimentata nel corso delle fasi evolutive del ciclo di vita. Questa ricerca

non costituisce però di per sé una pre-condizione delle forme di dipendenza patologica, in quanto

si tratta di un fenomeno universale che appartiene alla lotta dell’uomo per l’esistenza . Alcune

persone diventano però dipendenti da questa ricerca fino al punto di perdere la capacità di badare a

se stesse e di non avere più una normale interazione dinamica con la realtà ; in altre parole alcune

persone diventano dipendenti secondo modalità che hanno una rilevanza sul piano clinico.

1. La dipendenza patologica da sostanze

Si definisce con l’espressione dipendenza patologica una forma morbosa determinata dall’uso

distorto di una sostanza , di un oggetto e di un comportamento ; una specifica esperienza

caratterizzata da un sentimento di incoercibilità e dal bisogno coatto di essere ripetuta con modalità

compulsive ; ovvero una condizione invasiva in cui sono presenti i fenomeni del craving , della

assuefazione e dell’astinenza in relazione ad un’abitudine incontrollabile e irrefrenabile che il

soggetto non può allontanare da sé.

Sebbene la distinzione di fondo tra dipendenza da sostanze e dipendenza comportamentale sia

utile , essa non sembra né esclusiva né esaustiva. Il fatto che non sia esclusiva è dimostrato dal

fatto che chi fa uso di una droga può essere dipendente a prescindere dagli effetti neurofisiologici

di questa. Quanto alla non esaustività , basti pensare che il consumo smodato di cibo ha le

caratteristiche che lo avvicinano alla dipendenza così come il gioco d’azzardo e le stesse

esperienze emotive , quando ricercate in modo compulsivo , possono essere fonte di dipendenza

patologica intesa nell’accezione precedentemente utilizzata .

11

Le droghe e i comportamenti di dipendenza hanno la capacità di provocare stati soggettivi di

piacere e in certe fasi di euforia , cioè alterazioni nello stato di coscienza ordinario , le quali

forniscono la motivazione principale che alimenta il comportamento di dipendenza . In questo

senso Peele ( 1985) ha messo in evidenza nel suo The Meaning Of Addiction che la dipendenza

può scaturire da qualsiasi potente esperienza la cui sensorialità ha lo scopo di alleviare il dolore ,

l’ansia o altri stati emotivi negativi attraverso una diminuzione della coscienza o un innalzamento

della soglia di sensibilità e , pertanto , tutte le esperienze efficaci nell’alleviare il dolore , potranno

inevitabilmente essere fonte di dipendenza .

A tale proposito risulta efficace la distinzione terminologica esistente tra la parola francese

toxicomanie e quella inglese addiction .Se la prima , infatti , suggerisce un’economia psichica

basata sul desiderio di nuocere a se stessi , la seconda implica , invece , che il soggetto diventi

schiavo ( addiction ) di un’unica soluzione nel suo sforzo di affrontare la sofferenza psichica

( McDougall , 2002) . Inteso in tal senso , infatti , un comportamento da dipendenza , anche

laddove riguarda esclusivamente un abuso di droghe non significa tanto essere determinati a

nuocere a se stessi , quanto , piuttosto , rappresenta un atto che ha in sé l’illusione di fare qualcosa

per affrontare e superare le difficoltà della vita quotidiana. Tutti i comportamenti di dipendenza

sembrano essere accompagnati da qualche forma di craving.Il craving , il concetto esplicativo più

importante nello studio della dipendenza , è un concetto molto complesso . Allo stato attuale delle

conoscenze , la dipendenza patologica , sia da una sostanza sia da un comportamento , sembra

essere caratterizzata da un elemento unificatore definibile proprio come craving.In questo senso , il

craving costituirebbe una nuova identità psicopatologica , un’identità sindromica determinata da

un’attrazione così forte verso alcune sostanze o esperienze appetibili da comportare la perdita del

controllo e una serie di azioni obbligatorie tese alla soddisfazione del desiderio , anche in presenza

di forti ostacoli o pericoli. E’ stata messa in evidenza ( Maremmani , Zolesi , Daini ,

Castrogiovanni , 1999) , pur nella diversità di espressione e di suscettibilità al trattamento dei vari

tipi di craving , l’esistenza di comuni meccanismi fisiopatologici alla base del fenomeno craving .

Il concetto di craving sottolinea la presenza di correlati neurobiologici del desiderio della

sostanza. Avviene nel soggetto abusatore un processo di apprendimento : l’associazione tra

sensazioni di piacevolezza e potere con l’assunzione della sostanza , si consolida in memoria . Il

substrato neuroanatomico del processo di apprendimento e immagazzinamento in memoria

coinvolge amigdala e ippocampo , ma si è constata l’associazione tra sensazione attuale di craving

12

e attivazione del circuito coinvolgente talamo,corteccia orbitofrontale e corteccia cingolata

anteriore.

Non si deve però immaginare che tutte le forme della dipendenza coincidano necessariamente

con i fenomeni del craving , siano stati del Sé egodistonici , con condizioni patologiche

dell’identità o con evidenze cliniche d’interesse psichiatrico . Le ricerche attuali infatti ritengono

che i fenomeni della dipendenza debbano essere situati lungo un continuum che va dal normale al

patologico.

2. Modelli teorici

Premessa

Attraverso la stesura dei prossimi paragrafi presenterò alcune tra le più importanti prospettive

psicologiche relative alla concentualizzazione e alla cura della tossicodipendenza.

Gli approcci qui di seguito esposti saranno approfonditi nei Capitoli successivi in relazione alle

corrispettive tecniche terapeutiche di gruppo per il trattamento dei pazienti tossicodipendenti.

2.1 L’approccio rogersiano

In base alla teoria della personalità di Carl Rogers , il principio della persona umana come

agente di scelte , libera e responsabile (Rogers , 1962 ; Mischel , 1981) , per esplicarsi e divenire

operativo , necessita che l’ambiente svolga un ruolo positivo, “facilitante” nei confronti delle

potenzialità dell’individuo. Una piena integrazione è dunque indissolubilmente legata ad una serie

di fattori ambientali, cioè familiari e sociali. Se essi sono carenti, la conseguenza è da un lato il

fallimento nell’approdare ad una piena maturità di soggetto, dall’altro vari gradi e tipi di disagio e

sofferenze, vissuti o inflitti, che vanno dal comportamento antisociale alle malattie mentali vere e

proprie in cui, secondo il presente punto di vista, il danno biologico consegue a quello psicologico.

Anche l’abuso di sostanze trova posto in questa definizione. Nel tossicodipendente la qualità di

soggetto è gravemente compromessa: egli divide con i portatori di malattie mentali una condizione

di minore libertà, di riduzione delle opzioni di vita e di incapacità a far fronte alle proprie

13

responsabilità. Diversamente da questi ultimi, tuttavia, egli rimane in uno stato di maggior contatto

sociale: il suo disagio non è così grave da chiuderlo in una dimensione autistica, ma piuttosto lo

riduce al margine della collettività, lo rinchiude nella pseudosocietà del piccolo gruppo e dello

spaccio.

Il processo di sviluppo conduce dal neonato all’adulto verso il raggiungimento della maturità di

soggetto : perché questo processo si svolga nella maniera più compiuta, è necessario che

l’individuo si trovi in un ambiente interpersonale adatto. Dal punto di vista rogersiano,

quest’ultimo è tale quando realizza un buon equilibrio fra ciò che trasmette al bambino (in termini

affettivi e cognitivi) e ciò di cui facilita il sorgere e l’esprimersi nel bambino stesso. Questo

scambio avviene nella quotidianità ed è costituito da un numero pressoché infinito di

microinterazioni, in un contesto che taluni chiamano di intersoggettività (Trevarthen, 1987).

Una parte consistente di ciò che viene trasmesso dalla famiglia e dalla società può essere

considerata in termini di valori. I valori acquisiti dal bambino e poi dal ragazzo costituiscono la

struttura, l’organizzazione, la forma storicamente determinata entro cui egli verserà i propri

contenuti potenziali, elaborandoli e perfezionandoli in rapporto con essa. Tuttavia la trasmissione

dei valori è una questione molto delicata: essi devono anzitutto costituire un insieme coerente per

dare alla personalità una struttura unitaria, essere abbastanza funzionali alla realizzazione delle

potenzialità individuali ed infine venire trasmessi in maniera appropriata. Essi sono infatti veicolati

dal medium affettivo dell’attaccamento: il bambino, soprattutto se molto piccolo, obbedisce a certe

regole non perché gli importi di esse ma per non dispiacere la mamma e per ottenere da lei

gratificazioni (baci, carezze, valutazioni positive, soddisfazione di desideri, etc.). Poco a poco,

però, ciò verrà a costituire un habitus mentale che incanalerà i bisogni in una serie di regole e li

legherà allo sviluppo delle potenzialità, in una progressiva articolazione verso la complessità: dal

neonato teso alla soddisfazione immediata e totale delle proprie esigenze biologico-affettive si

arriverà all’adolescente “aperto al mondo”, capace di dare senso e progettualità alla propria

esistenza. Il soggetto tossicodipendente vive queste fasi di sviluppo in modo deficitario e le

frustrazioni subite sono talmente numerose , da non potere essere in alcun modo compensate a

livello relazionale ed affettivo.

Secondo Rogers, l’attitudine “facilitante” dei genitori consta di tre elementi: l’accettazione

incondizionata, l’empatia e la congruenza. Se le prime due consistono in un direzionarsi amoroso,

valorizzante e comprensivo verso il bambino, la congruenza fa sì che il genitore sappia anche

14

rimanere se stesso, mantenendo le sue prerogative che sono quelle di definire limiti e regole

(Rogers, Kinget, 1962), nonché di comunicare, direttamente o indirettamente, valori.

Per un principio formulato da Dewey a cui Rogers si è costantemente ispirato, la conoscenza

non è mai avulsa dallo sviluppo del resto della personalità. Ciò spiega perché il genitore del

paziente tossicodipendente , più è carente nello svolgere il suo compito facilitante, meno ne sarà

consapevole. I genitori, non rendendosi conto del proprio errore, scagliano violentemente la

responsabilità sul figlio e questo impedisce loro di essere accettanti e comprensivi nei suoi

confronti. Così al soggetto vengono a mancare tutte e tre insieme le condizioni facilitanti (Rogers,

Kinget, 1962; Vaccari, Zucconi, 1996).

Altre caratteristiche del tossicodipendente sono la sfuggevolezza, l’inaffidabilità, la propensione

a manipolare e ad ingannare se stesso e gli altri . Tutto questo attira, solitamente , sul

tossicodipendente il biasimo di chi gli sta intorno e che determina, a livello sociale, fenomeni di

esclusione e di proiezione.

Tuttavia, questo comportamento non equivale ad un atto cosciente e finalizzato ma obbedisce ad

un problema cognitivo ben più profondo che viene potenziato dall’uso della sostanza ma che,

anche in questo caso, lo precede. Si tratta del fatto che il tossicodipendente letteralmente non usa le

regole sociali per acquisire e mantenere diritti e doveri nei confronti degli altri. Non lo fa perché

nessuno gli ha trasmesso lo “script” giusto, perché l’uso delle regole sociali fa parte

dell’introiezione dei valori e quest’ultima non può avvenire se la persona che dovrebbe educare si

comporta essa stessa al di fuori delle regole.

Così come, dunque, il tossicodipendente cerca nella sostanza una gratificazione immediata ed

anomica, nello stesso modo si comporterà nei confronti degli altri, tentando la via più facile e

breve per ottenere l’affermazione delle proprie istanze, senza curarsi del valore della verità: è

questo il deficit specifico del pensiero tossicomanico, per certi versi affine a quello schizofrenico.

Il modello di malfunzionamento proposto non ha un’origine univoca ma è il punto di arrivo di vari

percorsi. Solitamente il più frequente è quello dell’adolescente la cui personalità si struttura in

modo vulnerabile perché i genitori, che sono a loro volta problematici, non svolgono un’azione

educativa facilitante. Si crea così una smagliatura transgenerazionale nella famiglia, quale è stata

prefigurata da Rogers e Kinget (1962) e ampiamente descritta da Fonagy e da altri studiosi

dell’attaccamento (1995).

15

Pertanto , in un’ottica rogersiana la tossicodipendenza viene vista come epifenomeno, mero

sintomo e quindi copertura di una situazione di disagio personale sulla quale va spostata

l’attenzione.

Ne consegue che obiettivo primario non è quello di centrare l’intervento immediatamente ed

esclusivamente sull’abolizione del sintomo, bensì si tratta di privilegiare una dimensione

“evolutiva” nel tentativo di aiutare e sollecitare il soggetto a recuperare o a individuare spazi

nuovi.

2.2 L’approccio psicoanalitico

Qualsiasi approccio psicoanalitico alla tossicodipendenza tende a considerare una serie di eventi

concatenati ricercando il senso o la causa della condizione in atto in qualcosa di accaduto "prima":

la genesi della tossicodipendenza e' rintracciata in altri problemi, precedenti e sottostanti, che

avrebbero significato strutturale, mentre essa e' considerata generalmente un epifenomeno o

addirittura semplicemente un sintomo o una forma espressiva del disturbo psicopatologico.

Le spiegazioni della tossicodipendenza proposte in ambito psicanalitico fino agli anni ’60

condividevano l’idea che essa costituisce un disturbo della personalità caratterizzato da fissazione

orale1, disturbi maniaco-depressivi-narcisistici, salienza degli istinti distruttivi. In questa

prospettiva la condotta tossicomania era soprattutto interpretata come conseguenza di una

fissazione ad una fase pregenitale (ovvero orale ) dello sviluppo psico-sessuale e proprio da

quest’ultima derivava il carattere coatto della ricerca del piacere da parte del tossicomane e la sua

incapacità di dilazionarne nel tempo la soddisfazione.

Nelle opere di Freud (ad es. “Tre saggi sulla teoria sessuale” del 1905) sono presenti

osservazioni isolate che rimarcano le caratteristiche regressive delle condotte tossicomaniche: i

tossicomani sono ritenuti vittime di una fissazione alla fase orale, che li rende incapaci di staccarsi

da un oggetto d’amore che li nutre e placa il dolore derivante dalla mancata soddisfazione dei

bisogni primari.

1 La fase orale è la prima dello sviluppo psico-sessuale dal punto di vista psicoanalitico e si sviluppa dalla nascita del bambino fino ai 18 mesi circa. Domina la zona orale : bocca , labbra , lingua. La fissazione orale avviene quando la fase libidica stessa o la zona erogena implicata sono state vissute come troppo gratificanti o troppo frustranti . La direzione selettiva dell’energia pulsionale ad una particolare zona può incentivare l’insorgere di nevrosi.

16

Come esemplificazione del fatto che la tossicodipendenza e' abitualmente affrontata "come se"

fosse qualcosa d'altro (all’interno del panorama psicoanalitico ) si ricorda che : - Rado (“The psychic effects of intoxication:attempts at a psychoanalitic theory of drug addiction” in

International Journal of Psycho- Analysis, VII, 1926), in accordo con la posizione espressa da Freud, definisce la

tossicomania come una sorta di “orgasmo alimentare” che si associa a disturbi di tipo maniaco-depressivo e che ha

soprattutto una funzione di barriera contro la sofferenza. Essa si struttura in individui che reagiscono alle frustrazioni

con un’angoscia molto intensa e che contemporaneamente presentano elevati livelli di intolleranza al dolore ;

- Rosenfeld (“Psychotic state”, London, The Hogart Press, 1965), riferendosi al ciclo maniaco depressivo, sostiene

che il tossicomane ricorra alla droga per difendersi, tramite una reazione maniacale, da una sofferenza di tipo

depressivo. In rapporto al ciclo depressivo, il tossicomane tende a identificarsi, introiettandolo, con un oggetto morto o

malato che è appunto rappresentato dalla droga. Secondo questo autore la tossicomania si associa all’esistenza di un

trauma precoce che influenza lo sviluppo della personalità del bambino impedendogli di raggiungere una relazione

oggettuale ;

- Kohut ,( "Narcisismo e analisi del sé" , Boringhieri,1976) inquadra la tossicomania nell'ambito dei disturbi

narcisistici, per cui la droga e' "una sostituzione di una funzione che l'apparato psichico non può svolgere , non un

sostituto di un oggetto d'amore o da cui essere amati". Kohut ha sottolineato la possibilità che carenze gravi e

traumatiche nella relazione madre-bambino provochino seri disturbi dell’identità. La delusione nei confronti della

madre è allontanata mantenendo la primitiva immagine idealizzata di essa e di sé stesso, che ha lo scopo di lenire la

sofferenza del trauma subito. Questo da vita a un Io indebolito incapace di tollerare le frustrazioni e la dipendenza da

parte di un genitore vissuto come onnipotente ma incapace di lenire la sofferenza. La droga è vista come oggetto

inanimato e controllabile che allontana il senso di inadeguatezza e consente di affrontare la realtà della crescita, con le

frustrazioni inevitabili connesse;

- Bergeret , ( “Chi è il tossicomane. Tossicomania e personalità”, Dedalo, 2001, 3ª ed.) sostiene che il

tossicodipendente ha riportato delusioni precoci e ripetute nelle relazioni primitive fondamentali che fanno si che i

desideri siano degradati a semplici bisogni, soddisfatti attraverso il comportamento mediante il passaggio all’atto e non

entrino nel campo dell’immaginario per l’incapacità di usare il registro fantasmatico e simbolico. Di conseguenza,

nulla di simbolico fa da contrappeso al piacere immediato e al sentimento di trionfo che la soddisfazione del bisogno

procura. Questi bisogni tendono ad escludere la presenza di un’altra persona e hanno forti componenti aggressive. Si

tratta di soggetti con difficoltà di integrazione infantile e adolescenziale che rimangono sospesi in una sorta di

“pseudolatenza interminabile”(dove per latenza si intende si intende un periodo dall’età di 6 anni alla pubertà in cui gli

impulsi sessuali sono sottoposti a repressione ). L’autore distingue tre tipologie di tossicomani: a struttura nevrotica

(con comportamenti tendenzialmente autoaggressivi e masochisti), a struttura psicotica (che assumono droga o per

contrastare l’eventualità che il loro immaginario possa straripare o per giustificare tale straripamento), e a struttura

depressiva (soggetti immaturi, che non hanno superato con successo la fase adolescenziale e che appaiono indecisi ,

oscillanti e dipendenti dagli altri) ;

- Olievenstein ( “Il destino del tossicomane”, Borla, 1984) , allievo di Lacan, e' forse l'unico che dedica una parte

significativa della sua attivita' non solo di ricerca, ma anche di cura, ai tossicomani, e conduce osservazioni

su circa 12.000 casi seguiti presso il Centro Medico Marmottan di Parigi. Anch'egli pero', pur individuando uno

17

specifico meccanismo psicologico per descrivere la genesi della dipendenza (la teoria della "fase dello specchio

infranto"2, per la quale il rituale tossicomanico trae origine dall'esperienza di una simultaneita' del riconoscimento del

Se' e della sua frattura ed e' basato sulla ricerca ad ogni costo di provare di nuovo, tramite il farmaco, quella prima

esperienza d'incontro riuscito con l'immagine del Se' solo intravista) definisce la droga come equivalente allo

sprofondarsi nell'arcaico, nel pregenitale, rimettendosi nella posizione del bambino piccolo e annullando la frattura ;

- Adler , (“Prassi e teoria della Psicologia Individuale”, Astrolabio, Roma, 1967; “Il temperamento nervoso”,

Astrolabio, Roma, 1971)sostiene che il soggetto che fa uso di sostanze vuole cancellare il proprio sentimento di

inferiorita'; la sostanza viene usata per non dover affrontare i problemi che la realtà impone e assumerla da' una

percezione fittizia del mondo, che però viene assunta "come se" fosse reale. Il benessere indotto dalle sostanze non

permette all'individuo di capire e risolvere le sue problematiche, ma lo induce all'abuso per poter rivivere le sensazioni

piacevoli e riprodurre il mondo fittizio. Si instaura quindi, nel tossicodipendente, un sistema di finzioni atto a

difendere il precario senso d'identità raggiunto, negandone gli aspetti problematici. Anche le relazioni infantili con le

figure genitoriali hanno un ruolo molto importante nello sviluppo delle tossicodipendenze3. Adler ritiene che i

meccanismi che stanno alla base della dipendenza siano gli stessi delle nevrosi, delle difficoltà educative e delle

perversioni. Infatti egli pone sullo stesso piano i soggetti che abusano di sostanze, i nevrotici e i criminali e considera

la tossicodipendenza come un sintomo nevrotico causato da un mancato adattamento alla vita, che si manifesta, fin

dall'infanzia, con comportamenti quali scoraggiamento, vigliaccheria, inadeguatezza, tutti dovuti a uno scarso sviluppo

di sentimento sociale.

2 Olievenstein utilizza la metafora dello “specchio infranto” introdotta da Lacan, per spiegare la formazione dell’identità dell’uomo.Nell’evoluzione psichica del bambino si giunge verso i 6/18 mesi ad una fase, che Lacan definisce, infatti, “dello specchio” in cui il bambino scopre la sua unità corporea, intuisce il suo essere “altro” rispetto alla primordiale fusionalità con la madre. Immerso ,ancora in uno stato impotenza, attraverso uno specchio simbolico, egli anticipa con l’immaginazione la conoscenza e la padronanza della propria unità corporea. E’ un momento cruciale ed obbligato dello sviluppo e definisce un momento di eccezionale vulnerabilità.Secondo Olievenstein la tossicomania deriverebbe dal verificarsi di una fase intermedia fra uno stadio dello specchio riuscito ed uno stadio dello specchio impossibile, che si caratterizza per la quasi contemporaneità del suo verificarsi e del suo fallire.Sembra quasi che proprio nel momento di passaggio durante il quale si sarebbe dovuto costituire per il bambino un IO diverso da quello fusivo con la madre, durante la scoperta dell’immagine del Sé, il bambino si trovi dinanzi alla visione di uno specchio infranto; uno specchio che rinvia una immagine frammentata, incompleta, ricca di spazi vuoti che lo riconduce all’esperienza dell’indifferenziazione del Sé.

3 Il bambino viziato sviluppa una dipendenza assoluta soprattutto con la madre, che non permette di procedere secondo un corretto processo di individuazione: "abituato alla costante presenza di una persona, ogni situazione che ne preveda l'assenza appare ora inaccettabile" (Ansbacher H, Ansbacher R, 1997). Il tossicodipendente sostituisce alla madre la sostanza stupefacente, sempre presente e capace di nutrire il soggetto. L'insicurezza profonda che lo caratterizza fa si che percepisca la sua insufficienza di fronte alla realtà esterna e usi la droga come agente deresponsabilizzante. Egli, fuggendo dalla realtà, imputa all'ambiente ogni proprio fallimento e non sviluppa adeguatamente il sentimento sociale.Nel contesto sociale, non riuscirà più a trovare la dimensione viziante dell'infanzia e quindi vivrà un disagio nelle relazioni con il mondo e non sarà in grado di realizzare i compiti vitali autonomamente. Il bambino trascurato o maltrattato non ha avuto accanto a sé persone che si sono prese cura di lui e che hanno cercato di alleviare il primissimo sentimento di inferiorità fisiologico. Il bambino, in questo caso, non riesce a raggiungere un sufficiente grado di autonomia e ciò aggrava il suo sentimento d'inferiorità, trasformandolo in complesso d'inferiorità.

18

Questa impostazione rende difficile (da una prospettiva psicoanalitica) la comprensione della

tossicodipendenza come patologia: il "vero problema" sarebbe sempre da inseguire altrove e la

tossicomania sarebbe solo una particolare forma di quel problema.

Si potrebbe applicare al caso della tossicodipendenza una critica di Kernberg (Kernberg O, 1985)

alla applicazione rigidamente astratta delle teorie psicologiche: "l'applicazione senza

adattamenti della medesima tecnica psicoanalitica a pazienti con ogni grado di psicopatologia...

riflette sul piano clinico la tendenza a sottovalutare l'importanza dei fattori ambientali e

a sopravvalutare invece l'importanza della presunta intensità innata delle pulsioni...le

interpretazioni comportano il rischio di indottrinare intellettualmente i pazienti".

Spesso il “vero problema “ è da inseguire altrove e la tossicodipendenza diventa effettivamente

una particolare forma di quel problema . Certamente questa condizione può essere verificata solo

in alcune circostanze , ma è altrettanto vero che in altre è indimostrabile o addirittura fuorviante

per la trattazione del caso (Bignamini , 2004).

Oggi , i ricercatori psicoanalitici contemporanei vedono il comportamento tossicomanico come

un meccanismo adattivo e difensivo ( Khantzian , 1986,1997 ; Wurmser, 1974) e come un riflesso

della carenza della capacità di prendersi cura di sé. Questa ridotta capacità può essere pertanto

collegata al passato del soggetto , in particolare ad un’inadeguata interiorizzazione delle figure

genitoriali : il tossicodipendente non acquisisce lo strumento dell’auto-protezione.

2.2 a) Il punto di vista gruppoanalitico

La gruppoanalisi si riferisce alla tossicodipendenza come ad una “malattia della dipendenza”

(Mariotto,1998) , come uno specifico elemento dell’insieme delle numerose problematiche in cui

si articola questo fenomeno.

Secondo l’approccio gruppoanalitico , il momento critico nella storia del tossicodipendente

risulta la fase dello specchio di cui parlava Olievenstein (Olievenstein , ): essa è avvenuta in

maniera difettosa . Tagliagambe ( Tagliagambe , 1987) ritiene che nell’istante in cui avrebbe

dovuto avere luogo il riconoscimento e quindi la separazione , il distacco , “lo specchio si è rotto”

mandando in frantumi l’immagine di sé. Secondo l’autore , il modo distorto in cui è avvenuto il

riconoscimento “ha congelato dentro una visione esplosa di sé , l’impossibilità della separazione”

(Tagliagambe , 1987).

19

I processi di separazione e di differenziazione non si sono potuti verificare in modo sano e naturale

nello sviluppo4 del tossicomane , portandolo ad utilizzare la sostanza per rincorrere una

trasformazione. Attraverso la sostanza , il tossicodipendente “finalmente unito nel riconoscersi

nell’unità di piacere “ (Tagliagambe , 1987) è libero dalle identificazioni parziali , deficitarie ed

interrotte : può trasformarsi in qualcun altro. Questa intensa richiesta identificatoria porta il

soggetto ad un bisogno oggettuale eccessivo , ad una “fame d’oggetto” ( Kestemberg , 1972) : una

fame dell’altro per creare un senso di sé.

L’infanzia dei tossicodipendenti è stata segnata da una frammentazione che ha contribuito a

creare un Sé molto fragile ed un Io incapace di assolvere pienamente le proprie funzioni.

Secondo il punto di vista gruppoanalitico , gli elementi appena elencati non possono essere scissi

dalla presenza , nella storia dei tossicodipendenti , di famiglie problematiche – spesso connotate a

loro volta da abuso di sostanze- e di ambienti familiari deficitari e deprivanti.

Fasolo (1989) sottolinea come nelle famiglie di pazienti tossicodipendenti esistano spesso storie

di morti improvvise , traumatiche e insolite sia nella generazione dei genitori sia nelle generazioni

precedenti. Spesso ( Corbella , 2003) se non sono defunti , sono oggetti incorporati morti o con

componenti mortifere che ingombrano totalmente il mondo interno del paziente senza permettergli

una propria sana individuazione.

L’assunzione della sostanza diventa il tentativo di sostituire un oggetto interno carente 5, il

tentativo di individuarsi e di essere riconosciuti , anche se negativamente. Tagliagambe (

Tagliagambe , 1987) sostiene che il soggetto tossicodipendente sia alla ricerca di un “marchio” che

gli garantisca un senso di appartenenza : identificarsi in qualcosa che giustifichi ciò che altrimenti

viene percepito come profondamente sbagliato. L’identificarsi con gli atteggiamenti sprezzanti e

con le modalità d’azione tossicomaniche si spiega con il tentativo di negare una parte dolorosa e

sofferente di sé dovuta alla presenza di care-giver talmente rigidi da non permettere la crescita di

una sana individualità.

4 La prospettiva gruppoanalitica (Zucca Alessandrelli,2005) si avvale anche dei contributi dell’Infant Research , in particolare dei contributi di Stern (Stern , 1998) sull’interazione madre-bambino. Lo sviluppo infantile è considerato uno dei punti cruciali nella storia del tossicomane e in particolare i momenti di sintonizzazione (Stern,1998) nelle modalità di scambio tra madre e bambino , momenti che costituiscono le basi per la formazione di un sano senso di sé. 5 La sostanza è uno pseudo-oggetto , in quanto non crea conflitti e/o richieste al soggetto: è mera espressione di un bisogno istintuale che può appagarsi solo attraverso la via fisiologica. Il tossicodipendente vorrebbe appagarsi tramite una vera relazione con un oggetto , ma non è capace in quanto pervaso dalla rabbia e dal risentimento narcisistico (Zucca Alessandrelli , 1996). Il tentativo disperato di eliminare la dipendenza dagli oggetti mortiferi incorporati , porta ad una nuova e pericolosa dipendenza da uno pseudo-oggetto : la sostanza.

20

Anche il soggetto tossicodipendente possiede una personalità dominata da un Super-Io troppo

esigente e pertanto svalorizzante. Secondo Aguzzi ( Aguzzi et al. , 1992) è da questi elementi che

deriva la necessità della coazione alla sensorialità del tossicodipendente , del sentirsi vittima di

una frammentazione generale che porta all’uso di difese arcaiche ( come la scissione e la

proiezione) a cui il soggetto tenta di rispondere con stati di apatia e di annichilimento , stati

emotivi che non sa reggere e ai quali deve cercare una nuova risposta attraverso la fuga in un

mondo immaginario.

La “coazione alla sensorialità” rimane l’unica risposta disponibile alla necessità di sentirsi , di

sentire il Sé ( Corbella , 2003) , privo di quello schermo o filtro protettivo (acquisibile attraverso

uno sviluppo ed un’interazione adeguata con le figure genitoriali) che gli permetterebbe di

regolare , in modo sano , le interazioni tra l’esterno e l’interno ( Zucca Alessandrelli , 1998).

L’oggetto dell’addiction viene ricercato con la funzione di riparazione e compensazione rispetto a

quelle mancanze e debolezze degli assetti narcisistici strutturali , di antica origine infantile , che

sono cause del senso di fragilità , o di svuotamento o di insicurezza (Zucca Alessandrelli , 2005) .

Una fragilità delle fondamenta del sé che rende difficile un senso piacevole del corpo e un

narcisismo sano di vita (Zucca Alessandrelli , 2005).

Chiudersi in un circuito stretto di “relazione” con le sostanze , inizialmente rassicurante , darà il

senso di potere mantenere il potere sull’oggetto : quasi come se il “sostituto d’oggetto” fosse

totalmente nelle proprie mani e si potessero esercitare su di lui risentimenti e vendette , farlo

proprio fino a sentirlo interamente all’interno del proprio corpo. (Zucca Alessandrelli , 2005).

Per il tossicodipendente non è , infatti , possibile alcuna relazione interpersonale duratura ma

solo pseudo-relazioni. Per questi soggetti , intimità e vicinanza nella relazione significano

solamente abolizione dei confini e delle differenze. Essi sono incapaci di mantenere la “giusta

distanza relazionale” che permette di avvicinarsi all’altro senza invadere la sua individualità ed

indipendenza.

La gratificazione narcisistica ed onnipotente gratifica il tossicodipendente , ma non può nutrirlo in

maniera reale. La ripetizione continua e ostinata porta l’illusione di potere possedere e controllare

l’oggetto , per poi accorgersi che è l’oggetto “chimico” a dominare totalmente (Massardi , 2005) .

Da padroni si diventa schiavi : di nuovo si ripete ciò che è già accaduto nella storia personale del

tossicomane , di nuovo emergono sentimenti di umiliazione , scarsa autostima e svalutazione

(Zucca Alessandrelli , 2005).

21

2.2 b) L’approccio di Khantzian : la teoria dell’autocura

Khantzian (Khantzian EJ, 1985), ha elaborato come "teoria dell'autocura", arricchita

successivamente da alcune varianti (teoria dell'alleviamento della disforia, Mueser KT et al, 1998 e

teoria dell'ipersensibilizzazione, Mueser KT et al, 1998)6.

Secondo l’autore il fattore critico , sia in disturbi lievi sia gravi , è il fatto che una data sostanza

venga esperita come modo per far fronte a un bisogno adattivo perentorio , offrendo pertanto non

solo sollievo ma anche esperienza , seppur temporanea , di una accresciuta capacità di farcela e di

operare (Khantzian 1986 , Treece 1986 ). Per Khantzian (1986) la tossicodipendenza è il riflesso

della carenza della capacità di prendersi cura di se stessi più che di un impulso autodistruttivo , e

tale carenza deriva da precoci disturbi nello sviluppo che portano ad un’inadeguata

interiorizzazione delle figure genitoriali. Colui che abusa di sostanze è incapace di auto-proteggersi

ed è pertanto sottoposto al basilare difetto di giudizio riguardo ai danni derivanti dall’abuso di

droga. L’autore identifica nel tossicodipendente una deficiente funzione regolatoria degli affetti ,

del controllo degli impulsi e del mantenimento dell’autostima.

Questa teoria, apparentemente molto esplicativa e certamente, in specifici casi, del

tutto sostenibile sul piano idiografico, e' diventata lo schema interpretativo preferito da

chiunque voglia prendere le distanze da un atteggiamento giudicante e moralistico

verso la tossicodipendenza, assumendone invece una visione comprensiva.

6 Una variante dell’ipotesi dell’autocura, è la teoria dell’alleviamento della disforia (Mueser et al., 1998; Vetere,1999). Questi Autori sostengono che esiste una elevata vulnerabilità, favorevole l’assunzione di sostanze, in pazienti che soffrono di sintomi disforici. Si tratta di una categoria abbastanza eterogenea di sintomi, quali l’ansia, la noia, i sentimenti di solitudine; ma rientrano anche gli effetti collaterali di farmaci,come i neurolettici. In una revisione critica della loro ipotesi, Mueser ed altri hanno precisato una teoria dell’ipersensibilizzazione, in base alla quale fattori di predisposizione genetica e traumi precoci, insieme ad altri fattori ambientali, possano promuovere il ricorso all’abuso di sostanze , spesso concomitante alla presenza di un disturbo psichiatrico.

22

In effetti, l'idea che le sostanze abbiano un ruolo adattativo (almeno sul breve periodo),

compensando i deficit dell'organizzazione difensiva del tossicomane, appare molto suggestiva e

quasi "autoesplicativa".

Nonostante la sua universale diffusione, la teoria dell'autocura non e' stata validata (Castaneda

R, 1994; Maremmani I, 1997; Kosten TR, 1997), anzi ne e' stato messo in discussione il significato

(sul lungo periodo, prevalgono gli aspetti disadattativi dell'uso di sostanze). Benché non sia stata

valicata , l’ipotesi dell’auto-medicazione ha modificato l’approccio psicodinamico , focalizzando

l’attenzione sulle relazioni del soggetto e sulle funzioni dell’Io . Pertanto , tramite questo

passaggio , è diminuita l’enfasi posta sui temi quali la regressione e la perversione ( debitori del

modello pulsionale) ed una maggiore sottolineatura degli aspetti adattivi e relazionali, in senso

ampio , dell’uso delle sostanze.

Un altro importante autore ha preso posizione relativamente alle caratteristiche personologiche

ed evolutive del tossicodipendente è Hartmann (Hatrmann 1969). Egli scrive : “ Fra le

motivazioni inconsce ( in aggiunta alla gratificazione e all’identificazione passiva con un genitore )

il bisogno di sostituire un oggetto perso sembra giocare un ruolo importante nell’ambito della

tossicodipendenza.” L’abuso di sostanze si configura , in questo caso , come una dipendenza da un

oggetto esterno che fornisce “tutto”.

Secondo Hartmann così come secondo Khantzian , le sostanze andrebbero a mitigare un dolore

psichico di diversa natura : ad esempio , la cocaina appare più legata a sintomi depressivi e da

svuotamento ; l’eroina controllerebbe le esplosioni di rabbia violenta ; l’alcol adempirebbe alla

funzione di sostituire le assenti strutture psichiche e restaurare un senso di rispetto di sé e di

armonia interna ( Khantzian 1986 ; ; Kohut , 1971 ).

2.3 L’approccio cognitivo - comportamentale

La teoria cognitivo - comportamentale considera la tossicodipendenza una condizione appresa

che coinvolge il sistema biologico , sociale e psicologico dell’individuo e che induce conseguenze

e modificazioni in queste tre aree. L’abuso di sostanze è considerato un comportamento appreso

nell’ambito sociale e non esistente prima nel repertorio del soggetto. Un ruolo importante

nell’apprendimento dell’abuso può essere svolto da condizioni familiari che hanno già abitudini di

addiction , e da fattori individuali di vulnerabilità. Infatti , i disturbi d’abuso e di dipendenza sono

l’espressione di una distorsione nello sviluppo del sistema autoregolativo del soggetto che trova la

23

sua origine in pattern alterati nella regolazione del legame di attaccamento. I soggetti

tossicodipendenti emergono come totalmente inadeguati nel far fronte ai cambiamenti biologici e

psicosociali dell’adolescenza (Mascetti,1999), pertanto è riconoscibile un deficit specifico delle

funzioni metacognitive. Tali processi si strutturano come l’insieme delle conoscenze e delle

conoscenze sulle conoscenze che permettono di accedere e regolare i pensieri stessi e che hanno

come scopo quello di pianificare l’attività progettuale,monitorarla,controllarla e verificarne i

risultati.7

E’ ragionevole pensare , sostengono gli studiosi , che il primo avvicinamento alle sostanze sia

determinato sia da una serie di circostanze sfavorevoli , sia dalla marcata vulnerabilità personale ,

sia dal tentativo di raggiungere una qualche forma di autocontrollo emotivo.

Questa prospettiva considera il soggetto un “agente mentale” e l’atto di assumere sostanze

psicoattive è considerato il frutto dei processi decisionali, più o meno consapevoli, mediati da

variabili cognitive, emotive , relazionali che favoriscono l’apprendimento comportamentale

dell’abuso di sostanze. Seguendo l’ipotesi dell’apprendimento comportamentale , il soggetto

apprende il comportamento del consumo e dell’abuso di sostanze secondo le sequenze del

condizionamento classico ed operante. Un ruolo primario è svolto dall’apprendimento per

Imitazione e un ruolo altrettanto importante è svolto dalla Ricerca di Rinforzi Sociali ed

Informazionali forniti dal gruppo di appartenenza .

Le prime somministrazioni creano un tipo di Rinforzo Incondizionato che il soggetto

tossicodipendente attribuisce alle sensazioni derivanti dai cambiamenti neurochimici innescati

dalla sostanza il significato più in sintonia con il bisogno e le aspettative del momento. Ciò

costituisce l’unica strategia possibile di adattamento , o la più funzionale rispetto alle altre.

Gli effetti della sostanza provocano anche una Risposta fasica del Riflesso Incondizionato (RI ,

insieme delle sensazioni provate dal soggetto) ; a questa si accompagnano solitamente dei

Rinforzi Condizionati di tipo sociale ed informazionale ( r+ ) che provengono dall’ambiente di

7 La prospettiva cognitivo-comportamentale per i disturbi d’abuso e di dipendenza identifica tre aree nelle quali si manifesta il deficit di autoregolazione e monitoraggio cognitivo che necessitano di essere affrontate: 1)ambivalenza cronica: il soggetto tossicodipendente è sempre ambivalente nei suoi comportamenti e nelle sue percezioni, a partire dalla costituzionale ambivalenza tra autonomia e dipendenza; 2) esitamento degli stati mentali: appare nelle forme di uno schema rigido ed automatico di approccio alla realtà,in grado di salvaguardare il soggetto dalla sofferenza derivante dalla riflessione su se stesso; 3)stati emotivi agiti ed espressi tramite il corpo: l’abuso di sostanze è una strategia sostitutiva rispetto a quella cognitiva,per rendere accessibili stati mentali altrimenti irraggiungibili.

24

consumo , dai compagni abusers etc. I Rinforzi Avversativi (r-) sono determinati , solitamente

dall’ambito familiare e dalla conseguenze negative dell’assunzione della sostanza.

Tenendo conto dei principi di condizionamento, gli studiosi identificano anche stimoli

condizionati di tipo esterocettivo ( il luogo di consumo , il tempo preciso della giornata in cui si

assume la sostanza ) ed enterocettivo ( corrispondenti ai rapidi cambiamenti umorali che il

soggetto sperimenta rispetto all’ambiente,alle persone e alle eventuali problematiche personali).

Si può quindi supporre che i condizionamenti instaurati cioè il Riflesso Incondizionato della

specifica sostanza,il Condizionamento connotato da rinforzi positivi che si verifica durante la

durata d’azione della sostanza,l’apprendimento di Stimoli Condizionati in grado di produrre

Risposte Condizionate simili alla sostanza, possano determinare la progressiva insorgenza del

desiderio di procurarsi ancora rinforzi.

Le conseguenze del consumo producono sempre nuove classi di rinforzi condizionati per il

soggetto, sia a livello enterocettivo sia a livello centrale: questi elementi sembrano essere

fondamentali nella continuazione dell’abuso.

2.4 L’approccio sistemico-relazionale

Ludwig Von Bertalanfly (1983) delineò una Teoria Generale dei Sistemi per spiegare una

prospettiva di studio dei fenomeni biologici opposta all’approccio meccanico – riduzionista che

vigeva prevalentemente fino a quel momento . Scrive Bertalanfly che “la scienza sistemica cerca di

superare i limiti della visione meccanicistica del mondo e , in quello stesso processo rintrodurre

l’elemento umanistico che si era andato perdendo .”

La famiglia , o meglio il sistema familiare , è stato uno dei concetti base su cui si è sviluppata la

Teoria relazionale sistemica e dal quale sono nati altri oggetti di studio.

Come totalità il sistema familiare è molto di più della somma dei suoi membri o sottosistemi.

La famiglia e il sovra-sistema in cui vive rimangono in equilibrio ecologico , scambiando funzioni

e soddisfacendo bisogni reciprocamente. Il sistema familiare si sviluppa attraverso la

differenziazione e specializzazione dei suoi membri che evolvono dalla totale dipendenza , verso

l’autonomia e poi verso l’indipendenza.

25

La maggior parte degli studiosi relazionali sistemici hanno cercato di mettere in rapporto i vari

aspetti delle tossicodipendenze con caratteristiche delle famiglie d’origine.

Secondo di versi autori (Blum 1972 ; Hunt 1974 ; Kandel 1978 ) c’è una relazione tra qualità

dell’interazione familiare e il rischio di tossicodipendenza dei figli. Ne consegue che un’azione

educativa preventiva sarebbe più efficace a livello familiare che a livello di rete o di comunità.

J. Bergerèt (1980) parla di famiglia “syncratica” , nella quale le nuove strutture familiari

aumenterebbero le difficoltà di identificazione degli adolescenti . Ad esempio : l’assenza fisica del

padre , la scarsa autorità dello stesso o l’eccesso di autorità paterna possono creare problemi nella

costruzione dell’immagine identificatoria necessaria per lo sviluppo e per il cammino verso

l’indipendenza. E’ per questo motivo che il rapporto con la legge per il tossicodipendente (

rapporto reale o immaginario che sia ) è carente ( Bergerèt 1980 ; Oliverstein 1982) : quelli

incaricati di renderlo vigente e vivo sono “forclusi” ( padre vecchio , impotente , omosessuale o

vissuto come incapace di provocare piacere alla madre).

Secondo Schwartzman (Schwartzman ,1975) la problematica appena descritta non può essere

centrata solo sulla figura paterna . Secondo l’autore la vicinanza tra madre e figlio mette sempre il

padre in posizione periferica. In particolare all’interno di una famiglia con figlio

tossicodipendente , la madre protegge e difende il figlio dagli attacchi del padre creando

inconsapevolmente un conflitto cronico tra le due figure genitoriali. E’ il figlio a riaprire

continuamente le “crepe” del rapporto tra i due genitori , pertanto con questo movimento riesce a

mantenere le relazioni tra i suoi genitori intorno al suo sintomo . Per Schwartzman ( Schwartzman

1975) questi tipi di famiglie sono dominate anche da altri tipi di funzionamento del genere

“mancanza di controllo” , come l’alcolismo , il gusto per il gioco d’azzardo , l’obesità , oltre che il

mito della “mancanza di controllo” da parte di un membro della famiglia nella sua storia.

Il messaggio al figlio , da parte del genitore ipercoinvolto ( solitamente la madre o il genitore di

sesso opposto a quello del figlio) è : “non essere incontrollabile”.

Questa è un’ingiunzione paradossale e implica da parte del paziente di controllare la propria

incontrollabilità , dunque di avere bisogno di costrizioni. L’unica risposta adatta sarebbe quella

tossicomania.

Si sviluppa in questo senso il concetto di Stanton (Stanton ,1982)di “pseudoindividuazione” del

giovane adulto che praticamente , attraverso la condotta tossicomania sceglie di non scegliere ,

risolvendo il dilemma irresolubile di rimanere dentro e fuori dalla famiglia nello stesso tempo.

26

Altri autori si sono occupanti di definire delle tipologie o dei “giochi” che riassumono le

caratteristiche diverse sul piano psicologico , familiare , sociale e anche rispetto al tipo di sostanze

e alle modalità del consumo ( M. Sellini , 1988 ) 8.

2.5 La “filosofia” dei Narcotici Anonimi 9

La tossicodipendenza è per N.A una “malattia fisica , psichica e spirituale” mantenuta dalla

compulsione e dalla perdita di controllo scatenate dalla prima assunzione di qualunque sostanza

psicoattiva. Il disturbo insorge in persone con “problemi di carattere” e in breve tempo isola il

soggetto da tutto ciò che gli sta attorno .

I “difetti di carattere” che denotano la personalità del tossicodipendente , sono i seguenti e sono

per N.A accentuati dall’abuso di sostanze : impulsività , testardaggine , egoismo , inclinazione alla

menzogna , insicurezza , ambivalenza nel tono dell’umore ed instabilità nei rapporti interpersonali.

N.A considera fondamentale lavorare in gruppo insieme al soggetto che riconosce il suo

problema di dipendenza , focalizzando l’attenzione sulla violenza che contraddistingue il desiderio

di ottenere la sostanza e sulle sue peculiarità caratteriali.

Il solo modo per comprendere e gestire la tossicodipendenza , è per N.A , un continuo sforzo

teso al cambiamento profondo della propria persona. La persona tossicodipendente deve compiere

un itinerario personale , in modo da analizzare , comprendere e mutare , non solo le proprie

8 In particolare L. Cancrini ha descritto quattro tipologie tossicomaniche : TIPO A : tossicomanie traumatiche : spesso il tossicodipendente di questo tipo è il figlio/a modello . L’insorgenza del sintomo è in corrispondenza di un grave trauma (lutto , malattia , separazione…) . la persona si trova , in quel caso , nell’impossibilità di chiedere aiuto per l’elaborazione del trauma. L’abitudine tossicomania è distruttiva , teatrale , con dosaggi rapidamente elevati e rischio di overdose . TIPO B: tossicomanie da nevrosi attuale : il comportamento tossicomanico è utilizzato all’interno di una situazione conflittuale nella famiglia. Si osserva un forte coinvolgimento del genitore del sesso opposto e ruolo periferico dell’altro. Viene descritta una struttura dove i confini non sono definiti. C’è spesso la presenza di un figlio tossicodipendente “cattivo” , contrapposto ad uno “buono”. La tossicodipendenza è di tipo depressivo e implica un atteggiamento provocatorio verso tutti . TIPO C: tossicomanie di transizione : si può riscontrare un massiccio ricorso alla disconferma dei messaggi altrui all’interno di queste famiglie; entrambi i genitori sono fortemente coinvolti nella tossicomania del figlio . In questo caso si possono osservare stati maniacali dove la sostanza sembra alleviare sofferenze personali , spesso di tipo depressivo. TIPO D : tossicomanie sociopatiche : il modello familiare è quello delle famiglie “disimpegnate” , profondamente disorganizzate. Spesso si tratta di famiglie deprivate economicamente e socialmente. La tossicodipendenza si inserisce all’interno di una carriera deviante , il comportamento è provocatorio e incapace di chiedere e ricevere sia aiuto sia affetto. Elevata è la frequenza di condotte politossicomaniche. 9 Narcotici Anonimi (N.A) è un’associazione di tossicodipendenti in recupero , presente in numerosi Paesi. Per il recupero delle tossicodipendenze N.A utilizza un approccio non professionistico , interamente basato sull’auto-aiuto.

27

abitudini di abuso , bensì la propria personalità : così facendo il soggetto potrà vivere in maniera

responsabile e socialmente accettabile.

3. Considerazioni conclusive

Secondo Johnson ( 1999) le linee di studio principali in relazione alla tossicodipendenza sono

essenzialmente due :

- autori che sottolineano il ruolo delle sostanze rispetto ad aspetti specifici , quasi di

“controllo” sintomatologico ;

- autori che enfatizzano il ruolo di oggetto sostitutivo .

Secondo Vaglum (1999) , le aree problematiche individuate dagli autori che si occupano di

tossicodipendenza sono :

- l’area narcistica (autostima , regressione );

- l’area dell’autoregolazione emotiva ( o del “poor affect control” ).

Se si accetta che la tossicodipendenza non sia esclusivamente la risultante della potenza

farmacologica della sostanza e dei suoi meccanismi di azione, e peraltro non sia neppure

esclusivamente un "prodotto" della psiche che sceglie una modalita' di espressione o di

compensazione tra le tante, ma che sia invece una patologia della/nella relazione tra soggetto e

sostanza, si deve anche riconoscere che esistono importanti diversita' nell'universo di chi assume

droghe: il rapporto soggetto-sostanza non e' unico e identico per tutti e bisogna riconoscere che,

anche considerando la medesima sostanza e soggetti con uguali condizioni psicopatologiche, e'

possibile distinguere almeno quattro pattern di relazione: uso, abuso, dipendenza e mania .

L'uso (cioe' una assunzione di sostanza che non comporta problemi di nessun tipo) di sostanze

potenzialmente tossicomanigene e' certamente possibile: nella nostra cultura questo e' evidente per

l'alcol dove, a fianco di moltissimi alcolisti, esistono consumatori che mai, in vita loro,

manifestano problematiche alcol-correlate, anche quando possono essere presenti disturbi

dell'umore o di personalita'.

28

L'assunzione di sostanza che causa problemi non di per sé , ma esclusivamente in relazione al

contesto in cui avviene, e' un abuso; il contesto può essere di tipo normativo (divieti per Legge), di

tipo sanitario (protezione da rischi), di tipo relazionale (conflittualità).

La dipendenza e' la necessità di assumere la sostanza per compensare una alterazione

dell'omeostasi (biopsicologica) dell'individuo indotta dalla sostanza stessa, che ne compromette la

funzionalita' (cognitiva, emotiva, fisiologica). Nella dipendenza, l'assunzione di sostanza

restituisce al soggetto in astinenza una condizione di apparente equilibrio che mima la "normalità".

Non si considera dipendenza la necessita' di assumere sostanza (ad esempio, un farmaco qualsiasi)

se la sostanza non corregge uno stato di squilibrio da essa stessa determinato.

La mania e' una assunzione di sostanza dominata dalla impulsività, dalla escalation della

avidità, dalla coartazione della coscienza anche durante e dopo l'assunzione; la sostanza non

apporta ri-equilibrio e compenso come nella dipendenza, e non consente una ripresa

apparentemente normale delle funzioni cognitive, emotive, biologiche, ma anzi amplifica sempre

di più lo squilibrio dell'individuo.

L'incontro con la sostanza tossicomanigena e' radicalmente trasformativo: il soggetto fa una

esperienza che lo cambia in profondità , in quanto, come detto sopra, coinvolge le dimensioni

biologiche e psicologiche più profonde.

Per di più, le modalità di vita del tossicomane sono fortemente stressanti, emozionanti, ed

esercitano un efficace effetto di compenso alla depressione disperante che spesso incombe,

sostenendo difese di tipo maniacale.

Se sopra abbiamo sostenuto che non e' possibile riconoscere una personalità premorbosa tipica

del tossicodipendente, vogliamo ora affermare che questa "trasformazione" operata dall'esperienza

della sostanza fa convergere le modalità di funzionamento di soggetti, in origine molto diversi tra

loro, verso alcune caratteristiche che potremmo definire come "personalità post-morbosa" del

tossicodipendente.

Infatti, i soggetti tossicodipendenti, pur diversissimi tra loro e anche se in forme e in dimensioni

diverse, condividono quegli aspetti che seguono:

1. Avidità: la pulsione orale divoratrice, il bisogno di introdurre in sè, di ingoiare, il tutto e subito, il trionfo

maniacale dell'annientamento di ogni ostacolo (meccanismo che funziona anche nei confronti del programma di cura,

che si vuole rapido e indolore);

29

2. Compulsività/impulsività: l'insorgere del desiderio, subdolo o tumultuoso, che sfuoca ogni altro oggetto, che

cambia il valore alle cose, il modo di pensare, cui segue la scarica motoria del passaggio all'atto e il down successivo,

determinando una discontinuità emotiva e cognitiva traumatica e destabilizzante;

3. Lutto per l'oggetto perduto: l'oggetto-droga lascia un vuoto profondo nella vita del paziente, vuoto

difficilmente colmabile da altri oggetti, meno totalizzanti e gratificanti.Il paziente vive un disorientamento esistenziale,

nel quale il sentimento prevalente e' la nostalgia per ciò che si e' lasciato e non si puo' sostituire. Inoltre, siccome il

lutto e' metaforico e dipende da una rinuncia affidata alla sua scelta (che e' sempre reversibile), il pensiero e l'umore

del paziente oscillano tra il desiderio di cedere e il desiderio di astenersi;

4. Rimpianto per dimensione fusionale-eroica: l'alto livello emozionale connesso allo stile di vita tossicomanico

sostiene vissuti eroici, grandiosi (pur nella tragicità) che offrono un senso di pienezza appagante, anche se fittizio.

Il coinvolgimento di strutture biologiche e psicologiche profonde e arcaiche, connesse al piacere, sostiene la

sensazione di vivere una esperienza totalizzante, che altera i confini e le forme delle parti di sé e degli oggetti esterni e

offre una percezione esaltante di pseudounità (fusione).

5. La rinuncia nei confronti della droga non cancella il ricordo, la memoria dell'esperienza, che subisce, nel tempo,

una trasformazione che cancella gli aspetti negativi (che motivano al cambiamento) e trattiene quelli positivi (che

amplificano il rischio di ricadute).

6. La vita senza droga offre spesso panorami spenti e grigi, depressivi, nei quali non vi e' traccia di grandiosità: il

processo di adattamento ad una vita "normale" non procede spontaneo e lineare.

7. Discontinuita' del Sè: il soggetto si vive, in relazione al suo rapporto con le sostanze (prima della

tossicodipendenza, durante la tossicodipendenza, dopo la cessazione dell'assunzione di sostanze), come "interrotto".

8. Nella fase di separazione dalla sostanza, cerca di ricongiungersi al suo ricordo di come

era prima della tossicodipendenza, tentando di eliminare, oltre alla sostanza, anche il periodo di vita ad essa connesso

come se fosse una "non vita", un tempo "fermo" e sradicato, durante il quale non era veramente se stesso.

Il tentativo di cucire il presente direttamente al prima saltando il "mentre", forma una piega (come quando si cuciono

insieme parti lontane di un tessuto) nella storia personale nella quale rimangono nascoste, come in una tasca, parti di sè

non riconosciute.La gestione di questa operazione di nascondimento richiede in realtà molte energie e restituisce al

soggetto la sensazione di non avere la capacità di ricongiungere le diverse parti della storia personale in un continuum

di senso. Anche questo aspetto sostiene la particolare depressione da cessazione dell'assunzione di sostanze e alimenta

il malessere che può spingere alla ricaduta.

Queste caratteristiche consentono di fare una diagnosi di patologia da dipendenza attraverso la

valutazione psicopatologica anche in assenza di una assunzione in atto di sostanze e anche se non

coesistono comportamenti antisociali che, in questa prospettiva, assumono il valore di fattori

complicanti, che aggravano il quadro clinico, ma non lo definiscono.

Gli aspetti sociologici, spesso associati alla tossicodipendenza in modo stereotipato

(comportamenti devianti e criminali, amorali, trascuratezza per la propria salute, etc.) hanno a

volte un ruolo confondente, spingendo il terapeuta a considerare sostanzialmente diverse le

30

problematiche del paziente benestante e colto (in cui si tende a riconoscere una psicogenesi

significativa e la necessità di una psicoterapia) da quelle del paziente

deprivato (per il quale si privilegiano letture socioculturali e interventi rieducativi). Se le

differenze di intervento sono certamente segno della competenza del terapeuta (e della

disponibilità di servizi), non bisogna tuttavia dimenticare che il nucleo bio-psico-patologico e'

comune e che la risposta terapeutica al problema del paziente deve certamente essere modulata in

relazione alle risorse del paziente, ma e' una risposta alle stesse identiche domande fondamentali.

Il problema e' fare un corretto inquadramento diagnostico, più che affidarsi a categorie

sociologiche.

CAPITOLO II

IL GRUPPO COME STRUMENTO D’ELEZIONE NEL TRATTAMENTO DI PAZIENTI CON

DISTURBI DA USO DI SOSTANZE PSICOATTIVE

31

Introduzione

Le prime osservazioni cliniche circa le proprietà terapeutiche esprimibili dalle dinamiche

gruppali risalgono storicamente ai primi del ‘900 con l’attività di S.H Pratt , medico di Boston ,

che riunì in gruppo i suoi pazienti tubercolotici poiché riteneva costruttivo discutere insieme dei

problemi emotivi da essi condivisi. Egli evidenziò immediatamente come la condivisione dei

problemi e l’universalizzazione delle tematiche potessero divenire uno specifico strumento

terapeutico del gruppo.

Benché già Freud, nel 1899, nella Interpretazione dei sogni, avesse sostenuto che la psicologia

individuale è fin dall’inizio psicologia sociale, intendendo con ciò sottolineare come non fosse

possibile studiare un individuo “decontestualizzandolo” (cioè esaminandolo al di fuori del suo

ambiente), le prime applicazioni risalgono tuttavia al 1905.

Si deve a Burrow ( in occasione della collaborazione con Freud) , il primo interesse per

l’applicazione delle nuove teorie psicoanalitiche nell’osservazione delle dinamiche gruppali. Intuì

l’importanza della comunicazione e della condivisione per risolvere i conflitti intrapsichici ,

strettamente connessi alla realtà sociale e familiare del paziente. Egli è il primo a proporre il

termine “gruppo-analisi” e a formulare il concetto di “matrice”10 : nel gruppo evidenziava una

sorta di micro-società alla quale il singolo era strettamente legato . L’individuo , secondo Burrow

10 “La matrice filogenetica rappresenta la base della vita sociale dell’uomo , così come l’identificazione primaria del bambino con la madre è la base ontogenetica per il suo successivo sviluppo come individuo” ( Burrow , 1926)

32

(1907), si trovava in continuità diretta con il gruppo , fosse esso gruppo sociale di appartenenza o

gruppo inteso come specie.

Lo strumento specifico del gruppo , fu riconosciuto con maggior enfasi in Europa , soprattutto

presso la Tavistock Clinic in Inghilterra.

Presso la Tavistock Clinic lavorarono numerosi studiosi illustri , tra questi Bion. Egli fu

chiamato ad istituire gruppi terapeutici e vi applicò le conoscenze apprese durante gli esperimenti

gruppali per la riabilitazione dei soldati , vittime di nevrosi di guerra.

Bion (1961) collaborò anche con Rickman , con il quale approfondì la pratica gruppale e le

nozioni della field-theory di Lewin . Per questi due studiosi , il gruppo ( se si mobilita come una

totalità) attiva risorse e disponibilità superiori al singolo. L’aspetto innovativo del loro lavoro

consisteva

nella lettura psicodinamica della vita gruppale : un gruppo aveva ragione di esistere in quanto

possedeva un compito, nei confronti del quale si sviluppavano inevitabilmente tensioni

contrapposte , alcune facilitanti , altre ostacolanti11.

Lewin (1936) in Germania , quasi contemporaneamente a Burrow , aveva teorizzato i concetti

della field-theory e della dinamica di gruppo. Lewin , in collaborazione con la Tavistock Clinic ,

portò a compimento il modello del T-group : uno dei primi gruppi esperienziali utilizzato per la

formazione nelle organizzazioni e lo studio delle dinamiche di gruppo.

Il concetto di “campo”12 introdotto da Lewin , descriveva un sistema di forze la cui

caratteristica non era fornita dai singoli elementi presenti,bensì dalla loro globalità nell’ hic et

nunc.

11 Bion sosteneva che il gruppo fosse dotato di una mentalità propria e funzionasse , pertanto , come una totalità con due livelli di funzionamento : un livello del compito ed un livello regressivo legato agli assunti di base.11 Il livello del compito si identifica con il gruppo di lavoro , luogo dove i membri attuano uno scopo dichiarato e collaborano per raggiungerlo. Il livello regressivo si identifica con gli assunti di base : dipendenza,attacco-fuga e accoppiamento. Gli assunti di base sono fantasie inconsce e onnipotenti che tendono ad evitare le frustrazioni . Essi definiscono il modo di pensare e agire del gruppo e non conoscono le nozioni di tempo ,di processo e di linguaggio simbolico. Il livello del compito si identifica con il gruppo di lavoro , luogo dove i membri attuano uno scopo dichiarato e collaborano per raggiungerlo. Il livello regressivo si identifica con gli assunti di base : dipendenza,attacco-fuga e accoppiamento. Gli assunti di base sono fantasie inconsce e onnipotenti che tendono ad evitare le frustrazioni . Essi definiscono il modo di pensare e agire del gruppo e non conoscono le nozioni di tempo ,di processo e di linguaggio simbolico. 12 Gli elementi del campo sono sempre connessi tra loro tramite un sistema di relazioni ed ogni modificazione all’interno del campo , dipende unicamente dalla configurazione assunta dallo stesso in quel preciso momento. Pertanto, il concetto di “contemporaneità della causazione” , sottolineava come il sistema gruppale non fosse riducibile alla somma dei suoi partecipanti e come gli accadimenti all’interno dello stesso fossero dovuti alla reciproca interdipendenza tra i suoi membri nell ’hic et nunc.

33

Alla tematica dell’hic et nunc , fu dedicata particolare attenzione anche da parte di Foulkes che

riprese le teorie di Lewin all’interno del suo lavoro con i gruppi.

La sua concezione di gruppo-analisi era intesa come “una forma di psicoterapia praticata dal

gruppo nei confronti del gruppo,ivi incluso il suo conduttore”. Foulkes fu il primo ad esplicitare la

teoria del gruppo come strumento terapeutico , nel quale è necessario allentare le conflittualità per

far fluire la comunicazione 13.

I lavori di questi pionieri hanno attirato , in seguito , l’attenzione di numerosi clinici e

ricercatori alla ricerca sia di nuovi campi di applicazione delle teorie psicologiche sia di una

migliore definizione delle dinamiche interagenti nello sviluppo dei fattori caratteristici nell’attività

del gruppo.

L’interesse rispetto alle potenzialità dei gruppi , si è orientato seguendo due linee principali

(Carraro, 1997) : una , rivolta all’osservazione degli aspetti e delle possibilità applicative

psicoterapiche in senso stretto del termine ; l’altra , rivolta ad applicazioni allargate , integranti

diverse modalità d’approccio che potessero permettere l’accesso a realtà psicopatologiche e/o

problematiche differenziate.

1. Il gruppo terapeutico e la sua applicazione nel trattamento di pazienti con disturbo da

uso di sostanze

Indipendentemente dall’organizzazione formale e teorica , il gruppo terapeutico svolge una

funzione complessa per i soggetti tossicodipendenti : esso li supporta nella sviluppo di un progetto

comune (Carraro ,1997) all’interno del quale confluiscono fantasie , aspettative e desideri

(individuali , interazionali e relativi all’ambito dell’istituzione curante) . All’interno di questi

gruppi, si riattivano per i pazienti tossicodipendenti , elementi arcaici relativi alla natura umana

stessa (Vanni , 1985) : fattori unici ma poliedrici pertinenti all’unione di tutti i partecipanti e

diversi dalla “somma” degli stessi. Si crea una vera e propria “atmosfera di gruppo” (A.A V.V ,

1997) che porta alla nascita della cosiddetta “mente di gruppo” : essa è , per i soggetti

13Egli approfondì anche il concetto di matrice , suddividendolo in matrice “personale” ( o gruppo interno) e matrice “dinamica” ( o rete comunicativa gruppale).“La matrice personale viene transferalmente riattualizzata in tutte le situazioni relazionali , ivi compreso il gruppo terapeutico , ove concorre alla formazione della matrice dinamica . Il gruppo è un sistema originato dall’incontro di sottosistemi rappresentati dai singoli membri e dall’analista stesso , che produce una rete di comunicazione inconscia che dà senso condivisibile a tutti i fenomeni che accadono e che è sempre il risultato della compresenza di quelle persone in quel preciso momento…(Foulkes,1964)

34

tossicodipendenti , la messa in atto di una comunicazione sincrona e autentica , spesso mai

percepita prima.

Gli autori che si sono accostati all’opportunità di utilizzare lo strumento gruppale nella cura dei

tossicodipendenti , hanno sottolineato la necessità di introdurre alcune modifiche rispetto ai

capisaldi delle tecniche terapeutiche tradizionali :

- l’alleanza terapeutica è un obiettivo piuttosto che un presupposto ;

- l’atteggiamento del terapeuta , almeno inizialmente , deve essere più empatico che

interpretativo14 ;

- la forte tendenza all’idealizzazione deve essere trasformata in coesione di gruppo , cioè nella

capacità di lavorare insieme mantenendo ciascuno la propria individualità ;

- il gruppo deve avere qualche funzione di confronto con la realtà quotidiana e con gli altri ,

promovendo feedback reciproci tra i partecipanti al gruppo stesso15 ;

- dal momento che si interagisce con una patologia sia deficitaria sia conflittuale , talora con

aspetti di frammentazione , è necessario incentivare la funzione gruppale di “collante” : la

coesione si presenta di nuovo come un elemento terapeutico proprio del gruppo da enfatizzare.

Il panorama delle applicazioni del gruppo terapeutico per soggetti tossicodipendenti è vario e

molto numeroso , ma nonostante esiste una copiosa variabilità di tecniche e teorie , tutte queste si

rifanno ad alcuni imprescindibili principi e potenzialità insite nello strumento “gruppo”.

2. Concetti teorici delle dinamiche di gruppo

Ogni gruppo , (qualsiasi sia la tipologia di orientamento psicologico a cui fa riferimento)

costituisce una sua specifica ed irripetibile storia : pertanto , è corretto supporre che le dinamiche

che compaiono in modo ricorrente nella vita gruppale ci consentano di fare delle generalizzazioni e

di formulare ipotesi (Corbella , 2003).

Deve essere precisato che qualsiasi gruppo , prima ancora di esistere nella realtà , si costituisce

come oggetto immaginario tanto nella mente dei pazienti quanto nella mente del conduttore

14 Spesso , avvertono gli autori , potrebbe capitare di dover interpretare ( seppur con atteggiamento assai prudente) alcune manifestazioni dei pazienti : questa tecnica provocherà , specialmente nelle prime fasi del gruppo , notevoli difese che debbono essere totalmente accettate dal terapeuta . Solo in un secondo momento , sarà possibile una qualche elaborazione delle stesse , tuttavia senza modificare in toto l’apparato difensivo del soggetto (Ricci et al,1997). 15 Il feedback da parte dei partecipanti al gruppo permette , a questa tipologia di pazienti , di riflettere sui loro modelli di comportamento distorti . Ascoltando i consigli e le opinioni altrui , i soggetti tossicodipendenti possono apprendere come qualcosa per loro estremamente “normale” , possa recare danno agli altri : questo è il rpimo passo verso il cambiamento.

35

attivando fantasie ed elementi inconsci provenienti dalla storia personale e dalle aspettative degli

stessi.

Pertanto , nel gruppo si ritrovano individui con diverse formazioni e appartenenze socio-

culturali che lo rendono un “laboratorio sociale protetto” ( Corbella , 2003) dove , nel tempo ,

valorizzare le proprie diverse identità tramite l’interazione gruppale verbale e non.

Secondo Mackenzie ( MacKenzie , 2002) esistono alcuni fenomeni che si riscontrano in tutti i

gruppi e che formano le basi per la loro stessa concettualizzazione : i concetti teorici delle

dinamiche di gruppo.

Tab.1 Concetti teorici delle dinamiche di gruppo

1)Struttura del gruppo 5)Ruoli sociali del gruppo

2)Norme di gruppo 6)Coesione di gruppo

3)Dimensioni del gruppo 7)Fattori terapeutici di gruppo

4)Sviluppo del gruppo

(MacKenzie , 2002)

1) Struttura del gruppo :

Gli elementi strutturali di base di un gruppo terapeutico creano molti importanti confini 16. In

terapia di gruppo , il modo migliore per pensare i confini è considerarli come dimensioni

16 Secondo MacKenzie ( Mackenzie , 2002) , esistono in ogni gruppo (indipendentemente dall’orientamento teorico stabilito) , sette importanti strutture di confine : Confine esterno del gruppo : è la struttura del gruppo che comprende tutti i partecipanti e il conduttore. Confine di conduzione : è uno specifico confine interpersonale che si estende oltre il confine esterno del gruppo. Rappresenta solitamente la struttura organizzativa , amministrativa , burocratica alla quale appartiene il conduttore. Confine del terapeuta : è il confine personale del conduttore che si rapporta con i membri del gruppo come persona reale e come professionista. Confine personale dell’individuo : esso è il “luogo” dove vengono percepite le possibili differenze fra come il membro del gruppo si sente dentro e come potrebbero vederlo gli altri componenti. Confine interpersonale : esso si instaura tra due componenti del gruppo . Permette l’applicazione del lavoro terapeutico e lo scambio di materiale significativo. Confini interni : essi si riferiscono a dei confini ipotetici interni dell’individuo. Le diverse tradizioni teoriche utilizzano termini diversi per spiegare gli stati interni del singolo. Secondo MacKenzie , una delle teorie più complete per

36

psicologiche all’interno dello spazio di gruppo. La costituzione di uno specifico spazio gruppale

permette di distinguere tra il “dentro” e il “fuori” del gruppo , evidenziando il senso di

appartenenza e la differenziazione tra ciò che è del gruppo e ciò che non lo è.

E’ importante sottolineare che nello spazio fisico gruppale si esprime anche uno spazio psicologico

collettivo , influenzato dalle esperienze personali dei membri del gruppo e del clima dominante

nell’ hic et nunc della singola seduta. E’ possibile affermare che lo spazio gruppale reale

rappresenta , attraverso gli agiti e i pensieri dei membri del gruppo , il loro mondo interno

(Corbella , 2003).

2) Le norme di gruppo

Le norme di gruppo sono parte integrante del dispositivo gruppale e sono necessarie per una

partecipazione positiva alla terapia di gruppo. Le norme riflettono non solo le regole di

comportamento da adottare durante gli incontri di gruppo , bensì le aspettative implicite ed

esplicite dei membri su come dovrebbero funzionare gli incontri stessi ( MacKenzie , 1979).

Enunciando in modo chiaro le norme del gruppo , è possibile creare un ponte tra le fantasie del

paziente e la realtà, diminuendo l’ansia iniziale e il timore dell’ignoto (Corbella , 2003).

L’enunciazione delle regole avviene , di norma , all’interno dei colloqui preparatori all’ingresso

e/o alla formazione del gruppo.

Ovviamente , proprio perché le regole sono funzionali al buon andamento terapeutico , possono

variare leggermente a seconda della cornice istituzionale e delle condizioni effettive di lavoro , ma

generalmente seguono sempre le stesse linee principali :

Tempo : il conduttore deve specificare ogni quanto tempo (solitamente una o due volte alla

settimana) il gruppo si riunirà nel luogo prestabilito e quanto durerà ogni incontro ( solitamente

un’ora o un’ora e mezza);

comprendere gli stati interni dell’individuo è la cosiddetta “ Finestra di Johari”. Essa si presenta come un mezzo molto utile per promuovere un lavoro efficace e di insight. E’ basata su un modello bi-dimensionale di cose conosciute e sconosciute a sé e agli altri e prevede : un Sé Conosciuto accompagnato da una Conoscenza Pubblica (parte del Sé nota agli altri) ; un Sé Sconosciuto accompagnato da Punti Oscuri (parte di Sé ignota agli altri). Confine del sotto-gruppo : esso si crea in modo piuttosto frequente quando alcuni partecipanti sviluppano un senso di identificazione reciproco molto forte. Tale sviluppo può essere un evento di sostegno positivo o può interferire con il lavoro di gruppo.

37

Periodi di sospensione : è necessario avvertite tutti i partecipanti di eventuali momenti di

sospensione degli incontri , in modo che gli stessi possano organizzare il proprio tempo tenendo

conto di questa componente ;

Pagamento : questa voce è legata all’ambito della terapia di gruppo in sedi private. Deve

essere specificato che ogni paziente è tenuto a pagare la stessa cifra degli altri membri

(indipendentemente dalle condizioni economiche) ed è tenuto a pagare anche le sedute in cui sarà

assente ;

Puntualità : ogni membro è inventato a presentarsi agli incontri puntualmente sia a vantaggio

di una partecipazione seria e costruttiva alla terapia sia nel rispetto altrui. Questa regola sottolinea

l’interdipendenza dei membri gli uni dagli altri , per cui il buon andamento gruppale dipende da

ogni partecipante alle sedute.

Espressione libera : l’invito è sempre quello di esprimersi liberamente da ogni vincolo logico

, in modo da caratterizzare lo spazio gruppale come spazio “altro”Il paziente deve esprimersi anche

nella veemenza dell’ hic et nunc , affermando inn modo esplicito il proprio pensiero. Questo darà

luogo alla cosiddetta “discussione fluttuante” ( Foulkes , 1975) che costituirà una sorta di

catena associativa gruppale. Questo concetto sottolinea l’importanza della dialettica tra singolo e

gruppo , evidenziando come ogni partecipante contribuisca alla costruzione di un “prodotto”

condiviso.

Riservatezza : è una regola spesso implicita e richiesta naturalmente dal paziente. Il

conduttore è tenuto , comunque , ad esplicitarla perché sottolinea la valorizzazione e la

responsabilizzazione del paziente . La stessa risulta fondamentale per l’autenticità della

partecipazione (Corbella ,2003).

In ambito privato è obbligatoria la condizione per cui nessuno dei membri si conosca. Il

terapeuta , pertanto , esegue un’indagine per escludere eventuali conoscenze pregresse tra i

partecipanti. In caso affermativo , cerca soluzioni alternative per la prosecuzione della terapia di

gruppo.

In ambito pubblico ( contesto comunitario , aziende ospedaliere , servizi sanitari pubblici etc. ) ,

questa regola spesso non può essere rispettata.

Molti pazienti frequentano abitualmente gli stessi servizi nei medesimi orari ( ad esempio , per i

pazienti tossicodipendenti , la somministrazione della terapia sostitutiva al Ser.T) e svolgono

attività terapeutiche e non in comune ( gruppi terapeutici/educativi organizzati dai servizi pubblici

e dalle comunità di recupero).

38

In particolare , in qualsiasi contesto comunitario e pertanto anche in quello dove ho svolto

attività di tirocinio17 , i pazienti vivono insieme e si conoscono tra loro .

Questo elemento non è mai stato ( nella mia esperienza di Gruppi di Incontro rogersiano ) ,

motivo particolare di difficoltà e conflittualità , ha invece permesso una maggiore coesione di

gruppo e altresì un miglior confronto tra i partecipanti.

Regola dell’astinenza : questa norma (in ambito privato e pubblico ,laddove i partecipanti

non si conoscano) è stata introdotta al fine di limitare le interazioni/relazioni dei membri del

gruppo al tempo degli incontri. In realtà , l’esperienza dei terapeuti , ha confermato che questo

“divieto” viene regolarmente trasgredito.

E’ opinione ormai condivisa che momenti di incontro al di fuori del setting terapeutico , da

parte di tutti i partecipanti ( escluso il terapeuta ) o da parte di alcuni degli stessi , possa avere un

significato produttivo per l’andamento gruppale. E’ necessario che il contenuto degli incontri , al

di fuori di quelli terapeutici , sia riportato nel gruppo ( questo sia in ambito privato che pubblico ) e

venga accolto come materiale significativo da elaborare insieme. E’ fondamentale che non si

creino dei “non detti” , sempre deleteri per il buon funzionamento del percorso terapeutico.

E’ necessario che il terapeuta cerchi sempre di comprendere quale sia la comunicazione

sottostante a qualsiasi trasgressione delle regole sopra enunciate , da parte del membro del gruppo.

3) Le dimensioni del gruppo

Il numero dei partecipanti di un gruppo e la sua modifica influisce sul processo interattivo del

gruppo stesso secondo modalità prevedibili ( Mullen e Goethals , 1987 ; Hare , 1976).

Pertanto il numero di possibili interazioni è in funzione delle dimensioni del gruppo. Se un

gruppo è molto numeroso , aumenta direttamente la sua potenziale complessità 18.

Durante il percorso terapeutico , il conduttore potrebbe trovarsi nella condizione di poter

ammettere altri partecipanti al gruppo. In questo caso , l’arrivo del nuovo componente , dovrà

essere negoziato con l’equilibrio delle forze in interazione all’interno del sistema gruppale. 17 Comunità “Dianova Onlus” di Garbagnate Milanese.

18 L’aumento delle dimensioni del gruppo comporta in genere quanto segue (MacKenzie , 1997): - una maggiore ricerca dell’attenzione del conduttore per combattere le sensazioni di “perdersi nella massa” ; - maggiori suddivisioni in sottogruppi per riuscire a sviluppare un senso di legame personale ; - partecipazione disomogenea , con alcuni partecipanti dominanti e altri meno attivi; minore attenzione ai fatti

privati e alla responsabilità personale ; - una maggiore probabilità di sviluppo di comportamenti disinibiti , perché i partecipanti possono nascondersi

all’interno di un collettivo più ampio , o nei sottogruppi.

39

Di solito i gruppi a lungo termine utilizzano un metodo di lento ricambio ( slow-open) , ovvero

un metodo che prevede una rotazione dei pazienti . I gruppi a tempo limitato utilizzano solitamente

un formato di gruppo chiuso. Gli stessi , infatti , possiedono una data di conclusione già stabilita e

prevedono (eccezionalmente ) una rotazione di pazienti , solo nelle prime due o tre sedute : in

questo modo si accettano modifiche iniziali del gruppo , quando lo stesso non ha ancora raggiunto

un alto grado di coinvolgimento.

Generalmente i gruppi condotti all’interno di contesti comunitari , all’interno di programmi

terapeutici ospedalieri e all’interno di interventi sulla crisi , non seguono in modo così preciso le

indicazioni appena citate.

E’ usuale che queste tipologie di gruppo si confrontino spesso con la necessità di ammettere

nuovi ingressi (anche settimanalmente ). Per questo motivo , spesso viene utilizzato un formato

slow-open di rotazione dei pazienti con particolare attenzione alla fase di preparazione del nuovo

ingresso.

Se l’obiettivo del conduttore è quello di utilizzare le interazioni fra partecipanti come principale

focus terapeutico , la dimensione ideale del gruppo è tra i 4/5 e i 10 partecipanti. Quando i gruppi

superano i 10 componenti , la complessità crescente delle interazioni rende difficoltoso

concentrarsi sui rapporti tra singoli e sul singolo stesso. Una volta che il gruppo ha superato i 15

elementi , si perde rapidamente la capacità di rispondere alle necessità individuali .Un contesto del

genere può essere adatto all’interno di attività strutturate di formazione , poiché rende difficile il

lavoro autentico interpersonale.

4) Fasi di sviluppo del gruppo

Le diverse fasi di sviluppo di un gruppo si riscontrano sempre , indipendentemente

dall’orientamento teorico del conduttore.Comprendere lo sviluppo del gruppo in termini di fasi

evolutive fornisce al terapeuta un’efficace prospettiva per dare significato agli eventi che si

verificano ( MacKenzie , 1994 , Beck 1974).

Il modello delle fasi di sviluppo del gruppo presentato da MacKenzie ( MacKenzie , 1994) è il

modello più breve e sistematico per la comprensione dello sviluppo del gruppo e riassume

efficacemente le tappe fondamentali che tutti gli orientamenti terapeutici assumono .

40

- La fase del coinvolgimento : il conduttore deve impegnarsi perché le persone diventino

consapevoli di fare parte attiva di un gruppo e coinvolgerli nei processi del gruppo stesso. Alla

base del processo di coinvolgimento esistono due meccanismi . Il primo è la ricerca di temi comuni

: questo mezzo offre ai partecipanti l’opportunità di entrare facilmente in relazione tra loro . Il

processo è guidato principalmente dalla necessità di trovare somiglianze con gli altri membri. E’

compito del conduttore creare un clima dove la comunicazione possa essere autentica e

significativa. Inizialmente , il terapeuta si troverà di fronte ad un “girare a vuoto” , ad una prima

comunicazione molto difensiva , non autentica. Si crea , pertanto , uno stato d’animo di incertezza

condivisa dove sono definiti solo i ruoli del conduttore e dei pazienti. Dovrà essere proprio a

condivisione l’elemento da sottolineare da parte del conduttore per iniziare a coinvolgere i pazienti

e porre le basi per una comunicazione non convenzionale. E’ normale che per i pazienti il gruppo

“nascente” costituisca un tutto monolitico , rappresentante un “terzo” che rompe il legame sicuro

della coppia terapeuta-paziente . Inizialmente, la ricerca di somiglianze ed affinità ( momento

essenziale per riconoscersi come gruppo ) porterà a negare le diversità e a creare un’illusione

comune di possibile uniformità primitiva.

Da questo inizio di fusionalità “formale” , presente in un gruppo che esiste da poco , dal

cominciare a stare bene insieme , anche se con una modalità in parte sterile , si origina la

potenzialità di evolversi verso una fusionalità più autentica (Corbella,2003). Il processo che porta

ad una fusionalità positiva e profonda , porterà a valorizzare l’omogeneità senza negare le

reciproche individualità.

Il secondo meccanismo utile a creare il processo di coinvolgimento è il riconoscimento del gruppo

come luogo speciale , con caratteristiche uniche . Se queste qualità sono condivise dai membri del

gruppo , si attua il meccanismo del “narcisismo gruppale” ( Neri,1995) : esso risponde al bisogno

di sicurezza dei partecipanti , fornisce le basi al bisogno di appartenenza e fornisce la possibilità di

costruire una specifica cultura gruppale (Anzieu,1976).

Gli obiettivi della fase di coinvolgimento sono soddisfatti quando tutti i membri hanno sviluppato

un solido impegno a partecipare e ad interagire attivamente nella discussione di gruppo.

- La fase di differenziazione : quando le potenzialità della fase fusionale ha perso le sue

caratteristiche positive e vivificanti , si presenta nel gruppo un fase di stasi e di malessere che

assume toni piuttosto negativi. Diminuiscono le interazioni tra i membri , la comunicazione è

ferma , le sensazioni sono quella della noia e dell’inadeguatezza ed emergono potenziali conflitti.

E’ compito del conduttore , per primo , non uniformarsi al clima gruppale ed iniziare a “pensare da

41

solo”.Il conduttore deve farsi portavoce del tentativo di risolvere una difficoltà condivisa ,nata nel

campo gruppale. La responsabilità di pensare singolarmente implica un primo movimento di

differenziazione e di allontanamento dal gruppo. Individuarsi comporta accettare dei limiti ,

sottoporsi ad un esame di realtà e divenire consapevoli anche di aspetti negativi di sé.Il conduttore

deve condividere questi vissuti con i partecipanti per accompagnarli nel loro primo movimento

difensivo verso la separazione : il differenziarsi viene percepito in modo angoscioso e negativo

rispetto alla precedente fase fusionale. L’intensità di questa atmosfera di confronto porta ad un

aumento della definizione del singolo e della sua complessità. Il terapeuta , in questa fase , si pone

come modello che , differenziandosi dagli altri , affronta ( senza lasciarsi annichilire ) l’ostilità dei

pazienti.

La fase di coinvolgimento e la fase di differenziazione si riscontrano ( MacKenzie, 1997) tra le 4 e

le 8 settimane , in un gruppo che si incontra settimanalmente.

- La fase di lavoro interazionale : il gruppo è pronto per iniziare ad affrontare i conflitti di

ciascuno in modo più profondo. Le capacità acquisite precedentemente creano un ambiente in cui è

possibile identificarsi e mettere alla prova i propri modelli interpersonali. La natura strettamente

personale di questo lavoro aumenta la vicinanza tra i membri e fa nascere un crescente senso di

intimità.Le questioni relative all’autostima e alla fiducia sono cruciali in questa fase dove è alto il

rischio di essere rifiutati.Analizzando le relazioni , i partecipanti diventano sempre più consapevoli

del rapporto tra indipendenza e ipercoinvolgimento. Le caratteristiche relative alla dipendenza e al

controllo sono una parte centrale del lavoro interazionale.

- La fase di conclusione : il compito finale del gruppo è il processo di conclusione . Durante il

processo di gestione della fine del gruppo vengono messe a fuoco tematiche diverse ed importanti :

i partecipanti possono pensare di non avere ottenuto abbastanza dal gruppo e questo determina un

forte sentimento di perdita ;oppure possono sentirsi impauriti dall’idea di poter “funzionare bene

anche da soli” , sensazione che può sfociare in un movimento regressivo ( una sorta di “scivolare

all’indietro” , un “ripasso delle vecchie dinamiche e dei vecchi sintomi ). Nel gruppo , però , c’è

sempre chi ricorda i traguardi raggiunti e stimola la ripresa in avanti . Invece , se un partecipante -

spinto dall’invidia - sostiene il movimento regressivo , sarà il paziente alla fine del percorso a

difendere naturalmente e fermamente i propri obiettivi acquisiti. Altre volte è possibile che il

membro alla fine del percorso terapeutico sferri un attacco anche violento nei confronti del

terapeuta : spesso questo si configura come un tentativo di negare la paura della separazione e il

dolore per la perdita.

42

Esiste ,ovviamente , anche il forte senso di gratitudine del paziente nei confronti del gruppo e del

conduttore. Questo sentimento proviene solo dopo il riconoscimento della fatica e del lavoro

terapeutico svolto , valorizzando lo strumento del gruppo : il successo di uno è il frutto del lavoro

di tutti.

5) I ruoli sociali nel gruppo

Il concetto di “ruolo sociale” forma un ponte tra la personalità del singolo individuo e la sua

funzione all’interno del gruppo. Quando il processo terapeutico del gruppo necessita che uno o più

persone assumano un determinato ruolo , ha luogo fra i membri una modalità specifica interattiva

la cui risultante è la presentificazione di quel ruolo nel gruppo stesso (Corbella,2003). Tra

momenti di impasse e momenti di cambiamento , il gruppo si serve in diverse occasioni di

stereotipi universali : “i ruoli”. I ruoli sono veri e proprio stereotipi , in quanto richiamano a tutti

qualcosa di noto e comunicabile , ma ciò che viene comunicato manca di autenticità e appartiene

alla massa , senza possedere le caratteristiche del soggetto pensante. Quanto i ruoli comunicano

non è frutto di una scelta consapevole . Tuttavia , i ruoli sono eticamente indifferenti , né buoni né

cattivi , e ciò che li caratterizza in senso positivo o negativo è l’uso che il gruppo e i singoli ne

fanno , all’interno dei diversi incontri. Conoscendo la funzione e la natura dei ruoli sociali nel

gruppo , il conduttore li può assumere tutti in modo consapevole.

La scelta dell’assunzione del ruolo da parte di un membro del gruppo non è mai casuale : il

gruppo induce nell’individuo prescelto l’esasperazione della problematica affrontata e questo ne

diventa l’inconsapevole attore. Il ruolo così assunto con modalità stereotipate è giocato e percepito

in modo inconsapevole come espressione autentica.

Deve essere precisato che i ruoli sociali del gruppo possono diventare , con il tempo , consci:

essi si trasformano in maschere che si possono consapevolmente mettere e togliere , coscienti del

loro aspetto formalmente simbolico. In questo caso , i ruoli permettono di muoversi tra il passato e

il futuro , fungendo da “sonde” : rendono possibile rappresentare e riconoscere parti di sé non

precedentemente integrate ( relative al passato) e parti di sé connesse ad una virtuale identità futura

(Corbella,2003)19.

19 Più in generale , nella letteratura della psicologia sociale applicata alle tematiche di gruppo , sono stati rilevati quattro ruoli sociali di base ( Beck ,1974; Livesley e MacKenzie ,1983) . - Il ruolo socievole : colui che assume questo ruolo è definito in letteratura come il “conduttore socio-emotivo”. Ha

solitamente atteggiamenti amichevoli e supportivi , dimostrandosi impaziente di aiutare gli altri partecipanti (

43

6) La coesione del gruppo

Il termine “coesione di gruppo” viene usato per descrivere il tono emotivo generale del gruppo

(Drescher et al. ,1985 ; Budman et al. 1989 ). L’elemento fondamentale è che il termine coesione ,

si applica al funzionamento del gruppo intero e non alle specifiche interazioni tra singoli. I primi

aspetti positivi che i componenti percepiscono nel loro partecipare al gruppo derivano dal senso di

coesione e appartenenza.

La coesione implica che i partecipanti devono essere impegnati rispetto agli obiettivi e al lavoro

di gruppo. Essi possono identificarsi l’uno con l’altro verso uno scopo comune e provare un senso

di adeguatezza verso le attività di gruppo. In genere , tale identificazione verso uno scopo comune

comprende anche l’identificazione positiva con il conduttore del gruppo. La coesione (Budman et

al. 1987), in genere , viene considerata come un’importante condizione per il cambiamento ,

l’equivalente dell’alleanza terapeutica del gruppo e la maniera più attendibile per valutarla consiste

nell’osservare il comportamento reale del gruppo.

I partecipanti di un gruppo coeso (Budman et al. 1989 ) , frequentano regolarmente , sono

puntuali e tendono ad essere autentici e poco difensivi. I gruppi coesi sono caratterizzati da alti

livelli di partecipazione e da un senso di coinvolgimento reale durante le sedute. Questi sono

inoltre caratterizzati da un alto livello di accettazione reciproca tra i partecipanti e sperimentano

con maggior enfasi ai momenti di confronto.

spesso a proprio svantaggio). Hanno generalmente una funzione costruttiva nel gruppo e sono fondamentali nella fase del coinvolgimento.

- Il ruolo strutturale : colui che assume questo ruolo è definito in letteratura come il “conduttore del compito”. E’ molto attivo nell’organizzazione e nella partecipazione del gruppo , tanto da controllare e gestire il processo di gruppo stesso. Spesso dispensa consigli agli altri partecipanti ma è in difficoltà a riceverne per sé , in quanto possiede modalità piuttosto rigide.Questa concentrazione rispetto alla padronanza cognitiva , spesso impedisce un’apertura autentica al gruppo.

- Il ruolo oppositivo : colui che assume questo ruolo è definito in letteratura come il “capro espiatorio”. Tende a contestare e ad assumere posizioni contrarie alla maggioranza dei membri. I partecipanti che assumono questo ruolo promuovono l’interazione gruppale , ma rischiano di essere attaccati dagli altri componenti diventando bersaglio di tensioni negative. La persona che assume questo ruolo è fondamentale nella fase di differenziazione.

- Il ruolo prudente: il partecipante che assume questo ruolo tende ad essere riluttante al confronto , poco disposto a rivelare qualcosa di sé agli altri . A volte questo distacco è accompagnato da un tono arrabbiato e insoddisfatto. A causa del loro basso livello di attività, rischia di essere ignorato e/o criticato per non mettersi in gioco a sufficienza. Allo stesso tempo, possono fungere da modelli rispetto alle tematiche dell’autonomia e del coinvolgimento.

44

La coesione è particolarmente importante nelle fasi iniziali di un gruppo ed indica quanto il

gruppo sia riuscito a stabilire un’atmosfera di lavoro costruttiva.

7) I fattori terapeutici

Nei piccoli gruppi avvengono numerosi eventi - definiti “fattori terapeutici” – che promuovono

la coesione del gruppo e che si mostrano particolarmente utili per i partecipanti ( Corsini e

Rosemberg , 1955 ; Yalom ,1970 ; Crouch et al. ,1994) . I fattori terapeutici sono dei meccanismi

interni al gruppo , indipendenti dall’orientamento teorico del conduttore. Essi si rinforzano

reciprocamente , poiché la realizzazione di uno promuove l’affermarsi degli altri. Questi fattori ,

che derivano dalla lunga tradizione di psicoterapia di gruppo , sono stati raggruppati in quattro

categorie ( MacKenzie , 1997) : fattori di sostegno , fattori di autorivelazione , fattori di

apprendimento e fattori di lavoro psicologico.

- Fattori di sostegno : condivisione , accettazione , altruismo e speranza20. Essi promuovono il

senso di coinvolgimento e di appartenenza al gruppo .Sono efficaci nell’affrontare la

demoralizzazione e la bassa autostima , caratteristiche piuttosto frequenti nei pazienti che

richiedono una psicoterapia.Questi fattori emergono spontaneamente all’inizio dell’interazione di

gruppo : sono fattori che nutrono la speranza di un cambiamento reale. Sebbene siano cruciali nelle

fasi iniziale degli incontri , i fattori di sostegno continuano ad essere importanti durante tutte le

sedute.

- Fattori di autorivelazione : apertura di sé e catarsi21. L’autorivelazione , in uno specifico

contesto di gruppo , viene esposta alle opinioni e alle valutazioni di altre persone , producendo così

maggiore ansia. Allo stesso tempo , essa fornisce un’opportunità unica per sperimentare la

20 Condivisione : i partecipanti si accorgono ben presto che altri hanno avuto esperienze simili alle loro. La sensazione di avere qualcosa in comune con gli altri è un rinforzo potente per l’appartenenza al gruppo e diminuisce la percezione dell’isolamento. Accettazione :in un gruppo , l’approvazione è un percorso da costruire e la sensazione di essere accettati dagli altri membri diviene una forte spinta all’autostima. Questo fattore denta protettivo nei confronti dei sentimenti di angoscia e alienazione. Altruismo : tutti i membri dei gruppi , riportano l’importanza di avere l’opportunità di essere di aiuto agli altri componenti. Questo processo altruistico , specifico del contesto gruppale , aiuta a creare un senso di valore personale.Speranza :un effetto precoce degli incontri di gruppo è il recupero dell’autostima che deriva dall’accettazione e dal sostenimento dei partecipanti. Questo recupero dell’autostima alimenta la speranza di un cambiamento e di un miglioramento personale. Questo fattore è altamente protettivo nei momenti di down degli incontri di gruppo. 21 Apertura di sé : la rivelazione di informazioni personali è necessaria perché il gruppo possa progredire. Il paziente , riportando esperienze di sé , accetta che esse vengano utilizzate in scambi successivi impara la loro importanza nell’arricchire la coesione di gruppo. Catarsi : l’espressione di tutta la gamma delle emozioni sentite , implica un vero e proprio processo di “ossigenazione” che promuove un senso di sollievo e di padronanza di sé , portando generalmente alla costruzione di legami interazionali più forti.

45

comprensione di tutti i partecipanti verso un materiale che spesso ha causato al paziente reazioni

di intensa vergogna o colpa.

- Fattori di apprendimento : modeling , apprendimento indiretto , consigli ed istruzione22 .

Essi rappresentano le varie modalità attraverso le quali i pazienti apprendono dal processo di

gruppo. Questi fattori tendono ad essere poco considerati nella letteratura sui gruppi , ma hanno un

ruolo preciso durante gli incontri e i pazienti stessi li ritengono molto utili.

- Fattori di lavoro psicologico : apprendimento interpersonale e insight23. I fattori di lavoro

psicologico rendono evidente al partecipante , al conduttore e agli altri membri l’evoluzione del

percorso terapeutico. Essi si manifestano come momenti fondamentali di cambiamento psicologico

e di maggior consapevolezza delle proprie possibilità di miglioramento personale.

3. Alcune caratteristiche peculiari dei processi gruppali con pazienti tossicodipendenti

Il vasto panorama di applicazioni del gruppo come strumento terapeutico24 per la cua dei

tossicodipendenti , pur con la presenza di differenze teoriche e pratiche , riconosce a questo spazio

non solo le medesime dinamiche processuali , bensì alcune caratteristiche peculiari comuni (AA.

VV , 1993; Carraro , 1997 ; Liotti , 1997 ; Ricci , 1997).

3.1 Il gruppo come “spazio contenitore e trasformativo” per i soggetti tossicodipendenti

22 Modeling : imitare il comportamento degli altri è una delle strategie di apprendimento più naturali e fondamentali. I pazienti utilizzano come modello , nei primi incontri , i comportamenti del conduttore e con il passare del tempo quelli degli altri membri che ritengono efficaci. Apprendimento indiretto : questo fattore è correlato al modeling in quanto i partecipanti osservano il comportamento altrui e utilizzano questi dati per riflettere privatamente sulle proprie esperienze. L’apprendimento indiretto deriva in parte la sua efficacia da un processo di identificazione con un altro partecipante , aspetto strettamente connesso alla condivisione. Consigli : durante gli incontri , i partecipanti si scambiano consigli e indicazioni che spesso utilizzano come punti di vista alternativi sulla loro situazione. E’ molto importante specificare che la natura delle indicazioni è quella del suggerimento e non della direttiva (sia che provenga dal terapeuta sia che provenga da un altro membro).Anche questo fattore risulta importante per incoraggiare l’esperienza della condivisione. Istruzione : questo tipo di fattore è utilizzato solitamente nei gruppi psico-educativi , dove i membri vengono “istruiti” attraverso uno specifico programma educativo all’esperienza di gruppo. Questo approccio può essere un buon modo per intraprendere l’esperienza di gruppo per pazienti con problemi specifici (problemi alimentari , problemi di dipendenza , problemi legati all’umore…). 23 Apprendimento interpersonale : esso si verifica in un cerchio interattivo del Sé verso gli altri e viceversa. Questo processo conduce all’”esperienza emotiva correttiva” , fondamentale per il cambiamento psicologico. Questo fattore esplicita l’importanza del “qui ed ora” di gruppo come momento importante per la ricezione di feedback gruppali e per la messa in atto di comportamenti più efficaci ottenuti attraverso lo scambio gruppale. Insight : questo fattore costituisce la parte interiore del processo di apprendimento interpersonale ed identifica il momento in cui il soggetto acquisisce maggior consapevolezza e criticità rispetto alle sue problematiche. Un insight autentico dovrebbe essere accompagnato da prove evidenti di un funzionamento interpersonale e sociale più adattivo. 24 L’argomento sarà trattato in modo approfondito nel capitolo successivo.

46

La terapia di gruppo e quindi l’utilizzo del gruppo come strumento terapeutico , è considerata

(Zucca Alessandrelli , 2006) la via preferibile nell’ambito della cura psicologica dei pazienti che

soffrono di addiction.

Il gruppo attraverso la coesione e il senso di appartenenza dei suoi membri , si rivela come uno

spazio fisico e mentale contenitivo : ognuno , al suo interno , è libero dal giudizio degli altri, può

esprimersi liberamente e sentirsi al sicuro. Il gruppo è un contenitore che svolge la funzione di

“schermo protettivo” , dove sentirsi accolti , ascoltati e stabili : è un’occasione di sviluppo che

consente di affrontare le vulnerabilità determinate dalla dipendenza.

L’esperienza gruppale può fornire la ripresa di un’area relazionale alternativa alle scene modello

distruttive e reattive che costellano il passato di questi pazienti. Il gruppo aiuta il soggetto a creare

una “nuova narrazione” , un vero e proprio racconto storico ( alla cui formazione il soggetto

partecipa come attore ) che permette uno sguardo diverso nei confronti di un passato mortifero e

doloroso. E’ questa una delle potenzialità trasformative del gruppo : l’incontro tra i partecipanti e il

conduttore permette la costruzione di relazioni più sane , volte alla sperimentazione di modelli

nuovi di comportamento.

La difficile regolazione delle emozioni25 e dei sentimenti che caratterizza questa tipologia di

pazienti, viene appresa proprio dal contatto con gli altri , dai feedback ricevuti in un ambito non

giudicante e affettivo. I soggetti con problemi d’abuso di sostanze possono sperimentare un

progressivo contatto con le proprie emozioni , attraverso un linguaggio comune che le nomina. Ciò

avviene attraverso una sorta di risonanza corporea , mimica e gestuale , prima ancora della

comparsa delle emozioni vere e proprie e prima di un percorso di consapevolezza (Jacobone

,2006).

Vivere comunemente l’esperienza di gruppo è uno strumento che permette la costruzione di

pensieri e valori ideali gruppali di cui questi pazienti sono carenti (Jacobone , 2006) : in tal modo

viene ritrovata e rinnovata la vitalità e la validità dello scambio relazionale.

Una funzione derivante dalla partecipazione al gruppo e gruppo-specifica , come sosteneva

Foulkes (Foulkes , 1964) è il fenomeno del rispecchiamento. Quest’ultimo è particolarmente utile

per i soggetti che posseggono problematiche di tipo narcisistico – come i soggetti

25 I soggetti tossicodipendenti sono spesso deficitari ed immaturi a livello affettivo : alcuni vivono le emozioni ( sia positive che negative ) solo in maniera estrema e devastante ; altri vengono definiti “alessitimici” , ovvero persone incapaci di dare un nome alle proprie emozioni ( Krystall la considera una conseguenza di una situazione traumatica in epoca evolutiva , prima che gli affetti fossero pienamente desomatizzati , differenziati e rappresentati verbalmente) ; altri sostengono di non provare emozioni ( anaffettivi).

47

tossicodipendenti26 – (Pines, 1998 ; Ricci,2006 ). L’individuo vede riflesse nelle interazioni , nei

pensieri e nelle emozioni degli altri membri parti di sé . Secondo Folukes (Foulkes , 1964) , la

persona vede gli altri del gruppo agire come lei stessa agirebbe oppure in contrasto con sè : questo

processo porterebbe il soggetto a conoscere meglio se stesso , attraverso l’effetto che produce negli

altri partecipanti e attraverso l’immagine che gli altri si creano di lui.

Il gruppo attraverso le caratteristiche de senso di appartenenza e di solidarietà , fornisce

protezione e sostegno alle persone che lo formano , consentendo loro di sperimentare un senso

“personale” , in quanto gli altri “le riconoscono” (Jacobone,2005).

3.2 La variabile del tempo nei gruppi con Disturbi da Uso di Sostanze

Il tossicomane cerca di resistere al tempo e allo spazio. Egli ha l’obiettivo inconscio di

affrancarsi dall’angoscia del tempo che scorre attraverso un patto perverso con la sostanza , o

comunque con una realtà esterna senza limite e quindi onnipotente (Giannelli,2006).

Il fattore tempo ,collegato alla cronicità della patologia , è uno dei nodi critici nella presa in

carico delle dipendenze. Ciò implica la necessità di cambiare ed adeguare la teoria , la clinica , la

tecnica e il setting ,per gestire questo tipo di pazienti con le loro peculiarità , pensando a dei

“gruppi possibili” ( Cama , 2006) dove sia la cura ad adattarsi alla patologia e non viceversa (Rossi

, 2006 ).

Questi elementi sono direttamente connessi con la programmazione dei tempi delle terapie e

degli incontri di gruppo ( diversi , a seconda degli spazi – istituzionali e non – dove vengono

eseguiti ) . Secondo alcuni autori ( Sava e La Rosa , 2006) , questa prospettiva è in linea con il

“paradigma dell’et-et” : metodologia di lavoro che esplicita il paradigma della complessità

(Corbella ,2003). Nel lavoro clinico con i tossicodipendenti , è richiesto di valorizzare questa

26 Se la funzione “specchio” si è sviluppata in modo sano , il soggetto in questione è passato da una relazione narcisistica di rispecchiamento univoca ( “un sé che osserva se stesso nello specchio” , Pines 1964) ad una dove esiste uno scambio con una realtà differente e separata da sé (“un sé rispecchiato da un altro sé che gli risponde” , Pines 1964).Ma se la funzione di rispecchiamento è stata deficitaria , il soggetto è portato a soffrire di patologie di tipo narcisistico-come i tossicodipendenti (Zucca Alessandrelli,1999)dove l’individuazione e la differenziazione con l’altro sono state carenti e distorte.

48

complessità per incontrare il soggetto tossicodipendente , sintonizzarsi sulle sue rappresentazione

mentali ,cercando di capire quanti e quali siano i suoi bisogni dal punto di vista terapeutico.

Attualmente il lavoro terapeutico di gruppo ( ma anche quello individuale ) , nel trattamento

delle tossicodipendenze , prevede definiti limiti temporali. La variabile del tempo definita e

circoscritta , è particolarmente frequente ( soprattutto nel campo istituzionale ) , per diverse ragioni

(Corbella , 2003) : la tendenza a valorizzare la velocità dei processi ( “il tutto e subito”) ;

l’aziendalizzazione delle istituzioni pubbliche con particolare attenzione all’aspetto economico

della cura ; le specifiche patologie della nostra epoca caratterizzate da problematiche narcisistiche,

di personalità , di fragilità del Sé ( elementi che delineano perfettamente il disturbo della

tossicodipendenza ) , connotate da un pensiero primitivo e dalla difficoltà di tollerare i tempi

“lunghi” di un progetto e dell’attesa.

Pertanto , le tipologie di gruppo che si riscontrano più frequentemente nella cura delle

dipendenze sono: - Il gruppo a breve termine : si considerano brevi quelle terapie che possono prevedere da un minimo di tre

incontri fino ad un massimo di trenta e più incontri che si distribuiscono nell’arco di qualche settimana o mesi

(Corbella ,2003). Esso rappresenta una tappa ,un passaggio intermedio , in un processo di acquisizione e di ricerca di

strumenti gruppali più adeguati e funzionali (Sava et al. , 2006) .Il focus prevalente in questa tipologia di gruppo è

quello di fronteggiare uno stress esistenziale inaspettato – come l’esperienza di una malattia somatica particolarmente

invalidante - (Corbella ,2003) , oppure una problematica specifica – come quella della tossicodipendenza - , più

frequentemente in ambito istituzionale (Sava et al. , 2006) . Il tempo appare in questi gruppi una variabile con enormi

potenzialità terapeutiche : il suo essere esplicita nel limite permette al gruppo di aprirsi immediatamente al futuro

creando un processo partecipato e condiviso (Corbella ,2003). Inoltre , il fatto di vedere una fine , seppur parziale e per

fasi , del proprio trattamento e di verificarne l’efficacia e i risultati , esordisce ( Carraro ,2006 ; Ricci , 2006) un effetto

rinforzante nei confronti della compliance al trattamento e di rassicurazione rispetto alle angosce di intrappolamento e

di una possibile dipendenza dall’oggetto-gruppo.27

- Il gruppo a tempo determinato : si considerano determinati quei gruppi che possono durare uno o più anni , in

cui è costante che il termine del trattamento venga stabilito all’inizio . Gli stessi debbono essere considerati dal

conduttore e dai partecipanti come “episodi di trattamento” (Corbella ,2003).

- Gruppo semi-aperto (slow-open) :questa tipologia di gruppo prevede una rotazione di pazienti secondo le

modalità di un lento ricambio. Questa modalità aiuta, specialmente nell’ambito delle tossicodipendenze , dove sono

alte le probabilità di drop out , a non rimanere a lungo in una situazione mortifera dopo l’abbandono di alcuni

partecipanti. (Sava et al.,2006) . Poiché l’ingresso di nuovi membri non è una semplice assimilazione ,bensì una 27 Il soggetto con problemi di dipendenza ha molto timore di una situazione terapeutica di lunga durata o non ben definita ( Carraro,2001) . Tale indefinitezza temporale sembra rimandargli tutta la sua fragilità interna e venire da lui vissuta come un “qualcosa che può diventare molto grande , che può assorbirlo e portarlo in una situazione di dispersione e di perdita del senso di sé” (Zucca Alessandrelli,1999).Questi pazienti faticano a valorizzare l’attesa: la loro struttura di personalità li induce ad avere tutto e subito, attraverso modalità di controllo e dominio agite nei confronti degli altri.

49

ristrutturazione complessiva del gruppo , i partecipanti devono essere gradualmente preparati all’ingresso dei nuovi

pazienti.

- Gruppo aperto: questa modalità è utilizzata molto spesso all’interno dei servizi pubblici (comunità , reparti

ospedalieri ) e privati dove si constata un veloce turn-over dei pazienti . Gli incontri sono solitamente molto frequenti e

spesso i conduttori si trovano a dovere adeguare i propri riferimenti teorici alla realtà istituzionale in cui

lavorano.Spesso le tecniche terapeutiche sono riadattate e mirano a valenze comunicativo-espressive , non strettamente

psicoterapeutiche (Carraro , 1997 ; Lotti , 1997).

E’ importante ricordare che l’attributo principale del tempo ( in qualsiasi forma esso venga

declinato nelle terapie ) è la circolarità. Il tempo circolare nel processo gruppale diviene un tempo

spiraliforme ( Corbella , 2004) . Questa immagine facilita la visione della circolarità del tempo

come qualcosa di sostenibile , progettuale e al tempo stesso rispettoso della valenza non negativa

delle ripetizioni e dei “ritorni” , e integra l’identità statica con quella dinamica ( Zucca

Alessandrelli,2006).

3.3 L’omogeneità del problema della dipendenza : una caratteristica saliente nel processo

di gruppo

I soggetti tossicodipendenti che si trovano a svolgere una terapia di gruppo presentano

un’evidente caratteristica in comune : il problema della dipendenza.

La caratteristica dell’omogeneità28 all’interno dei gruppi ( in questo caso specifico la problematica

della tossicodipendenza) è funzionale alla creazione di un senso di appartenenza e di maggiore

coesione. Pertanto , i gruppi omogenei saranno facilitati nei movimenti fusionali e saranno più

resistenti verso quelli di individuazione. Questa implicazione si potrebbe rivelare particolarmente

pericolosa per la cura dei soggetti tossicodipendenti , non favorendone l’indipendenza . Per questo

motivo , i terapeuti hanno tentato di rispondere al problema attraverso il maggior utilizzo di gruppi

a termine : la consapevolezza del limite temporale , il lavorare sul “qui ed ora” e valorizzare la

28 La caratteristica dell’omogeneità può esplicitarsi secondo diverse variabili : il disturbo riportato , l’età dei partecipanti , il genere etc.

50

progettualità verso il futuro , promuove un “vettore intenzionale” che facilita la mobilizzazione di

precoci processi terapeutici (Fasolo,1992).

Secondo Corbella ( Corbella , 2003 ; 2004) ogni gruppo dove vengono accentuate le

caratteristiche dell’omogeneità dovrebbe avere un limite temporale stabilito. Questi due elementi

permettono , infatti, un utilizzo sinergico ed un’efficacia più elevata delle potenzialità della

“fusione” e dell’“individuazione”.I gruppi con queste caratteristiche sono maggiormente indicati (

Corbella 2004 ; MacKenzie , 1997) per coloro che hanno problematiche connotate dal senso di

vergogna e da situazioni patologiche con componenti di inadeguatezza proprio come quelle

riscontrate nei soggetti tossicodipendenti.

3.4 La dimensione corporea all’interno del gruppo con soggetti tossicodipendenti

All’interno del gruppo la comunicazione tra i membri non avviene solamente attraverso i

fondamentali strumenti della verbalizzazione e dell’ascolto , bensì attraverso la visione

dell’espressione corporea. Durante ogni incontro i partecipanti si guardano l’un l’altro e osservano

le dinamiche non-verbali dei propri corpi.

Questa dimensione si rivela particolarmente interessante per coloro che soffrono di addiction :

questi soggetti hanno utilizzato il loro corpo come un estraneo , lo hanno brutalizzato per

l’immediata gratificazione dei propri desideri. Il corpo è stato veicolo per la sostanza ed è stato

pertanto mortificato. Il corpo del tossicodipendente è un corpo particolare , con caratteristiche

spesso ben distinguibili : è malato , ignorato , maltrattato. Nella relazione coi tossicomani (Peyron,

1983) parla il corpo : non è possibile parlare attraverso i simboli , parlano solamente i segni visibili

sul corpo. Esso si presenta spesso come un “corpo agito” e per il conduttore del gruppo è facile

accorgesene. Il tossicodipendente fa molta fatica a ricercare le emozioni , a riconoscerle e a sentirle

in modo corretto. Alcuni studi ( Sciortino , 2006)29 hanno provato sperimentalmente che queste

caratteristiche ( descrivibili all’interno del continuum alessitimico )30 si sono rivelate come fattori

predettivi di un successivo ricorso alle sostanze.

29Sciortino S., “Alexithymia , locus of control and risk behaviour , a research study on a group of substance abusers” , in Bollettino per le Farmacodipendenze e l’Alcoolismo , XXIX-1-2/2006. 30 Nei primi anni ’70 del secolo scorso, Sifneos e Nemiah riscontrarono in svariati pazienti psicosomatici una caratteristica comune, e cioè la difficoltà a descrivere le proprie emozioni ed un’attività fantastica povera, tipica appunto del pensiero operatorio. Sifneos e Nemiah coniarono per questa condizione lo specifico termine di alessitimia (dal greco “mancanza di parole per le emozioni”), da non considerarsi una diagnosi clinica, ma un tratto stabile di personalità che interagisce con gli

51

E’ stato evidenziato , inoltre , come i soggetti tossicodipendenti presentino spesso le seguenti

caratteristiche : difficoltà nell’identificare i sentimenti e a distinguerli dalle sensazioni corporee

che li accompagnano ; difficoltà a comunicare verbalmente le emozioni provate agli altri e stile

cognitivo legato alla sensorialità e alla realtà esterna. Pertanto , un buon numero di soggetti con

problemi di dipendenza presenta difficoltà ad “ascoltare il proprio corpo” (Sciortino,2006) e ad

utilizzare l’analisi delle proprie emozioni soprattutto nei momenti stressanti. L’essere in quel corpo

(Olievenstein , 1981) acquista importanza solo quando trae piacere nell’istantaneità della sostanza :

è compito del gruppo riscoprire una dimensione corporea sana e ricreare per quei corpi una nuova

storia e una nuova consistenza ( Zucca Alessandrelli,1999 ; Olievenstein , 1981).

CAPITOLO III

LE TERAPIE DI GRUPPO NELLA CURA DEI PAZIENTI CON DISTURBO D’ABUSO DI

SOSTANZE

agenti stressanti come fattore aspecifico verso la somatizzazione e lo sviluppo di malattie. In un ideale continuum, che rappresenta la difficoltà nel riconoscere, comprendere e descrivere le esperienze emozionali, l’alessitimia potrebbe essere collocata all’estremo “meno grave” assieme all’inibizione emotiva, con all’opposto le più gravi condizioni di anaffettività e disaffettività .

52

Premessa

“La terapia di gruppo costituisce una delle principali metodiche utilizzate per il trattamento

della dipendenza dalle droghe” (Rawson ed altri 1989; Washton 1989;McAuliffe ed Albert 1992;

Vannicelli 1995; Washton 1997; Khantzian ed altri 1999).

La terapia di gruppo è stata, infatti, descritta di recente come “il trattamento d’elezione per

le dipendenze chimiche” (Matano e Yalom 1991). Matano e Yalom attribuiscono questa scelta al

“potere dei gruppi, cioè al potere di respingere le predominanti pressioni culturali che spingono il

soggetto ad assumere sostanze, di fornire un sostegno efficace a coloro i quali soffrono

dell’alienazione della dipendenza, di offrire dei modelli di ruolo e di sfruttare il potere dei pari,

una forza importante contro i processi di negazione e resistenza” ( Galanter, Kleber,1998).

I trattamenti di gruppo costituiscono, infatti, un potente ed efficace strumento di modificazione

dei comportamenti di abuso di sostanze, ampiamente utilizzato durante tutto il ciclo di cura, dal

53

ricovero, alla fase intensiva, ai programmi di after-care e sia nell’ambito dei programmi di

trattamento ambulatoriale che di quelli residenziali e semiresidenziali anche per la loro

“economicità”.

1. Terapie di gruppo nel trattamento di pazienti con Disturbo da Uso di Sostanze

Le tipologie di Terapia di Gruppo utilizzate nella cura dei soggetti con problemi di

tossicodipendenza sono numerosissime.

Gli approcci più diffusi, tuttavia, possono essere ricondotti ad alcune principali macro-

tipologie, distinguibili per il ricorso a diverse e specifiche modalità di trattamento dei problemi

di dipendenza (Carraro,1997 ; Marino , 2006):

1. Gruppi applicati più frequentemente nell’ambito istituzionale ( comunità terapeutiche ,

centri diurni , reparti ospedalieri etc.) , considerati interventi terapeutici di gruppo associati ad

interventi di altra natura (farmacologica , occupazionale…). Essi sono inseriti in un progetto

riabilitativo globale e l’attenzione è spesso focalizzata verso una maggiore consapevolezza delle

proprie espressioni emozionali e comportamentali che devono essere riconosciute e rielaborate.

Tra questi :

a) GRUPPI DI INCONTRO di C. Rogers . Gruppi relativamente non strutturati che si

preoccupano di promuovere nel soggetto tossicodipendente la crescita personale , lo sviluppo e

il miglioramento della comunicazione e dei rapporti interpersonali, attraverso un processo di

esperienza diretta ;

b) CBT GROUP (Gruppi di Terapia Cognitiva-Comportamentale per abusatori di sostanze) di

K. Carroll. Gruppi tendenti alla responsabilizzazione rispetto all’uso di sostanze e ai problemi ad

esso correlati di matrice cognitivo-comportamentale ;

c) GDC (Gruppi di Counseling delle droghe) di R.D.Weiss , S.M Mirin et al. Gruppi che

cercano di aumentare la consapevolezza del paziente rispetto alle numerose problematiche psico-

sociali che crea l’abuso di sostanze , tramite l’utilizzo di strategie di problem-solving e psico-

educazionali in linea con l’orientamento cognitivo-comportamentale ;

2. I Gruppi di matrice psicodinamica tendenti al riconoscimento e alla modificazione del

disturbo di tipo psichico sottendente il comportamento di addiction , quali i:

a) MDGT (Terapia Dinamica modificata di gruppo) di E.J. Khantzian . Gruppi terapeutici

a breve termine , organizzati in tre stadi e centrati su quattro focus terapeutici ;

54

b) GRF (Gruppo per la Ripresa delle Funzioni ) di C. Zucca Alessandrelli . Gruppi

terapeutici a breve termine di tipo “esperienziale” , strutturati secondo focus tematici ;

c) IPT GROUP (Terapia Interpersonale di gruppo per gli abusatori di sostanze ) di

Klerman , Weissman e Rounsaville . Gruppi a breve termine , finalizzati principalmente al

raggiungimento di uno stabile allontanamento dalle sostanze e alla creazione di nuove strategie

per affrontare i problemi interpersonali legati all’abuso.

3. Gruppi terapeutici che coinvolgono i familiari del paziente , tra i quali :

a) GRUPPI DI MATRICE SISTEMICO-RELAZIONALE PER ABUSATORI DI

SOSTANZE di S. Iacone et al. . Gruppi che sostengono la necessità del trattamento in parallelo

dei familiari del paziente per promuovere il vero processo di cura.

4. Gruppi di auto-aiuto :

a) GRUPPI di SELF-HELP DEI 12 PASSI - Narcotici Anonimi 31- che, a partire dal primo

modello di Alcolisti Anonimi costituiscono il modello di Gruppo di auto-aiuto più diffuso.

2. Le terapie di gruppo più frequenti nell’ambito istituzionale

2.1 GRUPPO D’INCONTRO ROGERSIANO32

Il Gruppo di Incontro applicato all’ambito della tossicodipendenza rappresenta l'applicazione

della teoria rogersiana alle dinamiche di gruppo (Brown, 1989; Di Maria, Lo Verso, 1995).

Tale applicazione dell'Approccio Centrato sulla Persona, manifesta una modalità di fare Gruppo

che tende ad esaltare la crescita autonoma della persona e lo sviluppo ed il miglioramento della

comunicazione e dei rapporti interpersonali, attraverso un processo di esperienza diretta

(Rogers, 1970; Mearns, Thorne, 1988).

Il gruppo rogersiano è solitamente ristretto , ma può comprendere fino a diciotto membri.

Nelle istituzioni , la durata del gruppo è di 90 minuti con frequenza settimanale. Questa tipologia

31 La prima riunione di Narcotici Anonimi fu tenuta nel 1944 negli Usa , come parte di una terapia ospedaliera di disintossicazione da oppiacei. Dal 1953 , le riunioni iniziarono ad estendersi e ad ampliarsi per la cura di dipendenza anche di altre sostanze psicoattive. 32 Questa tipologia di approccio sarà approfondita nel capitolo successivo , in quanto ha costituito l’orientamento teorico degli incontri di gruppo a cui ho partecipato presso la Comunità “Dianova Onlus” di Garbagnate Milanese.

55

di esperienza gruppale è a breve termine : le istituzioni solitamente concordano insieme ai

pazienti partecipanti un periodo di mesi in cui sviluppare il processo di gruppo, fedeli alle

indicazioni di Rogers (Rogers , 1970) che riconosceva nel gruppo d’incontro un’esperienza

“intensiva” .

Il ruolo dei "conduttori" non è quello di dirigere il Gruppo, ma di accompagnarlo; non è quello di

spingerlo, ma di facilitarlo nel suo processo di comunicazione. In questo senso, vengono definiti

più correttamente "facilitatori" o "agevolatori" del Gruppo. Pertanto, il loro ruolo è quello di

favorire un clima psicologico di sicurezza, pienamente accettante e non giudicante, in cui si

realizzino gradualmente la libertà di espressione e la riduzione degli atteggiamenti difensivi.

In questo senso, il Gruppo non viene diretto dagli agevolatori, ma soltanto facilitato nello

svolgersi del processo di discussione sulle tematiche che il Gruppo stesso si sceglie ed intende

affrontare.Sono infatti gli stessi soggetti tossicodipendenti a suggerire , di volta in volta , la

tematica da affrontare insieme.

Molto spesso questi si indirizzano autonomamente verso argomenti salienti relativi

alla loro struttura di personalità , come quelli suggeriti dai “focus tematici o terapeutici” della

MDGT (Khantzian, 1985) e del GRF (Zucca Alessandrelli , 2001).

In questo clima psicologico tendono ad essere espresse molte reazioni emotive immediate di ogni

membro verso gli altri e verso sé stesso (Pagès, 1975). Da questa mutua libertà di esprimere i

veri sentimenti, positivi e negativi, si sviluppa un clima di fiducia reciproca.

Ogni membro può procedere verso una maggiore accettazione del suo essere totale - emotivo,

intellettuale e fisico - così come esso è, compreso il suo potenziale. Nei soggetti dipendenti la

progressiva diminuzione della rigidezza difensiva, favorisce la possibilità di un cambiamento di

atteggiamenti e di comportamenti personali. Con la riduzione della rigidezza difensiva gli

individui possono ascoltarsi a vicenda e possono imparare maggiormente l'uno dall'altro ,

attuando la funzione di rispecchiamento. Da questa maggiore libertà a da questa migliore

comunicazione emergono nuove idee, nuovi concetti, nuove direzioni per i soggetti

tossicodipendenti. (Heap, 1985). Questi insegnamenti dell'esperienza di Gruppo tendono a

riversarsi, temporaneamente e in forma più durevole, nei rapporti interpersonali con l'esterno

(comunità,famiglia, ecc.). Il Gruppo di Incontro di matrice rogersiana trova ampia applicazione

nell’ambito delle tossicodipendenze in quanto – nella sua forma – è facilmente adattabile ai

contesti istituzionali ( comunità , reparti ospedalieri). In estrema sintesi, sono stati osservati

cambiamenti positivi importanti nei partecipanti di quasi ogni Gruppo rogersiano investigato

56

(Felletti , 1998 ; Tangolo , 2003; Fratini , 2004). L'autostima migliora, le tendenze ad una

crescita autonoma e personale si accentuano. Il Gruppo ha l'effetto di uno stimolo psicologico

all'accrescimento. Per i partecipanti con problemi di addiction si riscontrano cambiamenti nella

consapevolezza dei propri sentimenti e dei sentimenti degli altri, nella capacità di controllare i

sentimenti, nella realizzazione di sé stessi, negli atteggiamenti verso sé stessi, come l'autostima e

l'auto-accettazione, e verso gli altri, come la maggiore accettazione degli altri e la maggiore

partecipazione, nonché nella capacità di lavorare in gruppo per la soluzione di problemi : tutte

aree altamente problematiche nella vita dei tossicodipendenti .

2.2 CBT GROUP (COGNITIVE-BEHAVIOURAL THERAPY GROUP) DI

K.CARROLL-

Il trattamento cognitivo-comportamentale ideato da K. Carroll è diventato , nell’ambito della

cura delle dipendenze , un punto di riferimento importante. La terapia di gruppo è a breve

termine : la durata è stimata tra le 12 e le 16 settimane ed ogni incontro si estende per 90 minuti.

Il gruppo è semi-aperto e abbraccia una procedura di lento ricambio dei pazienti.

La CBT presenta due componenti peculiari :

- l’analisi funzionale33 ;

- skills training . 34

La terapia di gruppo cognitivo –comportamentale si suddivide in dieci sessioni che sottendono il

raggiungimento di alcuni obiettivi specifici per i pazienti prima di poter accedere alla fase

successiva.35

33 Essa consiste in una ricerca ed identificazione critica dei pensieri , delle emozioni e delle circostanze che il paziente prova prima e dopo l’abuso di sostanze. Inizialmente questa procedura aiuterà a capire le motivazioni che portano il soggetto a ripetere l’uso di sostanza ; più avanti , sarà utile per ricordare al paziente le situazioni dove si trova ancora in difficoltà a rispondere con strategie efficaci .

34 Attraverso le conversazioni degli incontri e gli “esercizi pratici” , il gruppo cerca di far disimparare le vecchie abitudini disfunzionali legate all’abuso ed impararne nuove , più sane.

35 La CBT (Rounsaville e Carroll, 1992) indica cinque “ critical tasks” , essenziali per il raggiungimento del termine del trattamento : incentivare la motivazione all’astinenza ; insegnare strategie di coping più sane ed efficaci per riconoscere le proprie abilità e risorse ; cambiare le contingenze disfunzionali che portavano all’abuso di sostanze e sostituirle con uno stile di vita più positivo , creando nuovi stimoli e nuove attività piacevoli ; aumentare le capacità di gestione di sensazioni dolorose che possono spingere il paziente a fare uso di sostanze ; incentivare il funzionamento interpersonale ed incentivare la creazione di una rete sociale di supporto efficiente .

57

Sessione 1 : introduzione al trattamento

La prima sessione è molto importante per il conduttore dal momento che deve indagare

numerose aree. I compiti che devono essere superati in questa prima sessione sono :

- Conoscere la storia dei partecipanti e costruire una relazione con loro;

- Aumentare la motivazione ;

- Negoziare gli obiettivi da raggiungere nel trattamento;

- Presentare il modello CBT . Presentare l’analisi funzionale e assegnarla come compito pratico

relativamente ai recenti episodi di abuso di sostanze.

Sessione 2 : mantenere la motivazione e l’impegno a smettere l’uso di sostanze

Durante questa sessione , i pazienti si sono già messi alla prova con la riduzione dell’uso di

sostanze e si pongono in modo più realistico verso la realizzazione degli obiettivi.

I compiti relativi a questa fase sono :

- Chiarire gli obiettivi;

- Affrontare l’ambivalenza rispetto all’astinenza ;

- Identificare ed affrontare i pensieri relativi alla sostanza , soprattutto per coloro che provengono

da ambienti molto disagiati e sono spesso coinvolti nella vendita , oltre che nell’abuso di

stupefacenti.

Sessione 3 : promuovere la sicurezza di sé.

Durante questa fase , i compiti da svolgere sono i seguenti :

- Valutare la disponibilità della sostanza nell’ambiente di vita del paziente e i passi necessari a

ridurla ;

- Ricordare al gruppo il percorso fatto fino al quel momento .

Sessione 4: comprendere le “decisioni apparentemente irrilevanti”

Il gruppo deve comprendere ed imparare a gestire quelle situazioni che creano – più o meno

inconsapevolmente – una catena di eventi che porta il soggetto a fare uso di sostanze. I compiti

della sessione sono i seguenti :

- Identificare e comprendere le “decisioni apparentemente irrilevanti” ;

58

-Identificare degli esempi personali di “decisioni apparentemente irrilevanti” e seguire in

gruppo esercizi pratici che aiutino ad affrontare queste situazioni in modo opportuno.

Sessione 5 : Coping Plan

In questa fase , il conduttore propone al gruppo alcune strategie e strumenti per costruire un

Coping Plan , ovvero un proprio piano strategico per affrontare gli stressors e situazioni

rischiose.

Il compito proposto è :

- Anticipare situazioni future ad alto rischio, cercare di immaginare alcune possibili circostanze

e costruire un piano d’azione realistico per fronteggiarle con le proprie risorse e con l’aiuto

degli altri.

Sessione 6: Problem-solving

Questa sessione si propone di fornire al gruppo alcune strategie di base con le quali affrontare un

range di problematiche differenti. I compiti proposti sono:

- Introdurre dei principi di base del problem-solving : ovvero riconoscere il problema ,

identificarne le caratteristiche , considerare diversi approcci alla soluzione , scegliere la

soluzione più adatta .

- Proporre esercizi pratici di gruppo per applicare la strategia del problem-solving.

Sessione 7: Gestione del caso

Molti partecipanti si presentano al gruppo con un insieme di problemi che aggravano la

condizione di tossicodipendenza . E’ per questo che la CBT si impegna , in questa fase , nei

seguenti compiti :

- Riesaminare e applicare i prinicipi base del problem-solving ai problemi psico-sociali che

rappresentano una barriera al trattamento ;

-Sviluppare un piano concreto di supporto per risolvere i problemi psico-sociali ;

- Monitorare e supportare gli sforzi del paziente per mettere in atto il piano di risoluzione.

Sessione 8 : Riduzione del rischio di HIV

59

Molti tra i partecipanti presentano pratiche sessuali e comportamentali ad alto rischio, pertanto il

conduttore si propone i seguenti compiti :

- Formare i pazienti rispetto al rischio di contagio e diminuire i comportamenti a rischio;

- Identificare specifici obiettivi di cambiamento a livello comportamentale ;

-Promuovere strategie di problem-solving per diminuire le probabilità di contagio ;

-Distribuire linee-guida sulla diminuzione del rischio.

Sessione 9: Coinvolgimento dei familiari e persone significative

Il terapeuta invita i partecipanti al gruppo a coinvolgere in questa fase le persone per loro

significative (parenti,amici,coniugi…). Lo scopo è quello di rafforzare ed esplorare insieme la

rete di supporto sociale. I compiti della sessione sono i seguenti :

-Offrire alle persone significative del partecipanti l’opportunità di capire il percorso terapeutico

effettuato ed esserne coinvolto ;

- Esplorare insieme le strategie con le quali le persone significative aiuteranno il paziente a

mantenere l’astinenza .

Sessione 10 : Termine del trattamento

Il gruppo che arriva alla conclusione del percorso terapeutico , rivede insieme ai partecipanti e al

terapeuta i seguenti compiti:

- Riesaminare insieme il progetto terapeutico e i successi ottenuti ;

-Ricevere il feedback del conduttore sui progressi di ogni membro del gruppo ;

- Ricevere il feedback del gruppo sui migliori e peggiori aspetti del trattamento.

Per molti pazienti le tempistiche proposte dal modello CBT sono insufficienti a rispondere ai

propri bisogni e pertanto possono costituire solo un primo passo verso un percorso terapeutico

più a lungo termine. Questo avviene , in particolare , per quei pazienti che non sono riusciti a

mantenere un’astinenza stabile durante il percorso.

2.3 GDC (Gruppi di Counseling delle droghe) di R.D. Weiss , S.M Mirin et al.

La “filosofia” dell’approccio GDC (Gruppi di Counseling delle droghe) cerca di rendere

consapevole il paziente del fatto che la dipendenza da sostanze causa o accentua una varietà di

problemi biopsicosociali tanto nella persona dipendente quanto nella famiglia quali: disturbi

60

fisici, disordini psicologici e psichiatrici, problemi familiari e interpersonali e questioni legali,

economiche, professionali, accademiche e spirituali (Weiss e Mirin 1995; Earley 1991) per usare

tale consapevolezza come “ leva terapeutica” che rinforza la motivazione al cambiamento.

Questa prospettiva è in linea con l’orientamento cognitivo-comportamentale , benché si

focalizzi più su un piano psico-educazionale per attuare il processori cura . Inoltre , fornisce

supporto attraverso il counseling e strategie di problem-solving utili alla soluzione dei molteplici

problemi che il paziente si trova ad affrontare nel percorso di trattamento.

Nel modello GDC, il trattamento di gruppo per la dipendenza da sostanza è attuato in due fasi

distinte corrispondenti, in via generale, a bisogni diversi dei pazienti.

La fase I è strutturata, ha una impostazione psico-educazionale di ispirazione cognitivo-

comportamentale e si propone lo scopo di migliorare le conoscenze dei pazienti riguardo alla

dipendenza, alle conseguenze comportamentali, mediche e psicologiche della loro dipendenza.ed

al percorso di recupero.

Questi gruppi vengono utilizzati in molti programmi di riabilitazione (Nace, 1987) e spesso

vengono considerati come il primo passo di un programma terapeutico più completo. Vengono

utilizzati materiali informativi, presentazioni didattiche e discussioni.

Le sessioni durano 90 minuti ciascuna per 12 settimane di trattamento. I gruppi sono piccoli,

composti da meno di 10 pazienti.

La fase I fornisce una visione d’insieme dei punti chiave del recupero iniziale e della

prevenzione

delle recidive.Gli incontri della fase I hanno lo scopo di fornire ai pazienti un contatto

relativamente frequente e supportivo con il counselor e gli altri soggetti; di introdurre i pazienti

ai concetti chiavi

del processo di trattamento; di aiutare i clienti a capire in che modo possono evitare le ricadute e

a sviluppare strategie per ridurre il rischio.

Ogni sessione settimanale si focalizza su uno dei seguenti argomenti:

– sintomi della dipendenza da cocaina;

– il processo di recupero;

– gestione il craving ;

– gestire le relazioni nel recupero;

- gruppi di self-help;

– stabilire un sistema di supporto;

61

– gestire le sensazioni durante il recupero ;

– gestire la colpa e la vergogna;

– far attenzione ai segni di ricaduta;

– far fronte alle situazioni di alto rischio;

– mantenere l’astinenza.

Dopo il completamento della fase I, i pazienti partecipano alla fase II, che comprende le

settimane

dalla tredicesima alla ventiquattresima settimana.

La fase II è semi-strutturata e riguarda il problem-solving. Le sessioni sono settimanali e

durano

90 minuti. Nel momento in cui iniziano questa fase, i soggetti hanno raggiunto una certa

stabilità nell’astinenza.

Obiettivi della fase II sono quelli di:

– identificare e dare priorità ai problemi della vita quotidiana che sono conseguenza della

dipendenza o costituiscono un potenziale rischio di ricaduta;

– dare e ricevere supporto e risposte reciproche riguardo il recupero e il modo di far fronte ai

problemi correnti;

– gestire le ricadute e apprendere strategie per ritornare astinenti;

– apprendere i processi problem-solving e il modo in cui possono essere applicati ai diversi

problemi nel percorso di recupero o nella vita quotidiana.

Benché le sessioni di gruppo varino nei contenuti e nel focus durante le fasi (fase

I: settimane 1-12; fase II: settimane 13-24), lo scopo generale del trattamento di gruppo è quello

di fornire ai membri un’occasione per:

1. Acquisire informazioni sui concetti e sugli aspetti importanti del recupero nella dipendenza

da cocaina o da altre sostanze. 36

2. Diventare più consapevoli dei problemi prodotti dalle sostanze nelle diverse aree della propria

36 Questo include, ma non si limita ad informazioni su: i sintomi della dipendenza; i fattori che contribuiscono alla dipendenza;il processo di cura; i problemi bio-psico-sociali connessi al trattamento; la fase di recupero e i problemi comuni sperimentati in questa fase;il craving ;le pressioni sociali nell’uso di sostanze;le persone, i luoghi, gli eventi e gli stimoli (cue) che innescano l’uso di sostanze ;gli effetti della tossicodipendenza sulla famiglia e sulle altre relazioni; i gruppi di self-help; i sistemi di supporto; il modo di affrontare le sensazioni; il senso di colpa e la vergogna; i fattori di rischio di ricaduta; gli strumenti per proseguire il processo di recupero.

62

esistenza e delle difficoltà presentate dal percorso di “guarigione” dalla dipendenza. Il counselor

del gruppo incoraggia i pazienti a utilizzare personalmente il materiale presentato o discusso

nelle sessioni.

3. Dare e ricevere supporto reciprocamente, condividendo problemi, successi, speranze e

resistenza.

Con l’esperienza del gruppo, i membri del gruppo imparano l’importanza del supporto

reciproco. Inoltre imparano l’importanza di confrontare gli atteggiamenti negativi e

di controllare i comportamenti problematici.

4. Imparare le abilità di coping. Queste includono le abilità cognitive, del comportamentali e

interpersonali.

3. Le terapie di gruppo ad orientamento psicanalitico

3.1 MDGT (Terapia Dinamica modificata di gruppo) di E.J. Khantzian

Con lo sviluppo della Terapia Dinamica di Gruppo Modificata per dipendenti da sostanze

(MDGT) , Khantzian , Halliday e McAuliffe hanno combinato gli aspetti principali del setting

gruppale tradizionale con un approccio terapeutico razionale e strutturato.

La MDGT parte dall’affermazione che i disturbi da uso di sostanze sono legati a problemi di

bassa autostima e/o all’esperienza di affetti negativi e di opprimenti stati emotivi.Queste

caratteristiche producono nel soggetto “una vulnerabilità psicologica” all’uso di sostanze , oltre

che la precarietà nella regolazione degli impulsi e la mancanza di autodifesa (Khantzian ,1985).

La MDGT è un gruppo terapeutico a breve termine (la durata è di sei mesi) e a rotazione ,

comprensivo di incontri bi-settimanali di gruppo di 90 minuti ciascuno. La composizione

ottimale del gruppo va da un minimo di tre partecipanti ad un massimo di 8-10 membri. Questo

63

approccio è utilizzabile unicamente dopo che i soggetti hanno portato a temine la

disintossicazione e si focalizza sul qui ed ora.

I sei mesi di terapia possono essere suddivisi in tre stadi.

Nel primo stadio ( le prime otto settimane) , il focus del gruppo è centrato sul rafforzamento

contro la vulnerabilità . Il conduttore deve promuovere un clima di fiducia e di ascolto reciproco.

Il terapeuta tenta di costruire uno spazio di protezione e non di confronto.

Negli stadi intermedi ( dalla nona alla sedicesima settimana ) , il focus è sull’attaccamento dei

membri al gruppo inteso come un tutto. Il processo è più attivo e apre la via all’espressione di sé.

Durante queste fasi viene posto maggior interesse allo spostamento dai problemi acuti

conseguenti alle crisi tossicomaniche verso la percezione che tali problemi sono molto più

profondi e legati a tratti cronici d’intolleranza e aspettative irrealistiche.

Nell’ultima parte della MDGT (dalla diciassettesima alla ventiseiesima settimana) , il

terapeuta aiuta i membri “più anziani” a diventare partecipanti in grado di presentare ai nuovi

arrivati i concetti del gruppo. Il focus si concentra sugli aspetti della vita relativi alla struttura di

personalità : l’uso di droga è un argomento ormai marginale. Tutti parlano del proprio Sé , del

rapporto tra la loro struttura di personalità e le eventuali problematiche che ognuno potrà

incontrare e ce potranno rivelarsi motivo di ricaduta.

Il punto di vista della MDGT possiede sia elementi supportivi sia elementi espressivi37 e

mira a creare un clima di sicurezza e sostegno volto alla comprensione di come alcune

caratteristiche caratteriali conducano all’abuso di sostanze

Il ruolo del conduttore è di dirigere i propri sforzi e quelli del gruppo verso “quattro focus

terapeutici” (Khantzian,1985) :

a. la tolleranza affettiva : la MDGT sostiene che i soggetti dipendenti abbiano un “difetto” di

tolleranza degli affetti (Wieder e Kaplan ,1969 ; Wurmser , 1974). Alcuni tossicodipendenti

tendono a sperimentare spesso emozioni molto estreme ( o molto positive o molto negative) ;

altri sembrano incapaci di esprimerli ( sono i soggetti alessitimici ) ; altri sembrano non averne (

soggetti dis-affettivi): tutti però utilizzano la sostanza come strumento per controllarne gli

37 Le caratteristiche supportive (Kernberg,1986) rinforzano le difese del paziente utilizzando chiarificazioni,interventi ambientali e non interpretazioni. La tecnica di base è esplorare le difese del paziente nel qui ed ora , rendendolo maggiormente consapevole degli effetti disorganizzanti di alcune manovre difensive e promovendone un migliore adattamento alla realtà. Le caratteristiche espressive (Luborsky,1984) cercano di determinare la riorganizzazione della personalità attraverso la scoperta e l’indebolimento delle difese: l’interpretazione costituisce il principale strumento.

64

effetti. Il gruppo può aiutare il suo membro a sviluppare un repertorio di strategie e risposte alle

emozioni differente e più sano.

b. l’aumento dell’autostima : secondo l’approccio MDGT i soggetti dipendenti posseggono una

scarsa autostima. Questo deficit li porta ad assumere modelli errati di soddisfacimento dei

bisogni . Pertanto essi oscillano tra atteggiamenti manipolatori per ottenere soddisfacimento

dall’ambiente ed atteggiamenti di profonda auto-sufficienza che allontanano il bisogno degli altri

: tutto questo porta a ricorrere alle sostanze come unico modo per prendere contatto con i propri

desideri.

c. la discussione e il miglioramento delle relazioni interpersonali : le relazioni con altri sono

caratterizzate da comportamenti confusi e distorti come quelli appena menzionati. E’ necessario

attivare delle nuove modalità di ascolto ed interazione gruppali per promuovere la comprensione

delle problematiche sociali.

d. lo sviluppo di adeguate strategie di auto-cura: la storia dei soggetti tossicodipendenti è

spesso costellata da una numerosa e diversificata serie di difficoltà (mediche , legali, personali e

giudiziarie ) che mette in risalto l’incapacità di queste persone di prendersi cura di sé in modo

sano ed autonomo. I continui auto-fallimenti e auto-distruzioni sono sintomatici dei deficit nel

processo di autocura. Le dinamiche di gruppo si rivelano fondamentali per promuovere un

cambiamento importante di questa problematica.

3.2 GRF ( GRUPPO PER LA RIPRESA DELLE FUNZIONI) di C. Zucca Alessandrelli

Il gruppo per la ripresa delle funzioni o GRF (Zucca Alessandrelli , 2001) è un gruppo che

rientra nell’area dei gruppi terapeutici, anche se non è stato concepito per essere terapeutico nel

senso classico dell’elaborazione del conflitto38.

Questa tipologia di gruppo accoglie otto persone per una serie di quaranta sedute a cadenza

settimanale. Il GRF è una terapia di gruppo a breve termine adatta alla clinica dei Ser.T , una

clinica che richiede strutture definite in cui inserire la molteplicità dei casi e degli scambi tra

operatori.

38 L’area del conflitto è ,infatti, l’area della differenza generazionale e il GRF tende a mettela tra parentesi , poiché si ritiene che il senso di sé dei pazienti tossicodipendenti sia troppo fragile per accogliere ed elaborare i significati ad essa correlati. Ovviamente questo non significa che non possa emergere , ma Zucca Alessandrelli riferisce che : “ …se tale emersione non è troppo dannosa e non blocca il lavoro del gruppo , può non essere presa in considerazione…” (Zucca Alessandrelli,2001).

65

Il gruppo GRF è soprattutto un “gruppo esperienziale” (Zucca Alessandrelli , 2001), un ambito

di esperienza dove si crea un’area di vissuti e di scambi che riprendano lo stato affettivo dell’area

primaria di sviluppo39 . L’intento è quello di costruire uno spazio dove il Sé fragile40 del

tossicodipendente in fase di patogenia41 possa sentirsi accolto, svilupparsi e riprendersi. Si vuole

creare un clima e una tensione che permetta ai partecipanti di sentirsi appartenenti ad un

processo di sviluppo in cui siano ad un tempo soggetti ed oggetti.

Il gruppo GRF intende facilitare – focalizzandosi sul qui ed ora- la costruzione di un clima

molto comunicativo soprattutto nel gruppo dei pari , allo scopo di favorire , attraverso

riconoscimenti affettivi, la ripresa del senso di sé , che possa permettere la fiducia nella

possibilità di trasformazione.

Il GRF tende a far sì che il gruppo dei pari costituisca un importante elemento di lavoro ,

puntando l’attenzione su tratti del carattere comuni a tutti i partecipanti con problemi di

addiction che vanno a costituire dei veri e propri “focus tematici” (Zucca Alessandrelli , 2001): il

senso di vergogna , il senso di inferiorità , la vulnerabilità , la difficoltà di prendersi cura di un sé

svalutato e disprezzato dall’interno42. Nell’esperienza di appartenere a qualcosa che si forma e da

39 Area primaria di sviluppo : rapporto del bambino con la madre e con l’ambiente di cui questa fa parte laddove nella mente del bambino non si sia ancora formata la possibilità di rappresentare l’oggetto ( Zucca Alessandrelli ,2001). E’ in questa area che si forma l’organizzazione narcisistica di base e quel tipo di sé che poi costituirà modalità disturbate di dipendenza ( Kumin,1996 ;Zucca Alessandrelli ,2001). 40 La disposizione narcisistica positiva del Sé nasce dalle prime relazioni di scambio e sintonizzazione affettiva del bambino con la madre e il suo ambiente ( Stern , 1995). La costruzione di un senso di Sé sano predispone naturalmente alla corretta soddisfazione del piacere ,alla fiducia verso l’esterno (un ambiente materno che risponde efficacemente) e al desiderio di indipendenza ( una distinzione individuale sempre più netta , ma mai scissa totalmente dalla relazione con l’altro). Il Sé fragile del dipendente deriva dal deficit di queste interazioni e di questi passaggi evolutivi. Il soggetto dipendente è stato pertanto costretto ad agire in modo compensatorio e a ricorrere al solo livello percettivo-sensoriale della realtà esterna per la soddisfazione del piacere. Il Sé che ne consegue sarà orientato alla realtà per rimanervi attaccato , quasi alla ricerca di qualcosa che non è stato sufficiente , o sarà ripiegato tra sé e se , a ripetere gesti per sentirsi (l’abuso compulsivo della sostanza). Il Sé fragile del tossicodipendente non riescere a reggere e ad alimentarsi in termini di scambio e reciprocità , non riesce a creare una sana relazione affettiva a causa dell’intensa fame d’oggetto., ovvero la necessità di una soddisfazione immediata e complusiva dei propri bisogni (Kestemberg,1972) 41 Pazienti tossicodipendenti che non hanno un’organizzazione e/o una struttura patologica completamente formata. L’esperienza clinica in corso (Carrao,2002) sta dimostrando la possibilità di estendere con successo il GRF anche a pazienti con struttura patologica già costituita. 42 Senso di vergogna : esso può essere inteso come la consapevolezza da parte del dipendente di avere bisogno dell’oggetto per avere senso. E’ esprimibile anche con un senso di inadeguatezza dovuto al fatto di avere bisogno dell’altro per stampellare un senso di sé carente e per avere identità (Zucca Alessandrelli,2002). Il senso di inferiorità si esprime in un bisogno di aggruppamento parassitario : il dipendente si sente vuoto,inferiore e fragile perché ha bisogno di un altro per costruire un senso interno di riconoscimento del proprio valore. La sostanza diventa “l’altro” sempre disponibile che fornisce subito soddisfazione ai continui desideri del dipendente(Carraro,2006). La vulnerabilità : questa caratteristica è legata ad un Io ideale onnipotente che giudica il dipendente in modo sprezzante. Questi pensieri di tipo persecutorio rendono le modalità del dipendente connotate da vulnerabilità e da permalosità (Carraro,2006). La difficoltà di prendersi cura di un sé svalutato e disprezzato dall’interno: questa problematica si manifesta connessa alla presenza di un narcisismo onnipotente. Il dipendente richiede un rispecchiamento grandioso , una platea dove esibirsi per contro-bilanciare un senso di sé fragile. Egli deve trovare conferma, rassicurarsi rispetto ad un vuoto interno che gli fa percepire un senso di validità

66

cui si è formati – come è tipico della creazione del gruppo - , il lavoro su questi tratti è possibile

ed è ben presto desiderato dai membri senza reazioni distruttive (Ricci ,2001; Zucca

Alessandrelli , 2001).

Il terapeuta svolge la funzione di un facilitatore , del garante del buon funzionamento

gruppale che indirizza l’attenzione gruppale sul “focus tematico” da prendere principalmente in

considerazione,durante una certa seduta. Egli evita ogni atteggiamento o comportamento

direttivo ed autoritario. Nonostante questa particolare posizione nel GRF , il conduttore non deve

dimenticare di essere oggetto di attenzione da parte dei partecipanti : essi hanno bisogno di

vedere e di credere in lui come “un ideale vivente” tramite il quale creare nuovi modelli di

riferimento e nuovi legami affettivi identificatori.

La tecnica dell’uso dei focus permette ai partecipanti di concentrasi specificatamente su un

tema , facilitandone la comprensione e la condivisione con gli altri , evitando un’eccessiva

suscettibilità o ritiro.

La modalità di lavoro del gruppo come la circolarità , il partecipare tutti con proprie

osservazioni , portare concetti e ricordi relativi allo stesso tema e il vedere nell’altro prima che su

di sè posizioni e reazioni rende il gruppo maggiormente coeso ed elaboratore di feedback

significativi.Il gruppo diventa anche un “contenitore robusto” (Zucca Alessandrelli,2002)

attraverso il senso difensivo della condivisione delle difficoltà e l’assenza di giudizio .Tutto ciò

porta a valorizzare la cultura del riflettere sul di sé , sentirsi e sentire l’altro , scoprendo il valore

della consapevolezza.

Lo scambio tra pari , pertanto , ha già in sé una “funzione terapeutica” in quanto consente la

correttezza relazionale dello scambio e la reciprocità senza giudizio.

Muovendosi all’interno di una tale area arcaica di sviluppo ( il gruppo dei pari ) , il paziente

avrà da una parte la possibilità di riflettere e divenire consapevole del funzionamento del proprio

sé , dall’altra trarrà spinta per la ripresa e la crescita psicologica.

Questi due importanti obiettivi clinici per il rinforzo del sé del dipendente vengono esercitati

continuamente dal GRF attraverso la riflessione e l’elaborazione dei “focus tematici” menzionati.

inferiore e di incapacità che non gli permette di “essere da solo” e di “bastare a se stesso”., prendendosi cura di sé (Zucca Alessandrelli,2001).

67

E’ importante sottolineare , nuovamente , come il GRF non sia un gruppo letteralmente

terapeutico. Il GRF lavora in un’area di “latenza terapeutica”43 (Zucca Alessandrelli,2001) ,

un’area intermedia dove è necessario rinforzare il fragile assetto narcisistico del dipendente .

Solo quando il fragile senso di sé si sarà sviluppato e rinforzato , il terapeuta potrà proporre al

soggetto “interventi psicoterapeutici in senso stretto” dove affrontare , preparato , l’area del

conflitto e le sue interpretazioni (Zucca Alessandrelli ,1999).

3.3 IPT GROUP (INTERPERSONAL PSYCHOTHERAPY GROUP ) di G. Klerman , M.

Weissman e B.J Rounsaville

La tipologia di trattamento offerta dall’ Interpersonal Psychotherapy attualmente , è stata

sviluppata da G. Klerman , da M. Weissman e da B.J Rounsaville durante gli anni Ottanta. Gli

studiosi hanno cercato di rendere operativo l’approccio interpersonale per una serie di

problematiche e modificandolo ad hoc per le stesse, quali : depressione , abuso di sostanze ,

distimia , bulimia nervosa e somatizzazioni. Nonostante i diversi adattamenti , le linee

fondamentali del trattamento restano le stesse.

Secondo l’approccio interpersonale la psicopatologia non è esclusivamente attribuibile alle

difficoltà interpersonali , ma ne è strettamente interdipendente .

La psicoterapia di gruppo interpersonale è a breve termine ,dura tra le 12 e le 16 settimane con

incontri settimanali.

Le sessioni iniziali servono al gruppo per conoscere le relative storie di dipendenza e comporre

un “interpersonal inventory” , ovvero un registro di tutte le relazioni importanti nella vita dei

membri. L’esperienza e le relazioni interpersonali dei partecipanti vengono concettualizzate

secondo l’approccio interpersonale e suddivise in quattro aree : le dispute interpersonali , le role

transitions , il dolore e i deficit interpersonali 44.

43 Latenza in terapia significa preparare il momento migliore perché gli elementi classici della psicoterapia di stampo analitico , come l’insight e l’interpretazione , possano essere efficaci e pertanto essere accettati ed elaborati dal paziente (Zucca Alessandrelli ,1999).

44 Le dispute interpersonali sono situazioni nelle quali il paziente si trova in conflitto con altre persone e ne prova un forte stress. L’IPT si propone di cercare insieme al paziente delle risorse comunicative e delle strategie di risposta efficaci. Le role transitions sono condizioni (lavorative ,sociali,relazionali) di cambiamento alle quali il paziente si deve adattare e che spesso svolgono un ruolo nell’origine della psicopatologia. L’approccio IPT aiuta il paziente ad

68

Dalla terza alla quattordicesima sessione , il gruppo si concentra sulle tematiche relazionali e

sulle rispettive aree. Il focus è spostato anche sul specifico aspetto patologico della

tossicodipendenza . Le ultime due sessioni sono centrate sulla fine del percorso terapeutico e il

gruppo espone ciò che ha imparato da questa esperienza e le modifiche raggiunte durante gli

incontri.

Le tecniche utilizzate usualmente dall’IPT sono le seguenti :

- la chiarificazione : questo stile adottato nel formulare le domande permette di ovviare ai biases

del paziente quando descrive i suoi problemi interpersonali ;

- l’ascolto supportivo : caratterizzato dallo stile dell’accoglimento e della chiarificazione ;

- il role playing e l’analisi funzionale : due tecniche cognitivo-comportamentali efficaci per

intervenire sull’apprendimento di nuove strategie interpersonali ;

- l’incoraggiamento dell’espressione delle emozioni negative e positive : questa tecnica aiuta ,

tramite il feedback del gruppo , a divenire più consapevoli di se stessi e delle problematiche

interpersonali;

- l’utilizzo della relazione terapeutica e del feedback gruppale.

Le difficoltà a livello sociale si sono dimostrate un punto importante per la ricerca di un

trattamento da parte dei soggetti tossicodipendenti e la presenza di una buona rete sociale si è

rivelata uno dei fattori predittivi di un outcome positivo del trattamento terapeutico.

La psicoterapia interpersonale è utilizzata per pazienti con problemi di dipendenza da sostanze

con lo scopo di creare una rete sociale supportava (Klerman et al,1984).

Il focus è ridurre o eliminare totalmente l’abuso di sostanze e il trattamento dei problemi

interpersonali è adattato alla tipologia di difficoltà presentate dai partecipanti.

I due obiettivi primari del trattamento IPT sono :

- aiutare il paziente a smettere l’uso di sostanze ;

- aiutare il paziente a sviluppare strategie più produttive per occuparsi dei problemi sociali e

interpersonali associati all’inizio e alla continuazione del comportamento d’abuso .

Raggiungere uno stato di astinenza dalle sostanze richiede il coinvolgimento del paziente in

altri sotto-obiettivi ,quali :

utilizzare nuove risorse e nuovi soluzioni per affrontarle. Il dolore è definito come elemento imprescindibile e di rilevanza nelle problematiche interpersonali . Pertanto l’IPT aiuta il paziente a comprendere la complessità di questo fattore e l’impossibilità di eliminarlo totalmente dalla propria vita. I deficit interpersonali vengono “diagnosticati” quando il paziente riferisce di una vita e di relazioni interpersonali impoverite. L’IPT aiuta il paziente ad investire energie nella costruzione di una nuova rete sociale e nella comprensione dell’origine dei deficit stessi.

69

- l’accettazione del bisogno di smettere l’uso di sostanze ;

- la gestione dell’impulsività ;

- il riconoscimento del contesto dove il partecipante al gruppo fa uso di sostanze e può

fornirsene.

Questi punti appena descritti giocano una parte importante in ogni fase del trattamento ,

specialmente quando i membri del gruppo riportano un uso recente di droga o l’intensa urgenza

di abusarne. Secondo l’approccio interpersonale uno degli aspetti fondamentali del trattamento è

aiutare i pazienti ad utilizzare le risorse sociali disponibili per rafforzare la sua volontà di

astenersi dalle sostanze. L’abuso di sostanze è concettualizzato come un tentativo disfunzionale

di affrontare i problemi interpersonali . Il conduttore deve aiutare i partecipanti al gruppo a

trovare una sana sostituzione della funzione che le sostanze hanno giocano nella loro

vita.Rimuovere semplicemente l’uso delle sostanze senza sostituire la loro funzione , lascerà i

pazienti vulnerabili alle ricadute.

4. Le terapie di gruppo che coinvolgono i familiari

4.1 I GRUPPI SISTEMICO – RELAZIONALI PER ABUSATORI DI SOSTANZE di S.

Iacone et al.

Secondo l’approccio sistemico-relazionale è necessario coinvolgere , nel percorso terapeutico

del paziente tossicodipendente , la famiglia di origine. Alla famiglia è richiesto un iter terapeutico

di gruppo che si evolverà insieme a quello percorso dal figlio.

70

Il conduttore deve avere presente la necessità di creare uno spazio gruppale dove le molteplici

dinamiche relazionali possano essere espresse , ridefinite e rielaborate. Il gruppo familiare si

riunisce solitamente una volta alla settimana e l’incontro ha la durata di 90 minuti.

Il gruppo dei familiari , in particolare i genitori , deve lavorare –secondo le linee sistemico-

relazionali- su alcuni punti fondamentali :

1. La sequenza separazione-individuazione : l’obiettivo terapeutico non è tanto la

completa autonomia del paziente dalla famiglia – pochi soggetti riescono a rendersi totalmente

indipendenti ( Gelain , 2004)-, quanto l’introduzione nelle loro relazioni dell’abitudine di

negoziare i propri spazi in modo sano ;

2. La stabilità dei confini tra i diversi sottosistemi della famiglia e lungo la linea

generazionale (Toscani,1988):non è raro osservare alleanze e relazioni privilegiate tra membri

collocati su posizioni diverse nella gerarchia familiare ; oppure la presenza di confuse relazioni

paritarie tra genitori e figli ; oppure la presenza di funzioni genitoriali distorte e deficitarie.

L’intervento sistemico-relazionale agisce direttamente su questo punto problematico richiedendo

la partecipazione attiva di tutti i membri del sistema familiare.

3. La forza delle gerarchie generazionali , in particolare quelle genitoriali: il concetto

di forza viene spiegato come la capacità dei genitori di concordare e distribuirsi le funzioni

educative , di essere autonomi dalle famiglie di origine , dall’assenza di reciproche smentite

,dalla mancanza di proiezioni sui figli di aspirazioni ed aspetti irrealizzati di sé. L’intervento

sistemico-relazionale accoglie gli aspetti deboli e deficitari di questi genitori e li aiuta a rivedere ,

nel gruppo , i propri agiti e le strategie più efficaci per applicarvi una modifica sostanziale.

Questo tipo di approccio prevede una sorta di azzeramento delle tappe dello sviluppo distorte e

ne richiede il ripercorrimento , attraverso l’aiuto del terapeuta e del feedback gruppale.

4. Il sistema esteso delle relazioni extra-familiari , in particolare quelle amicali : il

retroterra delle conoscenze dei soggetti tossicodipendenti è frequentemente costituito da persone

con problemi di sostanze . Esse hanno svolto ,seppure in modo distorto , una funzione

significativa sulla definizione e sulla crescita personale del paziente. L’intervento sistemico-

relazionale promuove al paziente , supportato dalla famiglia , di costruire una nuova rete sociale

ed amicale con la supervisione del terapeuta.

71

5. Il genogramma45 : un aspetto fondamentale dell’intervento sulla famiglia è la

“perturbazione” delle relazioni familiari ( Iacone ,2006). E’ necessario ripercorrere insieme la

storia familiare del paziente . Attraverso la rappresentazione grafica , ogni membro del gruppo

può narrare la propria storia . Il gruppo focalizzato sul genogramma crea un’esperienza di

riflessione e di ipotizzazione comune sulle proprie storie familiari , che porta al desiderio sano di

approfondire questi vissuti con i propri familiari. Il compito del conduttore è aiutare ogni

partecipante a rintracciare un “copione di vita”46 che permettera di riorganizzare –insieme

all’intervento sulla famiglia – le esperienze vissute e attribuirne un significato. Quest’ultimo sarà

un processo di co-costruzione che coinvolgerà tutto il sistema familiare e permetterà nuove

modalità di relazione tra i membri.

L’intervento secondo l’approccio sistemico-familiare promuove , pertanto , un lavoro con la

famiglia finalizzato a :

- scoperta e significato della funzione del sintomo della tossicodipendenza all’interno del sistema

familiare , al suo mantenimento e alla soluzione “migliore” che la famiglia ha trovato per farlo

resistere in equilibrio;

- ricostruzione e rilettura della storia familiare (anche attraverso l’uso del genogramma);

- coinvolgimento vivo e attivo della famiglia al progetto terapeutico del figlio.

5. I gruppi di auto-aiuto

5.1 NARCOTICI ANONIMI

Il percorso di recupero dei gruppi di Self-help è risultato efficace nei disturbi da uso di

sostanze e in generale per i comportamenti impulsivi di dipendenza .

45Il genogramma è una specifica “versione” dell’albero genealogico utilizzato dai terapeuti familiari; può essere definito come la rappresentazione grafica della struttura di una famiglia accompagnata dalle verbalizzazioni che colui che compila il genogramma fa rispetto alle relazioni tra i soggetti rappresentati, alla comunicazione tra essi, alle somiglianze o differenze, ai miti o ai rituali che caratterizzano parti del sistema rappresentato (o il sistema intero). 46 Il concetto di copione (Icone ,2006) si riferisce al processo di costruzione familiare delle esperienze, dei vissuti e dello stesso gruppo familiare.Il copione non è inteso come “verità ultima”,bensì come processo che può essere rivisitato e ricostruire terapeuticamente.

72

Si configurano come gruppi di auto-aiuto , quelli dove non sono presenti conduttori

professionisti. I partecipanti anziani “che ci sono passati e ci sono riusciti” , guidano i nuovi

arrivati sia in un percorso gruppale che individuale.

Questi gruppi sono regolati da un “credo” che ha la sua massima espressione nei cosiddetti

“12 Passi”47. Il controllo sull’uso delle sostanze è affidato completamente alla responsabilità

personale e ai familiari viene consigliato di abbandonare qualunque atteggiamento di controllo

sul soggetto.

Il percorso inizia “24 h alla volta”: in principio il nuovo venuto non riesce a sopportare l’idea di

dover rimanere astinente per sempre, di dovere cioè rinunciare definitivamente alla sostanza,

“stampella” che lo ha tanto spesso aiutato ad affrontare la vita. Per uscire da questa situazione i

membri del gruppo gli consigliano di porsi un obiettivo a brevissimo termine: per esempio di

tenersi lontano per sole ventiquattro ore dalla sostanza . Questo servirà come primo passo per poi

prolungare gradualmente l’astinenza. È fondamentale evitare la prima ricaduta , quella che

innesca il meccanismo della compulsione e la conseguente perdita del controllo sulla sostanza. Il

percorso vero e proprio inizia con il dover accettare l’idea di essere un tossicodipendente e di

riconoscere la droga come causa del mancato controllo sulla propria vita (Primo Passo). Il

soggetto deve poi affidarsi a qualcuno (Secondo e Terzo Passo) ammettendo così la propria

impotenza e quindi l’impossibilità di gestire la sua dipendenza. Nel contempo, si comincia a

rompere l’isolamento in cui la droga lo ha confinato ed il membro viene

incoraggiato ad avere fiducia nei suoi nuovi compagni e ad affidarsi a un Potere Superiore -

comunque sia in grado di concepirlo in quel momento -in relazione alla sua formazione religiosa

e spirituale. All’inizio, semplicemente, il gruppo stesso può essere visto di sicuro come un

47I “Dodici Passi” degli N.A sono: Il nostro comune benessere dovrebbe venire al primo posto; il recupero individuale dipende dall’unità di NA.; Per il fine del nostro gruppo non esiste che una sola autorità suprema: un Dio amorevole, comunque possa manifestarsi nella coscienza di gruppo. I nostri incaricati sono solo servitori di fiducia; essi non governano; L’unico requisito per essere membri è il desiderio di smettere di usare; Ciascun gruppo dovrebbe essere autonomo, eccetto per le questioni che coinvolgono altri gruppi o NA nel suo insieme ;Ciascun gruppo non ha che un solo fine primario: trasmettere il messaggio al dipendente che soffre ancora; Un gruppo NA non dovrebbe mai concedere avalli o finanziamenti né permettere l’uso del nome di NA a istituzioni collegate o iniziative estranee, per evitare che problemi di denaro, proprietà o prestigio ci distolgano dal nostro fine primario; Ogni gruppo NA dovrebbe mantenersi completamente da solo rifiutando contributi esterni ;Narcotici Anonimi dovrebbe rimanere sempre non professionale, ma i nostri centri di servizio potranno assumere impiegati per mansioni particolari ;NA, per principio, non dovrebbe mai essere organizzata, ma si potranno costituire strutture o comitati di servizio, direttamente responsabili verso coloro che essi servono;Narcotici Anonimi non ha opinioni su questioni estranee, perciò il nome di NA non dovrebbe mai essere coinvolto in pubbliche controversie; Lo stile delle nostre relazioni pubbliche è basato maggiormente sull’attrazione che sulla propaganda; noi abbiamo bisogno di mantenere sempre l’anonimato personale a livello di stampa radio e filmati ; L’anonimato è il fondamento spirituale di tutte le nostre tradizioni e ci ricorda di anteporre sempre i principi alle individualità.

73

“potere superiore”, dal momento che il partecipante lo vede riuscire laddove da solo lui non ha

possibilità . Nella maggior parte dei casi il soggetto che frequenta con assiduità i gruppi riesce a

centrare l’obiettivo e diventa astinente, talvolta anche sin dalla prima riunione, ma i tempi

possono essere diversi a seconda delle varie situazioni e problematiche caratteriali.

Si passa quindi ad una seconda fase, in cui si cerca di evitare le ricadute. Con il Quarto e il

Quinto Passo, attraverso l’autoanalisi e il confronto con una persona di propria fiducia, si

procede ad una profonda e coraggiosa verifica di sé stessi imparando ad accettare le proprie

caratteristiche positive e negative. Con il Sesto e il Settimo si inizia un percorso di cambiamento

basato sulla progressiva modificazione dei propri comportamenti, soprattutto di quelli che hanno

causato maggior conflittualità con il mondo esterno e con se stessi. Attraverso l’Ottavo e il

Nono si tende al recupero delle relazioni con gli altri e con il Decimo Passo ci si prepara a

mettere concretamente in pratica quotidianamente il nuovo stile di vita. Con l’Undicesimo,

attraverso la meditazione e la preghiera, si approfondisce il proprio percorso spirituale,

incrementando un senso di contatto con Dio. Infine con il Dodicesimo Passo si comincia a

portare il messaggio ad altri, mettendo inoltre in pratica nel quotidiano quei principi che si sono

appresi nei Passi precedenti.

In questi incontri vi è dunque un percorso dalla “sostanza” – cibo universale , di cui non si

hanno limiti – al “gruppo” –sostanza nutriente ,la cui disponibilità è limitata e che può essere

acquisita rispettando alcune regole – alla “autonomia”.

Le caratteristiche peculiari di questi gruppi Self-help sono (Cibin,1988) : - condivisione del problema comune : tutti i membri hanno un problema di dipendenza da sostanze ;

- parità tra partecipanti : non vi sono conduttori professionisti. Il ruolo di leader viene assunto , a turno , da “membri

anziani” che costituiscono un nucleo stabile. Gli “anziani” creano un rapporto personale con i nuovi chiamato

“sponsorship” ed esprimono un impegno continuativo nel gruppo ;

- coesione del gruppo : il clima gruppale è sempre molto intenso e carico emotivamente . L’atmosfera è quella

dell’accoglienza e dell’accettazione;

- autonomia : l’autonomia del gruppo è percepita come fattore indispensabile al suo buon andamento.

CAPITOLO IV

LA COMUNITA’ COME STRUMENTO DI CURA DELLE TOSSICODIPENDENZE

74

Introduzione

La comunità terapeutica tenta di affrontare,insieme ad altri numerosi servizi sanitari territoriali,

il problema dell’abuso di sostanze che ha raggiunto nel tempo proporzioni elevatissime a livello

internazionale.

75

E’ una problematica estremamente grave i cui effetti si ripercuotono non solo sul soggetto

abusatore, bensì sulla sua famiglia , la sua rete sociale ed insidiosamente nelle politiche statali ( dei

Paesi che esportano sostanze e dei Paesi che le importano).

E’ sempre più evidente che il problema dell’abuso di sostanze tende a presentarsi molto più

precocemente rispetto al passato. Nei primi anni Quaranta , meno del 3% dei giovani studenti delle

scuole superiori aveva sperimentato le droghe. Oggi le statistiche si sono praticamente invertite.

Un altro fattore rilevante è la presenza di un numero svariato di sostanze d’abuso che ha reso

sempre più complesso fornire una descrizione e una definizione del soggetto tossicodipendente.

La definizione però si rivela necessaria per determinare chi richiede un trattamento e quale tipo

di trattamento è necessario.

Stabilire quando una persona è veramente dipendente dalla droga e il tipo di aiuto necessario è

una questione molto complessa. Nella maggioranza dei casi , quando la famiglia e/o la rete sociale

ritengono un soggetto dipendente dalle sostanze , egli nega la sua condizione. A causa di questo

atteggiamento , rifiuta di fare il primo passo fondamentale del trattamento : ammettere di essere

tossicodipendente ( L. Yablonsky , 1986 ).

Secondo Yablonsky (Yablonsky , 1986 ) esistono tre elementi caratteristici che delineano il

soggetto tossicodipendente e di cui ci si può avvalere per definire il progetto terapeutico :

- necessità irresistibile : il tossicodipendente ha un intenso desiderio conscio della sostanza

preferita ; ha una disposizione mentale per cui l’acquisto e l’uso della droga diventa irresistibile e

parte integrante della propria quotidianità .

- auto-inganno e negazione : quasi tutti i tossicodipendenti nella prima fase del processo di

dipendenza , quando posti di fronte alla loro condizione , negano la dipendenza patologica .

Inganno e menzogna diventano le modalità principali di comportamento del soggetto .

- astinenza periodica : i tossicodipendenti possono smettere di assumere sostanze

occasionalmente per un certo periodo quando la loro dipendenza diviene troppo onerosa , oppure

per provare a se stessi l’illusoria convinzione di poter smettere quando vogliono.

In realtà la posizione di Yablonsky , sebbene importante , si rivela attualmente superata e non

esaustiva. Il fenomeno dell’addiction è molto più complesso e si articola in diverse modalità di

funzionamento (Zucca Alessandrelli , 2006).

Anzitutto , per coloro che soffrono di addiction è necessario tenere in considerazione il bisogno

di accoglienza e di riconoscimento di una propria validità personale e relazionale.

76

I comportamenti di addiction ( sostanze , cibo….) sono spesso accompagnati da agiti difensivi e

da modi bisognosi e aggressivi che riflettono le caratteristiche di un narcisismo grandioso e di una

dipendenza morbosa (Zucca Alessandrelli , 2006).

Color che soffrono di addiction si presentano spesso secondo due estremi (Zucca Alessandrelli ,

2006) :

- l’arroccamento anaffettivo : dove l’unico desiderio è quello di non avere desideri e quindi

relazioni;

- la “fame” di oggetto compulsiva : dove esiste solo la bramosia di una soddisfazione

immediata .

Da questa breve spiegazione si intuisce come quella parte di identità che consiste nella

mediazione tra l’interno e l’esterno , tra soggetto ed oggetto , si riduce fino alla solo messa in

scena del rifiuto del corpo,dei suoi bisogni e dei suoi istinti.

Come sostiene Zucca Alessandrelli : “Tutto è deificato e mortificato nel corpo” per coloro che

soffrono di dipendenze. Il corpo è usato come un estraneo ,separato da sé e brutalizzato (Zucca

Alessandrelli , 2006).

Il soggetto dipendente è “diviso” tra due Sé :

- un Sé grandioso che permane arrogante ,superbo e incapace di tollerare la perdita di controllo

sul Sé fragile ed incapace di sopravvivere al confronto con le situazioni e le relazioni reali ;

- un Sé fragile che non può fare da appoggio consistente nel caso di una delusione o di una

frustrazione e che crea insieme al Sé grandioso “una folla autarchia protettiva rispetto

all’angoscia” , angoscia che sarebbe totalmente insopportabile (Zucca Alessandrelli , 2006).

1. Storia delle origini e degli sviluppi della comunità terapeutica

Uno dei concetti originari per la cura delle dipendenze patologiche fu l’utilizzo dei soggetti ex-

tossicodipendenti come co-terapeuti dei nuovi pazienti.

Lo psichiatra J.L Moreno , che intorno al 1910 ideò lo psicodramma , si accorse per primo

dell’importanza di individui che agissero come co-terapeuti .

Moreno sottolineò il ruolo del co-terapeuta come catalizzatore e coordinatore dell’energia

terapeutica del gruppo.

Maxwell Jones , negli anni ’40 , utilizzò i principi del potere dei pazienti per creare un tipo di

comunità terapeutica negli ospedali psichiatrici inglesi. Egli tentò di favorire un lavoro di gruppo

77

da parte dei pazienti in modo che rafforzassero insieme la propria capacità di vivere nel sistema

sociale esterno. Egli indicava una metodologia di trattamento che si articolava in :

- una riunione quotidiana di discussione dove erano presenti sia pazienti sia membri dello staff

( community meeting) ;

- interventi sulle eventuali crisi che coinvolgevano il gruppo ( learning) ;

- riunione dei membri dello staff curante ( staff meeting).

Anche le osservazioni di Bion furono indispensabili all’interno dei primi modelli di comunità

terapeutica e in particolare nella gestione delle dinamiche gruppali. Il suo approccio metteva in

discussione la visione esclusivamente medica del problema ed era centrato su due aspetti :

- il paziente come soggetto partecipe e non oggetto di cura ;

- il luogo istituzionale come elemento essenziale per la cura.

- E’ da sottolineare come all’interno del costituirsi di diversi modelli basati su queste

indicazioni , fossero previsti interventi specifici ; ciò che è centrale è il loro compiersi all’interno

di un contenitore che potenzialmente li rinforzava , attingendo al potere contenitivo della struttura

in sé e alla rielaborazione in un contesto collettivo e gruppale , dove curanti ed utenti appaiono

compartecipi di un processo.

Una grande novità nella terapia svolta da non professionisti , e legata al movimento delle

comunità terapeutiche , fu la creazione e lo sviluppo della Alcolisti Anonimi (AA). L’AA nacque

nel 1935 , quando un agente di borsa e un medico , entrambi alcolisti , unirono le loro conoscenze

rispetto all’abuso dell’alcol. Essi dedicarono quasi tre anni a sviluppare , su base sperimentale , gli

elementi fondamentali dell’AA che furono usati per il loro stesso recupero.

Nell’AA il condividere la sofferenza provocata dall’alcolismo – riportando storie di successi ,

organizzando gruppi di sostegno e utilizzando gli alcolisti in fase di recupero come sostenitori – ha

avuto un profondo effetto sul problema dell’alcolismo.

La prima comunità terapeutica destinata al trattamento dei tossicodipendenti fu fondata nel 1958

a Ocean Park , California , da Charles E. Dederich .

Secondo il criminologo Donald Cressey ( D. Cressey ,Conferenza della Nazioni Unite su

Crimine e delinquenza , Londra , 1960 ), Synanon consisteva in un piccolo gruppo di

tossicodipendenti e alcolizzati che vivevano insieme in una vecchia casa in California. A Synanon

i tossicodipendenti e gli alcolizzati in fase di recupero partecipavano regolarmente a seminari di

discussione e a un tipo di psicoterapia di gruppo che implicava l’esame dei reciproci

comportamenti in sedute di piccoli gruppi.

78

Durante i primi anni di Synanon , molte persone , fra cui professionisti nel campo della salute

mentale , visitarono Synanon e ne studiarono la metodologia . Molti psichiatri , psicologi ed

operatori sociali scelsero varie tecniche di Synanon per inserirle nei propri sistemi privati o

istituzionali. L’elemento più importante nell’evoluzione e nello sviluppo del movimento delle

comunità terapeutiche è consistito nella riproduzione di comunità terapeutiche sul modello di

Synanon .

Jesse Pratt , un ex-eroinomane di Synanon , fu pioniere del movimento delle comunità terapeutiche

in questo suo aspetto evolutivo . Pratt fondò a Venice in California , la comunità terapeutica

“Tuum Est”del tutto corrispondente a Synanon nella metodologia e nei principi.

I principi guida di Synanon non prendevano il reinserimento sociale e agli ospiti era richiesto di

mantenere la residenza all’interno della comunità stessa , che si connotava come un’alternativa alla

vita sociale esterna. L’esperienza di tale comunità si rivelò in seguito poco efficace per l’eccessivo

irrigidirsi di tale strutture su posizioni di tipo autoritario.

L’approccio “gerarchico” di Synanon considerava i pazienti come soggetti immaturi ed

inaffidabili e la comunità come un rifugio. Il processo riabilitativo era scandito in tempi diversi

con un’iniziale accettazione incondizionata delle regole (inclusi premi e punizioni) ; il soggetto

poteva nel tempo divenire un membro dello staff curante.

I centri creati direttamente da residenti di Synanon comprendono : la Delancey Street

Foundation, Daytop Lodge e Phoenix House ( fondate dagli psichiatri Daniel Casriel e Mitch

Rosenthal ).

La Daytop ( Drug Addict Yeld to Persuasion ) nasce nel 1963 per iniziativa di un gruppo di

terapeuti che poneva maggior attenzione alla ripresa di una vita inserita in un contesto sociale. Il

programma Daytop prevedeva di ridurre al massimo gli aspetti ideologici presenti in Synanon e

rendere l’esperienza più vicina al lavoro terapeutico. Il programma Daytop delinea un percorso a

tappe dove la persona viene prima accudita come se fosse un bambino , poi coinvolta in una vita

di relazione dinamica ed attiva , fino a giungere alla tappa di responsabilizzazione , che comprende

l’affiancamento dei nuovi arrivati ed infine la ripresa dei rapporti con l’esterno della comunità ,

orientata ad un prudente reisenrimento sociale.

Durante il trattamento di rieducazione e risocializzazione , sono previsti gruppi terapeutici ,

condotti da operatori ex-tossicodipendenti , finalizzati sia all’analisi delle passate esperienze sia ,

soprattutto , all’esplicitazione dei sentimenti attuali nel gruppo di convivenza , quali elementi di

confronto con la realtà.

79

Dalla realizzazione di Daytop in avanti si è radicato in modo profondo un nuovo tipo di

approccio , quello cosiddetto “democratico” . Sono sottolineati la valorizzazione degli aspetti di

condivisione dell’esperienza umana fra pazienti e staff , della comunicazione e del reinserimento.

Da questa esperienza le comunità terapeutiche odierne hanno mantenuto una dotazione di

strumenti clinici di notevole rilievo per l’area delle dipendenze :

- l’accento sulla condivisione con i pari ;

- la grande attenzione al contenimento e all’adattamento ;

- la gradualità degli interventi per tappe e l’attenzione alla fase del rientro ;

- la protezione .

Per Ferro e Pulzella (1997) due sono le principali differenze tra l’ approccio democratico e

quello gerarchico :

- il concetto di responsabilità48 , che è il punto di partenza del modello democratico , diviene

in quello gerarchico un processo di acquisizione nel tempo ;

- l’accettazione delle caratteristiche individuali , immediata nel caso dell’approccio

democratico dove il soggetto è accolto senza elementi pregiudiziali , diviene elemento di

conquista nel secondo , in cui l’individuo viene integrato in base ai suoi passi maturativi.

La storia delle comunità terapeutiche mostra come esse siano state ricettive rispetto ai

mutamenti sociali nei quali si sono inserite , con un susseguirsi di evoluzioni che hanno riguardato

più gli aspetti comunitari che quelli terapeutici (F. Madeddu , 2005).

Nella prassi delle diverse esperienze , si sono comunque delineati , in modo sempre più

specifico , degli elementi tecnici comuni alle due principali dimensioni , così sintetizzati da

Sugarman (1984) :

ASPETTI STRUTTURALI RISVOLTI CLINICI

Limitazioni comportamentali Controllo del comportamento

Pressione positiva dei pari Controllo degli impulsi ; ambiente emotivo positivo

Aiuto reciproco Aumento della capacità di empatia ; aumento

dell’autostima

48 L’assunzione della responsabilità comporta il superamento di un pensiero arcaico dominato dalla triade impotenza-onnipotenza-colpa. La responsabilità comporta un movimento faticoso di individuazione , la necessità di accettare i limiti delle fantasie onnipotenti attuate come risposta al sentirsi in colpa. Il sentirsi in colpa , pertanto , deriva dal bisogno di non essere totalmente annichiliti dal senso di impotenza (Corbella , 2003).

80

Confronto Acquisizione di nuovi insight parziali

Interventi che facilitano l’espressione delle emozioni Nuove capacità di contatto con le proprie emozioni e di

auto-regolazione

Modelli di identificazione Interiorizzazione ; Modelling positivo

Attività costruttive Acquisizione di competenze ; aumento dell’autostima

Vita di gruppo autosufficiente Responsabilità

Comunicazioni aperte e dirette anche con membri dello

staff su processi decisionali

Relazioni con autorità ; Responsabilità

Isolamento dall’esterno Rinforzo su nuovi aspetti ; Minimizzazione del modelling

negativo

Counselling Programmi personali

Istruzione , addestramento formale Acquisizione di competenze

Contatti esterni supervisionati Socializzazione guidata

Momenti organizzati di svago Gestione della progettualità

Confessione pubblica Rinforzo dell’impegno . Diminuzione della solitudine e

umento della sensazione di affidamento

Rituali Identificazione positiva nel collettivo e nelle norme

In estrema sintesi , si può pensare di avere a disposizione uno strumento terapeutico di grande

duttilità che permette di dosare gli interventi clinici , non più in onore di appartenenze

ideologiche, ma in favore dei soggetti in cura. Unite alla maggiore conoscenza del funzionamento

dei pazienti , tali caratteristiche possono essere utilizzate sempre di più nella direzione del

tailoring, cioè del tratteggiare strategie specifiche per itinerari diversi e per diverse fasi .

2. Il percorso comunitario

La comunità possiede una fisicità ed è fondamentale il modo in cui viene percepita dalla

persona al suo primo ingresso, intendendo esattamente la prima volta che la persona varca la

soglia.

Infatti così come prima arriva il corpo e poi la persona del tossicodipendente , l’ingresso fisico in

comunità coincide con l’ingresso nel setting che propone ( Bleger , 1967 ; Taccani , 1996 ) e

questo ha conseguenze sull’intero successivo percorso e sulla qualità delle relazioni. Se in questo

“campo dell’accoglienza” (Refolo , 2004) avviene qualcosa che possa dare l’opportunità di passare

ad una presa in carico , si stabilisce con il paziente un percorso di familiarizzazione reciproca che

tra l’altro permette di saggiarne i tratti tossicomanici e psicopatologici , i bisogni manifesti e latenti

81

, le motivazioni , le eventuali consapevolezze , ben sapendo che si inaugura subito una storia

oscillante tra buoni propositi e diverse difficoltà .

L’inizio del percorso fa parte della cosiddetta “Prima fase o fase di accoglienza” , della durata

di 3-4 mesi circa : il tossicodipendente , in questo periodo , cerca di concentrarsi sul

riconoscimento della propria patologia e sull’ adattamento alla nuova vita comunitaria e alle sue

regole .

La comunità , tuttavia , non è solo un luogo fisico , bensì immaginario , emotivo e fantasmatico

dove le relazioni che qui si intrecciano arricchiscono chi vi risiede , legato agli altri in particolare

dall’esperienza del vissuto tossicomanico. Pertanto nella “Seconda fase o fase intermedia” , della

durata di 10 mesi circa , il soggetto che ha ormai consolidato la sua motivazione ed il suo rapporto

di fiducia con la comunità, può affrontare in modo più approfondito le tematiche relazionali che

sottendono la tossicodipendenza, imparando dunque a riconoscere e gestire i propri vissuti in modo

più maturo ed equilibrato, senza ricorrere ai vecchi comportamenti.

Nello sforzo di accogliere , individuare ed attraversare traumi talora senza nome (Bion ,1961)

per renderli in qualche modo “dicibili” e forse accettabili , la comunità si configura e si propone

come luogo di esperienza dove collaudare le diverse modalità relazionali , emozionali ed affettive

sconosciute , saggiando nuove aree della personalità e della mente , riacquisendo un senso ed una

progettualità per la propria esistenza. L’attenzione , in questa fase , rimane focalizzata sul

presente, sulla possibilità per il paziente di mettere in atto, “nel qui ed ora”, nuovi comportamenti

nella relazione con l’altro e rispetto alle responsabilità (favorendo il principio di realtà). La

comunità permette un percorso intimo ed interiore , anche attraverso il “fare” (ovvero le numerose

attività e laboratori promossi all’interno delle strutture comunitarie ) : esso è importante proprio

perché non necessità di parole o interpretazioni , è utile agli operatori per stabilire relazioni

apparentemente neutrali ( Stivanello , 1996) attraverso cui avvicinarsi e conoscere più

approfonditamente e meno intrusivamente il paziente tossicodipendente nei suoi aspetti sani.

Successivamente il soggetto tossicodipendente affronta la cosiddetta “Fase avanzata” dove

vengono stabiliti obiettivi più specifici e personalizzati per affrontare la conclusione del percorso :

il progetto di cura prevede una maggiore autonomia e una maggiore responsabilizzazione sia

rispetto alla vita in comunità , sia rispetto alla vita personale e sociale del paziente. Questa iniziale

separazione dalla struttura comunitaria si può realizzare solo grazie al quotidiano , al

riconoscimento reciproco , alla condivisione : solo in comunità si sedimentano contenuti

individuali e gruppali , si cuce o si ricuce una storia , si può attivare un nuova progettualità.

82

Pertanto il soggetto accede , infine , alla “Fase del reinserimento” (della durata di un massimo

di 6 mesi , congiuntamente alla “Fase avanzata”) nel momento in cui l’èquipe multidisciplinare

valuta raggiunto un grado di stabilità compatibile con l’inizio del vero processo di separazione ed

autonomia dalla comunità. Questo percorso non può essere limitato solo alla ricerca di un lavoro

stabile e di una casa : il soggetto necessita , in questa fase , di un grande supporto psicologico, in

quanto sperimenta tutti i cambiamenti attuati durante il percorso terapeutico e potrebbe vivere

molte situazioni come fallimentari o troppo gravose da sostenere individualmente.

Il percorso comunitario è lungo e faticoso , ma se il paziente riesce ad attendere ( e come

sostiene Olievenstein , 1981 : “ Con il tossicodipendente è spesso urgente aspettare”) , si aprono

con gradualità numerose potenzialità che consentono un’esperienza non violenta e/o intrusiva , un

vera e propria offerta di ascolto e di condivisione che si trasforma con successo in un percorso di

cura eccellente .

3. Le potenzialità gruppali insite nell’ambito comunitario

Le comunità, pur nella loro molteplicità di forme, hanno dato , da sempre , una risposta

concreta al problema delle tossicodipendenze.

La comunità, nella sua stessa accezione filologica, si propone come un’esperienza gruppale: al

suo ingresso, ricordano Costantini e Mazzoni (1984), viene chiesto al singolo di rinunciare al

mondo esterno in favore della comunione con il gruppo, intesa come adesione totale. Solo così il

gruppo si potrà proporre come unica fonte di soddisfazione dei bisogni individuali. Se questa è una

tappa fondamentale per le comunità, la terapia non si può sottrarre alla dimensione gruppale e si

deve proporre, a nostro parere, anche e soprattutto come terapia di gruppo (Iacone , 2006). E’

infatti il gruppo il "ponte" tra l’esperienza comunitaria quotidiana del lavoro, dei pasti, degli

scambi interpersonali e lo spazio terapeutico.E’ indiscutibile che la vita quotidiana di un gruppo,

che condivide lo stesso habitat, necessita di una chiara regolamentazione, che possa rappresentare

un punto fermo per i problemi che sorgono dalla convivenza 24 ore su 24. Quindi un sistema di

premi-punizioni permette anche un controllo del comportamento; una regola che traccia una linea

chiara tra il lecito e l’illecito, tra ciò che va in armonia con e ciò che è contrario agli scopi espliciti

della comunità, è un aspetto ineludibile della struttura comunitaria. Questo è il cuore della

pedagogia comunitaria, cioè, attraverso il rispetto di alcune norme, si cerca di trasmettere

83

conoscenze, valori e comportamenti alternativi a quelli appresi nella strada, connessi all’uso di

droghe.

Deve essere anche chiaro che l’accettazione della norma, sebbene sia una conditio sine qua non

per la terapia, non è di per sè terapeutica, ma può rappresentare una ‘cornice’ utile a far emergere e

definire la problematica dell’individuo all’interno di un contesto così particolare. Bateson (1976)

ricorda come per gli alcoolisti il punto di partenza per il superamento della dipendenza è

l’accettazione di una chiara posizione down rispetto alla sostanza; analogamente in comunità

l’accettazione e le trasgressioni delle regole rappresentano un "metro per misurare" la persona e

"far uscir fuori" il suo problema. Il passo successivo è la ridefinizione della trasgressione in termini

di disagio relazionale. Quello che va sottolineato è il fatto che l’accolto non ne risponde delle

trasgressioni ad una mitica autorità, ma al gruppo. In tal senso è evidentemente necessaria

l’esistenza di spazi dove mettere in discussione l’accettazione e la tragressione, che, poste sullo

stesso piano, attivano le dinamiche relazionali del gruppo. Il senso di appartenenza, di

condivisione, di coesione che si sviluppa infatti al suo interno, a volte così intenso da costituire un

legame permanente e fondante dell’esperienza futura.

Per il tossicomane, tra l’altro, questa esperienza è di fondamentale importanza in quanto solo un

altro gruppo gli può permettere di abbandonare il mitico gruppo-tossicomane, vissuto come gruppo

di iniziati, in favore del gruppo (mistico), quello comunitario, gravido anch’esso di una forte

simbologia di rinascita, di rinnovamento. Si sviluppa quello che Turner (Turner , 1986) definisce

lo spirito della Communitas e cioè "un rapporto tra individui concreti, storici, particolari... non

frazionati in ruoli e status, ma che si trovano gli uni di fronte agli altri in un’incontro diretto,

immediato e totale tra identità umane" . La Communitas è corpus unitario che ha un "peso"

maggiore dell’insieme degli individui che la costituiscono, l’identità individuale viene soverchiata

dall’appartenenza al gruppo; la Communitas è, inoltre, caratterizzata da spontaneità ed

immediatezza e soprattutto dall’abbandono dei formalismi della struttura sociale. Questo permette

"la liberazione delle potenzialità umane di conoscenza, sentimento, volizione dalle costrizioni

normative che impongono di occupare una serie di status sociali" (Turner 1986). L’incontro diretto

ed immediato permette di percepire le sorti di ciascuno legate ad un unico filo (in cui le sorti dei

singoli sono indissolubilmente legate), ma decisamente non in senso restrittivo: l’altro viene

vissuto come una potenzialità positiva, come sostegno indispensabile. Il lavoro di qualsiasi

terapeuta non può trascendere dall’utilizzo di questo potenziale del gruppo, che si propone, fin

dalle sue basi, come "illuminante" e trasformativo.

84

La comunità può essere vista sia in opposizione dialettica alla società che all’interno di questa,

quale strumento regolatore di un processo più ampio della devianza; può essere vista sia in

opposizione alle famiglie d’origine degli accolti, famiglie "patogene", e quindi proporsi come un

sostituto "sano", che come un sistema che viene inglobato dalla famiglia, che si può organizzare in

base alle stesse premesse disfunzionali. Il gruppo degli accolti può essere percepito in opposizione

all’équipe terapeutica o come un unico gruppo che condivide lo stesso contesto, il singolo può

essere visto sia nella sua individualità che come elemento indissolubile del gruppo e così via. Si

può cogliere come l’organizzazione della realtà proposta si basa su nette distinzioni come

comunità/società, gruppo comunitario/famiglie d’origine, accolti/équipe terapeutica, singolo

accolto/gruppo di accolti, mente/corpo, ma è altrettanto vero che per ogni dicotomia proposta è

possibile identificare un livello di ricorsività sui quali è possibile intervenire.In un tale contesto, la

dimensione gruppale può essere un’ottica privilegiata per rileggere i processi ricorsi della

comunità.Il gruppo è infatti il vero crogiuolo della trasformazione: si crea al suo interno uno spazio

in cui confluiscono le diverse identità, che strutturano allo stesso tempo una particolare ed unica

dimensione, storica ed evolutiva, del gruppo: l’individuo non può più essere così scisso dal gruppo.

Anche la particolare posizione in cui si trova il terapeuta non gli impedisce di trovarsi immerso in

un campo comune di "condivisione emozionale". Il suo punto di vista non è quindi asetticamente

distaccato, dal momento che la situazione coinvolge pienamente la sua soggettività. Il lavoro del

terapeuta non può quindi prescindere dall’auto-referenzialità, dalla circolarità dell’interazione.

Diventa impossibile pensare di osservare il gruppo "tirandosene fuori" in qualità di esperto, o non

essere sopraffatti dalle mille storie o dalle cento versioni degli stessi fatti, senza pensare di essere

un elemento che contribuirà a costruire la storia.

La dimensione gruppale infatti concilia l’inconciliabile, o meglio, i diversi livelli a cui si apre

l’esperienza gruppale, annulla le classiche dicotomie individuo/società, biologia/appartenenza

culturale (familiare), mente/corpo, racconto/drammatizzazione che in genere vengono affrontate in

setting separati e con strumenti specifici.

85

CAPITOLO V

L’ESPERIENZA DI TERAPIA DI GRUPPO AD ORIENTAMENTO ROGERSIANO PRESSO

LA COMUNITA’ TERAPEUTICA “DIANOVA ONLUS” PER IL RECUPERO DELLE

TOSSICODIPENDENZE.

Introduzione

86

In questo capitolo presenterò alcune riflessioni sulla mia esperienza di osservatrice

partecipante49 all’interno di un gruppo ad orientamento rogersiano presso la Comunità

Terapeutica “Dianova Onlus” per la cura e la riabilitazione delle tossicodipendenze di

Garbagnate Milanese.

Durante il periodo del mio tirocinio specialistico trimestrale ( Marzo - Giugno 2007) ho avuto

l’opportunità di partecipare agli incontri settimanali di gruppo50, affiancando la mia Tutor , la

Dottoressa Letizia Vedana ( Psicologa e Psicoterapeuta ad orientamento rogersiano).

Pertanto ho partecipato al gruppo sia in qualità di osservatrice partecipante51 sia in qualità di

partecipatrice “registrante”, attraverso la stesura di ogni incontro.

Premessa

L' Associazione DIANOVA è una ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale)

nata in Italia nel 1984 e opera per il recupero e la riabilitazione dei tossicodipendenti, in

particolar modo gestisce Comunità Terapeutiche e Centri di Ascolto. Il Centro all’interno del

quale ho svolto la mia attività di tirocinio e l’esperienza degli incontri di gruppo è quello situato

a Garbagnate Milanese. La comunità è uno spazio fisico e mentale che accoglie un limite di 38

soggetti tossicodipendenti di ambedue i sessi , purché maggiorenni e motivati ad intraprendere

un percorso terapeutico-riabilitativo di medio-lungo termine (non sono ammessi i minorenni, i

soggetti con grave dipendenza alcolica o con grave diagnosi psichiatrica antecedente).

Il programma è costituito da tre diverse fasi evolutive52, corrispondenti ad altrettanti moduli, la

cui durata indicativa complessiva è di due anni; il periodo può naturalmente variare in relazione

49 La modalità dell’osservazione partecipante ai gruppi come momento estremamente formativo , si è radicata alla fine degli anni Settanta. Vanni (1979) ricorda che il passaggio da semplice “recorder” o partecipatore “scrivente” e silenzioso a partecipatore attivo era stato stimolato dalla necessità di trasmettere una più approfondita conoscenza delle dinamiche di gruppo consentendo di “utilizzare” l’osservatore in maniera più vantaggiosa per tutti : terapeuta , pazienti e osservatore stesso. Al primo permette , tramite l’analisi dei vissuti , una comprensione migliore di ciò che accade nel gruppo e a volte anche in se stesso ; ai secondi , la presenza di terapeuta e osservatore riproporrebbe con maggiore naturalezza il clima familiare , favorendo un’analisi più profonda dei vissuti ; per il terzo , dona la possibilità di vivere le fasi evolutive del gruppo , di apprendere la tecnica di conduzione e di potere imparare a fare un’analisi di sé e delle proprie emozioni (Corbella,2003). 50 Ho iniziato la partecipazione al Gruppo d’Incontro in data 22/03/2007 e ho terminato in data 28/06/2007 , prima dell’ingresso di nuovi membri . 51 La mia modalità di osservazione partecipante prevedeva un ruolo di “occhio ed orecchio supplementari” in aiuto alla conduttrice , una “memoria collettiva nei confronti del gruppo” (Corbella, 2003) .Avevo , pertanto , la funzione di “registratrice attiva”: una partecipante “che pensa e vuole capire come mai lei e il gruppo pensino e sentano in un determinato modo , perché il terapeuta dice determinate cose piuttosto che altre e cosa significa il suo pensare , sentire e capire in riferimento al gruppo e alle sue dinamiche” (Corbella , 2003).

87

alle peculiarità dei singoli utenti. Inoltre il programma ha una struttura modulare, tale per cui è

possibile che per un utente siano definiti degli obiettivi terapeutici connessi con uno solo dei 3

moduli.53

Tra i numerosi strumenti adottati nel contesto comunitario (trattati nel capitolo IV) , quello che

amplifica le insite potenzialità gruppali della comunità stessa è sicuramente l’utilizzo di incontri

gruppali.

All’interno della Comunità terapeutica residenziale “Dianova Onlus” esistono diversi tipi di

strumenti gruppali , tra i quali :

- Gruppo d’Accoglienza dedicato ad incrementare la motivazione, di stampo educativo rivolto

ai soggetti appartenenti al primo modulo del programma terapeutico ( disassuefazione ,

52 Per un approfondimento sulle caratteristiche e sugli obiettivi delle fasi del percorso comunitario , si rimanda all’Appendice I. 53 I principi di riferimento :accoglienza, senza nessuna distinzione, di tutti i tossicodipendenti che ne fanno richiesta, previa valutazione medico/diagnostica, con tempi di ingresso molto brevi;approccio terapeutico di tipo educativo, svolto attraverso un lavoro in équipe multidisciplinare;approccio relazionale ed operativo, fondato sull'impegno dei tossicodipendenti in attività occupazionali attraverso laboratori protetti che favoriscano la relazione con gli altri; auto-aiuto; stile comunitario: con la condivisione della vita in comune, l'accettazione delle regole e dello stile di vita;coinvolgimento delle famiglie nel programma terapeutico;lavoro in rete con le varie associazioni e istituzioni del territorio.

88

accoglienza e presa in carico dell’utente ). Si svolge a cadenza settimanale , la durata è di un’ora.

;

- Gruppo “Donne” , rivolto unicamente alle pazienti donne . Il gruppo , a cadenza settimanale

della durata di 90 minuti , è un luogo dove sono affrontate tematiche strettamente femminili sia

legate alla vita di comunità sia legate alla condizione femminile in modo più generale ;

- Gruppo d’Incontro ad orientamento rogersiano è rivolto ai soggetti appartenenti al secondo

modulo del programma terapeutico . Il gruppo , a cadenza settimanale e della durata di 90 minuti

, è proposto come uno spazio specifico dove promuovere la crescita personale.

1. L’esperienza del Gruppo d’Incontro ad orientamento rogersiano

Il Gruppo d'Incontro è un'esperienza intensiva di gruppo, che ha lo scopo di favorire la

crescita psico-emotiva dei partecipanti e le loro abilità relazionali. In un clima psicologico di

sicurezza, la persona ha la possibilità di entrare in contatto con se stesso, con le proprie emozioni

e sensazioni, e di esplorare le caratteristiche delle interazioni con gli altri.

1.2 La matrice teorica di riferimento

Carl Rogers54 è stato il fondatore dell'approccio psicoterapeutico della scuola di psicoterapia

conosciuta come Terapia Centrata sul Cliente. Il terapeuta rogersiano riconosce nel cliente una

54 Carl Rogers nacque a Oak Park, Illinois, l'8 Gennaio 1902.Dalla metà degli anni Venti lavorò per dodici anni a Rochester, New York, al Centro per la Guida del Fanciullo, di cui presto divenne amministratore e psicologo praticante. Cominciò a scrivere articoli e svolse un'azione a livello nazionale. Il suo libro "Il trattamento clinico del bambino problematico" fu pubblicato nel 1939 e gli venne offerto un insegnamento di psicologia nell'Università Statale dell'Ohio. Nel 1940 Rogers insegnava un illuminato insieme di metodi per il trattamento dei bambini, descritto nell'opera "The Clinical Treatment of the Problem Child". Dal suo punto di vista, questo approccio rappresentava la direzione comune in cui ci si stava muovendo ed era evolutiva anziché rivoluzionaria. Il processo clinico cominciava con una valutazione, comprendente la somministrazione di test ai bambini ed interviste ai genitori, ed i risultati della valutazione fornivano le basi per un piano di cura. Una volta in cura, si seguivano principio non direttivi. Le opinioni di Rogers divennero poi più radicali. La sua conferenza, tenuta all'Università del Minnesota, l'11 dicembre 1940, intitolata "Alcuni Concetti Innovativi in Psicoterapia", è l'evento simbolo con il quale si può identificare la nascita della Terapia Centrata sul Cliente. In un tempo molto breve, era nato un approccio completamente nuovo così come lo era il campo della ricerca in psicoterapia. Questo approccio e le relative ricerche hanno fatto sì e la psicoterapia potesse venire considerata una importante funzione degli psicologi clinici. Dopo avere svolto l'incarico di Direttore dei Servizi Consulenza per le "United Service Organizations", durante seconda guerra mondiale, Rogers divenne professore di psicologia all'Università di Chicago e poi direttore del Centro Consulenza Psicologica della stessa Università. I dodici anni in cui Rogers rimase a Chicago furono un periodo di grandissima crescita della Teoria Centrata sul Cliente, della sua filosofia, della pratica, della ricerca, delle applicazioni e implicazioni. Circa la metà del libro di Rogers "Client Centered Therapy" (1951) fu dedicato alle possibili applicazioni della Terapia

89

persona che, in quanto tale, è in una posizione egualitaria nei confronti del terapeuta.

Parole chiave della Terapia Rogersiana sono la congruenza, l'accettazione incondizionata e

l'empatia.

La congruenza è una condizione di base e riguarda il terapeuta. Il terapeuta rogersiano, per

essere efficace, deve essere in contatto con la sua esperienza, con il suo vissuto durante i colloqui

terapeutici. Deve, inoltre, essere capace di trasparenza, di comunicare cioè quello che il cliente

suscita in lui, se questa comunicazione è nell'interesse del cliente.

Rogers considera la congruenza come"la più basilare delle condizioni che promuovono la

crescita. Essa non significa che il terapeuta deve comunicare al cliente tutti i propri problemi o

sentimenti o esprimere impulsivamente qualunque cosa gli venga in mente. Significa, invece, che

il terapeuta è in contatto con i propri sentimenti ed è pronto ad esprimere ogni emozione

persistente all'interno di quel rapporto.

Significa evitare la tentazione di nascondersi dietro una maschera di“professionalità"(Rogers

e Sandford,1985). L'accettazione incondizionata è la capacità del terapeuta di accettare l'altro

anche se porta valori e una visione del mondo profondamente diversi dai propri. È la capacità di

non giudicare ma di accogliere l'altro nella sua individualità di persona.

Accettazione incondizionata non significa approvazione incondizionata: altri termini per

descrivere questa condizione sono calore, accettazione, interessamento non permissivo,

apprezzamento55.

L'empatia, nella Teoria Centrata sulla Persona, è un processo attivo, immediato, ininterrotto. Il

consulente fa il massimo sforzo per entrare "sotto la pelle del cliente", all'interno del suo mondo,

e per immedesimarsi negli atteggiamenti espressi, piuttosto che osservarli soltanto, per cogliere

Centrata sul Cliente e conteneva capitoli aggiuntivi sulla terapia di gioco, la terapia di gruppo, le funzioni di guida e di amministrazione. Dopo il 1964 Rogers si trasferì in California, scrisse libri sull'Approccio Centrato sulla Persona, applicato all'insegnamento ed all'educazione, sui gruppi di incontro (Carl Rogers on Encounter Group ,1970);, sul matrimonio ed altre forme di "partnership", e sulla "rivoluzione silenziosa" che doveva emergere da un nuovo tipo di persona "che ritrova il proprio potere".Questi libri si fondavano su osservazioni ed interpretazioni di centinaia di esperienze individuali e di gruppi. Inoltre Rogers, insieme a Rollo May e Maslow, contribuì a fondare e diffondere la Psicologia Umanistica: indirizzo psicologico secondo il quale non sono le pulsioni istintuali a motivare il soggetto, ma piuttosto il bisogno di conoscere, di esprimersi, di relazioni gratificanti e di autorealizzazione. La Psicologia Umanistica fu detta “Terza Forza” rispetto alla Psicoanalisi e al Behavhiorismo (ritenute la prima e la seconda forza della psicologia). Rogers lavorò ininterrottamente fino agli ultimi anni della sua vita, per dedicarsi soprattutto alla sperimentazione sui gruppi al Centro del Comportamento di La Jolla (California). Morì all’età di 85 anni.

55 "Quando il terapeuta prova un atteggiamento positivo, non giudicante, accettante verso il cliente, comunque egli sia in quel momento, il cambiamento terapeutico è più probabile. Questo implica che il terapeuta accetti il cliente in qualunque stato d'animo egli si trovi, confusione, risentimento, paura rabbia, coraggio, amore, orgoglio... Quando il cliente si sente accettato dal terapeuta in modo totale, anziché condizionato, un progresso terapeutico diviene molto probabile" (Rogers, 1986 ).

90

ogni sfumatura della loro mutevole natura e lasciarsi assorbire completamente dagli

atteggiamenti dell'altro. E’ la capacità del terapeuta di vedere il vissuto del cliente come se

fosse il cliente stesso. È importante che la condizione del " come se " non venga persa perché

l'empatia è capacità di ascolto, di lettura delle emozioni dell'altro e non identificazione del

terapeuta con il cliente.

La Terapia Centrata sul Cliente ( TCC ) e l’Approccio Centrato sulla Persona ( ACP )

costituiscono una componente significativa e riconosciuta a livello internazionale

della psicologia umanistico-esistenziale. Come scrive Alberto Zucconi, co-fondatore con Carl

Rogers e Charles Devonshire dell'Istituto per l'Approccio Centrato sulla Persona ( IACP ) in

Italia: "Il sistema creato da Rogers non è solamente una formulazione circa la struttura della

personalità 56ed un metodo psicoterapeutico, è anche un approccio, un orientamento ed una

visione della vita”.

Rogers si interessò sia di terapia individuale sia di terapia di gruppo. Infatti i principi centrati-

sul-cliente , nati come metodi di consulenza psicologica individuale negli anni Quaranta,

cominciarono ad essere adottati nella terapia di gruppo, nell'insegnamento scolastico, in vari

workshop, nello sviluppo delle organizzazioni e nei concetti di leadership, dieci anni più tardi.

56 Il concetto base su cui si struttura la Teoria rogersiana della Personalità è il concetto di ORGANISMO inteso nel suo significato di globalità psico-fisica, di un tutto organizzato che interagisce con la realtà; l'organismo non può essere scisso in parti separate, è un tutto irriducibile alla semplice somma delle parti. La persona è considerata come un organismo nella sua totalità.Nell'organismo vi è intrinseca la TENDENZA ATTUALIZZANTE, una tendenza, cioè, ad attualizzare tutte le proprie potenzialità. La fonte di energia è intrinseca nella persona e orienta lo sviluppo verso l'attuazione ottimale delle sue potenzialità. Rogers spiega la sua Teoria della Personalità facendo riferimento allo sviluppo infantile. Nel bambino al momento della nascita è presente campo esperienziale o fenomeno indifferenziato. Quindi inizia, grazie alla tendenza attualizzante, quello che si chiama il PROCESSO DI SIMBOLIZZAZIONE. Si ha lo sviluppo, il passaggio dal campo fenomenico (l'insieme di tutto ciò che avviene nell'organismo in un qualsiasi momento e che è potenzialmente disponibile alla coscienza, e come tale, suscettibile di essere appreso) al campo cognitivo (la rappresentazione o simbolizzazione -non necessariamente verbale- di una parte dell'esperienza vissuta). Il collegamento, il passaggio dal campo esperienziale al campo cognitivo avviene attraverso la PERCEZIONE. La percezione è, dunque, quella che collega l'esperienza alla consapevolezza o simbolizzazione o conoscenza. La percezione va intesa come il SIGNIFICATO che la persona annette a tutto ciò che avviene dentro di sé e fuori di sé. Vi è dunque un'accentuazione della soggettività nella percezione. L'organismo reagisce alla realtà come essa è esperita e vissuta dal soggetto, il comportamento non è la risposta ad una realtà oggettiva, ma alla percezione di quella realtà qui ed ora, in questo preciso momento. Il bambino inizia, quindi, la SIMBOLIZZAZIONE DELLA REALTA’, cioè tutto quello che può essere appreso sia a livello conscio che inconscio. Gli elementi consci sono indicati con il nome di ESPERIENZA o PERCEZIONI SIMBOLIZZATE, quelle che non sono disponibili alla coscienza sono ESPERIENZE NON SIMBOLIZZATE. L'insieme di esperienze simbolizzate andranno a formare l'ESPERIENZA DELL'IO., corrisponderanno alla coscienza di esistere e di agire in quanto individuo. E' sulla simbolizzazione o consapevolezza o coscienza , come sostiene Rogers , che si strutturerà la personalità del bambino.

91

Infatti , il Gruppo d’Incontro non è nato come un metodo specifico per rispondere ad una precisa

patologia e/o problematica del paziente . In particolare , esso non è stato pensato per essere

applicato a soggetti tossicodipendenti , ma i suoi principi terapeutici generali possono essere

utilizzati per la cura di qualsiasi paziente motivato alla terapia di gruppo.

Nel 1970 egli formulò, in quindici articoli, la teoria dello sviluppo del "gruppo d'incontro".

Per Rogers il cuore del processo, l'incontro fondamentale, si ha quando un individuo

nel gruppo risponde con empatia ad un altro membro del gruppo che si esprime

apertamente con gli altri, senza alzare meccanismi di difesa. Rogers formulò il concetto che il

facilitatore nel gruppo avesse le stesse qualità fondamentali del terapeuta individuale, inoltre,

egli riteneva importante l'accettare e rispettare sia il gruppo come un tutto che i singoli membri.

L’approccio di Rogers si fonda su una tendenza attualizzante , sul “qui ed ora” dei vissuti e

delle esperienze del paziente.Nel gruppo il processo di crescita del paziente avviene mediante un

processo di diminuzione di un atteggiamento difensivo e di ampliamento dell'area della

consapevolezza autodiretta. Il punto di arrivo della terapia sia di gruppo sia individuale , è per

Rogers , lo sviluppo della personalità consistente nella congruenza fra il campo fenomenologico

dell'esperienza e la struttura concettuale del Sé.

Questa condizione , se raggiunta, rappresenterebbe liberazione da tensioni ed ansia, sarebbe cioè

il massimo per un adattamento realisticamente orientato e significherebbe che si è

formato un sistema di valori individualizzato, avente considerevole identità con il

sistema di valori di ogni altro essere umano ugualmente ben adattato.

1.3 Struttura del gruppo

Durante la mia esperienza di osservatrice partecipante ho potuto partecipare a 15 incontri di

gruppo.

Il gruppo aveva cadenza settimanale con una durata di 90 minuti. Era un gruppo rivolto

unicamente a soggetti appartenenti al secondo modulo del programma terapeutico : essi si

trovavano a vivere la cosiddetta seconda fase. I membri del gruppo avevano superato da tempo

la disassuefazione dalla sostanza e si preparavano a vivere un periodo dedicato alla maggiore

responsabilizzazione ed individuazione. Gli utenti che si trovano in questa fase vengono

sollecitati ad affrontare tematiche più personali , relative ai propri vissuti e alla propria storia

emozionale e relazionale. I soggetti di seconda fase vengono invitati a vivere l’esperienza

92

comunitaria con maggiore consapevolezza e partecipazione , promovendo la capacità di leggere

in modo critico i propri comportamenti e i propri pensieri.

Il gruppo era a breve termine57 di tipo slow-open (un metodo caratterizzato da una lenta

rotazione dei pazienti): prevedeva che partecipassero solo gli utenti di seconda fase che si

stavano avviando verso il modulo del reinserimento. L’ingresso era preceduto da un colloquio

con la conduttrice del gruppo per sondare la motivazione alla partecipazione , il raggiungimento

degli obiettivi di base delle seconda fase e per spiegare all’utente lo svolgimento e le finalità del

Gruppo d’Incontro.

Una volta raggiunti gli obiettivi e le tempistiche per entrare nella fase di “svincolo” e

reinserimento lavorativo i soggetti terminavano il gruppo , lasciando spazio a nuovi utenti ,

entrati nel frattempo nel modulo di seconda fase.

Il gruppo era caratterizzato da elementi che lo rendevano omogeneo :

- il genere : tutti i partecipanti erano di sesso maschile ;

- la problematica patologica iniziale : la tossicodipendenza ;

- assenza di diagnosi di disturbi di personalità sull’asse II del DSM IV - TR58;

- la convivenza dei soggetti 24 ore su 24 all’interno del contesto comunitario .

Esistevano anche elementi di eterogeneità , quali :

- le differenti fasce d’età a cui appartenevano i partecipanti : il partecipante più giovane aveva

20 anni , il maggiore avere 42 anni.

- i diversi contesti di origine geografica ( nord , centro e sud d’Italia ) , sociale ed economica

da cui provenivano i membri del gruppo ;

- le diverse sostanze primarie di abuso : eroina , cocaina e crack.

Il gruppo era inizialmente composto da cinque partecipanti maschi di età compresa tra i 20 e i

42 anni . All’ottavo incontro , nel mese di Maggio, si è verificato un drop-out. Uno dei

57 Il limite temporale era funzionale alla conflittualità dinamica tra dipendenza ed emancipazione che caratterizzati questa tipologia di pazienti. I membri partecipavano al gruppo d’Incontro per alcuni mesi , fino al termine del loro percorso inerente al secondo modulo. Con il passaggio alla fase di reinserimento , i membri del gruppo concludevano la loro esperienza di Gruppo d’Incontro.

58 Il DSM-IV, è la quarta versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali , Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders in inglese) pubblicato dall'American Psychiatric Association (APA), nel 1994.Consiste in una classificazione nosografica ateorica assiale dei disturbi mentali. I disturbi mentali vengono definiti in base a quadri sintomatologici, e quest'ultimi sono raggruppati su basi statistiche.

93

partecipanti decide di abbandonare il percorso comunitario59 e gli incontri di gruppo proseguono

con quattro partecipanti fino al penultimo incontro. Durante questo penultimo incontro si

esplicita a tutti i membri il termine del percorso gruppale da parte di uno dei membri che passerà

alla fase di reinserimento lavorativo. L’ultimo incontro a cui ho partecipato si è svolto con la

presenza di tre membri. A seguito di questo incontro sono stati gradualmente introdotti ( con la

cadenza di un nuovo ingresso alla settimana ) altri utenti rivelatesi pronti alla partecipazione al

Gruppo d’Incontro.

Durante la mia esperienza non ho mai assistito all’ingresso di altri partecipanti al gruppo e

quindi all’applicazione del metodo slow-open , in quanto durante quel determinato periodo,

nessuno degli utenti appena entrati in seconda fase si era rivelato già in possesso delle risorse per

intraprendere un percorso gruppale . Inoltre la scelta di mantenere la presenza di solo tre membri

, nell’ultimo incontro a cui ho partecipato , è stata sostenuta anche dalla necessità dei pazienti di

affrontare un incontro di gruppo “conclusivo” di una parte del percorso gruppale intrapreso

insieme. La conduttrice ha accolto la loro richiesta , anche sulla base del clima di intimità e

fiducia che si era instaurato tra i partecipanti.

1.4 Setting

“La comunità stessa , come ogni luogo dove più figure professionali intervengono sul

paziente, è essenzialmente un setting gruppale: è il luogo in cui si sviluppa un processo di cura”.

Il contesto comunitario , come spiegato da Mannini (Mannini , 2006), si presenta per la sua

peculiarità come il vero e proprio setting degli interventi svolti al suo interno.

Esso ha svolto questa funzione anche nella mia esperienza di gruppo , proprio perché gli

incontri si svolgevano all’interno delle “mura comunitarie”, seppure in una stanza strettamente

adibita alle attività terapeutiche .

Secondo le disposizioni rogersiane , l’ambiente in cui si sono svolti gli incontri si presentava

come comodo e confortevole per i membri del gruppo : nella stanza i partecipanti erano seduti in

disposizione circolare .

La comunità si presenta come un luogo ed un tempo in cui nascono e si sviluppano relazioni

particolari che hanno come obiettivo la cura di persone. L’organizzazione della vita quotidiana

59 Il membro del gruppo aveva esposto la sua scelta durante lo svolgimento di diverse sedute , preparando e condividendo la decisione dell’abbandono con tutti i partecipanti. Questa elaborazione gruppale e la reciproca comprensione , ha permesso al gruppo di non affrontare il drop-out senza ripercussioni significative .

94

nella comunità è equiparabile alla cadenza delle incontri e al rispetto dell’orario e degli accordi

presi nel setting terapeutico propriamente detto (Mannini ,2006).

In comunità è molto difficile mantenere una distanza relazionale e confidenziale con il

paziente: è complesso mantenere la cosiddetta “astinenza” terapeutica da parte dell’èquipe

curante.

Secondo Mannini (Mannini , 2006) , è possibile mantenere la propria funzione di strumento

terapeutico solo se si riesce a provare affetti astenendosi dall’ azzerare la distanza tra noi e il

paziente. Solo a questa condizione è possibile intervenire in una relazione non “naturale” (come

quella che nasce all’interno di una struttura comunitaria residenziale) in cui un adulto educa un

altro adulto, una relazione “come se” uno fosse l’adulto e l’altro il bambino o l’adolescente.

Questa relazione “inventata” in cui uno gioca a fare il bambino e l’altro il genitore è possibile se

chi fa il genitore, per ricoprirne il ruolo, si astiene da essere, in quello spazio, completamente se

stesso, mettendo in secondo piano i propri bisogni affettivi e relazionali. Se la relazione è

concretizzata in scambio paritario di affetti non è possibile ricoprire ruoli “come se”.

Ho potuto osservare e confermare direttamente questo elemento all’interno dell’intervento

terapeutico comunitario a cui ho partecipato. Il setting gruppale incorporato dalla comunità e la

difficoltà oggettiva di mantenere “un’astinenza terapeutica” , sebbene possano essere considerati

elementi ostacolanti , hanno favorito l’applicazione delle indicazioni di setting di gruppo

rogersiane. L’approccio Centrato sulla persona implica l’ottimizzazione del rapporto personale

tra pazienti e terapeuta , richiedendo di ridimensionare gli atteggiamenti troppo impersonali ed

istituzionali .

Un altro aspetto a cui è necessario rivolgere massima attenzione è ricordare che è la comunità

e non il singolo, che fa la terapia. Dimenticare questo significa introdurre un setting parallelo a

quello comunitario, una triangolazione del paziente pericolosa e disfunzionale. Risulta pertanto

determinante per la funzione terapeutica della struttura che le varie figure professionali siano a

stretto contatto tra di loro (Mannini , 2006).

Nella comunità , spazio fisico mentale e gruppale, proprio come all’interno degli incontri di

gruppo si interviene su diversi piani: a livello comportamentale (le regole da rispettare);

cognitivo (aiutare a pensare e a trovare nuove soluzioni, anche valorizzando le risorse del

gruppo); affettivo (accogliere la persona con il dolore di cui questi è portatore, anche

valorizzando le risorse del gruppo).

95

1.5 I principi e le regole del Gruppo d’Incontro rogersiano

Facendo riferimento ai modelli teorici di C. Rogers, W. Schutz e T. Gordon, i Gruppi

d'Incontro a cui ho partecipato costituivano un luogo di interazione relativamente non strutturato

( Rogers , 1970) garantito da alcuni principi :

- focalizzazione sul “qui ed ora” ( primato dell'esperienza e dell’interazioni personali

immediate) ;

- comunicazione autentica ;

- assenza di qualsiasi aspetto giudicante nei confronti dei partecipanti ;

- libertà di espressione da parte di ogni partecipante ;

- attribuzione al conduttore o facilitatore della responsabilità di facilitare l'espressione di

sentimenti e pensieri da parte dei membri del gruppo. Il conduttore ha il compito di creare un

clima psicologico di sicurezza, in cui si realizzano gradualmente la libertà di espressione e la

riduzione dell'atteggiamento difensivo. Da questa libertà di esprimere i veri sentimenti positivi e

negativi, si sviluppa un clima di fiducia reciproca. Con la riduzione della rigidezza difensiva gli

individui possono ascoltarsi a vicenda e possono imparare maggiormente l'uno dall'altro.

Il Gruppo d’Incontro rogersiano era guidato da alcune semplici regole :

- invito ad essere presenti ad ogni incontro ;

- puntualità e rispetto degli orari ;

- partecipazione attiva di tutti i membri del gruppo ;

- rispetto reciproco tra tutti i partecipanti , compresa la conduttrice e l’osservatrice

partecipante;

- riservatezza sui contenuti espressi da tutti i partecipanti al gruppo.

Tutto ciò facilitato da uno stile di conduzione improntato all'empatia, alla non direttività e alla

congruenza.

1.6 Finalità del Gruppo d’Incontro rogersiano

L'obiettivo del Gruppo d’Incontro proposto da parte della conduttrice e da parte

dell’istituzione curante (Comunità Terapeutica Residenziale “Dianova Onlus” ) era quello di

favorire il confronto tra i partecipanti , valorizzando le competenze acquisite durante il percorso

comunitario e promovendo uno spazio di crescita personale .

96

Il Gruppo di Incontro era stato istituito come uno spazio che potesse offrire molteplici

opportunità ai suoi partecipanti :

- utilizzare il gruppo come area “transizionale” , come primo ponte tra interno (Sé,comunità)

ed esterno (il mondo reale);

- utilizzare il gruppo come “spazio potenziale” per lo sviluppo del pensiero e della capacità di

simbolizzare , di prendere coscienza di un’esperienza offrendo una donazione di senso agli agiti

e ai vissuti emotivi dei partecipanti;

- offrire la possibilità , grazie alla creazione di un clima amichevole e non giudicante, di

affinare la comunicazione (dei propri vissuti e delle proprie emozioni) e di riconoscere le proprie

ed altrui capacità attraverso lo scambio attivo di esperienze ;

- attenuare le ansie legate al percorso riabilitativo dalla tossicodipendenza o ad un particolare

evento personale grazie al dialogo con altri che condividono la stessa condizione ;

- favorire la possibilità che quanto venga sperimentato ed acquisito nell'esperienza di gruppo

possa essere facilmente trasferito nella vita quotidiana: in comunità ,nel rapporto con il partner,

con i figli, nelle relazioni amicali e nel mondo del lavoro successivamente ;

- sollecitare l’uso e la messa in atto di feed-back, di modo che ogni individuo venga a sapere

come egli appare agli altri e quale impatto ha sui rapporti interpersonali. Da questa maggiore

libertà , da questa migliore comunicazione grazie e a questo strumento “riattivatore” ( il

feedback) emergono nuove idee, nuovi concetti, nuove direzioni .

2. Il processo di gruppo

Nella fase d’avvio del gruppo , anche a causa della natura non strutturata del Gruppo

d’Incontro, la maggior difficoltà a cui devono far fronte i partecipanti è il disorientamento. I

membri del gruppo a cui ho partecipato si sono presentati inizialmente abbastanza diffidenti , ma

allo stesso tempo incuriositi sulle possibilità di utilizzare uno spazio “su misura” per loro.

97

La conduttrice del gruppo ha utilizzato i primi 15 minuti per illustrare le norme , le finalità del

gruppo e per ottenere il consenso dei partecipanti alla registrazione delle sedute.

Al primo incontro ho osservato i membri arrivare puntuali e sedersi in modo composto ,

occupando le sedie disposte circolarmente : alcuni sono entrati nella stanza preposta al gruppo in

maniera riservata , altri in maniera più decisa e sicura.60

La conduttrice , insieme alla sottoscritta , aveva ipotizzato una buona motivazione alla

partecipazione ( sebbene i partecipanti si trovassero nella condizione più o meno coatta della

residenzialità) e la stessa è stata dimostrata fin dal primo incontro ( anche se con intensità diversa

da parte dei membri del gruppo).

Durante le sedute di gruppo , ho osservato e trascritto gli “orientamenti” ( Rogers , 1970) che

Rogers definiva come “tendenze che costituivano le fila del proprio modello di terapia di

gruppo”61 (Rogers , 1970). Rogers considerava l’interazione gruppale come un “arazzo” , diverso

e vario da gruppo a gruppo , ma con la caratteristica specifica delle seguenti tendenze:

1. GIRARE A VUOTO (Fase di avvio)

Dopo che il gruppo era stato presentato come un momento di libertà nel quale solo i membri

avevano la piena facoltà di deciderne la direzione, si è manifestato un periodo di confusione

iniziale. In questi momenti iniziali , i partecipanti si sono comportati principalmente in due modi:

alcuni si sono ritirati in un silenzio imbarazzato , altri hanno prodotto una conversazione

superficiale e priva di espressioni veramente personali. I membri del gruppo si sono trovati di

fronte ad una situazione improntata sul “qui ed ora” , dove sono loro stessi a decidere come

utilizzare al meglio lo spazio gruppale .

D : …Non saprei, non è completamente chiaro quello che dobbiamo fare. Però…

D: Ah! Ma si può interrompere uno quando parla? Perché non ho capito ..

7

60 Sottolineo che tutti i partecipanti avevano già partecipato a momenti gruppali , seppur c 61 Secondo Rogers (Rogers , 1970) è altamente probabile che gli orientamenti si verifichqui di seguito riportato , ma aggiunge che talvolta gli stessi possono ripresentarsi atematiche trattate dal gruppo in quella precisa seduta.

Seduta n.1 ; 22/03/200

on sole finalità educative.

ino nell’ordine cronologico seconda del clima e delle

98

2. RESISTENZA ALL’ESPRESSIONE E/O ALL’INDAGINE PERSONALE (Fase di avvio)

E’ molto difficile riscontrare una buona capacità di apertura e fiducia verso gli altri membri

del gruppo , specialmente nelle sedute iniziali. Secondo Rogers ( Rogers , 1970 ) i partecipanti al

gruppo , almeno inizialmente , sono restii ad esprimere vissuti personali e ad indagarne il loro

impatto sulla propria vita : è come se presentassero solamente “un Sé pubblico” - il più accorto

capace e sano possibile- e lasciassero il “Sé privato” nascosto e separato dalla propria persona ,

per poi farlo riemergere in un momento di coesione particolarmente forte con il gruppo. Spesso

questa tendenza rivela un’iniziale mancanza fiducia nel gruppo che non ha ancora formato una

propria storia e non si riconosce ancora come tale.

D: Sicuramente ci saranno milioni di cose che il gruppo non conosce di me…Però , partire adesso e dire : “Guardate che sono così”…Non so…E’ anche vero che mano a mano che parlo trovo meno difficoltà a dire come sono…ma dirlo adesso…Dato che siamo qui in comunità , nessuno di noi è uno stinco di santo…però dire adesso che sono in una certa maniera..Non so, forse devo ancora conoscermi io , prima di parlare agli altri! F: Forse ho ancora troppa confusione su certi aspetti della mia vita , su certe cose…Non ho proprio le idee chiare su quello che potrei essere io! Quindi parlarne agli altri è difficile. V: Io ascolto! Ascolto tutto quello che avete da dire , ascolto le vostre problematiche..ma personalmente faccio molta fatica a riportare al gruppo le cose che mi riguardano.Non lo so nemmeno io : quando faccio i colloqui con la Psicologa riesco ad esternare , ma adesso…nel gruppo…faccio proprio fatica!

3. DESCRIZIONE DEI SENTIMENTI PASSATI (Fase di coinvolgimen

Nonostante l’ambivalenza sulla fiducia osservata tra i membri del gru

sedute, gli stessi accettano il rischio di esporsi. Un primo passo è risultato

descrizione dei sentimenti passati. I sentimenti passati , nonostante si

trascorsi , permangono nella memoria dei partecipanti come qualcosa di

volte irrisolto.

F: Prima non mi sentivo confuso…prima, fuori dalla Comunità. Cioè , non sentivo la copensavo , ma non me ne fregava niente. Per me era tutto molto relativo fuori di qua : venresto era tutto dopo.Non c’era niente che mi interessasse minimamente!

7

Seduta n.1 ; 22/03/200

to)

ppo , dopo le prime

proprio quello della

riferiscano ad eventi

vivo ,importante e a

nfusione…o comunque ci ivo io e i miei bisogni , il

Seduta n.1 ; 22/03/2007

99

La descrizione dei sentimenti , la possibilità e la capacità di verbalizzarli , è per il

tossicodipendente un traguardo importante . egli ha molta difficoltà ad avvicinarsi in modo

appropriato ai sentimenti senza lasciarsene travolgere o distorcerli. All’inizio delle sedute , si

nota ancora , talvolta , nel soggetto tossicodipendente, un coinvolgimento eccessivo per vissuti

emotivi che lo stesso riporta come superati. D: Io cerco di tenerle nascoste…le emozioni. Sono sempre stato così: ipercontrollato. Le sento fortissime , le ho sempre sentite fortissime , soprattutto davanti agli altri. Ho da sempre cercato di usare tutto me stesso per contenerle. Si sa…io sono stato adottato e non sono stato trattato bene , ho una storia alle spalle un po’ particolare…Ho portato tanto odio fino ad una decina di anni fa , un odio verso la famiglia che mi ha preso. Ma proprio odio! Odio!Poi è passato…comunque …diciamo che è passato.

Seduta n.2 ; 29/03/2007

4. ESPRESSIONE DEI SENTIMENTI NEGATIVI (Fase di coinvolgimento)

E’ interessante notare come la prima espressione di un sentimento autenticamente significativo,

provato nel “qui ed ora” del Gruppo d’Incontro , si sia esplicitato in atteggiamenti negativi nei

confronti dei membri del gruppo e in particolare verso la conduttrice.62

Conduttrice: Sono le 12 meno venti. Oggi finiremo all’una meno un quarto. A voi! D: Dieci minuti di ritardo,eh?!? E’ molto importante la puntualità. Almeno così ci dicono in Comunità… Conduttrice: Mi sembrava di avervi detto che se ho qualche ritardo è perché sto facendo qualcosa in ufficio… D: Sì,sì…Naturalmente…. Conduttrice: Qualcosa che riguarda voi. D: Oh! Allora spegnete anche i cellulari !!! Non ci dovete disturbare adesso.

Rogers ha cercato di spiegare questa particolare tendenza : secondo l’autore i membri , in questa

maniera , mettono alla prova il gruppo. Essi si chiedono se realmente il gruppo è il luogo dove

potersi esprimere liberamente e dove poter esprimersi senza pregiudizio alcuno. Attraverso

l’espressione dei sentimenti negativi , i membri del gruppo tentano di saggiare le capacità di

“contenimento” e di accettazione degli altri partecipanti. Questa sorta di “messa alla prova” è

ancora più accentuata all’interno di un gruppo di soggetti tossicodipendenti : essi sono

caratterizzati da una notevole difficoltà nell’esprimere i propri sentimenti , nel dar loro una corretta

identificazione e nel viverli in maniera sana.

Seduta n.2 ; 29/03/2007

62 Questa particolare modalità è stata sempre riscontrata anche da Rogers (Rogers , 1970) all’interno dei suoi numerosi Gruppi d’Incontro e all’interno degli studi relativi agli stessi.

100

Altro motivo , secondo Rogers , potrebbe essere il fatto che è molto più facile esporsi attraverso

sentimenti negativi piuttosto che con sentimenti positivi. Anche questa tendenza è particolarmente

rilevante nella terapia di soggetti tossicodipendenti : essi infatti tendono , per caratteristiche

personologiche , ad attaccare l’oggetto in relazione con loro. Essi , in modo difensivo ,

preferiscono “aggredire” l’altro in modo da mantenerlo distante da sé. L’ammissione di un

coinvolgimento e di un sentimento positivo renderebbe gli stessi troppo vulnerabili nei confronti

dell’altro e troppo esposti ad un suo eventuale rifiuto .

F: Sembra che il gruppo lo facciamo solo io e D.! V : Sì,ma anch’io ho detto… F : Tu non hai detto niente !Tu hai parlato solo alla presentazione! Dopo la presentazione non hai parlato più…punto! V : Il mio passato l’ho detto… F : Io ho sempre messo davanti a voi anche le mie difficoltà e altrettanto ho portato le cose positive. Specialmente poi quando facciamo il gruppo tra di noi , non ho il timore che loro possano pensare qualcosa di male anche se dico una mia difficoltà , una mia paura , una mia insicurezza che ho vissuto . Ne parlo tranquillamente perché credo che il gruppo sia il posto giusto. - Pausa di silenzio- D: Io e F. cerchiamo di stare in silenzio per fare spazio anche a voi. Altrimenti è una botta e risposta tra noi. F: Voi non parlate mai! Io ho fatto notare questo anche alle educatrici! Oh! Senza togliervi niente,però… V: Io sto muto perché sono in confusione totale .Sono in un periodo di buio totale … Non voglio proprio dire niente ! D : Però prima di tutto le deve esternare le cose…siamo qua per questo ! F: V. posso dirti una cosa? Secondo me anche queste sono cose da tirare fuori … V: Se non le voglio tirare fuori!?! Cosa devo fare? E comunque le ho dette… F: Non lo so…io la vedo in maniera completamente diversa ! V: Allora? Io a differenza vostra devo pensare , devo mettermi da parte e devo pensare da solo …da solo! F: Allora non venire neanche al gruppo! V: Io non ho problemi infatti! F: Sei qui e non te ne frega niente di nulla!!! Si riparte da un punto che ti ho detto una volta ed io rimango della mia idea : tu non vuoi parlare di te stesso, non è che non puoi…tu non vuoi parlare di te stesso ! Con te si può parlare di tutto quello che gira attorno a te , ma non di te!

Seduta n.3 ; 5/04/2007

5. ESPRESSIONE E INVESTIGAZIONE DEL MATERIALE PERSONALMENTE

SIGNIFICATIVO (Fase di coinvolgimento)

E’ interessante osservare come , immediatamente dopo esperienze così negative come la

confusione iniziale , la resistenza all’espressione personale , la polarizzazione sugli eventi esterni

e/o superficiali , l’estrensicazione di vissuti collerici e rivendicativi , un membro del gruppo si

riveli allo stesso in modo altamente significativo. Nella mia esperienza ( e anche all’interno della

letteratura rogersiana ) ho potuto notare che questa tendenza si concretizza quando il partecipante

101

apprende che il gruppo è “il suo gruppo” : spazio contenitore e trasformativo per sé e per gli altri.

All’interno del Gruppo d’Incontro si erano già sperimentati sentimenti negativi , accolti senza

pregiudizio e assimilati : questo precedente passaggio ha permesso ai partecipanti una

partecipazione senza timore di conseguenze catastrofiche e l’instaurazione di un iniziale clima di

fiducia. In questo momento è iniziato per il Gruppo quello che Rogers chiama “viaggio al

centro del Sé” (Rogers,1970). Questa esplorazione non è mai un processo facile , specialmente

per i soggetti con problemi di dipendenza da sostanze che vedono nell’auto-rivelazione un

potenziale rischio per la propria “incolumità”. I partecipanti del Gruppo hanno espresso

qualcosa della propria personalità, lasciando al gruppo qualcosa di sé , auto-rivelandosi. Per il

soggetto tossicodipendente , “donare” parte di se stesso agli altri comporta il rischio di

dipenderne per controllarne le eventuali reazioni e il possibile abbandono. Solo un clima di

serenità e di condivisione può permettere al paziente tossicodipendente di esprimere materiale

significativo senza il timore che questo comprometta le giuste distanze e la giusta comprensione

da parte degli altri. La possibilità della self-disclosure è stata facilita , all’interno del Gruppo

d’Incontro , dalla problematica comune : la tossicodipendenza. Condividere l’aspetto

“patologico” , ma anche condividere la residenzialità in Comunità , diviene un elemento

vantaggioso e stimolante la coesione e il clima di reale partecipazione.

W: Ho avuto la possibilità dall’èquipe di partecipare alla S.Messa commemorativa in onore del mio amico…quello morto in un incidente stradale. Ne sono contento. So che sarà molto difficile per me non solo andare alla S.Messa , ma anche ritornare al mio paese…non voglio fermarmi molto. Ho deciso di ricominciare una vita lontano da lì. Qualche giorno fa ho pure visto A. : mi ha aiutato a rimettermi in carreggiata e adesso ho le idee più chiare sul mio percorso. Ci sarà anche lui alla S.Messa e questo mi conforta. Per la prima volta ci parteciperò da lucido…(W. Non riesce a trattenere l’emozione e piange. E’ la prima volta che partecipa al gruppo in modo così sentito ed è la prima volta che esprime sia verbalmente sia fisicamente i propri sentimenti agli altri membri del gruppo. All’interno del gruppo cala un silenzio che esprime tutto il rispetto nei confronti di W. E delle sue emozioni).

6. ESPRESSIONE DI SENTIMENTI INTERPERSONALI IMMED

(Fase di differenziazione)

Parte esplicita del processo di gruppo , è l’esplicitazione dei sentimenti c

nei confronti dell’altro. Questa tendenza , come tutte le altre che coinvol

emozioni e vissuti personali , risulta molto complessa , ma strettamente tera

che soffrono di dipendenza da sostanze. Questa tipologia di orienta

faticosamente affrontato da coloro che presentano difficoltà ad empatizzare c

verbalizzarli e simbolizzarli come i soggetti tossicodipendenti.

Seduta n.4; 12/04/2007

IATI NEL GRUPPO

he un membro prova

gono l’espressione di

peutica per i soggetti

mento gruppale , è

on i vissuti emotivi , a

102

D: Per come la vedo io W. È forse è il più grande di noi qua in mezzo…il più grande,anche se ha 20 anni! Nel senso che io mi rispecchio un po’ in lui. Io qua dentro a 20 anni non ci sarei stato neanche con la pistola puntata. Mi sarei fatto sparare e me ne sarei andato fuori,quindi…lo ritengo un grande! Io lo ammiro perché lui sta qua , ascolta…avrà le sue difficoltà..ma comunque ha 20 anni.Quando mi domando di ieri, dei progetti trascorsi e penso a W…..Bhè,ha 20 ann , i progetti li deve fare adesso! .Le scelte? W. ha 20 anni che scelte ha dovuto fare fino ad adesso?Adesso deve iniziare a fare le scelte o forse è ancora troppo presto.Ecco perché ti dico che sei un grande e sicuramente se farai il tuo percorso qui fatto bene diventerai un grande,sicuramente…ma in tutti i sensi! Tu qui in comunità hai tutto da prendere e devi prendere tutto : esperienza di vita , di comunità e di persone più grandi. Io ti ammiro!

7. LO SVILUPPO DI UNA CAPACITA’ CURATIVA NELL’AM

(Fase di differenziazione)

Uno degli aspetti più affascinanti che ho potuto osservare direttamen

gruppale è la dimostrazione della naturale e spontanea capacità dei memb

il dolore e le sofferenze altrui , in forma benefica , agevolante e “tera

gruppo hanno saputo , ad un certo punto del percorso , fornire

dimostravano comprensione reale delle difficoltà altrui.

V: Io non so se andarmene o restare : sono in confusione totale. E’ meglio che stia zitniente! F: Però posso dirti una cosa? Dovresti cercare di esternare queste cose . Sono proprio qfuori. Il gruppo è lo spazio da utilizzare per riportare le tue difficoltà. Tu usi uno stquaderno , dove annoti tutto. Un giorno mi hai detto : “Tieni ,leggi!”. Io l’ho visto c“Questo è quello che provo , ma che non so esprimere a parole!”. Quindi noto che lalivello verbale ed è per questo che alcune volte cerco di spronarti chiedendoti di faSecondo tu me tu hai un grande bisogno di parlare con gli altri.

8. ACCETTAZIONE DI SE STESSI E L’INIZIO DEL CAM

differenziazione)

In tutte le esperienze di gruppo , l’accettazione di se stessi viene

presupposto per il cambiamento. Solo dopo che nel Gruppo d’Incontro s

di fiducia ed intimità , il partecipante impara ad essere se stesso e

cambiamento. In particolare per i membri del Gruppo d’Incontro a cu

tendenza si esplicitava in un accostamento maggiore verso i propri sen

Seduta n.5; 19/04/2007

BITO DEL GRUPPO

te nella mia esperienza

ri del gruppo di trattare

peutica”. I membri del

feedback empatici che

to…Non voglio proprio dire

ueste le cose che devi tirare rumento molto importante : ome un tentativo di dirmi : tua principale difficoltà è a re due passi e di parlarne.

Seduta n.6; 26/04/2007

BIAMENTO (Fase di

considerata il necessario

i è creato un giusto clima

pone le basi per il suo

i ho partecipato , questa

timenti : essi non erano

103

percepiti più così rigidamente o in modo distorto , bensì in modo più consapevole ed aperto alla

riflessione.

V: Prima appena la mia famiglia aveva bisogno ,correvo! Adesso , anche se mi costa , capisco che devo prima mettere a posto delle cose qui in Comunità. Anzi so che se vado a casa peggioro solo le cose. E’ meglio se sto qui: è meglio per tutti! Cerco di affrontare le cose con spirito diverso : ormai quel che è fatto è fatto! Devo guardare avanti e non attaccarmi a delle situazioni che mi impediscono di farlo. Devo farlo da solo! Questo lo devo anche al gruppo : mentre prima facevo fatica a parlare , ora mi sembra di essere più presente. E lo devo anche a tutti i partecipanti! F: Io , invece , all’inizio parlavo molto ma non sapevo ascoltare. Con il tempo ho capito di avere delle difficoltà in questo senso e ho cercato di ascoltare gli altri. E’ un limite che ho cercato e sto cercando di superare anche grazie al gruppo . Me ne sono accorto,negli scontri diretti. Mi è stato detto : “Tu non ascolti quando parlo. Tu mi parli sopra”. E allora mi sono detto : “Caspita! E’ vero!Io non sono capace di ascoltare”. Devo ascoltare e poi eventualmente dire la mia! Non è una bella cosa non sapere ascoltare!

9. LA ROTTURA DELLE FACCIATE (Fase di lavoro interazionale

Una delle tendenze più interessanti che ho potuto direttamente osse

facciate. Nel tempo , si instaura una crescente insofferenza per le difese

a sopportare che un membro viva dietro una maschera. Soprattutto all’

soggetti tossicodipendenti , questa tendenza si verifica in maniera forte

membri del Gruppo d’Incontro a cui ho partecipato – come la magg

problemi di dipendenza- si è sempre nascosto da se stesso e dagli altri att

la presentazione di un falso Sé , attraverso comportamenti manipolatori e

instaura un clima di insofferenza per le parole di cortesia , per la comuni

la comprensione reciproca di facciata. L’espressione del Sé di qualche

reso chiarissimo che è possibile un incontro più profondo e fondamentale

il gruppo punti più o meno consciamente a questo obiettivo. A volte in mo

maniera più delicata , il gruppo esige che ogni partecipante sia se stes

sentimenti che prova comunemente e che rimuova la maschera dei “norm

F: Io ho sempre fatto come i vulcani : eruttavo! Siccome l’ho sempre fatto nella vita , hoavere usato sempre questo meccanismo : non parlo a nessuno, non dico niente a nscoppiato. Oggi come oggi il modo giusto , secondo me , è parlare con le persone. Tgiudicarci ,né per condannarci..ma solamente per aiutarci! Io credo che ci sono cosedeleterie per delle persone…per qualche persona può essere vista in modo diverso. Nontutti uguali! Non abbiamo le stesse problematiche , non abbiamo lo stesso modo di viv

Seduta n.7; 3/05/2007

)

rvare è : la rottura delle

e il gruppo non riesce più

interno di un gruppo per

e spesso drammatica. I

ioranza dei soggetti con

raverso bugie , attraverso

ricattatori. Nel gruppo si

cazione superficiale e per

membro del gruppo , ha

: si osserva proprio come

do più brusco , a volte in

so , che non nasconda i

ali” rapporti sociali.

riconosciuto a me stesso di essuno…e poi sono sempre

anto nessuno è qua né per che possono essere molto

è tutto standard! Non siamo ere le cose…ognuno ha un

104

proprio modo diverso!E quindi…questo è un po’ il resoconto di quello che è F. oggi. Senza cercare di nasconderlo da niente e da nessuno. Bhè,sicuramente non posso essere sempre pimpante,saltante e sorridente! Ma sapete perché? Perché credo che siamo arrivati al momento in cui le maschere devono essere tirate giù. Io lo so che molti altri fanno “i sorridenti” , anche quando non lo sono. Oppure fanno pesare il loro malumore sugli altri..

10. I PARTECIPANTI RICEVONO FEEDBACK (Fase di lavoro intera

Il Gruppo d’Incontro , proprio perché costituisce un’interazione libe

permette al partecipante di acquisire una notevole quantità di dati su com

partecipanti del gruppo , si scambiano in modo tanto negativo quanto posi

avviano un processo di auto-comprensione significativa , accompagnata da

(Rogers , 1970) con il gruppo. Questo naturale procedimento dona la sens

si occupi veramente del membro appartenente” (Rogers , 1970) e gli o

ascoltare sinceramente qualcun altro.

F: Qui dentro siamo tutte persone diverse! Da persona a persona cambiano tante difficoltà…nostri programmi. Qua non si viaggia in maniera standard per tutti. Io ho parlato qua delle sicuro che loro non ne riparleranno mai con nessuno. E’ un posto sicuro! W. anche se è un sempre apprezzato. Anche per le scelte che ha fatto :non tornare giù…sono scelte di una per20 anni. Non tutti hanno il coraggio di dire : “ Io mi trasferisco in un’altra città perché lì torna queste cose valuto la maturità di una persona. W. , per me tu sei una persona già matudifficoltà mi potrà dare sicuramente una mano! Con V. ormai c’è un rapporto…insomma,si sa! G. addirittura andrà al reinserimento…sonogiusto così! E’ giusto che le cose si evolvano. Non lo so, penso che quando è iniziato il gruptu F.!”, perché mi conosce. Sa che avevo bisogno di parlare per primo. Loro mi conoconoscono come le loro tasche. Io non gli ho mai nascosto niente…loro sanno se sto benpensieroso ,se sono arrabbiato. Certe persone fanno un miscuglio di tutto…Loro no: sanno d

11. CONFRONTO (Fase di lavoro interazionale)

Secondo Rogers (Rogers , 1970) all’interno del gruppo gli individui

l’altro , “livellandosi” reciprocamente . I confronti , momento basilare

Gruppo d’incontro , costituiscono una della tendenze più affascinanti. Al

spazio trasformativo ma protetto , i membri possono agire numerosi conf

negativi. Per i membri del gruppo a cui ho partecipato , il confronto non e

esauriva solo all’interno dello spazio gruppale , bensì un’occasione per r

Seduta n.8; 10/05/2007

zionale)

ramente espressiva ,

e appare agli altri. I

tivo dei feedback che

un “nuovo incontro”

azione che “il gruppo

ffra la possibilità di

ci sono tante varianti nei mie difficoltà perché sono ragazzo di 20 anni,io l’ho sona matura. Anche se ha o a stare male”. Io in base ra che in un momento di

contentissimo per lui: è po V. ha detto : “Sì,inizia

scono meglio di tutti, mi e ,se sto così-così,se sono are un senso.

Seduta n.10; 24/05/2007

“si affrontano” l’un

e finalità stessa del

l’interno del gruppo ,

ronti , sia positivi sia

ra un momento che si

iprendere determinate

105

tematiche durante la giornata trascorsa insieme in Comunità. Il Gruppo d’Incontro permetteva

sempre una prima comprensione delle questione accompagnata dalla supervisione psicologica ;

in seguito i membri del gruppo potevano approfondirla nel contesto comunitario , dopo avere

acquisito gli strumenti di riflessione idonei.

F: Certe volte ci sono ostacoli che non metti in preventivo.F: Ma questi ostacoli fanno parte del percorso comunitario…anche quelli , anche se provengono dall’esterno. E comunque qui dentro è una situazione particolare…con l’aiuto di qualcuno puoi imparare a convivere con questi carichi emotivi. Domani sei fuori,ti capita una roba del genere e cosa fai ? Torni a drogarti un’altra volta? Torni a distruggerti un’altra volta? V: No,però non mi aspettavo… F: Ma scusa…io credo che da sette mesi che sei qua…te l’aspettavi un po’ questa cosa. Perché ti stavano dietro e già ne parlavi da quando sei arrivato… “Ci sono quelli della finanza”…quindi più o meno… V: Eh..ma non pensavo una questione di 700mila euro! F: Eh..ma scusa fratello…tu le sai le truffe che hai fatto! Vendevi macchine e fregavi l’Iva..vedono i tabulati e i 700mila euro. V: Io sapevo 250mila…sì. Ma da quando sono qua io non lo so più! F: Ma lo saprai quello che hai fatto! Lo ha fatto tu! D: Ma come fai a non saperlo? Ci stanno i tabulati.. Eri un presta-nome,no? F: Ah! Tu eri praticamente il pollo della situazione! Se scoprivano qualcosa, beccavano te! La “testa di legno”! V: Sì.. F: Tu eri il pollo! Ehi,svegliati!Là c’è scritto il tuo nome e cognome. Non è che vanno a prendere qualcun altro!

12. L’UTILITA’ DEL RAPPORTO FUORI DALLE SEDUTE DI GR

interazionale)

Uno degli aspetti più stimolanti nella partecipazione di un percorso grup

assistenza” (Rogers, 1970) che i membri si assicurano. I contatti al di

gruppo sono inevitabili , specialmente quando si lavora all’interno di una C

I membri del Gruppo d’Incontro a cui ho partecipato , hanno riportato mol

momenti esterni al gruppo “ritagliati” per riprendere le tematiche trattate al

Essi li hanno riportati come spazi importanti di riflessione , momenti c

naturalmente e che si sono creati dalla naturale necessità di un nuovo confro

F: Certo,in questo periodo capita che io stia dieci minuti in più per i fatti miei. Ma cerco senon isolarmi almeno in certi momenti della giornata. Mi fa bene anche solo un sorridere dlui non sta passando un momento tranquillissimo. Sicuramente sarà più nervoso,ma vedcerchiamo di scaricarci l’uno sull’altro i nostri problemi. Anzi cerchiamo di fermarci due sdrammatizzare i nostri stati d’animo. Con V. la stessa cosa! V. è sempre stata una personacon cui ho parlato fin dall’inizio. Ed è una cosa reciproca! Quando vedo che si ritira , che

Seduta n.11; 31/05/2007

UPPO (Fase di lavoro

pale , è la “reciproca

fuori delle sedute di

omunità residenziale.

te volte la presenza di

l’interno dello stesso.

he si sono verificati

nto .

mpre di non isolarmi…di ue secondi con W.! Anche o che come persone non

minuti in più a parlare per che si è avvicinata a me ,

non è predisposto…Io non

106

demordo! Anche se mi allontana ,io dopo dieci minuti lo rincontro e ci vado di nuovo vicino!n Sinceramente vedo che ha bisogno di parlare e che gli serve!.

13. L’INCONTRO FONDAMENTALE (Inizio della Fase conclusiva)

Nella descrizione del processo di gruppo che ho descritto , è insito il

pervengano ad un contatto più reciproco , più intimo e diretto rispetto a c

vita di tutti i giorni. Questa tendenza è sicuramente una delle più in

partecipare . Si creano dei rapporti IO-TU ( M. Buber , )63 che facilit

sentimenti e un naturale avvicinamento tra i membri che provoca un

sincera . Come riporta Rogers (Rogers, 1970) , “nel gruppo viene

cambiamento quando i sentimenti sono provati ed espressi nel contesto de

F: Sicuramente è stata una grande emozione ieri! (F. parla dell’incontro con un’utente riperiodo di “verifica” a casa. L’utente in questione si sta preparando per il reinserimesiamo rivisti è stata una grande emozione. Però sono tranquillo, perché ho avuto moComunità per potere affrontare la cosa. Non la vivo come un distacco,come una cosa dmatura, perché è giusto che sia così. Ho avuto un grande appoggio , anche da parte daffrontarla così. Vivo il dispiacere non in maniera distruttiva anche se è normale chevivere questi giorni con serenità. Nel momento in cui uno si dovrà salutare,è normale csono qui per determinate cose mie,sono qui per rivedere delle questione importanti dellinizierò ad avere un reale confronto con l’esterno. Sono pronto! Mi sento pronto e tradistacco. Non è né un abbandono né niente. Sono due percorsi : per cui uno prende lasuo percorso. E comunque nonostante il dispiacere mi sento tranquillo. Sinceramente coggi la giornata è così? Bene, mi vivo il momento! Non mi fascio la testa, altrimenpossibile! Invece no! Quando arriverà il momento in cui ci dovremo salutare,ci saluteQuesta settimana , con la psicologa , ho avuto modo di tirare fuori quella parte maturaneanche di avere!Invece ce l’ho e probabilmente il tempo mi ha portato a diventare raavessi parlato con nessuno , se non avessi avuto lo spazio del gruppo , me la sarei viAvrei tenuto tutto dentro…che poi è quello che ho sempre fatto nella mia vita! Non fidaniente…. Invece ora vedo che ho la capacità di andare a chiedere aiuto. Ho acquisito quie di rispondere al bisogno di volere parlare con qualcuno. Non sono venuto qui a faresono miei e me li gestisco io. Puoi gestirteli solo dopo aver parlato con qualcuno e rasserenarti , a tranquillizzarti. Se pensi che i problemi sono solo tuoi,ti puoi dare soconfusione totale!

63 Secondo Martin Buber (1878-1965) l’essere umano non può trasfigurarsi ed accederautentica senza entrare nella relazione Io-Tu, confermando così l’alterità dell’altro, che cSecondo Buber l’uomo può vivere senza dialogo, ma chi non ha mai incontrato un Tu umano. Tuttavia, chi si addentra nell’universo del dialogo assume un rischio considerelazione Io-Tu esige un’apertura totale dell’Io, esponendosi quindi anche al rischio del rif

Seduta n.12; 7/06/2007

fatto che i partecipanti

iò che è possibile nella

tense a cui ho potuto

ano il libero sfogo dei

’accettazione reciproca

a verificarsi un vero

l rapporto gruppale”.

tornata in Comunità dopo un nto lavorativo). Quando ci do di ricevere aiuto qui in

isastrosa!La vivo in maniera el gruppo , per arrivare ad mi dispiaccia. Ma cerco di he ci sarà dispiacere. Ma io a mia vita. Anch’io tra poco nquillo ad affrontare questo sua strada e uno continua il erco anche di non pensarci: ti diventa l’unico discorso remo : ma in modo maturo! che alcune volte non credo zionale. Sicuramente se non ssuto in maniera differente! rmi delle persone , non dire

la capacità di chiedere aiuto il super-uomo : i problemi

solo avere parlato ti aiuta a lo risposte da solo e vai in

Seduta n.13; 14/06/2007

e a una dimensione di vita omporta un impegno totale. non è pienamente un essere revole dal momento che la iuto e al rigetto totale.

107

14. L’ESPRESSIONE DEI SENTIMENTI POSITIVI E L’INTIMITA’ (Fase conclusiva )

Parte integrante del processo di gruppo è che l’espressione e l’accettazione dei sentimenti

diano vita ad una grande intimità ed ad una grande sensibilità positiva. Ho potuto direttamente

osservare che con il trascorrere delle sedute si instaura un senso crescente di calore , di fiducia e

di spirito di gruppo,derivante non soltanto dagli atteggiamenti positivi , bensì da una realtà che

comprende tanto i sentimenti positivi quanto quelli negativi. Ciò che ha reso ancora più speciale

questo momento , è stato il coinvolgimento stesso dei soggetti tossicodipendenti : è noto che per

questa categoria di pazienti sia molto difficile non solo esprimere le proprie emozioni ( e anche

riconoscerle ) , ma anche instaurare senza timore di essere inglobato dall’altro una relazione che

mantenga le giuste distanza e sia caratterizzata da intimità.

V: Adesso posso dirlo a tutti i partecipanti del gruppo : grazie! Grazie perché mi siete stati vicino. Pochissimi mi sono stati vicino come voi! F: Credo che sia stata la decisione migliore fare un gruppo conclusivo solo noi la prossima volta. Per quello che mi riguarda si chiude qualcosa , un percorso.Non per mancanza di fiducia verso i nuovi… Ma preferisco così! Si è creato un buon clima di intimità .

Seduta n.14; 21/06/2007

15. CAMBIAMENTI DI COMPORTAMENTO NEL GRUPPO (Fase conclusiva)

Durante l’avvicendarsi delle sedute di gruppo , ho potuto notare numerosi cambiamenti : il

tono di voce , la gestualità , la postura e altri atteggiamenti non verbali che denotano il clima e lo

stato del gruppo. Secondo Rogers (Rogers , 1970) i cambiamenti comportamentali sono , calati

nella pratica quotidiana , i più significativi per i partecipanti al gruppo. L’autore riporta (Rogers

, 1970) come emblematica e caratterizzante una nota riportata da un suo paziente , partecipante

al Gruppo d’Incontro : “ Il cambiamento principale è la considerazione più positiva della mia

capacità di permettermi di udire e di essere coinvolto nell’ urlo silenzioso di qualcun altro”.

F: Ho finalmente trovato quella parte di me razionale che riesce a gestire le cose. Io sono qui per un mio percorso personale Vedo dei cambiamenti! Cambiamenti che uno non si rende conto di avere fatto fino a quando non ti trovi

108

davanti ad alcune situazioni quotidiane! Per me è una cosa importante perché mi fa capire come riesco a vivere ,oggi come oggi, specialmente con le mie emozioni. Sono sereno,sono tranquillo e per me è una cosa importantissima. Per me è un passo sa gigante quello che ho fatto : nella mia vita non riuscivo a convivere nemmeno con una emozione piccola così!Scappavo,dovevo scappare per la paura di fare i conti con me stesso. Per questo oggi , so di essere soddisfatto di quello che sto facendo qua. Io ho sempre detto che qui in Comunità non mi posso lamentare di niente. Io ho sempre ricevuto tanto qua e me lo sento dentro. Ho fatto tanto grazie a questo posto ed ho fatto anche tanta fatica !Bisogna sempre mettersi in gioco! Quando le persone che sono qui in Comunità per aiutarti vedono che tu cerchi in tutte le maniere di apprendere, di capire…ti aiutano! C’è stata gente che ha detto che io tolgo tempo agli altri,perché vado sempre a parlare. Eh? E’ colpa mia? Se uno sta male ed ha bisogno,deve avere un po’ di umiltà. Anch’io all’inizio ero così : criticavo!Ma poi con un po’ di umiltà e grazie al percorso terapeutico sono cambiato. Se hai bisogno devi chiedere! Altrimenti continui a fare come hai sempre fatto: i problemi sono miei e basta! Io sono soddisfatto di quello che ho fatto fino ad oggi qua e questo mi aiuta ad essere sereno. Io sono proprio soddisfatto! Mi sento soddisfatto di quello che ho fatto e di quello che sto facendo qui. Mi ha dato tanto ed ho fatto tanto : questo mi dà lo stimolo per riuscire a raggiungere l’apice di questa montagna!

Seduta n.15 ; 28/06/2007

3. I Focus tematici trattati nelle sedute di gruppo

Come ho potuto verificare personalmente , la conduttrice del gruppo , fin dall’inizio delle

sedute, ha adottato un atteggiamento non direttivo nei confronti dei partecipanti. Questa modalità

di conduzione è , secondo Rogers ( Rogers, 1970 ) , necessaria per creare quel clima di fiducia

che permetta l’autentica comunicazione e la crescita personale dei membri.

Durante gli incontri, ho osservato che la conduttrice del gruppo guidava in modo non intrusivo o

già prestabilito le tematiche riportate dal gruppo. Data la natura non strettamente strutturata del

Gruppo d’Incontro , sono gli stessi partecipanti a decidere contestualmente le tematiche gruppali

, concentrando le proprie risorse sulle dinamiche delle interazioni personali immediate. Al

terapeuta è lasciato il compito di facilitare l’espressione dei pensieri e dei sentimenti dei

partecipanti , promovendo un cammino personale per ognuno di loro. In una comunità

residenziale , è pertanto fondamentale utilizzare le informazioni emerse dalla sedute gruppali e

dal percorso di crescita personale che avviene nel Gruppo d’Incontro per rielaborare e rivedere

costantemente il percorso comunitario del paziente.

Ho osservato personalmente che le tematiche principali che il Gruppo d’Incontro ha trattato

durante le sedute , sono sostanzialmente le stesse descritte dai Focus terapeutici e/o tematici

prestabiliti dal modello MDGT di Khantzian e dal modello GRF di Zucca Alessandrelli.

Questo dato potrebbe , secondo il mio parere , dare conferma del fatto che nonostante

l’approccio rogersiano non preveda l’organizzazione dei temi da trattare in gruppo e non sia stato

specificatamente studiato per i pazienti con problemi di dipendenza da sostanze, l’omogeneità

109

della patologia sottostante (ovvero la tossicodipendenza) “guidi” spontaneamente i pazienti a

riportare e poi a rielaborare alcuni tratti e alcune caratteristiche che la letteratura clinica ritiene

peculiari per questa tipologia di pazienti.

3.1 L’ESPERIENZA DEL LIMITE

Per il soggetto tossicodipendente è necessario sostare per potere progettare la cura e per potere

riprendere a pensare ( Fasolo , 2002) : la comunità residenziale è un luogo funzionale a queste

due finalità. Fermarsi in uno spazio specifico di confine tra la propria esperienza di

tossicodipendenza e la ripresa di una vita sana , aiuta i pazienti ad avvicinarsi all’opportunità e

alla fatica dell’ascolto e del dialogo. Secondo Fasolo (Fasolo , 2002) l’arte del guarire necessita

di “tempi morti” , da garantire e da regolare per il beneficio del paziente : il percorso terapeutico

stesso costituisce uno spazio e un tempo che rappresentano una vera e propria strategia che

permette ai tossicodipendenti di non essere schiacciati dagli eventi inattesi e di riconciliarsi con il

proprio limite.

Conduttrice : Il fermarsi all’interno di un contesto comunitario è importante! Il fermarsi,il fermare la testa : fermarsi fisicamente , ma fermare anche tutto il resto è fondamentale. A volte il sostare permette che si crei confusione in noi stessi : ma un tipo di confusione che - come tu dicevi – (rivolta ad un membro del gruppo )-porta ad un’ evoluzione , a qualcosa che è positivo. La conduttrice del gruppo spiega come sia necessario fermarsi per potere pensare , darsi degli spazi ben definiti : solo così facendo si può arrivare a progettare qualcosa di importante per il proprio futuro.

Le persone che soffrono di problemi di dipendenza , hanno difficoltà a

con la realtà , perché ciò implica una continua auto-regolazione , un ricono

le diversità e la necessità di una contrattazione che esige sempre dei comp

che si sono trovati ad andare spesso “oltre la soglia , oltre il limite” , è dif

questi pensieri. Ma il non –confine del tossicodipendente (Fantato , 200

dell’onnipotenza infantile , di una condizione innaturale : la comunità si

confine fisico e mentale , per poi consentire al paziente di svilupparne il se

di rielaborarlo personalmente . Il Gruppo d’incontro stesso rappres

tossicodipendenti un luogo con regole , confini spaziali , fisici e men

“laboratorio protetto “ (Corbella , 2003) dove riprodurre e sperimentare il p

.

7

Seduta n.1 ; 22/03/200

mettersi in rapporto

scere i propri limiti ,

romessi. Per soggetti

ficile concettualizzare

5) è solo lo specchio

propone come primo

nso autonomamente e

enta per i pazienti

tali ben precisi : un

roprio mondo interno

110

3.2 LA VERGOGNA

La tossicodipendenza è un’esperienza certamente traumatica che investe l’unità psicosomatica

della persona : nulla di quanto accaduto precedentemente sarà visto come prima e il pensiero e

le fantasie attuali e sul futuro resteranno segnate . Come scriveva Bion (Bion , 1975) , il trauma è

“ l’esperienza dopo la quale nulla è più come prima” .

L’incontro con la sostanza è radicalmente trasformativo : sconvolge le dimensioni psicologiche e

biologiche del soggetto. Questo cambiamento diventa un’esperienza di riferimento per il

soggetto e non è più cancellabile dalla sua memoria . La terapia gruppale deve cercare di

esplorare “quale peso condizionante abbia sulla crescita personale ciò che è avvenuta prima , ma

anche quanto il “dopo” riorganizzi e ricostituisca il senso del prima (Zucconi , 2004) .

D: Alcune volte ci penso….Quando ritornerò al paese , dirò subito: “Sono stato in comunità!”. Non mi metto ad inventare storie! Passo i primi due o tre giorni a girare così incontro tutti e mi levo questo peso! Perché mi preme pure questa cosa! In paese bene o male tutti ti conoscono…. V: Io quando sono venuto qua…prima di partire…a chi incontravo: “Io me ne vado.Vi saluto.Ciao”… “Dove vai?”… “In comunità!”Ho già detto prima di partire. F: Io l’ho detto solo a chi mi interessava : ai miei parenti.Non è che vado da tutti : “Ciao, io vado in comunità!”. V: Ma sai il paese è piccolo,la gente… F: Il paese è piccolo,la città è grande!Ma chi li rivede più?Ci dobbiamo incontrare casualmente… e poi , incontrare?!?Decido io se ci incontriamo o no. D: Lo incontri,lo incontri.Perché non lo vuoi incontrate? F: Ma non mi interessa! D: Perché non ti interessa? F: Ma perché se tu incontri una persona del passato….poi dipende che passato hai avuto,come la gente ti ha conosciuto,ti ha visto…a che livello di guai ti ha visto! Te lo dico io che fondamentalmente hai sempre la croce! Tu sei sempre drogato!O tu sei sempre delinquente! Ti marchiano! D: No,non è vero! Io ho visto un sacco di persone al paese… V: Ho visto un sacco di gente… D: Scusa… V: Sì.Stavamo per dire la stessa cosa… D: Sì,dopo parli tu. Paese…che poi sarebbe il vostro quartiere dove vi conoscete un po’ tutti…non è vero questo fatto! Per quello ho detto che ci ho pensato subito che lo dico che sono stato un po’ di tempo in comunità…senza inventare tante storie. A chi capita…non è che dici …perché tanto la domanda: “Oh!Ciao…da quanto tempo.Ma dove eri ? Cosa hai fatto? Dove sei stato?”.Questa sarà la domanda di due giorni consecutivi quando torno giù: “Cosa hai fatto? Dove sei stato?”. Quindi te la spari subito,capito!?!Molti ti guarderanno così…bloccati.Molti ti chiederanno il perché,spiegazioni. V: Alla fine mica è una vergogna! D: No,no…. V: Alla fine non è che stai.. D: No.Vergogna è una vergogna! V: E..ho capito…allora… D: Non per la comunità,eh? Per noi!

111

Conduttrice: Volevo chiarire questo concetto della vergogna. C’è nei propri confronti c’è o nel mostrare all’altro il punto a cui si arrivati? D: No,il fatto della vergogna per me…il fatto della vergogna è il fatto di dire: “Ho dovuto abbandonare tutto,ho dovuto lasciare i miei figli e sono dovuto andare in comunità perché mi sono drogato”. Per me è anche una cosa un po’… Conduttrice: Avere perso tutto quello per il quale ho combattuto… D: Io non ho perso niente!Questo è certo! Conduttrice: Bhè,momentaneamente… D: Momentaneamente .Però ecco…forse il fatto che sto pensando di tornare giù…questo fatto della vergogna a me preme tanto.perché la gente mi ha sempre visto…mi conosce come un certo tipo di persona..Ecco,mi premeva!Però,ecco…ho preso la decisione: lo dico subito. V: Io non mi vergogno.Devo dimostrare qualcosa solo a me stesso.Non devo dimostrare a nessuno , nemmeno che non ho paura o vergogna anche di qualcuno che incontro.Non devo dimostrare proprio niente,ma proprio niente. Lo sto facendo per me,non lo facendo per un altro! Forse abbiamo pure qualche merito noi che ci siamo andati in comunità! Gli altri non ci vanno proprio,continuano a fare quello che fanno…E c’è la distruzione di tutto!

Come è ampiamente riportato dalla “vignetta” del Gruppo d’Incontro , s

certo carico di sofferenza mista alla rabbia nel parlare del proprio sen

tossicodipendenti hanno spesso riportato al gruppo la percezione di sentirs

dispiacere e disprezzo dell’essere comunque “tossici “ e pertanto marchiati

1995) 64.

Come scrive Monti (Monti , 2003) , piacere , colpa e vergogna sono spes

nella mente del tossicodipendente . Ma in questo stralcio di seduta appena

facilmente come la vergogna sia un “non essere all’altezza” , un’emozio

concreto che produce uno stigma e che difficilmente concede un’espiazione

Gruppo d’Incontro , si vergognano di provare ( e soprattutto del mostrare )

tutto il sé e arriva a “contagiare” anche la propria rete sociale.

3.3 LA DIFFICOLTA’ NELLA CURA DI SE’

Una lunga esperienza evolutiva ( Khantzian , 1986) consente agli studi

paziente tossicodipendente , una vera e propria difficoltà nella cura di sé. 64 Alla base della vergogna del tossicodipendente c’è un rimprovero e un giudizio negativo ideale totale e poco realistico che rimanda ad un senso intollerabile di inadeguatezza e di nbisogno dell’altro – la sostanza – per stampellare un carente senso di sé e per avere identit2002)

Seduta n.5; 19/04/2007

i percepisce sempre un

timento di vergogna. I

i inadeguati : si denota

( Zucca Alessandrelli ,

so “indicibili e confusi”

riportato , si riconosce

ne ricorsiva , un fatto

. Alcuni partecipanti al

vergogna : essa investe

osi di identificare , nel

Questa problematica è

da parte dell’Io onnipotente, un on validità per il fatto di avere à ( Zucca Alessandrelli, 1995 ;

112

spesso evidente nella storia immediatamente precedente e successiva all’abuso di sostanze : si

riscontrano numerosi problemi sanitari , incidenti , difficoltà legali e finanziarie , in cui il soggetto

si è dimostrato incapace di anticipare e/o valutare le conseguenza di diverse azioni compiute.

Spesso questa tematica è legata alle caratteristiche di impulsività e compulsività del soggetto

tossicodipendente , all’incapacità di valutare le conseguenze sul proprio corpo e per la propria

persona.

F: Per me siamo esosi! Ci sono pochi che nella droga non sono esosi…con la droga. Perché io mi sono trovato a stare male in molte situazioni,proprio per l’esosità…per il troppo! Cioè,non riuscire mai a fermarsi…Male,male! F: No,lì non esiste limite.ma mi è capitato di andare a ballare …ma collassate e star male perché ne prendevo troppe!Cioè,una volta che mi ricordo…mi ricordo? Cioè,mi ricordo che sono cascato per terra e poi non ricordo niente.Ad un afterhour,mi ricordo che mi sono preso tredici pasticche di ecstasy,due acidi e mi sono fatto pure due boccette di popper…in dodici ore!Ma non riesco a controllarmi…eroina,cocaina…per me è la stessa cosa.Io parto…e parto! Non c’è limite in quello.Perché devo sempre cercare lo sballo più forte dentro la mia mente.Perché all’inizio poi mi sconvolge un po’.Io ci ho pensato perché sono così…perché mi sconvolge molto in testa.Inizia a farmi pensare. All’inizio mi fa pesare alle cose negative della mia vita…e allora ci devo dare dentro fino a quando quelle cose negative vanno sempre più a sparire.Molte volte mi è successa questa cosa qua.Fino a quando arrivo che sono cotto e il mio cervello non connette neanche più…che a malapena mi riesco a rendere conto di chi sono o chi non sono.per quello credo..per questo motivo qua non voglio più drogarmi.

Il corpo del tossicodipendente svela spesso l’incapacità di prendersi cur

ferito , malato ed ignorato. Alcuni autori ( Sava , Raffaeli 2006 ) sottoli

l’ascolto del corpo del tossicodipendente ha sulla sua terapia. Il sogg

attraverso un adeguato aiuto , di essere anche “quel corpo” , per

comunicazione con gli altri , preservandolo.

Secondo il modello rogersiano (Marlatt 1985, Rogers 1985) , questa p

alle deficitarie strategie di coping del tossicodipendente.Secondo i due a

percorso evolutivo incapace di coniugare “regole e accettazione incondizio

successivamente la frequentazione di ambienti a rischio , renderebbe mo

tossicodipendente valutare le conseguenze delle proprie azioni e pert

strategie efficaci per sé. Pertanto l’unica “strategia” possibile per affronta

Rinchiudersi in un circuito stretto di “relazione” con la sostanza , diventa

rassicurante : tutto accade nel corpo e con conseguenze sul corpo , senza

valutarne la pericolosità. Questo accade , secondo Rogers (Roge

tossicodipendente si trova carente di un ambiente con un ruolo positivo

Seduta n.5; 19/04/2007

a di sé : è maltrattato ,

neano l’importanza che

etto deve accorgersi ,

cepirlo e metterlo in

roblematica è collegata

utori , inizialmente un

nata verso il figlio” , e

lto difficile al soggetto

anto promuovere delle

re la vita è la sostanza.

per il soggetto , la via

che il soggetto riesca a

rs , 1985) , perché il

e facilitante le proprie

113

potenzialità. Tutte queste sono negate o non sviluppate , lasciando il soggetto incapace di

provvedere ad un’auto-cura.

3.4 L’AUTOSTIMA

Nel tossicodipendente (Rogers, 1985) “la qualità del soggetto” è realmente compromessa : i

fattori ambientali , familiari e sociali carenti e spesso distorti provocano il fallimento della maturità

del soggetto e della sua piena realizzazione.

Egli vive in una condizione di minore libertà , con un’effettiva riduzione delle opportunità di vita

seguita da una notevole incapacità di mettere in atto adeguate strategie di coping. L’abbassamento

dell’autostima risulta secondo l’approccio rogersiano , una caratteristica che rende penoso, fin

dall’infanzia , il confronto con gli altri.

Il soggetto tossicodipendente ha spesso vissuto la valorizzazione della propria persona e una

sistematica induzione di sensi di colpa , aggravate da una cronica mancanza di empatia da parte

dei genitori : tutto queste carenze , vissute ripetutamente creano inevitabilmente la distorsione del

concetto di se stessi e abbassano l’autostima( Rogers , Kinget 1962 ; Vaccari , Zucconi , 1996).

Secondo questo approccio , il tossicodipendente si trova in un circolo vizioso , ancor prima di

entrare in contatto con la sostanza. L’ambiente familiare spesso poco sano , induce inizialmente il

soggetto a cercare al di fuori dello stesso altre opportunità. Egli , però , tende al frequentare

ambienti sociali e relazioni rischiose e non edificanti. La Psicologia Umanistica , fa risalire ad una

sorta di “tropismo psicologico” questo evento : il soggetto tossicodipendente subirà “un contagio

emotivo di tipo depressivo.” (Bonino , 1995), ancor prima di quello legato alla sostanza . Questo

tipo di “contagio” minerà ancor di più , il senso di autostima già carente e deficitario del soggetto.

Il concetto di se stesso che il paziente tossicodipendente sviluppa è fragile e poco valorizzato .

La scarsa autostima si traduce in un’incapacità di considerarsi adeguato e degno di osservazioni

positive , collocando sempre l’altro in un’aspettativa funzionale e malsana di risposta ai propri

insopprimibili bisogni ai quali il soggetto non sa rispondere autonomamente.

Spesso il problema della scarsa autostima personale si trasforma difensivamente in tratti

narcisistici della personalità del soggetto tossicodipendente. Il narcisismo onnipotente è una

caratteristica ed una tematica molto frequente nei gruppi di pazienti tossicodipendenti. Esso si

delinea come il vissuto di un intenso bisogno oggettuale : il narcisismo è una drammatica richiesta

114

di rispecchiamento grandioso , un tentativo di controbilanciare un fragile assetto narcisistico di

base che dovrebbe regolare il senso di autostima. Se le potenzialità dell’individuo non sono state

sufficientemente maturate e valorizzate , è molto facile che il soggetto tenti di trovare conferma

negli altri dal momento che all’interno di sé non riesce a farlo. La messa in atto di comportamenti

e tratti narcisistici di personalità , alle volte anche riconosciuti dai partecipanti al gruppo ,

richiedono necessariamente modalità deduttive e manipolatorie per potere tenere sempre gli altri

sotto controllo. Se questo non si verificasse , se il soggetto non mettesse in atto queste modalità

unilaterali di controllo dell’oggetto , non potrebbe avverarsi la conferma identificatoria che si

aspetta (Zucca Alessandrelli , 2006).

D: Quando sto di fronte ad una persona o ad altre persone,dipende come sono predisposto. Io se vedo un film mi emoziono subito , ma non lo farei vedere neanche morto!Mi dovrebbero sparare per farlo vedere. Non lo faccio vedere nemmeno con mia moglie…Il fatto che mi emoziono per un film, non la sa nessuno…tranne qua dentro.Mia moglie,15 anni insieme e non lo sa…anzi! Dovevo ridere,dovevo ridere! Anche durante le scene drammatiche che la commuovevano : io dovevo fare esattamente il contrario. Esattamente il contrario! Mi dà fastidio piangere, …non lo so,è una cosa che mi rende ai miei occhi meno super!

I tratti narcisistici possono essere riconosciuti dalle modalità sedu

controllanti del tossicodipendente , ma non solo. Colui che possiede cara

della personalità , in particolare il soggetto tossicodipendente , per sentirs

sua autostima , ricorre alla sostanza : gratificare se stessi a tutti i costi attr

non è possibile fare altrimenti. Il narcisismo , il senso di onnipotenza att

di questi comportamenti e delle loro modalità di relazione distorte è l’uni

un’immagine di sé coesa , percepita come forte e valida.

Il senso di onnipotenza è spesso messo in atto , non solo con modal

l’altro , bensì con agiti e pensieri che enfatizzano la capacità di tenere se

sotto controllo : essi sono necessari per mantenere un ‘immagine di s

“caricarsi” delle difficoltà quotidiane. Solo in questo modo , ovvero dis

non sa rispondere in modo adeguato ai bisogni del soggetto , egli può

efficiente.

V: E’ un periodo un po’ particolare! Vorrei evadere,andare a vedere al paese come sta la mA parte le problematiche economiche,c’è tutto il resto! Magari pensare che mia moglie e mmia figlia sta da un’altra parte?!?Bene o male ci sono i nonni,però…Mi pesa questo fatto

Seduta n.1; 22/03/2007

ttive , manipolatorie ,

tteristiche narcisistiche

i valido e aumentare la

averso il corpo , poiché

raverso la messa in atto

co modo per mantenere

ità manipolatorie verso

stessi e le propria vita

é capace , in grado di

torcendo quanto l’altro

sentirsi vivo , vitale ed

ia situazione mia familiare. ia figlia stanno lì…e l’altra !Io non sono mai dipeso da

115

nessuno…nessuno! Me la sono sempre cavata da solo. E non ho mai chiesto aiuto a nessuno proprio per questo motivo. Sono preoccupato...parecchio! Non voglio chiedere aiuto agli altri !Voglio dimostrare a me stesso che posso farcela da solo… D: Sinceramente neanche io chiedo aiuto. Non è che mi dia fastidio,eh…Forse è dovuto al il mio contesto familiare : non ho mai saputo dove aggrapparmi , ho dovuto sempre fare da solo. F: Secondo me questo succede non perché gli altri non sappiano darci aiuto , ma perché o non lo sappiamo chiedere o non lo riteniamo mai sufficiente!

Il gruppo , soprattutto attraverso lo scambio con i pari , può promuovere un sano confronto e

ristabilire le basi per utilizzare le naturali caratteristiche narcisistiche della persona in modo

costruttivo e non patologico (Rogers , 1985 ; Zucca Alessandrelli , 2006).

3.5 LA TOLLERANZA AFFETTIVA

Come ampiamente ripetuto in questo lavoro , i soggetti tossicodipendenti mostrano di base una

notevole difficoltà nel rapporto con la propria emotività. Essi si trovano spesso nello sforzo

costante, ma non efficace , di reprimere la loro emotività ; rivelano problematiche nella

verbalizzazione e nel contatto con le proprie emozioni (Sava , Raffaeli 2006 ). I pazienti

tossicodipendenti non solo mostrano difficoltà nel tenere conto delle proprie emozioni , bensì di

comprendere quelle proprie e altrui senza distorcerle : questa mancanza si ripercuote nella

costruzione di relazioni e rapporti interpersonali. Sono perciò limitate le capacità di mentalizzare e

di controllare l’esposizione verbale e corporea delle emozioni .

V: Quando sono stato al mio paese , per il periodo di verifica, sono stato bene. Sono stato veramente bene! Anzi forse ho raccolto parecchie emozioni che avevo perso. G: E se uno non ne ha di queste emozioni , cosa… Conduttrice: Non ne ha? G : Non ne ha di queste “cose” che dice lui.. Famiglia ,emozioni , un insieme di cose … D: Forse non è che non le hai , non le provi … Conduttrice: Dici anche in certe situazioni è come se fossi ovattato , non sentissi niente… G : Sì… In tutte le situazioni … Condutrice: Mmm…stai dicendo una cosa importante… D : Come se dicessi : “ Non me ne può fregare di meno ?” Conduttrice: Allora lui sta dicendo : “Io non sento emozioni” –rivolta a G - , tu stai dicendo –rivolta a D. –“Non me ne può fregare di meno!” . E’ la stessa cosa o sono due cose diverse secondo voi ? D: Tra non sentire e non provare è differente. “Non me ne può fregare di meno!” vuol dire che comunque le senti , le provi ,però riesci a…

Seduta n.2 ; 29/03/2007

116

Conduttrice : Tu cosa sei? Più “non le sento” o “me ne frego”? G : Io non le sento…O forse non le ho…non so.

Nelle storie dei tossicodipendenti in generale – così come in quelle dei par

si riscontra un “quadro desertificato della sfera affettiva”(Sava , 2006). Il lor

come direbbe Rogers , è stato contraddistinto da “un disagio intollerabile, da

insopportabile che ha creato un vuoto esistenziale” (Rogers , Kinget 19

permesso al soggetto uno sviluppo emotivo sano, come se gli affetti non p

parole giuste e relazioni adatte per essere espressi.

F: Eh! La gestione delle emozioni è un bel problema!.Io ho iniziato il mio percorso qtranquillo e rilassato.Tutto quello che era nella mia mente era come eliminatoproblemi…niente!C’ero solo io ed ero in comunità.Poi i pensieri mi riaffioravano,una volta ctranquillo. Poi ho iniziato ad avere uno scossone tramite i colloqui,tramite i gruppi di prima fpsicologici,ma…disastrosi.Io scoppiavo a piangere,ma stavo proprio male! Perchéil conduttemozioni…le mie emozioni che io non volevo vedere o non volevo esistessero. E invece riacosì!!! All’inizio non riuscivo neanche a gestirle. Il fatto che già scoppiavo a piangere determinate cose,mi scaturiva un’emozione che proprio non riuscivo neanche ad esprimere aper tirarla fuori!Perché era troppo forte,mi causava troppo dolore dentro di me! Vedevo commale” con me stesso. Stavo male con le mie emozioni Prendevano e avevano il sopravventmi sono mai tirato indietro, perché vedevo che erano quelle che mi facevano così male cimportante per me C’era un motivo per cui reagivo così. Ho detto : “Se mi fanno molto malquello che c’è dentro di me…il problema è lì!Il problema è dentro di me!Non è esterno, problema è dentro di me! Poi parlando , attraverso i colloqui e i gruppi , ho imparato un pochettino a gestirle. Ci ho madesso ho tante difficoltà su certe mie emozioni!

Questi numerosi limiti nella sfera affettiva , spesso si presentano nell’inca

affetti e si esplicitano nella “noia”. La noia è una delle emozioni più freq

soggetti tossicodipendenti : all’interno del gruppo la noia è stata spesso asso

“stare nel quotidiano” , di vivere secondo norme e principi prestabiliti sen

senza mai “oltrepassare i limiti”. La noia riflette l’incapacità dei tossicod

“tempi morti” e quindi molto a contatto con se stessi , con i propri vis

emozioni senza lasciarsene sopraffare : condizione che si rivela molto gravos

di pazienti.

V: Quando torni da una verifica a casa è bello la prima settimana in Comunità perché rientvisto cose belle , sai che hai cose belle al di fuori .Io sono entrato con prospettive , ma dop

Seduta n.6; 26/04/2007

tecipanti al gruppo - ,

o percorso evolutivo ,

una tensione talmente

85) : questo non ha

otessero mai trovare

ua, il primo mese, molto …come se non avessi he ero comunque lucido e ase . Lì ho avuto dei crolli ore andava a toccare delle ffioravano,venivano fuori

solo se sentivo parlare di parole…dovevo piangere e un susseguirsi di “stare

o totale su di me. Ma non he avevano un significato e queste cose,devo vedere non è legato a niente…il

esso tanta fatica e ancora

Seduta n.6; 26/04/2007

pacità di tollerare gli

uenti riscontrabili nei

ciata all’incapacità di

za mai “esagerare” ,

ipendenti di stare in

suti e con le proprie

a per questa tipologia

ri con un altro spirito. Hai o cinque/sei giorni rientra

117

la solita routine…le solite cose...pensi a casa… Rientra la noia e ripensi sempre ad andartene. Non vedi l’ora di andare via! F: So cosa vuoi dire , ma se sei nervoso ti devi sfogare in qualche maniera. E allora devi cercare,come si suol dire , di metter ogni cosa nel posto giusto.Combattere soprattutto la noia , sapendo che non sei qui a perdere tempo . W: A me è successo invece quando stavo in verifica. Due giorni mi sono bastati! Sinceramente mi stava per entrare la noia : a stare là,a rivedere i posti…le cabine telefoniche dove… G: Anch’io sicuramente mi annoierò in verifica! Siccome non ho niente da fare, non ho nessuno con cui andare…sicuramente mi annoierò e … Conduttrice: Stai dicendo: “Sono da solo. Essere da solo è una dimensione che mi porta a collegare la sensazione della noia …e se non c’è nessuno , G. che cosa può fare da solo?”. Sono due dimensioni molto importanti quelle che stai toccando: quella della solitudine e quella della noia.Quindi la gestione del tempo e del crearsi degli stimoli.Queste due cose mi sembrano importanti! Quindi le aspettative rispetto all’andare in verifica mi sembrano negative. Vado e non ci sarà nessuno,vado e mi annoierò,vado e tornerò prima. G: E’ così!

Gli indici di immaturità affettiva appena descritti sono collegabili

impulsiva del soggetto tossicodipendente (Gozzi , 2006) : è come se egli n

la propria risposta affettiva poiché da essa derivano un’ansia insostenib

all’atto. Questo tipo di mancanza è dovuto , secondo l’approccio roge

tossicodipendente si trova spesso in un ambiente interpersonale carente

affettivo sia dal punto di vista educativo. Secondo Rogers e la Psicologia U

del soggetto tossicodipendente non riesce a realizzare per il soggetto un bu

affettivi e cognitivi : manca una coerenza di base nella regolazione delle t

ostacola l’esprimersi delle sane potenzialità auto-regolative individuali.

3.6 RELAZIONI CON GLI ALTRI

L’atmosfera di segretezza e comunicazione autentica del Gruppo d’Inco

predisposti naturalmente allo scambio interpersonale e alla comprensio

inerenti ad esso. L’accoglimento e le potenzialità insite del gruppo terapeu

con il tempo un vero “scambio fiduciario” (Khan , 1983) tra pazienti.

Per i soggetti tossicodipendenti il rapporto con gli altri ha bisognosi

maschere, a bugie . L’altro non può rimanere indipendente , distinto , con la

Seduta n.7; 3/05/2007

anche alla componente

on riuscisse a modulare

ile e possibili passaggi

rsiano , al fatto che il

sia dal punto di vista

manistica , la famiglia

on equilibrio tra termini

appe dello sviluppo che

ntro , è uno dei luoghi

ne delle problematiche

tico stesso , permettono

ricorrere a coperture ,

possibilità di giudicare

118

personalmente e realisticamente : deve essere disposto a perdonare , giustificare , a non dare peso ,

a essere cioè di rinforzo alle parti infantili del soggetto che pretendono sempre un rispecchiamento

atto a mantenere l’immaginaria grandiosità. Essi ricorrono a varie di compiacenza e di lamentosità

o a modalità di seduzione , comprese quelle esibizionistiche , che mirano a costringere l’altro ad

essere “funzione protettiva” e di “conferma” (Zucca Alessandrelli, 2005) portandolo a perdere la

sua distinzione e indipendenza. Il tossicodipendente si trova sempre a sedurre , mentire e

manipolare l’altro : sono tutti mezzi per salvaguardare quella fragile identità costruita dopo un

processo evolutivo dissestato (Rogers , 1985) , per altro giudicata da loro stessi negativamente.

Strumentalizzare gli altri permette ai tossicodipendenti di nutrire la loro parte narcisistica – seppur

in modo malsano – ed essere al centro dell’attenzione , anche se poi tutto questori traduce in un

senso di soffocamento. Questi usi captativi si ripetono sia con le sostanze sia con altri : controllare

chi è in relazione con loro , crea l’ illusione di mantenerne il potere.

Nel rapporto con gli altri riescono solo a creare una pseudo-relazione : l’intimità e la vicinanza

per chi soffre di addiction significano soprattutto abolizione dei confini e delle differenze. Per

questo ci possono essere euforici stati di relazione quando l’altro viene visto come integratore di

mancanza e dei propri bisogni . Per questi soggetti , distinzione , separatezza e distanza sono

concetti incomprensibili nel loro valore : sono termini che vengono attribuiti al registro del

“contro” , ovvero di chi si oppone. Esse non divengono mai posizioni che , se adeguatamente

investite , possono permettere relazioni in cui momenti di grande vicinanza si alternano ad altri in

cui c’ è bisogno di separarsi per riprendere un desiderio rinnovato di riavvicinarsi all’altro. La

relazione concepita sul bisogno dell’altro concepita solo sul possesso e sulla manipolazione , può

durare solo se le persone implicate ad incastro si usano reciprocamente .

Dal momento che l’altro è , per il tossicodipendente , necessario per mantenere una propria Il

gruppo d’incontro può permettere la riflessione e il cambiamento dei comportamenti abituali

distorti nei confronti degli altri , apportando un reale e significativo cambiamento a riguardo. Le

relazioni gruppali aiutano , tramite il processo e le dinamiche di gruppo , a rivedere i propri

modelli relazionali e permette di applicarne dei nuovi ( nel caso del Gruppo d’Incontro da me

osservato , prima all’interno dell’ambito comunitario per poi generalizzarli al di fuori).

F: Quando ci siamo rivisti è stata una grande emozione (F. parla dell’incontro con un’utente della Comunità). Però sono tranquillo, ho avuto modo di avere aiuto da qualcuno per potere affrontare questo momento.Non lo vivo come un distacco,come una cosa disastrosa! La vivo in maniera matura,perché è giusto che sia così. Ho avuto un grande appoggio per arrivare ad affrontarla così. Vivo il dispiacere non in maniera distruttiva anche se è normale,è che mi dispiaccia…Ma cerco di vivere questi giorni con serenità. Nel momento in cui ci si dovrà salutare,è normale che ci

119

sarà dispiacere. Ma io sono qui per un determinato percorso ,sono qui per rivedere delle cose della mia vita. E questa separazione non è né un abbandono né niente…è giusto che sia così…che ognuno segua i tempi del proprio percorso.

3.7 LA VULNERABILITA’

L’ambiente primario è il luogo delle origini affettive e della scoperta dei suoi significati , delle

sue comprensioni e delle sue modulazioni. secondo l’appproccio rogersiano , l’adeguatezza

responsiva e responsabile è dunque un indispensabile presupposto per la qualità dello sviluppo

emotivo , psicologico ed esistenziale dell’individuo. L’importanza della relazione riverberante è

determinata dalla duplice funzione che essa assume : da una parte il bambino ricerca sé attraverso

la conferma dei suoi stati d’animo , questi determinano nella madre e nell’ambiente circostante ;

dall’altra egli esplora il mondo materno , impara a riconoscere i movimenti emotivi in uno sforzo

continuo di sintonizzazione necessario per lo sviluppo psicologico.

Il tossicodipendente si trova a vivere queste fasi fondamentali dello sviluppo in modo

deficitario e carente : questo ha delle inevitabili ripercussioni nella propria maturazione personale.

Il conseguente restringimento degli orizzonti esperienziali , penalizza fortemente il mondo interno

del soggetto organizzandolo su percorsi negativi nei quali non si arriva ad esistere pienamente. La

costruzione della personalità risente di queste mancanza e è caratterizzata da una forte

vulnerabilità.

La dipendenza dalla sostanza diviene un modo per rispondere al timore generato dalla

vulnerabilità : il soggetto crede , rifugiandosi nella droga , di poter recuperare e percepire le

perdute qualità positive personali. La condizione di vulnerabilità non permette un vero contatto

con se stessi ( esperienza verificatasi in modo distorto durante lo sviluppo) , non consente di

costruire un vero senso di identità e quindi nemmeno relazioni autentiche con gli altri.

La vulnerabilità (Fina , 2005 ) riguarda complessivamente il “qui ed ora” , l’esperienza viva ,

attuale e reale del soggetto : comprende soprattutto il corpo e le sue esperienze . La

rappresentazione della propria identità corporea è connessa al proprio sviluppo ed identità

psicologica : l’arresto o la distorsione di un buon percorso evolutivo , blocca di conseguenza la

costruzione di un senso identitario completo. La vulnerabilità ha le sue radici proprio nello

sviluppo evolutivo : questo non permette al soggetto tossicodipendente di “avere corpo” , di

sentirne i bisogni fisici e psicologici , egli sente solo il “niente dentro” (Fina , 2005).

Seduta n.13; 14/06/2007

120

Nella loro vita familiare, questi pazienti si sono trovate alle prese con un ambiente di

riferimento incapace di dare risposte significative , in termini di riconoscimento e validazione ai

bisogni , ai desideri e alle paure (Rogers , 1985). Sentire senza avere la possibilità di esprimere

disabitua il soggetto a mantenere una relazione tra le esperienze emotive complesse.

Questi elementi contribuiscono a creare un modello di relazione con gli altri che si ripete , per il

soggetto tossicodipendente , anche al di fuori del contesto familiare. Le relazioni non possono

essere caratterizzate se non da timore di “essere visti” dall’altro e di non vedere riconosciuti e

realizzati i propri bisogni : i soggetti tossicodipendenti mettono in atto manovre di controllo e

seduzione nei confronti di coloro che sono in relazione con loro , senza mai offrire uno spazio alla

fiducia . Essi non sono stati abituati ad uno scambio fiduciario con l’altro che preveda sia momenti

di ottima sintonizzazione sia periodi di difficoltà .

Le modalità con cui si svolge il Gruppo rogersiano , incentivano proprio un cammino volto alla

reciproca fiducia e quindi alla progressiva dissoluzione della vulnerabilità personale.

Tutto questo trova assonanze con ciò che scrive Bollas (Bollas , 1989) riguardo al compito di

aiutare il paziente : “…è necessario aiutare a conquistarsi opzioni per il futuro”. Il terapeuta ,

soprattutto all’interno del gruppo , è parte di un passaggio di conquista : è la stessa esperienza

gruppale che aiuta ed accompagna il partecipante alla conquista di nuove modalità di agire e

pensare , attraverso un alto senso di coesione e reciproca attenzione.

All’interno di un contesto comunitario , come quello in cui ho potuto seguire l’esperienza di

terapia di gruppo , la possibilità di avere uno spazio e un tempo per cambiare , valorizzare la fatica

del fermarsi , del riconoscersi nel qui ed ora senza mai dimenticare la propria storia personale ,

permette ai membri partecipanti di dare un maggior peso alle parole condivise , all’espressione di

emozioni e pensieri : tutto questo significa maturare la capacità di fidarsi , di portare dentro di sé i

pensieri propri e altrui , conservarli , a volte riesumarli , essere capaci di non esserne sopraffatti e

per questo esserne meno vulnerabili.

W: E’ come se mi fosse capitato qualcosa dentro…che non riesco a capire che cos è…Quando è venuta mia madre mi sentivo frastornato , scombussolato. Preferisco vedere A. (A. è un ragazzo che ha terminato il percorso in Comunità e che proviene dallo stesso paese di W.). A. bene o male mi può dare qualcosa…mentre mia madre… Conduttrice: Innanzitutto mi sembra un atto di fiducia verso un’altra persona. W. si sta fidando di qualcuno,in particolare di A. Magari anche solo parlare con lui potrà dargli un aiuto.Quanto vi siete fidati voi nella vostra vita? W: Nella vita? Mai,di nessuno. Tutti : Nessuno Conduttrice: State dicendo una cosa importante. Bisogna imparare a scegliere le persona di cui fidarsi , proprio perché l’atto di fiducia è un atto importante in una relazione. Tu è un po’ di tempo che sei qua e di persona ne hai

121

viste,ne hai conosciute…Hai scelto A.! E poi c’è anche la scelta reciproca: A. ha scelto te. A.viene qui soprattutto per te. F:Secondo me , quando riesci finalmente ad avere fiducia in qualcuno le persone ti aiutano e riesci a mettere i pezzi a posto come in un quadro. E’ come se c’è un temporale e poi inizia a comparire il sole piano piano. Significa sentirsi protetto in qualche modo…essere meno vulnerabile , anche se le difficoltà ci sono!

CONCLUSIONI

Premessa

Come esposto più volte nella stesura di questo lavoro , l’approccio roge

stato studiato per rispondere in modo specifico alla problematica delle dip

differenza degli altri approcci presentati ) .

Seduta n.4; 12/04/2007

rsiano di gruppo non è

endenze da sostanze ( a

122

I principi del Gruppo d’Incontro , proprio perché stilati in modo non strettamente specifico e

strutturato , sono nati come linee guida di base per affrontare disturbi e problemi diversi . Secondo

Rogers (Rogers , 1985) , l’applicazione dei concetti chiave del Gruppo d’Incontro possono essere

estesi ad ambiti molto diversi fra loro : da quello più prettamente clinico , a quello dei workshop , a

quello della formazione in azienda , a quello dei conflitti interpersonali , familiari e/o intesi in

senso più allargato (come i conflitti tra nazioni e popoli) .

Per queste motivazioni , lo stesso Gruppo d’Incontro è stato ampiamente utilizzato ( soprattutto

nelle istituzioni pubbliche ed in particolare nelle Comunità Terapeutiche ) come metodo adatto alla

cura delle tossicodipendenze (Carraro , 1997).

In particolare , ovvero nel corso della terapia di gruppo da me seguita , la possibilità di adottare

dei principi generali di crescita e sviluppo personale ed interpersonale , la struttura non

specificatamente organizzata del gruppo e le modalità di conduzione non rigide hanno costituito i

punti di forza dell’applicazione della tecnica rogersiana all’interno del contesto comunitario.

Le caratteristiche appena elencate hanno consentito di conciliare l’orientamento teorico

rogersiano della conduttrice con le necessità e i tempi della Comunità Terapeutica : per i soggetti

tossicodipendenti , la possibilità di riservarsi uno spazio ed un tempo “su misura” per loro che

possa distinguersi dalle altre attività comunitarie , ha riscontrato un parere molto favorevole.

La Comunità Terapeutica Dianova Onlus di Garbagnate Milanese , ha tra i suoi principi una

formazione di stampo educativo dove le regole , l’organizzazione e la creazione di spazi ed attività

strutturate fondano la base del percorso di riabilitazione.

Per i soggetti tossicodipendenti che partecipano al Gruppo d’Incontro , ovvero coloro che si

trovano nel secondo modulo e hanno già superato il primo l’impatto con le regole e le attività

educative , trovare un momento per se stessi e per il proprio cammino personale (seppur affrontato

in gruppo) diviene uno spazio in cui investire fortemente. La possibilità di partecipare al Gruppo

d’Incontro fa percepire , ai membri , la sensazione di essere già ad un certo punto del percorso

comunitario : essi , infatti , si trovano all’interno del secondo modulo e molti di loro sono quasi

pronti per l’ultima parte della riabilitazione , quella dell’inserimento lavorativo.

Perciò , nonostante il Gruppo d’Incontro rogersiano non sia stato creato specificatamente per i

soggetti tossicodipendenti , durante la mia partecipazione ad uno degli stessi ho potuto riscontrare

alcune linee guida comuni con le altre terapie di gruppo che lo rendono una valida alternativa .

(come dimostrato dalla sua vitale applicazione in questo settore ). (Zucconi , 1996 ; Carraro ,

1997).

123

1.TEORIE E TECNICHE DI GRUPPO A CONFRONTO : PUNTI IN COMUNE E

PUNTI DISCORDANTI NELL’APPLICAZIONE DELLA TERAPIA DI GRUPPO PER

SOGGETTI TOSSICODIPENDENTI

Il Gruppo d’Incontro rogersiano ha , nella sua applicazione per la cura delle dipendenze da

sostanze, diversi punti in comune con le altre terapie di gruppo studiate specificatamente per

questo disturbo e presentate nel corso di questo lavoro.

1.1 Il Gruppo d’Incontro a confronto con l’MDGT , con il GRF e con l’IPT GROUP .

- Il “qui ed ora” : parallelamente al MDGT di Khantzian e al GRF di Zucca Alessandrelli , il

Gruppo d’Incontro si focalizza sul “qui ed ora” delle interazioni gruppali e delle dinamiche

interpersonali tra i partecipanti. Queste tecniche enfatizzano il momento attuale in cui si trova il

soggetto partecipante , per aumentare le potenzialità della terapia di gruppo che si svolge a breve

termine.

- La durata a breve termine: il Gruppo d’Incontro come l’ MDGT , il GRF e l’IPT è stato

studiato per essere un’ esperienza intensiva di gruppo . Queste terapie sono a breve termine ,

concepite per essere sviluppate in un lasso di tempo di mesi. Mentre Rogers , proponeva di

interpellare i pazienti ed accordarsi con loro per decidere la durata della terapia gruppale a cadenza

settimanale ( che comunque doveva svolgersi nell’arco di mesi) ; MDGT , GRF , IPT stabiliscono

inizialmente la cadenza (bi-settimanale per l’MGDT , settimanale per GRF ed IPT) e la durata

totale della terapia (sei mesi per l’MDGT ; dieci mesi per il GRF ; circa quattro mesi per l’IPT ).

Per tutte le terapie citate ,.

La scelta di un percorso terapeutico a breve termine si è rivelato funzionale ed efficace per

questo tipo di patologia , in quanto concretizza la presenza di un progetto definito , rassicurante e

possibile . Questo aspetto si è manifestato importante nell’accompagnare i soggetti

tossicodipendenti a valorizzare gradualmente “l’attesa” , un aspetto contrastante con la loro

personalità dominata dal dominio , dal tutto e subito , dalla compulsività.

124

- Focus : l’approccio rogersiano si rivela simile alle tecniche MDGT e GRF anche per la presenza

di focus “terapeutici e/o tematici” : mentre nell’MDGT e nel GRF essi sono strutturati e già

determinati , nel Gruppo d’Incontro essi sono decisi dagli stessi partecipanti e si costituiscono

naturalmente in base alla tipologia di disturbo sottostante. Come dimostrato nell’ultimo capitolo , i

focus tematici che sono stati spontaneamente creati dai membri del Gruppo d’Incontro a cui ho

partecipato , sono quasi totalmente sovrapponibili a quelli suggeriti dal modello di Khantzian e di

Zucca Alessandrelli. I focus tematici si sono delineati sulla base delle caratteristiche

personologiche dei soggetti tossicodipendenti e la possibilità di affrontarle in gruppo ha permesso

di rivedere criticamente i propri atteggiamenti e le proprie reazioni nei confronti degli altri.

- Stimolazione di feedback : le interazioni gruppali , la condivisione di un tempo e di uno spazio

sollecitano l’espressione di veri e propri feedback con funzione terapeutica tra i membri

partecipanti. Il feedback diviene per l’approccio rogersiano , per l’MDGT , per il GRF e per l’IPT

uno strumento da valorizzare nella relazione terapeutica : la sua presenza e la sua modalità di

espressione sono sintomatiche della condizione gruppale , delle aspettative dei membri e diviene

specchio del loro percorso terapeutico.

- L’obiettivo dello sviluppo e della crescita personale : Il Gruppo d’Incontro permette attraverso

la sua natura “esperienziale” , un percorso di crescita personale e di sviluppo di se stessi proprio

come esplicitato anche dal MDGT e dal GRF. Ogni partecipante può progredire verso una

maggiore accettazione della sua persona, indipendenza ,volontà di innovazione , familiarizzando

con il proprio Sé “intimo” (Rogers , 1985). La terapia gruppale dona la possibilità di riflettere a

fondo su se stessi , divenendo più consapevoli del proprio funzionamento psicologico : questo è

l’elemento terapeutico che offre la spinta alla ripresa e alla nuova crescita personale del paziente.

Per facilitare il raggiungimento di questo scopo terapeutico , le terapie citate nel paragrafo ,

considerano ottimale la presenza di un gruppo di pazienti piuttosto ristretto , con un massimo di

dieci partecipanti.

L’IPT , pur promovendo anch’esso dei cambiamenti personali , si discosta dallo scopo principale

del Gruppo d’Incontro in quanto si focalizza su obiettivi di natura interpersonale (come la

creazione di una nuova rete sociale supportiva) , sulla disintossicazione ( condizione che deve già

essere in atto per la partecipazione al gruppo d’Incontro , al MDGT e al GRF ) e

sull’apprendimento di strategie più produttive per affrontare i problemi associati alla condizione

d’abuso.

125

Modalità di conduzione : Gruppo d’Incontro , MDGT e GRF hanno in comune anche la modalità

di conduzione del conduttore : egli deve essere , prima che terapeuta, “facilitatore” . Deve porsi nel

gruppo in maniera non direttiva , proponendosi come una guida che aiuta e sostiene il naturale

processo gruppale. Egli si assicura della creazione di un clima di fiducia dove si realizzi la libertà

di espressione e la propria crescita personale.

La modalità di conduzione dell’IPT si differenzia da quella rogersiana , in quanto più direttiva ed

improntata principalmente alla ricerca di modalità funzionali per affrontare le problematiche

interpersonali collegate all’uso di sostanze.

1.2 IL GRUPPO D’INCONTRO A CONFRONTO CON IL CBT GROUP E IL GDC

- La durata a breve termine: Gruppo d’Incontro , CBT e GDC sono esperienze terapeutiche a

breve termine , concepite per essere sviluppate nell’arco di alcuni mesi Mentre Rogers (come

esposto nel paragrafo precedente ) decideva congiuntamente al gruppo la durata della terapia ,

CBT e GDC stabiliscono inizialmente la cadenza settimanale delle sedute per un totale di tre e/o

quattro mesi.

- L’organizzazione delle sedute : una differenza notevole tra la metodologia rogersiana e quella

del CBT e/o GDC risiede nella strutturazione degli interventi. Mentre il gruppo d’Incontro procede

secondo le indicazioni e le interazioni immediate decise e regolate dai partecipanti in modo libero

e non organizzato , CBT e GDC si rivelano due terapie gruppali altamente strutturate per fasi ,

obiettivi e sotto-obiettivi. Il modello CBT enfatizza , come il modello rogersiano la promozione di

una maggiore sicurezza in se stessi , ma si fonda principalmente sull’apprendimento di una

metodologia efficace di problem-solving privilegiando l’utilizzo di esercizi pratici alla libera

espressione dei vissuti e delle emozioni su cui si base il Gruppo d’Incontro.

Anche il GDC , come il CBT , ha un’impostazione sostanzialmente psico-educativa : esso si

rivolge soprattutto al mantenimento dell’astinenza e alla stimolazione di strategie innovative di

risoluzione dei problemi personali . Il GDC mira ad “insegnare” e informare il tossicodipendente

dei rischi e delle conseguenze della sua patologia attraverso materiale didattico e discussioni

aperte.

126

Sia il CBT sia il GDC si concentrano principalmente sulla “sostanza” , meno sulla crescita e

sull’indagine personale , linee guida essenziali per intraprendere e portare a termine l’esperienza

del Gruppo d’Incontro.

- Stimolazione di feedback : Gruppo d’Incontro , CBT e GDC promuovono l’espressione di

risposte reciproche tra partecipanti , in modo da donare e ricevere supporto . Ma se per CBT GDC

i feedback sono funzionali principalmente alla risoluzione di problematiche concrete inerenti alle

possibili ricadute o ai rischi correlati alla sostanze , nel Gruppo d’Incontro essi sono parte del

processo di cura , permettono ai partecipanti di confrontarsi su materiale personale significativo e

di conoscere meglio il proprio impatto sulle altre persone.

1.3 IL GRUPPO D’INCONTRO A CONFRONTO CON IL GRUPPO SISTEMICO-

RELAZIONALE

- L’organizzazione delle sedute : sebbene il Gruppo sistemico-relazionale possieda delle linee

guida generali attraverso le quali far procedere i pazienti tossicodipendenti e il loro familiari , esse

non sono disposte rigidamente per fasi , bensì si evolvono parallelamente al percorso gruppale e al

percorso di cura personale del soggetto tossicodipendente. Perciò , come il Gruppo d’Incontro ,

presenta dei principi generali da seguire che possono essere differenziati e approfonditi a seconda

della tipologia dei partecipanti . Entrambe le tipologie di terapia gruppale non stabiliscono a priori

la durata complessiva della terapia , convenendo l’utilità di deciderla e modellarla sul percorso di

cura del soggetto tossicodipendente.

- Il coinvolgimento dei familiari : benché il Gruppo d’Incontro rogersiano non si opponga alla

partecipazione dei familiari agli incontri , la mia esperienza personale non ha assistito a questa

modalità. Questa scelta è stata dettata principalmente da due motivazioni : l’oggettiva impossibilità

di coinvolgere i familiari dei pazienti ( risiedenti in diverse zone d’Italia e perciò lontani dalla sede

comunitaria) ; la creazione di altri tempi e spazi specifici per gli interventi e gli incontri con i

familiari dei pazienti ( utilizzando , perciò , il Gruppo d’Incontro come un momento strettamente

dedicato ai pazienti).

- L’obiettivo principale : la terapia gruppale sistemico-relazionale mira principalmente a scoprire

ed interpretare la funzione del sintomo all’interno del sistema familiare del soggetto

tossicodipendente , rileggendo la storia familiare stessa e proponendo alla famiglia un percorso

127

parallelo a quello del congiunto che possa ristabilire un nuovo e più sano equilibrio tra tutti i

partecipanti. Questa strategia porta sicuramente ad una crescita personale del paziente

tossicodipendente , ma tutta la terapia è centrata sul sistema delle sue relazioni - familiari ed extra-

familiari . Diversamente , l’approccio rogersiano , pur interessandosi della generalizzazione dei

progressi acquisiti dal paziente anche nelle relazioni familiari , e considerando l’elaborazione delle

proprie modalità di relazionarsi con gli altri uno degli elementi fondanti della terapia , non si

concentra affatto in modo così esclusivo sul coinvolgimento diretto della famiglia e del suo

particolare sistema di rapporti.

1.4 IL GRUPPO D’INCONTRO A CONFRONTO CON I GRUPPI DI AUTO-AIUTO ( N.A)

- “Un nuovo stile di vita”: mentre il Gruppo d’Incontro rogersiano si propone di stimolare un

nuovo modo di affrontare le circostanze della vita attraverso la libera espressione dei propri vissuti

ed emozione , l’N.A cerca di raggiungere lo stesso obiettivo attraverso l’adesione dei partecipanti

ad un “credo” , ad una guida identificata in un “potere superiore” al quale affidarsi ciecamente.

Sebbene entrambi considerino importante , per il soggetto tossicodipendente , una profonda analisi

di se stesso e una verifica dei propri atteggiamenti/agiti , l’N.A sostiene di doverlo guidare e

accompagnare nel percorso di aiuto come se non fosse in grado di gestire in alcun modo né la

propria tossicodipendenza né il suo cambiamento. Per Rogers , contrariamente , il soggetto

tossicodipendente è ancora libero e capace di mettere in atto scelte responsabili: deve solo essere

aiutato a potenziare le sue capacità e le sue risorse rese deficitarie da un percorso evolutivo

instabile. Inoltre , uno degli elementi principali della strategia degli N.A è evitare le ricadute e

raggiungere l’astinenza , condizione che deve già essere stata raggiunta per partecipare al gruppo

d’incontro , dove i membri devono affrontare un’esperienza intensiva di crescita autonoma.

- La modalità di conduzione : sia l’approccio rogersiano sia l’approccio basato sul self-help non

sono rigidi dal punto di vista temporale della conduzione del gruppo : per il primo , il terapeuta e

membri del gruppo decidono congiuntamente la durata della terapia ; per il secondo , i partecipanti

devono affrontare – accompagnati dai membri anziani- il cammino dei “Dodici Passi” prima di

terminare il percorso . Li differenzia , tuttavia , la presenza di un terapeuta formato ed esperto nel

Gruppo d’Incontro : all’interno dei N.A , invece , le sedute di gruppo vengono condotte dai

128

cosiddetti membri “anziani” , ovvero coloro che hanno già provato l’efficacia del percorso di auto-

aiuto e possono trasmettere il “credo” comune.

- Circolarità , clima di fiducia e collaborazione , pressione dei pari ed ascolto supportivo : queste

caratteristiche sono comuni a tutte le tecniche di gruppo presentate : dal Gruppo d’incontro

rogersiano , a quelle di stampo più psicoanalitico ( MDGT , GRF) , a quelle di orientamento più

psico-educativo (GDC) , a quelle di origine cognitivo-comportamentale (CBT ) , ai gruppi di tipo

SISTEMICO-RELAZIONALE , alle terapie relazionali ( IPT ) e ai gruppi di auto-aiuto (NA).

2. LA VALUTAZIONE DEL GRUPPO D’INCONTRO SECONDO L’APPROCCIO

ROGERSIANO

Secondo l’approccio rogersiano , il processo di valutazione dell’efficacia del gruppo d’incontro

Si tratta di un processo continuo nel quale gli individui effettuano valutazioni basandosi

liberamente su quanto avvertono a livello sensoriale. Questo si distingue da un sistema fisso di

valori introiettati caratterizzati dal "dover essere" e dal "dover fare" e da quanto è comunemente

considerato giusto o sbagliato. Il processo di valutazione e’ definito “organismico” ed è

congruente con l'ipotesi "centrata sulla persona" di una fiducia fondamentale nell'individuo :

anche se i valori personali sono stabiliti dall'individuo stesso, essi hanno per effetto un grande

senso di responsabilità sociale. Il senso di responsabilità deriva dal fatto che le persone scelgono,

sulla base della propria valutazione diretta delle situazioni, anziché secondo la paura del giudizio

altrui o secondo insegnamenti esterni sul come pensare ed agire. Il cuore della valutazione, nella

Psicoterapia Centrata sulla Persona , è , pertanto , il processo di valutazione del cliente: egli

valuta se la terapia gli è utile ed i modi specifici in cui può servirsene. Durante il corso della

terapia, il cliente decide che cosa esprimere, quanto esplorare ogni tema, il livello di intensità

emozionale, etc… L'estensione naturale di questa responsabilità centrata sul cliente è che è lo

stesso a decidere , su indicazione del terapeuta , quando è il tempo di terminare la terapia. Mentre

gli individui che hanno partecipato al Gruppo d’Incontro che ho seguito , avevano in comune il

disturbo di base e le caratteristiche di personalità , le differenze fra pazienti in quello che

desideravano ed in quello che volevano trarre dalla terapia erano enormi : andavano dal semplice

sollievo delle proprie difficoltà a notevoli cambiamenti nella organizzazione della personalità.

129

Per questo è l’autovalutazione della propria persona e del proprio concetto di sé da parte del

paziente che costituisce l’elemento fondamentale della valutazione dell’efficacia della terapia

gruppale .65Rogers (Rogers , 1985) aggiunge che per capire se un gruppo “e’ riuscito” , il

conduttore deve attenersi alle autovalutazioni nel “qui ed ora” dei soggetti partecipanti . Rogers

dice semplicemente che : “Se i membri valutano l’esperienza gruppale come un’esperienza

soddisfacente e remunerativa che in un qualsiasi modo li abbia fatti progredire nella loro crescita

personale , allora il gruppo e’ riuscito”.

Basandomi sulle indicazioni di Rogers (Rogers , 1985) ho raccolto , durante le sedute , le auto-

valutazioni e le descrizioni dei partecipanti che potessero rivelarsi utili per la valutazione

dell’esperienza gruppale .

W: Io ringrazio il gruppo che non mi è preso il pallino di andarmene, per colpa di A.! (un’utente della Comunità alla quale W. Si era particolarmente avvicinato) . Ringrazio solo il cielo che non me ne sono andato o mi sono andato a fare! Il gruppo mi aiutato. Adesso ho anche più voglia di stare in mezzo alla gente , di cercare compagnia…E poi se prima stavo sempre zitto , adesso ho imparato anche ad aprirmi. Non ho più l’ansia addosso come prima , tutto va meglio. Sento questo gruppo come se fosse qualcosa di mio…non come altri gruppi che ho fatto… V: Anch’io devo ringraziare il gruppo! Devo ringraziare loro che mi sono stati vicino nei momenti più difficili. Dopo i problemi con la finanza , quelli familiari..e poi la telefonata di ieri sera…Mi hanno subito chiesto : “Cosa è successo?”. Io ne ho parlato e giuro che mi è servito tanto. Non come prima…quando non riuscivo nemmeno a parlare o a chiedere aiuto…ma nemmeno a riceverlo! F: Abbiamo fatto tanta fatica , ma siamo riusciti tutti , secondo me , ad avere dei risultati. Io ho imparato finalmente ad ascoltare gli altri , a gestire e controllare in modo diverso le mie reazioni e le mie emozioni…. Io in generale mi sento molto più sereno e molto più tranquillo dall’inizio del gruppo! Davvero! V: Sono d’accordo : io avevo sempre un muro davanti prima. Adesso anche quando l’emozione è fortissima e mi sembra di annebbiarmi , chiedo aiuto. Finalmente chiedo aiuto e mi metto in gioco. Conduttrice: Sono molto belle le riflessioni che state portando: il cambiamento personale , l’ascolto , il chiedere aiuto , l’importanza de supporto degli altri , il piacere di essere visto. E’ sempre importante vedere se stessi ma vedersi anche in funzione dell’altro e vedere anche l’altro. Mi viene da dire che è questo che crea il gruppo! Questo passaggio ,da quando siete entrati, mi sembra che l’ abbiate fatto tutti. Non è cosa da poco! Oggi che concludiamo un’importante parte del vostro percorso di gruppo prima dei nuovi ingressi , mi viene da pensare al primo gruppo : V. seduto,chiuso,chiusissimo…F. nero con V. perché deluso….W. su un altro pianeta , G. totalmente in disparte , quasi assente , D. che cercava con poco successo di stimolare la discussione…Direi che da allora di strada ne avete fatta!Ed io ne sono contenta!

65 Victor Raimy (1948) , uno dei collaboratori di Rogers , tenne una conferenza sul concetto di Sé alla Università Statale dell'Ohio, basandosi sui riferimenti a se stessi, forniti dai clienti, nei colloqui di consulenza e sulla semplice analisi qualitativa dei cambiamenti riguardo l'approvazione di sé .Egli definì un "riferimento a se stessi" come un gruppo di parole del cliente che direttamente od indirettamente lo descrivono come egli appare ai propri occhi. Autovalutazioni di questo tipo sono state usate estensivamente negli "Studi paralleli", progetto di analisi dei primi dieci casi completamente registrati al Centro di Consulenza Psicologica dell'Università di Chicago (Rogers e Raskin, 1949).

130

W/V/F: I partecipanti esprimono unanimemente la propria adesione al pensiero di “riuscita” dell’esperienza gruppale e ringraziano sentitamente riconoscendo i propri cambiamenti effettuati grazie al Gruppo d’Incontro. Tutti , con la propria specificità , riportano questa esperienza in modo soddisfacente e significativo.

Date queste riflessioni e queste auto-valutazioni , ho potuto constatare che l’esperienza del

Gruppo d’Incontro a cui ho partecipato , ha apportato dei cambiamenti sostanziali nella struttura di

personalità dei soggetti coinvolti e li ha aiutati , in particolare , ad affrontare quelle problematiche

tipiche e caratteristiche dei pazienti tossicodipendenti ( come specificato nel paragrafo del Capitolo

precedente inerente le Tematiche trattate durante le sedute).

Le parole dei partecipanti al Gruppo d’Incontro sono molto chiare ed esaustive rispetto alla

riuscita dell’esperienza gruppale : tutti rivelano il valore di questo momento terapeutico che ha

costituito una parte fondamentale nel cambiamento , non solo delle dinamiche interpersonali

all’interno del gruppo , ma di tutto ciò che li riguardava personalmente , sia all’interno del gruppo ,

sia all’interno del percorso comunitario , sia al di fuori dello stesso.

Il gruppo è sempre stato percepito come un luogo di cura e di trasformazione dove i partecipanti

dovessero e potessero mettersi in gioco con fatica e impegno , ma dove erano certi di riceverne

beneficio. Tutti hanno riportato la difficoltà di partecipare al percorso gruppale , di andare a

fondo delle proprie problematiche , di trovare la forza per produrre un profondo e reale

cambiamento : ma tutto questo è stato compreso essere necessario per raggiungere un mutamento

radicale ed innovativo della propria persona.

La totalità dei partecipanti ha espresso la percezione di “sentirsi diverso” rispetto all’inizio delle

sedute ( percezione confermata dalle riflessioni della Conduttrice) : questa percezione , come

riportato , è stata poi concretizzata nella quotidianità delle vicende personali .

La sensazione percepita nell’ultimo incontro a cui ho assistito , è stata quella di una sentita

coesione e fiducia tra i membri : come se finalmente essi potessero condividere con serenità i

propri precedenti errori , difficoltà , agiti disfunzionali e testimoniarne l’effettivo e reale

cambiamento grazie all’esperienza gruppale.

Nell’ultimo incontro , tutti i membri hanno voluto partecipare e portare le proprie riflessioni di

crescita personale , ricordando e concretizzando quel “viaggio in se stessi” , quel “familiarizzare

con il proprio intimo Sé” che Rogers (Rogers , 1985) ha delineato come lo scopo principale della

sua terapia .

131

3. ALCUNE RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Le potenzialità del lavoro con i gruppi , indipendentemente dall’orientamento teorico di base ,

esplicitate in questi due capitoli sono numerose.

I motivi per cui i dipendenti da sostanze abbisognano dei gruppi (Khantzian , 1985) sono spesso

gli stessi che nella vita li tengono al di fuori. Essi sono infatti evitanti e auto-assorbiti (Khantzian

,1985). L’utilizzo del gruppo si è rivelato un prezioso antidoto verso queste caratteristiche.

Il gruppo per i pazienti tossicodipendenti (Flores ,2003) costituisce una vera e propria area di

scambio che li aiuta ad uscire dalla loro nota povertà relazionale e dal loro ritiro emotivo.

Molti autori ( Borriello,1979 ; Brown , 1985 ; Cooper , 1987 ; Vannicelli ,1988 ; Matano e

Yalom ,1991 ; Flores, 1996 ; Khantzian ,1999) sostengono che le terapie di gruppo siano il

trattamento elettivo per i consumatori di sostanze a causa delle loro tendenze impulsive e all’acting

che rischiano di infrangere e distruggere facilmente un intervento di tipo individuale e/o a causa

dell’opportunità che i gruppi presentano di usare la pressione dei pari per incoraggiare i

cambiamenti desiderati” (Cooper , 1987).

Pertanto , secondo diversi autori (Scharfetter et al. , 1991 ) la presa in cura del paziente

tossicodipendente deve partire proprio dalle caratteristiche e potenzialità insite di base del gruppo

terapeutico : l’ascoltare , il sentire e il descrivere nel gruppo , insieme al paziente e agli altri

membri , è la condizione necessaria per l’avvio di ogni intervento terapeutico.

Infine , è importante evidenziare che nel trattamento gruppale di questi pazienti - come dimostrato

in particolare dal Capitolo sull’esperienza di Gruppo d’Incontro rogersiano - è molto utile pensare

ad uno stile terapeutico che si lasci plasmare , trasportare dalla storia del paziente , tollerando il

non-compreso e proponendo un modello di accoglienza incondizionata : il permettersi questo si

trasforma “nella strategia più utile nella cura di questi pazienti sempre cangianti”. (Sava , 2006) .

APPENDICE I

LA COMUNITA’ TERAPEUTICA PER TOSSICODIPENDENTI : IL PERCORSO DI

CURA

132

Tutte le comunità terapeutiche per tossicodipendenti sono organizzate secondo procedure,in linea

di massima,comuni.

Le procedure sono determinate dall’esigenza di fornire un servizio coerente ed organizzato :

Accoglienza e Prima fase66

Nella fase di accoglienza che dura in media 3-4 mesi, il lavoro si concentra sull’adattamento del

soggetto alla vita nel contesto della comunità e dunque nell’accettazione delle regole di

comportamento previste dalla Comunità stessa. Il livello di apprendimento possibile in questa fase

è di solito quello in cui il tossicodipendente riconosce come problematico il proprio

comportamento rispetto alle sostanze, ricerca qualche soluzione concentrandosi prevalentemente

sul sintomo senza pensare di dover cambiare altri aspetti del suo comportamento, per cui il sistema

complessivo rimane inalterato. I risultati e gli effetti prodotti da un lavoro a questo livello

(raggiungimento dell’astinenza dalla sostanza di abuso) vanno mantenuti e amplificati, poiché

pongono i presupposti per un successivo lavoro di evoluzione personale.

In questa fase dunque, la persona verrà aiutata a trovare alternative al comportamento

tossicomanico e ad integrarsi sia individualmente che all’interno del gruppo che fungerà da

specchio e da sostegno.

In questa fase poi il soggetto avrà la possibilità di mettere meglio a fuoco la sua motivazione al

cambiamento e decidere con maggiore ponderazione e consapevolezza la prosecuzione del suo

percorso. A questo scopo la persona farà colloqui individuali con gli operatori e parteciperà ai

momenti educativi, condotti dall’operatore. L’utente ha sempre la possibilità,solitamente a

scadenza fissa, di incontrare e parlare attraverso colloqui personalizzati con gli educatori e con lo

psicologo. Le comunità terapeutiche si avvalgono solitamente anche di altre figure

professionali,quali: assistenti sociali,psichiatri,medici di base,che monitorano insieme all’èquipe

66Presso la Comunità “Dianova” Onlus di Garbagnate Milanese (MI),dove ho svolto il periodo di Tirocinio pre-lauream in Psicologia Clinica e Neuropsicologia è previsto un particolare modulo di Pronta Accoglienza denominato SO-STARE. Il Servizio offerto si basa su tre pilastri fondamentali, importanti per definire un approccio integrato: a) la possibilità di alleviare i problemi fisici legati all’uso e all’abuso di sostanze che si realizza anche attraverso l’utilizzo di farmaci sostitutivi e terapie di supporto appositamente studiate per ogni soggetto in base alla sua anamnesi clinica; b) residenzialità intesa come l’offerta di un ambiente protetto per un tempo determinato; un gruppo di pari con i quali condividere gli stessi obiettivi; un insieme di attività educative e di momenti pedagogici che sollecitano il soggetto alla ricostruzione di un ordine interno-esterno, e al confronto su aspetti legati al rapporto con l’altro, con l’organizzazione e con le regole (la “Comunità come metodo”, concetto sviluppato da George De Leon); c) interventi terapeutici, quali i gruppi educativi ed i colloqui individuali. Essi serviranno sia per fornire sostegno al soggetto nel delicato momento dell’abbandono delle sostanze, sia per far sorgere ed incrementare la motivazione dello stesso verso il cambiamento.

133

multidisciplinare l’andamento dell’utente. L’utente è sempre accompagnato dall’èquipe

multidisciplinare nella conoscenza e nell’acquisizione degli strumenti terapeutici adottati nel suo

percorso.

Nei centri terapeutici, l’operatore e l’utente rappresentano la comunità stessa, composta da

professionisti di differenti origini adeguatamente formati che hanno la funzione di modello, cioè di

persone il cui atteggiamento e comportamento rappresentano uno stimolo ed una guida per i nuovi

arrivati.

La prima fase dell’intervento terapeutico è la “presa in carico multipla”. Per il paziente dipendente

, il rendersi conto delle cure offerte da diverse persone , distinte ma proprio per lui in relazione tra

loro , è “un ‘esperienza innovativa” , come sostiene Zucca Alessandrelli ( Zucca Alessandrelli ,

2006).

Il soggetto tossicodipendente vive le relazioni con una distanza “perversa” che permette lo

scambio sincero e reale tra le persone , se non per quei meccanismi di ricerca disperata agiti

attraverso l’uso,il controllo e il dominio( Zucca Alessandrelli , 2006).

Attraverso l’utilizzo di una presa in carico multipla , il soggetto che soffre di addiction si trova di

fronte ad un’esperienza nuova e di buon funzionamento , ma soprattutto , di fronte a persone

distinte che si pongono ad una giusta distanza da lui e tra loro. Nell’accettazione di questa

esperienza , il paziente avrà le basi per costruire un nuovo modello di relazione e di crescita

personale.

Anche lo “stabilire il contatto” è un fattore fondamentale di tutta la prima fase . Accogliere con

fermezza,ma anche con disponibilità verso una prospettiva comune , significa avere chiaro di cosa

soffre e come si difende il paziente. Vuol dire essere accoglienti ma fermi , assumendo anche

modalità educative ,chiarimenti esplicativi su cosa si sta cercando di fare e sulle proposte di un

eventuale percorso.

L’influenza del gruppo dei pari inoltre, ha sicuramente un ruolo determinante nel successo della

riabilitazione.

Un aspetto importante è dunque quello di sviluppare la capacità di ricevere cure ma anche quello

di

fornire cure, accogliendo i nuovi arrivati, accompagnandoli nei primi giorni, sforzandosi di uscire

da un ottica autocentrata per imparare l’ascolto e la comprensione costanti.

134

Questo apprendimento attraverso l’interazione che stimola la solidarietà costituisce un modello

terapeutico unico e dinamico nel quale il tossicodipendente che aiuta diviene non solo l’artefice

della propria riabilitazione, ma anche della riabilitazione dei nuovi arrivati.

Obiettivi specifici :

Abbassare il rischio di overdose;

Consentire un lavoro di prevenzione e monitoraggio delle malattie correlate;

Favorire l’assunzione regolare delle terapie farmacologiche;

Favorire il miglioramento delle condizioni di vita e delle abitudini comportamentali;

Permettere al soggetto di distanziarsi dal proprio contesto socio-culturale;

Valutare lo stato di salute generale, incluso patologie infettive;

Effettuare l’osservazione della persona al fine di stilare una diagnosi complessiva;

Identificare e impostare un programma complessivo;

Possibilità di inviare e accompagnare il soggetto verso percorsi strutturati idonei alle sue esigenze

(Cps, Ser.T, altre tipologie di comunità).

Seconda fase

Nella fase intermedia il soggetto, che ha ormai consolidato la sua motivazione ed il suo rapporto di

fiducia con la comunità, può affrontare in modo più approfondito le tematiche relazionali che

sottendono la tossicodipendenza, imparando dunque a riconoscere le proprie emozioni in modo più

maturo ed equilibrato, senza ricorrere ai vecchi comportamenti.

In questa fase il soggetto modifica le regole della propria vita, la propria organizzazione ed in parte

modifica anche le relazioni con gli altri. Il processo va verso l’individuazione e la

responsabilizzazione e dura all’incirca 10 mesi.

Il soggetto è sollecitato a raccontare la propria storia, una sorta di “autobiografia” in cui si creano

connessioni tra gli eventi passati e presenti, alla ricerca di un filo conduttore che renda

comprensibile il comportamento deviante.

Gli interventi vengono modificati grazie alla conoscenza pregressa dell’utente e grazie agli esiti

rilevati dai momenti di psicodiagnosi. Gli obiettivi della fase intermedia o seconda fase sono :

- cessare l’uso di sostanze d’abuso e consolidamento della motivazione al cambiamento;

- abbandonare comportamenti a rischio e delinquenziali;

- assumere coerentemente le responsabilità che il programma terapeutico prevede ;

135

- partecipare alle attività della comunità in modo attivo e prendersi cura di sé ;

- acquisire una capacità di lettura dei propri comportamenti in genere e di quelli a

rischio in particolare ;

- acquisire capacità progettuali relativamente all’area lavorativa ;

- individuazioni e perseguimento di obiettivi comportamentali e relazionali specifici ;

- approfondimento conoscenza utente con nuovi strumenti e metodologie varie ( es. colloquio,

schede comportamentali..)

- gli elementi raccolti convergono nella formulazione di un’ipotesi che funge da premessa

alle scelte educative e terapeutiche dell’équipe e quindi all’aggiornamento del Progetto

individualizzato terapeutico-riabilitativo 67( progetto declinato in modo personalizzato a seconda

delle caratteristiche del paziente). I criteri di orientamento adottati dall’èquipe per la definizione

del Progetto individualizzato terapeutico-riabilitativo si riferiscono indicativamente a : aspetti

clinici della dipendenza-gravità, onset,durata,esito dei precedenti trattamenti, compromissioni

fisiche e psichiche,patologie organiche concomitanti, motivazione al trattamento,problematiche

sociali e giudiziarie,ecc.),al suo contesto di provenienza ( esistenza di una rete prossimale e

familiare, legami di coppia, disponibilità dei familiari a partecipare al trattamento, ecc…) e allo

stesso sistema d’intervento ( la necessità di sospendere l’uso di sostanze, la possibilità di erogare

prestazioni in modo intensivo, obiettivi e strategie d’intervento, peculiarità del setting e del

contratto terapeutico,ecc…).

- i referenti degli utenti di fase intermedia presentano periodicamente in èquipe

l’aggiornamento di utenti di tale fase, per condividere le scelte educative/terapeutiche e le ipotesi

formulate.

Per quanto riguarda le attività, l’utente,normalmente, viene inserito,solitamente per un mese,

all’interno di un settore: ogni mese i settori vengono rivisti dall’èquipe multidisciplinare,secondo

gli interessi e i bisogni dell’utente.

67 Presso la Comunità “Dianova” Onlus di Garbagnate Milanese (MI),dove ho svolto il periodo di Tirocinio pre-lauream in Psicologia Clinica e Neuropsicologia è previsto un particolare modulo pedagogico-riabilitativo denominato : Programma Agèin.Il programma pedagogico è rivolto a quei soggetti che hanno già superato la dipendenza fisica dalle sostanze, sia attraverso un percorso di disassuefazione residenziale , sia autonomamente e che desiderano affrontare un percorso di svincolo psico-affettivo dalle sostanze. Sono individuati come indicatori di processo: il completamento del programma terapeutico; il rispetto sostanziale della durata delle fasi del trattamento; la soddisfazione dell’utente. Sono considerati indicatori di esito: astinenza dall’uso di alcol e sostanze illegali (al follow-up); miglioramento delle dinamiche familiari; miglioramento generale del quadro clinico.

136

Gli obiettivi dell’attività sono:

- la relazione con l’altro e la socializzazione ( cooperazione, accettazione direttive e\o obiettivi

specifici dell’utente);

- progressiva responsabilizzazione;

- raggiungimento di obiettivi specifici del settore;

- apprendimento abilità successivamente insegnate ad altri utenti.

In questa fase, l’attività viene utilizzata anche come strumento per l’utente per mettersi alla prova,

tollerare le frustrazioni, stare in una situazione scomoda. Condizione necessaria, salvo eccezioni, al

passaggio dalla fase intermedia a quella avanzata è l’aver terminato lo scalaggio farmacologico

( metadone ,subutex,…). La proposta di passaggio alla fase avanzata viene portata in èquipe da un

operatore a seguito di un miglioramento osservato nei diversi ambiti. Se accolta dall’èquipe, la

comunicazione viene data in gruppo dalla conduttrice stessa.

Fase avanzata

Gli utenti vengono inseriti all’interno della fase avanzata per prepararsi alla fase del reinserimento.

Gli obiettivi dei gruppi della fase avanzata e della fase stessa,sono:

- consolidamento di obiettivi comportamentali specifici per l’utente;

- aumento di responsabilizzazione e autonomia: si verificano all’interno del gruppo le capacità

dell’utente di rendersi autonomo rispetto alle uscite, alla gestione del denaro, alla capacità di

organizzarsi e al grado di responsabilità sia all’interno della comunità (attività, rapporto con i pari

,etc…) sia all’esterno;

- maggiore condivisione dei propri vissuti personali/familiari.

Questo gruppo specifico ha come obiettivi: la preparazione del curriculum, l’aumento della

capacità di organizzarsi rispetto ad una futura ricerca del lavoro ,la gestione del denaro.

Gli obiettivi delle attività sono:

- maggiore responsabilizzazione ;

- sperimentarsi in ruoli più complessi a seconda del progetto specifico (capacità di essere

direttivo, capacità di lavorare da solo e/o di cooperare, ecc, ecc).

Reinserimento

Il momento di passaggio dall’interno (struttura della comunità) all’esterno spesso mostra una

grande difficoltà da parte dei soggetti di sentirsi “utenti” quando rientrano in comunità. Pertanto è

137

necessario sostenerli nella ricerca di un equilibrio tra le regole interne alla comunità e la libertà che

sperimentano fuori. Essa dura , congiuntamente alla Fase avanzata , circa 6 mesi.

Gli obiettivi della fase di Reinserimento sono:

- imparare a scoprire le risorse offerte dal territorio ;

- acquisire le strategie necessarie alla ricerca di un lavoro (stesura curriculum, ricerca di

agenzie interinali, modalità di gestione di un colloquio di selezione, ecc,ecc) ;

- acquisire un metodo personale di gestione economica ;

- imparare a socializzare in modo costruttivo ;

- obiettivo trasversale di tutta la fase del reinserimento è la gestione del tempo libero e la

conseguente conoscenza e cura di se stessi, e di interessi personali conoscendo i propri limiti e le

proprie risorse.

Tali obiettivi devono essere descritti all’utente nel momento in cui firma il CONTRATTO che

sancisce il passaggio dalla fase avanzata alla fase del reinserimento. Il contratto prevede la

descrizione degli obiettivi e delle regole che l’utente deve rispettare nei momenti in cui rientra in

struttura. Il momento della firma del contratto serve anche a sottolineare all’utente che la fase alla

quale si sta avvicinando sarà complessa e comporterà un maggior controllo da parte degli

operatori.

La fase di Reinserimento dura indicativamente 6 mesi, compatibilmente con ricerca lavoro

e raggiungimento obiettivi sopra descritti.

Durante i primi mesi della fase del reinserimento, fino a quando non avrà appuntamenti di lavoro

l’utente ha la possibilità di uscire solitamente due volte a settimana, le uscite saranno funzionali al

raggiungimento degli obiettivi descritti.

Nel momento in cui gli utenti avranno appuntamenti di lavoro, le uscite non saranno più solo di

due giorni, ma dipenderanno da tali appuntamenti.

In questo periodo è importante stimolare l’utente a trovare un interesse in linea con ciò che gli

piace e capire cosa invece non rientra nei suoi gusti, competenze e risorse. E’ utile che scopra in

questo momento degli interessi che lo aiutino a conoscersi.

STRUMENTI UTILIZZATI

Nel settore dei programmi riabilitativi per le persone tossicodipendenti è ormai evidente

l’esigenza di venire incontro , con risposte mirate , alle esigenze di un’utenza sempre più

138

complessa e “fragile” (Berardinello et al., 2004). All’interno di un simile intento si iscrivono i

progetti comunitari e i loro numerosi strumenti , rappresentativi dell’importanza del lavoro

diagnostico , di screening , valutativo , psicologico , educativo e della diversificazione delle

risposte terapeutiche.

1) Strumenti di screening ,per individuare la presenza di patologie tossicomaniche ed altre

eventualmente associate ;

Esami biochimici Urine,capelli,sangue ed altri substrati biologici

Misure di Self Report DAST – Drug abuse screening test - ; MAST- Michican

alcohol screening test- ; Alcohol and Drug Use Scale ;

Reason for drug use screening test ; Acohol Dependence

Scale ;Substance Abuse Detention Form ; Colloqui da

parte degli operatori con l’utente,con la famiglia etc.68

2) Strumenti di diagnosi, per verificare che la sintomatologia del paziente soddisfi i criteri

diagnostici per un reale disturbo tossicomanico ed eventualmente anche altre patologie correlate;

Strumenti di diagnosi ASI (Addiction Severità Index) ;

EuropASI (Valutazione della gravità della dipendenza e

di altre problematiche di natura

sanitaria,legale,familiare,psichica);

SCID I (Intervista clinica strutturata per i disturbi in asse I

68 Gli strumenti evidenziati in grassetto sono quelli che ho potuto conoscere ed imparare a somministrare durante il mio periodo di Tirocinio pre-lauream Specialistica in Psicologia Clinica e Neuropsicologia,presso la Comunità “Dianova” Onlus per la cura e la riabilitazione delle tossicodipendenze di Garbagnate Milanese (MI). In particolare : psicodiagnosi attraverso somministrazione SCID I (Intervista clinica strutturata per i disturbi in asse I del DSM IV) / SCID II ( Intervista clinica strutturata per i disturbi di asse II del DSM IV), SCL-90 (Symtonm Checklist Revised), MAC/E e MAC/A (Motivazione al cambiamento),CLIENT SATISFACTION QUESTIONNAIRE (Questionario per valutare la soddisfazione del trattamento da parte del paziente) ; interviste strutturate per la valutazione/assessment pre – post trattamento con EuropASI pre – post trattamento (Valutazione della gravità della dipendenza e di altre problematiche di natura sanitaria,legale,familiare,psichica) ; colloqui clinici con medico; colloqui individuali; Progetto Educativo individualizzato (P.E.I.) Attività educative quali : a) laboratori protetti, b) attività espressive, c) animazione, d) attività ludiche; gruppi educativi/pedagogici; gruppi di sostegno psicologico ad orientamento rogersiano ;colloqui con i familiari;riunione settimanali d’equipe;valutazione congiunta (Ser.T. / C.T.) in itinere.

139

del DSM IV);

SCID II( Intervista clinica strutturata per i disturbi di asse

II del DSM IV) ;

SCL-90 (Symtonm Checklist Revised) ;

Scheda per la rilevazione dell’abuso di sostanze ;

MAC/E –MAC/A (Motivazione al cambiamento)

RTCQ (Readiness to Change Questionnarie);

GAF(Global Assesment of Functioning)

3) Strumenti valutativi, per verificare l’esito del trattamento e la compliance;

Strumenti valutativi SATS (Substance Abuse Treatment Scale);

CMRS ( Case Manager Rating Scale);

SOCRATES (Stage of Change Readiness and Treatment

Eagerness Scale);

Client Satisfaction Questionnaire;

TLFB (TimeLine Follow Back)

4) Strumenti di stampo educativo e psicologico :

Strumenti educativi Colloquio educativo : è una tipologia di colloquio che si

svolge periodicamente. Inizialmente svolge la funzione di

accoglienza , sia della persona fisica sia dei suoi bisogni.

Esso è sempre improntato sulla discussione e sul tentativo

di risoluzione delle diverse difficoltà che l’utente può

incontrare nella vita quotidiana comunitaria (dal rispetto

del regolamento all’organizzazione e alla partecipazione

alle attività , all’accoglimento delle questioni più pratiche

della vita personale del soggetto tossicodipendente ) ;

Gruppi educativi : sono strumenti che permettono , sotto

la guida di un educatore professionale , di affrontare

140

tramite un confronto di gruppo , le problematiche pratiche

dell’organizzazione e della gestione comunitaria:

Attività/laboratori : gli educatori , congiuntamente

all’èquipe , predispongono ed organizzano mansioni

pratiche di gestionee manutenzione quotidiana della

comunità , attività e laboratori finalizzati all’apprendimento

di un mestiere e creativi.

Strumenti psicologici Colloquio psicodiagnostico : è una tipologia di colloquio

che si svolge periodicamente . inizialmente svolge la

funzione di inquadramento valutativo- diagnostico del

paziente. Successivamente viene svolto per il monitoraggio

della condizione diagnostica del soggetto ed è finalizzata al

completamento del progetto di cura ;

Colloquio di sostegno psicologico : è una tipologia di

colloquio che si svolge periodicamente. Esso ha la finalità

di supporto e di accompagnamento nel corso delle fasi del

programma comunitario. Inoltre è utilizzato per

approfondire le tematiche e le problematiche strettamente

personali dell’utente , per permettere la stesura di un

progetto comunitario personalizzato e specifico ;

Gruppi di sostegno psicologico : essi sono veri e propri

momenti terapeutici facenti parte del progetto di cura dei

partecipanti . vengono utilizzati per affrontare in gruppo

tematiche intime e personali dei membri del gruppo , con il

fine di promuovere una crescita personale e cambiamenti

duraturi rispetto alle caratteristiche disfunzionali di

personalità.

La diagnosi all’interno delle Comunità Terapeutiche implica l’approfondimento progressivo di vari

aspetti della condizione recente e pregressa a livello: tossicologico, psicopatologico, clinico,

familiare,sociale e giudiziario.

141

L’assesment risulta dalla connessione delle informazioni raccolte da diverse figure professionali

chiamate ad analizzare e poi integrare i dati in un quadro specifico. Tutte le strutture a cui è

richiesta una diagnosi del paziente a livello psicopatologico,oltre che tossicologico, la svolgono

secondo i criteri del DSM IV: la metodologia che viene utilizzata è quindi multi-assiale (considera

sempre le sindromi e i disturbi psichiatrici, l’assetto e i disturbi di personalità, il livello intellettivo,

i disturbi medico-sanitari e il funzionamento socio-lavorativo), multidisciplinare ( svolta cioè da

varie figure professionali) e,nella maggior parte dei casi,standardizzata.

Per quanto riguarda la multidisciplinarità,nel processo diagnostico sono coinvolti:

psichiatri, che possono immediatamente farsi carico della prescrizione e del monitoraggio

della terapia psicofarmacologica;

psicologici e psicoterapeutici, che provvedono all’utilizzo di strumenti di assessment,della

presa in cura,dei contatti con la famiglia e dei colloqui di sostegno con l’utente;

educatori, che svolgono l’osservazione e la gestione quotidiana della struttura e del rapporto

con gli utenti;

medici,che si occupano della presa in carico dei problemi medico-sanitari;

La costruzione di una diagnosi a più voci permette una buona integrazione dei punti di vista dei

diversi operatori. In questo modo , si può creare un quadro completo della persona , della sua

storia, della sua sofferenza . In particolare , la diagnosi multidisciplinare consente di studiare in

modo approfondito anche l’ambito relazionale che ha spinto il soggetto a formare

un’organizzazione psichica da addict.

Da questo tipo di diagnosi , anche il progetto e l’intervento terapeutico risultano più facilmente

delineabili.

Appare evidente che siano necessari interventi paralleli provenienti da operatori di diversa

formazione . Gli stessi , con diverse forme di trattamento, si occupano della stessa persona

consapevoli della necessità di mantenere tra loro una buona alleanza . Organizzare un lavoro a più

mani tra professionisti , ma anche tra istituzioni diverse , ha il significato di potere comunicare in

modo coerente e completo con il paziente ( Lo Russo , 2006).

142

APPENDICE II

EPIDEMIOLOGIA DELLE SOSTANZE : UNA SGUARDO A LIVELLO NAZIONALE69

Per ciò che riguarda i l’uso di sostanze psicoattive, tra il 2001 ed il 2005 si rileva un aumento

nella popolazione generale dei consumi di cannabis (hanno fatto uso della sostanza almeno una

69 Fonte dei dati: Tossicodipendenze – Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia,anno 2006.

143

volta nella vita il 22% degli intervistati nel 2001 ed il 32% nel 2005): l’incremento si riferisce non

solo al consumo nella vita, ma anche negli ultimi 12 mesi e 30 giorni.

Le informazioni rilevate fanno inscrivere l’aumento dell’uso di eroina e cocaina nell’area del

consumo sporadico/occasionale; il consumo frequente effettuato negli ultimi 30 giorni resta invece

sostanzialmente stabile nel caso dell’eroina mentre subisce un lieve incremento per la cocaina. Le

regioni che fanno registrare le più alte prevalenze di consumatori (una o più volte negli ultimi 12

mesi) sono il Lazio per i cannabinoidi (10,6%), la Lombardia per la cocaina (4,7%) e la Liguria

per l’eroina (0,7%).

Fra il 2001 ed il 2005 si registra una generale diminuzione del numero di persone che hanno fatto

uso di bevande alcoliche; tale dato risulta riscontrabile soprattutto tra i maschi nel passaggio dal

2003 al 2005 (hanno fatto uso di bevande alcoliche almeno una volta negli ultimi 12 mesi l’89% e

86% degli intervistati rispettivamente negli anni 2003 e 2005).

Tale riduzione non mette però in discussione il crescere, spesso riportato da più fonti, di nuovi

modelli di consumo, in particolare nella popolazione giovanile, maggiormente problematici

rispetto ai rischi a breve e medio termine. In controtendenza rispetto a quanto rilevato nella

popolazione generale, la prevalenza globale di studenti che assumono alcolici è leggermente

aumentata dal 2000 (64,7%) al 2006 (69,6%); la differenza di genere nei

consumi è decisamente inferiore rispetto a quella rilevata per le sostanze

illegali con un rapporto maschi/femmine pari a 1.2 in tutti gli anni.

Contrariamente a ciò che si osserva per il consumo concomitante di sostanze psicoattive legali e

non, dal 2001 in poi aumentano le persone che consumano più sostanze illegali (poli-utilizzatori);

la quota passa dal 14% al 17%.

In questo quadro resta però molto alto (87%) il dato relativo alla percentuale degli utilizzati di

cannabis che non associano altre droghe illegali.

Le caratteristiche della popolazione scolarizzata che maggiormente risultano positivamente

associate con il consumo di sostanze illegali sono “l’avere fratelli che abusano di alcol e/o fanno

uso di droghe”, “l’uso pregresso di psicofarmaci” e “l’avere avuto rapporti sessuali non protetti”.

Relativamente all’uso problematico, la prevalenza di utilizzatori problematici di oppiacei è

stimata intorno ai 210.000 soggetti (5,4 ogni mille residenti di età 15-64). Quella di utilizzatori

problematici di cocaina intorno ai 147.000 (3,8 ogni mille residenti di età 15-64). L’analisi

dell’andamento temporale delle stime mostra un incremento rilevante per quanto concerne i

144

soggetti eleggibili al trattamento per uso problematico di cocaina e una stabilità per quanto

riguarda, invece, la popolazione eleggibile al trattamento per l’uso problematico di oppiacei.

Per il 2006, si è stimato che in Italia tra gli “esordienti” al consumo di oppiacei e cocaina siano,

rispettivamente, circa 30.000 e 9.500 le persone che negli anni a venire, mantenendosi gli attuali

trend di accesso ai servizi, richiederanno un trattamento.

Nel 2006 si stima che i soggetti in trattamento presso i SerT siano stati circa 176.000, con un trend

in aumento dal 2001. L’utenza dei SerT (14% nuovi utenti, 86% utenti già in carico dall’anno

precedente o rientrati) è composta prevalentemente da soggetti di genere maschile (87%), di

nazionalità italiana (94%) e con età media di quasi 35 anni (30 anni per i nuovi utenti). Le sostanze

per le quali si richiede il trattamento sono nella maggior parte dei casi oppiacei (72%), seguite

dalla cocaina (16%) e dalla cannabis (10%), queste ultime molto più diffuse tra i nuovi utenti.

Il 38% degli utenti dei SerT sono stati sottoposti a trattamenti diagnostico-terapeutico-riabilitativi

non farmacologicamente assistiti. Questa tipologia di trattamenti, somministrati a quasi la metà di

tutti i casi incidenti nell’anno 2006, consiste per lo più in interventi psicoterapeutici individuali

(37%), counselling (30%) e sostegno psicologico (25%). servizio sociale o lavorativi.

Secondo le rilevazioni effettuate attraverso lo studio multicentrico SIMI®Italia3, i soggetti inviati

presso le Comunità Terapeutiche dai SerT partecipanti allo studio (circa il 20% dei Servizi italiani)

sono complessivamente 2.729, fra questi oltre i 3/4 (77%) già in carico dagli anni precedenti.

L’84% dei soggetti è di genere maschile, l’età media è di 33 anni (32 anni per i nuovi utenti). Le

sostanze d’abuso primarie sono nella maggior parte dei casi oppiacei (83%), seguite dalla cocaina

(13%) e dalla cannabis (3%).

L'8% degli utenti in carico nei SerT risulta trattato in strutture terapeutiche residenziali. Di questi il

54% riceve, ad integrazione della terapia d’ambiente di base, trattamenti farmacologicamente

assistiti (metadone 51% e buprenorfina 12%) integrati con terapie psicosociali e/o riabilitative,

mentre il rimanente 46% è sottoposto a trattamenti aggiuntivi esclusivamente di carattere

psicosociale e/o riabilitativo non farmacologicamente assistito.

Relativamente all’area delle conseguenze socio-sanitarie, in merito ai decessi per overdose, nel

2006 in Italia si sono registrati 517 decessi dovuti ad intossicazione acuta da overdose (dati

DCSA); rispetto al biennio precedente si registra una riduzione del 20%, sebbene il dato sia

suscettibile di aggiornamento. La mortalità acuta droga correlata è un fenomeno prevalentemente

maschile (si contano mediamente circa 10 decessi tra gli uomini per ogni decesso tra le donne.

145

Lo studio VEdeTTE4 (studio longitudinale prospettico) ha evidenziato l’importanza dello stare in

trattamento nel prevenire la morte; chi è in trattamento presenta un rischio di mortalità acuta circa

11 volte inferiore a chi è fuori trattamento. Risultano quindi fondamentali ritenzione in trattamento

e durata degli interventi; rispetto a tali caratteristiche i trattamenti presentano invece ampie

differenze: i trattamenti di mantenimento con metadone (in particolare se con dosi superiori a 60

mg al giorno e integrati da un supporto psicosociale o da una psicoterapia),

rivelano la massima capacità di mantenere in trattamento; la comunità terapeutica è risultata poco

inferiore al mantenimento con metadone nella ritenzione, almeno per quanto riguarda i nuovi

utenti, mentre tutti gli altri trattamenti, hanno mostrato una minore capacità di ritenzione.

Nel corso del 2006 nei Servizi per le Tossicodipendenze sono stati sottoposti a test 67.300 soggetti

per individuare la presenza di infezione da HIV e di questi il 12% è risultato essere positivo.

Sono inoltre stati testati 62.635 soggetti per individuare la presenza di infezione da HBV e 75.213

soggetti per individuare la presenza di infezione da HCV e tra i testati sono risultati positivi

rispettivamente il 39,5% ed il 61,9%.

Relativamente alla presenza concomitante di patologie psichiatriche tra i soggetti in cura per

disturbi da uso di sostanze psicoattive, l’80% delle Regioni ha attivato interventi di trattamento

specifici per i tossicodipendenti con doppia diagnosi per i quali sia la disponibilità che

l’accessibilità è valutata essere da buona a molto buona.

LO SVILUPPO DEI SERVIZI SPECIALISTICI PER LE TOSSICODIPENDENZE

Lo sviluppo dei servizi specialistici , nell’ambito delle tossicodipendenze , è stato definito dalla

legislazione degli ultimi anni a partire dalla normativa statale sul riordino in materia sanitaria .

146

Il D.Lgs 30 dicembre 1992 n.50270 definisce infatti che l’area delle dipendenze da droghe , alcol e

farmaci ( e delle patologie psichiatriche ) attiene alle prestazioni socio-sanitarie ad elevata

integrazione sanitaria , in quanto caratterizzata da particolare rilevanza terapeutica e intensità della

componente sanitaria. Tali prestazioni sono assicurate dalle aziende sanitarie ( ASL ) e sono

comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria , secondo le modalità individuate dalla

vigente normativa e dai piani nazionali e regionali , nonché dai progetti-obiettivo nazionali e

regionali . Questo decreto legislativo ha fornito il quadro di riferimento per le regioni , deputate a

stabilire i criteri e gli standard di qualità per l’accreditamento di enti o associazioni che erogano

prestazioni specialistiche , suddividendo i servizi offerti in base alle aree di prestazioni offerte :

servizi di accoglienza , terapeutico-riabilitativi , specialistici di trattamento , pedagogico –

riabilitativi , servizi di tipo multidisciplinare integrato.

La Regione Lombardia ha provveduto quindi ad adeguare le modalità organizzative e gestionali

dei servizi operanti nelle ASL , identificando i requisiti per l’autorizzazione al funzionamento e per

l’accreditamento delle strutture che si occupano di persone tossicodipendenti.

Con il DGR n.VI/41878 in relazione all’emergenza di nuovi bisogni sono stati definiti nuovi criteri

aggiuntivi riferiti alla presenza di minori figli di utenti71 e nelle strutture residenziali riabilitative

possono anche essere accolti soggetti tossicodipendenti con diagnosi psichiatrica dove il progetto

comunitario individuale è definito dal Ser.T competente congiuntamente al centro psico-sociale di

zona.72

70 D.Lgs 30 dicembre n.502 – “Schema di atto di intesa Stato-Regioni , su proposta dei Ministri della sanità e per la Solidarietà sociale recante “determinazione dei requisiti minimi standard per l’autorizzazione al funzionamento e per l’accreditamento dei servizi privati di assistenza alle persone dipendenti da sostanze d’abuso” adottato dalla Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato , le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano , con Provvedimento 5 agosto 1999”. 71 Il DGR 12 marzo 1999 , n.VI/41878 “ Definizione dei requisiti e delle modalità per l’autorizzazione al funzionamento e l’accreditamento delle strutture di riabilitazione e reinserimento di soggetti tossicodipendenti” , richiede a livello funzionale / organizzativo , la presenza di un operatore qualificato nelle comunità terapeutiche che accolgano i figli di tossicodipendenti ( educatore professionale o assistente sociale , laureato in pedagogia /scienze dell’educazione , sociologia , medicina , psicologia o altre lauree in materie umanistiche ) , in base al numero / età dei minori accolti. A livello strutturale invece la previsione di una soluzione alloggiativa tale che possa tutelare il benessere psico-affettivo dei minori .

72 La struttura comunitaria è tenuta ad integrare la propria dotazione di base con ore / prestazioni di infermiere professionale e psichiatra , idonee a garantire il trattamento clinico . A fronte della documentazione di tali prescrizioni specifiche è prevista un’integrazione della retta base in analogia e a carico delle risorse finalizzate ai ricoveri psichiatrici. Tra gli standard strutturali viene riportato che per le comunità residenziali rivolte a utenti tossicodipendenti con patologie psichiatriche la capacità ricettiva non può essere inferiore a 8 ospiti né superiore a 30 , con limite massimo di 3 ogni 15 ospiti se terapeutico-riabilitative e di 3 ogni 20 ospiti se pedagogico-riabilitative , senza variare il numero totale degli ospiti.

147

E’ con l’approvazione del DGR n. VII/12621 che la regione Lombardia ha riconosciuto e istituito i

“servizi specialistici” per il trattamento e la cura di queste particolari categorie di pazienti fornendo

un primo quadro normativo di riferimento . Nella stessa si legge che “ La presa in carico delle

persone tossicodipendenti è garantita da un’èquipe multidisciplinare coordinata da un dirigente

sanitario e composta da medici , psicologi , assistenti sociali , educatori professionali , infermieri

professionali , personale amministrativo ed eventualmente personale di supporto . ciascun servizio

deve garantire un orario di apertura di 8 ore giornaliere da lunedì a venerdì , con la sola esclusione

dei momenti dedicati alle riunioni d’èquipe ( che devono essere realizzate in forma minima ogni 15

giorni).

La consapevolezza teorico-clinica del problema delle dipendenze non può che portare ad una presa

in carico di questi pazienti che sappia tenere in considerazione la necessità di una risposta clinica

articolata e complessa fin dalla prima accoglienza (Zucca Alessandrelli , 2006).

L’èquipe multidisciplinare di un Ser.t così come quella presente nelle comunità terapeutiche per

tossicodipendenti , nell’ambito delle proprie competenze provvede a :

garantire accoglienza , diagnosi e presa in carico del paziente e del contesto familiare ;

predisporre , per ogni singolo utente , un programma terapeutico-riabilitativo con

valutazione diagnostica multidisciplinare iniziale e monitoraggio periodico in relazione ai risultati

degli interventi effettuati , in termini di uso di sostanze , qualità della vita , competenze e

reinserimento nella vita sociale , compreso il completamento della formazione e dell’inserimento

lavoratico ;

effettuare terapie farmacologiche specifiche , sostitutive e non , compreso il monitoraggio

clinico e laboratoristico ;

svolgere attività di psicodiagnosi , counselling , di sostegno psicologico , sociale ed

educativo e di psicoterapia , al soggetto e alla famiglia , anche in collaborazione con altri servizi

specialistici ;

svolgere attività di sostegno e orientamento in ambito sociale ed educativo ;

svolgere specifiche e strutturate attività per la prevenzione delle principali cause di morte e

inabilità ( malattie infettive , overdose…) ;

attivare programmi specifici destinati alle donne , anche in collaborazione con altri servizi

specialistici , prevedendo in particolare , interventi relativi a gravidanza , prostituzione , episodi di

violenza ;

148

attivare specifiche forme di collaborazione con il tribunale per i minorenni in relazione agli

interventi a favore degli stessi che si dichiarano dipendenti e con il centro di giustizia ministeriale ,

da attuarsi anche con il tramite di altri servizi della ASL e del privato accreditato ;

rilevare sulla base delle indicazioni stabilite a livello nazionale e regionale , i dati statistici

ed epidemiologici relativi alle attività e al territorio di competenza ;

svolgere attività di riabilitazione e di prevenzione delle ricadute.

Al fine di salvaguardare la salute dell’individuo e della collettività , l’intervento multidisciplinare è

garantito a chiunque lo richieda indipendentemente dal fatto che sia un cittadino italiano o dimori

in Italia solo temporaneamente.

Qualsiasi trattamento terapeutico-riabilitativo viene concordato tra l’èquipe e l’utente in tutte le

diverse fasi dell’intervento ( valutazione , progetto terapeutico , monitoraggio , dimissioni ) nel

rispetto della volontà dell’utente stesso.

Per quanto riguarda il sistema di accreditamento si individuano i criteri specifici articolati per

tipologie di servizio in riferimento e i requisiti organizzativi e di qualità.

I servizi di trattamento specifico sono definiti dalla possibile erogazione di specifiche prestazioni

concernenti :

accoglienza di soggetti con caratteristiche predefinite , particolare problematicità di gestione

e/o di trattamento medico / psicoterapeutico . Vengono individuati servizi specialistici per coppie ,

soggetti con figli , nuclei familiari , per pazienti in comorbilità psichiatrica , per alcol e

polidipendenti ;

valutazione diagnostica multidisciplinare ;

gestione delle problematiche specialistiche ( di tipo medico e non ) anche con riscorso a

trattamenti farmacologici e relativo monitoraggio .

I servizi specialistici per pazienti in comorbilità psichiatrica , accolgono soggetti tossicodipendenti

in comorbilità psichiatrica sulla base di un’apposita certificazione del Ser.T , in accordo con il

dipartimento di Salute mentale dell’azienda ospedaliera di riferimento.

Le aree di prestazione erogate da questa tipologia di servizi riguardano : il primo contatto , in cui

vengono verificate con il soggetto le caratteristiche della richiesta di aiuto da lui espressa e si

illustrano le offerte dei servizi e l’iter procedurale degli stessi ; la valutazione diagnostica

multidisciplinare per la formulazione di un programma terapeutico / riabilitativo personalizzato

149

che affronti il recupero della salute fisica , psichica e sociale dell’individuo ; un supporto

psichiatrico , psicologico individuale e /o di gruppo e attività di psicoterapia strutturata individuale

e /o di gruppo.

L’attuale quadro normativo ha permesso di sviluppare e sperimentare servizi che sempre più hanno

teso e tendono ad approfondire la consapevolezza delle differenze nei fattori che determinano lo

stato di salute e l’esito dei trattamenti , i modelli di intervento appropriati e di basso costo e

l’articolazione delle rete di servizi con cui collaborare.

Per quanto riguarda questi ultimi , nel Piano Regionale per la Salute Mentale (DGR 17 maggio

2004 , n. VII/ 175131) si afferma che i programmi per i soggetti con “doppia diagnosi “ richiedono

risorse terapeutiche dedicate alla cura della co-presenza di disturbi e necessitano di un costante

approccio integrativo , sia tra i servizi coinvolti , sia tra le diverse figura professionali impiegate.

Oggi , a tre anni dall’entrata in vigore del DGR VII/ 12621 , il sistema terapeutico in Regione

Lombardia è caratterizzato da un’estrema varietà di risposte possibili che denota sensibilità ad

accogliere le modificazioni del contesto e dei valori di riferimento e creatività nell’elaborare

interventi vicini ai diversi bisogni che si avvicendano . Tuttavia sono scarse e poco sistematizzate

le informazioni disponibili sulle modalità di lavoro e le prassi di intervento utilizzate nei servizi

specialistici e sui protocolli organizzativi e di collaborazione con i servizi di altre unità di offerta.

Comunque sia , oggi esiste un interesse e un’esigenza a confrontarsi con altre modalità

organizzative e la necessità di formazione ed aggiornamento degli operatori di tutti i livelli e delle

èquipe di lavoro impegnate nella cura : questi processi sono volti ad arricchire ed implementare

servizi e programmi terapeutico-riabilitativi più efficaci ed efficienti.

Inoltre a livello istituzionale , la Regione Lombardia avendo definito con la normativa vigente i

criteri di accreditamento per gli enti che si occupano di soggetti tossicodipendenti e quindi

individuato gli elementi fondamentali per la valutazione dei servizi offerti , è ora orientata a

precisare i criteri , il sistema di valutazione condiviso e gli standard di qualità per quanto riguarda i

servizi sia pubblici che del terzo settore per pazienti con particolari fragilità.

Occorrerebbe ,quindi , sviluppare un sistema complesso di servizi che prevedano strumenti

adeguati alla personalizzazione e alla precocità degli interventi terapeutici , alla continuità nel

sostegno e alla riabilitazione.

Un sistema “multiprofessionale” nel quale tutti gli operatori , con competenze distinte , siano attori

, uniti nell’obiettivo comune della cura della salute fisica e psichica .

150

Ciò implica una prospettiva complessiva e articolata che garantirebbe una vera prevenzione

all’addiction ( Jacobone,2004). Per mirare a questo obiettivo occorre che l’èquipe

multiprofessionale e la rete dei servizi pubblici e privati siano in grado di lavorare su due fronti

(Lo Russo , 2006) :

- porre la giusta attenzione al paziente , alla sua storia , alle sue problematiche , ai suoi vissuti

e alle sue dinamiche relazionali ;

- impegnarsi in un lungo e faticoso lavoro di comunicazione e di confronto tra professioni

diverse, riconoscendo l’importanza di una formazione integrata per arrivare ad avere un’idea

condivisa dell’agire del paziente .

BIBLIOGRAFIA

1. ACPO DRUGS COMMITTEE (2002), A review of drugs policy and proposals for the future,

The Association of Chief Police Officers, Londra,2002.

2. ADLER A (1912). Über der nervösen Charakter. tr. It. Il temperamento nervoso, Astrolabio,

Roma, 1971.

151

3. ADLER A (1920). Praxis und Teorie der Individualpsychologie. tr. it. La Psicologia

Individuale - Prassi e teoria della Psicologia Individuale, Astrolabio, Roma, 1967.

4. ANGLESIO A, FULCHERI G, SANFILIPPO B (2000). Le dipendenze patologiche: la

prospettiva adleriana, RIV. PSICOL. INDIV., n. 48: 55-74.

5. ANSBACHER H, ANSBACHER R (1956). The Individual Psychology of Alfred Adler. tr. it.

La Psicologia Individuale di Alfred Adler, Martinelli, Firenze, 1997.

6. AZRIN N.H et al., "Behaviour therapy for drug abuse : a controlled treatment outcome

study »,Behav.Res.Therapy,vol.33,1994,857-866.

7. AA.VV (1986), “I giovani e la droga: vittime o colpevoli?”, Ed. Motta, 1986 , Introduzione.

8. AA.VV (1989)., L'esperienza simulata - discussione su droga e tossicodipendenze, Edizioni

E.,1989

9. AA.VV(1997). , “Drugs. Cosa sono, effetti, rischi e precauzioni.” , Baldini & Castoldi,1997.

10. ARLACCHI P. –R.LEWIS (1990) , “Erba proibita (Hashish e marijuana)” , Il Mulino Ed.

1990.

11. ARLACCHI P. –R.LEWIS (1990) , “Imprenditorialità illecita e droga”, Il Mulino Ed. 1990.

12. BALINT M., “Il difetto fondamentale”, in La regressione,Raffaello Cortina

Editore,Milano,1983.

13. BECK A.T et al.,Cognitive Therapy of Substance abuse,The Guilford

Press,N.Y.,1993,p.163;pp.151-152.

14. BERGERET J, Toxicomanie et personnalite', Presse Universitaires de France, Parigi, 1982.

15. BERGERET J, Toxicomanie et ses environnements , Recherche INSERM , Puf. Paris , 1980.

16. von BERTALANFLY , Teoria generale dei sistemi , Mondadori , Milano , 1983.

17. BIGNAMINI E, CORTESE M, GARAU S, SANSEBASTIANO S. Dipendenza da sostanze

e patologia psichiatrica, Editeam, Bologna, 2002.

18. BIGNAMINI E, BOMBINI R, Considerazioni sul pensiero e sul linguaggio delle

"tossicodipendenze", Medicina delle Tossicodipendenze, anno XI n.38, 2003.

19. BION W.R, Esperienze nei gruppi,Armando Editore,Roma,1971.

20. BURRELL, K., JONES, L., SUMNALL, H. E ALTRI (2005), Tiered approach to drug

prevention and treatment among young people, National Collaborating Centre for Drug

Prevention, Liverpool.,2005.

21. CANALI S. , (2005 ), “ Alter Ego , Droga e Cervello” , Edizioni del Centro per la

Diffusione della Cultura Scientifica - Università degli Studi di Cassino , Introduzione.

152

22. CANCRINI L., “Tossicomanie” , Editori Riuniti 1980, Introduzione.

23. CANCRINI L. , Quei temerari sulle macchine volanti , La Nuova Italia, Roma , 1982.

24. CANCRINI L. (1994) , “Tipologia e trattamento delle tossicomanie”, in Onnis L., Galluzzo

W.: “La terapia relazionale e i suoi contesti”, NIS, Roma 1994.

25. CANCRINI L. ,( 2003) “Schiavo delle mie brame” , Frassinelli , 2003 , Introduzione.

26. CANCRINI L. (2003) Schiavo delle mie brame, Frassinelli, Milano, 2003.

27. CARRARO I. ; RICCI G. (2004) , “Modelli teorici a confronto nella cura delle dipendenze

da sostanze”, Tipografia Canova , Dolo , 2004.

28. CARRARO I. , LIOTTI V. , (1997), “I gruppi terapeutici nei disturbi da sostanze”, Piccin ,

1997.

29. CARRARO I. (2006) , “La focalizzazione nel GRF” , In SAVA V. , LA ROSA E. ( a cura

di) “ Lo spazio dei limiti: prospettive psicoanalitiche nella psicoterapia delle tossicodipendenze”,

Milano, Franco Angeli , 2006.

30. CARROLL, K.M. (1998), “A Cognitive-Behavioral Approach: Treating Cocaine Addiction”.

Rockville, MD: National Institute on Drug Abuse,1998.

31. CARROLL, K.M.(2001), “Trattamento della Dipendenza da Cocaina” , CSE, Torino –

NIDA National Institute on Drug Abuse,2001.

32. CASTANEDA R. Empirical assessment of the self-medication hypothesis among dually

diagnosed inpatients, Comprehensive Psychiatry, 35, n.3, 1994.

33. COLKER JO, STAYMAKER FL, (1984). Reliability of Idiographic Interpretation of Early

Recollections and Their Nomotetic Validation with Drug Abusers, Individual Psycology, vol. 40,

n.1.

34. CORBELLA S. (2003), “Storie e luoghi del gruppo”, Milano , Raffaello Cortina Editore ,

2003.

35. CORBELLA S. (1986) , “Il primo gruppo” . In Gli Argonauti , 28.

36. CORBELLA S. ( 1988) , “La terapia di gruppo” . In Semi , A.A. (a cura di ) , Trattato di

psicoanalisi . Raffaello Cortina , Milano

37. EUROPEAN COMMISSION 2007 , “Eurobarometer :Attitudes toward Alcohol “, Report

March 2007

38. EUROPOL (2006), «Drugs 2006» (comunicazione all’OEDT del 16 gennaio 2006, archivio

n. 158448), Europol, L’Aja,2006.

153

39. FAUCI, BRAUNWALD, ISSELBACHER ET AL. ,(2000)."Harrison's Principles of Internal

Medicine" 14th edition,2000.

40. FELLETTI E. (1998) , “Gruppi d’incontro , bioenergetica e dinamiche relative” , in Helios

Magazine on-line, 1998.

41. FRATINI S.P (2004 ) , “Esperienze di lavoro terapeutico : i gruppi d’incontro” , in Rivista

Script-Umanistica , 2004.

42. GIANNELLI A. (2006) , “Spazio e tempo per sé e per il Sé” . Quaderno de gli argonauti XI :

45-71.

43. GOLDEN, S.J.; KHANTZIAN E.J.; MCAULIFFE W.E. (1998), Terapia di gruppo, in

Trattamento dei disturbi da uso di sostanze, a cura di Galanter M.; Kleber H.D., Masson, Milano.

44. GOODMAN & GILMAN'S (2000)."The pharmacological basis of therapeutics" ninth

edition ,2000.

45. HUNT D.G , “Parental permessiveness as perceived by the off spring and degree of

marijuana usage among off spring” , Human Relations , 1974 , 27: 267-285.

46. IACONE S. (1997) , “Psicoterapia relazionale di gruppo : un’esperienza in una Comunità

Terapeutica per tossicodipendenti” , dall’edizione on line de “Il Vaso di Pandora”.

47. INTERNATIONAL NARCOTICS CONTROL BOARD (INCB) (2006a), Report of the

International Narcotics Control Board for 2005, Comitato per il controllo nazionale dei narcotici

delle Nazioni Unite, New York,2005.

48. JACOBONE N .(2003) “Percorsi terapeutici” . In Rosci E. ( a cura di ) , “Fare male, farsi

male”. Milano ,Franco Angeli ,2003

49. JACOBONE N. (2006) , “La sorpresa dell’ascolto”. Quaderno de gli argonauti XI : 21-45.

50. KANDEL D. Et al. “Antecedent of adolescent initiation onto stage of drug use : a

developmental analysis” Journal of Yputh and Adolescence , 1978 , 7:13 –40.

51. KERNBERG O. Change in the nature of psychoanalytic training, structure of training, and

standars of training, Walleistein RS ed., 1985.

52. KHANTZIAN EJ. The self-medication hypothesis of addictive disorders: focus on heroine

and cocaine dependence, American Journal of Psychiatry,142, 1985.

53. KHANTZIAN E.J., HALLIDAY K.S., GOLDEN S., et al. (1992), Modified Group Therapy

for Substance.Abusers: a Psychodynamics Approach to Relapse Prevention, American Journal on

Addictions, 1: 67-76.

154

54. KHANTZIAN E.J. , HALLIDAY K.S., MCAULIFFE W.E , (1992) , “La dipendenza e il Sè

vulnerabile: la terapia dinamica di gruppo modificata per dipendenti da sostanze”, Piccin , 1992.

55. KOHUT H. (1977), Preface, in Psychodynamics of Drug Dependence, NIDA Res Monogr

56. KOSTEN TR. Substance abuse and schizophrenia: editors' introduction, Schizophrenia

Bulletin, 23(2), 1997.

57. LEWIN K. (1951), Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, Il Mulino, Bologna.

58. LO RUSSO A. “Evoluzione dei Servizi per le tossicodipendenze : quando l’èquipe diventa

terapeutica “ .In SAVA V. , LA ROSA E. ( a cura di) “ Lo spazio dei limiti: prospettive

psicoanalitiche nella psicoterapia delle tossicodipendenze”, Milano, Franco Angeli , 2006.

59. LUCCHINI A. et al. , Psicoterapia delle tossicodipendenze e dell’abuso di sostanze”, Franco

Angeli, 2000, pp.7-31.

60. MACKENZIE K.R , (2002) , “Psicoterapia breve di gruppo : applicazioni efficaci a tempo

limitato” , Erickson , 2002.

61. MADEDDU F. “Le strutture terapeutiche per il trattamento della tossicodipendenza: verso

la trasformazione delle comunità”, in Il lavoro della cura nelle istituzioni: progetti e contesti

nell’intervento psicologico,Milano,Franco Angeli,2005.

62. MADEDDU F. , FIOCCHI A., PIANEZZOLA P. (a cura di), Tossicodipendenze,marginalità

e fragilità sociale: interventi specialistici nelle strutture residenziali e semiresidenziali del welfare

lombardo. Quaderni – Clinica delle dipendenze e dei comportamenti di abuso- , Franco

Angeli,2006.

63. MASCETTI W.,”Strutturazione del setting terapeutico con il tossicodipendente”,

in Rezzonico G. e Lambrusche G., La psicoterapia cognitiva nel servizio pubblico, Angeli,

Milano,1996a,pp.221-234.

64. MASCETTI W. ”Il comportamento d’abuso e la dipendenza”,in B.Bara,Manuale di

Psicoterapia Cognitiva,Bollati Boringhieri,Torino,1996b.

65. MAREMMANI I et al. Comorbilita' psichiatrica nella dipendenza da eroina, Giornale

Italiano di Psicopatologia, 3, 1997.

66. MAREMMANI I, ZOLESI O.,Craving, Pacini,Pisa,1998.

67. MCDOUGALL J.(2002) . “L’economia psichica della dipendenza :una soluzione

psicosomatica al dolore psichico”. Tr.it.in Rinaldi L. (a cura di ) , Stati caotici della mente

.Raffaello Cortina Ed. , Milano 2003.

155

68. McLELLAN A.,LEWIS D,O’BRIEN C.,KLEBER H.“Drug dependence,a chronic medical

illness: implications for treatment,insurance and outcome evaluation”. Am.J.Drug Alcohol

Abuse,2000,284,pp.1689-1695.

69. MERCER, D., AND WOODY, G. (2000), An Individual Drug Counseling Approach to Treat

Cocaine Addiction. Rockville, MD: National Institute on Drug Abuse.

70. MUESER KT et al. Dual diagnosis: a review of etiological theories, Addictive Behavior,

Vol.3, n.23, 1998.

71. OEDT (2004c), European report on drug consumption rooms, Osservatorio europeo delle

droghe e delle tossicodipendenze, Lisbona,2004.

72. OLIVERSTEIN C. “L’enfance du toxicomane” , in La vie du toxicomane , Puf. Paris ,1982 ,

pp. 5-33.

73. PARENTI F (1983). La Psicologia Individuale dopo Adler, Astrolabio, Roma.

74. PICCONE STELLA SIMONETTA , “ Droghe e tossicodipendenza” , Il Mulino, 2002 , pp.6-

121.,2002.

75. ROGERS, C.R. (1942), Counseling and Psichotherapy, Houghton Mifflin, Bo ston; trad. it.

Psicoterapia di consultazione, Astrolabio, Roma 1971.

76. ROGERS C. (1976) "I gruppi d’incontro",Roma , Astrolabio , 1976.

77. ROGERS C. (1971) Psicoterapia di consultazione, Nuove idee nella pratica clinica e sociale

di C.Rogers. Roma, Astrolabio, 1971.

78. ROGERS C. (1970) La terapia centrata sul cliente, Firenze, G. Martinelli, 1970.

79. ROGERS, C. R., KINGET, M. (1962), Psychothérapie et rela-tiones humaines; trad. it.

Psicoterapia e relazioni umane, Boringhieri, Torino 1970.

80. ROUNSAVILLE B.J., GAWIN F.H., KLEBER H.D. (1985), Interpersonal Psychotherapy

adapted for ambulatory cocaine abusers, Am J Drug Alcohol Abuse, 11: 171-191.

81. SAVA V. ; RAFFAELI G. (2006) , “Il tossicodipendente e la relazione con l’altro : uno

studio descrittivo con il metodo Rorschach” . In SAVA V. , LA ROSA E. ( a cura di) “ Lo spazio

dei limiti: prospettive psicoanalitiche nella psicoterapia delle tossicodipendenze”, Milano, Franco

Angeli , 2006.

82. SAVA V. et al , (2006) , “Psicoterapie sostitutive: i gruppi…per cambiare”. In SAVA V. ,

LA ROSA E. ( a cura di) “ Lo spazio dei limiti: prospettive psicoanalitiche nella psicoterapia delle

tossicodipendenze”, Milano, Franco Angeli , 2006.

156

83. SCIORTINO S. , “Alexithymia , locus of control and risk behaviour , a

research study on a group of substance abusers” , in Bollettino per le

Farmacodipendenze e l’Alcoolismo , XXIX-1-2/2006.

84. SELVINI M. , I giochi psicotici nella famiglia , Cortina , Milano , 1988.

85. SCHWARTZMAN J. , The addict , abstinence and family , “American Journal of

Psychiatry”, 1975,132:154–157.

86. STANTON M.D , The family therapy of drug addiction , Guilfort Press. New York , 1982.

87. TAGLIAGAMBE F. (2005) , “Tempo additivo e tempo relazionale” . Quaderno de gli

argonauti X : 57-77.

88. TANGOLO A.E. , (2003) , “ Esperienze di lavoro terapeutico : i gruppi per il

cambiamento”, in Rivista Script-Umanistica , 2003.

89. TREVARTHEN, C. (1987) Brain development, in Gregory, R,. The Oxford Companion to

the mind, Oxford University Press.

90. VACCARI V. , ZUCCONI A. (1996), Il mondo delle relazioni interpersonali secondo Carl

Rogers,Rivista di psicoterapia relazionale.

91. VANNICELLI, M. (1995), Group psychotherapy with substance abusers and family

members, New York , Guilford Press ,1995.

92. VIGORELLI M. (a cura di), Il lavoro della cura nelle istituzioni: progetti e contesti

nell’intervento psicologico, Milano,Franco Angeli,2005.

93. WATSON J.B, “Psychology as a behaviourist views it”,Psychological Review,19.

94. WEISS RD, MIRIN SM, BARTEL RL. “Cocaine”. 2nd ed. Washington: American

Psychiatric Press, 1994.

95. WEISS, R.D., AND MIRIN, S.M. Cocaine: The Human Danger, The Social Costs, The

Treatment Alternative. 2nd ed. New York: Ballantine Books, 1995.

96. YABLONSKY L., La Comunità Terapeutica : un metodo valido per la cura della

tossicodipendenza, Astrolabio,Roma ,1983.

157

97. YALOM I.D. (1983), Inpatient Group Psychotherapy. Basic Books, New York.,1983.

98. YALOM I.D. (1985), The Theory and Practice of Group Psychotherapy. Basic Books, New

York,1985.

99. ZUCCA ALESSANDRELLI C. (2005) , “La liquidità dell’addiction”. Quaderno de gli

argonauti X : 11-24.

100. ZUCCA ALESSANDRELLI C. (2006) , “Psicodinamiche dell’addiction” .Quaderno de gli

argonauti XI : 5-20.

101. ZUCCA ALESSANDRELLI C. (2006) , “Il gruppo per la ripresa delle funzioni (GRF) :

una nuova terapia di gruppo per la dipendenza” .In SAVA V. , LA ROSA E. ( a cura di) “ Lo

spazio dei limiti: prospettive psicoanalitiche nella psicoterapia delle tossicodipendenze”, Milano,

Franco Angeli , 2006.

158