Correggere la Chiesa

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Correggere la Chiesa Dom Clemente Isnard Confessioni di un Vescovo paginealtre edizioni la meridiana Se scegliessi ora la mia tranquillità, una vecchiaia onorata e riverita, starei tradendo la mia vocazione. I temi che enumero sono vitali per la Chiesa: la nomina dei vescovi con la partecipazione dei fedeli, la garanzia per i presbiteri la cui vocazione non è il celibato, la possibilità per la donna di occupare nella Chiesa il posto che attende da quasi duemila anni, la successione apostolica del vescovo non come celebrante di pontificali in abiti rossi. Penso che tutti i cattolici abbiano il dovere di fare qualcosa per correggerle. Ho compiuto il mio dovere.

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Se scegliessi ora la mia tranquillità, una vecchiaia onorata e riverita, starei tradendo la mia vocazione. I temi che enumero sono vitali per la Chiesa: la nomina dei vescovi con la partecipazione dei fedeli, la garanzia per i presbiteri la cui vocazione non è il celibato, la possibilità per la donna di occupare nella Chiesa il posto che attende da quasi duemila anni, la successione apostolica del vescovo non come celebrante di pontificali in abiti rossi. Penso che tutti i cattolici abbiano il dovere di fare qualcosa per correggerle. Ho compiuto il mio dovere.

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Correggerela Chiesa

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Dom Clemente Isnard

Correggere la Chiesa

Euro 12,00 (I.i.)

Dom Clemente Isnard, O.S.B., nel 1935si laurea in scienze giuridiche e socialied entra nel monastero di San Benedettodi Rio de Janeiro, facendo la professionel’11 luglio 1940 e ordinandosi presbiteroil 19 dicembre 1942. Dal 1944 al 1960predica molti ritiri e corsi per l’Azionecattolica femminile e per comunità reli-giose. È priore del convento dal 1954 al1960, fino alla nomina a primo vescovodi Nova Friburgo. Il 7 agosto 1960 iniziail suo episcopato a Nova Friburgo, chedura fino al 1994. Prende parte a tuttele sessioni del Concilio Vaticano II. Nel1964 viene eletto presidente della Com-missione di liturgia della Conferenzanazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb),ricoprendo tale incarico fino al 1979 epoi ancora dal 1987 al 1995, e del Dipar-timento di liturgia del Consiglio episco-pale latinoamericano (Celam) dal 1979al 1982. Viene eletto anche vicepresiden-te della Cnbb dal 1979 al 1983 e delCelam dal 1983 al 1987. È nominato daPaolo VI membro della Commissioneper l’attuazione della Costituzione sullaliturgia (1964-1969) e poi della Congre-gazione per il culto divino (1969-1975).Partecipa come delegato della Cnbb alI Sinodo dei vescovi (1967) nonché allaIII e IV Conferenza generale dell’epi-scopato latinoamericano (Puebla, 1979e Santo Domingo, 1992). Da vescovoemerito è vicario generale della diocesidi Duque de Caxias dal 1994 al 1998.Muore a Recife il 24 agosto 2011.

Dom Clemente scriveva con moderazione,equilibrio e tranquillità, da buon benedet-tino qual era, il che dà più valore alle sueriflessioni. Quello che afferma è stato giàdetto e pubblicato varie volte, ma il fattoche queste cose siano state dette da unvescovo conferisce loro un maggior peso.Nella Chiesa romana è grande il peso dellaburocrazia e come in ogni burocrazia leidee nuove penetrano difficilmente. Laburocrazia accetta solo le informazioni chela confermano nella sua passività. La regolaè: mai esprimere opinioni che potrebberopregiudicare la carriera.Tuttavia, davanti alla ripetizione incessantedelle medesime riflessioni, può avvenireche un giorno si aprano alcune porte.Davanti all’eccessiva concentrazione deipoteri in Roma, è bene che alcuni vescoviabbiano il coraggio di dire quello che pen-sano; hanno poca probabilità di essereascoltati, ma perlomeno la loro parolarimane come testimonianza per le futuregenerazioni.Per questo è probabile che le aspirazioniricordate da dom Clemente debbano at-tendere mille anni o anche più. Ma ripe-tendo sempre la stessa cosa – durante milleanni – un giorno si otterrà la risposta.Pazienza e perseveranza.

(Dalla Prefazione di José Comblin)

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Confessioni di un Vescovo

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ISBN 978-88-6153-311-0

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Indice

Introduzionedi Mauro Castagnaro 9Prefazionedi José Comblin 23

L’importanza della partecipazione popolarenelle nomine dei vescovi 25L’infl uenza dei nunzi nelle nomine vescovili 33Il celibato sacerdotale 41Le ordinazioni femminili 47Vescovi emeriti 51

Postfazione 55

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Prefazione

Dom Clemente Isnard è stato un sopravvivente di quel gruppo di vescovi latinoamericani che realizzarono le conferenze di Medellin e Puebla e che, soprattutto, visse quanto espresso in quei documenti. Nella storia rimarrà legato ad essi. Il suo compito, come responsabile della Commissione della liturgia della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), con la quale arrivò ad es-sere identifi cato, fu sempre importante e frequentemen-te decisivo. Svolse vari compiti nel Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) e nella Cnbb. Nella sua diocesi di Nova Friburgo realizzò il modello di vescovo che è stato proposto nelle conferenze del Celam.A 90 anni, dom Clemente conservava piena lucidità e desiderava partecipare ancora, nella misura dei suoi mezzi, nella ricerca della Chiesa di Medellin e Puebla; di seguito alcuni suoi pensieri e rifl essioni maturate du-rante la sua lunga esperienza pastorale.Dom Clemente scriveva con moderazione, equilibrio e tranquillità, da buon benedettino qual era, il che dà più valore alle sue rifl essioni. Quello che afferma è stato già detto e pubblicato varie volte, ma il fatto che queste cose siano state dette da un vescovo, conferisce loro un maggior peso.Dom Clemente affermava ciò che molti vescovi pensa-no, ma non possono dire. Egli sapeva che l’età gli ri-servava un’immunità che non si conosce prima d’essere giubilato. Uno dei benefi ci della disposizione di Paolo

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VI, che stabilì che i vescovi presentassero la loro rinun-cia a 75 anni, è proprio questo: i vescovi in pensione dispongono per molti anni di una libertà che non han-no conosciuto prima. Possono dare testimonianza della loro esperienza personale.Nella Chiesa romana è grande il peso della burocrazia e come in ogni burocrazia le idee nuove penetrano diffi -cilmente. La burocrazia accetta solo le informazioni che la confermano nella sua passività. La regola è: mai espri-mere opinioni che potrebbero pregiudicare la carriera.Tuttavia, davanti alla ripetizione incessante delle mede-sime rifl essioni, può avvenire che un giorno si aprano alcune porte.Davanti all’eccessiva concentrazione dei poteri a Roma, è bene che alcuni vescovi abbiano il coraggio di dire quello che pensano; hanno poca probabilità di essere ascoltati, ma perlomeno la loro parola rimane come te-stimonianza per le future generazioni.La comunione sotto le due specie è stata un’aspirazione espressa già nel XIII secolo. Dopo più di seicento anni il Concilio Vaticano II ha aperto la porta. Però era un argomento di poca importanza.Per questo è probabile che le aspirazioni ricordate da dom Clemente debbano attendere mille anni o anche più. Ma ripetendo sempre la stessa cosa – durante mille anni – un giorno si otterrà la risposta. Pazienza e perse-veranza.

P. José Comblin

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Il celibato sacerdotale

In un freddo giorno di dicembre siamo usciti dalla basi-lica di San Pietro per concludere nell’omonima piazza, sotto la presidenza di Paolo IV, il XXII Concilio ecume-nico, Vaticano II. Quanti sentimenti di allegria e addi-rittura di trionfo, sebbene la Chiesa trionfante sia solo quella del cielo, riempivano i nostri cuori scaldandoli nonostante il freddo.Personalmente, ricordavo i quattro anni passati a Roma, i quotidiani dibattiti in basilica, i viaggi a Napoli per ve-dere il sangue di san Gennaro liquefarsi misteriosamen-te nel giorno della sua festa, il viaggio a Firenze per par-tecipare a una solennità, a Venezia per il funerale della madre di padre Vianello, le conferenze nella Domus Ma-riae che allargarono la ristretta visione delle cose della Chiesa, il viaggio a Ginevra e Friburgo, in Svizzera, per conversare con padre Charles Journet, viaggio notturno in treno senza letto, in compagnia di un suo segretario che oggi è cardinale, gli incontri alla villa Mater Dei con i liturgisti, vescovi e periti del Concilio, la mia cena con Roger Schutz nel suo appartamento, vicino a piazza Ve-nezia.Quante cose in quattro anni, o meglio, in quattro tri-mestri, alternati con la presenza e il lavoro pastorale a Nova Friburgo. La mia mente ripercorreva tutti questi ricordi, mentre ringraziavo Dio per i cammini della mia vita e facevo il proposito di lottare per il Concilio e la sua attuazione.

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Sono passati 42 anni dalla chiusura del Concilio da par-te di Paolo VI con il breve In Spiritu Sancto, in cui si dice che fu il maggiore per il numero di padri conciliari, venuti da ogni parte del mondo, il più ricco per i temi trattati attentamente e approfonditamente durante le quattro sessioni, e il più opportuno perché, avendo pre-sente le esigenze dell’epoca attuale, si confrontò soprat-tutto con le necessità pastorali e si sforzò per arrivare non solo ai fratelli separati, ma a tutta la famiglia umana.Si vede che Paolo VI, quell’8 dicembre del 1965, era pienamente soddisfatto dei risultati del Concilio. Lo ero anch’io. Mi sembrava che fossero state fatte tante cose e che non rimanesse più niente da fare.Ma 42 anni di vita di vescovo fanno percepire necessità della Chiesa che possono essere risolte in un Concilio ecumenico e che tuttavia non lo furono nel XXII.Avremo ancora un altro Concilio ecumenico? Ogni vol-ta che se ne realizza uno si ha l’impressione che sia l’ul-timo. Quando Giovanni XXIII convocò quel Concilio, prese la precauzione di non dire niente a nessuno prima di annunciarlo pubblicamente. Dopo l’annuncio disse che i cardinali ammutolirono. Segno evidente di disap-provazione o perplessità.Uno dei punti che non fu trattato nel Concilio fu quel-lo delle nomine episcopali, come già detto nel capitolo precedente. Ma voglio qui trattare altri temi che forse richiederebbero la solennità di un Concilio ecumenico per essere risolti.Voglio indicare alcuni di questi temi, seppur timoroso di arrischiarmi: chi sono io per suggerire la riunione di un Concilio ecumenico? Desidero appena che si rifl etta per tempo su questi temi delicati. Come il movimento li-turgico trattò della comunione sotto le due specie, della

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posizione dell’altare, della riforma del rito della messa e dei sacramenti – temi che da vari secoli, perlomeno dal Medioevo o dal concilio di Trento non erano trattati – e così senza dubbio preparò la soluzione data dal Con-cilio, creando oggi un movimento di opinione sui temi che rimasero fuori dal Concilio, forse sto preparando la loro approvazione da parte della Chiesa in un altro tempo, quando Dio vorrà.Un tema che fu presentato in Concilio da alcuni vescovi fu quello del celibato sacerdotale nella Chiesa latina. Ma Paolo VI chiese che non se ne trattasse perché non lo riteneva opportuno e i vescovi si conformarono.La tradizione della Chiesa primitiva è quella del matri-monio di vescovi e presbiteri. Secondo il Vangelo, san Pietro era sposato, cioè aveva una suocera che fu curata dalla febbre dal Cristo. Ora se aveva una suocera aveva anche una moglie. Anzi, un israelita era sempre sposato. L’esempio della verginità di Maria e della continenza di san Giuseppe è eccezionale. Secondo la tradizione, san Giovanni e san Paolo furono celibi. Ma altri apostoli dovevano essere sposati. Nell’inizio del primo millen-nio non si parlò di celibato sacerdotale. Fu un Concilio riunito in Spagna, a Elvira, tra gli anni 300-306, che nel canone 33 stabilì la legge del celibato: “È stato approva-to di proibire totalmente ai vescovi, presbiteri e diaconi e a tutti i chierici impegnati nel ministero di usare delle proprie donne e di generare fi gli; chi lo fa sia allontana-to dall’onore del chiericato”.Dopo questo concilio di Elvira, molti altri nell’Occi-dente ripeterono la proibizione del matrimonio per i vescovi e i presbiteri. Nel Medioevo furono numerosi i preti sposati. Lutero si sposò e i pastori protestanti lo imitarono.

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Mentre in Occidente si procedeva in questo senso, in Oriente i presbiteri si sposavano e solo i vescovi erano obbligati al celibato. Fino ad oggi è così in quasi tut-te le chiese orientali. Nella nostra Chiesa latina è per-messo ordinare uomini sposati come diaconi, ma non come presbiteri. I cosiddetti diaconi permanenti, cioè che non si ordineranno presbiteri, furono permessi dal Concilio Vaticano II. Questo permesso fu molto dibat-tuto. Ricordo un discorso del cardinale Ottaviani, che non vedeva la necessità di diaconi permanenti sposati in quanto i laici, con delega del vescovo, avrebbero potuto fare tutto quello che il diacono sposato avrebbe fatto. E il vecchio cardinale aveva in mente di difendere il celi-bato sacerdotale, poiché vedeva nel diaconato uxorato una minaccia per la continuità dell’esigenza del celibato per i sacerdoti.Si parla tanto di mancanza di sacerdoti, di parrocchie senza parroco, di sacerdoti che si secolarizzarono la-sciando il ministero. E non si pensa ai sacerdoti di va-lore che si sono sposati e avrebbero potuto continuare nel ministero se la Chiesa avesse loro concesso il matri-monio.Nelle chiese orientali cattoliche i sacerdoti possono sposarsi. Perché non nella Chiesa latina? Se il popolo cristiano è indulgente verso il sacerdote che vive male il suo celibato, perché non accetterebbe un sacerdote le-gittimamente sposato in Chiesa? Ricordo un sacerdote della mia diocesi, ordinato da me, che non resistette al celibato. Ritardò a richiedere la dispensa dagli obblighi sacerdotali, lo fece solo quando nacque il secondo fi -glio. Nascondeva il suo legame con la donna, arrivando a portarla in una città distante quando doveva dare alla luce i fi gli. Dispensato e sposato in Chiesa, continuò ad

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abitare a Nova Friburgo ed era invitato a offi ciare matri-moni, battesimi, a presiedere celebrazioni della parola di Dio nelle parrocchie in cui aveva esercitato il ministe-ro sacerdotale. Solo non celebrava la Messa. E così fi no alla morte, fi no alla fi ne.Perché non modifi care il processo di dispensa dal ce-libato sacerdotale dando il permesso di continuare nel ministero? Il moltiplicarsi dei diaconi sposati è un segno che il sacerdote sposato sarebbe ben accettato in molti luoghi. Il vecchio cardinale Ottaviani aveva ragione ad essere contrario alla decisione del Concilio che istitui-va i diaconi sposati, perché, di fatto, contribuiva ad un rilassamento del celibato sacerdotale. E questi diaconi sposati non potrebbero completare gli studi ed essere ordinati presbiteri?La Chiesa fa oggi uno sforzo tanto grande per aprire e mantenere seminari con risultati molte volte deluden-ti. Perché tanti seminaristi lasciano il seminario prima dell’ordinazione? Non pochi a causa del celibato.

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Dom Clemente Isnard, O.S.B., nel 1935si laurea in scienze giuridiche e socialied entra nel monastero di San Benedettodi Rio de Janeiro, facendo la professionel’11 luglio 1940 e ordinandosi presbiteroil 19 dicembre 1942. Dal 1944 al 1960predica molti ritiri e corsi per l’Azionecattolica femminile e per comunità reli-giose. È priore del convento dal 1954 al1960, fino alla nomina a primo vescovodi Nova Friburgo. Il 7 agosto 1960 iniziail suo episcopato a Nova Friburgo, chedura fino al 1994. Prende parte a tuttele sessioni del Concilio Vaticano II. Nel1964 viene eletto presidente della Com-missione di liturgia della Conferenzanazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb),ricoprendo tale incarico fino al 1979 epoi ancora dal 1987 al 1995, e del Dipar-timento di liturgia del Consiglio episco-pale latinoamericano (Celam) dal 1979al 1982. Viene eletto anche vicepresiden-te della Cnbb dal 1979 al 1983 e delCelam dal 1983 al 1987. È nominato daPaolo VI membro della Commissioneper l’attuazione della Costituzione sullaliturgia (1964-1969) e poi della Congre-gazione per il culto divino (1969-1975).Partecipa come delegato della Cnbb alI Sinodo dei vescovi (1967) nonché allaIII e IV Conferenza generale dell’epi-scopato latinoamericano (Puebla, 1979e Santo Domingo, 1992). Da vescovoemerito è vicario generale della diocesidi Duque de Caxias dal 1994 al 1998.Muore a Recife il 24 agosto 2011.

Dom Clemente scriveva con moderazione,equilibrio e tranquillità, da buon benedet-tino qual era, il che dà più valore alle sueriflessioni. Quello che afferma è stato giàdetto e pubblicato varie volte, ma il fattoche queste cose siano state dette da unvescovo conferisce loro un maggior peso.Nella Chiesa romana è grande il peso dellaburocrazia e come in ogni burocrazia leidee nuove penetrano difficilmente. Laburocrazia accetta solo le informazioni chela confermano nella sua passività. La regolaè: mai esprimere opinioni che potrebberopregiudicare la carriera.Tuttavia, davanti alla ripetizione incessantedelle medesime riflessioni, può avvenireche un giorno si aprano alcune porte.Davanti all’eccessiva concentrazione deipoteri in Roma, è bene che alcuni vescoviabbiano il coraggio di dire quello che pen-sano; hanno poca probabilità di essereascoltati, ma perlomeno la loro parolarimane come testimonianza per le futuregenerazioni.Per questo è probabile che le aspirazioniricordate da dom Clemente debbano at-tendere mille anni o anche più. Ma ripe-tendo sempre la stessa cosa – durante milleanni – un giorno si otterrà la risposta.Pazienza e perseveranza.

(Dalla Prefazione di José Comblin)

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