Confronti ottobre 2015 (parziale)

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6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANESPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB 10 OTTOBRE 2015 Per le vie di Cuba

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Per le vie di Cuba

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Anno XLII, numero 10

Confronti, mensile di fede, politica, vita quoti-diana, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto FlavioGhizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Pie-ra Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente).

Direttore Claudio ParavatiCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce,Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Liga-bue, Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavillano,Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Car-melo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, LiaTagliacozzo, Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena,Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognan-di, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, StefanoCavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Cour-tens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia,Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi,Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud SalemElsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà,Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Gar-rone, Francesco Gentiloni, Gian Mario Gillio,Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Lau-ra Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino,Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani,Franca Long, Maria Immacolata Macioti, AnnaMaffei, Fiammetta Mariani, Dafne Marzoli, Do-menico Maselli, Cristina Mattiello, Lidia Mena-pace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca MariaNegro, Silvana Nitti, Enzo Nucci, Paolo Odello,Enzo Pace, Gianluca Polverari, Pier GiorgioRauzi (direttore responsabile), Josè Ramos Re-gidor, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabba-dini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi,Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Valdo Spini,Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Cri-stina Zanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia Guar naProgrammi Michele Lipori, Stefania SaralloRedazione tecnica e grafica Daniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero: V. Agnoletto, L. Berlinguer, R. Bertoni,B. Forte, P. Gajewski, G. Giulietti, M.Mazzoli, F. Mill Colorni, T. Revelli, S.Salacone, L. Zappella.

Le immaginiPer le vie di Cuba • Claudio Paravati, copertinaScatti di Cuba • Claudio Paravati, 3

Gli editorialiVittime del paradigma liberista • Vittorio Agnoletto, 4Se l’aborto è sempre «a carico» delle donne • Giancarla Codrignani, 5La Rai prigioniera dei partiti • Giuseppe Giulietti, 6La visione del papa «americano» • David Gabrielli, 8

I serviziCuba Un pontefice per aiutare la transizione • Claudio Paravati, Luigi Sandri, 9Europa Se l’Unione è una somma di impotenze politiche • Felice Mill Colorni, 14

Economia e promesse non mantenute • Marco Mazzoli, 16Scuola Ma questa scuola è buona o cattiva? • Simonetta Salacone, 18

«Guardiamo alle potenzialità positive» • (int. a) Luigi Berlinguer, 21«Buona scuola», buone intenzioni e ambiguità • Luciano Zappella, 22

Sinodo Verso un nuovo ecumenismo • Claudio Paravati, 23Per un riconoscimento reciproco senza rinunce • Bruno Forte, 24I nodi irrisolti nel cammino ecumenico • Pawel Andrzej Gajewski, 25

Memoria Stranieri e profughi: la lezione della storia • Giorgio Gomel, 27Oggi come ieri, tra accoglienza e ostilità • (int. a) Piero Terracina, 28

Incontri/Revelli Un prete sempre vicino agli ultimi • Piera Egidi Bouchard, 31

Le notizieGuerre I conflitti nel mondo costano 12mila miliardi di euro, 33Rifugiati Secondo i dati Unhcr, sono 60 milioni, 33Egitto Nuova stretta contro la libertà di informazione, 33Medio Oriente In Israele tolti gli aiuti statali alle scuole cristiane, 34Protestanti Inaugurata piazza Martin Lutero a Roma, 35Diritti In Russia bloccato il sito dei testimoni di Geova, 35Agenda Appuntamenti, 36

Le rubricheDiario africano Burkina Faso: la difficile uscita dalla dittatura • Enzo Nucci, 37In genere Linda Bimbi: una vita, tante storie • Anna Maria Marlia, 38Note dal margine Bernhard Häring vive • Giovanni Franzoni, 39Cibo e religioni I sikh e il valore del cibo • Monica Di Pietro, 40Spigolature d’Europa L’Europa dei diritti e delle disuguaglianze • Adriano Gizzi, 41Libro Una storia per capire il cristianesimo • Luigi Sandri, 42Libro Una missione da portare a termine • Roberto Bertoni, 43Libro Grande guerra, grande menzogna • David Gabrielli, 44Segnalazioni 45

RISERVATO AGLI ABBONATI: chi fosse interessato a ricevere, oltre alla copia cartacea della rivista, anche una mail con Confronti in formato pdf può scriverci a [email protected]

CONFRONTI10/OTTOBRE 2015

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LE IMMAGINI

Le vie di Cuba mostrano un mondo in forte cambiamento, con la storia della rivoluzione sempre presente tra le immagini del «Che», di Fidel, e le parole chiave

del socialismo su muri e cartelloni, e i segnali della nuova distensione con i «gringos». Ancora sotto «bloqueo» economico, l’isola vive un miscuglio caraibico di danza, musica, religioni, negozi,

opere e istituzioni (statali) e le prime attività «private». Un mondo variegato che si accinge ad affrontare unodei più grandi cambiamenti della sua storia recente: una nuova Cuba, sempre «libre!».

Le foto che illustrano questo numero sono di Claudio Paravati e si riferiscono al servizio di pagina 9.

SCATTI DI CUBA

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GLI EDITORIALI

«La rapina delle risorsenaturali e losfruttamento colonialesono fatti acclarati, manon conclusi. Oggiproseguonoaffiancando a strumentigià da tempo in uso,quali le guerre perprocura (come adesempio in Congo o inSudan), l’appoggio adittatori di ogni risma(non ultimo il generaleal Sisi in Egitto), altristrumentiideologicamente etecnicamente piùsofisticati quali leguerre per esportare lademocrazia inAfghanistan, Libia,Siria, Iraq... e gli accordicommerciali come gliEpa tra Ue e Africasubsahariana».

Vittime delparadigma liberistaVittorio Agnoletto

Giovedì 19 luglio 2001 un corteo di deci-ne di migliaia di persone, accompa-gnate da musica e danze attraversava ilcentro di Genova, non c’erano ancora

state la repressione, le torture e la morte diCarlo Giuliani. Era il corteo con e per i mi-granti, per la libera circolazione delle perso-ne; era l’espressione di un movimento consa-pevole che aveva colto che i migranti sareb-bero stati il paradigma della globalizzazioneliberista, le vittime designate di un modello disviluppo che faceva del mercato il suo Dio edell’infinita voracità di ricchezza e potere ilproprio Vangelo. Secondo il rapporto del-l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite peri Rifugiati, nel 2014 vi erano 59,5 milioni dimigranti forzati rispetto ai 37,5 milioni di die-ci anni prima. Nel 2014, ogni giorno 42.500persone in media sono diventate rifugiate, ri-chiedenti asilo o sfollati interni; in tutto ilmondo lo è una ogni 122 persone.

I rifugiati e i richiedenti asilo sono solo unaparte dei migranti. Tutto il confronto odier-no dentro l’Ue è tra politiche di accoglienzae muri xenofobi. Ed è giusto che sia questa ladiscussione. Ma ci servirebbe molto perorientarci nelle scelte un sano esame di co-scienza che aiutasse ciascuno a riconoscerele proprie responsabilità.

La rapina delle risorse naturali e lo sfrutta-mento coloniale sono fatti acclarati, ma nonconclusi. Oggi proseguono affiancando astrumenti già da tempo in uso, quali le guer-re per procura (come ad esempio in Congo oin Sudan), l’appoggio a dittatori di ogni risma(non ultimo il generale al Sisi in Egitto), altristrumenti ideologicamente e tecnicamentepiù sofisticati quali le guerre per esportare lademocrazia in Afghanistan, Libia, Siria, Iraq...e gli accordi commerciali come gli Epa (ac-cordi di libero scambio) tra Ue e Africa sub-sahariana che stanno fortemente contribuen-do a distruggere l’agricoltura africana e cheogni anno secondo i dati Onu erodono unabuona parte del Pil nazionale di quei paesi.

Non ha limiti il commercio delle armi; se-condo lo Stockholm International Peace Re-search Institute, il volume degli scambi di ar-

mi pesanti nel periodo 2009-2013 è stato inmedia del 14% più elevato di quello del pe-riodo 2004-2008. Ai primi posti troviamoStati Uniti, Russia, Francia, Gran Bretagna,Germania e Spagna; l’Italia è al nono postoper un totale di 786 milioni di dollari. Tuttenazioni formalmente in prima linea a trova-re soluzioni di pace nei più disparati angolidel mondo.

Negli ultimi cinque anni sono scoppiati, osi sono riattivati, almeno 15 conflitti: otto inAfrica (Costa d’Avorio, Repubblica Centra-fricana, Libia, Mali, nord-est della Nigeria,Repubblica democratica del Congo, Sud Su-dan e Burundi); tre in Medio Oriente (Siria,Iraq e Yemen); uno in Europa (Ucraina) e trein Asia (Kirghizistan, e diverse aree del Myan-mar e del Pakistan). Le situazioni di guerra inAfghanistan, Somalia e in altri paesi duranoda decenni. Non è un mistero che dove le ar-mi legalmente non potrebbero arrivare, vigiungono per interposta destinazione.

«È terrificante – ha dichiarato l’alto com-missario delle Nazioni Unite per i rifugiati,António Guterres – che da un lato coloro chefanno scoppiare i conflitti risultano semprepiù impuniti, e dall’altro sembra esserci appa-rentemente una totale incapacità da parte del-la comunità internazionale a lavorare insiemeper fermare le guerre e costruire e mantenerela pace». Considerazione reale, anche se de-stinata ad apparire quanto mai retorica.

I profughi ambientali, sebbene non sia fa-cile realizzare un censimento sufficiente-mente preciso, intrecciando i dati dell’ Inter-national Organization of Migration, dell’A-sian Development Bank e del settore inter-nazionale di Legambiente, risultano esseregià oggi decine di milioni e alcuni studi par-lano di un miliardo nel 2050. Anche in que-sto caso i maggiori responsabili delle emis-sioni di gas ad effetto serra non sono certo ipaesi dai quali fuggono i migranti.

Quando si discute di accoglienza con la sen-sazione, sociale e personale, di compiere un’o-pera buona, un fioretto, sarebbe forse bene ri-cordarsi tutto questo, assumersi le proprie re-sponsabilità ed essere consapevoli che si stasolo cercando di riparare in minima parte adun danno del quale il mondo occidentale con-tinua ad essere almeno corresponsabile. Nes-sun buonismo, ma atti dovuti.

Se tutto ciò ci aiutasse anche a riflettere suldestino del pianeta, al quale tutti apparte-niamo, non sarebbe poi male.

Vittorio Agnolettoè stato presidente della Legaitaliana per la lotta all’Aids ed europarlamentare, oggi è membro del boardinternazionale del networkFreedom Legality And Rights in Europe.

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GLI EDITORIALI

In vista del Giubileostraordinario che siaprirà l’8 dicembre,papa Francesco haconcesso ai sacerdoti lafacoltà di assolvere dalpeccato di aborto chi,pentito, ne chieda ilperdono. Ma ha lasciatosola la donna, senzaapprofondire lacoscienza dell’uomo cheresta in qualche modo«autorizzato»all’irresponsabilitàprocreativa. Enaturalmente Bergogliosi guarda bene daltoccare l’enciclica«Humanae Vitae» diPaolo VI, che a suotempo deluse molticattolici, anche tra ivescovi.

Se l’aborto è sempre«a carico» delle donneGiancarla Codrignani

Nessuno dovrebbe voler insegnare alpapa il suo mestiere, soprattuttoquando lo esercita con coraggio. In-fatti Francesco crede (intervista a Ci-

viltà Cattolica uscita sul numero del 19 set-tembre 2013) che «la comprensione dell’uo-mo muta col tempo, e così anche la coscien-za dell’uomo si approfondisce». Ne è prova,dice, «la schiavitù ammessa in passato senzaalcun problema». Infatti oggi sembra incre-dibile il pronunciamento del Sant’Uffizio do-po l’approvazione del XIII emendamento cheaboliva la schiavitù negli Usa: «Nonostanteche i Pontefici Romani non abbiano nulla la-sciato di intentato per abolire la schiavitùpresso tutte le genti [...] la schiavitù, di per sé,non ripugna affatto né al diritto naturale néal diritto divino [...]. Infatti, il possesso delpadrone sullo schiavo, non è altro che il di-ritto di disporre in perpetuo dell’opera delservo, per le proprie comodità, le quali è giu-sto che un uomo fornisca ad un altro uomo.Ne consegue che non ripugna al diritto na-turale né al diritto divino che il servo sia ven-duto, comprato, donato».

Anche Aristotele credeva che lo schiavofosse tale «per natura». I conquistadores chefecero strage degli indios non sapevano che«tutte le persone su questa terra sono uomi-ni», come predicava Bartolomé de las Casas.La «razza» costituì fondamento di ideologienefaste, mentre è una definizione scientifica-mente inesistente. La comprensione mutacon il tempo, eppure può succedere che unsenatore definisca impunemente «orango»una signora che gli è collega ed è nera (il le-ghista Calderoli nei confronti dell’ex mini-stro Cécile Kyenge, ndr). Il bimbo nato «pernatura» mancino veniva torturato a scuola,con il braccino legato, perché la sinistra de-finisce (per natura?) il diavolo. L’omosessua-le è ancora un deviante, un malato, un per-verso: il rifiuto della sua naturalità producesofferenze e perfino suicidi, anche se bastaleggere il Fedro per sapere come Socrate ePlatone ragionavano d’amore.

La procreazione è certamente naturale e lafamiglia risponde a necessità sociale: oggi en-

trambe si sono evolute, si fondano sull’amo-re e i figli si fanno non per legge o per far pia-cere a Dio: «non siamo mica conigli», dice ilpapa. Il matrimonio è stato un contratto, puòessere un sacramento, ma l’indissolubilità èculturale (come la poligamia per gli islamici)e nemmeno Gesù ne ha fatto un dogma se haliberato l’adultera senza rimandarla al mari-to. Un embrione dovrebbe essere un embrio-ne che spesso si disperde «naturalmente» do-po un rapporto fecondo ma sfortunato.

Come umani vogliamo ancora troppo po-co «approfondire la coscienza» e «per natu-ra» restiamo egoisti e violenti, non paghiamole tasse e accettiamo di costruire muri con-tro i rifugiati se qualcuno ce lo comanda.Tuttavia è anche vero che la storia ci sospin-ge e la Chiesa cattolica stessa si affina nellamisericordia per sciogliere nodi che oggi sipresentano complessi. Per dare avvio a pra-tiche più misericordiose il papa ha elargitoqualche indulgenza alle donne che hannoabortito: per qualcuno è stato sconcertante,ma è anche così che i cattolici vengono ri-condotti all’«autenticità» della dottrina. Spe-riamo che se ne accorgano gli ungheresi e ipolacchi, la cui xenofobia appare un peccatopiù grave dell’aborto. Occorre davvero di-ventare più misericordi, con molta attenzio-ne a non farne una scusa per non correggerele storture personali e sociali.

Francesco ha riaperto la misericordia sul-l’aborto, senza indulgere sulla dottrina. Tut-tavia non si è reso conto della solitudine incui ha lasciato la donna e sull’omissione diun elemento fondamentale per «approfondi-re la coscienza dell’uomo». Il canone 1398del Codice di diritto canonico lo chiama «ilmandante», ma non nominando il partner, ilpapa sostanzialmente conferma che l’uomoè autorizzato all’irresponsabilità procreativa.Non era complementare abrogare l’Huma-nae Vitae (l’enciclica di Paolo VI pubblicatanel luglio 1968), che quasi cinquant’anni fadeluse molti dei vescovi del Concilio? Edevangelizzare i maschi, che sfuggono alla ra-dice del problema non solo dell’aborto, madella qualità delle relazioni, se è vero che ilnumero maggiore degli aborti riguarda le co-niugate? La donna non può restare incinta«per caso» (che qualcuno furbescamente in-terpreta «per natura») se nella coppia i duedecidono insieme: quando la donna dice no,la parola libertà comporta che il rapportonon sia procreativo. Se la famiglia regge an-

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GLI EDITORIALI

Agli ottimi annuncirenziani sulla necessitàdi liberare il serviziopubblico radiotelevisivodal controllo dei partiti,superare la leggeGasparri e approvareuna legge seria sulconflitto di interessi,non hanno ancora fattoseguito passi concretinella direzioneriformatriceannunciata.

cora, è perché la donna, non più disponibilesenza riserve alle ineducate pulsioni maschi-li, «pensa in coscienza» che avere un figlio inpiù significa che forse non potrà mandarloall’università perché il reddito non lo per-mette. L’aborto, se succede «un incidente»(vogliamo ragionare sul termine?), lo pagheràsempre lei, nella carne viva e nel tormentointeriore che non coincide quasi mai con ilpentimento. È misericordia se i carichi uma-ni sono sempre a carico delle donne?

La Rai prigioniera dei partitiGiuseppe Giulietti

La categoria della «rottamazione» non ciha mai commosso, perché spesso si trat-ta di un gioco di illusionismo verbale uti-lizzato per nascondere una sostanziale

conservazione di abitudini, metodi e praticheche affondano le radici nei peggiori vizi di unavecchia Italia. Eppure quando Renzi ha an-nunciato di «voler liberare la Rai dal controllodei partiti e dei governi, per restituirla ai citta-dini...», non solo gli abbiamo creduto, ma ab-biamo fatto il tifo per lui. Ancor più quando haritenuto di aggiungere che «una grande azien-da come la Rai non può essere governata conla legge Gasparri», anzi per la verità disse, conespressione che persino a noi apparve ardita,che «la Rai non può essere governata da unalegge che porta il nome dell’ex ministro Ga-sparri...». In effetti l’opposizione alla legge Ga-sparri, e la necessità di dare all’Italia una leg-ge sul conflitto di interessi, erano stati, anchein campagna elettorale, temi che avevano uni-ficato l’intero centro-sinistra, a prescindere damoderati, radicali, renziani, bersaniani, veltro-niani, vendoliani, credenti, non credenti, alti,bassi, magri e robusti... Bersani aveva pro-messo di «rottamare» il settore dei media neiprimi 100 giorni. Renzi aveva seguito le ormedei suoi predecessori, almeno negli annunci.Cosa è restato di quei bellicosi, per altro con-divisibili, propositi? Poco o nulla. La legge sulconflitto di interessi, più volte annunciata, nonè mai arrivata in aula, anzi ha fatto una brevis-sima apparizione, per essere subito ricacciatadentro i confini della Commissione parlamen-tare. Di tanto in tanto viene evocata e rievoca-ta, in genere quando Berlusconi e i suoi fede-lissimi cominciano a manifestare qualche ti-mida velleità di fare opposizione su legge elet-torale o riforme costituzionali.

La sola evocazione dell’espressione «con-flitto di interessi» fa sull’ex cavaliere il pre-sunto effetto dell’aglio mostrato al leggenda-rio vampiro. Si tratta, per altro, di una sceneg-giata iniziata nel 1994 e che ha sempre pro-dotto il risultato di impedire l’approvazione diuna seria legge in materia.

Il tempo della rottamazione, dunque, non haprodotto alcun cambiamento nella rappresen-

Giuseppe Giulietti è portavoce dell’associazione Articolo 21.

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GLI EDITORIALI

tazione, al massimo sono cambiate alcune ma-schere.

Lo stesso copione è andato in scena per laRai. Il governo Berlusconi aveva imposto lalegge Gasparri, riportando la Rai sotto il con-trollo dei governi e dei partiti. Quella legge erastata contrastata dal Pd, senza eccezione alcu-na, perché giudicata una legge illiberale, an-ticostituzionale, destinata a rafforzare l’oligo-polio e a chiudere ulteriormente il mercato del-le risorse e della pubblicità, con grave dannoper la libertà dei mercati e disastrose conse-guenze per la piccola e media impresa e perl’industria editoriale.

Queste accuse non erano venute da una «mi-noranza radicale», ma da un largo fronte cheuniva istituzioni europee, costituzionalisti, rap-presentanti degli editori e delle imprese, sin-dacati, le principali associazioni della cultura,del cinema, dell’audiovisivo.

Da questa battaglia discendevano le propostedi legge presentate da Paolo Gentiloni, attualeministro degli Esteri, e Walter Veltroni, padree fondatore del Pd. Le loro proposte, equili-brate e tecnicamente coerenti, erano e sonofondate sulla necessità di aprire il mercato, dirivedere i tetti antitrust, di ridurre il controllodi governo e partiti, di rivedere il ruolo e lafunzione della Commissione parlamentare divigilanza e di restituire alla Rai il ruolo di prin-cipale azienda culturale del paese, liberata dal-la «dittatura degli ascolti», come peraltro hapositivamente dichiarato anche il nuovo diret-tore generale Antonio Campo Dall’Orto.

Tutto risolto dunque? No, perché di quei te-sti è restato poco o nulla e il nuovo gruppo di-rigente della Rai è stato rieletto con quella leg-ge Gasparri della quale era stata annunciatal’abrogazione, scelta che ha giustamente man-dato in visibilio proprio l’ex ministro delle Co-municazioni.

Nel frattempo il Senato, con il concorso de-terminante dei voti di Berlusconi, ha appro-vato un testo di legge che ripercorre la stradadella Gasparri, riconsegnando ai governi e aipartiti, di oggi e di domani, il controllo diret-to sulla Rai. Del disegno riformatore e dellaannunciata rottamazione, almeno per ora, nonc’è traccia.

Questo a prescindere dal giudizio sulle per-sone nominate e sulle loro qualità, ma non oc-corre essere degli scienziati della politica percomprendere che le forme legislative e le mo-dalità di nomina, condizionano la medesima or-ganizzazione produttiva e le forme dell’auto-

nomia industriale ed editoriale. La legge è oraall’attenzione della Camera e, anche all’inter-no del Pd, non manca chi vorrebbe procederead una profonda revisione del testo approvatoal Senato. Ci auguriamo che questo accada eche siano riprese in considerazione le propostedei Gentiloni e dei Veltroni e che al centro del-la discussione sia posta la qualità dell’offerta,la missione del servizio pubblico, le modalitàdi finanziamento, l’apertura ai giovani talenti,l’innovazione tecnologica, la capacità di illu-minare le troppe periferie oscurate e cancella-te. Questo sarà anche l’impegno della associa-zione Articolo 21, che promuoverà un con-fronto aperto a chiunque vorrà davvero tutela-re e qualificare un bene pubblico che dovrebbeavere la funzione di stimolare lo spirito critico,di sviluppare quei valori di coesione sociale, disolidarietà, di inclusione sociale che avevanoanimato anche la Rai delle origini.

Mai come in questa occasione ci auguriamoche lo stesso presidente Renzi voglia tornareal suo progetto originario e dare continuità al-le intenzioni più volte annunciate.

Se lo farà, gliene daremo atto con piacereperché avrà vinto l’interesse generale, se in-vece dovesse restare in vigore la legge Ga-sparri o una sua copia, continueremo a pen-sarla come la pensavano un tempo anche Ren-zi e l’intero gruppo dirigente del Pd.

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GLI EDITORIALI

Dopo Cuba (19-22 settembre)Francesco ha visitatoper cinque giorni gli Usa, costellando il suo pellegrinaggio di incontri importanti.Particolarmentesignificativi i discorsi da lui tenuti alCongresso statunitense,all’Assemblea generaledelle Nazioni Unite,all’Incontro mondialedelle famiglie svoltosi a Philadelphia. I temi geopolitici ed ecclesiali emersi,evidenziano prospettivedi grande portata ma manifestano anche asperità data la complessità deiproblemi incombenti e la stessa difficoltà di attuare in concreto i princìpi a cui ci si appella.

La visione del papa «americano» David Gabrielli

La tappa statunitense del pellegrinaggioamericano di papa Francesco (di quellacubana riferiamo nel servizio di pagina9) ha avuto quattro picchi in altrettanti

discorsi: al Congresso, all’Onu, all’episcopa-to degli Usa e alla conclusione dell’Incontromondiale delle famiglie, a Philadelphia. In-sieme questi testi rappresentano, ci pare, uncorpus che riassume il pensiero geopolitico equello ecclesiale e pastorale di Bergoglio.

I temi affrontati al Congresso e all’Assem-blea generale delle Nazioni Unite sono qua-si l’eco l’uno dell’altro: culto del dialogo perrisolvere le contese tra i paesi, evitando lascorciatoia maledetta della guerra; un’eco-nomia al servizio di tutti e non mezzo perumiliare i più poveri; una visione grande egenerosa per affrontare globalmente il pro-blema così acuto dei migranti; la consapevo-lezza dell’urgenza della questione ecologicaper salvare il pianeta; la ferma condanna delterrorismo; l’indispensabilità del dialogo in-terreligioso per contribuire, come Chiese ereligioni, alla pacificazione dei cuori e alla so-lidarietà fra tutti e tutte.

Bergoglio, al Congresso, ha anche calda-mente invitato i legislatori ad abolire final-mente la pena di morte: e si sa come la granmaggioranza del mondo politico, oltre chedell’opinione pubblica, Usa sia perlopiù osti-le all’abolizione. Nella sua perorazione il ve-scovo di Roma ha evitato di fare un mea cul-pa per le responsabilità storiche del magiste-ro romano nel condannare a morte non soloi rei di gravi delitti, ma anche persone «ere-tiche», che avevano cioè una idea diversa daquella ufficiale; questa dolente memoriaavrebbe invece rafforzato le parole papali, di-mostrando che anche la Chiesa cattolica nonè nata imparata, ma è arrivata alla sua attua-le posizione abolizionista dopo un percorsoaccidentato. Ed una tale ammissione diumiltà e di storicità forse avrebbe fatto ri-flettere quei paesi che non vogliono abolirela forca, la spada o l’iniezione letale per pu-nire i rei.

A livello internazionale tanti sono stati glielogi, e poche le critiche, ai discorsi del papa;

e, infatti, da più parti gli è stata riconosciutaun’autorità morale ed un’autorevolezzaesemplare. Ma proprio l’enorme complessitàposta da temi specifici – è il caso della Siriainsanguinata da una feroce guerra civile, edevastata dal cosiddetto Stato islamico del-l’Isis – rischia di sciogliere la (quasi) unani-mità raccolta da Bergoglio a New York.

Sul fronte più propriamente ecclesiale, ilpapa ha tentato l’ardua impresa di conciliareuna numerosa comunità cattolica (settantamilioni di fedeli) frastagliata al suo interno edivisa tra avversari e favorevoli a soluzioniaudaci sui temi etici «sensibili» (le unioni ci-vili, la contraccezione, l’Eucaristia alle per-sone divorziate e risposate, l’aborto, il fine-vita). Non vi è cattolico che non sia a favoredella vita, o geloso custode della Parola delSignore. Ma quando ci si trovi di fronte apersone gravate da situazioni dolorosissime,ove si scontrano valori importanti e differenti(l’aborto, ad esempio, nel caso di una donnastuprata), l’appello ai princìpi «non negozia-bili» diventa più che problematico.

Per capire le tensioni che percorrono laChiesa cattolica statunitense va notato chenegli Usa anche Chiese non cattoliche, comela episcopaliana (anglicana), si sono laceratesugli stessi temi, gli uni e gli altri gruppi af-fermando, con il loro «sì» o il loro «no», divoler essere fedeli all’Evangelo. Lacerazioniche hanno rasentato lo scisma si sono avuteanche sul riconoscimento delle unioni omo-sessuali o a proposito dell’ordinazione didonne-pastore e donne-vescovo. In meritoFrancesco non si è addentrato, limitandosiad affermare che la Chiesa ha bisogno dei lai-ci e in particolare dell’apporto delle donne(laiche e religiose: queste ultime una colon-na delle attività assistenziali, e oggi anche delpensiero teologico, del cattolicesimo statu-nitense). Ma se si mantiene una dottrina delsacerdozio – riservato ai maschi – e non siassume invece quella dei ministeri (esercita-bili da uomini e donne, da celibi, nubili osposati/e), diventa in radice impossibile ri-solvere in modo adeguato la questione-don-na. Anche in prospettiva ecclesiale il papa hadunque sfiorato temi che da Oltreatlantico siriflettono nel Tevere, e che per certi aspettiscuoteranno il Sinodo dei vescovi, dedicatoalla famiglia, che si celebra questo mese (4-25 ottobre) in Vaticano. Un appuntamentodirimente di questo pontificato. Con qualiesiti, si vedrà.

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CUBA

Claudio ParavatiLuigi Sandri

Se dal punto di vista mediatico l’iconadel pellegrinaggio di papa Francesco aCuba è stata il suo incontro con FidelCastro, a livello profondo la domanda

sottesa che attraversava in filigrana discorsie gesti del pontefice e quelli dei suoi interlo-cutori – presidente Raúl Castro, vescovi, re-ligiosi/e, giovani – era sul «come» accompa-gnare nel modo migliore la transizione delregime cubano dallo status quo alla «cosa»,per ora indecifrabile, che si imporrà a segui-to del miglioramento delle relazioni con gliStati Uniti d’America, e che prima o poi ine-vitabilmente comporterà la fine del bloqueo(l’embargo che dura dal 1961, quando JohnKennedy lo impose all’isola castrista, e cheRaúl ha definito «crudele, illegale e immora-le»); e che si imporrà all’uscita dei fratelli Ca-stro dalla scena politica. Questo sembra a noiil filo rosso che ha collegato i vari eventi del-la visita papale (19-22 settembre) a Cuba, l’i-sola che, con un gruppo di Confronti, dal 10al 21 settembre abbiamo visitato, iniziandoda Santiago ed a poco a poco risalendo versol’Avana dopo aver toccato Cienfuegos, Ca-magüey, Trinidad, Santa Clara, per arrivareinfine alla capitale dove domenica 20 set-tembre abbiamo assistito alla messa celebra-ta dal pontefice nella Plaza de la Revolución.

Assonanze e diversità di tre viaggi papaliBergoglio è il terzo papa che visita Cuba. Adinaugurare questa meta fu Giovanni Paolo II,nel gennaio 1998. Allora, a sette anni dalladeflagrazione dell’Unione sovietica – che ap-poggiando l’isola, in particolare fornendo ilpetrolio, le aveva garantito la sussistenza –sembrava un miracolo che la piccola Cubasocialista, detestata dagli States, potesse con-tinuare a resistere. Eppure resisteva, seppu-

re a prezzo di dolorosissimi sacrifici per lapopolazione. Infatti, mentre spariva l’Urss,continuava il bloqueo statunitense con i suoidevastanti effetti sulla vita quotidiana dei cu-bani, soprattutto dei bambini e dei malati,privati di molte medicine. Perduravano an-che contraddizioni interne al regime cubanoche, dando tutta la colpa all’embargo, potevanascondere sue proprie responsabilità per lacrisi economica. Wojtyla propose una svol-ta, riassunta nella formula: «Che il mondo siapra a Cuba, e questa al mondo». Non ac-cadde però nulla di sostanziale, anche se pic-coli miglioramenti ci furono.

Dal punto di vista dei rapporti Stato-Chie-sa cattolica, Giovanni Paolo II sollecitò l’epi-scopato a non opporsi frontalmente al regi-me ma a favorire un dialogo paziente cheprogressivamente portasse a cambiamentibenefici per l’intera società. Nel 2008 Fidel sidimise da tutte le cariche politiche e il suoposto fu dato al fratello Raúl: e questi nelmarzo 2012 diede il benvenuto a BenedettoXVI che confermò la linea di Wojtyla. Ades-so è arrivato Francesco, con le mani che pro-fumavano ancora di un preziosissimo regaloche già qualche mese prima aveva fatto a Cu-ba: con un’opera di mediazione discreta edefficace egli infatti aveva favorito l’avvio del-la normalizzazione tra l’isola e gli States, inconcreto tra Raúl e Barack Obama. Per talemotivo, sia le autorità ecclesiastiche che ilgoverno cubano si aspettavano che folleoceaniche venissero a salutare il Grande Me-diatore. Folle ed entusiasmo ci sono, sì, stati,ma forse – almeno questa la nostra impres-sione – non nella misura attesa. E così allamessa del 20 settembre la folla convenuta(duecentomila persone) era certamente assaiinferiore a quella assiepatasi per analoga ce-lebrazione di papa Wojtyla. Come mai? Laspiegazione che ci è arrivata, parlando qua elà all’Avana con varie persone, è che la genteè stanca di attendere, e vorrebbe vedere, infretta, riforme concrete. In altre parole: i pa-pi vengono, parlano, ripartono, ma nemme-no loro hanno la bacchetta magica per spin-gere il governo a riforme veloci e incisive.

Accolto con tutti gli onori all’Avana, dove ha salutato anche l’ex li-der maximo Fidel Castro, Francesco ha implicitamente indicato aicattolici – la metà dei cubani – la strada per aiutare il passaggiodallo status quo ad un paese rinnovato che dispieghi le sue po-tenzialità e garantisca libertà di esprimersi a tutte le sue anime.

Un pontefice per aiutare la transizione

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Ad una settimana dall’arrivo del papa, Ma-ria Caridad Lopez Campistrous, responsabi-le dei media nella diocesi di Santiago, ci di-ceva di non aspettarsi grandi cambiamentisociali dalla presenza di Francesco; piuttosto,insisteva, egli inviterà i cattolici ad essere una«Chiesa in uscita, una Chiesa missionaria»,alla luce dello slogan ufficiale della visita pa-pale: «Francisco, misionero de la misericor-dia». E, a proposito della situazione socialedel paese, Caridad sottolineava i problemiposti, già oggi, da un calo impressionantedella natalità (dovuto alle difficoltà della vitaquotidiana ed aggravato dall’assenza di mol-ti giovani che hanno lasciato Cuba per anda-re a vivere all’estero, in particolare negli Usa).Ma, tornando al papa, varie fonti cattolichesi sono dette convinte che il suo pellegrinag-gio avrebbe migliorato comunque la situa-zione della Chiesa cattolica: dovrebbero in-fatti cadere restrizioni che ancora sussistono(ad esempio, resta assai difficile, seppure, al-meno per i cattolici, ora non impossibile co-struire nuove chiese). E una Chiesa, libera epur poverissima di mezzi, e con scarsissimepossibilità di avere «grandi» opere di assi-stenza sociale – perché il governo, in linea diprincipio, vorrebbe riservarle a sé, mentreapprezza quelle «piccole» in mano ecclesia-stica – potrebbe dare una testimonianza im-portante alla Chiesa universale.

Un caleidoscopio: cattolici, santeri, altre Chiese e religioni I cattolici rappresentano circa la metà degliundici milioni di cubani. Tra di loro ci sonopersonalità capaci che un domani potrebbe-ro entrare in un eventuale governo. Per de-cenni lo statuto del Partito comunista rifiutòl’adesione ad esso di credenti; il congressodel Pc del 1992 tolse però il divieto. Nessunooggi a Cuba subisce discriminazioni a causadella religione. E quando il papa, il 20 set-tembre, è andato a trovare, a casa, l’ottanta-novenne ex lider maximo, questi ha regalatoall’ospite Fidel y la religión, un suo libro pub-blicato negli anni Ottanta del secolo scorso,frutto di appassionati colloqui con Frei Bet-to, teologo brasiliano della liberazione. Ca-stro affermava che se le gerarchie ecclesiasti-che, quando nel 1959 «trionfò la Rivoluzio-ne», avessero avuto idee come quelle soste-nute dal suo interlocutore, certamente nonci sarebbe stata nessuna avversità alla Chie-sa. D’altronde, nei giorni della visita di Ber-

goglio i media – tutti controllati dal partito– facevano a gara ad esaltare il papa, ripor-tando integralmente i suoi discorsi e dandolarghissimo spazio ai suoi gesti. A vedere latv di stato, o a leggere Granma, organo uffi-ciale del Comitato centrale del Pc di Cuba,tutti ridondanti di papa, pareva di guardareo leggere un cattolicissimo media nostrano.

Ma a Cuba non ci sono solo cattolici. Tan-ti – milioni, forse: ma è arduo precisare – so-no i seguaci della santería, variegato mondoreligioso sincretista afro-cubano che in qual-che modo lambisce anche tanti cattolici, inuna mescolanza inestricabile. Ci sono poipiccole ma significative minoranze. Incon-triamo Fidel Babani, rappresentante della co-munità ebraica cubana, che ci aspetta in unasinagoga dell’Avana. Arrivati a Cuba già conla «scoperta» dell’America, gli ebrei crebbe-ro notevolmente a fine Ottocento, perchémolti soldati statunitensi che raggiunsero l’i-sola erano ebrei. Nel 1959, quando si impo-se la Rivoluzione, la comunità ebraica eracomposta da ventimila persone: gran parte diesse abbandonarono però l’isola dove, oggi,ci sono solo milleduecento ebrei che, ci con-ferma il nostro interlocutore, sono liberissi-mi di praticare la loro religione (anche se Cu-ba non ha rapporti diplomatici con Israele).Vi è a Cuba anche una piccola comunità mu-sulmana, che però non siamo riusciti ad in-contrare.

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Francesco – il terzopapa che visiti l’isola – è stato a Cuba dal 19 al 22 settembre, e poi è proseguito per Washington (per il suo viaggio negliUsa, si veda l’editorialea pagina 8). Ricevuto con ognicordialità dalpresidente Raúl Castro,ha avuto con lui incontriprotocollari e privati. È anche andato a trovarel’ottantanovenne Fidel,malato ma con lo spirito sempre vigile.

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Tra le Chiese non cattoliche, a Cuba lepiù vivaci sono quella metodista e quellabattista. Il pastore Ricardo Pereira Diaz, ve-scovo della Chiesa metodista, ci confermache i metodisti, come tutti gli altri, hannopiena libertà di culto; tuttavia, non posso-no costruire nuove chiese. Che fare, allora,quando ce n’è bisogno? Semplice: una nor-male casa, lasciando apparentemente intat-ta la sua struttura, viene trasformata inchiesa. Tutti sanno che ormai è una chiesa,però è una casa, e la polizia non dice nien-te. Lo stesso vescovo ci parla di quella vol-ta che Fidel incontrò i rappresentanti dellevarie Chiese e religioni. Presi da grande ri-verenza nessuno osò esporre lamentele allider maximo, salvo il metodista che elencòmolte richieste e avanzò puntuali critichead un Fidel che ascoltava attentamente.

La sera di domenica 20 settembre siamoandati in una chiesa metodista: il culto è sta-to caratterizzato da inni cantati a squarciago-la, con molte persone che accennavano pas-si di danza. E un pastore statunitense, venu-to a Cuba per alcuni mesi, ha tenuto una lun-ghissima ed elettrizzante predicazione, spes-so interrotta dal grido gioioso di «Alleluja, al-leluja». Parliamo di una Chiesa che oggi con-ta – ci dice il vescovo – più di quarantamilamembri (fino a centomila i simpatizzanti); laterza per grandezza, dopo Brasile e Messico,nel mondo latinoamericano, e con un tasso dicrescita annuo del 10% – un «trend» costan-te negli ultimi tre lustri.

Per quanto riguarda poi le Chiese battiste,

sono divise in congregazioni locali; noi abbia-mo incontrato Idael Montero Pacheco, pasto-re che svolge il proprio servizio anche pressoil Centro Martin Luther King all’Avana, fon-dato e diretto sino a oggi dal pastore Raúl Suá-rez. Luogo significativo il Centro dedicato alpastore statunitense afroamericano, poiché èqui che le Chiese battiste di Cuba elaborano laloro teologia della liberazione. Mentre ci par-la il pastore fa più volte riferimento agli in-contri degli anni Ottanta del Novecento, al-l’Avana, tra Fidel Castro e Frei Betto. L’azio-ne del Centro è volta alla «ricerca della giusti-zia (hic et nunc), perché a questo ci chiama laParola quando la si testimonia» ci dice Idael.Una giustizia, aggiunge, da perseguire e di-fendere quotidianamente, tramite azioni di«diaconia» quali una mensa gratuita per i me-no abbienti; un laboratorio sociale per anzia-ni; e un’opera di formazione di «agenti socia-li», in grado di assumere ruoli attivi di curadella rete sociale del quartiere e della città.

Tra problemi, asperità e speranzeI vari nostri interlocutori unanimementehanno sottolineato le difficoltà della vitaquotidiana di tutti i cubani (non solo deicredenti, ovviamente!): lo stipendio mediomensile, di ogni tipo di lavoro, è sui ventidollari; anche se, attraverso tessere, le fami-glie possono acquistare a prezzi bassissimi,in negozi particolari, i prodotti essenziali, ri-mane pur sempre un’entrata davvero ina-deguata. Il tutto peggiorato dalla singolarecircolazione di una doppia moneta: il Cuc,

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Dal punto di vistareligioso, Cuba è una realtà complessa:circa la metà dellapopolazione è cattolica,ma forte è la santería,un mondo sincreticocattolico-afrocubano.Bene inserite ancheChiese protestanti di varia origine. È presente pure una piccola comunità ebraica. Oggi vige a Cuba pienalibertà religiosa, ma al di fuori del cultole Chiese possono afatica gestire «grandi»attività sociali, mentreil regime vede confavore quelle «piccole».

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peso convertible che praticamente equivaleal dollaro, e il Cup, il peso nazionale, diver-so in formato cartaceo e monetario, che va-le un ventiquattresimo del Cuc e non è ac-cettato in molti negozi. Quelli che ricevonosoldi da parenti all’estero (Florida, soprat-tutto, dove vivono mezzo milione di cuba-ni, in maggioranza critici acerrimi del regi-me, e perciò delusi dai discorsi soft di Ber-goglio ai dirigenti dell’Avana), o lavoranocon turisti, hanno dunque quei Cuc che glialtri non possiedono. Questa doppia circo-lazione – avviata vent’anni fa da Fidel peraffrontare il Periodo especial determinatodal collasso dell’Urss – è stata forse inevita-bile, per superare una crisi gravissima, ma apoco a poco ha provocato una sostanzialedifferenza di classe tra chi ha i Cuc, e chinon li ha; una disparità che crea amarezze,frustrazioni, invidie, e differisce la possibi-lità di risolvere alla radice – bloqueo a par-te – la crisi economica del paese. Frustra-

zioni che, in altro campo, derivano anchedalla disastrosa situazione delle reti di co-municazione, all’interno di Cuba e ancheverso l’estero (è arduo usare il wi-fi, perfinoin alberghi a cinque stelle).

Eppure, malgrado queste asperità e que-ste contraddizioni, l’audace Cuba è riuscitaa mantenere due conquiste importantissi-me della Revolución: la scuola, dalle ele-mentari all’università, gratuita per tutti, el’assistenza sanitaria gratuita per tutti. Percomprendere la straordinaria valenza posi-tiva di tali conquiste basterebbe ricordarecome, nei paesi del «Terzo mondo», i pove-ri di norma siano in radice esclusi dallascuola e dalla sanità gratuite. I medici cuba-ni sono ben preparati ed hanno anche in-ventato farmaci importanti che, una voltacaduto il bloqueo (che resiste, seppure nel-l’agosto scorso siano state ristabilite, dopomezzo secolo, le relazioni diplomatiche traCuba e Usa), potrebbero essere venduti al-

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Francesco ha evitato di parlare di questionipolitiche; ha insistitoinvece sull’ideale di una Chiesa poverache, ricca dell’Evangelo,si spende a favore di tutti. Essa,sottinteso, in tal modofavorisce –indirettamente ma con credibilità – una pacifica transizionetra lo status quo e la «nuova» (ma quale?) Cuba cheinevitabilmente dovrà nascere quandousciranno dalla scenapolitica i fratelli Castro.

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l’estero. Insomma, Cuba ha un fattore uma-no di grandi potenzialità, e professional-mente molto preparato: esso, che ha salva-to il paese in questi anni difficilissimi, saràla locomotiva trainante anche della futuraCuba. Ma quale Cuba?

Alla fine della transizione, la Cuba del fu-turo – che dovrà prevedere il pluralismopolitico, la piena possibilità di espressionedi ogni persona e gruppo sociale, e la libertàdi stampa – dovrà (dovrebbe) salvaguarda-re alcune conquiste sociali del regime so-cialista e, insieme, innestare su di esse rifor-me che, causa bloqueo o per limiti struttu-rali del castrismo, non sono state realizzate.Dovrà sparire la prostituzione organizzata(oggi, presso alcuni alberghi e spiagge, tol-lerata dalla polizia); se questo fenomeno èuna macchia per Cuba, va notato che il re-gime ha fatto tantissimo per l’affermazionedella donna in ogni àmbito (in parlamentoquasi la metà dei deputati sono donne) e siè evoluto molto rispetto ai diritti degli omo-sessuali, anche se nella mentalità, come intutti i paesi latino-americani, il machismo el’omofobia sono duri a morire.

Su tutte queste problematiche, come sul-l’assenza di pluralismo politico almeno co-me inteso in Occidente, Francesco non si èespresso direttamente, ed è apparso imba-razzato quando sul volo Santiago-Washing-

ton gli è stata posta una domanda in meritoai detenuti politici cubani da lui non ricevu-ti – ma il governo nega che ce ne siano: difatto, in occasione della visita papale, sonostati amnistiati, anche per l’interessamentodell’arcivescovo dell’Avana, cardinale JaimeLucas Ortega y Alamino, tremila detenuti,tutti definiti «comuni». In ogni modo, l’in-sieme delle parole di Bergoglio (quali l’invi-to, ai giovani, a «saper sognare»; e l’afferma-zione: «Si servono le persone, non le ideolo-gie») sono state uno sprone, per la Chiesacubana, a vivere la transizione accogliendoin modo convinto il messaggio evangelico,formando le coscienze, e riconoscendo ailaici cattolici dediti alla politica, ed a quantie quante potenzialmente potrebbero farlo, enon alle gerarchie ecclesiastiche (come al-cuni prelati pur vorrebbero), il compito diimpegnarsi in prima persona per contribui-re a realizzare il miracolo di una transizioneforte, pacifica, determinata: magari lenta co-me il camminare della gente cubana nell’as-solato meriggio caraibico, ma potente comeun uragano atlantico. Sul «come» e «quan-do» sarà il popolo della nobile Cuba a sce-gliere, magari immaginando un governo diunità nazionale che rappresenti tutte le ani-me. Perché l’isola che molti vogliono chenon ci sia, dovrà diventare un’isola che c’èper tutti. Que viva Cuba!

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La circolazione di una doppia moneta –il peso «convertible», che praticamente è a parità col dollaro, e il peso nazionalenormale, che vale un ventiquattresimodell’altro – crea di fattouna differenza di classe,tra i fortunati (quanti, ad esempio,lavorano col turismo)che lo possonofacilmente avere, e quanti ne sono privi.Una situazioneaggravata daglistipendi medi che sono bassissimi.