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ADESSO! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale 8. Il sacro, i sacri

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ADESSO!Dalle paure al coraggio civile,per una cittadinanza glocale

8. Il sacro,i sacri

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Collaboratori: Roberto Alessandrini, RubemAlves, Fabio Ballabio, Michelangelo Belletti,Simona Botter, Paolo Buletti, Gianni Caliga-ris, Andrea D’Anna, Gianni D’Elia, Marianto-nietta Di Capita, Alessandra Ferrario, France-sca Gobbo, Cri-stina Ghiretti, Piera Gioda,Stefano Goetz, Grazia Grillo, Mimma Iannò,Renzo La Porta, Lorenzo Luatti, FrancescoMaura, Maria Maura, Oikia Studio&Art, Ro-berto Papetti, Lu-ciana Pederzoli, Carla Sar-tori, Eugenio Scar-daccione, Oriella Stamer-ra, Nadia Trabucchi, Franco Valenti, Gian-franco Zavalloni

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Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967Editore: Centro Saveriano Animazione Missionaria -CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 - 25121 Bre-scia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127 in data19/02/1993.

Quote di abbonamento:10 num. (gennaio-dicembre 2011) Euro 30,00Abbonamento triennale Euro 80,00Abbonamento d’amicizia Euro 80,00Prezzo di un numero separato Euro 4,00

Abbonamento CEM / estero:Europa Euro 60,00Extra Europa Euro 70,00

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegni di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

EditorialePer un’insalata ecumenica 1Brunetto Salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

A scuola e oltre

rifare gli italianiIl primo risorgimento 3Antonio Nanni, Antonella Fucecchi

bambine e bambiniDiventare grandi 5Lucrezia Pedrali

ragazze e ragazziGiochi di ruolo 7Sara Ferrari

generazione yGiovani e sacro. 9Stefano Curci

in cerca di futuroLa questione inter-culturale 11della «cultura» otakuDavide Zoletto

che aria tira a scuola/1Rischi o obiettivi? Dietro la 12maschera della riforma GelminiGiacomo Caligaris

che aria tira a scuola/2Per far ripartire un motore 13ci vuole benzina...Giulia Pensabene

buone pratiche di resilienzaResilienza e senso del sacro 14Oriella Stamerra, Alessandra Ferrario

pedagogia della lumacaLa bella scrittura torna a scuola 16Gianfranco Zavalloni

Il «restodelmondo»

agenda interculturaleAiuti? 33Alessio Surian

prati-careIl futuro appartiene a coloro 34che arrivanoMiriam D’Elia

scor-dateItaliani da una parte e dall’altra 35a cura di Dibbì

dudal jamGiovani e intercultura 37Clelia Minelli

saltafrontieraStorie che ci riguardano 38Lorenzo Luatti

pixelDenaro di emergenza 39Roberto Alessandrini

nuovi suoni organizzatiLa Penguin Cafe Orchestra 40Luciano Bosi

zero povertyFai tutto per gioco 41ma nulla giocandoMarialuisa Damini

crea-azioneSegnamoci in agenda 42Nadia Savoldelli

spaziocemBiswa Estema 43Giovanni Gargano

Una toccante testimonianza 44Clara Ranieri

Mediamondo 46

i paradossiAnche se non sono un guru... 47Arnaldo De Vidi

la pagina di... r. alvesSe non fossi capace di amore... 48

Sommarion. 3 / marzo 2011

Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

E-mail: [email protected]

www.cem.coop

ADESSO! DALLE PAURE AL CORAGGIO CIVILE, PER UNA CITTADINANZA GLOCALE8. IL SACRO, I SACRI

Il sacro, i sacri 17Marco Del Corso

Profeti di glocalità Viktor Emil Frankl 21Stefano Curci

Luoghi «Appunti» sulle sollevazioni arabe 28Adel Jabbar

Cinema. Lourdes 31Lino Ferracin

Bibbia a scuola. 23nell’orizzonte interculturaleottava puntata

a cura di Luciano Zappella

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marzo 2011 | cem mondialità | 1

brunetto salvarani | direttore [email protected]

Per un’insalata ecumenica

I l prossimo mese si ricorderanno i dieci anni dallafirma della Carta Ecumenica (www.saenotizie.it/Documenti/CartaEcumenica.htm), avvenuta il 22

aprile 2001 a Strasburgo, nella chiesa evangelica diSan Thomas, da parte del metropolita Jéremie, a nomedella KEK (Conferenza delle Chiese europee), e delcardinale di Praga Miroslav Vlk, presidente uscentedel CCEE (Consiglio delle conferenze episcopali eu-ropee). Quella degli organizzatori non era stata unascelta casuale: la storia di questa splendida città alsa-ziana rimanda agli scontri sanguinosi tra Francia e Ger-mania, ma oggi è la città che ospita il Parlamento e ilConsiglio d’Europa, l’alta Corte per i diritti umani e al-tre importanti istituzioni. Da parte mia non so però, inrealtà, quanto quest’anniversario sarà effettivamentecelebrato, dato che il dialogo fra le Chiese cristiane invista di una loro unità e di una maggiore efficacia delloro annuncio - questo straordinario quanto inattesodono di Dio nel Novecento - sta attraversando un pe-

riodo assai delicato, e sem-bra non suscitare molto inte-resse. Al riguardo, è invalsol’uso di ricorrere alle imma-gini meteorologiche, per cuispesso si legge dell’attualeinverno ecumenico, o perlo-meno di un autunno quantomai piovoso, seguito alla pri-mavera densa di speranzeche ha caratterizzato l’etàdel concilio Vaticano II. Nelcomplesso, con buone ra-gioni. Purtroppo.A Strasburgo, quel giorno,noi c’eravamo, spinti dal fatto

che il CEM, da sempre accanito tifoso di qualsiasi tipodi dialogo possibile, non poteva mancare a un evento si-mile. Il clima, in effetti, era abbastanza effervescente, ecircolava tra i presenti la sensazione che - come si dissenell’occasione - si trattasse di «un grande passo in avantiper il continente da cui sono partite le divisioni della cri-stianità». Fra i partecipanti all’incontro (caduto immedia-

tamente dopo la Pasqua che, per una rara e fortunatacoincidenza, era stata festeggiata contemporaneamenteda tutte le Chiese cristiane, occidentali e orientali), oltreai responsabili delle Chiese stesse, un centinaio di gio-vani al di sotto dei trent’anni, in rappresentanza di tutte leconfessioni cristiane e di tutte le nazioni del continente,dalla costa atlantica agli Urali, da Creta alla Norvegia:una scelta che si era dimostrata altamente propositiva,stando anche ai commenti in assemblea degli stessi ra-gazzi, e che aveva consentito un confronto fra le genera-zioni per molti versi inedito e fruttuoso. Mi piace tornare, in particolare, all’intervento di un gio-vane cattolico scozzese, nel cuore della conferenzastampa relativa all’incontro di ice-breaking preparato-rio dell’assemblea vera e propria. Che spiegò: «Duran-te il meeting ci siamo sentiti tutti ortodossi, tutti cattolici,tutti protestanti ed evangelici. Ma ciò non significa chesiamo una zuppa ecumenica, dove tutti gli elementi so-no mischiati in una salsa indistinta e omogenea: al con-trario, la nostra comunione potrebbe essere descrittacome una insalata ecumenica, dove tutti i diversi colorie i sapori - uniti dal condimento dello Spirito Santo -possono essere meglio percepiti e gustati». Un’immagi-ne riuscita, che lascia peraltro intravedere gli spinosiproblemi ancora irrisolti nonostante la stesura dellaCarta: le tante ferite non riconciliate, la difficoltà d’indi-viduare persino, non raramente, un linguaggio condivi-so per proclamare le medesime verità. Esiti ovvi, del re-sto, di troppi secoli di incomprensioni e lotte sanguino-se. E immagine, ancora, tanto più rilevante dieci annidopo: anni di chiusure identitarie da parte di Chiese ereligioni, oltre che di strumentalizzazioni feroci del no-me di Dio. L’ecumenismo è uno dei (tanti) campi in cuinoi italiani dovremmo diventare un po’ più europei e im-parare dal dialogo, dai rapporti e dalle discussioni checi sono negli altri paesi. Il miglior modo di ricordare la Carta Ecumenica saràdunque riprenderla in mano, diffonderla, farla circolare(ancor oggi, infatti, il documento è ben poco conosciu-to). E, naturalmente, viverla, a dispetto delle numeroseasperità che sta soffrendo il cammino ecumenico: per-ché è solo dialogando che si apre il dialogo. q

L’ecumenismo è unodei (tanti) campi in

cui noi italianidovremmo diventare

un po’ più europei e imparare

dal dialogo, dai rapporti

e dalle discussioniche ci sono negli

altri paesi

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Questo numeroa cura di Federico [email protected]

Questo numero di CEM Mondialità abbraccia un tema particolarmente caro a CEM Mondialità, che

viene affrontato nell’ambito dell’annata 2010-2011, dedicata a «Adesso! Dalle paure al coraggio

civile, per una cittadinanza glocale». Il «dossier» monografico, a cura di Marco Dal Corso, intitola-

to « Il sacro, i sacri», offre al lettore una stimolante riflessione sui diversi significati che questi ter-

mini possono assumere nella società contemporanea. Scrive l’autore: «Il sacro è tornato, ci avvertono i sociologi

della religione. Fenomeno complesso che porta con sè aspetti, esperienze e visioni che chiedono di essere inter-

pretati. È questo che, in effetti, la ricca, aggiornata bibliografia sul tema tenta di fare. Assistiamo ad una progres-

siva pluralizzazione dei riferimenti cultura-

li e religiosi che mette insieme contempo-

raneamente più livelli e letture». Un atten-

to esame della questione del «sacro» non

può esimersi dal constatare una circo-

stanza che è sotto gli occhi di tutti: «Si as-

siste ad una pluralizzazione del fatto reli-

gioso - scrive ancora l’autore - che vede la

compresenza di più offerte, la possibilità

di una pluralità di accesso ai vari culti ed

una sostanziale reversibilità dei percorsi di

fede i quali costituiscono alcune delle tan-

te esperienze nella vita».

Nell’inserto centrale, dedicato a «L’ora del-

le religioni», Luciano Zappella nel suo con-

tributo intitolato «Bibbia a scuola nell’oriz-

zonte interculturale», sottolinea come

«non è la Bibbia a dover chiedere il per-

messo di entrare nelle aule scolastiche,

ma la scuola a doverle spalancare le porte

in considerazione del suo irrinunciabile

valore culturale e formativo».

All’interno del «dossier», per la sezione cinema, Lino Ferracin ci parla del film Lourdes, che propone un distaccato,

attento e sensibile approccio ai temi della fede, della guarigione e del miracolo, descrivendo la vicenda (di fanta-

sia) di un’ammalata che recupera (forse) la salute. Ma quanti dubbi, quante incertezze, quante domande…

Nella sezione «A scuola e oltre», segnaliamo i due articoli della rubrica «Che aria tira a scuola?» che ci offrono due

complementari letture sulla condizione dell’università italiana e sulle proteste seguite alla riforma Gelmini; nella

sezione «Resto del mondo», nello spazio CEM, la testimonianza dal Bangladesh di Giuà (padre Giovanni Gargano),

che ha partecipato a un grande raduno di preghiera con i musulmani. La Campagna Dudal Jam prosegue anche

nel 2011! Sostenetela! È una parte importante dell’impegno di CEM! q

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Monica Rossi

Le illustrzioni di questo numero sono state realizzate da Monica Rossi, che ringraziamo di cuore. Ecco un suo breve profilo:

«L’arte con me è stata furba e paziente, come un uomo che non siarrende nel fare la corte alla donna desiderata. Il pallino dell’artece l’ho sempre avuto; non riesco a farne a meno. Il desiderio didiventare una disegnatrice mi ha sempre seguita fin da piccola.Mi è rimasto incollato addosso anche durante gli anni in cuiavevo deciso di intraprendere strade diverse da quella artistica…e questa sua pazienza-insistenza, mi ha portata ad iscrivermi nel2005 al corso di fumetto-illustrazione all’Accademia di BelleArti di Bologna, dove ho iniziato a concepire questa grandepassione anche come qualcosa di più. Nel luglio 2009 hoconcluso il mio percorso didattico ed ora mi sto“sbizzarrendo” con quello personale».

Per contatti: [email protected]: www.monicrossi.blogspot.com

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I l 17 marzo è arrivato. Al-meno per quest’anno sa-

rà una festa nazionale, comevolevamo. Ma lo spirito uni-tario e la coscienza naziona-le incontrano ancora troppiostacoli per affermarsi nellamentalità e nei comporta-menti dei cittadini. Nelle trepuntate di cui ancora dispo-niamo in questa rubrica af-fronteremo nell’ordine il pri-mo, il secondo ed il terzo ri-sorgimento.

Eroi nazionali o scomunicati da redimere?

Quattro furono i principaliartefici dell’Unità d’Italia eindiscussi Padri della patria:Mazzini, Garibaldi, Cavour eVittorio Emanuele II. Davve-ro singolare è però la narra-zione che li riguarda, fin dal-le origini, oscillante - com’ènoto - tra l’eroismo naziona-le e la scomunica, dal mo-mento che, effettivamente,tutti e quattro furono «sco-municati», a conferma di undato patologico che accom-

pagna da sempre la nascitadell’Italia: quasi un Risorgi-mento che non fa risorgere.Il dato della scomunica ri-mane infatti ancora oggisingolare e sorprendente. IlRisorgimento va liberato espogliato dalle sue profondeincrostazioni retoriche e ri-dotto, per così dire, all’osso.Solo allora saremo in gradodi ascoltare ancora la storiadi ciò che siamo e di quantoè accaduto. L’Italia ha eredi-tato le tante facce di quellaBabele da cui è nata: il re-pubblicano e rivoluzionarioMazzini; il socialista e milita-

rista Garibaldi; il diplomaticoe statista Cavour; il monarcadella dinastia sabauda Vitto-rio Emanuele II. Lo Stato na-zionale nasce con un datostrutturale inconfutabile:più che di un movimentopopolare si può parlare diprocesso elitario con moltiostacoli e spinte contrappo-ste. Dei tanti piccoli Stati in-dipendenti che persistevanoprima dell’Unità nazionale esi spartivano l’Italia, due era-no quelli che apparivano in-sormontabili: il Regno delledue Sicilie e lo Stato pontifi-cio, come dire il Mezzogior-no e l’Italia centrale. L’epo-pea risorgimentale non po-teva dunque che caratteriz-zarsi come protagonismodel Nord rispetto al Sud e alCentro, ossia come un pro-cesso di «piemontesizzazio-ne» che i meridionali nonhanno mai digerito e ancormeno fu sopportato, per ol-tre mezzo secolo, dalla Chie-sa cattolica.Tutto alla fine si è mescolatoin una sorta di frullato trico-lore che mostra il caratterepoliedrico e trasformista del-la nostra nazione. Nel volu-me collettaneo Due nazionisi afferma che l’Italia si ca-ratterizza fin dall’Unità perun livello di contrapposizio-ne politica singolarmente al-to. L’intera vicenda storicadel paese rivela, infatti, unasingolare propensione alladiversità, che si manifesta inuna lunga serie di opposti:monarchici/repubblicani,nord/sud, laici/cattolici, in-terventisti/neutralisti, fasci-sti/antifascisti, comunisti/an-ticomunisti. Non si può allo-ra dare torto a Barbara Spi-nelli quando scrive «Abbia-

Il primoRisorgimento

C’è nel carattere degli italiani uno strano miscuglio di vittimismo e sfrontatezza, di autodenigrazione ed euforiasciovinista, di vergogna di essere italiani e dignitosacompostezza.

marzo 2011 | cem mondialità | 3

antonella fucecchi - antonio [email protected] - [email protected]

rifaregli italiani

Il Risorgimentova liberato e spogliato

dalle sueprofonde

incrostazioniretoriche e ridotto,

per così dire,all’osso

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di essere italiani e dignitosacompostezza che possiamoriassumere in Arlecchino, Pi-nocchio e Pulcinella che so-no i personaggi, gli archeti-pi, le maschere che meglioesprimono il carattere, lapsicologia e lo spirito del po-polo italiano4. Insuperabile,per efficacia, la sua conclu-sione: «Arlecchino, Pinoc-chio e Pulcinella sono l’Italiadel popolo che si rappresen-ta si denigra e si riscatta conla felicità che trasmette que-sto trio […] parlar male disé, come noi italiani faccia-mo, può dunque avere mol-teplici e complicati risvolti epuò essere inteso come unaterapia di chi sa di esseremalato, ovvero anomalo, masa anche che alla fine ce lafarà». Più volte, come si sa,nel corso della storia vuoidell’Italia monarchica e fa-scista, vuoi dell’Italia dellaprima e della seconda Re-pubblica, non sono mancatinumerosi episodi di trasfor-mismo politico. Solo nel no-stro paese poteva accadere -come recentemente è avve-nuto in un voto di fiducia algoverno Berlusconi (14 di-cembre 2010) - che diven-tasse determinante quellastrana specie di uomini poli-tici cui possiamo dare, percomodità, un nome per tut-ti, Scilipoti. Un caso emble-matico del trasformismo ita-liano. q

1 N. Di Nucci, E. Galli Della Loggia (acura di), Due nazioni, Il Mulino, Bolo-gna 2009.2 In «La Stampa», 5 aprile 1994.3 A. Cazzullo Viva l’Italia!, Mondadori,Milano 2010.4 C. Garboli, Italianità, in «La Repubbli-ca», 7 giugno 1997.5 Cfr. R. La Capria, Arlecchino, Pinoc-chio e Pulcinella, in «Il Corriere della se-ra», 21 novembre 2009.

rifare gli italiani

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zione. Un popolo comequello italiano, ripetutamen-te invaso prima dai barbari epoi dagli eserciti stranieri, hafinito per sviluppare dentrodi sé un’attitudine al servili-smo e alla sottomissione, algesto del chinare il capo edel genuflettersi, quandonon del «baciare le mani». Èstato Cesare Garboli a parla-re di una vocazione «servile»del nostro paese, nel bene enel male, nobile e ignobile3.«Noi abbiamo servito tutti ipopoli della terra. Greci, bi-zantini, barbari, francesi,spagnoli, inglesi, austriaci,perfino russi ed infine i pie-montesi». Ma è altrettantovero che l’Italia li ha semprevinti tutti «questi stranieri»,come in passato seppe farela «Graecia capta», scriveRaffaele La Capria e li vinsecon la bellezza, con la suaarte, con la sua geniale crea-tività. Perché, afferma La Ca-pria, c’è nel carattere degliitaliani uno strano miscugliodi vittimismo e sfrontatezza,di auto denigrazione ed eu-foria sciovinista, di vergogna

È stato Cesare Garboli

a parlare di una vocazione

«servile» del nostro paese,

nel bene e nelmale, nobile

e ignobile

mo nel sangue i cromosomidei Montecchi e dei Capule-ti, e questa è la ragione suf-ficiente che spiega tutti i no-stri mali, del passato e delpresente»1. Alla lista di cop-pie antitetiche già elencatepossiamo aggiungere anchequella mai superata deiguelfi e ghibellini. La triste esconfortante realtà è che co-me italiani ci portiamo sullespalle un passato che nonpassa e ciò spiega perchél’Italia di oggi non è altroche lo specchio della suastoria.Non possiamo fare a menodel nostro Risorgimento poi-ché senza di esso non esiste-remmo. Saremmo del tuttoprivi di mito fondativo, dinarrazione genealogica e ditradizione dalle origini. E fi-niremmo nell’afasia, nel mu-tismo e nel silenzio più im-barazzante: quello dell’«in-identità». Ma non si può dartorto ad Aldo Cazzullo2

quando scrive che il Risorgi-mento possiede tutti i carat-teri di una grande saga diuna storia cui non manca al-cun registro: l’eroico e ilgrottesco, l’aulico e il ridico-lo. C’è tutto: amore e morte,

sangue e nobildonne, tradi-menti e intrighi, battaglie erivolte, re e imperatori, papie cortigiane, l’esilio e il ritor-no, rotte disastrose e clamo-rose sorprese.

Arlecchino, Pinocchioe Pulcinella

Che cos’è allora l’identitànazionale degli italiani? Ab-biamo già visto quante diffi-coltà siano state superateper conquistare l’unità delpaese partendo da una si-tuazione di pluralità, di fra-zionamento e di subordina-

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Diventaregrandi

A scuola si va con i corpi: diversi per genere, diversiper tratti somatici, diversi per vestizione(o spogliazione), diversi per suoni, odori e colori.

bambinee bambinilucrezia [email protected]

munità, sono una persona».Queste forme di passaggioerano possibili in un mondorelativamente stabile, doveognuno cresceva lungo unitinerario prevedibile, senzacambiamenti radicali nelcorso della vita, con tappe escadenze attraversate datutti e quindi rassicuranti econosciute.Oggi non è più così: la so-cietà contemporanea è con-traddistinta dal cambiamen-to, che rende sempre piùdifficile la continuità nel cor-

so della vita e la prevedibilitàdell’esperienza individuale,mentre si è allargato enor-memente il campo dellepossibilità simboliche.

Ci si puòchiedere: quali

esperienzescolastiche sono

pensate peressere vissutedal singolo in

solitudine e qualiinvece per

esserecondivise?

La libertà maggiore di cuigodiamo nelle nostre societàcomplesse e differenziate ciobbliga al peso della scelta.Anche i bambini, sempre piùprecocemente da un lato,ma con maggiori difficoltàdall’altro, devono impararea scegliere. Lo scenario al-l’interno del quale devonodecidere è però contrasse-gnato da un’eccedenza cul-turale, dalla moltiplicazionedei riferimenti simbolici eimmaginari; è sempre piùfrequente il rischio di consi-derare tutto possibile e tuttosempre aperto, la reversibili-tà assoluta di ogni esperien-

za. Come se si potessevivere «per prova». Leragioni di tale condi-

zione, complesse e stra-tificate, richiamano in gio-

co gli adulti e il loro ruoloeducativo. Non ci sono piùprove da superare, ma inquesta sorta di giungla e dideserto esperienziale, dovele occasioni sono infinite,ma le coordinate assenti, ilruolo dell’adulto deve torna-re a essere quello di chi pre-dispone esperienze che crei-no il confronto con il limiteche è poi il confronto con sestessi e con gli altri. Il cambiamento dei ruoli so-ciali ha prodotto condizioniper le quali nella famiglia enelle principali agenzie edu-cative s’instaurano relazionisempre più orizzontali e pa-ritarie non come punto di ar-rivo, bensì come punto dipartenza del processo edu-cativo. È come se fosserostati rimossi il conflitto e lacontrapposizione. Il ragaz-zo, sostiene Salvatore Natoli,«vede nell’educatore la per-sona che soddisfa il suo de-

P er rispondere alla do-manda «chi sono io»?

le culture, nel corso del tem-po, hanno organizzato stru-menti perché ogni uomo eogni donna potessero iden-tificarsi e sentirsi riconosciuticome appartenenti ad uncontesto sociale. Sono (era-no?) gli adulti a dire a unbambino chi è, a insegnarglile regole per essere parte delgruppo e le sanzioni per illoro mancato rispetto. Ma inquesta fase storica le rispo-ste ereditate dal grupposembrano non bastare più esoprattutto non funzionareper dare senso alle trasfor-mazioni del sé. Nelle società tradizionaliquesto passaggio per diven-tare membri effettivi di unasocietà avveniva per mezzodi riti predisposti e presidiatidal gruppo stesso. Attraver-so delle prove, diverse framaschi e femmine, si rag-giungeva la consapevolezzadell’appartenenza e si giun-geva all’affermazione «io so-no un membro di questa co-

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siderio e non lo contraddice.Ma il desiderio ha bisognoper definizione di regole: lastrutture desiderante delsoggetto è quella strutturadell’essere dove si general’illusione dell’onnipotenza».Il desiderio ha bisogno divincoli, quindi dell’altro, perpotersi esprimere compiuta-mente.

Come si diventa persona

Diventare persona necessitadella relazione, non si diven-ta «io» senza l’alterità checostituisce insieme limite erisorsa, entrambi necessari.La relazione, d’altro canto,richiede un processo di rico-noscimento dei soggetti,l’accettazione delle incarna-zioni e delle differenze, la fa-tica della pluralità. Leggendo la questione in ter-mini didattici: il punto di par-tenza per ogni discorso sul-la/per la persona sono i vis-suti, le speranze, le angosce,le narrazioni e i mondi vitalidei bambini e delle ragazzeche abitano le nostre classi.Quelli veri, reali, ciascunocon i propri nomi e cognomi(prima forma indelebile diappartenenza), che al loroingresso a scuola si chiedonoquali siano le dimensionispaziali, temporali, simboli-che, linguistiche dell’istitu-zione e troppo frequente-mente non ricevono risposteperché l’istituzione si fondasu premesse implicite chevengono solitamente dateper scontate. Spesso la scuo-la si presenta con una serie diregole pensate come auto-maticamente comprensibili,ma i cui risvolti sono tutti dasvelare e soprattutto riporta-

6 | cem mondialità | marzo 2011

bambine e bambini

Gli affetti sono lacondizionedell’apprendimento

La relazione educativa nonè mai neutrale: spazi etempi della scuola sonoconnotati affettivamente. Inun certo senso gli affettisono la condizionedell’apprendimento; non siamano gli insegnanti comesi amano i genitori o gliamici, ma in virtù della loropassione per ciò cheinsegnano e per i soggetti acui insegnano. La didatticanon si risolve in una tecnicaper la trasmissione diconoscenze. È la faticaquotidiana di costruzione dicontesti che permettano diapprendere attraverso laproposta di esperienzeindividuali e collettive.Laddove la fatica è data, fral’altro, dalla difficoltà dicontenere la pluralità,riconosciuta e non rimossa.Riconoscere la pluralitàrichiede talvolta latrasformazionedell’immaginarioistituzionale eprofessionale. Significapensare a se stessi inquanto docenti comesoggetti in parte nuovi, erinvia perciò ancheall’elaborazione del luttoper la perdita di alcuniaspetti della precedentesoggettività. Anche inquesto caso non si tratta diaffermare genericamente ilcambiamento, ma dipensare concretamente adun ruolo che richiede diriconoscere a se stessi unpotere generativo diconoscenza e legittimitàeducativa (condizioneaffatto scontata in questafase storica).

quali esperienze scolastichesono pensate per essere vis-sute dal singolo in solitudinee quali invece per esserecondivise, quale e quantotempo occupano, nell’espe-rienza quotidiana della vitascolastica, la condivisione, ilconfronto, il lavoro comu-ne? E per esperienza s’inten-de il modo con il quale si re-golano i rapporti di comuni-cazione e ascolto, trasversalia tutte le discipline, esplicita-ti e riconosciuti.A scuola si va con i corpi:corpi diversi per genere, di-versi per tratti somatici, di-versi per vestizione (o spo-gliazione), diversi per suoni,odori e colori. Assumereconsapevolmente la diffe-renziazione è smettere dipensare ai bambini come adun pubblico indistinto diuditori senza corporeità,bensì riconoscere e legitti-mare la differenza per poter-la poi contenere in funzionedi una nuova unità: quelladella classe o del gruppo chesi costituisce a partire dalleindividualità. q

no alla domanda: a qualeimmagine di uomo/donnarinviano? Non sono questio-ni astratte o retoriche. Porreal centro della riflessione lapersona rinvia alla concretez-za dei corpi e della vita perindividuare i nodi educativi acui porre attenzione. Il dispositivo scolastico è re-lazionale per definizione,perché a scuola si va per im-parare attraverso la relazio-ne educativa. A questo pro-cesso d’apprendimento sipartecipa sempre in quantosingoli appartenenti a ungruppo; la dimensione so-ciale dell’apprendimento èstrettamente connessa e in-tricata con quella individua-le. Allora ci si può chiedere:

Diventarepersona

necessita dellarelazione, non si

diventa «io»senza l’alteritàche costituisce

insieme limite erisorsa, entrambi

necessari

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I l gioco di ruolo è davveroqualcosa con cui si pos-

sono fare diverse cose, io l’ho usato per due scopi: da-re un’occasione di esprimer-si ai ragazzi, di esser prota-gonisti e poter affrontare al-cune criticità relazionali al-l’interno della classe, generi-camente chiamate situazionidi disagio. Fabio Paglieri ciricorda che non è possibileordinare a qualcuno di edu-

Giochi di ruoloL’occasione da protagonisti

ragazzee ragazzisara [email protected]

carsi, se non tramite la suaadesione spontanea, ancheil gioco dei ruoli non può es-sere giocato forzando i gio-catori a farne parte, così hostudiato attentamente gliabbinamenti ruolo-allievo,per evitare costrizioni invo-lontarie. Mi presento: sono il Dunge-on Master (DM), cioè il con-duttore di questo gioco, l’ar-bitro e il narratore, mentre iPersonaggi Giocanti (PG) so-no quei ragazzi che di voltain volta si son trovati a vesti-re i panni di... un compa-gno! Eh sì, il gioco non è poicosì divertente penseretevoi! Non era la mia meta fi-nale il divertimento, ho usa-to il gioco dei ruoli a fini pe-dagogici più che ludici, per-ché di questo avevamo biso-gno in classe.

Almeno tre le tipologie di di-sagi in classe (familiare, cul-turale, sessista), due trattatiora. Un classico, qui comealtrove. Sono la coordinatri-ce, ho più ore con loro, sonola prof di lettere, devo occu-parmene io (oltre allo psico-logo), chi altro? Perché cosìscontato poi che sia io? Perle ore? Debole motivazione!Per la materia? Non insegnopsicologia, cosa c’entra lagrammatica con le turbepreadolescenziali? Tantoquanto educazione fisica,anzi, lì emergono atteggia-menti che tra i banchi nons’immaginano nemmeno.Tranquilli, lo faccio io, volen-tieri. Così passo due giorni acreare matrici di dialoghiiperrealistici, a immaginarechi potrebbe vestire i pannidi un compagno, a speraredi non far danni, a temere difar danni.

Giochiamo

«Oggi facciamo un gioco: ilgioco dei ruoli!». Si elettriz-zano subito, intanto perchésaltano geografia e la possi-bile interrogazione, poi per-ché pensano di giocare alteatro, loro. Le regole sono dichiarate,modificate e condivise datutti: parlano solo i PG, quel-li a cui io (DM) ho assegnatoun ruolo, cartellino identifi-cativo al collo, seguono letracce scritte, mentre i com-pagni (personaggi seconda-ri) intervengono a richiesta edopo il permesso; non c’èobbligo di partecipazione;dichiaro da subito la finalitàdel gioco e intervengo se ladiscussione degenera o si in-ceppa.

marzo 2011 | cem mondialità | 7

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«Credo davvero chequesto “sistema” delgioco di ruolo non possasgomentare nessuno, e nesono lieto. Non è“complesso” comequalcosa che non sicapisce e contro cui sisbatte invano la testa. Ècomplesso nel senso diricco, vivo, dinamico,anche divertente: qualcosacon cui si possono faretante cose diverse»

Fabio Paglieri1

I ragazzi devono avere più occasioni di emergere, per esprimere idee, parole, pregiudizi, consigli; fruitoriveloci del tempo non hanno altrimenti destinatari né tempicondivisi, se non a scuola.

Non è possibileordinare a

qualcuno di educarsi,

se non tramitela sua adesione

spontanea

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1° gioco: la finalità è faremergere le tensioni tra ilgruppo dei maschi (l’eserci-to dei brufolosi e leggeri) equello delle femmine (le bel-le responsabili, ma grevi).Massimo (nel ruolo di Giu-seppe) si avvicina a Maria(nei panni di Luca): «Ascolta,se fai ancora l’amico conAnna, non sei più amicomio!» e così di seguito, giu-sto per darvi un’idea, non viriferisco i loro pensieri, misembra di tradire la loro fi-ducia e non lo faccio. Poi sisusseguono molti interventiliberi dei PG e poi quelli a ri-chiesta in cui si dispiegano leragioni degli uni e degli altri.Non sono per niente a disa-gio, loro, a vestire i panni dialtri e a pronunciare paroleche non appartengono loro,ogni tanto qualcuno si fer-ma e mi dice: «Ma come?Non avrebbe mai detto que-sta parola lui! Quest’altrasì!» corregge e il cuor miopalpita; emergono tensioniche si portavano dalla scuoladell’infanzia, rancori familia-ri, pregiudizi infondati cheloro stessi smantellano, scu-se e tanto altro... Ma poi ca-do nell’angoscia profonda.Il 2° gioco: la finalità è espor-re e chiarire il disagio diAmal (nome di fantasia diuna ragazza nordafricana inItalia da cinque anni), il suoesser presa di mira e il suomodo prorompente di atti-rare l’attenzione. Ho lasciatofuori dal gioco proprio l’in-teressata, presente in aula, eho messo nel suo ruolo lacompagna che dal primogiorno di scuola lei ha presocome disponibile riferimen-to, una ragazza riservata:Mariella (nome inventato di

8 | cem mondialità | marzo 2011

ragazze e ragazzi

una ragazza italiana qui da10 anni). Nei panni di coluiche la offende ho posto chinon lo farebbe mai, Otello,ma (non sapendo io chi laoffende) gli ho chiesto discegliere in che panni si sa-rebbe messo: «Non possoprof, scelga lei tra questi no-mi», snocciolo nomi e conlui scelgo il ragazzo più in-troverso, Filippo. Di questodialogo ho scritto solo duebattute, una traccia, poi(cambiata la regola) conti-nueranno loro liberamente,saliranno in scena anche glialtri, con l’identità preferita.Alla seconda battuta la timi-da Mariella riversa fiotti diparole pesanti, quelle che icompagni riversano a voltesu Amal per offenderla, ma-cigni che ancora stento asop-portare, non sapevo,non credevo possibile unatale barbarie verbale (in-de-gna di adulti) nei confrontidi Amal, e lei? Lei è seduta alsuo banco, solitamentesfoggia un sorriso modellodisagio, ora è in lacrime, au-tentiche. Da conduttricechiedo se devo fermare, leifa cenno di no. Avviene chequasi tutti vanno in scena,parlano a Mariella come sefosse Amal, spiegano i loromotivi, chiedono scusa, chiinvece va per prendere le suedifese, per dire che se la co-nosci non è così pesante,che c’è un motivo se stuzzi-ca e provoca, noi siamo 21lei è una, siamo noi che dob-biamo cambiare, lei lo faràdopo... Ma alcuni sono in-tolleranti nel profondo e misento impotente. Il mio cuo-re è pesante come un maci-gno, inversamente propor-zionale al loro. Pian piano

vanno tutti al posto, uno so-lo è rimasto seduto sempreal proprio, Filippo, propriolui. Non lo esonero certo fa-cilmente: «E tu? Non dicinulla?». «Sono d’accordocon i miei compagni». Si è ti-rato fuori dal gioco, ma io celo ricaccio, lo devo coinvol-gere con altri mezzi: «Lunedìporti una relazione detta-gliata di quanto successooggi in classe!». Secca e feri-ta, ma astuta, ho giocato ioil ruolo dell’intollerante chedi solito è il suo.

Dopo i giochi

«Sa prof che stiamo tuttimeglio? (Forse non tuttipenso io) Ci sentiamo piùleggeri (Io non ho dormitoinvece!)». Mariella da quelgiorno parla molto di più, sifa vedere, emerge, l’ho no-minata una delle sagge diclasse, un nuovo punto di ri-ferimento, soprattutto perme e Amal. Le relazioni si so-no distese, non certo risolti iproblemi, ma si è aperto undialogo. Filippo lotta con larelazione da scrivere e quellada vivere: la prima gliel’hofatta riscrivere, per la secon-da non posso dare, nella re-altà, il suo ruolo a nessun al-tro. Questi ragazzi devonoavere più occasioni di emer-gere, per esprimere idee, pa-role, pregiudizi, consigli;fruitori veloci del tempo nonhanno altrimenti destinatariné tempi condivisi, se non ascuola. q

1 F. Paglieri, Il gioco di ruolo come siste-ma complesso: conseguenze pedago-giche e terapeutiche, in Inventare de-stini: il gioco di ruolo nelle scuole italia-ne, La Meridiana, Bari 2003 (www.me-dia.unisi.it/cirg/fp/gredu03.pdf).

Dungeons & Dragons

Dungeons &Dragons (abbreviatocome D&D) è ungioco di ruolofantasy creato daGary Gygax e DaveArneson, pubblicatoper la prima voltanel gennaio 1974dalla Tactical StudiesRules, societàfondata da Gygaxpoi trasformata nellaTSR Hobbies, e dal1997 in poi dallaWizards of theCoast. D&D, che hafornito lo spuntoalla nascita di tuttoil filone editorialelegato ai giochi diruolo, è tra questi ilpiù diffuso econosciuto, con unastima di circa 20milioni di giocatori,traduzioni in moltelingue e oltre unmiliardo di dollari divendite di manualied accessori fino al2004 (da Wikipedia).

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Giovani e sacro

La confusione si fa sempre più generalizzata: percrescere nel senso del sacro, i giovani hanno bisognodi punti di riferimento adulti che siano sicuri.

stefano curci

generazione y

È sempre piùdifficile

incontrare unprete giovanenella propria

parrocchia

re puntando su meccanismidi tipo settario o su tentazio-ni di tipo magico.Questo dato sociologico vagià nella direzione di unaconfusione che si fa semprepiù generalizzata: per cresce-re nel senso del sacro (usoquesta espressione per indi-care una categoria più gene-rale rispetto a quella di «fe-de», che richiede un’adesio-ne interiore più profonda) igiovani hanno bisogno dipunti di riferimento adultiche siano sicuri, che si segna-lino come guide con capaci-tà di chiarire i dubbi e comeesempi che mostrano con-cretamente come sia possibi-le incarnare una spiritualitànel quotidiano. Altrimenti lasituazione resta quella cheabbiamo tutti sotto gli occhi:i ragazzi ricevono un’educa-zione religiosa al catechismoma, proprio quando il loroapproccio si fa dubbioso e

L a riscoperta del sacroche è stata collocata in

coincidenza con la fine delXX secolo si è caratterizzataper la diffusione di movi-menti religiosi di vario tipo.Infatti abbiamo visto nasce-re movimenti interni alle reli-gioni tradizionali, che nonerano in polemica con quellema cercavano di rilanciarneil messaggio e d’interpretar-lo alla luce dei tempi nuovi,in forza di un carisma nuo-vo; ma abbiamo anche po-tuto constatare la nascita dimovimenti che si sono postiin concorrenza con le reli-gioni, puntando su sugge-stioni di atmosfere da spiri-tualità vaga e diffusa, oppu-

dialettico, hanno ormai rag-giunto il Sacramento e smet-tono di frequentare un cam-mino di fede.

L’invecchiamento del clero

Ora, negli ultimi anni gliostacoli in questo senso so-no sempre più aumentati:anzitutto è sempre più diffi-cile incontrare nella propriaparrocchia un prete giovane(segnalo questo perchél’esperienza dice della mag-giore facilità di un religiosoche non abbia troppa diffe-renza di età a intercettare ilinguaggi e le domande deiragazzi). L’invecchiamentodei preti italiani è un datoassodato: nel 2005 l’età me-dia del clero era di 60 anni, il36% del clero diocesanoaveva meno di 50 anni, il17% un’età compresa tra i51 e i 60 anni, il 23% tra i 61e i 70, il 25% superava i 70.Per fronteggiare il problema,abbiamo il 5% del clero dio-cesano composto da preti

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stranieri, di solito più giovanidella media italiana, chehanno fatto un apprendista-to pastorale mediamentepiù limitato, in quanto inbuona parte sono venuti astudiare nelle Universitàpontificie e poi sono stati«prestati» alle diocesi. È certamente più facile tro-vare catechisti giovani, ma laloro azione raramente è effi-cace a lungo termine, se do-po la Cresima la maggiorparte dei giovani non si fapiù vedere in parrocchia. Lafrequenza dei giovani all’as-sociazionismo cattolico(Azione Cattolica, Comunio-ne e Liberazione, Gioventùfrancescana ecc.) è ancorapresente, ma è più intensa inoccasione di eventi significa-tivi di grande aggregazione(campi scuola, meeting,Giornate della gioventù…) ela difficoltà segnalata damolti educatori è aiutare iragazzi a mantenere lo stes-so entusiasmo nella quoti-dianità.

I giovani e il sacro

Per capire qualcosa di piùsull’atteggiamento dei gio-vani nei confronti del sacro,e per non cedere a facili let-ture sociologiche che purehanno un qualche fonda-mento, come quelle che in-dicano nei giovani del Ses-santotto l’apice della parte-cipazione all’impegno, men-tre i nostri giovani rappre-senterebbero molto più iltrionfo del ripiegamento inse stessi, consultiamo i risul-tati di un’indagine promossanel 2007 dai Paolini sul temadella vocazione, idea che,per qualcuno sorprendente-

Sicuramente ha un peso de-cisivo la cultura contempo-ranea che, oltre ad essere in-trisa di secolarizzazione,tende comunque a promuo-vere la sperimentazione con-tinua, la collezione di espe-rienze, e a prolungare il tem-po che precede le scelte de-finitive. Perciò per molti gio-vani il rapporto col sacro ègiocato in un senso debole,«capace di dar senso allepiccole opzioni della vitaquotidiana, dai rapporti congli amici alle dinamiche af-fettive, dall’ampliamentodelle possibilità espressive aldivertimento, dalla coltiva-zione del proprio potenzialeumano alla ricerca di stili divita distintivi»2. Senso debo-le perché si prende dalla di-mensione del sacro quelloche più tranquillizza o è utileper integrare la propria iden-tità, ma molti giovani sonorestii a mettersi seriamentein gioco, addossandosi leconseguenze che un rappor-to costante e meditato colsacro potrebbe avere. Il di-scorso si fa più generale per-ché si allarga al condiziona-mento che i ragazzi subisco-no dalla civiltà che santifical’apparenza, dalla morbidadittatura mediatica, e ripro-pone a noi educatori la diffi-coltà quotidiana di «cercaremezzodì alle quattordici» -come dice Derrida citandoBaudelaire - cioè di lavorareostinatamente per qualcosache va controcorrente rispet-to alla moda dominante. q

1 F. Garelli, Giovani e vocazioni: atteg-giamenti, tensioni, in «Note di pastora-le giovanile», 1/2009, p. 19.2 Ibidem.

mente, non è risultata estra-nea ai giovani interpellati:come riassume il sociologoFranco Garelli «anche se per-lopiù si affidano al carpediem e hanno lo sguardocorto, essi non hanno smes-so di sognare e di essere at-tratti dai grandi ideali. È dif-fusa la convinzione che ognipersona ha una missione dacompiere, un progetto darealizzare, e che una vita de-gna di chiamarsi tale non èuna sommatoria di scelte ca-

«I giovani, anche se perlopiù siaffidano al ‘carpe diem’ e hanno

lo sguardo corto, non hanno smesso di sognare e di essere

attratti dai grandi ideali»Franco Garelli

generazione y

suali. Ancora, i giovani am-mirano le scelte di vita piùcostringenti, quelle che ri-spondono ad una chiamataparticolare e che richiedonoforza d’animo e fedeltà diimpegno»1. Perché allora l’impressione èche i giovani abbiano unarelazione col sacro più di-simpegnata, nell’ottica delsupermercato (prendo ciòche mi serve al momento)che dell’adesione motivata?

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marzo 2011 | cem mondialità | 11

Q uando parliamo di «in-tercultura» corriamo

spesso il rischio di basarci suun’idea stereotipata di «cul-tura» e - come conseguenza- su un modo superficiale diguardare le presenti «cultu-re» che entrerebbero in rela-zione in una situazione in-ter-culturale. Spesso infattila parola «cultura» che entranel termine «inter-cultura»indica, nei nostri pensieri enei nostri discorsi, un insie-me ben definito, rigido estabile di valori, tradizioni,abitudini che influenzereb-bero in modo quasi determi-nistico il comportamentodelle persone. Di conse-guenza, quando parliamo di«inter-cultura» pensiamo auna molteplicità di questi in-siemi definiti, rigidi e stabili(le diverse «culture») che en-trano in contatto fra loro. Inpiù, tendiamo spesso a ri-condurre queste diverse«culture» a quelle entità concui siamo abituati a suddivi-dere le persone: Stati, nazio-ni, gruppi etnici, ecc.

proprio per non «imprigio-narli» in visioni stereotipate,e promuovere invece percor-si formativi che possano va-lorizzare al massimo il po-tenziale dei loro vissuti per-sonali e familiari.Una lezione preziosa in que-sto senso ci viene da un testo

La cultura «otaku» è strettamente legata a fumetti, disegni animati,videogiochi, computer, internet, telefilm di fantascienza, modellini efigurine tratti dai personaggi dei cartoni e videogiochi, ecc.

in cercadi futurodavide [email protected]

uscito in questi mesi in Italia,Generazione otaku, scrittoda Hiroki Azuma, uno deimassimi studiosi del mondogiapponese contemporaneo.Il libro presenta una descri-zione del Giappone degli ul-timi decenni visto attraversolo sviluppo e i cambiamentidella «cultura» otaku, moltodiffusa tra i giovani delle ulti-me tre generazioni (dagli an-ni Sessanta ad oggi). È unacultura strettamente legata afumetti, disegni animati, vi-deogiochi, computer, inter-net, telefilm di fantascienza,modellini e figurine tratti daipersonaggi dei cartoni e vi-deogiochi, ecc. Che cosa ci insegna la cultu-ra otaku a proposito dei no-stri percorsi educativi inter-culturali? Ci insegna, peresempio, che la vita quoti-diana di tanti ragazzi e ra-gazze di ieri e di oggi, inGiappone ma anche in Italiae in tante altre aree del pia-neta, è stata ed è attraversa-ta anche da culture diverseda quelle che normalmenteattribuiamo a questi ragazzie ragazze. Ci insegna inoltreche queste culture non coin-cidono in modo schematicocon un paese, una prove-nienza, un’etnia. La culturaotaku viene da noi identifi-cata come giapponese, ma èin realtà il frutto di un intrec-cio di elementi della tradi-zione giapponese con ele-menti provenienti dagli StatiUniti. La «cultura» otaku -come tante altre culture glo-bali contemporanee - nonsostituisce le culture tradi-zionali nella vita dei ragazzie delle ragazze di oggi. Masi intreccia ad esse arric-chendosi e arricchendole. q

Per saperne di più

T. Bennett, Cultura, in T. Ben-nett, L. Grossberg, M. Morris (acura di), Nuove parole chiave.Dizionario di cultura e società, IlSaggiatore, Milano 2008, pp.120-127.Hiroki Azuma, Generazioneotaku, Jaca Book, Milano 2010.

La lezione inter-culturaledella «cultura» otaku

Espressionicome «ibridità

culturale»,«flussi culturali»,

«medietàculturale»

pongonol’accento sulla

fluidità el’instabilità delle

distinzionie relazioni

culturali

In realtà, sia nella ricercascientifica sia nell’uso cor-rente, assistiamo oggi a unallontanamento dalla con-vinzione che le culture pos-sano essere descritte comeentità fisse e separate.Espressioni come «ibriditàculturale», «flussi culturali»,«medietà culturale» (culturalin-betweeness)» pongonopiuttosto l’accento sulla flui-dità e l’instabilità delle di-stinzioni e relazioni culturali. A questo dovrebbe servircianche il termine «inter-cultu-ra», soprattutto nelle nostrepratiche educative: dire «in-ter-cultura», a scuola e fuorida scuola, dovrebbe servircia spostare l’attenzione suciò che vi è di più mobile edinamico nelle pratiche quo-tidiane di ragazzi e ragazze,

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12 | cem mondialità | marzo 2011

L a riforma universitariaintrodotta dalla legge

Gelmini è ingannevole, alpunto che a una prima oc-chiata potrebbe addiritturaapparire meritevole di lodi.Fa infatti leva su alcuni diquelli che sono i problemioggettivamente riconosciutidell’università italiana, comeil sovradimensionamento(troppi atenei con troppicorsi di studio) e i famigerati«baroni», che unitamentecausano sprechi enormi. Giàcosì ci si accorge che la rifor-ma non si occupa di uno deiprincipali problemi di quasitutte le facoltà, ovvero la for-mula del 3+2, la cui risolu-zione basterebbe a ridurredrasticamente gli sprechi.Ma anche concentrandosi suquelli che sono gli obiettividichiarati della riforma risul-ta evidente come le misureintrodotte non mirino real-mente alla loro realizzazio-ne. Una delle novità sarà la mo-dificata composizione e fun-zione degli organi dell’ate-

neo: il Rettore e il Consigliodi amministrazione (che pas-serà da 30 a 11 membri)avranno maggior potere, ascapito del Senato accade-mico (composto da profes-sori, ricercatori e studenti)che diventerà un organo pu-ramente di consulenza. Inol-tre, all’interno del Cda, il cui

molto poco interessata allafilosofia o alla psicologia,per ovvi motivi. E i baroni?Non solo non verrannosconfitti, ma ne uscirannoaddirittura rinforzati! Que-sto perché avranno ancormeno concorrenza. Infatti,in quella che è l’attuale scalagerarchica dei docenti uni-versitari (ricercatore - profes-sore associato - professoreordinario, il quale può esseregarante di un corso di stu-dio), gli ordinari non vengo-no toccati dalla riforma. E seè vero che non tutti gli ordi-nari sono baroni, è altresìcerto che tutti i baroni sonoordinari. Per quanto riguarda il sovra-dimensionamento dell’uni-versità italiana, non c’è statoil coraggio di prendere prov-vedimenti seri, e la colpa èstata scaricata sui singoli ate-nei, quando invece essi nesono responsabili solo in par-te. La vera causa sta nell’erra-to criterio di valutazione delmerito e della conseguenteassegnazione dei fondi daparte dello Stato. Infatti vie-ne semplicemente considera-to il numero di iscritti degliatenei e non il reale meritodelle varie facoltà e dei singo-li corsi. In questo modo leuniversità sono incentivatead aumentare il numero de-gli studenti, abbassando laqualità della didattica. Inconclusione, risulta evidentecome i veri problemi del si-stema non vengano risolti, alcontrario, ne avremo di nuo-vi, come il conflitto d’interes-si che si creerà all’interno deiCda degli atenei. L’universitàitaliana ha realmente biso-gno di una riforma. Ma nondi questa. q

Rischi o obiettivi?Dietro la mascheradella riforma Gelmini

Nonostante gli obiettivi dichiarati della riforma, risulta evidente come le misure introdotte non mirinorealmente alla loro realizzazione.

che aria tiraa scuola/1giacomo caligaris

Avremo aziendeche saranno

in grado diinfluenzare lepolitiche degli

atenei,decidendo dove

destinare ifondi, quali

corsi attivare equali chiudere

criterio di composizione ri-mane tutt’oggi oscuro, po-tranno essere presenti rap-presentanti di aziende priva-te che decideranno di finan-ziare l’ateneo. Avremo cosìaziende che saranno in gra-do di influenzare le politichedegli atenei, decidendo do-ve destinare i fondi, qualicorsi attivare e quali chiude-re. Questo rappresenta ungrave rischio per tutte le fa-coltà umanistiche, dal mo-mento che un’azienda cheinveste in un ateneo sarà

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to privato, trasformi l’istru-zione da diritto a privilegio. Sono questi i dati che scorag-giano tutti, anche la Crui(Conferenza dei rettori delleuniversità italiane) che, unen-dosi all’appello di tutti glistudenti, precari, comitati,con un documento votato al-l’unanimità lo scorso luglio,esprime tutta la sua preoccu-pazione per le prospettive delsistema universitario italiano.Persino il nuovo RapportoOcse (Organizzazione per laCooperazione e lo SviluppoEconomico) sull’educazione,nelle 500 pagine che fanno ilpunto sull’istruzione nei 30paesi aderenti, parla chiaro:per l’istruzione il nostro pae-se spende solo il 4,5% del Pil,contro una media europeadel 5,7%. La crisi economicaesiste, è vero: ma numerosericerche mettono in evidenzal’importanza dell’istruzionecome fattore chiave dello svi-luppo. E per far ripartire unmotore, ci vuole benzina. Eallora, forse, le ragioni diquei ragazzi dovrebbero es-sere ascoltate da orecchie piùattente, evitando di relegarlea mero problema di ordinepubblico, perché esso in real-tà rappresenta molto di più:la battaglia dell’intelligenza,della salvaguardia della cul-tura, della difesa dei beni co-muni, dei diritti inalienabili.Si tratta di ricostruire il futu-ro, volgendo contempora-neamente uno sguardo alpassato, a quella scuola chenon creava disuguaglianzema opportunità... come cimanca, la scuola di Barbiana!La scuola che allora, primadei voti, delle pagelle, del ri-schio di esser bocciati, era af-fezionata al sapere in sé. q

marzo 2011 | cem mondialità | 13

che aria tiraa scuola/2giulia pensabene

Per far ripartireun motoreci vuole benzina...

Da bene pubblico strategico, cruciale per il paese in termini di sviluppo sociale, culturale ed economico,l’università diventa centro di spreco al quale è necessario ridurre i fondi.

Il nuovoRapporto Ocse

sull’educazionefa il punto

sull’istruzionenei 30 paesi

aderenti: perl’istruzione ilnostro paese

spende solo il4,5% del Pil,

contro unamedia europea

del 5,7%

cessario ridurre i fondi. Cosìla legge finanziaria 2009,mentre attuava un taglioprogressivo del Ffo (Fondoper il finanziamento ordina-rio delle università), pariall’11% rispetto al 2008(fonte: Il Sole 24 Ore), au-mentava le spese militari pre-viste per il 2011 dello 0,6%(fonte: Rete ControllArmi), inbarba all’art 11 della nostraCostituzione. Il nostro gover-

L a volontà di sapere, diMichel Foucault; il Trat-

tato del Ribelle, di Ernst Jun-ger... Sono solo alcuni deitanti titoli apparsi sui bookblock, gli «scudi-libro» conaddosso i quali gli studentiitaliani sono scesi in piazza esaliti sui tetti, per protestarecontro la legge n. 240/2010,altrimenti detta Legge Gel-mini. Sono immagini forti,quelle delle manifestazioniche si sono susseguite negliultimi mesi, immagini cheforse non ci ricordavamopiù. E invece il popolo si è ri-bellato al suo re, a quei 161sì che, il 22 dicembre scorso,hanno permesso di approva-re in via definitiva il testo delddl, trasformando l’universi-tà italiana in un «ospedaleche cura i sani e respinge imalati». Da bene pubblicostrategico, cruciale per ilpaese in termini di svilupposociale, culturale ed econo-mico - come sostengono i ricercatori della Rete 29 Apri-le -, l’università diventa cen-tro di spreco al quale è ne-

no adotta la politica del me-no libri, più armi. Come se lescelte di politica economicadovessero solo preoccuparsidi far quadrare i conti, igno-rando le gravi ripercussionidi queste sul futuro del-l’istruzione in Italia e capo-volgendo il principio perso-nalistico secondo cui lo Statoè per la persona, e non vice-versa. La sforbiciata non ri-sparmia nemmeno le borsedi studio, con una perditadel 40,67%. Sussiste inoltreil rischio concreto che la ri-forma, incrociandosi con ilddl 112/2008, che tra le suedisposizioni prevede la possi-bilità per tutti i senati acca-demici di trasformare le uni-versità in fondazioni di dirit-

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A bbiamo più volte indi-cato nella resilienza la

capacità di stare nella pro-pria realtà appunto in modo«resiliente»: saper affrontarei disagi, le difficoltà e persinoi danni che da quel contestopossono derivare con ener-gia e sapienza riparatrice. Traaltri mezzi che concorronoalla resilienza, abbiamo an-che individuato un aiuto nelsenso di appartenenza aduna comunità: essere «vistoe riconosciuto» da chi ci staintorno è essenziale per defi-nire i contorni di un’identitàpersonale salda ed equilibra-ta. Proponiamo ora un altrobinomio utile: resilienza esenso del sacro, intesoquest’ultimo come uno deiprincipali elementi fondantile comunità umane. Il ruolodelle religioni, infatti, centra-le nei processi d’identifica-zione e distinzione di indivi-dui e gruppi lungo il corsodella storia e in spazi diffe-renti, appare essenziale an-che nella costruzione dellavisione collettiva della realtà.

Un mondo scomparso

Ne abbiamo avuto confermarileggendo Il pane di ieri1 diEnzo Bianchi, quando affer-ma che fino a poco più dicinquant’anni fa la nostrasocietà, prevalentementecontadina, era scandita daun forte senso della cristiani-tà che pervadeva le vite ditutti. Nascere e crescere, la-vorare o riposare, mettersi atavola e far festa (matrimo-ni, santo patrono, Natale),affrontare pericoli e persinomorire erano esperienzed’incontro col sacro che tro-vavano in simboli e riti preci-si l’esplicitazione di quell’ap-partenenza comune. Si pen-si, ad esempio, come i rin-tocchi diversificati delle cam-pane fossero un linguaggioriconosciuto e capito da cia-scuno, per segnalare mo-menti condivisi dall’interacomunità sociale. Oggi nonè più così e non potrà esserecosì neppure domani.Prima di tutto perché quelle«usanze, legate a un mondopiù semplice e più povero

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buone pratichedi resilienzaoriella stamerra - alessandra [email protected] - [email protected]

La scuola, in presenza di diverse appartenenze religiose,diventa una «via strategica» sul piano educativo per trasmetterealle nuove generazioni la pluralità dei vissuti, delle tradizioni edelle esperienze che compongono oggi la nostra società.

Resilienzae senso del sacroUn binomio utile per una nuova cittadinanza democratica

Fino a poco più di

cinquant’annifa la nostra

società, inprevalenzacontadina,

era scanditada un fortesenso della

cristianità chepervadeva le

vite di tutti

che in Occidente non cono-sciamo più, sono scompar-se»2 e il nostro vivere socialeè sintonizzato su altri «trillicollettivi»: le suonerie deicellulari, il rimbombo deimass media, il bisbiglio di ungossip diffuso e pervasivo...Anche nelle comunità eccle-siali esistono segni di affati-camento e smarrimento, ta-lora di spaesamento. EnzoBianchi scrive che «i cristianiscoprono di non essere più“padroni” del Natale, unafesta ormai strappata loro dimano»3, ma suggerisce an-

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gnanti di religione impegna-ti in tal senso. Ringraziamoperciò il prof. Stefano Tra-mezzani, docente nellascuola superiore, per il con-tributo inviatoci, di cui pub-blichiamo gli stralci più si-gnificativi. q

1 E. Bianchi, Il pane di ieri, Einaudi, To-rino 2008.2 E. Bianchi, cit., p. 86.3 E. Bianchi, idem.4 Cfr. «CEM Mondialità», n. 6, giugno-luglio 2010.

Coloro che sioccupano dieducazione

devonoripensare ad un

percorsoformativo che

includa laconoscenza

delle religioni e la loro

aumentatapresenza nello

spazio pubblico

che che «sta proprio a loro,con la loro “differenza” nelvivere il Natale, essere custo-di del senso profondo dellafesta e i testimoni della spe-ranza che celebrano: l’uomoè un animale destinato a di-ventare Dio».In secondo luogo, il sempliceritorno al passato risulta im-possibile, perché l’irromperedelle culture e delle religionidegli «altri» nel nostro vissu-to quotidiano complica, maanche arricchisce, il contestosociale in cui viviamo. Indif-feribile diventa allora un pro-cesso di comprensione delvalore che l’esperienza delsacro assume nella vita degliinnumerevoli uomini e don-ne del mondo con cui entria-mo in contatto, a partire daisoggetti più giovani, che taleconvivenza sono destinati aportare a compimento. Diconseguenza coloro che sioccupano di educazione de-vono ripensare ad un percor-so formativo che includa laconoscenza delle religioni ela loro aumentata presenzanello spazio pubblico, al di làdelle appartenenze confes-sionali o religiose o dellenon-appartenenze.A livello europeo esistonoormai più documenti ufficia-li che sollecitano i docenti aprendere coscienza di talecompito, primo tra tutti Iprincipi guida di Toledo del20074. Resta però diffusa lasensazione che la scuola,stretta tra problemi di so-pravvivenza più urgenti, nonabbia ancora compreso apieno le potenzialità di taliraccomandazioni e fatichi aporsi in cammino su questastrada. Ben vengano dun-que le testimonianze di inse-

La testimonianza di un docenteStefano TramezzaniVicepreside del Collegio Arcivescovile Ballerini di Seregno (Mi)

«Dire del pluralismo religioso nel contesto attualesignifica inevitabilmente riferirsi all’odierna societàdell’industria e della tecnica che è in continuaevoluzione. L’affermarsi di tale società ha contribuitonon al declino della religione o alla sua definitivascomparsa, ma a rendere più complessa oggi lasituazione religiosa. Si può quindi capire perché inquesto tempo il pluralismo religioso assuma unanotevole rilevanza di attualità. Il panorama religiosoodierno ci mostra una società secolarizzata, una societàanche diffidente nei confronti della religioneistituzionale: nell’attuale contesto la “voce” dellareligione cattolica è diventata “una voce tra le tante”,soprattutto in Occidente pur mantenendo un’indiscussaautorevolezza. Ecco perché diventa importante“educare” le nuove generazioni al pluralismo religioso».«Sempre all’interno del contesto religioso attuale, se unafaccia della medaglia è quella del pluralismo, l’altrafaccia è l’ecumenismo, nel cui solco i rappresentantidelle religioni mondiali si sforzano di ridurre le ostilità ele incomprensioni, vecchie magari di secoli, interne auna medesima tradizione religiosa o presenti tra lediverse confessioni, che rischiano di diventare scontri diciviltà, di culture e di tradizioni tra mondi molto diversi.Il dialogo ecumenico diviene conseguenza naturale diquesta convivenza delle religioni o meglio del pluralismoreligioso».«Se questo è il tempo del “mosaico delle fedi”, come hascritto il sociologo L. Rossi, attuare il pluralismo religiosonella società attuale significa passare dallaconsapevolezza che esistono molte religioni “di fatto”, aquella che ci sono molte religioni “di diritto” che difronte alla legge hanno tutte il diritto di esistere, dipredicare le proprie dottrine e di praticare i propri riti.Non c’è più una religione che abbia “più diritto” diesistere rispetto ad un’altra, la cattolicità cristiana è sullostesso piano delle altre religioni, è una religione fra lealtre […]».«Davvero importante quindi eliminare i pregiudizi pervivere sul serio la differenza delle religioni, non vistacome un “peso” da sopportare, ma come espressionedella beatitudine di Dio che si è rivelata in manieradiversa. Finché vedremo nel pluralismo religioso unasfida da accettare e non un dialogo per approfondirel’autenticità delle diverse fedi saremo sempre incompetizione vivendo in un clima di dubbio, diincertezza e di paura. Occorre necessariamente fare unsalto di qualità, che mi permetta da cristiano cattolico disaper riconoscere e accettare l’autenticità della fedealtrui senza smarrire la centralità di Cristo nella miafede». «Secondo quest’ottica tutte le agenzie educativesono direttamente interpellate ad avere un’apertura alladifferenza dalle trasformazioni che avvengono sulterritorio. Così anche la scuola, in presenza di diverseappartenenze religiose, diventa una “via strategica” sulpiano educativo per trasmettere alle nuove generazionila pluralità dei vissuti, delle tradizioni e delle esperienzeche compongono oggi la nostra società».

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pedagogiadella lumacagianfranco [email protected]

Fra codici medioevali e computer

Resto sempre emoziona-to quando nella mia

città natia, Cesena, entronella prima biblioteca civicaitaliana, la Biblioteca Mala-testiana. Qui è possibile am-mirare i meravigliosi codiciminiati, realizzati in pienomedioevo, da esperti ama-nuensi. Resto sempre ester-refatto quando leggo le «te-sine» degli studenti in occa-sione degli esami di Stato.Un puro esercizio di «copia eincolla» con l’aiuto dellastampante di un computer.Come direbbe E. Fritz Schu-macher nel suo Piccolo èbello, si è andati progressi-vamente verso la soppressio-ne di una «tecnologia inter-

La scrittura ritorna a scuola

Ora il salto è stato fatto. Equesta volta entrano in gio-co veri professionisti. Sono icalligrafi della Associazionecalligrafica italiana (Aci). Do-po alcuni mesi di dibattito, acui anch’io ho contribuito, èstato lanciato un vero e pro-prio progetto rivolto allascuola italiana, dal titolo Lacalligrafia ritorna a scuola.L’Aci, infatti, nel ventennaledella sua fondazione, con-statando i sempre più fre-quenti casi di disgrafia e afronte del rischio che i bam-

8

media», quella dello scriverea mano! Ne avevo parlato,isolato e tacciato di essereretrogrado, più di 20 annifa, proprio sulle pagine diCEM Mondialità, afferman-do che «dopo che per de-cenni lo strumento fonda-mentale dello scrivere ascuola è stata la cannucciacon il pennino, a metà deglianni ‘60 abbiamo assistitoalla rivoluzione della pennaa sfera». E fra le controindi-cazioni segnalavo «la perditadella bella scrittura».

La bella scritturatorna a scuola

«Imparare a scrivere con una stilografica non soloaiuta ad avere una migliore calligrafia ma ha ilvantaggio di aumentare l’autostima degli alunni».

bini perdano la facoltà discrivere bene e in manieraleggibile, affronta il tema delcorretto apprendimento del-la scrittura formando espertiche possano intervenire nel-la scuola. E sono loro stessiad affermare che «[…]l’obiettivo è sia insegnareuna pedagogia della scrittu-ra (come si scrive) sia indica-re come s’insegna a scrivere(valutazione, correzione,motivazione). Obiettivo fina-le è mantenere nella scuolala cultura della scrittura ma-nuale». Per iniziare questoprogetto, l’Aci propone un«Corso di aggiornamentoper l’insegnamento dellacalligrafia nella scuola pri-maria» di sette lezioni. Unavera e propria svolta epoca-le, per la scuola italiana. q

Per conoscere il programma del corsoe contribuire al confronto sul progetto«Scrittura a scuola», consultare il sito:http://www.calligrafia.org oppurecontattare Anna Ronchi

[email protected]

La penna stilografica e il corsivo

Si è aperto un dibattito. Nel 2006 il preside di unascuola di Edimburgo ha imposto agli studenti, dai9 anni un su, l’uso della penna stilografica. Non hadubbi: «Imparare a scrivere con una stilograficanon solo aiuta ad avere una migliore calligrafia maha il vantaggio di aumentare l’autostima deglialunni». Nel 2009, Umberto Eco, intervenendo inun confronto giornalistico su La Repubblica aproposito della calligrafia dal titolo Addio allascrittura, sostiene esattamente le mie tesi di 20anni fa: «Sapere scrivere bene e in fretta allatastiera educa alla rapidità del pensiero… l’artedella calligrafia educa al controllo della mano e alcoordinamento tra polso e cervello. […] La scritturaa mano vuole che si componga la frasementalmente prima di scriverla, ma in ogni caso lascrittura a mano, con la resistenza della penna edella carta, impone un rallentamento riflessivo…Sarebbe auspicabile che le mamme inviassero ibambini a scuole di bella calligrafia, impegnandoliin gare e tornei, e non solo per la loro educazioneal bello ma anche per il loro benesserepsicomotorio».

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Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

GIUGNO-LUGLIO 2010

Nomadi del presente, cittadinidel futuro

AGOSTO-SETTEMBRE 2010

Gli spazi

OTTOBRE 2010

I tempi NOVEMBRE 2010

I saperi

DICEMBRE 2010

Passioni ecompassioni

IL SACROI SACRI

8

MAGGIO 2011

Adesso!

APRILE 2011

L’economia

MARZO 2011

FEBBRAIO 2011

La politica

GENNAIO 2011

Identità e culture

Il sacro, i sacri

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La stagione della «rivincita di Dio»1 e del ritorno del sacro nei confrontidelle utopie terrestri sembra proporre una doppia possibilità: o il rilan-cio fondamentalista, «sacrale», da parte delle grandi religioni oppure la

possibilità di un’epoca di comparazione tra le esperienze di sacro e i vissutispirituali delle religioni. Se la «costellazione cosmopolita»2 in cui viviamo met-te in crisi il modello territoriale di comunità religiosa e con esso l’idea occi-dentale di universalità (cheriduce il pluri-verso ad uni-verso), prima che i «guerrie-ri della fede» prendano il so-pravvento, prima che il mon-do imbarbarisca occorreeducare al pluralismo reli-gioso. Le religioni, infatti,non custodiscono il sacro inquanto realtà slegata, dedot-ta «a priori», ma in quantosedimentazione sapienzia-le3. Esse, ognuna con la pro-pria grammatica, sono cu-stodi e non fondatrici dell’etica. In dialogo tra di loro sono chiamate a fare del-la loro esperienza del sacro un’esperienza di educazione all’utopia, di predi-cazione dell’alternativa. La quale non consiste tanto in una visione globale

18 | cem mondialità | marzo 2011

Marco Dal Corso

Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

Il sacroi sacri

Il post-moderno ha decretato la fine diogni unificazione artificiale della realtà

e questo a livello religioso si esprime sianella nascita di nuovi movimenti

religiosi importati dall’estero, ancheattraverso i moderni strumenti di

comunicazione, sia nella coesistenza didifferenti presenze religiose in unterritorio attraverso, ad esempio,

l’immigrazione

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marzo 2011 | cem mondialità | 19

il sacro i sacri 8

post-moderno ha decretato la fine di ogni unificazione artifi-ciale della realtà e questo a livello religioso si esprime sianella nascita di nuovi movimenti religiosi importati dall’este-ro, anche attraverso i moderni strumenti di comunicazione,sia nella coesistenza di differenti presenze religiose in un ter-ritorio attraverso, ad esempio, l’immigrazione. Ma è tornatoDio o il sacro? In attesa di una risposta, quello che apparechiaro anche ai non esperti in materia, è che la secolarizza-zione non ha significato la fine della religione quanto piutto-sto una «pluralizzazione delle religioni», accompagnata dauna «de-europeizzazione del cristianesimo» che denuncia lafine del monopolio occidentale anche nei confronti della mo-dernità. I nuovi modi di vivere la religione si orientano versouna sua individualizzazione, in proposito si è parlato di reli-gioni fai-da-te oppure di self-service delle religioni; si assiste

stanziale reversibilità dei percorsi di fede i quali costituisco-no alcune delle tante esperienze nella vita. Il contesto gene-rale è quello conosciuto della globalizzazione, che si può de-clinare attraverso tre differenti fenomeni quali la «rivoluzionemobiletica» che interessa cose e persone, il «multiculturali-smo di mercato» in cui arti, cibo e articoli di consumo non so-no più tipici di una determinata zona ma possono trovarsi ri-prodotti ovunque e infine la costante presenza di un rischio discontro tra civiltà e religioni. Ad essere messi in crisi sono so-prattutto i concetti di Stato, popolo, territorio, ordinamento edanche quello di religione inteso come insieme unitario; que-sti aspetti fino ad ora ritenuti identitari da questo momento inpoi non possono più essere pensati come dati di fatto, ma co-me elementi di un processo in evoluzione: ogni identità cam-bia indipendentemente dall’accettazione della pluralità. Il

ad una «inclusione o contaminazione cognitiva» in cui si met-tono insieme aspetti delle diverse religioni, ad esempio a li-vello simbolico o rituale; la conversione non è più un eventoeccezionale ma cambiare religione diventa un fatto abba-stanza usuale.

SOTTO LA COSTELLAZIONE COSMOPOLITA

Se il sacro accompagna la vicenda umana da sempre, comeindicano le ricerche di Mircea Eliade7 che propone il terminedi ierofania per indicare le strutture e le immagini che descri-vono la rappresentazione sacrale da parte dell’uomo, quelledi Rudolf Otto8, che insiste sul carattere insieme tremendo efascinoso del sacro oppure ancora quelle più recenti dell’an-

Il sacro diventa insieme esperienza plurale (i sacri)ed individuale. Davanti ad esso, ci avvertono gli

studiosi, si possono dare almeno tre diverserisposte. Sono, queste, tentativi di adeguamento

religioso alla modernità

che ancora non abbiamo, ma, sapienza di tutti i «sacri», incomportamenti feriali, locali e personali che mantengono ilsenso dell’esistenza come ex-sistere, risposta ai bisognidell’altro e la fedeltà alla terra come cura del presente4.

IL RITORNO DEL SACRO

Il sacro è tornato, ci avvertono i sociologi della religione. Fe-nomeno complesso che porta con sè aspetti, esperienze e vi-sioni che chiedono di essere interpretati. È questo che, in ef-fetti, la ricca aggiornata bibliografia sul tema tenta di fare5.Assistiamo ad una progressiva pluralizzazione dei riferimenticulturali e religiosi che mette insieme contemporaneamentepiù livelli e letture. Se la secolarizzazione, intesa come formadi individualizzare la religione togliendola dal centro del di-battito, caratterizza ancora il fenomeno religioso, in epoca di«seconda modernità» si fa sempre più evidente che i vissutireligiosi custoditi dal sacro sono sempre più privatizzati, arri-vando a credere senza appartenere (believing without be-longing)6. La religione è diventata una scelta personale, èstata privatizzata, cioè inserita in quella sfera del privato cheal credere non presuppone un’appartenenza ad un determi-nato gruppo. Di pari passo si assiste ad una pluralizzazionedel fatto religioso che vede la compresenza di più offerte, lapossibilità di una pluralità di accesso ai vari culti ed una so-

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tropologo Renè Girard9, dove si denuncia il carattere sacrifi-cale delle religioni, in altra maniera dobbiamo parlare di sa-cro se accettiamo di vivere «sotto una costellazione cosmo-polita». Il sacro diventa insieme esperienza plurale (i sacri)ed individuale. Davanti ad esso, ci avvertono gli studiosi, sipossono dare almeno tre diverse risposte. Sono, queste, ten-tativi di adeguamento religioso alla modernità. Secondo que-sta analisi, infatti, una prima risposta «religiosa» detta sotto lemolteplici stelle del sacro, è quella rappresentata dal fonda-mentalismo. Esso rivendica una sola vera narrazione religio-sa, un solo vero percorso religioso. Esso, fenomeno moder-no, nasce per contrastare la modernità «colpevole» di essererelativista e nichilista. La versione «ecclesiale» di tale spiritoanti-moderno è quella che va sotto il nome di «esclusivismo»:extra ecclesiam nulla salus. Una seconda risposta è quella rappresentata dalla cosiddet-ta «religiosità postmoderna»: la rinuncia alla verità perchémortifica il dialogo con gli altri. Il valore del sacro è dato inbase all’autenticità dell’esperienza religiosa piuttosto che inbase all’accordo con la «verità» custodita da quella religione.Al sacro si chiede potere e non verità dal momento che l’ani-ma non si alimenta di dogmi, ma di fantasie. Se, invece, sonosicuro della verità della mia idea perché devo perdere tempoad ascoltare l’altro che, difendendo idee differenti delle mie,dice cose false? Non esiste la verità. Versione ecclesiale,quindi, di questa risposta religiosa alla crisi del moderno èl’interpretazione relativista del pluralismo: in nome di esso sirinuncia alla verità. Infine, una terza possibile risposta è rap-presentata dalla «religiosità cosmopolita». Oltre il fondamen-talismo escludente, ma anche oltre il relativismo pluralista,

questa risposta tiene conto dell’impurità storica delle espe-rienze religiose: esse sono differenti eppure uguali, diverseeppure interdipendenti. È, questa, una promozione del carat-tere «meticcio» di ogni esperienza del sacro e insieme dellacapacità di vedere il mondo a partire dal punto di vista del-l’altro. Rimanendo fedele alla mia appartenenza spirituale miarricchisco di quella dell’altro, riconosco il debito nei suoiconfronti, mi lascio interrogare dalla sua presenza. Qui le re-ligioni possono tornare ad esercitare un ruolo pubblico sen-za cedere alla tentazione fondamentalista. Si tratta di un sa-cro reso vero dal confronto con altri sacri. Non recinto sepa-rato (come vogliono i fondamentalisti) e neppure esperienzaprivata (come chiedono i laicisti). Versione ecclesiale di que-sta terza risposta potrebbe essere quella rappresentata dal-l’inclusivismo pluralista che qui significa autocomprende-dersi a partire dagli altri, provare a capire il significato reli-gioso della presenza degli altri nella mia vita.

LE STAGIONI DEL SACRO

Dal punto di vista sociologico appaiono evidenti diversi sta-gioni del sacro. Quella caratterizzata dalla «città secolare»quando, come recitava la letteratura di riferimento, il sacroera chiamato a diventare esperienza personale, ricondotto al-la sfera privata, ai margini della vita cittadina la cui agenda, in-vece, era dettata dal secolo e dai suoi problemi. Quella, attua-le, della società post-secolare, dove il sacro ritorna, come det-to, sulla sfera pubblica con tutto il suo peso, richiamando ai«valori non negoziabili» e alla radici identitarie, dimenticate lequali non si capirebbe la storia di ieri e di oggi. E, infine, sia-mo davanti a quella che qualcuno definisce la stagione dellapluralità dei «sacri», delle esperienze e tradizioni religiose, lacui novità non sta tanto nella diversità, quanto nella coabita-zione sotto lo stesso cielo. La costellazione è, appunto, co-

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gli spazi 2

marzo 2011 | cem mondialità | 21

C laudio Economi, un amicostorico del CEM che ci halasciati troppo presto, dedicò

qualche anno fa un brillante saggioalla figura del neuropsichiatraviennese Viktor Emil Frankl (Lapedagogia della speranza, EMI,Bologna 2002). Ci facciamo aiutare daClaudio per presentare questoindagatore dell’animo umano,personaggio glocale perché ci hadimostrato che è possibile trovare unsignificato in ogni vita, anche la piùabietta, e che si deve lottare pertrasmettere energia e entusiasmo perdifendere la dignità della vita anchenelle situazioni più tragiche, come neilager. Come scriveva Claudio Economi

«ciò che attualmente resta semprevivo di Frankl è che a psicologi,psichiatri, operatori pastorali, studentie pazienti ha affidato il messaggio diricercare liberamente una fedeincondizionata in un significatoincondizionato della vita» (p. 22). Inun mondo sempre più dominato dallalogica della visibilità e del successo,Frankl ci ha insegnato che l’homopatiens non è un residuo rispettoall’homo faber, che aspira al successoe teme il fallimento: l’homo patiens èun nuovo paradigma dell’esistenzaperché la sua ricercadell’appagamento è compatibile conl’insuccesso. Vivere è reagire sempre,anche agli insuccessi.Frankl è nato nel 1905 da genitori diorigine ebraica. Già dai tempi del liceofu in corrispondenza con Freud, poi siavvicinò maggiormente allaprospettiva di Adler, mostrandosi peròinsofferente all’approccio riduzionistache portava più al «patologismo» chealla ricerca del significato e dei valoridell’esistenza. Divenuto neurologo aVienna, si sforzò sempre più diimparare dai pazienti. Arrivò latempesta nazista e Frankl, avendorifiutato prima di emigrare negli StatiUniti, fu internato a partire dal 1942in quattro campi di concentramento.Fu il durissimo banco di prova dellesue teorie sulla presenza di germi dibontà umana in ogni esistenza: siconvinse che vivere è soffrire, masopravvivere è cercare il senso diquesta sofferenza. Maturò laconvinzione che, se ognuno ha le suerisposte di senso, può farcela anchenelle situazioni più disperate: quelliche non ce la fanno sono, spesso,quelli che non hanno più lapercezione del senso della propriavita. Liberato nel 1945, e scoprendoche la sua famiglia era stata

Viktor EmilFrankl

STEFANO CURCI

marzo2011 | cem mondialità | 21

sterminata, Frankl si dedicò alla suaattività medica sviluppando la suaintuizione: il disturbo psicologico nonderiva solo da un’area problematica(che per Freud, ad esempio, era losviluppo sessuale) ma può derivare dalfallimento del soggetto che non riescea dare un significato alla propriaesistenza. Morì nel 1997.La caratteristica della prospettiva diFrankl è che essa non è costruitaattorno all’uomo malato, ma parte dalpresupposto che la personalità - se nonè condizionata da fattori negativi - èportatrice sana di valori: l’uomo non èdominato da oscuri desideri rimossi,alla ricerca di un equilibrio tra i suoistati di instabilità, come vuole lapsicanalisi, ma è guidato dalla spinta adivenire ciò che è, a realizzare tutte lepotenzialità della persona. La«logoterapia» di Frankl è riscoperta dellogos, del senso della vita, èperfezionamento dell’uomo, è aiutareogni uomo a essere una persona chenon si colloca nel mondo come «cosasemplicemente presente». ClaudioEconomi parla di una rivoluzionecopernicana perché «non è l’individuoche si inventa il senso della vita, ma è illogos che si svela all’uomo e siannuncia come significatonell’immediata, originaria esperienza dicolui che “si decide” nelle varieirripetibili situazioni dell’esistenza» (p.9). Essere uomo significa andare al di làdi se stessi: se la psicanalisi cerca direcuperare l’equilibrio della personascoprendo le motivazioni inconsce deisuoi problemi, al contrario lalogoterapia suggerisce che ognuno, permaturare, non ha bisogno solo di unostato psichico di tranquillità, ma anchedi orientarsi in ordine a concreti motividi crescita e di valorizzazione. E questoprocesso non si realizza da soli, perchél’uomo è un essere dialogico. q

il sacro i sacri 8

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smopolita. A queste stagioni rilevate dalla sociologia corri-spondono altrettante stagioni, ecclesiali se non spirituali, chedescrivono la diversa maniera di vivere l’esperienza religiosa.Come ricordato, la secolarizzazione ha spinto le Chiese e lecomunità credenti a auto-comprendere la propria fede comeun «credere senza appartenere», chiedendo alla teologia dichiarire che credere è diverso da appartenere. È la stagione,come già anticipato, di believing without belonging. Quandoil sacro torna sulla scena, sembra che si possa intenderel’esperienza di fede come un «appartenere senza credere»:belonging without believing. Questa è la stagione della «reli-gione civile» dove il sacro serve per la riaffermazione identita-

ria in tempi di rischio e insicurezza. Qui la teologia è sfidata arifondare o almeno a ridire il proprio pensiero nei confrontidell’alterità senza lasciarsi sedurre dalla sirene identitarieproposte dalle forze politiche. Davanti alla «religione civile»,le Chiese sono chiamate a elaborare un’«ermeneutica evan-gelica dell’alterità» che sappia pensare l’appartenenza noncome muro ma come ponte. Oggi, però, si affaccia un’altrastagione con protagonista il sacro: quella, come detto, dellasua declinazione al plurale. Esauriti i meccanismi di elimina-zione della diversità, sia quello coloniale della espulsione interre lontane sia quello moderno dell’assimilazione, oggi sia-mo consapevoli dell’irriducibilità dell’altro e della sua espe-rienza religiosa. Veniamo a contatto, conosciamo e magariapprezziamo diverse declinazioni del sacro. Abitando lo stes-so cielo, prendiamo sempre meglio consapevolezza che lacittà è frequentata dalle «molti genti di Dio». E che questo sfi-da la stessa fede a ripensarsi. E se i sociologi descrivono que-sta stagione davanti a noi con i termini di multiple believingwithout belonging, la sfida che si presenta alla Chiese e alleloro teologie è quella di affermare la possibilità di una fede in-terreligiosa dentro la propria tradizione.

Davanti alla «religione civile», le Chiese sono chiamate a elaborare

un’«ermeneutica evangelica dell’alterità» chesappia pensare l’appartenenza non come

muro ma come ponte

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Accomunando in un unico furore iconoclastagli ebrei, i protestanti, i metodisti inglesi, i pie‑tisti tedeschi, gli svizzeri e gli olandesi, tutta

gente che impara «a leggere la volontà di Dio nellostesso libro degli ebrei», il socialista Toussenel, perbocca di Umberto Eco, definisce la Bibbia come«una storia di incesti e di massacri e di guerre sel‑vagge, dove si trionfa solo attraverso il tradimento ela frode, dove i re fanno assassinare i mariti per im‑padronirsi delle loro mogli, dove donne che si dico‑no sante entrano nel talamo dei generali nemici pertagliargli la testa. Cromwell ha tagliato la testa al suore citando la Bibbia, Malthus che ha negato ai figlidei poveri il diritto alla vita era imbevuto di Bibbia»1.Fatta la tara della componente complottarda che fada filo conduttore dellʼultimo romanzo di Eco, Il ci‑mitero di Praga, queste parole colgono, se non al‑tro, un rischio non secondario insito nel testo bibli‑co, cioè la sua potenziale strumentalizzazione, nelbene e nel male, che deriva dal misconoscimentodelle sue componenti storiche, letterarie e culturalie che porta a una lettura utilitaristica e schiavizzan‑

te. «Leggere attentamente le istruzioni» e «Atten‑zione: può avere effetti indesiderati, anche gravi»sono avvertenze che dovrebbero essere inseritenella retrocopertina delle pagine bibliche, oltre chenelle confezioni dei medicinali.

Bibbia a scuola, perché...

La recente firma (maggio 2010) del Protocollo dʼin‑tesa tra il Ministero dellʼistruzione, dellʼuniversità edella ricerca e lʼAssociazione Biblia2, allo scopo di fa‑vorire una maggiore presenza della Bibbia nellascuola, è sicuramente notizia da salutare con favo‑re. A prescindere infatti dalla constatazione che unProtocollo non fa primavera, resta il fatto che unimpegno così formalizzato e a così alto livello è in‑dice della raggiunta consapevolezza che non è laBibbia a dover chiedere il permesso di entrare nelleaule scolastiche, ma la scuola a doverle spalancarele porte in considerazione del suo irrinunciabile va‑lore culturale e formativo.

a cura di LUCIANO ZAPPELLA

BIBBIA A SCUOLANELLʼORIZZONTE INTERCULTURALE

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Certo, una simile operazione non è esente da rischi,in un ampio spettro che va dalla banalizzazione allastrumentalizzazione. Pensare, per esempio, di distri‑buire copie della Bibbia a scuola per rimarcare unapresunta purezza identitaria o per contrapporla adaltri testi (Corano in primis) significherebbe scivola‑re verso derive assai pericolose. Va dunque sottoli‑neato con forza che la Bibbia a scuola deve essereuna presenza didatticamente motivata, il che signi‑fica che bisogna evitare le insidie tanto dello spon‑taneismo emotivo quanto del tecnicismo esclu‑dente: il primo porta a pensare che per affrontare laBibbia bastino un poʼ di buona volontà e qualchemozione di intenti; il secondo che la Bibbia sia testoriservato a una casta di esegeti di professione. Tuttosommato, in un contesto scolastico (ma non solo inquello), meglio non affrontare la Bibbia che presen‑tarla in modo superficiale e distorto.Sintetizzo in modo incompleto e provvisorio le fi‑nalità generali che stanno alla base dello studio del‑la Bibbia a scuola:

conoscere: si tratta anzitutto di colmare lʼabissodʼincultura che regna intorno al testo biblico, la suastoria compositiva, la sua articolazione interna e isuoi caratteri letterari; per comprendere: comprendere la rilevanza cul‑turale che il testo biblico ha esercitato sulla storiapolitica, sociale, artistica, filosofica, economicadellʼumanità, con particolare riguardo alla culturaoccidentale;

per valutare: conoscenza e comprensione non sitraducono automaticamente in capacità di valuta‑zione. Si tratta allora di saper valutare le diverse for‑me della ricodificazione biblica nei vari campi arti‑stici (letteratura, arte, musica, teatro, cinema, ecc.); far cogliere il nesso tra Bibbia e cultura: il saperebiblico è sapere culturale in senso ampio e profon‑do e dipende dalla qualità di «classico della cultura»che caratterizza la Bibbia. Bisogna quindi far pren‑dere consapevolezza del fatto che senza la cono‑scenza della Bibbia, come di altri classici, si sarebbeculturalmente più poveri; far cogliere il nesso tra Bibbia e suo potenziale co‑gnitivo: la conoscenza della Bibbia in quanto testocodificato, oltre ad avere un valore cognitivo, ha unvalore formativo, nel senso che si pone come chia‑ve di lettura di tante altre conoscenze sullʼessereumano, sulla società, sulla cultura. La conoscenzadella Bibbia può fornire strumenti concettuali utili acomprendere in modo significativo se stessi e ilmondo; far cogliere il nesso tra Bibbia e ermeneutica: laBibbia ha avuto (e continuerà ad avere) una lungastoria ermeneutica che indubbiamente va esplici‑tata ed esemplificata per farne cogliere la ricchezza.È però importante anche far prendere consapevo‑lezza di quel particolare circolo ermeneutico per ef‑fetto del quale interpretare un testo significa accet‑tare di lasciarsi interpretare dal testo. La Bibbia con‑tinua a essere interpretata perché continua a «in‑terpretare» i suoi interpreti.

Bibbia e intercultura

Nella sua qualità di testo‑documento codificato,codificante e decodificabile, la Bibbia, insieme adaltri testi della tradizione culturale dellʼOccidente,svolge un ruolo fondamentale nel processo di for‑mazione umana e culturale delle giovani genera‑zioni. E lo svolge perché si presenta a noi come do‑cumento di una esperienza credente, di una vicen‑da storica, di un linguaggio narrativo‑simbolico, diuna ricodificazione culturale, di una riflessione an‑tropologica.

Luciano ZappellaLuciano Zappella insegna italiano e

latino presso il liceo linguistico diBergamo ed è presidente del CentroCulturale Protestante di Bergamo. È

ideatore e curatore del sitowww.bicudi.net, dedicato alla didatticadella Bibbia a scuola. Cura inoltre il sito

di Bibbia e Scuola(www.bes.biblia.org).

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viavai di tradizioni culturali che entrano e esconodal testo.Questi caratteri costituiscono anche un antidotocontro le possibili degenerazioni. Lʼospitalità del te‑sto biblico si oppone alla sua strumentalizzazioneidentitaria; la pluralità del testo si oppone al riduzio‑nismo religioso, simbolico e culturale; la letterarietàdel testo si oppone al dogmatismo (la Bibbia non èun manuale di dogmatica o di morale, ma lʼaffasci‑nante racconto di unʼesperienza); la storicità del te‑sto si oppone alla sua sacralizzazione che porta drit‑to al letteralismo fondamentalista.Se è vero che «lʼeducazione interculturale richiedeun ri‑orientamento complessivo della propria visio‑ne del mondo, perché va intesa come uno stile euna forma di pensiero intorno al mondo che partedal riconoscimento della propria appartenenza cul‑turale e giunge al riconoscimento della pluralitàdelle culture»4, allora la Bibbia ben si presta a essereinserita in un orizzonte interculturale e interreligio‑so. Essa si offre a noi come una grammatica dellʼesi‑stenza, nel senso che contiene un ampio repertoriodi archetipi culturali e antropologici, delle vere eproprie forme della storia e dellʼesserci della storia. Ipersonaggi della Bibbia non sono modelli di unamorale ideale e olimpica, ma dei tipi etici multifor‑mi che non nascondono le proprie debolezze, ipropri limiti, le proprie contraddizioni. Gli stessi dueassi portanti della Bibbia (la fede nel Dio unico e lafede nel redentore) sono calati in una dimensionenarrativa che evidenzia il loro «passaggio» attraver‑so lʼumano e vengono declinati secondo una di‑mensione di polisemia esistenziale. Da qui la pre‑senza di alcuni motivi elementari (la creazione, lasapienza, il miracolo, lo straniamento, lʼesodo, il di‑morare, la fede, lʼamore) che interpellano lʼessereumano in quanto tale perché costituiscono, per co‑sì dire, il suo patrimonio antropologico universale.

Il «tête à texte»

Lʼinsegnamento della Bibbia a scuola non è perti‑nente se è mosso da finalità catechetiche o da in‑

Come afferma G. Theissen, «la Bibbia è un serbatoiodi esperienze e valori, superiore a tutto ciò che unindividuo può vivere e conoscere nel corso dellasua vita. Le grandi tradizioni hanno un vantaggio ri‑spetto ai singoli. In esse si sono depositate le espe‑rienze di molte generazioni (sia nel processo dellaloro formazione sia nella storia dei loro effetti). Difatto è raro che in un solo libro (o in una sola raccol‑ta di libri) sia contenuto il ricordo di tante epochedella storia umana come nella Bibbia»3.Nella sua qualità di testo ospitale, plurale (è un te‑sto fatto di testi per teste pensanti), storico (la storiadella salvezza incontra le storie concrete di singoli edi popoli), letterario (la narrazione e la poesia bibli‑che hanno nutrito le letterature occidentali), la Bib‑bia è testo interculturale per eccellenza: lungi infattidallʼessere il frutto di una dettatura «immediata»,essa è il risultato di una mediazione culturale, di un

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tenti proselitistici e confessionali: la scuola, infatti,non è chiamata a educare alla fede (questo compi‑to spetta alle famiglie e alle comunità religiose) maa educare alla capacità di cogliere e valorizzare le ri‑cadute culturali e interculturali dellʼopzione religio‑sa e di decifrare lo specifico del linguaggio religioso(accanto ad altri linguaggi).Per questo motivo, tra le modalità di lettura che latradizione cristiana ha applicato alla Bibbia5, ritengoche un approccio didatticamente stimolante e cul‑turalmente significativo al testo biblico in ambitoscolastico possa essere il modello narrativo, condot‑to secondo i metodi della critica narratologica. Sitratta di un metodo esegetico di tipo sincronicoche intende valorizzare il testo biblico in quanto te‑sto narrativo e il suo lettore in quanto lettore impli‑cato. Il principio di base dellʼanalisi narrativa potreb‑be essere così sintetizzato: un testo nasce grazie alsuo autore, ma vive grazie al suo lettore; il testo è labella addormentata nel bosco e il lettore è il princi‑pe che la sveglia con il suo bacio6.Elenco qui sinteti‑camente quali sono, a mio parere, i vantaggi di unapproccio narrativo al testo biblico condotto se‑condo i metodi sviluppati dallʼanalisi narratologica:

valenza didattica: capire come è costruito il rac‑conto biblico ha delle ricadute sul piano delle com‑petenze letterarie; valenza esistenziale e antropologica: il racconto èla modalità prima dellʼesserci del mondo e dellʼesse‑re nel mondo. Quando si fanno esperienze percepi‑te come decisive per la propria esistenza scatta unimpulso irrefrenabile a raccontarle e, raccontandole,a rileggerle. È quindi sorprendente scoprire che lesituazioni e le domande da cui muovono i raccontibiblici non sono molto diverse da quelle di oggi; aiuta a comprendere meglio il messaggio biblicoe i suoi temi: uno sterile elenco di tematiche desun‑te dalla Bibbia metterebbe in fuga anche gli stu‑denti più motivati; al contrario, far risaltare i granditemi biblici attraverso i racconti che li hanno veico‑lati consente di coglierli nella loro freschezza equindi nella loro attualità; essendo lʼanalisi narrativa interessata allʼautore im‑plicito e al narratore più che allʼautore reale, essa è

particolarmente indicata per testi, come quelli biblici,i cui autori sono per la maggior parte anonimi o si na‑scondono dietro il fenomeno della pseudoepigrafia; non fa perdere di vista la dimensione teologicadella Bibbia, che si pone essenzialmente come teo‑logia narrativa. Grazie allʼanalisi narrativa, si può ca‑pire come elementi quali la costruzione di una tra‑ma, il sistema dei personaggi, la semantizzazionedel tempo e dello spazio siano indicativi dellʼinten‑zione teologica tanto quanto una formulazionedottrinale o una confessione di fede; fa uscire la Bibbia dal suo isolamento culturale:sembrerà strano, ma pochi sospettano che i rac‑conti biblici possano essere così avvincenti, la Bib‑bia essendo istintivamente confinata nel repartodei libri noiosi (il Dio con la barba non può che es‑sere il protagonista di un libro barboso); favorisce lʼanalisi degli effetti di testo: la Bibbia èstata in grado di produrre effetti artistici proprio peril suo essere un testo narrativo; analizzare i raccontibiblici consente di percepire immediatamente le ri‑letture che ne sono state fatte. Spesso capita che sianalizzino le riprese bibliche facendo solo un rapidocenno allʼepisodio che le ha generate. Lʼapproccionarrativo, invece, «costringe» a leggere con atten‑zione i testi. È quindi importante che i brani sceltiper la lettura siano, nei limiti del possibile, quelli chepiù di altri hanno prodotto effetti di senso.Come Giacobbe lotta tutta la notte con lʼangelouscendone trasformato (Genesi 32,25‑33), così chisi accosta alla Bibbia fa lʼesperienza di un tête à tex‑te da cui esce diverso. La Bibbia è un Grande Codi‑ce proprio in quanto Grande Racconto.

1 U. Eco, Il cimitero di Praga, Bompiani,Milano 2010, p. 226.2 Se ne veda il testo in www. bes.bi‑blia.org/index.php/protocollo‑dinte‑sa.html.3 G. Theissen, Motivare alla Bibbia. Peruna didattica aperta della Bibbia, Pai‑deia, Brescia 2005, p. 57. 4 L. Pedrali, Religioni e intercultura, in«CEM Mondialità», n. 7 (agosto‑settem‑bre 2010), p. 24.5 E. Parmentier in La scrittura viva. Gui‑da alle interpretazioni cristiane della

Bibbia, EDB, Bologna 2007, distinguetra il modello kerygmatico («il Cristocoricato nelle fasce»), il modello storico(«il testo come frutto della storia»), ilmodello strutturale/semiotico («il testocome spazio di relazioni»), il modellonarrativo («il testo come storie»), il mo‑dello esperienziale («lʼinterprete comechiave di lettura»).6 Cfr. in proposito C. Frescura, Un libro ei suoi lettori. Rileggere e riscrivere oggiil racconto biblico, tesi di dottorato,Università di Verona 2010.

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il sacro i sacri 8

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Per unanuovaesperienza del sacrol’umanoriuscito

Se le stelle sono inarrivabiliQuesto non è motivo per non volerle…Che tristi i sentieriSe non fosse per la magica presenza delle stelle… Mario Quintana

La consapevolezza di abitare sotto lo stessounico cielo illuminato, però, da stelle diverse(e infinite) prima che spaventare, aiuta aripensare il sacro, a viverlo dentro una nuovaesperienza. Le stelle e la loro magia sono lìper autenticare l’umano, per indicare isentieri della sua riuscita. Sacro, insomma,smette di essere tutto ciò che è separato dalprofano, quanto, piuttosto, tutto quelprofano che è, secondo una grammaticacristiana, trasformato, transustanziato. Larealtà non va divisa, separandone,consacrandone (da qui il termine sacer) unaparte; è tutta la realtà che va, in quantoassunta, trasformata. Tutto l’umano possibilela cui vocazione ultima è quella di «riuscire»,di essere vissuto fino in fondo, di saper vivererealmente la bontà della vita.Ripensare il sacro in questa maniera aiuta avivere il dialogo interreligioso non come unacompetizione dove stabilire quale sia lareligione vera, ma come un concorso neiconfronti dell’umano, al servizio dell’umano.Come risponde il saggio Nathan quandoSaladino chiede, alla fine, quale sia la verareligione. Egli racconta questa parabola:«Molti anni or sono un uomo, in Oriente,possedeva un anello inestimabile, un carodono. La sua pietra, un opale dai cento beiriflessi colorati, ha un potere segreto: rendegrato a Dio e agli uomini chiunque la porticon fiducia. Può stupire se non se lo toglievamai dal dito, e se dispose in modo che

restasse per sempre in casa sua? Egli lasciòl’anello al figlio più amato; e lasciò scritto chea sua volta quel figlio lo lasciasse al suo figliopiù amato; e che ogni volta il più amato deifigli diventasse, senza tenere conto dellanascita ma soltanto per forza dell’anello, ilcapo e il signore del casato.E l’anello così, di figlio in figlio, giunse allafine a un padre di tre figli. Tutti e tre gliubbidivano ugualmente ed egli, non potevafarne a meno, li amava tutti nello stessomodo. Solo di tanto in tanto l’uno o l’altrogli sembrava il più degno dell’anello -quando era con lui solo, e nessun altrodivideva l’affetto del suo cuore. Così, conaffettuosa debolezza, egli promise l’anello atutti e tre. Andò avanti così finché poté. Ma, vicino alla morte, quel buon padre sitrova in imbarazzo. Offendere così due figli,fiduciosi nella sua parola, lo rattrista. Checosa deve fare? Egli chiama in segreto ungioielliere, e gli ordina due anelli in tuttouguali al suo; e con lui si raccomanda chenon risparmi né soldi né fatica perché sianoperfettamente uguali. L’artista ci riesce.Quando glieli porta, nemmeno il padre è ingrado di distinguere l’anello vero. Felice,chiama i figli uno per uno, impartisce a tuttie tre la sua benedizione, a tutti e tre donal’anello, e muore. Morto il padre, ogni figliosi fa avanti con il suo anello, ogni figlio vuolessere il signore del casato. Si litiga, s’indaga,si accusa. Invano. Impossibile provare quale

sia l’anello vero. I figli si accusarono ingiudizio. E ciascuno giurò al giudice di averericevuto l’anello dalla mano del padre (ed eravero), e molto tempo prima la promessa deiprivilegi concessi dall’anello (ed era veroanche questo). Il padre, ognuno se ne dicevacerto, non poteva averlo ingannato; prima disospettare questo, diceva, di un padre tantobuono, non poteva che accusare dell’ingannoi suoi fratelli, di cui pure era sempre statopronto a pensare tutto il bene; e si dicevasicuro di scoprire i traditori e pronto avendicarsi. Il giudice disse: “Portate subito qui vostropadre o vi scaccerò dal mio cospetto. Pensateche stia qui a risolvere enigmi? O voleterestare finché l’anello vero parlerà? Ma...aspettate! Voi dite che l’anello vero ha ilmagico potere di rendere amati, a Dio e agliuomini. Sia questo a decidere! Gli anelli falsinon potranno. Su, ditemi: chi di voi è il piùamato dagli altri due? Avanti! Voi tacete?L’effetto degli anelli è solo riflessivo, nontransitivo? Ciascuno di voi ama solo sestesso? Allora tutti e tre siete truffatoritruffati! I vostri anelli sono falsi tutti e tre.Probabilmente l’anello vero si perse, e vostropadre ne fece fare tre per celarne la perdita eper sostituirlo”. “Se non volete - proseguì il giudice -, il mioconsiglio e non una sentenza, andatevene!Ma il mio consiglio è questo: accettate lecose come stanno. Ognuno ebbe l’anello dasuo padre: ognuno sia sicuro che esso èautentico. Vostro padre, forse, non era piùdisposto a tollerare ancora in casa sua latirannia di un solo anello. E certo vi amòugualmente tutti e tre. Non volle, infatti,umiliare due di voi per favorirne uno. Orsù!Sforzatevi di imitare il suo amoreincorruttibile e senza pregiudizi. Ognunofaccia a gara per dimostrare alla luce delgiorno la virtù della pietra nel suo anello. Eaiuti la sua virtù con la dolcezza, conindomita pazienza e carità, e con profondadevozione a Dio. Quando le virtù degli anelliappariranno nei nipoti, e nei nipoti dei nipoti,io li invito a tornare in tribunale, tra mille emille anni. Sul mio seggio siederà un uomopiù saggio di me; e parlerà. Andate!”.

Così disse quel giudice modesto».

«Nathah il saggio», atto III, «La parabola dei tre anelli»Gotthold Ephraim Lessing (1779)

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«Appunti»sulle sollevazioni arabeADEL JABBAR

14 gennaio 2011: è questa la data che segna la svoltatanto agognata dalle moltitudini dei paesi arabi, in cui ildespota (al-taghiya) Ben Ali è fuggito. Il tiranno che hatenuto in ostaggio la Tunisia per ben 23 anni non c’è più. 25 gennaio 2011: è il giorno in cui in Egitto i giovanihanno accolto l’invito del movimento «6 aprile» amanifestare per porre fine allo strapotere di un altrodittatore arabo, Mubarak, che ha fatto delle leggi diemergenza una sistematica prassi di governotrasformando l’intero paese (di ben ottanta milioni dicittadini) in una tenuta di famiglia.

Queste due date indicano una radicale rottura con decennidi stagnazione, che rischiava di diventare un aspetto pecu-liare delle società arabe. Le proteste (al-tadhahurat) l’insur-

rezione (al-wathba), la sollevazione (l’intifada) e la rivoluzione (al-thawra) che stanno attraversando l’intera area del Nord Africa e

del Medio Oriente, dalla Mauritania allo Yemen, evidenziano il de-sidero di una primavera di rinascimento (nahdha) delle popolazionie la volontà di riscatto, oltre che di rinnovamento politico e sociale(tajdid). Questi eventi si svolgono dopo un lunghissimo periodo ca-ratterizzato da angherie, repressioni, persecuzioni, impoverimentogenerale dell’intera società ad eccezione di una ristretta cerchia difamiliari e di cortigiani. Sono stati anni di arretramento politico esocioculturale, di pesanti sconfitte sul piano della politica estera edella perdita di sovranità. L’intero mondo arabo, in effetti, si è ri-trovato, di nuovo, a subire condizionamenti che rimandano allamemoria l’epoca coloniale.

QUEL CHE GLI AVVENIMENTI DIMOSTRANO…

Grazie ai movimenti giovanili, milioni di abitanti dell’area araba co-minciano in questi giorni a scorgere la fine del tunnel e ad intrave-dere la luce di un nuovo e necessario risveglio (sahawa).Gli avvenimenti che stanno scuotendo le società arabe e travolgen-do vassalli e satrapi dimostrano: che le popolazioni hanno superato la paura che li ha paralizzatiper decenni, trovando la forza di sconfiggere la cultura dell’intimi-dazione e del terrore che i tiranni hanno usato e usano come uni-co modo per governare; che le élite, spesso secolari, non sono altro che combriccole fa-milistiche di stampo mafioso; che i poteri dell’occidente democratico hanno sostenuto regimicorrotti e violenti per i propri interessi materiali, dimenticando lacultura dei diritti umani, della quale si fanno portavoce, non di ra-do, in termini meramente strumentali; una maturità e una consapevolezza politica delle fasce giovanilismarcata da riferimenti ideologici novecenteschi; che larghi settori assumono la nonviolenza e la disobbedienza ci-vile come prassi per rivendicare i propri diritti e la propria dignità,smentendo il luogo comune che vuole le società arabe imbevute diviolenza e di fanatismo religioso, appiattendo l’immagine degliarabi sulla figura di Bin Laden e di al-Qa‘ida; l’assenza di retorica anti occidentale (non sono stati presi di mirané interessi, né persone, né simboli occidentali) e la capacità diparlare un linguaggio transculturale in grado di comunicare in unmondo di differenze e di molteplicità attraverso parole d’ordinequali dignità, libertà e giustizia.

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Adel JabbarAdel Jabbar è sociologo

e saggista

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QUALI CONSEGUENZE?

In molti si chiedono quali saranno le conseguenze di questesollevazioni. Si possono ipotizzare due plausibili cambia-menti, uno di natura interna e l’altro di natura esterna. Re-lativamente alla realtà interna, potrebbe avviarsi un nuovocorso politico caratterizzato dal riconoscimento di soggettidiversi, che tenderanno a posizionarsi in un primo momen-

to nel nuovo scenario creatosi e in un secondo momentocompeteranno per l’acquisizione del consenso popolare tra-mite le urne. In questo panorama le varie e variegate visionidi stampo islamico giocheranno certamente un ruolo signi-ficativo, tuttavia non si tratterebbe di un ruolo totalizzantee egemonico, a differenza di quello che sostengono alcunianalisti. Anche se qualche formazione islamica occuperàuna posizione determinante nei nuovi assetti sarà comun-que molto vicina, ad esempio, all’esperienza dell’attualecompagine turca democratico-islamica e quindi avrà dellesimilitudini con alcune delle esperienze democratiche cri-stiane in Europa. Riguardo al secondo aspetto, cioè quelloesterno, i cambiamenti che avverranno saranno più lenti e sisvilupperanno con una certa cautela. Uno di essi, prevedibil-mente, riguarderà un ripensamento delle relazioni interara-be in funzione di una maggiore collaborazione, al fine di ri-pristinare un qualche ruolo sulla scena mondiale e acquisireun peso politico su alcuni temi sensibili, come la questionedel popolo palestinese, la situazione della Somalia e i rap-porti con l’Iran. Inoltre si cercherà di smarcarsi da alcune de-cisioni della politica statunitense e di trovare una voce auto-noma, senza doversi appiattire sulle scelte di Washington,com’è avvenuto negli ultimi decenni (partecipazione allaguerra contro l’Iraq, appoggio alla guerra contro l’Afghani-stan e adesione ad un eventuale attacco contro l’Iran).Quello che è certo, e lo dimostrano gli accadimenti in atto,è che le genti arabe hanno già conquistato un ruolo deter-minante nell’agenda politica sia nazionale sia internaziona-le, avendo oggi una perfetta consapevolezza del proprioruolo, dei propri diritti e della propria dignità.

Le esperienze religiose del sacro possono, quando in dialo-go, contribuire alla costruzione di un nuovo paradigma diumanità. Possono, ad esempio, accettare la vulnerabilità epromuovere la contaminazione dell’umano. Le religioni, infat-ti, quando interpretano l’essere umano come «essere di biso-gno» gli riconoscono la vulnerabilità fondante, mentre quandoripensano alla storia della formazione della propria comunitàreligiosa non possono non riconoscere il sincretismo e la con-taminazione derivante dall’incontro con l’altro, gli altri.Circa l’identità, ad esempio, le religioni suggeriscono un pri-mo passaggio: quello che dal paradigma identitario offertodal famoso cogito ergo sum matura nel paradigma dell’ospi-talità riassunto nella frase «sono accolto, dunque sono». Pri-ma di pensare, l’essere umano è stato pensato, accolto. Que-sto il fondamento dell’essere. Che non esime le persone dal-le loro responsabilità: esse possono non accogliere, ma lavocazione umana principale è, invece, proprio quella dell’ac-coglienza. Questo le religioni lo sanno. Come sanno, di con-seguenza, che la condizione umana fondamentale, quelladell’affidamento, si espone alla vulnerabilità. Niente di più

vulnerabile che essere affidatie fidarsi. Eppure questo dicela verità dell’io e aiuta a descri-ve la narrazione sull’identità:essa non sta nell’autonomia,ma nell’eteronomia. Occorrematurare la rivendicazione del-l’autonomia del soggetto cheha attraversato tutta la storiaoccidentale moderna nel rico-noscimento della fondazioneeteronoma dell’essere umanocome le sensibilità orientali di-cono da tempo. Per questo lereligioni, come e soprattuttoquello ebraico-cristiana, pos-sono pensare all’amore per inemici senza che questo suonicome un pensiero disumano.Esse indicano non l’amored’identità, ma quello di alterità,

non la reciprocità, ma l’ospitalità, non la simmetria, mal’asimmetria. C’è quindi, dentro la costruzione di una nuovanarrativa sull’identità un superamento della legge dell’esse-re che risponde solo e principalmente all’io, nella legge deldisinteresse che invece risponde a partire dall’altro e dal suobisogno. E, come ci dice la sensibilità islamica, la vocazione«religiosa» dell’io non è quella di essere un soggetto sovrano,quanto un soggetto «sottoposto all’altro». Ne deriva, infine,che il rapporto con il mondo chiede un superamento logicoquanto non ontologico rispetto al canone identitario moder-no: oltre il principio dell’auto-affermazione e del possesso aquello della recettività e dell’accoglienza. Anche circa l’idea di comunità le religioni chiedono un cam-bio di paradigma. Da quello «comunitario escludente», quan-

Le religioni, quandointerpretano l’essereumano come «essere dibisogno», gliriconoscono lavulnerabilità fondante,mentre quandoripensano alla storiadella formazione dellapropria comunitàreligiosa non possononon riconoscere ilsincretismo e lacontaminazionederivante dall’incontrocon l’altro, gli altri

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do non tribale a quello della co-ospitalità che dice: accolgoperché sono stato accolto. Di questo le comunità religiose so-no capaci, nonostante la fatica delle pratiche, perché, comeinsegna mirabilmente la parabola del buon samaritano, l’altronon si sceglie, l’altro ci accade. Ne sono capaci anche perchésanno che se tutto è dono e se il bene, quindi, non può essereche comune l’etica ha sempre il primato sulla religione, lagiustizia sulla liturgia; sanno che se tutto è dono, anche il mon-do che abitiamo, la giustizia non può essere che rinunciare alpossesso delle cose, liberarle dalla ipoteca individuale. Essesono date per darle. Infine, le comunità religiose sanno, per-ché ne hanno fatto diretta esperienza, che la fede è sincretica,patrimonio di molte storie ed incontri personali e comunitari.A loro la contaminazione non fa paura. Anzi, la comunità di-venta ricca se si apre e non rifiuta l’altro, gli altri.

CONCLUSIONE

Questo tempo definito di «seconda modernità», post-secola-re, caratterizzato dalla crisi della ragione e dalla «rivincita diDio», può essere tempo favorevole solo se accettiamo la sfi-da. Quella di vivere la qualità teologica dell’umano e insiemela qualità antropologica della fede. Non vivere l’umano comefosse condanna, neppure ripararsi nella fede come fosse so-spensione di umanità. Il sacro che torna, adesso in formaplurale, è occasione favorevole per scoprire, direbbe Panik-kar, la via secolare al Trascendente10. Se il cielo, con le suestelle, non va confuso con la terra e i suoi abitanti, il sacro stanella relazione tra le due dimensioni. C’è insomma una di-mensione secolare della vita, della realtà che rimane unica,assoluta, in fondo, sacra.La presenza del sacro, liberato dalla violenza fondamentali-sta e disposto al dialogo con le altre esperienze religiose,mette in discussione la cultura dominata dal concetto come

strumento per manipolare la realtà e ripropone la cultura do-minata dalla contemplazione come arte di accogliere e avvi-cinare l’altro. L’ermeneutica dell’alterità ha bisogno di con-templazione dopo tanta concettualizzazione. In fondo, al sa-cro è chiesto di fare il suo «dovere», di essere se stesso: quel-lo di riproporre lo spazio e il tempo in modo non omogeneorispetto alla cultura dominante, quando il caos diventa co-smo e il cronos si fa kairòs. Quello di mantenere il misterodella vita perché la sacralità della natura sfugge alle investi-gazioni scientifiche e quello di transustanziare la vita umanaquando propone una vita santificata11.Ex-sistere, vivere fuori di sé, è, allora, una esperienza sacra:quella che trasforma da dentro la vita feriale e il suo senso.Il mistero del sacro, insomma, sa connettere le dimensionidella vita. Lezione per noi «nomadi del presente, cittadinidel futuro». q

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Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

1 G. Kepel, La rivincita di Dio, Rizzoli,Milano 1991.2 U. Beck, Il Dio personale, Laterza,Roma-Bari 2009.3 Su questi temi riflette A. Rizzi, Gesù ela salvezza, Città Nuova, Roma 2001.4 Di etica della terra narra Enzo Bianchiin Il pane di ieri, Einaudi, Torino 2008.5 Per quel che riguarda il livello socio-logico, oltre al citato Beck, segnalia-mo: M. Godelier, Comunità, società,cultura, Jaca Book, Milano 2010; G.Giordan (a cura di) Tra religione e spi-ritualità: il rapporto con il sacro nel-l’epoca del pluralismo, Franco Angeli,Milano, 2006; M. Pollo, Giovani e sa-cro: l’esperienza religiosa dei giovanialle soglie del XXI secolo, Elledici, To-rino 2010; A. Bortolan, I simboli del sa-cro: antropologia del monoteismo,Ananke, Torino, 2007 e la recente tra-duzione italiana del decimo e conclu-sivo volume della monumentale operadi J. Ries, Metamorfosi del sacro. Ac-culturazione, inculturazione, sincreti-smo, fondamentalismo, Jaca Book, Mi-lano 2009.6 Chi offre la definizione è G. Davie,Religion in Britain since 1945. Belie-ving without belonging, Blackwell, Ox-ford 1994.7 Su questo ragiona Philip Jenkins, Inuovi volti del cristianesimo, Vita ePensiero, Milano 2008.

8 Tutto si sposta, merci e persone, a vol-te senza apparente necessità se nonuna certa convenienza economica...9 U.Beck, La società del rischio. Versouna seconda modernità, trad. di W. Privi-tera, C. Sandrelli, Carocci, Roma 2000.10 Si può portare l’esempio dell’intellet-tuale francese Roger Garaudy: nato dauna famiglia in cui il padre si professa-va ateo e la nonna era fervente cattoli-ca, dapprima scelse la confessioneugonotta per poi aderire al marxismo esuccessivamente distaccarsene in fa-vore della fede cattolica. Nel 1982 siconvertì all’islam col nome di Ragaa.11 Cfr. M. Eliade, Il sacro e il profano,Bollati Boringhieri, Torino 1973.10 Cfr. R. Otto, Il sacro. L’irrazionalenell’idea del divino e la sua relazioneal razionale, Feltrinelli, Milano 1976.11 Cfr. R. Girard, La violenza e il sacro,Adelphi, Milano 1992.12 Di questo Panikkar discute soprattuttonel suo La realtà cosmoteandrica, pub-blicato recentemente dall’editrice JacaBook, che sta pubblicando l’opera om-nia dell’autore. La stessa editrice chepubblica le opere di un altro grandestudioso delle religioni, Julien Ries; cfr.soprattutto L’uomo e il sacro nella storiadell’umanità, Jaca Book, Milano 2007.13 Le caratteristiche del sacro sono rac-colte e riproposte in modo sintetico daL. Tussi, Sacro, EMI, Bologna 2009.

Marco Dal CorsoDi professione insegnante di Irc in

un istituto superiore, legato peraffetto e per curiosità all’AmericaLatina, si occupa di temi legati al

dialogo interreligioso ancheattraverso una piccola collana che

dirige per l’editore Pazzini. [email protected]

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il sacro i sacri 8

marzo 2011 | cem mondialità | 31

La storia. Christine, totalmenteimmobilizzata su una carrozzelladalla sclerosi multipla, arriva conun pellegrinaggio di gruppo aLourdes. È seguita da Maria, unagiovane volontaria dell’Ordine diMalta, ed ha per compagna di ca-mera una signora anziana, non fisi-camente malata ma silenziosa e at-tenta. Christine si reca alla grotta,alle piscine, partecipa alla proces-sione e alla benedizione. Durantela terza notte si alza dal letto, guari-ta; è festeggiata e portata all’ufficiomedico per l’accertamento del-l’avvenuta guarigione. I medici so-no parzialmente ottimisti. Christinefelice cerca di vivere fin da subitotutta la vita possibile; alla festa dell’ultima sera durate un bal-lo cade, si rialza, un velo di incertezza appare sul suo volto…La regista sul film. «Nessuno può dire se il miracoloavviene per fede o per fatalità. Io volevo solo raccontare que-sta tensione che genera dubbi. […] Io non sono credente e ilcattolicesimo mi sembra una storia troppo semplice rispettoalla vita futura. In questo senso, però, volevo raccontare qual-cosa di rispettoso, dove è lo spettatore a offrire una sua visio-ne degli eventi che accadono dinanzi ai suoi occhi».Il film. Con un voluto distacco, che lascia allo spettatore tut-to il compito di costruirsi un punto di vista, la narrazione si co-

struisce su due piani: quello del racconto di un pellegrinag-gio a Lourdes e quello del miracolo. Nel primo la Hausner se-gue infatti i momenti tipici e consolidati nel tempo di un pelle-grinaggio: la vita nell’albergo, le processioni, la benedizionesolenne, la visita alla grotta, il bagno nelle piscine, i momentidi preparazione e riflessione religiosa e quelli più tipicamenteturistici, gite, feste; nel secondo piano, ben intrecciato e stret-tamente correlato all’altro, è presentata il miracolo e la vicen-da di Christine: il suo modo laico di vivere il pellegrinaggio:«Faccio questi pellegrinaggi», dice Christine a un altro pa-ziente, «perché sennò non avrei altre occasioni per uscire di

cinema

Lourdesdi Lino [email protected]

Regia: Jessica Hausner

Interpreti: Sylvie Testud (Christine),Léa Seydoux (Maria), Bruno Todeschini(Kuno), Elina Lowensohn (Cécile),Gerhard Liebmann (padre Nigl).

Austria/Francia, 2009. 93min. Cinecittà Luce

Alla Mostra di Venezia, il film ha avutoil primo premio dalla Giuria Signis(Organizzazione cattolica per lecomunicazioni che assegna il premioal film in concorso più significativo persensibilità umana e spirituale); ilpremio Premio Brian dell’Uaar (Unionedegli Atei e degli AgnosticiRazionalisti); il premio dellaFederazione internazionale dellastampa cinematografica (Fipresci) einfine il riconoscimento cattolico «LaNavicella», promosso dall’Ente dellospettacolo.

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32 | cem mondialità | marzo 2011

Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

di malato e ingelosito, refrattario al facile sorriso o al compiaci-mento per l’avvenuto miracolo; ci sono gli sguardi di una ma-dre disperata nella speranza e per un momento travolta dalmomentaneo illusorio miglioramento della figlia gravementehandicappata nel fisico e nella mente; ci sono i commenti deltipo «l’avevo detto» o «non dura» di un duo di madame un po’inacidite; ci sono gli sforzi teologici e psicologici del sacerdo-te, accompagnatore del gruppo, che cerca risposte serie alladifficilissime domande che il dolore e il miracolo sollevano nelgruppo e in Christine. Ci sono, insomma, incarnate nei diversipersonaggi, le diverse possibili posizioni, credenti e laiche, difronte alla presenza di Dio nella vita e di fronte al miracolo. Iltutto presentato con un profono rispetto per chi soffre e per chicerca, per chi accetta e per chi domanda e per chi rifiuta: piùvolte tende bianche si chiudono a proteggere l’intimità di un’at-tesa di felicità. Una presentazione non schierata, costruita conuna regia essenziale, lenta nei movimenti, più spesso ferma, inascolto o in attesa e a distanza di rispetto. Non c’è facile ironiao sarcasmo nel riprendere i momenti di preghiera individuali odi gruppo, nel mostrare i gesti fiduciosi dei fedeli alla grotta oalle piscine. C’è una scena di particolare intensità all’inizio delfilm: alla prima visita di Christine al luogo dell’apparizione, lasua carrozzella si ferma perché un uomo in ginocchio prega,le mani sulla roccia della grotta; la sua preghiera è intensa elunga e la regista, quasi documentarista, aspetta fino al suo al-

zarsi e baciare la pietra: è un’attesa prolungata, più di quantola narrazione esigerebbe, che esprime l’atteggiamento pro-fondo con il quale la regista ha affrontato il tema.Non mancano le scene a margine che hanno per protagonistii volontari dell’Ordine di Malta: troviamo Cécile, la capogruppo, perfetta nella sua divisa e nel suo ruolo, tesa al ri-spetto delle regole e dei gesti quasi in offerta-scambio per lasua malattia segreta; c’è l’anziano accompagnatore ormaiassuefatto, quasi disilluso, ancora tentato di mettere in crisi lafede del prete; c’è Kuno, il capo gruppo, chiuso nella sua sto-ria che non conosciamo; e poi i giovani volontari da richiama-re ogni tanto all’ordine e interessati più alle serate libere che

Altri stimoliIl film al suo uscire ha suscitato, oltre ai molti commenti favorevoli,anche duri attacchi, con accuse di laicismo e di disprezzo per lareligione e per un luogo tanto amato e visitato dai fedeli (si leggain questo senso il commento di Messori al film), per questo èinteressante il parallelo con quanto successo nel 1894 all’uscita delromanzo di Émile Zola Lourdes, scritto alcuni anni dopo la suavisita di alcuni giorni alla città dei miracoli. Può essere illuminanteleggere gli appunti, che il romanziere scrisse in preparazione delromanzo, pubblicati recentemente con il titolo Viaggio a Lourdesdalle Edizioni Medusa, Milano 2010. Sembra a tratti di leggere il materiale preparatorio al film. C’ètutto il razionalismo positivista di Zola, che rifiuta religione emiracoli, ma c’è anche il rispetto per il dolore e per la sete di vita edi felicità che secondo lui sta alla base di quel correre fiduciosi allagrotta da parte di quelle centinaia di migliaia di persone che la vitanon l’hanno avuta uguale agli altri.

casa e stare in compagnia», il suo modo partecipato e allostesso tempo distaccato di vivere i diversi momenti delle suegiornate, il suo difficile equilibrio tra la condizione di paraliz-zata e il desiderio di una vita normale, tra la sua iniziale passi-vità e la successiva volontà di vivere a pieno il nuovo, tra la suadebole fede e l’essere scelta come miracolata.La storia di Christine è compartecipata e commentata da vocidiverse attorno a lei: c’è la compagna di camera, un’anziana si-lenziosa signora, credente che si assume fino in fondo il ruolodi facilitatrice del miracolo accompagnando Christine nei luo-ghi sacri, sottraendola ad una giovane affettivamente distrattaaccompagnatrice; c’è l’anziano incattivito dalla sua condizione

ai miracoli. C’è anche la Lourdes dei commercianti, ma è so-lo un passarci di fronte, quasi sfondo realistico ma senza giu-dizi o condanne. Un film che sceglie di non dare spiegazioni,né di suggerire risposte, un film più di silenzi che di parole,che a tratti costruisce uno sguardo più di documentario chedi fiction, con momenti di sospensione e di voluta pausa di ri-flessione. Un film che lascia, ripetiamo, tutta a noi spettatorila risposta. Certo un film da vedere. q

La registaJessica Hausner, regista e

sceneggiatrice austriaca, nata a Viennail 6 ottobre 1972, si è formata

all’Accademia Cinematografica diVienna. Dopo aver lavorato come aiuto

regista e sceneggiatrice, ha esorditonel 1995 con il cortometraggio Flora. Il

suo primo lungometraggio è LovelyRita del 2001, il secondo è Hotel del

2004. Tutti i suoi film sono stati invitatial festival di Cannes nella sezione Un

certain regard.

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aprile 2010 | cem mondialità | 33

Aiuti?Alessio [email protected]

marzo 2011 | cem mondialità | 33

Agenda interculturale | PratiCare | Scor-date | Campagna Dudal Jam Saltafrontiera | Pixel | Nuovi suoni organizzati | Zero Poverty | Crea-azione

In febbraio ho avuto la fortuna di partecipare in Senegalal «Rencontre Internationale Saint-Louis 2011, Mouve-

ments sociaux, développement local et solidarité interna-zionale», tre giornate organizzate dal centro di ricerca-azione Ermurs di condivisione di esperienze di politicheformative, sociali ed economiche che hanno per soggettigruppi ed enti locali attenti al territorio, quelli che oggimostrano una buona dose di anticorpi rispetto alle logi-che della cooperazione internazionale. Ambito in cui gliorganismi della socie-tà civile faticano a farsentire la propria vo-ce, anche quandosembrerebbe «auto-rizzata», come nel re-cente processo lan-ciato dal Libro Verdedella Commissioneeuropea «La politicadi sviluppo dell’Unio-ne europea a soste-gno della crescita in-clusiva e dello svilup-po sostenibile. Poten-ziare l’impatto dellapolitica di sviluppo dell’Ue»1. Questo documento è servito,fino a metà gennaio 2011, per ri-discutere il cosiddettoConsenso Europeo sulla cooperazione allo sviluppo. Il ri-sultato della revisione sarà alla base di nuovi strumenti fi-nanziari per l’Ue verso i paesi «in via di sviluppo». Un’Ueche non mantiene le sue promesse finanziarie, ci dice Con-cord, il coordinamento degli organismi europei non go-vernativi in questo settore, che con l’Osservatorio Aid-Watch 2 documenta come la soglia dello 0,56% del pro-

dotto interno lordo dell’Ue da de-stinare alla cooperazione interna-zionale per raggiungere gradual-mente lo 0,7 % nel 2015, come da tempopromesso, non verrà raggiunta nel 2011: la maggior partedegli Stati membri, di fatto, riducono il proprio impegnoin questo settore. Chi ha a noia le aride cifre dei rapporti e delle statisticheeconomiche, troverà motivo di riflettere sulle dinamichedel dare e del ricevere in libri come Doni, ambientato aMogadiscio da Nuruddin Farah, dove una storia d’amores’intreccia a ritagli di giornali locali, o a fonti Reuter che ciriportano agli stretti legami fra le politiche di cooperazio-ne e le logiche di rapina, quando non militari, che domi-nano la macro-economia. Al tema aveva dedicato ampiospazio (Il lato oscuro degli aiuti) in dicembre il settimanaleInternazionale, affrontando le dinamiche con cui, negli ul-timi quarant’anni, gli interventi umanitari nelle aree di crisisi sono moltiplicati. La tesi è che l’«industria» degli aiuti in-ternazionali rischi di alimentare i conflitti senza risolvere iproblemi della popolazione civile. In questi casi, chi ha undottorato in economia a Oxford e ha lavorato per unabanca d’affari come la Goldman Sachs e per la BancaMondiale dovrebbe aver fatto l’abitudine ad osservarel’economia dalla parte del «consenso di Washington» edel pensiero unico. Eppure, nel caso di Dambisa Moyo,l’essere cresciuta nello Zambia le ha permesso di mante-nere, pur all’interno di una logica liberista, uno sguardocritico su come funzionano e soprattutto sugli effetti chehanno gli aiuti internazionali, come ha documentato nelsuo La carità che uccide. Come gli aiuti dell’Occidentestanno devastando il Terzo Mondo (Rizzoli, 2010). Unmessaggio che si avvicina al lavoro del 1989 di GrahamHancock (che senza mezzi termini aveva definito alcunedelle grandi agenzie della cooperazione internazionaleLords of Poverty, i signori della povertà), ma anche ad al-cuni passaggi della Caritas in Veritate. Rincuora incontrareesperienze, come quelle legate ad Ermurs, fuori da logichedi «fruizione», attente a partenariati in cui sia possibile undialogo fra pari.

1 http://ec.europa.eu/development/icenter/repository/GREEN_PAPER_COM_2010_629_POLITIQUE_DEVELOPPEMENT_IT.pdf2 http://www.concordeurope.org/Public/Page.php?ID=25053&language=eng

L’«industria» degliaiuti internazionali

rischia di alimentarei conflitti senza

risolvere i problemidella popolazione

civile

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L a Francia è spesso considerata cometerra d’asilo per eccellenza, Patrie

des droits de l’homme, ma il sistema am-ministrativo e giuridico francese in mate-ria d’asilo è oggi altamente criticabile e,come accade in Italia, il primo incontrocon la realtà sociale francese per gli uo-mini e per le donne che cercano rifugio,costituisce una nuova, dura «prova».Eppure, per quanto ho potuto conosceredi Marsiglia, città portuale e multicultu-rale, ci sono persone e associazioni chedavvero non banalizzano il vero significa-to della parola «asilo». Esso è inviolabile,dal greco asylon, senza violenza. Il luogodi asilo è un luogo inviolabile, dove vio-lenza non è ammessa, perché è propriodalla violenza, nelle sue varie espressioni,che si fugge cercando rifugio.Un rifugio che hanno trovato e che tro-vano coloro che vengono accolti nel Ca-da (Centre d’Accueil pour Demandeursd’Asile) de La Rose, un quartiere di Mar-siglia; qui, giovani uomini tra i 18 e i 25anni attendono di conoscere il loro sta-tus, almeno quello, forse il più ovvio,ma spesso negato: considerarsi e esserericonosciuto come Rifugiato. Come tuttii Cada francesi, finanziati dallo Stato egestiti da associazioni locali, anche inquesto la vita è organizzata da Aajt, (As-sociation d’Aide aux Jeunes Travail-leurs)1: associazione, che nel centro diaccoglienza in questione, ha il compitodi ricevere le domande stesse dei richie-denti asilo e di portare avanti, assiemeall’Ofpra (Office Français de Protectiondes Refugiés et Apatrides), la successivaprocedura di asilo fino al ricevimento

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Il futuro appartiene a coloro che arrivanodi Miriam D’Elia

34 | cem mondialità | marzo 2011

Rubrica a cura di Gianni D’[email protected]

senso stretto della parola. In questocentro non è mai presente la polizia,ma solo l’associazione a cui è delegatala gestione della struttura stessa; i ri-chiedenti asilo risiedono in questo Ca-da, come negli altri di Marsiglia, perdue o tre anni, possono uscire, muover-si liberamente su tutto il territorio fran-cese; successivamente, coloro che sa-ranno riconosciuti quali rifugiati verran-no accolti in altri centri, chiamati Cph(Centre Provisoire d’Hébergement), fi-no a quando non saranno in grado divivere autonomamente; gli stessi avran-no il diritto di lavorare e, dopo 10 anni,di ricevere la nazionalità francese. Esisteugualmente una Commissione di ricor-

so dei rifugiati (la Crr), davanti alla qua-le i richiedenti asilo che si vedono rifiu-tare la loro domanda dall’Ofpra, posso-no fare ricorso... e aspettare l’esito delproprio futuro.Penso che in Francia si respiri un climadiverso, in materia d’asilo, rispetto al-l’Italia; seppure siano due paesi confi-nanti. Credo sia necessario e umano daparte nostra fare qualche passo avanti,verso una vera accoglienza. Perché, co-me dice lo scrittore marsigliese JeanClaude Izzo, «il futuro appartiene a co-loro che arrivano». q

1 Cfr. www.aajt.asso.fr/ - www.sahib.fr/fich_1.php?OrgaNum=124

del titolo. Queste le due mansioni piùimportanti. Tra le altre cose, poiché i ri-chiedenti asilo non hanno il permesso dilavorare, si occupa anche della gestionedi corsi di francese e attività ricreativeper gli ospiti della struttura; infine cercadi garantir loro la piccola somma di de-naro che lo Stato riserva per ciascunapersona (circa 24 euro al giorno). Que-sta struttura è sì chiusa, ma non nel

La rubrica di questo mese èla descrizione delle modalitàdi trattamento dei rifugiatiin Francia scritta da unastudentessa che si trova aMarsiglia per motivi distudio, nell’ambito delprogramma Erasmus.Per chi volesse approfondireil tema della condizione deirifugiati in Italia ed inEuropa, consiglio il libro diun amico: Luca Rastello, «La frontiera addosso. Così si deportano i dirittiumani», Laterza, Roma-Bari 2010 (g.d.e.)

Penso che inFrancia si respiri

un clima diverso, inmateria d’asilo,

rispetto all’Italia;seppure siano due

paesi confinanti

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Italiani

da una parte e dall’altra aGuadalajara (sul fronte diMadrid) quando l’8 marzo1937 le Brigate internazionalifermano il corpo dispedizione mandato daMussolini.

marzo 2011 | cem mondialità | 35

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In un luogo poco conosciuto, Dachau,apre il primo campo di concentramentonazista è il 22 marzo 1933, Hitler è alpotere da pochi mesi.Le Ss distruggono il piccolo villaggiorusso Khatyn (da non confondere con laquasi omonima Katyn dove invece i so-vietici nel ‘39 trucidarono migliaia di uf-ficiali polacchi) uccidendo 149 persone:è il 22 marzo 1943. Oggi lì sorge unmausoleo per ricordare oltre due milio-ni di bielorussi assassinati dal nazismo.Come Pisciotta (luogotenente di Sal-vatore Giuliano) anche Michele Sindonamuore in carcere per un caffè avvelena-to: il 22 marzo 1986 alle 14,12. Nessuncolpevole.24 marzo: giornata mondiale di lottaalla tubercolosiIl sottosegretario Carlisle Humelsine il25 marzo 1952 annuncia (trionfante)che nell’anno precedente il Dipartimen-to di Stato degli Usa ha licenziato 119omosessuali. Book crossing. Dal 2001 si è decisoche il giorno più indicato per regalareun libro a qualche sconosciuta/o è il 26marzo; altre informazioni in rete. Il gior-no dopo è la «giornata mondiale delteatro».La «legge truffa» è approvata in Par-lamento il 29 marzo 1953 ma alle ele-zioni del 7 giugno non scatta perché i 4partiti coalizzati non arrivano al 50 percento. Impossibile un paragone conl’Italia di oggi?Il governo israeliano espropria terrearabe in Galilea e nel Negev; è il 30marzo 1976: da allora quello è per i pa-lestinesi «il giorno della terra».

Italiani da una parte e dall’altra a cura di Dibbì

Se volete leggermi sul mio blog:http://danielebarbieri.wordpress.com

«chinino di Stato», gratuito per i poveri,e così sconfigge la malaria. Sempre inun 17 marzo (1981) la Guardia di Fi-nanza sequestra gli elenchi della P2 nel-la casa di Licio Gelli.Fu Tupac Amaru secondo, cioè JosèGanriel Condorvanqui, un «erede»dell’ultimo sovrano inca nato il 19 mar-zo 1738 a guidare la più grande ribel-lione contro i «conquistadores».Pochi se ne ricordano ma il 21 marzodi ogni anno è anche «la giornatamondiale della poesia».

Condannato a un’ammenda, il 1°marzo 1958, il vescovo di Prato: avevadefinito «concubinaggio» un matrimo-nio civile.Sta arando Epifanio Li Puma quando idue killer della mafia lo uccidono il 2marzo 1948: è uno dei molti sindacalistiuccisi in quei mesi «a opera di ignoti».L’Oms (Organizzazione mondiale dellasanità delle Nazioni unite) dichiara, il 9marzo 1979, che l’alcolismo è il proble-ma più grave per la salute umana.Solenne ammissione di colpa e ri-chiesta di perdono per i peccati storicidella Chiesa: è il 12 marzo 2000, annodi Giubileo, quando Wojtyla chiama ivertici (non tutti apprezzano) dellaChiesa cattolica a una sterzata storica.Evo Morales toglie le terre ai latifon-disti per restituirle alla comunità Guara-nì: è il 14 marzo 2009... secoli dopo ilfurto originario. Cade Kronstadt: l’armata bolscevica,guidata da Trotzsky, il 16 marzo 1921 fastrage degli operai e dei marinai insorti.Abrogando i reati «contro la stirpe»,la Corte costituzionale il 16 marzo1971 rende legali in Italia gli anticonce-zionali.Il 17 marzo 2011 cade il 150° dell’uni-tà nazionale italiana: memoria corta,polemiche annunciate. Peccato non ri-cordare che proprio un 17 marzo (madel 1902) l’Italia vara la legge per il

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Il volume è disponibile presso

Libreria dei PopoliVia Piamarta 9 - 20121 Brescia

Tel. 030.3772780Fax 030.3772781

[email protected]/libreria

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Giovani e interculturaAl via il primo fine settimana di formazione di Clelia Minelli

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Primo incontro per i giovani che hanno ade-rito al laboratorio teatrale condotto da Na-

dia Savoldelli e Maria Candelaria Romero nel-l’ambito del progetto «Giovani e Intercultu-ra»1, promosso da LVIA in collaborazione con ilCentro Studi Sereno Regis di Torino e il parte-nariato di CEM Mondialità. Il progetto si pro-pone ai giovani anzitutto attraverso momentidi formazione su tematiche di forte attualità,al fine di accompagnare le nuove generazioninel loro percorso di costruzione d’identità so-ciale, in un’ottica di empowerment finalizzatoalla costruzione di una cittadinanza competen-te, consapevole e attiva Il primo incontro, avvenuto a Brescia il 5-6 feb-braio scorso, è stato ricco di suggestioni, di in-contri, emozioni, gesti, parole. Utilizzando An-tigone, la tragedia di Sofocle, e Gli uccelli, com-media di Aristofane, come base narrativa, i ra-gazzi sono stati coinvolti nella costruzione diuna città, decidendo come suddividere ed a co-sa destinare gli spazi, come regolamentare leattività che vi si possono svolgere, l’ingresso el’accoglienza di eventuali nuovi arrivi… Ad ogniangolo è stato dato un nome ed uno scopoben precisi e poi via… con attività di ogni tipoper esercitare il proprio essere attivi e passivi,seguire gli altri o farsi seguire, condurre e deci-dere oppure lasciarsi trasportare e fidarsi, osser-vare ed interpretare i vari spazi ritenuti indi-spensabili in una città. E trasformarsi poi in«Uccelli» ed aggregarsi in stormi spontanei percreare i propri nidi, trovare spazio insieme e no-nostante gli altri, scappare, difendere il propriospazio dalle invasioni altrui, ma allo stesso tem-po aver paura di rimanere soli, in un ambito diazione sempre più ristretto ed angusto, fino ademolire la città e rompere i confini e le barrie-re. Provare poi ad indossare una maschera per

risvegliarsi e scoprire il proprio corpo, e tutti imovimenti possibili con ogni parte del corpo,compresi quelli per potersi avvicinare ad altremaschere, che sperimentano gli stessi passi. Edanche a viso scoperto, provare ad indossare lemaschere nelle quali ci imbattiamo quotidiana-mente e scambiarle con quelle di chi ci sta ac-canto, inserendosi nella situazione nei pannidell’altro, con cui si è in ascensore in un mo-mento di emergenza, o con il quale dobbiamodiscutere di qualsiasi cosa… per ritrovarsi infinetimonieri di una stessa nave che va dove deci-diamo di farla andare. Due giorni pieni di atti-vità intersecantesi l’una conl’altra, condite da sfoghi discrittura continua, dimessaggi lasciati ovun-que grazie a post-it colo-rati che hanno invaso tut-to lo spazio a disposizio-ne, di sguardi silenziosipieni di parole, di abbracciriconoscenti per un massag-gio rilassante che ha conclusoun lavoro fisico senza tregua. Un grazie speciale alle conduttrici, checon la loro professionalità e bravura cihanno condotto a compiere questo emo-zionante viaggio. Un grazie di cuore ai partecipanti, ai veriprotagonisti di questo viaggio per la lorodisponibilità a mettersi in gioco, per il lorocoinvolgimento, per la bellezza dei loro ge-sti che hanno riempito e riscaldato un finesettimana invernale. q

1 Per maggiori informazioni sull’iniziativa cfr. Giovani e intercul-tura, «CEM Mondialità», n. 1, gennaio 2011, pp. 36-37, op-pure consultare il sito www.cem.coop/rivista/gennaio11/restoB012011

Provare adindossare le

maschere nellequali ci

imbattiamoquotidianamentee scambiarle con

quelle di chi cista accanto,

inserendosi nellasituazione nei

panni dell’altro

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Èquesta l’efficace frase di presenta-zione di «Mi riguarda», la nuova

collana delle edizioni Paoline, curata daDaniela Palumbo, dedicata ai ragazzidagli 8 agli 11 anni che racconta le di-verse realtà, vicine e lontane, di unmondo con tante contraddizioni. E lerealtà raccontate nei primi titoli nonpotrebbero essere più diverse. Nel romanzo Corri Lidja, corri lo scritto-re italo-congolese Paul Bakolo Ngoi nar-

ra la drammaticacondizione deibambini-soldat i .Lidja, la giovanissi-ma protagonistadella storia, raccon-ta in prima personale vicende in cui ècoinvolta, senzamai perdere il can-dore dei suoi noveanni. La vita nel vil-laggio - siamo inCongo - è spensie-

rata, ma un giorno gli uomini in unifor-me vi fanno irruzione, bruciano tutto,seminano morte e disperazione. Lidja

Storieche ci riguardanodi Lorenzo Luatti

Spaghetti al curry di Annamaria Piccio-ne è una storia d’immigrazione di unbambino di 10 anni, Dinesh, che dalloSri Lanka arriva a Catania per ricongiun-gersi con la sua famiglia. Ma è soprat-tutto un frammento di una storia fami-liare, dove ciascun componente è alleprese con le rose e le molte spine del-l’integrazione in Italia, a scuola, nel la-voro, nei rapporti con gli «autoctoni».Di pregiudizi, invidie, fatiche, disatten-zioni e banali cattiverie sono dissemina-ti i percorsi di Dinesh, di sua sorellamaggiore Lomathy e dei suoi genitori,preoccupati di assicurare ai loro due fi-gli un futuro mi-gliore. Vivono pres-so la casa di una fa-miglia benestanteitaliana dove la ma-dre Chandrika pre-sta servizio tuttofa-re. Dinesh si sentemolto «strampala-to»: a scuola non sadire una parola initaliano, per l’inse-gnante è un inciam-po (se non invisibi-le), i compagni lo guardano come unestraneo. In famiglia, non comprendela sorella che, giunta in Italia da piccola,è impegnata a farsi passare da «italia-na», tanto che si fa chiamare Laura. Di-nesh è simpatico, sveglio, riflessivo, os-serva e capisce (anche se a volte finge dinon capire) cosa accade intorno a lui ealla sua famiglia. Si fa valere: ben pre-sto cattura l’attenzione e l’amicizia deicompagni, grazie alle sue competenzenella lingua inglese. Dinesh è determi-nato, assertivo, ha le idee chiare: dagrande vuole fare l’avvocato e c’è dacredere che ci riuscirà. Il romanzo fun-ziona, è fluido, piacevole, ha anche ilpregio di essere spiritoso e di far riflet-tere. Convince meno la scelta di carat-terizzare troppo alcuni personaggi (inpositivo o in negativo), disegnando del-le vere e proprie caricature, come per lamaestra Clelia, la signora Barbara e suafiglia Lucrezia. q

viene strappata dal suo villaggio e daisuoi cari, insieme alle altre bambine, epoi dai soldati vengono trascinate al fa-migerato Campo 3. Dei loro genitorinon sapranno più niente. Inizia così,per lei e le altre sventurate, una lungaodissea, durante la quale, nonostantetutto, la giovane protagonista riuscirà anon perdere la speranza e la capacità disognare un futuro migliore. Questa vol-ta all’autore non è concesso l’uso diquel registro narrativo che gli è tipico econgeniale e che caratterizza le sue sto-rie: qui, in effetti, non ci sono spazi perapprocci fiabeschi o per sguardi ironicie divertiti. La tragicità delle infanziemutilate non lo consente. Una tematicadifficile, con situazioni di una brutalitàassoluta che lasciano sgomenti: Ngoi le«distilla» ed evita di soffermarsi nelladescrizione di particolari impressionan-ti, preferisce lasciarli all’immaginazione,al non detto, anche per rispetto dellasensibilità dei suoi giovani lettori.

«Mi riguarda»è la nuova

collana delle edizioniPaoline, curata

da Daniela Palumbo,dedicata ai ragazzidagli 8 agli 11 anni

che racconta lediverse realtà, vicine

e lontane, di unmondo con tante

contraddizioni

«Mi riguarda anche se èdistante da me, anche se nonmi tocca direttamente. Mi riguarda perché colpisce lafamiglia di cui facciamo tuttiparte: l’umanità»

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Denaro di emergenzadi Roberto Alessandrini

Il costo di un litro di latte, nell’arco didue mesi, passa da 5,4 milioni di mar-

chi a 360 miliardi, mentre per affranca-re una semplice lettera servono 2 milio-ni. Siamo nei primi anni Venti, al tempodell’iperinflazione tedesca. Per fronteg-giare questa e altre situazioni di crisieconomica, agli inizi del XX secolo, conpunte massime nel 1920-21, si diffon-dono, soprattutto in Germania e Au-stria, i biglietti di Notgeld, il denaro diemergenza. Prodotti da banche locali,municipi, anche piccolissimi, ditte pri-vate o statali hanno quasi sempre tagliinferiori al marco e alla corona, sonoprivi di corso legale, ma vengono accet-tati come mezzi di pagamento. Le società emittenti si mettono in com-petizione per avere biglietti piacevoli eben illustrati, dove abbondano vedutepanoramiche, costumi regionali, stem-mi, scritte ammonitrici, ma anche - a

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Privi di corso legale, maaccettati come mezzi dipagamento, i Notgeld sidiffondono agli inizi del ‘900,con punte massime negli anniVenti, per fronteggiaresituazioni di crisi economica inGermania e Austria. Le banchelocali, i municipi e le ditte che liemettono fanno a gara per averebiglietti piacevoli e ben illustrati.

Brixleg - fotografie della Passione di Cri-sto interpretata dai contadini o, comead Andorf, in mancanza di meglio, l’im-magine del cimitero. Spesso molto co-lorati, quei biglietti vengono diffusi ingrandi quantità e le vicende narrate -storie popolari o leggende di fondazio-ne - prendono in molti casi la forma diraffinate silhouettes. Rispetto alla viva-cità e all’originalità artistica del perio-do, i Notgeld testimoniano la persisten-za di un gusto d’anteguerra per tutto ilcorso degli anni Venti e, come spesso

accade con i profili neri, l’assenza dielementi che rendono espressivi i voltirichiedono al segno grafico di enfatiz-zare l’eloquenza dei gesti. Una serie emessa dalla città di Detmoldnel 1920 raffigura una delle più gravisconfitte militari subite dai romani con-tro una coalizione di tribù germaniche,la battaglia dell’anno 9. d. C. nella fore-sta di Teutoburgo, mentre nel 1921 lacittà di Glauchau propone una serie diNotgeld disegnati da Jacob Kinder sulla«guerra della birra» scoppiata nel 1651con la città di Meerane. Alla felice e ri-conoscibile mano di Jacob Kinder ap-partiene anche la serie da mezzo marcoemessa, sempre a Glauchau, nel giugno1921. Vi si racconta la beffa del burloneBebel che, stanco delle eccessive atten-zioni che la polizia gli riserva, passeggiain modo beffardo con una salsiccia sul-la schiena, viene per questo portato da-vanti al tribunale distrettuale, ma lagente sta dalla sua parte e gli tributa unfestoso omaggio.Di ben altro tenore è la serie da 50pfennig emessa a Quedlinburg nel lu-glio 1921. Le silhouettes di Walter Hee-ge sono dedicate alla figura di re EnricoI di Sassonia, detto Enrico l’Uccellatore,fondatore della città e protagonista diun lied con liriche del poeta e narratoreaustriaco Johann Nepomuk Vogl e mu-siche del compositore sassone JohannCarl Gottfried Loewe. La memoria delsovrano diverrà quasi un culto duranteil nazismo e la chiesa e il castello diQuedlinburg assumeranno la connota-zione di un santuario.Wünschendorf diffonde una serie conla leggenda della montagna d’argento,il luogo in cui, secondo la tradizione, inani custodiscono un tesoro, mentreGrünberg propone una serie da 75pfennig, disegnata da Georg Schleinitzcon le liriche del poeta e pittore AugustKopisch. Altre serie raccontano i mo-menti salienti della storia delle città te-desche, dai saccheggi dei briganti bran-deburghesi agli attacchi dei seguaci delteologo e riformatore religioso boemoJan Hus. q

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giustamente annoverata tra i precursoridella World Music, ricercando, acco-gliendo e rielaborando suoni, silenzi ecolori altri fin dalla metà degli anni ’70.A differenza di Peter Gabriel, Paul Si-

Discografia

Penguin Cafe OrchestraEG records, 1981

Broadcasting From HomeEG records, 1984

Union Cafe - Zopf, 1993

Ben ritrovate e ben ritrovati. SimonJeffes, chitarrista e compositore di

formazione accademica, diede seguitoa quelle idee visionarie, e nel 1972, in-sieme alla violoncellista Helen Liebman,fondò la Penguin Cafe Orchestra. Neisuoi 25 anni di attività, fino alla morteprematura del suo ideatore, occorsa nel1997, ha prodotto otto album, a parti-re dal 1976, anno della pubblicazionedel loro primo lavoro Music From ThePenguin Cafe, prodotto dalla Obscuredi Brian Eno. La Penguin, indiscutibilecaposaldo dei meticciamenti sonori, va

mon, Jon Hassel, e pochi altri illuminatiche manifestarono l’esigenza di usciredall’esclusività del pensiero sonoro occi-dentale, la band di Simon ed Helen hacaratterizzato il suo operato esotizzan-do la struttura accademica e formaledella musica occidentale con timbri emelodie di ogni dove. Strumenti acusti-ci, per lo più di tradizione europea,esplorano ed interpretano idee musicaliproprie delle tradizioni americane, asia-tiche ed africane, riproponendole conbizzarri giochi di delicato contrappunto,reiterandone anche solo un frammentoe creando in questo modo una dimen-sione minimalista suadente, accattivan-te, a tratti dolcemente melanconica emai scontata.Si tratta di una musica davvero unica edalla quale è difficile staccarsi dopoaver pigiato il play del lettore cd. È mol-to difficile per me escludere qualcunodegli album generati dalla Penguin; milimiterò ad indicare quelli che io ascol-to, o meglio ri-ascolto, ormai da decen-ni, e a consigliarvi, se vi è possibile, unadolce e prolungata immersione uditivain tutta la produzione di questo fanta-stico «folklore immaginario»; così ama-va definire la sua musica Simon Jeffes.Buon ascolto a tutte e a tutti. q

La Penguin Cafe Orchestrae il folklore immaginariodi Luciano Bosi

«Un giorno, agli inizi del 1970, una febbre altissima mi costrinse asperimentare una serie di allucinazioni: rappresentavano il nostro futuro

più prossimo, che appariva tutto grigio e di cemento. Le persone vivevanoin enormi casermoni grigi, e da grandi finestre si poteva vedere ciò chesuccedeva all’interno. In una stanza una coppia stava facendo l’amore

senza rumore e senza sentimento. In un’altra un uomo stavasemplicemente seduto, fissando uno schermo. In una terza stanza un

musicista sedeva in mezzo ad una vasta strumentazione elettronica, maindossava le cuffie, perciò la stanza era completamente silenziosa. Da un

angolo del soffitto di ogni stanza una telecamera seguiva tutto ciò cheaccadeva con occhio malvagio.

Era un mondo disumano, sconfitto nel cuore; tuttavia era possibilerifiutarlo, e guardare oltre. In lontananza potevi vedere un edificio

sgangherato, dal quale, per tutta la notte, uscivano rumore, luce e musicacaotica. Era il Penguin Cafe. Dentro c’era l’Ekonomiyaki bar, con lunghi

tavoli dove la gente sedeva insieme. C’era segatura sul pavimento, equando ti sentivi stanco i bicchieri si facevano più leggeri per agevolarti.

Sul fondo del locale c’era sempre una band che suonava. Senza saperedove, avevi sempre la sensazione di aver già sentito quei pezzi. Era la

Penguin Cafe Orchestra. Nel risvegliarmi, mi sovvennero le parole di unapoesia: “Sono il proprietario del Penguin Cafe. Ti dirò cose a caso..”. Daqui nacque l’ispirazione di scrivere musica che solo la Penguin Cafe dei

miei sogni avrebbe potuto suonare». Simon Jeffes

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Questo mese presentiamo le sezionidel percorso «Giovani per Zero Po-

verty. Una sfida alle povertà» che fannoriferimento alle schede «Attività» delQuaderno e al percorso intitolato «Gio-chi e animazioni» del dvd contenuti nelkit «Zero Poverty - Agisci ora».Cerchiamo quindi di approfondire il si-gnificato di un tema forte come la po-vertà, tema che necessita un cambio diprospettiva personale (e non solo) glo-bale e che obbliga tutti a stili di vita di-versi e maggiormente sostenibili, utiliz-zando il gioco.Ci sono molte teorie che sostengonol’importanza di utilizzare la via ludicaper costruire percorsi educativi e diapprendimento. È noto infattiil potere di coinvolgimentosensomotorio, cognitivoe affettivo del gioco atutte le età, non soloper i bambini, ma an-che per gli adolescentie per gli adulti. Tuttavia, il pensiero dacui siamo partiti - «Faitutto per gioco, ma nul-la giocando» - ci invita aleggere il gioco da un’altraangolatura, che riprende unafamosa frase di Baden-Powell, ilfondatore degli scout. Questa frase ap-pare un po’ come un invito a scoprire(forse a ri-scoprire?) il valore del gioconella propria vita, dove «gioco» non èdivertimento fine a se stesso, ma legge-rezza, costruire e de-costruire, di inven-tare e di re-inventare, di chinarsi e di ac-carezzare, di prendersi tempo e di dare

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Fai tutto per giocoma nulla giocandoLottare contro la povertà attraverso il giocodi Marialuisa [email protected]

sta. Inoltre, il gioco, prevedendo diversilivelli di partecipazione attraverso il di-verso ruolo che può essere assunto du-rante l’attività, permette a tutti i parteci-panti di coinvolgere se stessi in primapersona e di contribuire alla riuscita delgioco stesso. Le attività proposte - daleggersi in realtà come suggerimentioperativi - prendono in prestito struttu-re tipiche del Cooperative Learning1,mutuando dal Cooperative Learningstesso alcuni degli elementi chiave (sco-perta del valore dell’interdipendenzapositiva, dell’interazione promozionalefaccia a faccia, dell’acquisizione di abili-tà sociali) che costituiscono le basi perapprendere la capacità di stare insiemee di rispettarsi nella diversità. Non èquindi questo un modo per lottare inmodo concreto contro tutto ciò cheporta alle disuguaglianze, all’emargina-zione, alla povertà?Dal punto di vista operativo, lavorarecon questa modalità appare abbastan-za semplice. Per aiutare quanti intendo-no avvalersi del percorso le diverse atti-vità sono state raggruppate in gruppitematici che fanno riferimento in gene-rale ai contenuti del Quaderno (povertànel sud del mondo; povertà ed esclusio-ne sociale; povertà in Europa) e in altrigruppi che facilitano chi deve condurrel’attività (attività che richiedono colle-gamento internet oppure no; attività dimovimento; attività di riflessione indivi-duale). L’invito è allora quello di iniziarea sperimentare i percorsi e le attivitàproposte per iniziare o continuare la ri-flessione su questi temi con modalitàche coinvolgano non solo la testa, maanche e soprattutto il cuore. q

1 Per chi volesse approfondire i principi di questa me-todologia di insegnamento/apprendimento suggeria-mo come primo approccio il sito www.apprendimen-tocooperativo.it, ricco di materiali, approfondimenti,bibliografia e sitografia.

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tempo per le relazioni vere, per cono-scere se stessi e gli altri. In questo sensosì, l’invito è quello di tornare bambinisenza dimenticare di essere adulti.Il senso di questi percorsi e attività staproprio qui: suggerire modalità di avvi-cinarsi al tema della povertà che preve-dano di manipolare materiali, di de-co-struire pregiudizi, di apprendere nuovidati lavorando insieme, offrendo la pos-sibilità di costruire qualcosa in gruppo,trovando tempi e spazi per collaborarealla costruzione di nuove conoscenze,inedite prospettive e diversi punti di vi-

ZERO POVERTYKIT MULTIMEDIALEPercorsi di educazione alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale

Gruppo Editoriale Città Nuova 2 volumi - 80 e 64 pagine + dvdEuro 10,00

Disponibile pressoLibreria dei PopoliVia Piamarta 9 - 20121 Brescia Tel. 030.3772780 - Fax [email protected] www.saveriani.bs.it/libreria

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Potete segnalare iniziativeartistiche interculturali all’[email protected]

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Reggio Emilia «Le liberazioni che ciattendono» Associazione Giolli Centro ricerche tea-tro dell’oppresso e coscientizzazione,con la cooperativa Giolli di Montechia-rugolo (Pr). Da marzo a maggio 2011: aingresso libero spettacoli teatrali e diTeatro-Forum del gruppo TdO (Teatrodell’Oppresso) sui temi dell’immigra-zione, la violenza domestica contro ledonne, la convivenza multiculturale inun condominio. Contatti: Badalotti [email protected] - Tel0521-686385 www.giollicoop.it

Milano Progetto «Oltre-Altro Teatro:relazione e didattica attiva.Proposta di laboratoriteatrali e seminari»Seminari e laboratori gratuiti per do-centi che desiderano con la teatralitàaccogliere spunti per il rinnovamentodelle metodologie didattiche. Da marzoa maggio 2011: Il Drama e l’insegna-mento della lingua inglese, Teatro e in-tercultura, Teatro danza, L’espressivitàcorporea nel linguaggio teatrale, Ladanza creativa e la consapevolezza disé, La sfida del teatro: i classici dialoga-

Segnamoci in agenda... di Nadia Savoldelli

no con gli adolescenti di oggi. Iscrizionientro tre giorni prima dell’inizio di cia-scun laboratorio. Contatti: Di Rago tel. 02 43 800 207 www.ir-relombardia.it

RomaMaster in mediazioneculturale pediatricoinfantile (II Corso 2011-12)Formazione per la Comunicazione Con-sorzio Interuniversitario. Il master avràinizio il 12 marzo. Iscrizioni aperte finoal giorno antecedente la data di presen-tazione in aula del terzo modulo, 14maggio 2011, in quanto è prevista lapossibilità di eventuale recupero didat-tico attraverso un programma di for-mazione a distanza (FAD) e tutoraggioper ciascuno dei tre moduli pregressi.Contatti: [email protected] tel. 3293150964- 3393540245 www.forcom.it - Alta Formazione

Lovere (Bg)Festival e convegno«Settimana della culturaclassica»Da 24 marzo al 1° aprile 2011. Spetta-coli delle scuole secondarie della Lom-bardia e spettacoli professionali su te-matiche interculturali, tra cui Antigone(INDA Siracusa), Voci straniere (SilenceTeatro Bg), Chimera (Lucilla Giagnoni),Identità di carta (Compagnia Itineraria).Inoltre Convegno «Storie di profughi traClassico e Contemporaneo- Abbando-nare la patria: temi e interpretazioni traOttocento e Modernità». Info: Istituto «D. Celeri» di Lovere, tel. 036983177; docente Onelia Bardelli 3391093759.Ass. «Il Cerchio di Gesso» - wwwilcerchiodiges-so.org

Pontedera (Pi)Laboratorio di teatro per i giovani delle comunitàstraniereDa febbraio ad ottobre. Lo spettacoloelaborato sarà presentato in aprile enel festival del Teatro Era ad ottobre2011, con molte associazioni culturalidi Pontedera. Iscrizioni tel 0587.55720/57034 www.ponte-derateatro.it

«Sagarana»: una rivistatelematica di letteraturamondiale, cultura e societàdiretta dallo scrittorebrasiliano-italiano JulioMonteiro Martins. Divisa nellesezioni Saggi, Narrativa, Poesiae Vento nuovo (dedicati ainuovi autori), questotrimestrale affronta i temi diattualità attraverso gli scritti,spesso inediti, di autori famosie meno conosciuti, in italiano otradotti in italiano.www.sagarana.net

Il discorso «ambiguo» sullemigrazioni - La ricerca sullemigrazioni come analisi delletrasformazioni sociali diSalvatore Palidda - Mesogea2010. Rifacendosi agliinsegnamenti di Foucault,questo libro propone un’analisidel «discorso» della cosiddetta«scienza delle migrazioni» perscoprirne aporie, ambiguità,finalità. Sconto del 40%,acquistando un minimo dicinque copie per associazioni ecircoli che si occupano dimigrazioni. Il libro è nellelibrerie e disponibile online, sulsito della casa editricewww.mesogea.it

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Ogni anno presso la riva diTongi, migliaia di fedelimusulmani si radunano

per la grande preghiera BiswaEstema (Preghiera universale),durante la quale pregano per lapace e l’unità nel mondo. Questogrande raduno non è da parago-nare al pellegrinaggio alla Mec-ca. Tuttavia la gente viene ancheda altri paesi per prendere partealla preghiera d’invocazione re-citata in questa adunanza.Per raggiungere il raduno dove-vo arrivare a Uttara, una zonaappena dopo l’aeroporto. Moltimi avevano detto di non metter-mi in strada, perché avrei ri-schiato di rimanere bloccato edi dover andare a piedi. Uscitodi casa verso le 11, salgo subitosu un CNG (baby taxi) e riescoad arrivare fino a un passaggio

a livello. Senza scompormi,scendo e continuo a piedi il miocammino... anzi pellegrinaggio.Con lo zaino sulle spalle mi in-cammino insieme ai tanti fratellie sorelle musulmane che si re-cano a Tongi per il grande radu-no. Dal baby taxi vedo passareun treno con tanta gente nei va-goni, sul tetto un ragazzo regge,con fierezza, la bandiera delBangladesh. Tutti ben vestiti conil loro punjabi e il cappellinobianco, pronti per questa pre-ghiera speciale.Dopo un’ora di cammino oltre-passo l’aeroporto ed entro sullastrada per Uttara. La gente au-menta sempre di più, quando aun certo punto, intorno a mezzo-giorno, vedo alcuni camminareper strada con le mani aperte insegno di invocazione, mentre al-

tri sono fermi nello stesso atteg-giamento, piccoli gruppi intornoa un telefonino per ascoltare ilnamaj (preghiera) sulla riva diTongi. Proseguendo, vedo moscheeche amplificano con gli altopar-lanti la preghiera, tutti con lemani aperte protese versoDio… il silenzio è forte, le per-sone in un raccoglimento pro-fondo e io camminando in que-sta grande strada diventata pre-ghiera mi sono sentito coinvolto,e mi sono unito anch’io a questapreghiera universale per la pa-ce nel mondo. A dir la verità misento quasi fuori posto, ma do-ve si prega non si è mai di trop-po o di disturbo. Sì, anche noi missionari siamochiamati a metterci in camminocon questa gente che cercaquella pace che possa dare lo-ro sollievo. Il camminare conloro è segno di un dialogo chenon è fatto di tante parole madal sentirsi insieme nel viverelo stesso cammino, perché lapace possa diventare realtà enon una speranza tarda a veni-re. Nel vedere questi uomini equeste donne ho sentito nelcuore una pace vera, con lasperanza che si trasformi in ge-sti di rispetto dei diritti umani. Per concludere, porto ancoraimpressa negli occhi un’imma-gine. Mentre faccio ritorno a ca-sa verso le 18, nella folla perstrada ho visto due bambini ac-covacciati sul bordo del marcia-piede che rovistavano tra alcunirifiuti, li ho visti finire i resti disucchi di frutta che erano statigettati lungo il cammino... allorainvochiamo questa pace anche sudi loro perché possano vivere unavita umana e bella! Shanti. q

23 gennaio 2011

Padre GiovanniGargano (Giuà) è

missionariosaveriano

in Bangladesh

Giovanni Gargano

Biswa Estema

a

io

sia

e

ul

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FRANCESCO CAPRETTI

LA CHIESA ITALIANA E GLI EBREILa recezione di Nostra Aetate 4dal Vaticano II a oggiEMI, Bologna 2010

Dialogano con l’autoreBrunetto SalvaraniDIRETTORE DI “CEM MONDIALITÀ”

Michele BusiPRESIDENTE AZIONE CATTOLICA DI BRESCIA

Finalmente uno studio che esamina come ildocumento conciliare Nostra Aetate 4 èstato recepito dalla Chiesa italiana e fino ache punto la sua recezione ha prodotto unpensiero teologico aggiornato. Prefazione diPaolo De Benedetti e postfazione di PieroStefani.

venerdì 8 aprile 2011

ore 20.30

sabato 26 marzo 2011

ore 20.30

ModeratoreFederico TagliaferriCAPOREDATTORE DI “CEM MONDIALITÀ”

ModeratoreMario MeninDIRETTORE DI “MISSIONE OGGI”

STEFANO ALLIEVI

LA GUERRA DELLE MOSCHEEL’Europa e la sfida del pluralismo religiosoMarsilio, 2010

Dialogano con l’autoreFabio RolfiVICE SINDACO DEL COMUNE DI BRESCIA

Fabio CorazzinaPARROCO DI S. MARIA IN SILVA, BRESCIA

Nel dibattito politico europeo, la parolamoschea sta per islam, e l’islam spessoevoca l’Altro, il Nemico. È untrasferimento di significati che rivelatutta la difficoltà dei paesi europei nellatransizione verso il pluralismo religioso.Questo libro colma un vuoto e offre per laprima volta un quadro dettagliato dellemoschee in Europa, paese per paese.

GRAZIANO BATTISTELLA

MIGRAZIONIDizionario socio-pastoraleSan Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010

Dialogano con l’autoreMario ToffariDIRETTORE DELL’UFFICIO DI PASTORALE PER I MIGRANTI, BRESCIA

Lydia KeklikianESPERTA IN POLITICHE MIGRATORIE FEMMINILI, BRESCIA

Un’opera del tutto inedita, 156 voci, 123 autori, per un’analisi interdisciplinaredi un argomento di estrema attualità, siaper la società civile sia per la comunitàecclesiale.

PAOLO BERTEZZOLO

PADRONI A CHIESA NOSTRAVent’anni di strategia religiosa della Lega NordEMI, Bologna 2011

Dialogano con l’autoreMauro CastagnaroGIORNALISTA

Marino RuzzenentiAUTORE DI PUBBLICAZIONI DI STORIA CONTEMPORANEA

Questo libro ricostruisce per la prima volta iltravagliato rapporto tra Chiesa e Lega Nord,contrassegnato da un ventennale conflittosulle questioni dell’unità del paese, dellasolidarietà, dell’immigrazione,dell'attenzione al Mezzogiorno. Lo stesso valeper le tematiche interreligiose e il rapportocon l’islam.

lunedì 9 maggio 2011

ore 20.30

venerdì 15 aprile 2011

ore 20.30

ModeratoreFranco ValentiPRESIDENTE DELLA FONDAZIONE GUIDO PICCINI PER I DIRITTI DELL’UOMO, BRESCIA

ModeratoreFranco FerrariCAPOREDATTORE DI “MISSIONE OGGI”

Caro autore ti chiedo…Una sera di primavera a San Cristo

Missionari Saveriani

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seguirlo, ma egli sembrava an-che contento nel ricordare suaterra, che, nonostante la guerra,resta pur sempre la sua casa na-tia, immersa nel sole di una di-versa cultura.Il suo primo viaggio da solo lofece l’anno successivo, quandoandò a studiare in Kenya per vo-lere della famiglia, soprattuttodella madre. I suoi spostamentidal Kenya alla Somalia diventa-rono sempre più rari. Col passa-re del tempo, infatti, la guerranon solo non cessava, ma conti-nuava ad aggravarsi per l’intro-missione dei paesi stranieri,spinti da interessi economiciper i ricchi giacimenti minerari

marzo 2011 | cem mondialità | 45

rubrica a cura di Eugenio Scardaccione | [email protected]

Un’odissea dalla Somaliaall’Italia

«La storia di Moham-med inizia all’età didodici anni, quando

partì col padre dalla Somaliaverso il Kenya, per curare le gra-vi ferite alle gambe riportate ac-cidentalmente durante una spa-ratoria. Il clima di terrore, cheancora oggi attanaglia il suopaese a causa della guerra, ren-deva impossibile ricevere cureadeguate. Nel raccontare la suastoria, Mohammed apparivacommosso e nervoso allo stessotempo, quasi temesse che ilpassato potesse ritrovarlo ed in-

Clara RanieriClasse III B, Liceo delle Scienze Sociali«G. Bianchi-Dottula», Bari

Il clima diterrore,

che ancoraoggi

attanaglia ilsuo paese

a causa dellaguerra,

rendevaimpossibile

ricevere cureadeguate

della regione. Paesi diversi simisero a finanziare a turno oral’uno ora l’altro gruppo tribale,in una guerra civile senza fine. A conclusione degli studi, Mo-hammed aprì un negozio di ali-mentari in Sud Africa, che peròdopo pochi anni di attività vennedistrutto in un attentato, spingen-dolo a trovare rifugio in Europa.Nel 2002 il viaggio verso la Libia,partendo dalla Somalia, offrendoin pagamento un’auto. Arrivatoinsieme ad altri nel deserto delSahara, coloro con cui si eranoaccordati per portarli in Libia liderubarono di tutto ciò che pos-sedevano, abbandonandoli neldeserto, senza cibo, circondatisolo dalla bollente sabbia saha-riana. Avvistati da un elicotteroda turismo proveniente dalla Li-bia, vennero prelevati dalle mili-zie libiche e condotti nelle lorotristemente note prigioni. Mo-hammed riuscì ad uscire grazieal pagamento di una cauzione edue mesi dopo affrontò clande-stinamente il viaggio verso l’Eu-ropa. Al suo arrivo sulle coste diLampedusa venne avviato versoun campo di identificazione aRoma, dove gli vennero prese leimpronte digitali. Lì chiese il ri-conoscimento della sua condi-zione di rifugiato politico. Mo-hammed ha poi vissuto a Bari, si-no a pochi mesi fa al Ferrohotel,una struttura delle Ferrovie delloStato, mentre ora vive nei localidi una scuola occupata. Le con-dizioni non sono proprio quelleideali, ma grazie anche all’aiutodi volontari, giovani universitari edi varie associazioni, egli cercadi inserirsi nel tessuto sociale. Ilsuo grande sogno è quello di po-tere aiutare gli altri immigrati adintegrarsi». q

Il percorso didattico è stato progettatoe coordinato dalla prof.ssa RosariaAmmaturo.

Una toccantetestimonianza

La disponibilità della rivista CEMMondialità permette alla nostra classeIII B del Liceo di scienze sociali«Bianchi-Dottula» di riferire un’intensa,cruda testimonianza, vissuta all’internodi un percorso scolastico formativo edumano. Infatti, dopo avere trattato edanalizzato dal punta di vista sociologicoed antropologico il fenomenomigratorio, comprendiamo meglio lecause di tale esodo forzato, anchegrazie ad alcune toccantitestimonianze.Dopo un confronto avvenuto in classecon le storie di vita di rifugiati politici,abbiamo cercato di adottare unmetodo didattico che consentisse disuperare le paure e i pregiudizi neiconfronti di coloro che non conosciamoe che spesso vengono dipinti come«strani» e pericolosi, alimentandoatteggiamenti difensivi, o, peggio,aggressivi e violenti, sia verbali, siafisici. Perciò abbiamo deciso diraccontare la storia di Mohammedattraverso la sintesi che ne ha fattoClara, una nostra compagna di scuola.

Errata corrige

Nel numero di dicembre 2010,

l’autoredell’articolo

«L’altra faccia del... gioco»,

pubblicato nellarubrica CEM-SUD,

è DanieleGuaragna e non

Daniela Guaragna.Ce ne scusiamo

con l’autore e con i lettori.

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46 | cem mondialità | marzo 2011

Laila WadiaCome diventare italiani in 24 oreBarbera editore, Siena 2010, pp. 160, euro 12.90

Francesca SpinelliNuove lettere persianeEdiesse, Roma 2010, pp. 120, euro 10

Il 12 giugno 2010 nel diario di Laila c’è «un fulmine a ciel sereno... una notizia bomba»: dopo 24anni in Italia riceve «il diploma di italianità». Buffa storia, ve la consiglio: Laila Wadia, nata in Indiae ora a Trieste, dopo vari libri di racconti pubblica un diario immaginario: Come diventare italiani in24 ore. Ironico e intelligente quanto intrigante negli esperimenti linguistici («le parole sono pon-go») e inquietante quando ci ributta in faccia gli stereotipi che noi appiccichiamo ad altri. In tempi di grandi dibattiti su cosa ci lega (minuscolo!) 150 anni dopo... questo libro aiuta a ragio-nare sulla nostra dilagante crisi d’identità. Nostra? D’accordo parlo per me… Io-me-medesimo-in-persona-proprioio-conoccasionalipseudonimi, nato a Roma da genitori certificati italiani (come pu-re i nonni e, per quel che so, gli avi) dopo 60 anni non ho capito se sono italiano. In base a cosami posso definire ital-verace? Alla fine del suo divertentissimo libro, Laila offre un veloce «corsopratico: diventare italiani in 24 ore».Ho scorso i titoli di Waida: «Imparare a rilassarsi. Scegliere un nome. Imparare a sembrare naturali.Imparare a far colazione. Imparare a guidare. Imparare a leggere i giornali. Imparare a far la spesa.Lezione di sushi e rucola. Farsi un’idea politica. Imparare l’oroscopo. Imparare a fare la coda. Im-parare a protestare. Imparare a vestirsi. Imparare a gestire la suocera. Imparare a fare bella figura.Imparare a essere prolisso. Fatti un tatuaggio. Imparare a fare le valigie. Imparare una canzone. Vi-sto che non hai sonno, accendi la tv e scegliti un dialetto. Imparare a gesticolare. Imparare a so-gnare come un italiano doc». Qual è il problema? Di queste 24 ital-doti di sicuro 12 mi mancano esu 4, leggendo bene le argomentazioni, sono incerto. Se mi beccano... mi daranno il foglio di via?Un salto indietro. Nel 1721 Montesquieu pubblica Le lettere persiane: la storia del viaggio (migra-zione cioè) di Usbek e Rica ma anche il loro sguardo - disincantato, saggio, ingenuo, ironico - sulmondo che incontrano. La stessa idea, guardare noi stessi da fuori, attraversa altri testi: dal lievePapalagi, grande successo nei «Millelire» di Stampa Alternativa, al celeberrimo Sentinella, di FredricBrown. In questo filone si colloca, sin dal titolo, Le nuove lettere persiane, raccolte da FrancescaSpinelli per Ediesse (pp. 120, euro 10) con la collaborazione del settimanale «Internazionale» e del-la ong Cospe: sono gli «sguardi dall’Italia che cambia» di Farid Adly, Ejaz Ahmad, Ismail Ali Farah,Lubna Ammoune, Mayela Barragan, Paula Baudet Vivanco, Domenica Canchano, Alen Custovic,Raymon Dassi, Darien Levani, Gabriela Pentelescu, Edita Pucinskaite, Sun Wen-Long e Akio Takemo-to con prefazione di Gad Lerner, illustrazioni di Zerocalcare, conclusioni («scrolliamo il giornalismoitaliano») di Viorica Nechifor e un’utile finestra - «Altre voci in Italia e nel mondo» - di ValentinaLombardo. E il diario di Laila Waida potrebbe essere un altro capitolo di questo libro.

I materiali segnalati (e non segnalati) possono essere richiesti allanostra Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, consconti del 10% per gli abbonati e pagamento in CPP a materiale giàricevuto (nelle richieste specifica che sei un abbonato di CEM)www.saveriani.bs.it/libreria - [email protected]

Daniele Barbieri

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i paradossi arnaldo de vidi

Anche se non sono un [email protected]

U na lettrice ha criticato la parabola di Sodomadella mia pagina di febbraio, perché «non ac-cennava soluzioni, anzi disorientava». Di fatto,

io volevo disorientare, ricordando quello che gli indiosdel Chiapas dissero al vescovo Samuel Ruiz (morto re-centemente): «Grazie, padre, per averci disorientato.Noi siamo mal-orientati e tu, disorientandoci, contribui-sci a correggere il nostro orientamento». Eppure so chenon posso esimermi dal cercare soluzioni alla crisi at-tuale, anche se io non sono un guru. Per esempio, comerisolvere la disoccupazione dei giovani? La banalità nel-la vita pubblica e privata? Il dilagare della droga (oltre50 giovani muoiono ogni mese di droga e violenza a Ma-naus)?... Quindi vediamo.Certi politici sostengono che il problema sono gli immi-grati. Noi italiani dovremmo valerci dello Ius soli, iussanguinis. Immigrati? Solo quelli che ci servono per illavoro. Ma ora c’è migrazione totale, incontrollabile.Semmai dobbiamo chiederci se e quanto noi siamo re-sponsabili della fuga dei poveri dal terzo mondo.

Gli storici affermano che il cammino dell’umanità non èlineare: periodi splendidi si alternano a tempi di deca-denza come l’attuale, con rigurgito di barbarie. Essi in-viterebbero alla pazienza (!?). Gli ambientalisti suggeri-scono la decrescita per la salute del pianeta e nostra.Gli economisti obiettano che dobbiamo invece cresce-re di più. I signori della globalizzazione dicono: Cia-scuno per sé! Si salvi chi può!... Essi, dopo la crisi del2008, hanno smesso l’arroganza, perché il «treppiedi»costituito dal pensiero unico, dal flusso dei capitali e dalmercato globale non ci ha dato la società perfetta da lo-ro profetizzata. I sociologi fanno la diagnosi della socie-tà attuale che definiscono «liquida»: le persone, senzapiù sicurezze né assistenza sociale, stanno insieme in-dividualmente, cercano per sé splendide grucce, fug-gono da impegni duraturi, s’immergono nel consumi-smo... Ma gli stessi sociologi non offrono «ricette di far-maci» per guarire. Non mancano difensori ad oltranzadell’evoluzionismo, che forniscono dati a provare quan-to oggi si stia meglio di ieri. I poeti consigliano la sediaa dondolo o la pennichella pomeridiana. E noi, bombardati da opinionisti, maestri, profeti, politi-ci... cadiamo in depressione. Che cosa fare? E chi è incondizione di farlo? Questo è il nocciolo della questione(the heart of the matter).

marzo 2011 | cem mondialità | 47

Nel libro di Abacuc incontriamo la frase «Il giusto vivedi fede» (2,4), frase ripresa poi da Paolo nella lettera aiRomani (1,17). Essa suggerisce uno stile di vita. Il giusto non s’affanna dietro alle interpretazioni, e nondemorde: semplicemente vive di fede, in Cristo, in co-munità, in novità di vita. Si sforza di essere «povero in spi-rito» (Mt 5,2), cioè avere cuore di povero: guadagnarsi ilpane, porre la sua fiducia in Dio (e non nel denaro o neipotenti), essere sensibile-solidale verso il prossimo. Sì,per cominciare, è questo che dobbiamo e possiamo fa-re: essere nel numero dei giusti che vivono di fede. q

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la pagina di... rubem alves

Se non fossi capacedi amore...

48 | cem mondialità | marzo 2011

che vediamo è un’immagine indefinita, riflessa in unospecchio pulito male. Tutto è confuso.Ma arriverà il giorno in cui vedremo la verità faccia afaccia. Adesso, quello su cui possiamo contare sono lafiducia, la speranza e l’amore. Ma di questi tre l’amoreè il più grande.

(1 Cor 13)

Amiamoci gli uni gli altri perché l’amore viene da Dio.Chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio; chi nonama non conosce Dio perché Dio è amore.Nessuno mai ha visto Dio. Se ci amiamo gli uni gli altri,Dio costruirà la sua casa nei nostri corpi e nelle nostreanime. Allora non avremo più paura. Perché l’amoreperfetto scaccia la paura.

(Prima lettera di Giovanni)

I l maestro Beniamino era già molto vecchio anchese sembrava ancora un bambino. La lunga barbabianca, il camminare indeciso, la vista corta, la

sordità. Avvertiva che l’ora delle sue ultime parole erain arrivo. Riunì per questo gli adulti e i bambini, diedeloro da mangiare una torta di frutta, vino, succo d’uva einiziò a parlare:

«Anche se io parlassi la lingua degli uomini e degliangeli, se non fossi capace di amore, sarei come unbronzo che suona vuoto o come una campana checontiene il suono. Anche se avessi il dono di profetizzaree conoscessi tutti i misteri e nonostante io abbia tantafede da trasportare le montagne, se non fossi capace diamare, non sarei nessuno. E anche se distribuissi tutti imiei beni ai poveri e addirittura dessi il mio stesso corpo

al fuoco, se non fossi capace diamore, niente di tutto questo mi

aiuterebbe.

L’amore ha pazienza. Desidera il bene. Non si consumain invidie, non manipola le persone, non si considerasuperiore, non si esalta e neppure umilia gli altri. Noncerca i suoi interessi. Non tiene la contabilità del male.Non si rallegra per le ingiustizie. Ma si riconcilia conla verità. L’amore accetta di soffrire. Scommettesulla bontà. Non perde la speranza. E rimane bensaldo. Profezie finiranno. Lingue stranecesseranno. La scienza invecchierà. Ma l’amoreè sempre giovane, non finirà mai. Adesso, quello

Traduzione di Marco Dal Corso

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www.terrafutura.itRelazioni istituzionali e Programmazione culturaleFondazione Culturale Responsabilità Etica Onlustel. +39 049 7399726 - email [email protected]

Organizzazione eventoAdescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c.tel. +39 049 8726599 - email [email protected]

ONLUS

Regione ToscanaDiritti Valori Innovazione Sostenibilità

mostra-convegno internazionale

terrafuturabuone pratiche di vita, di governo e d’impresaverso un futuro equo e sostenibile

firenze - fortezza da basso20-22 maggio 2011VIII edizione ingresso libero• appuntamenti culturali • aree espositive• laboratori • animazioni e spettacoli

Bari / 5 aprile 2011Con la partecipazione di Antonio Nanni, Marialuisa DaminiLeo Lestingi, don Antonio ParisiLuisa Santelli BeccegatoEugenio Scardaccione ed altri

Il Convegno si terrà presso l’auditorium «La Vallisa»piazza del Ferrarese, 4

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Competenze, buone pratiche e laicità

9 aprile 2011 | Ore 9-18

Convegno promosso da CEM Mondialità

Con la partecipazione dI:

Carmelina Chiara Canta

Marco Dal Corso Marialuisa Damini

Mariachiara Giorda

Adel Jabbar Giuseppe La Torre Mario Menin Paolo Naso Enzo Pace Flavio Pajer Lucrezia Pedrali Alessandro Saggioro

Brunetto Salvarani

Giuseppe Tacconi Aluisi Tosolini Giangabriele Vertova

Missionari Saveriani - Via Piamarta, 9 - Brescia - Ampio parcheggio gratuito - info: tel. 030.3772780 - [email protected]

Comitato scientificop. Mario Menin SXPaolo NasoBrunetto SalvaraniSegreteria organizzativaMichela Paghera

Si prega di voler comunicare la partecipazione al Convegno. La segreteria di CEM Mondialità

è a disposizione per maggiori informazioni.

partecipazione

libera

Con il patrocinio dell’Università La Sapienza - Roma

Perché le religioni a scuola?

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