Confronti di maggio 2016 (parziale)

12
1 maggio 2016 6 EURO TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB MENSILE DI RELIGIONI · POLITICA · SOCIETÀ mag 2016 Il diritto di pregare

description

 

Transcript of Confronti di maggio 2016 (parziale)

1

maggio 2016

6 EUROTARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB

MENSILE DI RELIGIONI · POLITICA · SOCIETÀ

mag2016

“Il diritto di pregare”

ANNO XLIIINUMERO 5Confronti, mensile di religioni, politica, società, è proprietà della cooperativa di lettori Com Nuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Amministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto Flavio Ghizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Piera Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente).

DIRETTORE

Claudio Paravati

CAPOREDATTORE Mostafa El Ayoubi

IN REDAZIONE

Luca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce, Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Ligabue, Michele Lipori,

Rocco Luigi Mangiavillano, Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carmelo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Tagliacozzo, Stefano Toppi.

COLLABORANO

A CONFRONTI

Stefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena, Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognandi,Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, Stefano Cavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Courtens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia, Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi, Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud Salem Elsheikh,

Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà, Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Garrone, Francesco Gentiloni, Gian Mario Gillio (direttore responsabile), Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Laura Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino, Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani, Franca Long, Maria Immacolata Macioti, Anna Maffei, Dafne Marzoli, Domenico Maselli, Cristina Mattiello, Lidia Menapace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca Maria Negro, Silvana Nitti, Enzo Nucci, Paolo Odello,

Enzo Pace, Gianluca Polverari, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabbadini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi, Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Debora Spini,Valdo Spini, Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Vincenzo Vita,Cristina Zanazzo, Luca Zevi.

ABBONAMENTI,

DIFFUSIONE,

PUBBLICITÀ

E COORDINAMENTO

PROGRAMMI

Nicoletta Cocretoli

AMMINISTRAZIONE Gioia Guarna

PROGRAMMI

Michele Lipori, Stefania Sarallo

REDAZIONE

TECNICA E GRAFICA

Daniela Mazzarella

PROGETTO GRAFICO

E ART DIRECTION

Sara Turolla

HANNO

COLLABORATO

A QUESTO NUMERO

S. Bernardini, R. Bertoni, G. Brancia, O. Costantini, A. Di Porto, G. Gori, H.R. Piccardo.

FOTO/CREDITI

Andrea Sabbadini

(copertina);

Michele Lipori

(pagine 3, 10, 23,

24, 25, 33, 39).

RISERVATO AGLI ABBONATI

Chi fosse interessato a ricevere, oltre alla copia cartacea della rivista, anche una mail con Confronti in formato pdf può scriverci a: [email protected]

Publicazione

registrata presso

il Tribunale di Roma

il 12/03/73, n. 15012

e il 7/01/75, n.15476.

ROC n. 6551.

CONTATTItel. 064820503

www.confronti.net

[email protected]

@Confronti_CNT

maggio 2016

3

maggio 2016 le immagini

SEMI DI PACE

Le immagini che introducono

le sezionidi questo numero e quelle

nel servizio di pagina 21

sono state scattate in

uno dei viaggi organizzati

da Confronti in Israele

e nei Territori palestinesi.

Foto di Michele Lipori

maggio 2016

il sommario

il sommario

maggio 2016

GLI EDITORIALI

Nelle catacombe per leggeSamuele Bernardini6

Come è strano costruire una moschea a MilanoHamza Roberto Piccardo7

Comunicazione:un mondo in ebollizioneVincenzo Vita8

Se l’Europa dimentica le proprie responsabilitàMaria Immacolata Macioti9

ISERVIZI

BRUXELLESIl terrorismo da Al Qaeda a DaeshEnzo Pace11

Non basta dire «non rappresentano l’islam»(intervista a) Abdellah Redouane14

MIGRANTIUe e Turchia: quando la montagna partorisce un’idraGiulia Gori 16

Dal pietismo alla giustizia socialeOsvaldo Costantini18

SEMI DI PACETante idee per un impegno comuneMichele Lipori21

Due popoli, due Stati, una radio(intervista a) Maysa Baransi e Mossi Raz25

CHIESA CATTOLICAUn difficile equilibrio fra “dottrina” e “pastorale”Luigi Sandri27

Quali novità sul “ruolo delle donne”?Giancarla Codrignani31

LENOTIZIE

Armi Mine anti-uomo34

Acqua Rapporto Onu34

MediaRsf sulla libertà di stampa35

Pena di morte I dati di Amnesty35

Referendum Appelli per il voto di ottobre36

Islamofobia Episodio di violenza a Umbertide36

Libertà religiosa Anche il Veneto prova a fermare le moschee37

Ebraismo Il Talmud babilonese in italiano37

Metodisti L’Ufficio ecumenico metodista38

Lutto La morte di Piergiorgio Rauzi38

LERUBRICHE

Diario africanoGli scandali schiacciano il KenyaEnzo Nucci40

Salute e religioni «Sceglierai la vita». Ebraismo e saluteAriel di Porto41

Note dal margineSabotare la 194 è illegale e immoraleGiovanni Franzoni42

Spigolature d’Europa Un giudice a Berlino se insulti il sultanoAdriano Gizzi 43

CinemaSe la poesia documenta la tragediaGiorgio Brancia44

ILIBRI

Don Milani non se n’è ancora andatoGiuliano Ligabue45

’68-’77: l’epopea di una generazioneRoberto Bertoni46

LEIMMAGINI

Il diritto di pregareAndrea Sabbadinicopertina

Semi di paceMichele Lipori3

maggio 2016

L’antidoto del sapere e della libertà Claudio Paravati

L’antidoto alla paura è il sapere, e la strada è quella della libertà, a partire da quella religiosa. «Se uscissimo dalla paura ci si renderebbe conto che questo

è il momento di pensare una politica del pluralismo religioso e di fare una legge sulla libertà religiosa che l’Italia non ha». Così Alberto Melloni sulla Repubblica del 23 marzo. E ha ragione. L’“antidoto della paura” è il sapere: «un sapere incarnato negli insegnanti e nella scuola».Da diverse legislature ci si aspetta una legge quadro, una “legge sulla libertà religiosa” che regolamenti i diritti e i doveri di tutti, e che faccia uscire dal “sommerso spirituale” italiano i soggetti religiosi, tutti. Questo è il momento giusto: proprio perché il più pericoloso. Le paure rischiano di far retrocedere di secoli proprio quell’Europa che uscì dalle guerre di religione «attraverso un percorso storico-teologico di cui ammiriamo oggi i risultati», prosegue Melloni. Non possiamo ammettere che si presti il fianco alle reazioni emotive, che si traducono in rigurgiti xenofobi, razzisti, antisemiti e islamofobici. Su questo l’Europa deve resistere, e guardare semmai a costruire una nuova politica.L’Italia può fare la sua parte, innanzitutto dando dignità alla pluralità, riconoscendo i soggetti che convivono e costruiscono oggi il Paese. A tal proposito non sono di buon auspicio alcune iniziative politiche degli scorsi mesi. Due esempi. Il 24 febbraio la Corte costituzionale ha dichiarato infine incostituzionale la legge per i luoghi di culto, la n. 1 del 2015 (che modificava la n. 12 del 2005)del Consiglio regionale della Lombardia. Si tratta di una legge sul “governo del territorio”, al cui interno erano previste «norme per le attrezzature religiose» che – riconosce la Consulta – ledono la libertà di culto e invadono competenze riconosciute solo allo Stato nei rapporti con le confessioni religiose. Insomma il tentativo è stato quello di impedire l’apertura di nuovi luoghi di culto, tra cui moschee e chiese cristiane (tutte!).Secondo episodio: nonostante l’esito in Corte costituzionale, anche la Regione Veneto ha varato nel frattempo (ad aprile 2016) alcune modifiche alla propria legge sul governo del territorio, con le quali introduce una versione leggermente edulcorata della legge lombarda: si ripropongono limiti urbanistici, prevedendo tra le altre cose che gli oneri per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria (strade, parcheggi, illuminazione, fognature, ecc.) siano a carico delle confessioni religiose.Che le due leggi regionali debbano essere lette come mosse politiche per compiacere il proprio elettorato di riferimento, anche in vista del voto di giugno, e contrapporsi alla politica di Roma, appare chiaro. Solo che a farne le spese sono le libertà costituzionali di tutti i cittadini, e in particolare di chi ha maggiormente bisogno di luoghi di culto: per esempio i musulmani, ma anche le tante comunità cristiane composte da immigrati. In molti ad oggi pregano per strada, in casa o in qualche scantinato!Ci vuole invece coraggio, ci vuole politica. Questa è l’unica risposta per fortificare il Paese. Una politica che sostenga anche il sapere. Poiché da quel sapere (scuola, istruzione, formazione) ne conseguirebbe un’Italia, e quindi anche un’Europa, che guardi al futuro forte della parte migliore del proprio passato.

invito alla lettura

6

maggio 2016 gli editoriali

Nelle catacombeper legge Samuele Bernardini

La normativa sui luoghi di culto della legge regionale

n.62. del 2015 (detta anche “legge anti-moschea”) produce ostacoli pressoché insormontabili ad aprire o adattare nuovi locali per il culto per qualsiasi comunità religiosa (in questo la parità di trattamento è garantita). La maggioranza politica che governa la Regione ha così stabilito per legge l’irrilevanza della Costituzione nella parte relativa alla rivendicazione che tutte le confessioni sono ugualmente libere di fronte alla legge e che tutte hanno il diritto di esercitare liberamente il proprio culto in pubblico e in privato. Per dirlo in parole chiare (come piace a Matteo Salvini): il popolo leghista e i suoi dirigenti ritengono che l’islam sarebbe una religione troppo aggressiva e non meritevole di avere luoghi di culto nel nostro paese.

Il Comune di Milano ha tentato una strada opposta per favorire l’apertura di locali di culto in tre aree pubbliche (due destinate ai musulmani e una agli evangelici), ma il processo è bloccato. La questione è da tempo oggetto di dibattito pubblico a Milano (in particolare) e in Lombardia ed è entrata nei temi della campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio comunale del capoluogo lombardo.

Un caso da manuale, dunque, tra due diversi e opposti approcci della

politica ai temi della convivenza multiculturale e interreligiosa. Purtroppo, però, la disputa politica e giuridica non è confinata nelle aule universitarie, ma riguarda la vita di persone in carne e ossa.Le Chiese protestanti milanesi hanno sempre partecipato a questo “processo” (con iniziative proprie e con altri, audizioni in Regione e Comune, appelli e prese di posizione), sempre in collegamento e collaborazione con la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), che ha maggiori competenze giuridiche e visioni più ampie della situazione italiana.

Con l’appello reso noto lo scorso 8 aprile (“Garantire la libertà di culto delle minoranze religiose”; si veda il testo integrale sul nostro sito: www.confronti.net), le Chiese protestanti milanesi hanno voluto esprimere il proprio rammarico per il nulla di fatto sui luoghi di culto

e la strumentalizzazione politica su persone che non possono godere di un diritto costituzionale. Se l’indice di civiltà di un paese si misura non sulla libertà di credere individualmente come e quello che si vuole, ma nella possibilità di esercitare praticamente e liberamente il proprio culto nella comunità religiosa di appartenenza, allora il nostro indice di civiltà è molto basso. Non possiamo poi accettare per l’islam la definizione di “religione aggressiva” (e magari anche pericolosa?) come qualcuno ha dichiarato di recente. In passato e anche oggi in varie parti del mondo questa definizione viene applicata a diverse comunità di fede per contrastarle o perseguitarle e noi non possiamo accettare che questo avvenga anche a Milano.

Le Chiese hanno voluto rendere nota la propria posizione in modo pubblico. L’appello è destinato ai candidati e ai loro sostenitori, ma soprattutto ai cittadini milanesi. Ma anche alle confessioni cristiane e alle comunità di fede qui presenti. Le Chiese non si illudono che l’appello possa cambiare le posizioni in campo, tuttavia non potevano esimersi dal rendere pubblica testimonianza della propria posizione a riguardo. Senza una legge sulla libertà religiosa, sarà difficile in Italia fare passi avanti nella direzione giusta.L’Italia ha bisogno di più laicità e di più libertà di religione e di coscienza. Non è un paradosso, ma una necessità.

SAMUELE BERNARDINIdirettore della libreria Claudiana di Milano.

“La legge urbanistica anti-moschea è invenzione

recente delle Regioni a trazione leghista.

La legge regionale lombarda è il modello originale a cui si

è ispirata l’analoga normativa della Regione Veneto.

Con l’appello “Garantire la libertà di culto delle minoranze religiose”,

le Chiese protestanti milanesi hanno espresso la loro

contrarietà„

7

maggio 2016

Come è strano costruireuna moschea a Milano Hamza Roberto Piccardo

Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha dichiarato

pubblicamente, all’inizio del mese di aprile, di essere contrario alla costruzione di nuove moschee a Milano – unica, tra le grandi città europee, a non disporre di un dignitoso luogo di culto islamico – allineandosi alla vasta schiera degli islamofobi, in evidente contraddizione con la Costituzione che ha giurato di rispettare e difendere nel momento in cui ha assunto la funzione.

La Costituzione italiana sancisce in modo inequivocabile, all’articolo 19, la libertà di culto; e infatti recita: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto...».

La dottrina costituzionale precisa che esercitare il culto in privato o in pubblico significa riconoscere

uno spazio pubblico alla religione e per far ciò i credenti devono poter disporre di spazi atti a svolgere tale attività. Ne deriva l’obbligo per lo Stato non solo di consentire ma anche di facilitare la disponibilità di edifici di culto.

O il ministro ignora la Costituzione che dovrebbe «osservare lealmente» o, se la conosce, preferisce inseguire l’islamofobia dilagante in contrasto con il suo ruolo istituzionale.

Nella prima riunione del Consiglio per le relazioni con l’islam, da lui creato nel gennaio scorso, il ministro Alfano aveva dichiarato: «Il Consiglio avrà il compito di fornire pareri e formulare proposte in ordine alle questioni riguardanti l’integrazione della popolazione di cultura e religione islamica in Italia». Ma le sue affermazioni sulla moschea di Milano vanno in tutt’altra direzione.

D’altronde Alfano è in buona compagnia se è vero, come è vero, che dopo un percorso condiviso con le comunità religiose, l’amministrazione del sindaco uscente Pisapia sembra voler contraddire il suo stesso bando e rimandare alle calende greche, o mandare completamente all’aria, l’assegnazione definitiva alle associazioni che quel bando si sono aggiudicato.

Un gran brutto segnale per gli oltre centomila musulmani che abitano la metropoli lombarda, il milione e

mezzo che vivono in questo Paese e i 250mila italiani di fede islamica (come attestano le ricerche del Centro studi sulle nuove religioni - Cesnur). L’islam è la seconda religione in Italia dopo quella cristiana cattolica, ma non gode di nessun riconoscimento giuridico. Il motivo principale è la mancanza di volontà politica. Affrontare la “questione islamica” in modo serio e costruttivo non porta voti, anzi. E la faccenda delle moschea di Milano rientra in questa logica: siamo in piena campagna elettorale per le amministrative di giugno.

La libertà di culto sancita dalla Costituzione della Repubblica non può infatti prescindere da luoghi di culto dignitosi e organizzati, gestiti in modo trasparente e in conformità con le leggi in vigore. Luoghi cioè che assolvano al culto e impartiscano un insegnamento corretto, tradizionale e dialogante, avulso dagli interessi particolari e capace di realizzare nel tempo una Comunità islamica italiana forte e leale nei confronti delle istituzioni dello Stato e impegnata, da subito, nella lotta ad ogni deriva estremista anche solo potenzialmente pericolosa per la sicurezza collettiva.

HAMZA ROBERTO PICCARDOscrittore, editore, gia segretario generale dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii).

“La Costituzione, all’articolo 19, sancisce la libertà di

culto e la dottrina è concorde nell’affermare che questo implica che alla religione si riconosca uno spazio

pubblico. Contraddicendo questo principio, il ministro

dell’Interno Alfano ha espresso la propria

contrarietà alla costruzione di nuove moschee a Milano„

gli editoriali

8

maggio 2016 gli editoriali

Comunicazione:un mondo in ebollizione Vincenzo Vita

Il sistema italiano delle comunicazioni è in fase di profonda trasformazione.

Telecom parla ormai francese, essendo di fatto controllata da Vivendi, la società del finanziere bretone Bolloré, che ha siglato un accordo per la pay tv (per ora solo per quella) con Mediaset; la concessione pubblica della Rai è in scadenza; la Mondadori ha acquisito la Rcs libri; il Corriere della sera è oggetto di un’offerta pubblica di scambio da parte del proprietario de La7 Urbano Cairo; si sta celebrando il matrimonio del secolo tra Stampa e gruppo Espresso-Repubblica. Per converso, lontano dai riflettori, continuano a chiudere giornali ed emittenti locali.È bene chiarire subito che tali sommovimenti sono diversi dalla corsa alle concentrazioni degli anni Ottanta, nell’epoca della crescita dei consumi a fronte dell’esplosione della televisione commerciale e della (effimera) impennata delle vendite dei quotidiani. Non per caso allora la gran parte dei paesi europei – dalla Francia alla Spagna – varò norme tese ad evitare la degenerazione oligopolistica e il predominio assoluto del video mercantile. Non fu così in Italia, dove solo nell’agosto del 1990 arrivò la legge Mammì (dal nome dell’allora ministro) sull’emittenza, in realtà una mera fotografia del potere delle reti di Silvio Berlusconi. Un po’ meglio andò nella carta stampata, regolata

dall’unico reale tentativo ordinatorio (legge 416 del 1981). Ci torneremo.

Oggi il Risiko è tutt’altro: il tentativo quasi disperato di organizzare cittadelle di resistenza rispetto all’“invasione barbarica” degli Over the top (Ott), da Facebook a Google. Culture analogiche contro i vincenti linguaggi digitali. E, infatti, al di là degli zig zag societari, i vecchi signori dei media si aggiornano velocemente, sì, ma sempre con il segno del peccato originale.

Infatti, l’affanno è evidente e le manovre in corso sono barriere difensive contro “l’ignoto”. Naturalmente, a farne le spese saranno coloro che lavorano nelle aziende, vista l’incertezza strategica di ciò che accade. La transizione verso la società numerica (domani quantistica) non avviene con un progetto generale condiviso. Mentre in Francia hanno convocato gli “stati generali” dell’editoria, decidendo misure concrete a favore dei settori maggiormente toccati dalla crisi. Il New York Times si è impegnato in uno studio sul futuro della carta stampata e sul difficilissimo equilibrio tra on line e off line. In Germania si è sviluppato un vasto dibattito pubblico, cui ha partecipato anche il filosofo Habermas. Nel Belpaese ci si limita a discutere di una piccola riforma dell’editoria, in verità poco più di un aggiornamento dei criteri di erogazione del

finanziamento pubblico ai fogli cooperativi, non profit, locali o di opinione. Sul resto, a parte la brutta leggina sulla Rai che ha portato l’azienda nelle fauci del governo, assistiamo ad una varietà disomogenea di provvedimenti, a cominciare dallo stop and go sulla banda larga. Non solo. Persino le fragili leggi esistenti rischiano di essere violate. È il caso dell’intesa tra Stampa ed Espresso-Repubblica (ivi compresi i giornali locali di Finegil) che, una volta perfezionata, arriverebbe a possedere il 23% del comparto, oltre il tetto del 20% previsto nel 1981. Così, andrebbe ben approfondito il filo che unisce Telecom, Vivendi e Mediaset. Qui entrerebbe in scena – se si appurassero forme di collegamento concentrativo – gli stop del Testo Unico delle radiodiffusioni del 2005. Non parrebbe comportare lesioni della norma sul divieto di incroci tra stampa e televisioni la scalata sul Corriere della sera da parte dell’editore “puro” Urbano Cairo. Infatti, il semaforo rosso si accende solo se la televisione acquirente va oltre l’8% del cosiddetto sistema integrato della comunicazione (Sic) inventato dalla legge Gasparri del 2004, talmente vago e incerto da rendere arduo qualsiasi antitrust. Infatti, quel Sic andrebbe abrogato subito, per iniziare a disegnare un’architettura democratica del sistema.Naturalmente, il frutto dei peccati mortali della concentrazione è il pericolo concreto che si inveri un’omologazione culturale, ai danni di tutte le minoranze: politiche, culturali, religiose. Sursum corda.

VINCENZO VITAgiornalista e politico, esperto di comunicazione.

“Accordi, fusioni, scalate... in Italia, ma non solo, il

mondo dell’editoria e dei media è in agitazione„

9

maggio 2016 gli editoriali

Se l’Europa dimenticale proprie responsabilità Maria Immacolata Macioti

Mesi tremendi, quelli di fine 2015 e inizio 2016, per i migranti.

L’Europa non è riuscita a elaborare una comune politica per la loro accoglienza e gestione. I prevedibili arrivi dalla martoriata Siria e dall’Africa hanno messo in crisi la sostanza e l’immagine di una casa del diritto, di una meta dalla gestione interna democratica. Da questo punto di vista la situazione è decisamente cambiata in peggio dopo gli attentati di Parigi e poi di Bruxelles. L’Europa ha reagito più sull’onda della paura che del ragionamento. Portata a questo anche dal mutato scenario internazionale, sempre più dominato, oggi, da leader autoritari (vedi Danilo Taino, “A che prezzo”, su “Sette”, il magazine del Corriere della sera, del 15 aprile): dalla Cina alla Russia, dall’India all’Egitto, dove Abd al-Fattah al-Sisi governa con durezza, sepolta ormai la cosiddetta primavera araba. Fino alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan. In Usa gode di grande successo Donald Trump. E le democrazie liberali sono sempre più in crisi. In questo contesto, l’Europa ha stretto accordi con la Turchia per la gestione dei migranti. Nell’interpretazione di Marta Dassù (“Un cuscinetto turco per Berlino”, La Stampa del 14 aprile), la Merkel ha gestito in prima persona questo

accordo, fallito il tentativo di trovare risposte interne all’Europa, preso atto dell’ostilità che ha accolto la sua volontà di aprire le porte

della Germania ai rifugiati siriani. Da cui la necessità, per lei, di rivedere la strategia ipotizzata e tornare alla esternalizzazione del problema (la Libia di Gheddafi ha fatto scuola !). Da qui la scelta della Turchia come stato cuscinetto: il male minore, in quest’ottica. Un accordo che, secondo alcuni e sia pure a caro prezzo, funzionerebbe. Insoddisfacente per l’Italia, secondo la Dassù: chiusa la rotta balcanica, con la Turchia che dovrebbe filtrare i migranti siriani e non, l’Italia è più esposta di prima all’arrivo di consistenti flussi migratori (quelli che arrivano; non i morti nel Mediterraneo). Servirebbe un ampio accordo, inclusivo della gestione dell’euro. Cosa non facile, oggi, nonostante il tentativo di confronto Italia-Germania a Torino.

Certo, l’accordo Ue-Turchia appare insostenibile a chi vorrebbe un’Europa aperta all’accoglienza, non barricata contro i migranti (si veda l’Europa dell’Est e la minaccia austriaca di chiudere il Brennero). Chi è arrivato in Turchia dopo il 21 marzo, dopo duri e rischiosi percorsi, deve abbandonare anche le più incerte, pallide speranze? Come si può pensare alla Turchia come a un paese sicuro, un paese democratico? Le vicende armene e curde, la dura repressione del

dissenso interno indicano con forza il contrario. La Turchia non è paese da primo asilo né paese terzo sicuro. È di questo avviso anche il Centro studi sul federalismo (Andrea Cofelice, “L’accordo UE-Turchia sui migranti: legittimità ed efficacia”, 18/4/2016), che parla di compressione di standard consolidati in materia di protezione e avanza dubbi sulla legittimità e l’efficacia dell’accordo. Sul meccanismo di re-insediamento. Oggi, una Ue dimentica delle proprie responsabilità storiche, non più preoccupata della sicurezza e stabilizzazione del Mediterraneo e del Medio Oriente, rischia di violare il diritto internazionale e comunitario circa la detenzione dei migranti, i respingimenti collettivi (i casi andrebbero esaminati uno per uno), il diritto al ricorso. Ci sono stati, certamente, dei fatti positivi, come per esempio i viaggi del papa, la dichiarazione con il patriarca ecumenico di Costantinopoli e con l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia. Forse si giungerà alla piena unità dei cristiani; all’estensione dell’asilo temporaneo, alla concessione dello status di rifugiato agli idonei, a un maggiore soccorso. Sono stati un faro di luce l’arrivo in Italia con l’aereo papale di alcuni profughi musulmani, il corridoio umanitario realizzato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia con S. Egidio, l’accoglienza assicurata in Italia. Gocce, però, in un oceano di indifferenza. Serve un impegno comune per un mutamento di rotta europeo, fuori dai rigurgiti nazionalistici e da accordi disdicevoli, che segnano la fine delle speranze di profughi e fuggitivi.

“L’accordo Ue-Turchia appare insostenibile a chi

vorrebbe un’Europa aperta all’accoglienza, non barricata

contro i migranti„

MARIA I.MACIOTIcoordinatrice della sezione di Sociologia della religione di Ais - Associazione italiana di sociologia.

10

maggio 2016

i servizi

11

maggio 2016

Il terrorismoda Al Qaeda a Daesh

Enzo Pace

Partiamo dagli ultimi attentati in Europa per sviluppare delle analisi sugli sviluppi del fenomeno terroristico. La novità di Daesh

sta nel riprendere il progetto di Al Qaeda (che appare ormai “sbiadito”) per rilanciarlo, dimostrando che i tempi per la realizzazione

di uno Stato islamico sono ormai maturi.

ENZO PACEsociologo, membro del Consiglio per le relazioni con l’islam.

i servizi | BRUXELLES

Negli ultimi dodici anni, tra il 2004 (attentato alla stazione di Atocha a Madrid) agli ultimi

due compiuti rispettivamente all’aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles quest’anno, ci sono state altre azioni militari. Ricordo Londra (alla metropolitana) nel 2005 e poi in Francia, dappri-ma a Tolosa e Montauban nel 2013, poi al giornale satirico Charlie Hebdo nel 2015 a Parigi e, infine, al Bataclan nel 2016, sempre nella capitale. Tutto ciò per rimanere eurocentricamente in Europa, giacché l’Egitto, la Tunisia, il Libano, la Russia, la Turchia, il Mali, la Costa d’Avorio hanno subito altrettanti attentati non certo meno gravi di quelli elencati sopra.La tentazione di considerare quanto avvenuto, limitamente all’Europa, come azioni seriali di un piano di lotta armata, programmato e coordinato da una stessa mente è forte; tuttavia, fra il bloc-co di attacchi, avvenuti fra il 2004 e il 2005, da un lato, e il secondo, fra il 2013 e il 2016, dall’al-tro, c’è una cesura esterna di cui non si può non tenere conto. Alludo alla progressiva divergenza prodottasi fra Al Qaeda e il movimento per l’in-staurazione del califfato in Siria e Iraq. In mezzo è accaduto, inoltre, che nelle piazze di molte capitali del mondo arabo (2011-12) e prima in quelle della Repubblica islamica dell’Iran (2010), siano ap-parsi movimenti collettivi, senza programmi poli-tici precisi e senza leader di riferimento, che non rivendicavano certamente l’instaurazione dello Stato islamico né il ritorno al Califfato. Più con-cretamente essi volevano l’abbattimento di regimi dittatoriali e corrotti, giustizia sociale e lavoro,

dignità e rispetto di minimi diritti fondamentali «dell’uo-mo e del cittadino».Questi movimenti, compositi per età, genere, strati sociali, tendenze ideologiche – una

rete di reti di gruppi informali e di gruppi già ben organizzati nella clandestinità e nella laten-za sociale – hanno dimostrato, nonostante tutte le loro intrinseche debolezze, che era immaginabile un altro mondo possibile, che blocchi di potere economico-militare al vertice degli stati nazionali, formatisi nel periodo post-coloniale, rappresen-tati da grigi leader politici, senza più il carisma dei padri fondatori di quegli stati, potevano es-sere messi in crisi. In alcuni casi, l’esito è stato inatteso: hanno favorito la circolazione di nuove élite sia laiche sia legate all’islam-deologia (mi si consenta questo neo-logismo, in merito al quale rimando alla breve scheda a pagina 12) contem-poranea – come nel caso tunisino e, in un primo momento, come in quello egiziano – e la fuga e l’esilio volontario di presidenti e di rais che ave-vano guidato incontrastati, grazie anche a potenti microfisiche della macchina poliziesca, le rispet-tive società. In altri casi, prestandosi, per loro de-bolezza intrinseca, a farsi strumentalmente usare o da soggetti esterni (come nel caso della Libia) o dal pronto soccorso di gruppi affiliati ad Al Qa-eda, intervenuti prontamente alle prime repres-sioni violente subite dai movimenti di protesta pacifica, com’è avvenuto in Siria.In altri casi, infine, il gioco si è rapidamente (ma solo momentaneamente) chiuso per l’interven-to massiccio dell’Arabia Saudita in alcune aree considerate evidentemente dal gruppo dirigente della famiglia Saud più o meno come pianerot-toli o luoghi di disbrigo del proprio condominio, come nel caso rispettivamente del Bahrein e dello Yemen. Caso a parte, l’Iran: l’onda verde della protesta sociale e politica non ha sortito l’effet-

BRUXELLESEnzo Pace p.11Abdellah Redouane (intervista) p.14

12

maggio 2016

to di abbattere il regime del welayat al-faqih (il primato degli esperti della Legge coranica, sot-tratti, in base alla Costituzione del 1979, a qual-siasi controllo democratico), ma ha, comunque, convinto una parte del gruppo dirigente sciita a far oscillare il pendolo del potere verso quel polo interno del regime, dove si collocano tutti quelli che ritengono insostenibile sia l’isolamento poli-tico e economico a livello internazionale dell’Iran sia il controllo duro e asfissiante dei comporta-menti e delle idee dei propri cittadini esercitato

sotto la presidenza Ahmadinejad (2005-2013).Insomma, fra gli attentati del 2004-2005 avvenuti in Europa e il nuovo ciclo 2013-16, sulle rive sud del Mediterraneo e nel Medio-Oriente, nel mondo arabo e persiano, qualcosa di nuovo è accaduto: i movimenti di protesta non si sono rivolti fiducio-si ad Al Qaeda, ma hanno cercato – forse osando troppo – di contare sulle proprie forze. In ogni caso dimostrando che il progetto qaedista non ri-entrava nel loro orizzonte di azione politica. Anzi, forse quei movimenti, scendendo in piazza pacifi-camente e lottando digitalmente contro la censura, creando un primo abbozzo di linguaggio comune creato dai nuovi media, mandavano a dire ai suc-cessori di Osama Bin Laden che non credevano per nulla al loro progetto.

LE DIFFERENZE FRA AL QAEDA E DAESH Tra i turbanti e gli elmetti, quei movimenti hanno parlato un’altra lingua, diversa radicalmente sia da quella del potere costituito sia dei nuovi mo-naci-guerrieri, che da più di venticinque anni (Al Qaeda è stata fondata nel 1989) hanno cercato di trascinare «le grandi masse musulmane» nella lot-ta armata per l’instaurazione di uno stato sharia-tico, puritano e integralista, laddove si sono aperte crisi di sistema o crisi regionali (dall’Afghanistan alla Somalia, dall’Algeria alla Nigeria). Al Qaeda, a ben guardare, non è riuscita a intercettare la do-manda di cambiamento che è venuta dai movimen-ti della cosiddetta primavera araba. Saranno an-che stati sconfitti, in gran parte, ma hanno lasciato comunque tracce o sono entrati semplicemente in uno stato di latenza sociale, come spesso capita nei lunghi cicli di lotta di liberazione sociale e politica.La novità dell’Isis (Daesh) sta tutta qui: riprende-re il progetto di Al Qaeda, che appare sempre più sbiadito, “stanco”, per rilanciarlo spostando più in alto l’asticella, dimostrando che i tempi per la realizzazione di uno Stato islamico, con suo terri-torio, con un suo embrionale apparato e con una classe dirigente capace di riscrivere le carte geo-politiche disegnate dalle cancellerie europee fra la I e la II guerra mondiale, sono ormai maturi. Il riscatto per tutto il mondo arabo (sunnita) deve cominciare nel cuore dell’antico, storico territorio unificato e dominato prima dagli Omayyadi e poi dagli Abbasidi.La distanza simbolica fra l’aiuto prestato da Al Qaeda ai fratelli combattenti pashtun in Afghani-stan e la conquista di un lembo di terra incuneato fra la Siria (al-shams, il Levante) e l’Iraq, inner-vato favorevolmente di pozzi petroliferi, è enor-me. Nell’immaginario collettivo arabo-musulmano non c’è dubbio che il peso simbolico del secondo sia più rilevante rispetto alla prima azione com-binata di sostegno del movimento dei Talebani e dell’attentato alle Torri gemelle. Inoltre, grazie a

i servizi | BRUXELLES

ISLAM-DEOLOGIA

Questo neo-logismo serve a indicare l’islam ridotto a ideologia politica che presuppone, in alcuni casi, una lettura fondamentalista

delle fonti religiose (Qur’an e Hadith), che rifiuta ogni possibile margine di

ermeneutica storico-critica e dinamica della Parola custodita dai testi sacri, in altri, una

reinvenzione modernista di concetti e nozioni care alla tradizione religiosa musulmana,

riadattati all’esigenza delle moderna lotta per il potere e, dunque, spesso, usati come mezzi

di comunicazione politica, depotenziando il valore simbolico-religioso aggiunto che

tali concetti e tali nozioni contengono. Nel primo, la Parola viva, trasmessa nella storia,

tende a diventare lettera morta; nel secondo, nel tentativo di farla rivivere nelle forme

sociali e politiche proprie del nostro tempo, quella stessa Parola diviene di parte e non

riesce a parlare a tutti, è fonte di nuova fitna (discordia interna).