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1 Contenuti di Storia – classe V MODULI UNITÀ DIDATTICHE 1_ L’ultimo scorcio del XIX secolo e la crisi del primo ‘900 U.D._ 1 L’età giolittiana U.D. _2 La I guerra mondiale U.D. _3 La Rivoluzione Russa MODULI UNITÀ DIDATTICHE 2_ I Regimi Totalitari tra le due Guerre U.D. _ 1 Il I dopoguerra in Italia e nascita del Partito fascista U.D. _ 2 Il Fascismo U.D. _ 3 Il Nazismo MODULI UNITÀ DIDATTICHE 3_ La seconda guerra mondiale U.D. _ 1 La II guerra mondiale (I parte) U.D. _ 2 La II guerra mondiale (II parte) MODULI UNITÀ DIDATTICHE 4_ La guerra fredda U.D. _ 1 il II dopoguerra e la formazione dei blocchi MODULI UNITÀ DIDATTICHE 5_ L’Italia dal dopo guerra agli anni ‘70 U.D. _1 la nascita della repubblica e dal centrismo al centro-sinistra, Il miracolo economico e la contestazione studentesca e la strage di piazza fontana.

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Contenuti di Storia – classe V

MODULI UNITÀ DIDATTICHE

1_ L’ultimo scorcio del XIX secolo e la crisi del primo ‘900

U.D._ 1 L’età giolittiana U.D. _2 La I guerra mondiale U.D. _3 La Rivoluzione Russa

MODULI UNITÀ DIDATTICHE

2_ I Regimi Totalitari tra le due Guerre

U.D. _ 1 Il I dopoguerra in Italia e nascita del Partito fascista U.D. _ 2 Il Fascismo U.D. _ 3 Il Nazismo

MODULI UNITÀ DIDATTICHE 3_ La seconda guerra mondiale

U.D. _ 1 La II guerra mondiale (I parte) U.D. _ 2 La II guerra mondiale (II parte)

MODULI UNITÀ DIDATTICHE

4_ La guerra fredda U.D. _ 1 il II dopoguerra e la formazione dei blocchi

MODULI UNITÀ DIDATTICHE

5_ L’Italia dal dopo guerra agli anni ‘70 U.D. _1 la nascita della repubblica e dal centrismo al centro-sinistra, Il miracolo economico e la contestazione studentesca e la strage di piazza fontana.

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Mod._1 L’ULTIMO SCORCIO DEL XIX SECOLO E LA CRISI

DEL PRIMO ‘900

U.D. 1 L’età Giolittiana LA POLITICA SOCIALE DI GIOLITTI: Quando nel 1900 il re Umberto I muore, gli succede il figlio Vittorio Emanuele III all’età di 31 anni (1900- 1946). Questi deciderà di non adottare una politica reazionaria e ripristinerà un immediato ritorno alla legalità costituzionale. Nel 1901, con la caduta del Governo Saracco (che, con una politica contraddittoria, aveva scontentato sia la destra e la sinistra), il re affida l’incarico di formare il nuovo governo all’esponente più i vista della sinistra: il giurista Giuseppe Zanardelli. Dal febbraio del 1901 all’ottobre del 1903 si ha il Ministero Zanardelli, durante il quale si abbandonerà il sistema repressivo dei predecessori, si concederà l’amnistia ai condannati politici, si stabilì una limitata libertà di associazione, di propaganda e di sciopero1. Nel novembre del 1903, a causa di una malattia Zanardelli si ritirò a vita privata e fu chiamato a capo del governo il ministro degli interni: Giovanni Giolitti (1842-1928). Dal novembre del 1903 al marzo del 1914 Giolitti fu il nuovo presidente del consiglio. Questo decennio va sotto il nome di Età giolittiana. L’IDEOLOGIA POLITICA: di orientamento liberale e appartenente alla «sinistra costituzionale» Giolitti era dotato di una precisa conoscenza della realtà, di un solido equilibrio e di uno spiccato senso del dovere. Egli comprese: a) le richieste delle masse lavoratrici; b) l’importanza della funzione sociale (economica e politica) del capitale sullo stato

moderno, e proprio per questo cercò sempre di unire gli interessi proletari a quelli

borghesi e di operare in condizioni di rigorose neutralità fra capitale e lavoro. Questo

atteggiamento causa a volte accuse di «conservatorismo» da parte dei socialisti e di

demagogia dai ceti borghesi. Giolitti fu abilissimo nel trovare un equilibrio tra le forse sociali, promuovendo un’avanzata legislazione sociale e una politica volta a favorire la nascente industria italiana. Giolitti sosteneva che lo stato doveva essere un’entità superiore agli interessi di parte…

1 Codice Zanardelli del 1889: lo sciopero era ammesso, ma veniva ostacolato duramente.

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Concesse ampia libertà di sciopero, limitandosi a mantenere l’ordine pubblico in attesa che i contrasti tra lavoratori e proprietari si risolvessero per mezzo di trattative dirette fra i rappresentati delle due parti. Giolitti si preoccupò di prevenire e risolvere le agitazioni sociali con le riforme. LE RIFORME GIOLITTIANE:

1) venne perfezionata e migliorata la legislazione in favore dei lavoratori anziani, infortunati o invalidi;

2) emanate nuove norme sul lavoro delle donne e dei fanciulli; 3) venne esteso l’obbligo dell’istruzione elementare fino a 12 anni; 4) venne stabilito il diritto al riposo settimanale e a particolari

provvidenze assistenziali; 5) venne per la prima volta stabilita un’indennità parlamentare: cioè un

compenso ai deputati per le spese che dovevano sostenere per svolgere il proprio compito in parlamento.;

6) favorì la conquista di migliori retribuzioni, le quali accrescendo le possibilità di acquisto delle classi lavoratrici, contribuirono a determinare una più ampia richiesta di beni di consumo sui mercati e conseguentemente un aumento della produzione.

INTERVENTI NEL SETTORE DELLA SANITÀ PUBBLICA:

1) distribuzione gratuita del chinino conto la malaria, che in 8 anni fece abbassare la percentuale dei malarici dal 31% al 2%, con un conseguente aumento demografico;

Il benessere generale portò al risanamento economico nazionale più un notevole incremento delle entrate dello stato.

Questa politica più una scrupolosa amministrazione del denaro pubblico fece si che: a) la cartamoneta italiana acquistasse un’eccezionale prestigio al punto

da «far aggio all’oro», da essere cioè preferita alle monete d’oro sul mercato internazionale;

b) il risparmio si accrebbe e i depositi nelle banche permisero di finanziare numerose imprese, sia nel settore agricolo che industriale, rivitalizzando tutto il sistema economico del paese.

c) Il reddito agricolo, grazie ad alcuni lavori di bonifica e di irrigazione e ad un più ampio uso di concimi chimici, salì dai 3 miliardi di lire del 1870 ai 7 miliardi del 1910.

d) Le industrie2 meccanica, tessile, chimica e alimentare, pur essendo inferiori rispetto a quelle straniere, ebbero un rilevante sviluppo, raddoppiando in fatturato tra il 1900 e il 1913.

LAVORI PUBBLICI:

2 Industria automobilistica: FIAT – Torino 1899 da Giovanni Agnelli; industria della gomma: Pirelli - Milano 1872 da

G.B. Pirelli; industria idroelettrica, passò a mezzo milione di chilowatt NEL 1908, anche se il carbone continuò ad

essere importato in gran quantità.

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a) rete stradale apertura del traforo del Sempione (20 km) – estensione della rete;

b) rete ferroviaria prima era in concessione a società privata (legge 1885), poi molti chiesero la statalizzazione delle rete esistente (a causa dell’eccessivo costo e della insufficienza). Così Giolitti decretò la nazionalizzazione della rete ferroviaria (luglio 1905) eccezion fatta per alcuni tratti.

c) Acquedotto pugliese inizio dei lavori; d) Monopolio statale assicurativo => INA Istituto nazionale per le

assicurazioni, 1912, concretamente operativo nel 1913. nel giugno 1911 venne discusso in parlamento la creazione di un istituto assicurativo di stato. Dopo le prime opposizioni dei fanatici liberisti, Giolitti decise di dare tempo alle società private di liquidare la clientela, mantenendo un tetto massimo di spese per i clienti e nello stesso tempo diede il via al nuovo istituto nazionale per le assicurazioni.

PROBLEMI IRRISOLTI DEL GOVERNO GIOLITTI

1. Italia era e rimaneva comunque un paese arretrato; 2. analfabetismo 50% in Sicilia, Calabria, Basilicata; 3. tubercolosi e malaria nelle campagne; 4. disoccupazione e miseria, specie nel sud; l’Italia era classificato tra i più arretrati d’Europa.

POLITICA INTERNA: estensione del diritto al voto 30 giugno 1912 una nuova legge ammetteva al voto tutti i cittadini di sesso maschile di 21 anni compiti in grado di leggere e scrivere; o di 30 anni se analfabeti e non chiamati sotto le armi. La prima applicazione di tale legge fu nel 1913 a causa della guerra in Libia. LE CRITICHE SULL’AZIONE POLITICA DI GIOLITTI:

1) corruzione del corpo elettorale (Giolitti pur di riuscire a dominare la scena politica non rinunciò a destreggiarsi fra gli opposti partiti, appoggiando ora uno ora l’altro).

2) Intimidazione e corruzione del corpo elettorale avvalendosi dei prefetti e della polizia, per eliminare scomodi avversari e per poter così creare una camera di deputati tutti “giolittiani di ferro” e come tale disposti ad obbedirgli fedelmente.

3) Il pesante clientelismo e il centralismo burocratico dei metodi elettorali furono oltremodo eccessivi nel mezzogiorno, tali abusi vennero denunciati dallo storico e socialista e meridionalista Gaetano Salvemini (1873 – 1957) che definì Giolitti “ministro della malavita”.

Nonostante le accuse e le critiche e il governo giolittiano godette di stabilità, che consentì di : 1) accogliere alcuni punti del programma socialista e di placare l’ala

estremista;

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2) di dimostrare alla borghesia che il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori coincideva con un deciso progresso di tutto il paese, quindi un vantaggio per il sistema produttivo e per lo stato.

GLI ACCORDI GIOLITTIANI:

1) accordo con il PARTITO SOCIALISTA, in questo modo agganciando le forze di sinistra popolare al governo, le spingeva alla collaborazione e le allontanava dalle rivoluzioni. Nel 1903 Giolitti offrì a Filippo Turati l’invito ad entrare nel suo primo governo, ma non fu un successo. Tra il 15 e il 20 settembre 1904 ci fu il I° SCIOPERO GENERALE (della storia italiana) e nuove elezioni, portarono un indebolimento dell’estrema sinistra, il partito socialista si avvicinò alla politica di giolitti (senza però mai arrivare ad un a concreta collaborazione di governo).

2) PATTO GENTILONI (1913) stipulato con il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, in base al quale i cattolici si impegnavano a sostenere l’elezione dei deputati liberali, ottenendo in cambio l’abbandono della politica anticlericale. Tale avvenimento segnò di fatto il rientro dei cattolici nella vita politica italiana (dopo il 1870)3.

I PARTITI CATTOLICI: a) Romolo Murri (1870 – 1944) democrazia cristiana italiana (1900 - 1901), un movimento che non divenne mai un vero partito. Il Murri mirò ad una possibile conciliazione tra democrazia e religione, tra socialismo e dottrina sociale della chiesa. Questo movimento non trovò il consenso né di Leone XIII né di Pio X e Murri entrò in contrasto con la chiesa cattolica, fu eletto deputato nel 1904 con l’appoggio radicale e socialista e fu sospeso a “a divinis” cioè dall’esercizio sacerdotale, nel 1907 e poi scomunicato nel 1909. b) DON LUIGI STURZO (Sicilia 1871 – 1959) l’idea era quella di un partito laico- cristiano, a carattere democratico e popolare, autonomo dall’autorità ecclesiastica. Invitava i cattolici ad inserirsi solo nelle amministrazioni locali e a creare convergenze politiche a livello comunale. c) Guido Mignoli (1879- 1954) movimento sindacale di ispirazione cattolica: «leghe bianche» che operavano nelle campagne attraverso l’organizzazione di casse rurali e associazioni contadine. POLITICA ESTERA: Il cambiamento di indirizzo fu ancora più incisivo che in politica interna. 3 20 settembre 1870: le truppe italiane entrano a Roma e in seguito il plebiscito proclamava Roma capitale, con

grande disappunto del pontefice Pio IX, che rinchiusosi volontariamente nei palazzi del Vaticano, lancia nel 1874 il

decreto del «non expedit» impedendo a tutti i cattolici di intervenire e di partecipare alla vita politica dello stato

italiano. In seguito Pio X (1903-1914) convinto dalla presenza atea e anticlericale del partito socialista, decise di

attenuate l’intransigenza vaticana nei riguardi del regno di Italia, ammettendo la possibilità di una partecipazione di

cattolici alle elezioni politiche. Infatti alle elezioni indette subito dopo lo sciopero generale, il papa concesse ad alcuni

candidati di farsi eleggere nelle liste elettorali come cattolici deputati sottolineando la scelta puramente personale e

non vincolante la chiesa.

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Periodo precedente a Giolitti (nota storica): il governo italiano era convito che tutti i problemi di politica estera si potevano risolvere con il patto della TRIPLICE ALLEANZA (Italia, Germania e Austria). Infatti l’Italia si era avventurata in Africa causando però l’ostilità della Francia e dell’Inghilterra. Nella sconfitta di Adua (1 marzo 1896) l’Italia si rese conto dell’importanza dell’appoggio delle due potenze europee che avevano forti interessi da difendere i quel territorio. POLITICA GIOLITTIANA: Giolitti comprese l’importanza dei rapporti con Francia e Gran Bretagna, così indirizzò il suo impegno politico e diplomatico nell’avvicinamento a queste due nazioni e a considerare la triplice alleanza con un patto puramente difensivo. Concordò con la Francia una pace e un’espansione francese nel Marocco in cambio di penetrare in Tripolitania e Cirenaica. Accordi simili furono presi con Inghilterra e Russia. L’Italia così si trovava in una posizione moderatrice tra Austria e Germanica da una parte e Inghilterra e Francia e Russia dall’altra. LA GUERRA LIBICA (1911-1912): i preparativi iniziarono nel 1911. I sostenitori furono i seguaci del nuovo partito nazionalista4 ad opera di Enrico Corradini (1865 – 1931). Anche Giolitti (poco favorevole alla guerra) alla fine si mostrò favorevole a questo intervento per ragioni di equilibrio europeo e mediterraneo, e di prestigio per l’Italia. Così l’Italia entrò in guerra insieme alla Francia.

a) SBARCO A TRIPOLI 29 settembre 1911 col pretesto di alcuni incidenti a danno di italiani, venne dichiarata guerra alla Turchia. Il corpo di spedizione era guidato dal generale Carlo Caneva (1845 – 1922), che occupò tutta la fascia costiera fino a Tobruk, vincendo a Ain Zara. La conquista dell’interno fu assai difficoltosa.

b) ATTACCO ALLA TURCHIA maggio 1912 un corpo di spedizione occupò Rodi e le isole del Dodcanneso, mentre Enrico Millo con 5 torpediniere nella notte tra il 18 e il 19 luglio penetrava nello stretto dei Dardanelli.

c) PACE DI LOSANNA 18 ottobre 1912 il sultano chiese l’armistizio e si firmò la pace di Losanna (svizzera), che sancì: il possesso all’Italia della Tripolitania e della Cirenaica, del Dodecaneso.

Le conseguenze: 1) comunque questa conquista non portò i vantaggi

sperati, il territorio era desertico e i giacimenti di petrolio verranno scoperti solamente nel 1952, successivamente all’indipendenza del paese.

4 Nazionalismo: sorto nell’ultimo trentennio del XIX sec in Europa, avverso ad ogni tendenza pacifista e favorevole alla

forza militare contro ogni ideale di buona convivenza fra i popoli.

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2) L’impresa libica incoraggiò il bellicismo e il desiderio di azione dei nazionalisti che si proposero sempre più al governo.

3) Spaccatura all’interno del partito socialista tra i riformisti (che approvavano il conflitto) e la maggioranza (che era stata contro la guerra).

↓ SCISSIONE DEL PARTITO SOCIALISTA

La spaccatura divenne irreparabile, quando nel 1912 il congresso di Reggio Emilia espulse dal partito Leonida Bissolati e Ivanoe Bonomi (riformisti) a favore della guerra in Libia. Bissolati e Bonomi crearono il partito socialista riformista italiano. Gli altri riformisti guidati da Filippo turati rimasero al PSI diretto da Benito Mussolini (1883-1945). Essi rappresentavano l’ala più intransigente del partito. Crisi della politica giolittiana: questi mutamenti spinsero giolitti a cercare nuove alleanze (vedi patto Gentiloni), ma la sua leadership cominciò ad indebolirsi, così nel marzo 1914 cedette il posto ad Antonio Salandra (1853 – 1931) un conservatore che adottò un atteggiamento fermo e risoluto nei confronti del movimento operaio. Ma la reazione popolare fu immediata, in particolare in Romagna, dove scoppiarono violente dimostrazioni e sommosse. Le lotte capeggiate da Benito Mussolini, allora direttore dell’«AVANTI», (il quotidiano dei socialisti) dagli anarchici e dai repubblicani, furono facilmente represse dall’esercito nel corso della cosiddetta SETTIMANA ROSSA (7 – 13 giungo 1914), durante la quale si ebbe lo sciopero generale su base nazionale.

Mappa concettuale

ETÀ DI GIOLITTI

dal 1903 al 1914 realizza

RIFORME SOCIALI legislazione sociale

commissariato per

l’emigrazione

consiglio nazionale del lavoro

CONQUISTA DELLA LIBIA

favorita da motivi economici, sociali e

ideologici

1911 guerra all’impero ottomano

1912 pace di Losanna

SUFFRAGIO UNIVERSALE MASCHILE

diritto al voto agli uomini alfabeti di

21 anni

diritto voto per tutti gli uomini oltre i 30 anni

ACCORDO CON I CATTOLICI

PATTO GENTILONI tra cattolici e liberali

ingresso dei

cattolici nella vita politica

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U.D. 2_ LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Verso la prima guerra mondiale Il primo quindicennio del XX secolo fu un periodo di progresso industriale. Esso nascondeva tuttavia, sia sul piano delle rivendicazioni nazionalistiche, sia su quello delle istanze sociali, notevoli contraddizioni. I due blocchi in cui erano divise le maggiori potenze europee, la TRIPLICE ALLEANZA e la TRIPLICE INTESA, erano al loro interno lacerate da contrasti. L'elemento di maggior attrito per la pace era costituito dalla rivalità tra GERMANIA E FRANCIA. La situazione tra i due paesi fu peggiorata dagli atteggiamenti intimidatori di Guglielmo II, soprattutto in occasione del tentativo francese di assicurarsi il protettorato sul Marocco. Nel 1905 e nel 1911, le due nazioni europee furono vicine allo scontro, ma grazie all'intervento delle diplomazie europee la tragedia fu evitata. La Francia ottenne il protettorato sul Marocco e diede in cambio alla Germania una parte del Congo. Altra zona estremamente delicata erano i BALCANI, dove i popoli slavi sottomessi all'Austria aspiravano all'indipendenza e chiedevano l'appoggio della Russia, il maggiore Stato slavo, tradizionalmente interessata a inserirsi nei Balcani. Quando nel 1908 l'Austria decise di annettere la Bosnia e l'Erzegovina, molte nazioni europee protestarono ma senza risultato. La tensione esplose in occasione della guerra italo-turca per il possesso della Libia e la Turchia perse nella PRIMA GUERRA BALCANICA quasi tutti i possedimenti europei. La spartizione di questi territori portò alla SECONDA GUERRA BALCANICA: la Bulgaria, sostenuta diplomaticamente dall'Austria, fu sconfitta dalla Serbia, forte dell'appoggio della Russia, e dovette cedere numerosi territori. L'Austria, uscita così sconfitta, attendeva l'occasione di rifarsi contro i Serbi e da questo contrasto doveva nascere la scintilla della prima guerra mondiale. La prima guerra mondiale L’occasione non tardò a presentarsi, quando in una strada di Sarajevo, capitale della Bosnia, il 28 GIUGNO 1914 l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria insieme alla moglie Sofia, fu assassinato da uno studente nazionalista serbo, Gavrilo Princip (affiliato all’organizzazione segreta la “mano nera” protetta dal governo di Belgrado).

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L’accaduto costituì il pretesto per la dichiarazione di guerra dell'Austria alla Serbia. Si metteva così in moto il meccanismo delle alleanze che dava alla guerra dimensioni europee e mondiali: da una parte le POTENZE DELL'INTESA (Russia, Francia, Inghilterra, presto affiancate dal Giappone e poi dalla Romania), dall'altra gli IMPERI CENTRALI (Austria-Ungheria e la Germania, cui si aggiunsero l'impero ottomano e la Bulgaria). L'Italia, poiché l'Austria non aveva tenuto conto di alcune clausole della Triplice Alleanza, si mantenne neutrale. Le operazioni belliche iniziarono (2 agosto 1914) con una travolgente manovra dell'esercito tedesco che, incassato il rifiuto da parte della Russia e da parte della Francia di smobilitare i rispettivi eserciti, invase il Lussemburgo e spezzata la resistenza del Belgio5, penetrò in territorio francese (4 agosto). L’Inghilterra preoccupata della presenza della Germania nella Manica, dichiarò guerra alla Germania (4 agosto) e inviò un corpo di spedizioni in aiuto dei francesi. Alcuni giorni dopo anche il Giappone entra in guerra contro la Germania, attaccando i possedimenti tedeschi nel pacifico, mentre la Turchia scendeva in campo a fianco di Germania e Austria, bloccando lo stretto dei Dardanelli alle navi russe. Era opinion e comune che la Germania avrebbe vinto la guerra in tempi brevissimi (guerra lampo) e che annientatela truppe francesi sul fronte occidentale, non le rimaneva che la Russia sul fronte orientale. Sul fronte orientale i russi, grazie alla schiacciante superiorità numerica, riuscirono in un primo momento a penetrare in Prussia, ma subirono due sconfitte nelle battaglie di TANNENBERG (27 – 30 agosto ’14) e dei LAGHI MASURI (8 – 10 settembre 1914), e si dovette ritirare in posizione difensiva. Sul fonte occidentale i tedeschi arrivarono sino a 40 km da Parigi , qui però furono fermati nella drammatica BATTAGLIA DELLA MARNA (5- 12 settembre), da questo momento in poi la “guerra di movimento” si trasformò in una incessante e logorante “guerra di posizione” ovvero di trincea. L’Italia non era scesa in campo a fianco della triplice alleanza, in quanto l’azione bellica voluta dall’Austria e appoggiata dalla Germania, non era stata sottoposto al giudizio italiano, inoltre una clausola del contratto recitava chiaramente che l’Italia sarebbe entrata in guerra a fianco degli imperi centrali qualora essi fossero stati attaccati e non il contrario. Inoltre quasi tutta al popolazione italiana era contraria al conflitto, e ricordiamo inoltre che il nostro paese non era ben equipaggiato per sostenere un così grande sforzo bellico. Col passare dei mesi però nell’opinione pubblica si divise in due schieramenti: Neutralisti e Interventisti. I NEUTRALISTI erano quasi tutti socialisti, la maggioranza dei cattolici e i liberali giolittiani. 5 Si ricorda che il Belgio era neutrale.

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I socialisti: era convinti che ogni guerra fosse contraria agli interessi del proletariato che stava muovendo i primi passi per migliorare la propria condizione sociale; i cattolici: erano animati da motivi umanitari ed erano turbati dalla lotta scatenatasi tra poli che avevano una stessa fede religiosa; i liberali giolittiani: temevano che lo sforzo bellico avrebbe messo in crisi la fragile economia del paese, sconvolgendo gli equilibri politici faticosamente raggiunti.

Gli INTERVENTISTI , invece, erano nazionalisti, i sindacalisti rivoluzionari, gli irredentisti. I nazionalisti: consideravano la guerra un occasione per consolidare la potenza dell’Italia sul piano internazionale. La guerra si sarebbe dovuta combattere contro la Francia per strapparle Nizza e Savoia, la Corsica e la Tunisia. Però ben presto questa idea mutò e votarono per combattere contro l’Austria per liberare le terre irredente (Trento e Trieste). I sindacalisti rivoluzionari pensavano che il conflitto avrebbe permesso di ricostruire sulle macerie dello stato liberale un nuovo ordine basato sull’uguaglianza e sul potere delle masse operaie. Gli irredentisti: vedevano nella guerra contro l’Austria e la liberazione di Trento e Trieste il completamento del risorgimento. Fra questi spiccava Benito Mussolini, che inizialmente neutralista, convertitosi al più acceso nazionalismo (proprio per questo fu espulso da partito socialista) considerava la guerra il miglior modo per sovvertire gli equilibri politici esistenti in Italia. Mentre infuriava la disputa tra interventisti e neutralisti il governo italiano conduceva diplomaticamente delle trattative sia con gli imperi centrali che con la triplice intesa. Le richiesta dell’Italia riguardavano soprattutto il trentino e la Venezia Giulia , l’egemonia sull’adriatico e l’influenza economica e politica sui Balcani. Fallite le trattative con l’Austria, il 26 aprile 1915 l’Italia stipulò con gli alleati un patto segreto: Il PATTO DI LONDRA6. Per vincere la ritrosia dei neutralisti vennero organizzate manifestazioni di piazza anche piuttosto violente di studenti e ufficiali, ricordate come le radiose giornate di maggio, che indussero il parlamento a votare a favore per l’entrata in guerra. Così il 24 maggio 1915 l’Italia entrava in guerra a fianco dell’Intesa. L’Austria dovette aprire un nuovo fronte sulle alpi per difendersi dall’Italia. Il comandante delle nostre truppe Luigi Cadorna ordinò ben 4 offensive lungo il fiume Isonzo e sull’alto piano del Carso, ma i risultati furono assai modesti e la guerra divento di posizione.

6 L’intesa prevedeva l’entrata in guerra del nostro pese entro un mese e in cambio, in caso di vittoria la restituzione

delle terre irredente e dell’altro Adige. In più si sperava nella conquista di alcune sponde dell’adriatico e qualche

colonia tedesca.

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Nel 1916, mentre nei Balcani si assisteva al crollo della Serbia e alla quasi completa invasione della Romania, sul fronte russo le sorti della guerra erano alterne. Sul fronte occidentale si registrò una dura offensiva degli imperi centrali: in Francia l'iniziativa tedesca portò alla sanguinosa battaglia di Verdun, ma i francesi riuscirono a sferrare una forte controffensiva nella Battaglia del fiume Somme, impiegando per la prima volta i carri armati. In Trentino l'esercito italiano riuscì a stento a bloccare la "spedizione punitiva" degli Austriaci, passando però poi alla controffensiva e liberando Gorizia. Alla guerra terreste si era aggiunta intanto anche la guerra sui mari. Nel 1917 il tentativo della Germania di spezzare il BLOCCO NAVALE inglese scatenando una guerra sottomarina illimitata, provocò l'intervento degli USA7 a fianco dell'Intesa. Questo intervento non diede vantaggi militari immediati, e anzi la situazione dell'Intesa si aggravò in seguito alla defezione della Russia, che fu costretta dallo scoppio della RIVOLUZIONE DEL FEBBRAIO DEL 1917 a uscire dal conflitto. L’esempio degli stati uniti fu seguito anche dalla Grecia, che scese in guerra a fianco degli alleati. Ciò permise agli imperi centrali di portare rinforzi sul fronte occidentale, e di ottenere importanti successi. In Italia, gli Austro-Tedeschi sfondavano a Caporetto (24 – 29 ottobre 1917), costringendo le nostre truppe a ritirarsi fino al Piave. La sconfitta portò alla sostituzione del generale Cadorna con il generale Diaz al comando supremo e venne nominato un governo di unità nazionale, presieduto da Vittorio Emanuele Orlando. In Francia, i tedeschi giunsero a minacciare Parigi. Ma gli imperi centrali erano ormai stremati e il massiccio arrivo in Europa delle truppe americane contribuì a rovesciare la situazione, tanto che poterono respingere i tedeschi nella controffensiva della Argonne, al di là del Reno. Un anno dopo la disfatta di Caporetto, con la battaglia VITTORIOSA DI VITTORIO VENETO, l'Italia costringeva alla resa l'Austria-Ungheria (4 novembre 1918): l'impero asburgico si dissolse. Anche in Germania una rivoluzione portò alla fuga di Guglielmo II e alla proclamazione della repubblica, la quale, l'11 novembre, firmò l'armistizio. Alla CONFERENZA DELLA PACE (PARIGI 1919-20) si scontrarono la politica del presidente degli USA, Wilson, il quale chiedeva giuste condizioni di pace, ispirate al principio dell'autodeterminazione dei popoli (14 punti), e la politica di potenza di Inghilterra, Francia e Italia. Il TRATTATO DI VERSAILLES impose alla Germania oppressive condizioni di pace (perdita di alcuni territori nazionali e delle colonie; riduzione dell'esercito e della produzione bellica).

7 Nella battaglia sottomarina, venne affondato un transatlantico inglese, il Lusitana, con circa 1200 passeggeri, 128 dei

quali era americani, suscitando l’indignazione e lo sgomento degli USA. Quando poi, nel 1917 vennero affondati 3

mercantili statunitensi , il presidente americano Woodrow Wilson indusse il congresso a dichiarare guerra angli imperi

centrali.

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Con il trattato di SAINT-GERMAIN l'Austria fu ridotta a una piccola repubblica e dovette cedere l'Alto Adige, il Trentino, Trieste e l'Istria all'Italia. L'Ungheria fu dichiarata regno autonomo. Nacquero dalla spartizione dei territori austro-ungarici e dai territori strappati alla Russia la repubblica di Polonia, la repubblica della Cecoslovacchia, il regno di Jugoslavia, il regno di Albania e le repubbliche della Lituania, dell'Estonia, della Lettonia e della Finla La rivolta di Pietroburgo e l’inizio della Rivoluzione di Febbraio La partecipazione della Russia alla I guerra mondiale aveva fatto emergere antiche e recenti contraddizioni. Gli insuccessi militari, la scarsezza di viveri, i molti sacrifici imposti alla popolazione e ai soldati al fronte, determinarono un profondo malessere ed una avversione verso il regime zarista. Durante l’inverno del 1917 nelle principali città russe si verificarono scioperi e disordini. Numerosi reparti dell’esercito, inviati per ristabilire l’ordine, si ammutinarono e fecero causa comune con i manifestanti. A Pietroburgo, la capitale della Russia, il 7 marzo (22 FEBBRAIO secondo il calendario russo, da cui il nome di RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO) operai e soldati insorsero e si impadronirono della città: furono liberati i prigionieri politici e fu costituito il SOVIET DEI LAVORATORI e dei soldati, una sorta di Parlamento proletario che divenne un «contropotere» rispetto al governo. Sull’esempio di Pietroburgo insorsero anche altre città e si formò così un governo provvisorio presieduto dal principe Georgy L’vov. Il 16 marzo lo zar Nicola II fu costretto ad abdicare in favore del fratello Michele, che però rifiutò, determinando di fatto la fine della monarchia. Nonostante le tensioni e le gravi difficoltà del paese, il governo decise di continuare la guerra a fianco dell’Intesa e contro gli imperi centrali. Intanto rientrava in Russia dalla Svizzera, dopo l’esilio forzato a seguito del fallito tentativo rivoluzionario del 1905, Lenin. Lenin indusse i bolscevichi a condurre una forte opposizione contro il governo liberal-democratico. Nelle sue cosiddette «tedi di aprile» presentate al partito bolscevico, di cui assunse la guida, reclamò l’immediata cessazione della guerra, la destituzione del governo e il passaggio di tutto il potere ai soviet., considerati l’unica espressione legittima della volontà popolare.

A seguito di una fallita controffensiva sferrata dall’esercito russo in Galizia, scoppiare manifestazioni popolari contro la guerra. Il governo attribuì la responsabilità di tali episodi al partito bolscevico e ai suoi dirigenti e Lenin dovette riparare in Finlandia, mentre altri suoi collaboratori finivano in carcere.

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A seguito di ciò L’vov si dimise e subentrò Aleksander Kerenskij, un socialista rivoluzionario. La debolezza della del nuovo esecutivo si mostrò subito, quando il generale Kornilov tentò un colpo di stato, sventato dai bolscevichi e dai soviet.

La rivoluzione d’ottobre e la nascita dell’Urss Rientrato a Pietroburgo dalla Finlandia, Lenin e i suoi godevano di un consenso assai ampio. A questo punti i bolscevichi decisero di passare all’azione. Nella notte tra il 24 E IL 25 OTTOBRE 1917 (6-7 novembre secondo il calendario occidentale), le guardie rosse guidate da Lev Davidovic TROCKIJ, che aveva organizzato le forze armate dell’armata Rossa, assunsero il controllo di Pietroburgo, dopo aver conquistato il PALAZZO D’INVERNO, sede del governo. Krenskij fuggì e i potere fu assunto da un consiglio dei commissari del popolo, presieduto da Lenin, che proclamò la nascita della Repubblica sovietica (26 ottobre 1917). Il congresso dei Soviet, immediatamente convocato, approvò poi tre decreti preparati da Lenin:

* trattative di pace con la Germania; *Confisca e distribuzione ai soviet dei contadini delle terre appartenute ai grandi proprietari e alla monarchia; * Formazione di un governo provvisorio di bolscevichi.

Nel mesi successivi venne stabilito per legge il controllo operaio sulle fabbriche, che preludeva al loro esproprio, e fu decretata la nazionalizzazione delle banche, che divennero così di proprietà statale. Il 25 novembre 1917 si svolsero le lezioni per l’ASSEMBLEA COSTITUENTE, che avrebbero dovuto redigere la COSTITUZIONE DEL NUOVO STATO BOLSCEVICO. La maggioranza assoluta fu conquistata dai socialisti rivoluzionari, i quali ottennero il 65% dei voti, mentre i bolscevichi conseguirono soltanto il 25% dei voti. L’assemblea costituente si riunì per la prima volta il 18 gennaio 1918, ma il giorno successivo il congresso dei Soviet controllato dai bolscevichi, e il governo, presieduto da Lenin la sciolsero con il pretesto che essa non rappresentata l’autentica volontà del popolare. Con questo atto arbitrario Lenin assunse il potere e diede vita alla dittatura del proletariato, caratterizzata dalla sospensione delle libertà civili e politiche tipiche delle democrazie liberali (pluralismo politico, libertà di pensiero e di stampa, libere elezioni). Il 3 MARZO 1918 la Russia firmò con gli imperi centrali la pace di BREST-LITOVSK, con la quale perse l’Ucraina, Polonia, Lettonia, Estonia, Lituania e Finlandia, paesi ai quali venne riconosciuta l’indipendenza, nonché alcuni territori del Caucaso a favore della Turchia. Le umilianti condizioni di pace scatenarono una rivolta opposizione contro il governo e favorirono la ripresa delle forze conservatrici e

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antirivoluzionarie, rimate marginate dalla rapida affermazione dei bolscevichi nell’autunno del 1917. Nella prima vera del 1918 si verificarono parecchi episodi insurrezionali contro il regime bolscevico. Le potenze occidentali, inoltre, contribuirono alla creazione di eserciti controrivoluzionari in Siberia, sul Volga, in ucraina e sul baltico. Si trattava della cosiddetta Armata Bianca, formata da truppe e ufficiai dello zar, che riuscì tra il 1918 e il 1919 a controllare vasti territori in cui vennero istituiti governi provvisori. All’ARMATA BIANCA si oppose L’ARMATA ROSSA, guidata da Ttrockij, e fu la GUERRA CIVILE. durante la sanguinosa guerra civile (1918 – 1921) il governo per assicurare viveri e rifornimenti all’esercito adottò una politica assai drastica in campo economico, indicate con il nome di Comunismo di Guerra: l’industria fu nazionalizzata e sottoposta al controllo statale, la produzione agricola fu requisita, i generi alimentari razionalizzati. Il 16 luglio 1918 lo zar Nicola II e la sua famiglia, tenuti prigionieri in una cittadina degli urali, vennero uccisi dalle guardie rosse per timore che potessero essere liberati dall’armata bianca. La guerra divenne sempre più spietata e per sottolineare il distacco del governo bolscevico dal regime zarista venne scelta Mosca come capitale. Alla conclusione della guerra civile, che vide la vittoria dell’armata rossa, si era ormai costituito un regime dittatoriale rigidamente controllato dal partito comunista. Per uscire dalla pericolosa situazione venutasi a creare, nel marzo 1921 i dirigenti comunisti decisero di abbandonare il «comunismo di guerra» e di avviare la Nuova politica economica (NEP), il cui scopo era quello di favorire la ripresa della produzione agricola e industriale. Con questo obiettivo venne deciso di:

* liberalizzare il commercio dei prodotti agricoli; * promuovere lo sviluppo della piccola industria privata; * agevolare la nascita di aziende commerciali private.

La nuova politica ebbe effetti sostanzialmente positivi, che portò il paese ad una progressiva ripresa. Il 30 dicembre 1922 il nuovo stato, nato dalla rivoluzione d’ottobre assunse il nome di Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss). Il partito comunista bolscevico prese il nome di Partito comunista dell’unione sovietica (Pcus) e fu l’unica organizzazione politica riconosciuta nel paese. La Russia intanto era uscita dall’isolamento internazionale in seguito a un trattato stipulato con la Germania e, nel 1924, ottenne il riconoscimento ufficiale anche dall’Inghilterra, dell’Italia e della Francia. Nel 1924 avvenne la morte di Stalin e si aprì la latta per la successione ai vertici dello stato e del partito comunista. Lo scontro contrappose Trockij e Stalin. Trockij sosteneva la necessità di una rivoluzione permanente, alla

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quale la nuova nazione russa avrebbe dovuto dedicare tutte le sue energie per la formazione di nuovi stati comunisti; Stalin voleva rafforzare il socialismo in un solo paese, l’unione sovietica, escludendo al meno per il momento la possibilità di esportare la rivoluzione. La vittoria fu di Stalin, che costrinse all’esilio Trockij. Quest’ultimo portò avanti una politica di opposizione alla politica di Stalin, fino a quando non venne assassinato in Messico nel 1940, da un sicario del partito bolscevico. La NEP aveva data benefici solo in parte, perché color che ne trassero maggiormente profitto furono i KULAKI (i proprietari agricoli agiati). Così Stalin impose allora nel 1928, una politica economica pianificata, posta sotto il controllo del governo e del partito. Questa nuova politica si caratterizzò per: - l’industrializzazione accelerata; il sostegno privilegiato all’industria pesante; la collettivizzazione di tutte le terre; la progressiva scomparsa del commercio e della piccola industria. Vennero infatti stabiliti i piani quinquennali con obiettivi minimi da raggiungere sia nel settore agricolo che in quello industriale. I risultati ottenuti con i primi due pian i quinquennali (1928 - 1938) furono spettacolari: L’URSS divenne la prima produttrice di acciaio nel mondo e la seconda di petrolio. Già nel 1932 la disoccupazione era scomparsa e nel 1940 le fabbriche assicuravano il lavoro a 32 milioni di operai, contro i 7 milioni dell’anteguerra. L’attuazione dei piani quinquennali in agricoltura portò all’eliminazione fisica dei Kulaki che si opponevano alla confisca dei terreni. In sostituzione vennero create cooperative agricole, i KOLCHOZ (imprese agricole statali) e i SOVCHOZ nelle quali i contadini lavoravano alle dirette dipendenze dello stato. Queste due soluzioni avrebbero dovuto risollevare la situazione del paese, ma non fu così perché le difficoltà incontrate nella distribuzione dei prodotti e il malcontento dei contadini, che si erano opposti alla collettivizzazione, provocarono un continuo peggioramento dei raccolti e una costante penuria di generi alimentari. Stalin nel corso degli anni ’30 concentrò nelle sue mani il potere assoluto e indiscusso, fondato sul culto della persona. Non mancavano dissensi e oppositori, e Stalin nel 1934 prendendo a preteso l’uccisione di uno dei suoi più stretti collaboratori, scatenò una campagna persecutoria contro ogni forma di opposizione al regime. Una lunga serie di processi politici , nel quali gli imputati erano costretti a umilianti confessioni di colpe mai commesse, permise al dittatore di condannare a morte o di deportare in Siberia, nei campi di lavoro forzato Gulag centinaia di dissidenti. Con le GRANDI PURGHE (le brutali eliminazioni) Stalin rinnovò radicalmente la classe dirigente del partito comunista, dello stato e dell’esercito, imponendo personaggi a lui fedeli e ottenendo così il dominio assoluto sul paese.

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Mod._2 I REGIMI TOTALITARI TRA LE DUE GUERRE

U.D. 1_ L’Italia nel I dopoguerra e la nascita del partito fascista

L’Italia era uscita stremata dalla prima guerra mondiale, sia economicamente, che socialmente. L’industria, che era stata convertita per la produzione bellica, durante il conflitto, doveva, adesso essere nuovamente riconvertita alla produzione di pace. L’aumento dei salari e degli stipendi era inferiore all’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Le risorse dello Stato erano insufficienti per cercare di assorbire la disoccupazione (opere pubbliche etc..) e di occuparsi di assistenza sociale (mutilati, vedove, orfani etc..). Nel paese si diffuse, di conseguenza, un grande disagio e malcontento, che coinvolgeva tutti gli strati della società. La grande borghesia era preoccupata per la crescita della forza politica e sindacale del movimento operaio; i proprietari terrieri erano allarmati per le rivendicazioni dei braccianti, sostenute soprattuto dai socialisti; i ceti medi erano delusi per i risultati della vittoria e amareggiati per il declino del loro prestigio sociale; la classe operaia, infervorata dalle conquiste della Rivoluzione russa, reclamavano maggiore potere nelle fabbriche e manifestava tendenze rivoluzionarie; i contadini, tornati dal fronte, chiedevano l’assegnazione delle terre demaniali e dei latifondi incolti, così come era stato loro promesso dai loro comandanti nei moneti difficile della guerra. Questa situazione avrebbe richiesto polso, attenzione ed iniziativa dalle autorità statali, che avrebbero dovuto guidare il paese verso la ripresa e mantenere il controllo del governo attraverso misure e provvedimenti incisivi; ma ispirandosi ad una politica accomandante del passato, dimostrarono inadeguatezza assoluta verso i problemi in cui versava il paese. La vittoria non aveva portato i risultati che la classe dirigente liberale e i nazionalisti si attendevano. Pur avendo ottenuto il Trentino e l’Alto Adige, Trieste e l’Istria, ciò che più pesava era la mancata espansione dell’Italia nei Balcani e l’esclusione del nostro paese dalla spartizione delle ex colonie tedesche. Ma il malessere e lo scontento era alimentato anche dai discorsi dei nazionalisti che avversavano il sistema parlamentare e i valori della democrazia, accusando, inoltre, i “corrotti politicanti” di aver

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svenduto i diritti dell’Italia durante le trattative di pace. Da questo stato di delusione e smarrimento sorse e si diffuse il mito della “vittoria mutilata”, della patria tradita, un mito abilmente sfruttato da Mussolini e dai suoi seguaci per portare aventi e legittimare il loro disegno autoritario. La conseguenza di questo sentimento di rivalsa e di insoddisfazione fu l’occupazione di Fiume da parte del poeta Gabriele D’annunzio, che vi creò un governo provvisorio e ne proclamò l’annessione all’Italia. L’avventura durò un anno, quando il governo italiano si accordò con quello jugoslavo (trattato di Rapallo) sulla costituzione della Stato libero di Fiume. La questione fu regolata con il trattato di Roma (gennaio 1924): l’Italia conservava l’Istria e la città di Zara e si annetteva Fiume, mentre la Iugoslavia otteneva come compenso alcuni territori istriani e la Dalmazia. Nel 1919 ci furono le elezioni con le quali la composizione del parlamento fu completamente rinnovata. I liberali persero parecchi voti e per la prima volta persero la maggioranza assoluta; il partito socialista si affermò come primo partito italiano, conquistando il 32% dei voti; notevole consenso ottenne anche il partito popolare di don Luigi Sturzo, che ottenne il 20,6 %. Ma i tre maggiori gruppi parlamentari esprimevano idee politiche profondamente diverse.

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U.D. 2_ Il fascismo

Infatti, in un duro discorso tenuto alla camera dei deputati il 3 gennaio 1925, il dittatore si assunse la responsabilità di tutto ciò che era accaduto. L’opposizione tacque allibita, la piazza non si mosse. Aveva inizio così il REGIME FASCISTA, destinato a durare vent’anni. Nei mesi successivi il governo emanò una serie di leggi eccezionali ovvero fascistissime (1925–1926) che cancellarono definitivamente lo Stato liberale:

furono rafforzati i poteri del capo del governo; il Parlamento fu completamente esautorato e l’opposizione

parlamentare venne eliminata; furono sciolti i partiti, soppresso il diritto di sciopero, dichiarate

illegali le organizzazioni sindacali, tranne quelle fasciste, le corporazioni, alle quali venne assegnato il compito di promuovere la collaborazione tra datori di lavoro e lavoratori;

la stampa contraria al fascismo fu ridotta al silenzio; i sindaci, la cui carica era ancora elettiva, vennero sostituiti da

podestà nominati dal re su proposta del governo; fu creata la Polizia politica segreta (Ovra) e venne istituito il

Tribunale speciale per giudicare e condannare, ance la pena di morte, coloro che si fossero resi colpevoli di reati contro il regime.

Gli oppositori del fascismo furono condannati al carcere, come Antonio Gramsci; al confino in un’isola o in un luogo lontano, come Sandro Pertini, Carlo Levi, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi; all’esilio come Filippo Turati, Pietro Nenni, Luigi Sturzo, Palmiro Togliatti, riparato a Mosca. Coloro che si rifugiarono in Francia, crearono a Parigi due organizzazioni politiche per favorire il ritorno della democrazia in Italia: La Concentrazione antifascista, fondata dai socialisti e repubblicani e l’associazione Giustizia e Libertà, di ispirazione liberal-socialista. L’azione degli antifascisti ebbe però scarsi effetti e venne sorvegliata costantemente dalla polizia fascista, che organizzò l’assassinio, nel 1937, dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, massimi esponenti di giustizia e Libertà. Il partito comunista, invece, costituì la sua opposizione in clandestinità sin dai primi anni del fascismo, contando su una vasta rete di gruppi operativi, attivi specialmente nelle fabbriche. Nonostante i frequenti arresti, la struttura del partito mantenne una discreta efficienza e si impegnò nel proselitismo e nella diffusione della stampa di opposizione proveniente dall’estero. A partire dal 1925 mutò anche la politica economica del fascismo, che abbandonò l’indirizzo liberista, per orientarsi verso un dirigismo economico in tutti i settori produttivi. Nel 1926 fu lanciata da Mussolini la battaglia del grano, con l’obiettivo di rendere autosufficiente l’Italia nella produzione di cereali, fino ad allora inferiore al fabbisogno nazionale. In seguito a questa campagna la

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produzione aumentò del 50% e le importazioni da 24 milioni di quintali scesero a meno di 8 milioni. Sempre nello stesso anno Mussolini diede vita ad un programma di grandi opere pubbliche (strade, acquedotti, edifici pubblici, impianti sportivi) che rispondeva alla duplice esigenza di creare nuove infrastrutture e di dare lavoro ai disoccupati. Nei primi anni trenta, a seguito del crollo della Borsa8 di New York, il governo concesse sgravi fiscali alle imprese che reinvestivano una parte degli utili nelle aziende, aumentò i dazi sulle importazioni, allo scopo di proteggere la produzione nazionale, favorì le fabbriche italiane nelle forniture allo Stato. Nel 1935 Mussolini lanciò l’autarchia, una politica economica volta a rendere il paese il più possibile autosufficiente in tutti i settori produttivi. Allo scopo di assicurarsi il sostegno degli italiani, Mussolini creò numerose organizzazioni che furono abilmente usate per diffondere la dottrina fascista. Le principali organizzazioni di massa del regime furono:

l’Opera nazionale del dopolavoro, alla quale venne affidato il compito di soddisfare i bisogni ricreativi e culturali di operai, contadini e impiegati;

l’Opera nazionale per la maternità e l’infanzia, che, finanziata con la tassa sul celibato a carico dei cittadini di sesso maschile non sposati, doveva assistere ed aiutare i “figli del popolo”;

l’Opera nazionale Balilla, il cui scopo era quello di educare le nuove generazioni all’obbedienza, alla disciplina e a credere ciecamente nel Duce; i ragazzi furono divisi, a seconda dell’età, in figli della lupa, balilla, avanguardisti e giovani fascisti.

Un’altra novità fu il sabato fascista: le attività lavorative vennero limitate alle ore del mattino, mentre il pomeriggio doveva essere utilizzato per partecipare alle manifestazioni politiche. Mussolini istituì anche il calendario fascista: gli anni furono numerati a partire dal 1922, l’anno I dell’era fascista (in ricordo della marcia su Roma). Il fascio littorio, ripreso dall’antico fascio portato dai littori romani,divenne simbolo ufficiale del regime. I mezzi di comunicazione di massa ebbero un ruolo fondamentale per la diffusione e il rafforzamento del consenso al fascismo. Nel 1927 venne fondato l’Ente italiano audizioni radiofoniche (Eiar), di cui il regime si servì per la propaganda, la diffusione dei discorsi del Duce e la trasmissione di notiziari basati sulle direttive governative. Il cinema fu usato dal fascismo per esaltare il proprio ruolo in Italia e a livello internazionale: l’Istituto Luce, fondato nel 1925, produsse cinegiornali di propaganda, proiettati obbligatoriamente nelle sale 8 Il 23 ottobre 1929 la Borsa di New York, dopo un mese di alti e bassi, crollò sotto il peso delle vendite di

milioni di titoli. Era un mercoledì e il giorno seguente, il giovedì nero, in un clima di panico furono

vendute a prezzi “stracciati” azioni per 13 milioni di dollari. Cominciò così la più grande crisi economica

nella storia del mondo occidentale.

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cinematografiche, che divennero un potente mezzo per rendere popolare la figura e le scelte politiche di Mussolini. Ad ogni modo rimaneva sempre la scuola il principale strumento di indottrinamento, dove le idee fasciste venivano divulgate fin dai primi anni delle elementari attraverso libri di testo unici, preparai da autori assolutamente fedeli al regime. Gli insegnanti di qualunque ordine e grado scolastico, università compresa, erano tenuti a prestare giuramento al fascismo e i pochi che si sottrassero a tale obbligo andarono incontro alla destituzione dal servizio. Mussolini ricercò il consenso anche attraverso una politica sociale che soccorresse le persone in condizioni più disagiate. L’attività sociale del regime si svolse soprattutto attraverso due grandi enti previdenziali:

l’istituto nazionale per la previdenza sociale (Inps), costituito nel 1933 allo scopo di provvedere alle assicurazioni obbligatorie per invalidità, vecchiaia, tubercolosi e disoccupazione involontaria;

l’istituto nazionale per le assicurazioni infortuni sul lavoro (Inail), nato anch’esso nel 1933 per fornire ai lavoratori dipendenti l’erogazione di risarcimenti, pensioni e sussidi in caso d’infortunio o mattina professionale;

l’istituto nazionale assistenza malattie (Inam), costituta nel 1943. Ebbe vasta eco anche il piano di bonifica di aree paludose e malsane, che assicurò la disponibilità di nuovi terreni coltivabili a famiglie di contadini provenienti da zone disagiate del paese. Un innegabile successo del fascismo fu la soluzione della “questione romana”. Essa aveva turbato e diviso il paese sin dal 1870 con la presa di Roma, quando il papa si era rifiutato di riconoscere lo Stato italiano, rivendicando la sopravvivenza dello Stato della Chiesa indipendente e sovrano. Dopo una lunga trattativa diplomatica, Mussolini riuscì l’11 febbraio 1929 a stipulare tra il governo italiano e il pontefice Pio XI i Patti Lateranensi, un’intesa con la quale venne sancita la Conciliazione tra Stato e Chiesa indipendente e sovrano. Con tale accordo il governo italiano riconosceva la totale ed esclusiva sovranità del pontefice sulla Città del Vaticano. Il papa da parte sua riconosceva il regno d’Italia con capitale Roma e rinunciò ad ogni proposito di restaurare lo stato della Chiesa. La conciliazione tra stato e chiesa assicurò la pace religiosa al paese e giovò enormemente al prestigio di mussolini definito da Pio XI l’”uomo della provvidenza”. A partire dal 1932 Mussolini assunse personalmente la guida del ministero degli esteri. Il disegno strategico era quello di porre l’Italia allo stesso livello della Francia e dell’Inghilterra e di costruire, insieme alla Germania un gruppo di potenze che avrebbero dovuto esercitare un controllo congiunto sull’Europa sul mondo coloniale. Nel gennaio del 1935, attraverso un accordo segreto, la Francia, accordatasi con l’Italia, contro la Germania guidata e comandata da Hitler,

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diede via libera alla conquista dell’Etiopia, l’unico paese africano, insieme alla Liberia, ancora indipendente. La conquista dell’Etiopia era di grande interesse per Mussolini, per diverse ragioni: conquistando la regione avrebbe risolto in parte il problema della materie prime, avrebbe legato ancor di più il popolo al fascismo, poiché quasi tutti erano conviti che l’Italia meritasse un posto al sole e che doveva portare la luce ad un paese arretrato; avrebbe consentito di poter trasferire in quel luogo i fascisti più agguerriti e rivoluzionari, che destavano qualche preoccupazione al regime; avrebbe fornito all’Italia un’immagine forte e degna di rispetto agli occhi dell’Europa intera. Così prendendo a pretesto alcuni sconti di modesta entità avvenuti a Ual-ual per il controllo di 359 pozzi d’acqua, mussolini considerò l’incidente come una deliberata aggressione da parte di Addis Abeba e ordinò l’invasione dell’Etiopia (1935). Dopo alcune difficoltà iniziali, le operazioni militari procedettero rapidamente, condotte sul fronte settentrionale dal generale Badoglio e sul fronte somalo dal generale Graziani. Il 5 maggio 1936 Badoglio entrò in Addis Abeba. Il 9 maggio Mussolini, dal balcone di Palazzo Venezia, annunciò alla popolazione e al mondo intero la vittoria. Nel 1939 l’esercito italiano attaccò poi l’Albania, che fu conquistata in una settimana. Il re Zogu dovette fuggire e Vittorio Emanuele III, divenne anche re d’Albania, oltre che d’Etiopia. Le vittorie, le sanzioni da parte della Società delle nazioni, portarono l’Italia in una situazione di isolamento internazionale, tale dimensione fece si che la Germania, da sempre sua sostenitrice nelle campagne militari internazionali, divenisse ancor di più sua alleata, tanto che tra le due nazioni si strinsero due patti: uno di tipo economico l’Asse Roma–Berlino e uno di tipo militare nel 1939 il Patto d’Acciaio, con Hitler. Tali alleanze portarono col tempo ad un rapporto di sudditanza del nostro paese nei confronti i della Germania, tanto che vennero adottate nel nostro paese misure restrittive contro gli ebrei, con le leggi razziali. La politica antisemita fascista fu preannunciata il 14 luglio 1938 con la pubblicazione del MANIFESTO DELLA RAZZA, in cui si spiegavano i fondamenti pseudoscientifici del razzismo. A partire dal settembre dello stesso anno vennero applicate una serie di misure restrittive contro gli ebrei, che vennero espulsi dalle scuole, venne loro vietato di sposare non ebrei, vennero limitare le libertà di attività commerciale, industriale e professionale. La stampa di regime fu subito mobilitata per attaccare e diffamare l’operosa e pacifica comunità ebraica, ma le leggi razziali non suscitarono che sdegno e sconcerto nell’opinione pubblica. Molti italiani iniziarono riflettere e a porsi domande sul conto di Mussolini e dei gerarchi fascisti, sulla vera natura del regime.

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U.D. 3_ Il Nazismo La Germania uscì dalla guerra in una grave situazione di disordine politico. Il potere fu assunto da un governo provvisorio formato da socialdemocratici, cattolici e liberali. Nel frattempo i comunisti galvanizzati dalla Rivoluzione russa, avevano organizzato a Berlino una sorta di governo proletario, guidato da un’organizzazione rivoluzionaria di estrema sinistra: La Lega di Spartaco (dal nome dello schiavo che guidò la rivolta contro i Romani). Essi, però a differenza dei bolscevichi russi, che trovarono sostegno nella maggioranza della popolazione, rimasero completamente isolati. Nonostante ciò essi promossero a Berlino e a Monaco di Baviera (4-13 gennaio 1919) due tentativi rivoluzionari che furono repressi nel sangue. I capi di tale movimento erano Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, vennero assassinati dalle Milizie volontarie di estrema destra, i Corpi franchi, che godevano della protezione di larga parte della magistratura e del governo. Tale libertà concessa dal governo alla repressione aprì una frattura insanabile tra socialdemocratici e comunisti, dalla quale trarrà vantaggio il nazismo. Il 19 gennaio 1919 venne eletta L’ASSEMBLEA COSTITUENTE, incaricata di preparare la nuova COSTITUZIONE. Formata in prevalenza da socialdemocratici, cattolici di centro e liberali moderati, la Costituente proclamò la nascita della Repubblica federale tedesca e approvò la COSTITUZIONE DI WEIMAR, così chiamata dal nome della città in cui si tenero i lavori dell’Assemblea. Fu creato così uno stato parlamentare e federale, diviso in 17 Länder (regioni) parzialmente autonomi. Al capo dello stato furono attribuiti larghi poteri: eletto direttamente dai cittadini per sette anni e rieleggibile, con la facoltà di poter sciogliere il parlamento e di autorizzare il primo ministro a governare mediante decreti-legge. Il sistema elettorale era di tipo proporzionale, che favorì la formazione di piccoli gruppi politici e rese quindi impossibile il conseguimento di una forte maggioranza parlamentare, tale da assicurare stabilità ai governi. I primi anni della repubblica furono assai difficili, soprattutto per i problemi economici legati alla riparazione dei danni di guerra da pagare ai paesi vincitori. L’ammontare della cifra era enorme e avrebbe impiegato circa ¼ delle risorse tedesche per quasi mezzo secolo. Le riparazioni della guerra oltre ad essere economicamente insostenibili, erano anche viste come un’ulteriore umiliazione a seguito delle mortificanti clausole della pace di Versailles. Questo causò ben presto un generale risentimento tra i ceti medi e l’alta borghesia, che accusarono i governi di coalizione di aver tradito la patria, e la formazione di alcuni partiti di destra violentemente

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nazionalisti, che scatenarono una violenta campagna denigratoria contro la nuova classe dirigente repubblicana. Per far fronte ai primi pagamenti, il governo tedesco fece stampare una grande quantità di carta moneta, senza tener conto, però, delle reali consistenze auree dello Stato. Ciò provocò una disastrosa inflazione, che ridusse drasticamente il potere d’acquisto di stipendi e salari. La situazione venne aggravata ulteriormente dall’occupazione nel 1923 da Francia e Belgio della Ruhr, la zona più ricca e industriale della Germania. Le forze politiche di destra cercarono di approfittare del malcontento, fra queste forze si distinse il partito nazionalsocialista o nazista, il cui leader era Adolf Hitler, che impresse al partito una fisionomia antidemocratica. Nell’ideologia del nazismo un posto centrale aveva l’esaltazione della razza ariana, considerata la ‘razza pura’ per eccellenza. Il popolo tedesco doveva rifuggire la contaminazione che proveniva da altre razze inferiori, come gli Ebrei visto come cospiratori per il domino del mondo e gli Slavi, visti come esseri da ridurre in schiavitù a servizio dei tedeschi. A questa si affiancava un’altra avversione, quella verso i comunisti, accusati di voler dissolvere l’unità della nazione tedesca e la stessa civiltà europea, che per i nazisti era stata creata nel corso dei secoli dalla razza ariana. Hitler, inoltre, sosteneva la necessità di un spazio vitale, da conquistare in Polonia, Ucraina e Russia per assicurare il primato della Germania in Europa. Al partito nazista Hitler, affiancò le SA (squadre d’assalto), formazioni paramilitari conosciuto come camicie brune, che in breve tempo assicurarono ai nazisti il controllo di tutti i movimenti di estrema destra. Nel novembre del 1923 Hitler promosse un’insurrezione a Monaco di Baviera, passato alla storia come il Putsch di Monaco, cioè un colpo di stato. Il tentativo fallì per il mancato appoggio dei militari e delle autorità locali. Hitler fu arrestato e condannato a 5 ani di carcere, che gli furono ben presto condonate per le simpatie che già riscuoteva presso la magistratura, il governo e le alte gerarchie militari. Nel 1925, Hitler affianco alle SA le SS (le squadre di sicurezza), un fanatico corpo di polizia guidato da H. Himmler. Nel 1930 il PN (partito nazista) ottenne 107 deputati, due anni dopo 230, così il PN diventò il partito più forte e Hitler il leader del Reichstag, il Parlamento tedesco. La situazione economica peggioratasi con la crisi della Borsa di New York, portò immediatamente all’ascesa i nazisti, che riuscirono a conquistare la fiducia della maggioranza della popolazione.

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Hitler prometteva di risolvere tutto e subito e di rilanciare l’immagine della Grande Germania. Il 30 gennaio 1930 il presidente della Repubblica, Paul Ludwig Hindenburg, incaricò Hitler di formare un nuovo governo nel quale, accanto a due ministri nazisti, erano presenti esponenti dei partiti conservatori e dell’esercito. Assunto il potere Hitler procedette rapidamente ad instaurare un regime totalitario, si attorniò dei suoi fedelissimi e scatenò la violenza delle camicie brune sui movimenti operai e sedi sindacali. Il 27 febbraio 1933 fu dato alle fiamme il palazzo del Reichstag e la colpa fu fatta ricadere sui comunisti. A seguito di questi atti terroristici il presidente indisse nuove elezioni, che si tennero il 5 marzo 1933 e videro la netta affermazione del PN e Hitler ottenne i pieni poteri. Finiva così la repubblica di Weimar e iniziava sotto il simbolo della svastica il Terzo Reich. In un anno venne messa a tacere la stampa, furono terrorizzati gli avverarsi politici e le SS e la Gestapo (polizia segreta) furono inquadrati nello Stato. Hitler eliminò anche le frange più indisciplinate del PN, il 30 giugno 1934 nella Notte dei lunghi coltelli. I Alla morte di Hindenburg, Hitler ne assunse le funzioni, in seguito con un referendum popolare ratificò la legge che riuniva nella sua persona le cariche di capo dello stato e di capo del governo (agosto 1934). Nel 1938 si riservò anche il comando supremo delle forze armate. Sull’esempio di mussolini, hitler assunse il titolo di Fuhrer (duce o condottiero). La sua volontà era legge e tutto era subordinato al suo potere, senza limiti né controlli. Nella veste di capo assoluto prese diverse decisioni: ● sciolse il parlamento nazionale ei parlamenti regionali; ● sospese al Costituzione del 1919 e trasferì la capitale da Weimar a

Berlino; ● inquadrò tutti i lavoratori in un’unica organizzazione sindacale, il fronte

del lavoro. Hitler avviò una politica economica che portò all’eliminazione della disoccupazione. Un nutrito programma di opere pubbliche, specie la costruzione di una vasta rete autostradale, diede lavoro a moltissimi operi. La produzione agricola fu sottoposta al controllo di appositi organismi statali e la sua riorganizzazione garantì un significativo miglioramento del reddito degli agricoltori. L’industria vene favorita da un massiccio piano di riarmo dell’esercito. Ovviamente il riarmo comportò la crescita della

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spesa pubblica, che Hitler prevedeva di risanare con le conquiste territoriali nell’Europa dell’est. Anche la vita culturale fu sottoposa al controllo dello stato e del PN, e sull’esempio di Mussolini e di Stalin il ministro dell’istruzione trasformò la cultura tedesca in un enorme apparato propagandistico. La stampa, il cinema, la radio vennero privati di ogni libertà e divennero semplici strumenti di propaganda. Gli intellettuali vennero inquadrati nella camera della Cultura del Reich. Le opere moderne e le opere di scienziati ebrei come Einstein e Freud vennero messe al bando o bruciate. Per meglio assicurarsi il consenso del popolo, il nazismo inquadrò la vita individuale in una serie di associazioni giovanili, scolastiche e professionali. Il nazismo, come lo stalinismo iniziò la sistematica eliminazione degli oppositori politici avvalendosi dei lager. Nel 1935 vennero emanate le leggi di Norimberga, che dettero inizio alla persecuzione degli ebrei, i quali vennero esclusi dalle scuole, dagli uffici, dal commercio etc…costretti a inserire una J davanti al nome di battesimo per indicare Juden (giudeo) e a portare una stella gialla cucita sui vestiti per essere meglio individuati. Il culmine fu raggiunto nella notte dei Cristalli, fra il 9 e il 10 novembre 1938, durante la quale vennero messi a ferro e fuoco negozi, case, sinagoghe e cimiteri ebrei. Anche in politica estera il nazismo svelò la propria natura violenta e aggressiva. Hitler voleva creare un grande impero tedesco che comprendesse tutte le popolazioni europee di razza germanica (Pangermanesimo). Cessata l’amministrazione della Renania nel 1936, Hitler ordinò il riarmo della regione. Nel 1938 con l’Anchuluss ordinò l’annessione dell’Austria. Dopo l’Austria Hitler si occupò della regione dei Sudeti assegnato alla Cecoslovacchia dopo la prima guerra mondiale, il pretesto fu la presenza di 3 milioni di tedeschi e la salvaguardia di questa minoranza. A seguito di questo atto di forza Hitler e il resto d’Europa si incontrarono alla Conferenza di Monaco (29 – 30 settembre 1938) dove emerse chiaramente la politica rinunciataria di Inghilterra e Francia, col pretesto di salvaguardare la pace. Hitler interpretò questo atto come una disposizione delle potenze europee a qualsiasi compromesso e così nella primavera del 1939 procedette all’annessione della Boemia e della Moravia, come protettorato la prima e stato vassallo la seconda. L’ultimo obiettivo Hitleriano fu Danzica. Il trattato di Versailles aveva assegnato alla Polonia per darle uno sbocco al mare, il corridoio polacco e Danzica era diventata città libera. A questo punto Inghilterra e Francia accordarono il loro pieno appoggio alla Polonia in caso di attacco. Hitler

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rafforzò i suoi patti nel 1939 il patto d’acciaio con Mussolini, e nell’agosto dello stesso anno un patto di non intervento con la Russia: Patto Molotov – Ribbentrop.

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Mod._3 La seconda guerra mondiale

U.D. 1 _ La seconda guerra mondiale ( Prima Parte )

Alla fine degli anni Trenta crollarono gli equilibri politici internazionali, che erano stati faticosamente raggiunti dopo la prima guerra mondiale: - l’espansionismo del Giappone in Asia e nel Pacifico aveva provocato forti attriti con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che nel lontano Oriente avevano importanti interessi economici da difendere; - la conquista dell’Etiopia da parte dell’Italia aveva causato forti tensioni in Europa, così come l’annessione dell’Austria alla Germania, voluta da Hitler e la guerra civile in Spagna. LA GUERRA CIVILE IN SPAGNA In Spagna era scoppiata la guerra civile, a seguito dell’instaurazione del governo autoritario del generale Primo De Rivera, nel primo dopoguerra. Anarchici, repubblicani, socialisti e comunisti lottarono contro il regine e ne provocarono la caduta del 1930. la cacciata di De Rivera, permise nuove elezioni, che portarono alla vittoria nel 1931 i partiti di sinistra, e il re Alfonso XIII lasciò il paese. A Madrid venne proclamata la Repubblica e venne emanata una costituzione democratica molto avanzata dal punto d vista sociale. Ebbe inizio, però, un periodo di forti e accesi contrasti tra i due opposti schieramenti: il FRONTE POPOLARE (che raggruppava i partiti di sinistra fortemente anticlericali) e la FALANGE (che raccoglieva militari, conservatori, cattolici e le alte gerarchie ecclesiastiche). La crisi si acuì quando la Destra non volle riconoscere la vittoria della Sinistra conseguita con i risultati elettorali del 1936. La situazione precipitò e il generale Francisco Franco, comandante delle truppe stanziate in Marocco, rientrò in Spagna e si pose a capo dei reparti dell’esercito che si erano ribellati al governo repubblicano. Ebbe così tra falangisti e popolari una sanguinosa GUERRA CIVILE che durò tre anni, alla quale parteciparono numerosi volontari provenienti da altri paesi. * Il fronte popolare ebbe il sostegno dell’Unione Sovietica (intenzionata a contrastare l’espansione nazifascista in Europa) e delle brigate internazionali (composte da 40.000 volontari tra cui molti antifascisti quali Togliatti, Nenni, i fratelli Rosselli).

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* La falange invece, ebbe il sostegno di Mussolini e Hitler, che intervennero a favore di una crociata antibolscevica. La Germania inviò in Spagna, al fine di collaudarli in previsione di una guerra di più ampia portata, cannoni, cacciabombardieri (Stukas) e carri armati, mentre l’Italia fornì ai franchisti 70.000 camicie nere, con la speranza che una vittoria gli favorisse la conquista della Corsica e della Tunisia. La guerra fu dura e cruenta e si concluse nel 1939 con la vittoria dei Falangisti. Franco assunse il titolo di Caudillo, ovvero «condottiero», e diede vita ad un regime autoritario simile a quello fascista e resterà al potere sino al 1978, anno della sua morte. Le cause della seconda guerra mondiale Nel 1939 aveva inizio la seconda guerra mondiale. Le cause che condussero al conflitto furono molteplici e di varia natura: * la rivalità tra Inghilterra e Germania continuava, per ottenere il primato in Europa; * la volontà di rivincita della Germania sulla Francia, a cui aveva dovuto restituire l’Alsazia e la Lorena dopo la grande guerra; * l’aggressività militare ed economica del Giappone in Oriente; *l’acceso clima di esaltazione nazionalistica in Germania e in Italia; * la rivendicazione da parte dell’Italia di Nizza e Savoia, Corsica e Tunisina danno della Francia. Ma la causa di fondo dello scoppia della seconda guerra mondiale fu l’espansionismo tedesco, fondato sulla dottrina della presunta superiorità della razza ariana e sul preteso diritto del popolo tedesco allo «spazio vitale» nelle pianure orientali dell’Europa. La politica dei nazisti era stata favorita dal comportamento rinunciatario della Francia e dell’Inghilterra. Le due democrazie occidentali, avevano ceduto di fronte a ogni atto di forza di Hitler, non solo nella speranza che fosse sempre l’ultimo, ma anche perché per molti in Europa Hitler era visto come l’unico baluardo contro il nemico principale: il comunismo sovietico. Il 1° settembre 1939 Hitler, forte dell’accordo di non intervento stipulato con Stalin, ordinò alle armate tedesche di attaccare la Polonia: due giorni dopo Inghilterra e Francia dichiararono guerra alla Germania. Ebbe così inizio la II guerra mondiale.

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La Germania sferrò un attacco poderoso contro la Polonia, la quale aveva pochi mezzi per difendersi, così nella metà di settembre i tedeschi occupavano Varsavia, che semidistrutta da bombardamenti, capitolò il 27 settembre. In base al patto Molotov – Ribbentrop, la Polonia veniva divisa tra la Germania e l’Unione Sovietica, che incorporò in breve tempo anche al Lettonia, la Lituania, l’Estonia oltre alla Bessarabia e alla Bucovina settentrionale, tolte alla Romania. Intanto Stalin si preparava a sferrare un attacco sul fronte occidentale e il 30 novembre attaccò la Finlandia per impossessarsi della camelia, una regione considerata di grande importanza strategica per la sicurezza di Leningrado. La guerra russo-finnica si concluse il 12 marzo 1940 con la sconfitta della Finlandia, ma mise in luce la scarsa preparazione delle forze armate sovietiche. Di ciò ne approfitterà Hitler per attaccare la Russia e occupare la pianura sarmatica. Sul fronte occidentale invece accadeva che l’esercito francese si era attestato sulla Maginot, la linea fortificata situata lungo il confine con la Germania e ritenuta da tutti inespugnabile. Hitler intanto non attaccò le posizioni occidentali, convinto che gli Alleati avrebbero chiesto la pace. Però il 9 aprile del 1940, per dare un segnale forte, Hitler attaccò la Danimarca e la Norvegia, quest’ultima si difese strenuamente ed iniziò la Resistenza antifascista. Il 10 maggio 1940 Hitler ordinò di attaccare il fronte occidentale, dato che Francia e Inghilterra non chiedevano la pace. Invase l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo, violando la neutralità di questi paesi e aggirando la linea Maginot. In questo modo le armate anglo-francesi erano strette in una morsa, ma nonostante i bombardamenti un buon numero di soldati riuscì ad imbarcarsi a Dunkerque (29 maggio – 4 giugno) e a raggiungere le coste inglesi. La Francia si trovò a dover fronteggiare da sole le armate tedesche. L’attacco fu sferrato dalla Germania con eccezionale violenza lungo la linea della Somme e il 14 giugno 1940 i tedeschi entrarono a Parigi. Con l’armistizio di Compiegne del 22 giugno, nella stazione di Rethondes, la Francia venne divisa in due parti: * quella settentrionale e atlantica fino alla frontiera spagnola, occupata e governata direttamente dai tedeschi; * quella meridionale, con i domini coloniali, amministrata dal regime di Vichy, in cui venne istituito un governo provvisorio presieduto dal maresciallo Philippe Petain, favorevole ad una collaborazione con la Germania. Tale presa di posizione scatenò una forte reazione da parte dei francesi, che sotto la guida del generale Charles De Gaulle, diedero vita ad una Resistenza francese.

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L’Italia nonostante gli impegni assunti con il patto d’Acciaio, dichiarò la propria non belligeranza quando Hitler attaccò la Polonia, a causa dell’inadeguata preparazione bellica, ma il desiderio di far parte dei vincitori, spinse Mussolini ad entrare nel conflitto il 10 giugno 1940 contro la Francia. Dopo il crollo della Francia, soltanto l’Inghilterra rimase in guerra contro la Germania. Fermamente determinato a sconfiggere Hitler, Winston Churchill, il capo de governo inglese, sapeva che la situazione non era disperata: la flotta inglese era assai superiore a quella tedesca, l’impero coloniale restava inviolato, le basi nel mediterraneo rimanevano intatte. All’ennesimo rifiuto di Churchill di accettare la pace, Hitler sferrò un attacco all’isola designato col nome in codice di Operazione Leone Marino. La battaglia ebbe inizio l’8 agosto 1940 con il bombardamento di porti, aeroporti e centri industriali inglesi. I danni, sebbene ingenti, on fermarono la controffensiva britannica. La superiorità tedesca fu annullata dall’uso dei radar che permettevano di conoscere in anticipo la consistenza, la direzione e l’altitudine delle formazioni nemiche. Il 15 settembre gli aerei della Luftwaffe effettuarono un bombardamento a tappeto su Londra. Contemporaneamente Germania, Italia e Giappone firmavano il patto Tripartito, ad esso aderirono Romania, Ungheria, Slovacchia e Jugoslavia, mentre la Spagna impegnata nella guerra civile, rimase neutrale. Il 28 ottobre 1940 Mussolini dichiarò guerra alla Grecia, con l’obiettivo di acquisire una influenza politica ed economica nei Balcani. Le truppe italiane, però mal organizzate vennero fermate e respinte lungo la frontiera dai Greci. Hitler intervenne a sostegno dell’Italia. Così nella primavera del 1941 la Grecia capitolò. In quello stesso momento nei balcani si stava formando la forza partigiana comandata da Tito in Bosnia e Montenegro. Intanto in africa settentrionale le truppe italiane, muovendo dalla Libia erano arrivate in territorio egiziano minacciando il canale di Suez, di vitale importanza per i rifornimenti marittimi dell’Inghilterra. Nel dicembre del 1940 gli inglesi attaccarono e sfondarono le nostre linnee giungendo sino a Bengasi. Anche questa volte dovettero intervenire in aiuto dell’Italia i tedeschi, che fermarono l’avanzata inglese con l’Afrika Corps guidata da Erwin Rommel, che riconquistò la Cirenaica eccetto Tobruk.

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Le truppe inglesi avevano avuto la meglio nell’africa orientale, dove le nostre truppe guidate dal duca Amedeo d’Aosta vennero sconfitte e sul trono di Adis Abeba ritornò l’esiliato negus Hailé Selassié. A questo punto Hitler decise di sferrare un attacco alla Russia, nome in codice Operazione Barbarossa. Da principio Stalin non volle credere alle notizie di un attacco imminente da parte tedesca, ritenendole solamente un tentativo di inglese di incrinare i buoni rapporti con al Germania, ma dovette ricredersi quando il 22 giugno del 1941 le forze tedesche sferrarono l’attacco e il paese fu colto di sorpresa. Le truppe di invasione comprendevano anche un corpo italiano chiamato Armata italiana in Russia (Armir). Il piano tedesco era quello di attaccare la Russia lungo le direttrici Leningrado, Mosca e Kiev, così da annientare il nemico prima dell’inverno. Ma le linee russe non cedettero e resistettero più di quanto sperato e il paino di Hitler fallì perché giunse l’inverno, così le truppe russe sferrarono il loro attacco facendo arretrare di 200 km le truppe nemiche. Nei luoghi in cui si trovavano i tedeschi iniziò la guerriglia partigiana. Durante l’operazione Barbarossa, gli Stati Uniti d’America seguivano con preoccupazione le sorti dell’Inghilterra e così il 14 agosto 1941 il presidente americano Roosevelt e il primo ministro inglese Churchill si incontrarono segretamente a bordo della corazzata Prince of Wales a largo dell’isola di terranova, nell’atlantico settentrionale, per concordare la lotto contro il nazismo. Al termine dell’incontro fu firmata la CARTA ATLANTICA, una dichiarazione in cui vennero enunciati i principi sui quali si sarebbe dovuta basare la pace dopo la vittoria degli Alleati: * diritto dei popoli a scegliere liberamente i propri governi; * libero accesso alle materie prime necessarie per lo sviluppo di ogni paese; * libertà di navigazione sui mari; * riduzione generale degli armamenti; * rinuncia all’uso della forza per regolare i rapporti fra gli Stati. Con la firma della carta Atlantica si rafforzò il sostegno in armi e i finanziamenti all’Inghilterra da parte degli Stati Uniti.

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U.D. 1 _ La seconda guerra mondiale ( Seconda Parte ) Gli Stati Uniti d’America, finora rimasti neutrali, da tempo tenevano d’occhio, con apprensione, la politica aggressiva del Giappone nell’Oceano Pacifico. Nel luglio del 1941 i giapponesi, ormai padroni delle coste cinesi, avevano occupato l’Indocina francese, minacciavano la Malesia, le Indie Olandesi e le Filippine. Gli Stati Uniti per frenare tale spinta espansionistica chiusero il Canale di Panama alle navi nipponiche, sospesero le forniture di petrolio e di altro materiale strategico al Giappone, e gli ingiunsero di ritirare le truppe dalla Cina e di uscire dal patto tripartito firmato con Italia e Germania. Per tutta risposta i giapponesi il 7 dicembre 1941 aerosiluranti nipponici decollati da una portaerei attaccarono Pearl Harbor, la basa navale americana nelle Hawaii. Il giorno dopo Roosevelt dichiarò guerra la Giappone. Alla dichiarazione di guerra del presidente americano seguì quella dell’Italia e della Germania agli stati uniti l’11 dicembre 1941. da questo moneto in poi il conflitto diventava veramente mondiale. Messi fuori gioco, momentaneamente, gli americani, il Giappone iniziò a dilagare nel pacifico, minacciando da vicino India, Australia, Nuova Zelanda. Occuparono Manila, Hong Kong, le Indie olandesi, la Nuova Guinea, le isole Salomone e Marshall. Nella seconda metà del 1942 i paesi dell’Asse iniziarono subire una serie di sconfitte, che pregiudicarono l’esito finale della guerra. Nell’oceano pacifico gli USA ottennero le due grandi vittorie navali: la battaglia del mar dei Coralli (7-8 maggio 1942) e la battaglia delle Midway (giugno 1942), conquistarono il Guadalcanal (febbraio 1943) e fermarono i giapponesi nel Pacifico centrale; nel Nord Africa il generale inglese Montgomery sferrò un attacco a Rimmel che si ritirò fino a Tripoli. Intanto in Europa Hitler dava inizio allo sterminio di massa contro gli ebrei ed altre minoranze etniche. Nei paesi occupati dai tedeschi diventavano sempre più forti i gruppi partigiani per la liberazione: in Francia i Maquis (ribelli alla macchia); in Grecia e Iugoslavia dove si impose il gruppo partigiano di Tito, nell’ultima fase del conflitto però i partigiani slavi operarono anche in territorio italiano rendendosi responsabili di gravissimi eccidi. Particolarmente agghiacciante fu il, massacro di migliaia di cittadini civile e inermi, gettati nelle doline carsiche, le Foibe, per essersi opposti alla slavizzazione delle terre istriane. Nella primavera del 1943 il fascismo era in piena crisi, le varie sconfitte e i rovesci militari subiti dagli alleati, i bombardamenti e i massacri avevano allontanato il paese dal fascismo.

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La situazione precipitò a seguito dello sbarco in Sicilia delle forze anglo-americane (9-10 luglio) e al successivo bombardamento di Roma. Nel tentativo di attribuire tutte le colpe a Mussolini e di far uscire l’Italia dal conflitto, ilGran Consiglio del fascismo approvò a larga maggioranza una mozione di sfiducia nei confronti del Duce, abbandonandolo così al suo destino. Il giorno seguente il re Vittorio Emanuele III destituì Mussolini dalla carico di capo del governo, e lo fece arrestare e relegare a Campo Imperatore nel Gran Sasso. Il paese immaginò vicina la fine del conflitto e in un’ondata di entusiasmo salutò il crollo del regime e ne distrusse i simboli. Si formò così un nuovo governo presieduto dal generale Badoglio, che sciolse le strutture amministrative e politiche del fascismo e fece liberare i prigionieri politici. Iniziò, in segreto, le trattative per una pace separata con gli Anglo Americani, ma Hitler accortosi che i rapporti con l’Italia stavano mutando, inviò nella penisola ingenti forze corazzate, che occuparono i punti strategici. Le trattative di apce si ultimarono con l’armistizio di Cassibile, presso Siracusa, reso noto l’8 settembre 1943. il re e Badoglio, fuggirono a brindisi sotto la protezione degli alleati, il governo lasciato a se stesso fu facilmente sopraffatto dai tedeschi. L’Italia così risulto divisa in due parti: il sud occupato dagli Alleti e governato da Badoglio, che il 13 ottobre dichiarò guerra alla Germania; e il centro-Nord occupato dai Nazisti, dove Mussolini liberato da paracadutisti tedeschi aveva fondato la Repubblica sociale italiana (la Repubblica di Salò). In Italia la resistenza antifascista si fece più accanita, ma non fu solo una guerra partigiana, fu anche una guerra civile tra partigiani e fascisti, una guerra di classe volta a eliminare una volta e per tutte le differenze e le disuguaglianze sociali. A Roma, clandestinamente, fu istituito un comitato di liberazione nazionale (Cln), l’organo politico centrale di direzione della resistenza, formato da i rappresentanti dei sei partiti antifascisti: comunista, socialista, liberale, d’azione, democratico-cristiano, democratico del lavoro. Si formò il Corpo volontari della libertà (Cvl) a carattere militare. Nelle città agivano i gruppi di azione patriottica (Gap), impegnati nella propaganda contro il nazifascismo, nei sabotaggi e nella guerriglia. Nel Nord Italia si formarono delle piccole repubbliche partigiane (Ossola, Carnia, Montefiorino, Langhe). I tedeschi e i fascisti cercarono di soffocare la resistenza anche con azioni spietate, come per le Fosse Ardeatine, dove 335 ostaggi furono uccisi e i 1830 abitanti di Marzabotto, presso Bologna.

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Nel 1944 gli Americani sbarcano ad Anzio (Lazio) per attaccare alle spalle la Linea Gustav (lo sbarramento tedesco che partiva da Termoli a Gaeta). Nella primavera del 1944 a Montecassino le forze alleate liberarono Roma, Ancona e Firenze, e si attestarono sulla Linea Gotica (sbarramento tedesco da Rimini a L a Spezia). Il 6 giugno 1944 il grosso delle armate alleate, al comando del generale Eisenhower, sbarcavano in Normandia, superavano il Vallo Atlantico, cioè le fortificazioni tedesche che si estendevano dall’Olanda ai Pirenei e il 24 agosto entravano a Parigi. Sul fronte orientale l’esercito russo era inarrestabile. Stretta in una morsa, la Germania tentò di reagire, ricorrendo ai missili a reazione radiocomandati, che vennero lanciati sull’Inghilterra. Gli alleati allora intensificarono i bombardamenti a tappeto sulle basi missilistiche tedesche e sulle maggiori città radendole al suolo. Data oramai per certa la vittoria Churchill, Roosevelt e Stalin si incontrarono nel febbraio del 1945 a Yalta, sul mar nero, per organizzare l’attacco finale alla Germania e stabilire il nuovo assetto mondiale. Al termine dei colloqui furono prese queste decisioni: - la smilitarizzazione della Germania e la sua divisione in quattro zone di occupazione (americana, inglese, francese e sovietica); - l’influenza dell’unione sovietica sui paesi dell’Etiopia orientale che l’Armata Rossa aveva liberato dall’occupazione tedesca; - l’influenza degli Alleati occidentali sull’Italia, la Grecia e il resto dell’Europa; - il diritto dei popoli a libere elezioni; - la creazione dell’organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), in sostituzione della Società delle Nazioni. Nel marzo del 1945 gli eserciti alleati sferrarono l’attacco su tutti i fronti. A occidente oltrepassarono il Reno e invasero al Germania raggiungendo l’Elba. In Italia superarono la Linea Gotica, occuparono la pianura padana, mentre le principali città del nord vennero poste sotto il controllo dei Comitati di liberazione nazionale. Il 28 aprile i partigiani arrestarono e fucilarono Mussolini, mentre cercava di riaprire in svizzera. A oriente i russi entrarono a Vienna e Hitler richiusosi in un bunker si tolse la vita. Il 7 e l’8 maggio la Germania ridotta a un cumulo di macerie firmò la resa senza condiziono con gli alleati occidentali e con i sovietici. In guerra restava solamente il Giappone. Per accelerare le operazioni militari il nuovo presidente Harry Truman, ordinò di sganciare due bombe atomiche sulla città di Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 7 agosto 1945. i bombardamenti ebbero effetti così devastanti che l’imperatore Hiroito fu costretto a porre fine alle ostilità. Il 2 settembre 1945 sulla corazzata

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Missouri ancorata nella baia di Tokyo, fu firmato l’armistizio tra USA e Giappone, con cui si concludeva la II guerra mondiale.

Mod. 4_ LA GUERRA FREDDA

U.D. 1 _ Il 2° dopoguerra e la formazione dei blocchi

Le conseguenze della seconda guerra mondiale Gli Alleati avevano riportato una vittoria totale sui paesi dell’Asse. La responsabilità fu fatta ricadere sui gerarchi nazisti, che vennero processati per i loro crimini di guerra con il processo di Norimberga, tenutosi tra il novembre 1945 e l’ottobre 1946. L’immane conflitto aveva provocato 40 milioni di morti, distrutto città, raso al suolo nazioni intere e sterminato nei campi di concentramento milioni di persone, in prevalenze ebrei. La Germania venne divisa in due Stati economicamente, socialmente e politicamente diversi, posto rispettivamente sotto il controllo degli alleati e dei sovietici. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica assunsero la guida della politica internazionale e il predominio nelle rispettive zone d’influenza: i primi sulle democrazie liberali dell’Occidente, la seconda sulle democrazie socialiste dell’Europa orientale. Nell’area asiatica dell’Oceano Pacifico, i popoli che si erano impegnati nella lotta contro i giapponesi avevano preso coscienza della propria identità nazionale e del diritto di indipendenza. Tali aspirazioni venivano condivise anche da popolazioni del Nord Africa, che avevano partecipato al conflitto e intendevano porre fine al dominio coloniale. I trattati di pace e il nuovo ordine internazionale Nel luglio del 1945 Churchill, Stalin e Truman si incontrarono a Postdam nei pressi di Berlino, per completare i trattati di pace, delineati cinque mesi prima nella conferenza di Yalta. I tre “grandi”

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decisero di affidare ad un’apposita riunione, la Conferenza di Parigi (luglio – Ottobre 1946) la definizione del nuovo assetto geopolitica del mondo. ● La Germania e la città di Berlino vennero divise in quattro

zone di influenza d’occupazione (russa, americana, inglese e francese). Nel 1949 queste zone furono ridotte a due dando vita così alla REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA (Germania occidentale), con capitale Bonn, e alla REPUBBLICA DEMOCRATICA TEDESCA (Germania orientale), con capitale Pankov, un sobborgo di Berlino. Il territorio tedesco subì delle modifiche lungo il confine dei fiumi Oder-Neisse a favore della Polonia. Tale decisione determinò consistenti migrazioni di cittadini tedeschi della Prussia orientale verso al Germania occidentale. ● La Polonia cedette le province orientali all’Unione Sovietica. ● L’Italia cedette alla Francia, Briga e Tenda, alla Jugoslavia

quasi tutto il Venezia Giulia e parte della Dalmazia ottenuta dopo la I guerra mondiale. Fu creato il territorio libero di Trieste, formato da due zone: la zona A , che comprendeva la città posta all’inizio sotto l’influenza americana e in seguito nel 1945 sotto quella italiana, e la zona B assegnata alla Jugoslavia. ● Il Giappone dovette ritirarsi dai territori ancora occupati nel

Sudest asiatico e da quelli incorporati precedentemente nel proprio impero: Manciuria, Corea, penisola di Sakhalin, Formosa e altre isole del Pacifico. Fu costretta a rinunciare all’arcipelago delle Curili, che passò all’Unione Sovietica, aprendo così una controversi ancora irrisolta.

All’indomani della guerra gli Stati uniti e l’Unione Sovietica sono le due superpotenze mondiali. Il problema del governo americano è quello di procurare sbocchi ai prodotti industriali e agricoli in eccedenza. Il problema dell’Unione Sovietica è invece quello di garantire la sicurezza dei confini contro il pericolo di future aggressioni. L’estremo oriente è turbato dalla guerra civile in Cina, dove in seguito alla vittoria dei comunisti di Mao sui nazionalisti di Chiang nasce la Repubblica popolare, sia dalla guerra di Corea, che favorisce, grazie alle forniture militari agli Americani, la rinascita economica del Giappone. Per favorire la ripresa dell’economia europea e degli scambi commerciali, ma anche per fronteggiare la minaccia del comunismo, gli Stati Uniti lanciano il Piano Marshall. Con il presidente Truman i rapporti con la Russia cambiarono radicalmente, abbandonato il tono distensivo dei tempi di Roosevelt, si creò un clima di sospetto e di diffidenza, che si trasformò in aperto contrasto in occasione del ritiro delle truppe di occupazione alleate in Grecia.

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Qualche mese dopo il segretario di stato americano George Marshall avanzò la proposta (1948) di un piano di aiuti alle nazioni europee per rilanciarne l’economia. L’unione sovietica rifiutò gli aiuti del Piano Marshall, accusando l’America di voleva asservire i paesi europei ai propri interessi economici. L’america rispose denunciando il disegno egemonico sovietico non soltanto nei paesi occupati dall’armata rossa, manche in quelli dove operavano partiti comunisti in occidente. In seguito a questo scontro politico- ideologico si formarono i Europa due blocchi contrapposti: ● Nella parte orientale si imposero le democrazie popolari,

soggette all’influenza sovietica. ● Nella parte occidentale si affermarono invece le democrazie

parlamentari, in concordanza politica ed economica con USA. Simbolo ed espressione concreta di questa divisione fu , quella che fu definita da Churchill, una cortina di ferro. L’inverta situazione internazionale determinò una frenetica corsa al riarmo e la nascita di alleanze militari a scopo difensivo: il Patto Atlantico o NATO (1949), costituito dagli USA e dagli Alleati occidentali, e il Patto di Varsavia (1955) a cui aderirono l’Urss e i paesi comunisti dell’Europa orientale. Il contrasto tra i due blocchi determinò in Europa e nel mondo una fase di aspra tensione alla quale fu dato il nome di Guerra fredda (1947), volendo indicare una guerra non dichiarata, ma combattuta sul piano politico, diplomatico, ideologico. Si creò così una sorta di equilibrio del terrore, che spinse le superpotenze a consolidare le loro rispettive posizioni di forza. Per arginare la diffusione del comunismo, gli USA installarono basi aereonavali nei paesi alleati, corazzate, portaerei corazzate e sommergibili atomici nei mari. Vennero perseguitati tutti coloro che erano simpatizzanti del comunismo e tale azione raggiunse il culmine nel periodo del cosiddetto maccartismo, dal nome del senatore repubblicano MacCarthy, fondatore della campagna anticomunista. Nel frattempo nel 1948 i sovietici avevano deciso di chiudere il corridoio che metteva in comunicazione la Germania occidentale con Berlino Ovest, sperando di costringere gli Alleati a ritirasi, ma questi ultimi reagirono organizzando un ponte aereo, che per diversi mesi rifornì il settore occidentale della città. L’anno successivo Stalin fu costretto a rimuovere il blocco e ad assistere alla nascita della Repubblica federale tedesca a regime parlamentare a cui si contrappose al Repubblica democratica tedesca a regime comunista. Dopo gli anni della guerra fredda, lo scenario politico si rasserena con la morte di Stalin (5 marzo 1953) e l’ascesa al potere di Nikita Kruscëv, nuovo segretario del partito comunista sovietico, che portò

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a termine il processo di destalinizzazione. Nikita Kruscëv presento al XX Congresso svoltosi a Mosca nel 1956 la denuncia dei crimini di Stalin, le condanne indiscriminate di comunisti accusati ingiustamente di complicità con gli Occidentali, le deportazioni in Serbia o nei campi di lavoro forzati (gulag). In seguito a queste sconcertanti rivelazioni, che sconvolsero l’opinione pubblica, in Unione Sovietica si ebbero notevoli cambiamenti: venne ripudiato il culto della personalità, vennero liberati i prigionieri politici dai gulag, venne tollerato una certa libertà culturale, anche se il regime restò sostanzialmente autoritario e repressivo. Il 1953 rappresentò per Unione sovietica la fine del dispotismo, ma per l’America l’inizio dell’abbandono della dottrina Truman, con l’elezione alla casa bianca del nuovo presidente Dwight Eisenhower, che iniziò una politica di coesistenza pacifica tra i due blocchi. Questo nuovo orientamento fu sancito nel 1955 dalla Conferenza di Ginevra, che vide i rappresentanti di Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia e Inghilterra. Nel 1959 a Camp David, residenza di vacanza dl residente, Eisenhower e Kruscëv si incontrarono per mettere a punto un piano di pace volto a sanare il conflitto scoppiato nel 1948 tra Arabi e Israeliani. La distensione non impedì però alle due superpotenze di lanciarsi sfide. La più grave fu sicuramente quella lanciata dall’Unione sovietica all’Occidente con al costruzione del muro di Berlino, innalzato nel 1961. questa decisione fu presa per porre fine alla fuga verso al Germania occidentale degli abitanti della Germania orientale, decisi a sottrarsi alla dittatura comunista. Proprio di fronte al muro di Berlino levò la propria voce in nome della libertà il nuovo presidente americano J.F. Kennedy, che dopo aver combattuto nella seconda guerra mondiale fu eletto nel 1960 in un momento in cui l’economia degli USA era in crisi. Per risolvere i problemi Kennedy imposto il proprio programma di politica interna sul raggiungimento di nuovi traguardi nel campo della sicurezza sociale, del progresso economico e della parità dei diritti di tutti i cittadini. Kennedy si occupò anche di politica estera e non trascurò la situazione a Cuba, dove aveva cercato di inviare esuli cubani a sostegno della lotta anticomunista contro Fidel Castro. Il tentativo scatenò le reazioni del presidente sovietico che mise della basi missilistiche sull’isola, gli USA risposero con un blocco navale dell’isola per impedire l’acceso alle navi sovietiche e Kruscëv smantellò le basi. In cambio il governo americano si impegnò ad non supportare più alcun intervento anticastrista. Il presidente Kennedy venne ucciso nel 1963 in un attentato, a Dallas in Texas.

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Un importante contributo alla distensione internazionale e alla costruzione della pace venne anche dal Vaticano, in particolare dal pontefice Giovanni XXIII con le encicliche Mater et Magistra (1961) e Pacem in Terris (1963).

Mod. 5_ L’Italia dal Dopoguerra agli anni ‘70

U.D. 1- 2 - 3 _ La nascita della Repubblica Italiana e Rinascita

economica e gli anni ‘70

All'indomani della liberazione l'Italia riprendeva il corso della sua vita democratica, dopo la lunga pausa dovuta alla dittatura fascista. Era un'esperienza del tutto nuova per gran parte dei cittadini, e anche se molti uomini politici del mondo prefascista assunsero importanti responsabilità, e' certo che il collegamento col passato, dopo le drammatiche esperienze vissute, era assai difficile. Al di là dei problemi politici, di fronte agli Italiani stava la tragica realtà economica. Le campagne, devastate dalla guerra e abbandonate dai contadini, producevano solo la metà del grano che veniva prodotto nel periodo prebellico. Le grandi città avevano subito massicci bombardamenti e molte erano semidistrutte: le vie di comunicazione erano interrotte (per quasi un anno fu assai difficile persino il collegamento tra Milano e Roma), il materiale ferroviario quasi interamente distrutto; la flotta mercantile, prima della guerra una delle maggiori del mondo, in gran parte affondata. Le difficoltà di collegamento e d'approvvigionamento delle materie prime, in particolare di quelle provenienti dall'estero, impedirono che si potesse sfruttare a fondo la capacità produttiva delle nostre industrie, rimasta relativamente integra anche grazie alla vigilanza operaia (le distruzioni non superavano un quarto del totale degli impianti). La necessità prima era dunque di lavorare intensamente per ricostruire il paese e a questo scopo la via più breve era il ricorso all'aiuto che ci veniva offerto dagli Americani. Grazie a questi aiuti e alla compressione dei salari (i lavoratori, colpiti da una fortissima disoccupazione, dovettero limitare le rivendicazioni economiche) si pote' riavviare la macchina della produzione e stimolare l'iniziativa privata. I risultati economici furono notevoli: si ebbe una rapida ricostruzione, cui segui' una ripresa straordinaria dello slancio produttivo, tanto che quindici anni dopo si parlava con ammirazione nel mondo del miracolo economico italiano. La produzione si sviluppò tuttavia in modo disordinato anche per la mancanza di un'efficace controllo da parte dei pubblici poteri, soprattutto

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in materia fiscale; fatto grave questo, le cui conseguenze si dovevano avvertire più tardi. Anche il risveglio culturale del paese fu straordinariamente vivace. L'esperienza violenta della guerra e degli anni della Resistenza, la speranza d'un futuro migliore, la caduta delle barriere che avevano isolato per tanti anni la nostra cultura da quella europea, aprirono orizzonti nuovi e stimolarono un nuovo fervore creativo. Si affermarono scrittori nuovi, il nuovo cinema italiano sorprese e commosse le folle del mondo. Erano forme d'espressione fresche, dirette, anche crude della realtà, dopo tanti anni di retorica e di torpore morale. Il nostro movimento intellettuale contribui' moltissimo a ricreare i necessari legami spirituali con gli altri paesi dai quali per molto tempo il nostro destino era stato diviso.

Sul piano politico, ai partiti, che rappresentavano il principale legame con l'Italia prefascista, si ponevano difficili problemi di adattamento alla nuova realtà economico-sociale. Bisognava tener conto, oltre tutto, dell'inserimento di fatto dell'Italia nella sfera d'influenza anglo-americana. Cosi' la Democrazia Cristiana, erede del Partito Popolare, venne ad assumere il ruolo di baluardo contro l'avanzata del comunismo e a mettere in secondo piano le esigenze di rinnovamento pure sentite da molti suoi uomini. Il Partito Socialista era diviso tra una maggioranza favorevole alla collaborazione coi comunisti e una minoranza che vi si opponeva. Il Partito Comunista, invece, sotto la guida di Togliatti rinunciò alla prospettiva di una rivoluzione immediata e si dedicò a una paziente opera di allargamento dell'elettorato e di penetrazione nelle organizzazioni sindacali. Accanto a questi "partiti di massa" si muovevano formazioni politiche minori, pur se guidate da uomini di grande prestigio: il Partito Repubblicano, che si richiamava agli ideali mazziniani; il Partito d'Azione e la Democrazia del lavoro, che sarebbero scomparsi presto dalla scena politica; il Partito Liberale, conservatore e difensore dell'iniziativa privata. Il 25 aprile 1945 il CLN, che controllava ormai completamente la situazione nelle regioni settentrionali, assunse tutti i poteri civili e militari e nel giugno seguente designò FERRUCCIO PARRI, l'animatore della nostra Resistenza nazionale, come capo d'un governo al quale parteciparono i partiti Comunista, Socialista, Democristiano, Democratico del lavoro, Liberale e d'Azione. Il Partito d'Azione chiese che si mantenessero in vita, come organi locali, i Comitati di Liberazione, ma non fu sostenuto dagli altri partiti, neppure della Sinistra. Gli stessi comunisti, che in pratica li controllavano, ne accettarono la soppressione, puntando le proprie carte sull'esito delle elezioni ormai prossime. Questi contrasti determinarono in novembre la caduta del governo Parri al quale succedette, un mese dopo, un nuovo governo presieduto dal democristiano ALCIDE DE GASPERI. Gli altri partiti continuarono a collaborare, nonostante l'irrigidimento nei rapporti tra i due blocchi sul piano internazionale acuisse le divergenze politiche all'interno della nuova coalizione. Perché l'Italia potesse intraprendere il suo cammino verso la ricostruzione e la democrazia, andava innanzitutto risolto il problema istituzionale decidendo, mediante un 'referendum nazionale, nel quale per la prima volta in Italia il voto veniva esteso alle donne, se mantenere la

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monarchia sabauda o dare al paese l'istituzione repubblicana. Vittorio Emanuele III, direttamente compromesso con l'abbattuta dittatura fascista, abdicò il 9 maggio 1946 in favore del figlio Umberto. Ma il regno di UMBERTO II fu assai breve: il 2 giugno, con una maggioranza di due milioni di voti (12.718.019 contro 10.709.423), nasceva la Repubblica Italiana. Il giurista napoletano ENRICO DE NICOLA ne diveniva il presidente provvisorio, mentre i Savoia prendevano la via dell'esilio.

I primi governi repubblicani e la Costituzione

Nell'elezione dei rappresentanti dell''Assemblea Nazionale Costituente, i democristiani ottenevano un importante e in qualche modo inatteso successo rispetto ai socialisti e ai comunisti. Questi tre partiti costituirono un governo ancora guidato da De Gasperi, che affrontò decisamente il fondamentale problema della ricostruzione. Furono create in questo periodo le regioni autonome, VAL d'AOSTA, TRENTINO-ALTO ADIGE, SICILIA e SARDEGNA (alle quali più tardi s'aggiungerà il FRIULI-VENEZIA GIULIA). Nelle isole, soprattutto in Sicilia, s'era intanto sviluppata una tendenza al separatismo. Nel febbraio del 1947 l'Italia siglava a Parigi il trattato di pace con le nazioni vincitrici. Oltre alle colonie e al Dodecanneso, restituito alla Grecia, l'Italia cedeva l'Istria e parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia e alla Francia, tra l'altro, l'alta valle Roja con Briga e Tenda. La città di TRIESTE venne posta sotto l'amministrazione anglo-americana e solo nel 1954 fu restituita all'Italia in cambio della cessione alla Jugoslavia dei territori a sud della città. (A conferma dell'ottimo clima in seguito stabilitosi nei rapporti tra Italia e Jugoslavia, il trattato di Osimo nel 1975 regolò definitivamente i problemi di confine tra i due stati.) Nel luglio del 1947 all'interno del Partito Socialista, legato allora ai comunisti da un patto d'unità d'azione, si verificò una scissione che portò alla fondazione del nuovo partito socialdemocratico; quest'ultimo, pur accettando i postulati del socialismo, era contrario all'unità d'azione coi comunisti. Tale scissione permise alla Democrazia Cristiana di rinunciare alla collaborazione dei partiti dell'estrema sinistra. Alcide De Gasperi che, dopo un viaggio in America e poco prima della scissione socialista aveva costituito un governo senza i comunisti e i socialisti, formò, dopo le elezioni del 18 aprile 1948 che diedero la maggioranza assoluta dei seggi alla Democrazia Cristiana, il primo governo di coalizione coi partiti di centro (liberali, socialdemocratici e repubblicani). Questa formula di governo fu detta "quadripartito" e apri' la fase dei governi "centristi" in cui la Democrazia Cristiana aveva un peso preponderante. All'opposizione rimasero le forze di sinistra (comunisti e socialisti), sia quelle di estrema destra, che diedero vita al Partito Monarchico e al Movimento Sociale Italiano. L'ultimo atto unitario dei partiti usciti dalla Resistenza fu l'elaborazione della 'Costituzione', il documento su cui si sarebbe basata la nascente democrazia italiana. Entrata in vigore il primo gennaio 1948 la Costituzione sanciva che la Repubblica era retta su sistema parlamentare. Pur se destinata a restare per diversi anni parzialmente inattuata, anche in istituti fondamentali, la Costituzione ha orientato tutta la vita pubblica

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italiana successiva al 1948, ed il processo di sviluppo del nostro paese e' stato segnato dalla progressiva realizzazione di quanto in essa era stato scritto all'indomani della Resistenza.

Problemi della ricostruzione e rinascita economica

La ricostruzione economica e civile continuò dopo il '47 nel clima politico esasperato dai riflessi della guerra fredda, il meno adatto all'attuazione di quelle riforme di cui la società italiana aveva bisogno per rinnovarsi autenticamente. I problemi continuavano ad essere assai gravi: nonostante gli sforzi fatti, avevamo più disoccupati di qualsiasi altro paese europeo; la nostra moneta aveva subito una svalutazione paurosa (5000 lire del 1947 valevano come 100 del 1938), le scuole funzionavano a fatica ed erano comunque insufficienti; la frattura tra classi privilegiate e classi popolari era accentuata dalla mancanza di approvvigionamento alimentare, cosicché continuava una deplorevole pratica del "mercato nero", cioe' la vendita clandestina a prezzo maggiorato di generi alimentari rari o razionati, che era cominciata negli anni della guerra. Andava intanto affrontato anche l'aspetto attuale d'uno dei più antichi problemi della storia d'Italia: la questione meridionale. Anche se molto di ciò che divideva nord e sud era cambiato nel cammino percorso dal paese, restava da risolvere il problema del divario economico tra le due parti della penisola. A parte la realtà geografica che influiva sul diverso grado di sviluppo economico, pesavano sul problema le conseguenze politiche create dagli ultimi anni di guerra, quando i contatti tra nord e sud erano stati del tutto interrotti. Nei primi anni della ricostruzione, mentre nel nord il capitale privato riavviava le grandi industrie e incrementava la produzione, il sud mostrava scarsi segni di risveglio. Per correggere questa tendenza, nel 1950 venne istituita la CASSA PER IL MEZZOGIORNO che utilizzava denaro pubblico per incrementare lo sviluppo industriale e agricolo nel meridione. Vennero potenziate le aziende industriali di proprietà di enti pubblici (come L'IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, o l'ENI, Ente Nazionale Idrocarburi), facenti capo allo Stato. Nel 1957 la nascita del MEC (Mercato Comune Europeo), riducendo progressivamente le barriere doganali fra gli Stati che vi aderivano (Francia, Germania Federale, Italia, paesi del Benelux: Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo), favorì lo sviluppo economico dell'Italia, inserendola in modo più organico nel quadro della vita europea. Attraverso la collaborazione economica, il Mercato Comune avrebbe dovuto creare rapidamente le premesse per un'integrazione anche politica fra gli Stati Europei. I progressi fatti in questa direzione sono stati tuttavia fino a oggi assai lenti. Si e' dovuto aspettare il 1979 per poter far eleggere a suffragio universale dai cittadini dei nove paesi costituenti la CEE (COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA, alla quale nel 1973 hanno aderito anche Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca) il primo parlamento europeo.

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Il centro-sinistra

Fino al 1953 i governi italiani erano stati dominati dalla personalità di Alcide De Gasperi, che aveva saputo garantire l'equilibrio nella vita politica del paese; ma nelle elezioni avvenute in quell'anno la Democrazia Cristiana perse la maggioranza assoluta in parlamento e De Gasperi si ritirò dalla scena politica. Egli morì l'anno seguente. Le condizioni del paese cominciarono a mutare, sia per effetto dell'evoluzione politica interna del paese, spinta ora da un rapido progresso economico, sia perche' sul piano internazionale si verificò, in seguito alla morte di Stalin e all'attenuarsi della tensione tra i due blocchi, un progressivo miglioramento di rapporti che fini' col ripercuotersi anche sulla situazione italiana. L'unità d'azione tra i socialisti e i comunisti cessò di essere rigida e col tempo parve possibile che il PSI potesse essere accolto fra i partiti di governo. D'altra parte si rendeva sempre più urgente la necessità di dare ordine all'economia del paese e di provvedere alle indispensabili riforme sociali. Da questo nuovo stato di cose nel 1962 nacque, dopo numerosi contrasti, il primo governo di centro-sinistra, presieduto da AMINTORE FANFANI, cui parteciparono democristiani, socialdemocratici e repubblicani con l'appoggio esterno dei socialisti (entrati poi nei successivi governi di centro-sinistra). Tale governo mise in atto la nazionalizzazione dell'industria elettrica; fu anche realizzata una riforma della scuola media come primo passo verso una generale riforma del nostro sistema scolastico, assai importante per il futuro del paese. L'ingresso dei socialisti al governo nel 1963 provocò l'uscita dal PSI del gruppo che fondò il Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP), in seguito confluito nel PCI. Nel 1966 si e' avuta la riunificazione del PSI e del PSDI, seguita tre anni dopo (luglio 1969) da una nuova scissione. Nel paese si e' intanto verificata una crescita della coscienza di classe dei lavoratori culminata nelle conquiste dell'"autunno caldo", come fu detto l'autunno del 1969, quando la casuale coincidenza del rinnovo di alcuni importanti contratti di lavoro, in particolare di quello dei quasi due milioni di lavoratori metalmeccanici, creò nel paese un movimento unitario di lotta quale non s'era mai visto in Italia. Lo STATUTO DEI LAVORATORI, entrato in vigore nel giugno 1970, la realizzazione dell'unità d'azione fra le tre maggiori centrali sindacali (CGIL, CISL, UIL), ormai autonome dai partiti, e le importanti lotte per le riforme sociali hanno fatto avanzare nel nostro paese il movimento dei lavoratori.

Gli anni '70

La contestazione studentesca e la strage di Piazza Fontana.

A partire dal 1966 l’Italia fu percorsa da un’ondata di manifestazioni studentesche contro l’autoritarismo della scuola tradizionale. La spinta del “ribellismo” giovanile venne ben presto frenata, ma frange estremiste dettero vita a gruppi politici extraparlamentari (Potere Operaio e lotta

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Continua) che si affiancarono ai lavoratori scesi in lotta per il rinnovo dei contratti di lavoro. La mobilitazione operaia raggiunse il culmine nel novembre1969 (autunno caldo), quando il paese fu paralizzato da uno sciopero generale caratterizzato da imponenti manifestazioni e cortei nelle maggiori città italiane. A conclusione di questa intensa stagione di lotte, venne promulgato nel 1970 lo Statuto dei lavoratori, la legge che tutela le libertà sindacali e la dignità dei lavoratori all’interno delle aziende. Per fronteggiare la pressione delle forze di sinistra, i settori più reazionari della destra fecero allora ricorso alla cosiddetta strategia della tensione, cioè a una tragica catena di attentati e stragi per creare un clima di paura nel paese e impedire cambiamenti politici radicali. Questo lungo calvario ebbe inizio il 12 dicembre 1969 a Milano, quando una bomba venne fatta esplodere nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, provocando 17 morti e 88 feriti. L’obiettivo degli attentatori era quello di suscitare nei cittadini la richiesta di un “governo forte”, che riportasse l’ordine e impedisse ogni tentativo rivoluzionario.

All'inizio degli anni settanta i governi di centro-sinistra entrarono in crisi e il problema più importante della politica italiana diventò quello di trovare nuovi rapporti tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista. L'istituzione delle Regioni, che ha consentito di attuare il principio costituzionale del decentramento del potere da Roma alle comunità periferiche, ha anche favorito lo stabilirsi di relazioni meno rigide fra i partiti nelle diverse zone del paese. Nel 1972 e nel 1976 vi sono stati scioglimenti anticipati del Parlamento per la impossibilità di dare vita a governi destinati a restare in carica per periodi di durata non effimera su maggioranze stabili. Dopo le elezioni del 1976 e per ispirazione di ALDO MORO (esponente della Democrazia Cristiana) tuttavia si stabilirono accordi che consentirono al Partito Comunista di appoggiare indirettamente il governo e in seguito di entrare nella maggioranza parlamentare. Portarono a questo risultato l'accettazione da parte comunista delle istituzioni di tipo occidentale e delle alleanze internazionali dell'Italia (cosiddetto EUROCOMUNISMO) e la necessità di fare appello a tutte le forze politiche per avviare un programma di governo capace di fronteggiare la crisi economica e sociale che investiva il paese, di cui un'ondata di attentati compiuti da organizzazioni clandestine fu l'aspetto più preoccupante. La strage di via Fani a Roma (16 marzo 1978) e il successivo assassinio di Aldo Moro compiuto dalle BRIGATE ROSSE sono stati gli episodi più drammatici di una serie di delitti che terroristi senza scrupoli hanno posto in essere per compromettere la vita democratica dell'Italia, a cominciare dalla strage alla Banca dell'Agricoltura di Milano (12 dicembre 1969). Il governo "di unità nazionale", presieduto da GIULIO ANDREOTTI e costituito dalla DC con

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l'appoggio di PCI, PSI, PSDI e PRI, entrò in crisi all'inizio del 1979. Nel giugno dello stesso anno si svolsero nuove elezioni politiche anticipate che non consentirono di sciogliere con immediatezza i nodi della situazione politica italiana, lasciando aperti i problemi della costituzione di una larga maggioranza parlamentare e dei rapporti tra i due maggiori partiti. Permasero ancora i problemi della lotta al terrorismo, del rafforzamento delle istituzioni democratiche (di cui fu simbolo il presidente della Repubblica SANDRO PERTINI, eletto a grande maggioranza l'8 luglio 1978 dopo le dimissioni di Giovanni Leone), del superamento della recessione economica e della crisi energetica, in una prospettiva di pace e di collaborazione internazionale.