Confronti di dicembre 2014 (parziale)

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6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANESPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB 12 DICEMBRE 2014 L’umanità tramonta all’interno «DOSSIER MIGRAZIONI»

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12DICEMBRE 2014

L’umanità tramonta

all’interno «DOSSIER MIGRAZIONI»

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Anno XLI, numero 12Confronti, mensile di fede, politica, vita quotidia-na, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto FlavioGhizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Pie-ra Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente).

Direttore Gian Mario GillioCondirettore Claudio ParavatiCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce,Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Liga-bue, Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavillano,Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carme-lo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Ta-gliacozzo, Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena,Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognan-di, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, StefanoCavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Cour-tens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia,Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi,Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud SalemElsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà,Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Gar-rone, Francesco Gentiloni, Svamini Hamsanan-da Giri, Giorgio Gomel, Laura Grassi, Bruna Ia-copino, Domenico Jervolino, Maria Cristina Lau-renzi, Giacoma Limentani, Franca Long, MariaImmacolata Macioti, Anna Maffei, FiammettaMariani, Dafne Marzoli, Domenico Maselli, Cri-stina Mattiello, Lidia Menapace, Adnane Mokra-ni, Paolo Naso, Luca Maria Negro, Silvana Nitti,Enzo Nucci, Paolo Odello, Enzo Pace, GianlucaPolverari, Pier Giorgio Rauzi (direttore respon-sabile), Josè Ramos Regidor, Paolo Ricca, Car-lo Rubini, Andrea Sabbadini, Brunetto Salvara-ni, Iacopo Scaramuzzi, Daniele Solvi, FrancescaSpedicato, Valdo Spini, Valentina Spositi, Patri-zia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, CristinaZanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia Guar naProgrammi Michele Lipori, Stefania SaralloRedazione tecnica e grafica Daniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero: M. Ambrosini, M. Aquilante, M. Bernardi-ni, V. Brinis, A. Carletti, V. Chiti, M. Chiur-chiù, P. Corsini, J. Lindsay, F. Piobbichi,N. Tranfaglia, F. Vassallo Paleologo.

L’ICEBERG, inserto di approfondimento

«IMMIGRAZIONE: OLTRE L’EMERGENZA»Valentina Brinis, pagina I

Fulvio Vassallo Paleologo, pagina IIIPaolo Naso, pagina V

Massimo Aquilante, pagina VIIMarta Bernardini e Francesco Piobbichi, pagina VIII

Maurizio Ambrosini, pagina XI

Le immaginiL’umanità tramonta • Francesco Piobbichi, copertinaL’albero della paura • Francesco Piobbichi, 3

Gli editorialiUn arrivederci e un a ri-leggerci • Gian Mario Gillio, 4Gerusalemme, di male in peggio • Confronti, 5I sogni del dopo-muro, l’inquietudine di oggi • Valdo Spini, 6La «renzizzazione» del Pd • Paolo Corsini, 7Obama, un presidente poco «fortunato» • Paolo Naso, 8

I serviziStoria L’Italia del 12 dicembre • Nicola Tranfaglia, 10

Piazza Fontana 45 anni dopo • Antonio Carletti, 12Chiesa cattolica Il rischioso cammino di papa Francesco • Giovanni Franzoni, 14Medio Oriente Quella società civile contro la disperazione • Michele Lipori, 16

Saper ascoltare è terapeutico • Jenn Lindsay, 19AS Film Festival Un piccolo gioiello di umanità • Stefania Sarallo, 20

I Cie, dove la speranza è la prima a morire • Stefania Sarallo, 21

Le notizieAmbiente Allarme Onu sui gas serra e rapporto Legambiente sull’ecosistema, 22Libia Amnesty denuncia gli abusi delle milizie, 22Romania La vittoria dell’evangelico Johannis alle presidenziali, 22Informazione Diritti umani e libertà di informazione in Guinea equatoriale, 23Ecumenismo L’incontro dei vescovi vetero-cattolici con papa Francesco, 23Immigrazione Il Dossier statistico Idos 2014, 24Diritti Gli episodi di omofobia nel mondo della scuola, 24Infanzia Dossier di Terre des hommes: aumentano i bambini vittime di reati, 25Lutto Si è spento Gianni Long, presidente della Fcei dal 2000 al 2006, 25

Le rubricheIn genere 194: una legge, due coscienze • Donne della Cdb di San Paolo, 26Osservatorio sulle fedi Ezidi: una persecuzione che viene da lontano • Antonio Delrio, 27Diari dal Sud del mondo Non elemosina ma collaborazione alla pari • Michelangelo Chiurchiù, 28Libro Fratelli e sorelle di Jerry Masslo • Vannino Chiti, 29Libro Se dal basso, si può • Giuliano Ligabue, 30

nelle ultime pagineINDICE 2014

RISERVATO AGLI ABBONATI: chi fosse interessato a ricevere, oltre alla copia cartacea della rivista, anche una mail con Confronti in formato pdf può scriverci a [email protected]

CONFRONTI12/DICEMBRE 2014WWW.CONFRONTI.NET

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LE IMMAGINI

Le immagini che illustrano il numero sono di Francesco Piobbichi, operatore del progetto Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia

(vedi Dossier interno) di base a Lampedusa.

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GLI EDITORIALI

Con dicembre, siconclude la direzione diGian Mario Gillio. Dalprossimo annoConfronti avrà un nuovodirettore: ClaudioParavati. Al direttoreuscente – che nonmancherà di collaborareanche in futuro – ilringraziamento e ilsaluto affettuoso dellaredazione, deicollaboratori, di tuttol’ufficio di Confronti edella cooperativa ComNuovi Tempi

Un arrivederci e un a ri-leggerciGian Mario Gillio

Q uesto è l’ultimo editoriale che firmocome direttore di Confronti, dopoquasi otto anni di lavoro in questoruolo e complessivamente dieci nella

redazione della rivista. Il mio non è un addio,lavorerò molto vicino alla redazione, al se-condo piano di via Firenze, 38 (stesso stabile)come direttore responsabile dell’AgenziaStampa Nev della Federazione delle chieseevangeliche in Italia (Fcei), e per la quale cu-rerò i rapporti istituzionali e la comunicazio-ne. Tuttavia ho ritenuto che fosse, per me eper la rivista, giunto il tempo di un cambia-mento: «L’azione sorge non dal pensiero, mada una prontezza alla responsabilità», soste-neva il teologo luterano Dietrich Bonhoefffer.

A Confronti ho vissuto anni importanti perla mia crescita personale e professionale. Lenumerose «battaglie» civili, sociali e cultura-li che ho condiviso con i colleghi, oggi le por-to via con me: un bagaglio importante. Man-tenere in vita la nostra preziosa realtà edito-riale (nel panorama culturale italiano) non èstato sempre facile. Insieme al nostro staff, eai membri del consiglio d’amministrazioneche si sono succeduti, abbiamo lavorato (tan-to) con passione ed entusiasmo, obiettivo co-mune era far crescere il nostro mensile, crea-re nuovi progetti culturali, viaggi e attivitàche ci hanno fatto incon-trare persone speciali co-me voi, lettori che hannocontribuito a far diventa-re «grande» il nostrogiornale, così come lenostre attività.

Sempre voi lettori sietestati artefici di una gran-de vittoria in tempi dicrisi, nel 2011, salvando ilnostro giornale quandoormai tutto sembrava es-sere perduto. Il vostrosostegno morale, i vostriabbonamenti, i contribu-ti volontari che avete in-viato nei momenti piùbui, hanno fatto sì che

oggi Confronti sia ancora presente nel pano-rama editoriale, e non è poca cosa. Vi invitia-mo a sostenerci ancora, sottoscrivendo l’ab-bonamento anche per il 2015.

Solo talvolta ho firmato editoriali sulle no-stre pagine, più spesso ho realizzato servizio interviste, lasciando spazio a chi, con com-petenza e passione, potesse spiegare e rac-contare i segni dei tempi e dei cambiamentidi un mondo in continua evoluzione, moltefirme autorevoli lo hanno fatto: intellettuali,giornalisti, professori universitari, dirigentisindacali, politici, responsabili del mondo as-sociazionistico, ma anche persone comunicon una spiccata sensibilità civile, a tutti lo-ro va il mio più sentito ringraziamento. Ladimensione religiosa e spirituale è stata sem-pre il focus editoriale ma la nostra attenzio-ne è andata anche alla vita quotidiana, alla fe-de (intesa come dimensione privata e perso-nale) e alla politica: uno sguardo attento atutto ciò che ci circonda.

Così sarà certamente anche in futuro. Già,il futuro... Forse alcuni di voi si staranno chie-dendo chi sarà il successore alla direzione diConfronti. Lo svelo subito: Claudio Paravati.I lettori attenti avranno notato in questi ulti-mi mesi il suo nome nel tamburino della re-dazione nel ruolo di condirettore. Sarà luistesso a presentarsi nel primo numero del2015, che porterà la sua firma. Io voglio solodire che la scelta per il successore è stata dav-vero fortunata. Paravati è giovane, competen-te e porterà certamente nuovo entusiasmo.Gli faccio i migliori auguri, fiducioso che conlui Confronti potrà proseguire e progredire

nella sua avventura cul-turale e editoriale.

Grazie al prezioso la-voro con l’AssociazioneArticolo 21, siamo riu-sciti in questi anni a darvoce e illuminare ciò chespesso l’informazionegeneralista è riuscita adoscurare. Il lavoro con leChiese evangeliche eprotestanti ci ha permes-so di raccontare quantosia prezioso poter essereminoranza. La nostraesperienza editoriale,unica nel panorama ita-liano, nella quale con-fluiscono e lavorano in

Care abbonate, cari abbonati,vi ricordiamo di rinnovare l’abbonamento anche per il 2015:sono sempre 50 euro, nonostante le difficoltà non abbiamo vo-luto aumentare la tariffa neanche quest’anno, proprio perchésappiamo che anche per i nostri lettori sono tempi di crisi. A chine ha la possibilità, però, chiediamo uno sforzo supplementare:con 80 euro potete sottoscrivere un abbonamento «sostenito-re», che ci garantirà di sopravvivere senza problemi economici evi darà diritto a ricevere (oltre ad un libro in omaggio, si ve-dano in penultima pagina i nuovi titoli) anche il Dossier «Mina-reti e dialogo», appena uscito. Se invece volete ricevere solo ilDossier, potete richiedercelo in redazione: il costo è di 5 euro.

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GLI EDITORIALI

Gesti insopportabili,come l’attentato –definito «atto eroico»da Hamas – di duepalestinesi in unasinagoga diGerusalemme, edecisioniprogrammatiche delgoverno Netanyahu,come il continuoespansionismo degliinsediamenti nellaCisgiordania occupata,stroncano ogni possibileprocesso di pace. E,intanto, in Siria, in Iraqe in Libano la situazionesi aggroviglia, e rischiadi infiammare l’interoMedio Oriente.

redazione induisti, buddhisti, testimoni diGeova, ebrei, musulmani, sikh, cristiani enon credenti è un’esperienza di dialogo con-tinuo, in evoluzione, che dal basso ha saputodare – spero – il buon esempio.

Un grazie di cuore lo voglio rivolgere a chinon ci ha mai fatto mancare l’appoggio e ilsostegno: la Tavola vadese, la Federazionedelle chiese evangeliche in Italia, le Comu-nità di base, in particolare quella di Roma,ma anche le molte associazioni e istituzioniche hanno creduto nel nostro progetto e conle quali abbiamo promosso iniziative impor-tanti. Infine, ma non ultimo, il mio ringrazia-mento va ai colleghi di lavoro (e amici) checon il loro entusiasmo, i loro consigli e le lo-ro competenze mi hanno accompagnato inquesti anni di lavoro, spesso difficile, non fa-cendomi mai mancare l’appoggio necessario.

Un grazie a tutti, voi. L’avventura prose-gue... sarò un attento lettore. Promesso!

Gerusalemme, di male in peggio Confronti

N on si può che esprimere riprovazio-ne e condanna assolute per il gesto didue giovani palestinesi che il 18 no-vembre, gridando Allah o akbar

(«Dio è il più grande»), sono entrati nella si-nagoga Kehilat Bnei Torah, situata nella par-te più occidentale di Gerusalemme, ed han-no ucciso quattro rabbini intenti alla preghie-ra, e poi un poliziotto, prima di essere a lorovolta freddati. Con il loro gesto fanatico diprofanare un luogo di culto, dando un carat-tere religioso alla loro azione, i due palesti-nesi ventenni di Gerusalemme-Est potrebbe-ro innescare, da parte israeliana, reazioni acatena tali da incenerire ogni ipotetico pro-cesso di pace. Vale forse la pena di ricordareche, dopo la strage compiuta il 25 febbraio1994 da Baruch Goldstein nella moschea del-la tomba dei patriarchi ad Hebron, in Ci-sgiordania – dove il medico, ebreo origina-rio di New York, e dimorante a Kiriat Arba,una grande colonia ebraica costruita accan-to alla città araba, uccise ventinove palesti-nesi e ne ferì un centinaio – per vendetta siinnescò in modo programmatico il kamika-zismo dei movimenti oltranzisti palestinesi.

Sembrano essere «lupi solitari» – comequelli che a Gerusalemme investono conl’auto persone che aspettano il bus – i duekamikaze, perché non è chiaro se essi fosse-ro militanti inviati ad hoc dal Fronte popo-lare per la liberazione della Palestina, unaformazione minore che osteggia al-Fatah, ilpartito di Yasser Arafat e, ora, del presiden-te palestinese Mahmoud Abbas (Abu Ma-zen). Quest’ultimo, comunque, ha condan-nato con parole inequivocabili l’attentato insinagoga mentre, al contrario, dirigenti diHamas (il Movimento di resistenza islami-co che domina la Striscia di Gaza) lo hannodefinito «atto eroico»: una valutazione ripu-gnante. Da parte sua, il premier israelianoBenyamin Netanyahu ha accusato Abbas diessere il mandante morale dell’attentato, eassicurato che Israele, «sotto attacco», sapràdifendersi: per ora ha fatto radere al suolo lecase ove vivevano i due attentatori, ma altremisure sono da attendersi.

Il tutto avviene in un preciso contesto geo-politico. Nell’aprile scorso, dopo nove mesidi trattative, è fallito il tentativo del segreta-rio di Stato americano John Kerry di porta-re le due Parti alla firma di un accordo-qua-dro: infatti, nessuna «concessione» sostan-ziale ha fatto Netanyahu sui punti «caldi»:confini definitivi tra Israele e il costituendoStato di Palestina, status di Gerusalemme (ipalestinesi rivendicano la parte est, occupa-ta da Israele nel 1967, come capitale del lo-ro futuro Stato), profughi, insediamentiebraici nella Cisgiordania occupata. Poi inestate è scoppiata la guerra contro Gaza, coni suoi orrori (vedi Confronti 10/2014). Nelfrattempo, in aprile, al-Fatah ed Hamas –dopo sette anni di invalicabile contrapposi-zione che aveva portato ad una diarchia dipotere nel campo palestinese – avevano de-ciso di formare un governo di unità nazio-nale, creato di fatto in settembre; un gover-no che ora potrebbe già traballare. Nel frat-tempo, da Svezia e Gran Bretagna in ottobree da Spagna in novembre si sono levati rico-noscimenti dello Stato di Palestina, e altripaesi occidentali, quali la Francia, potrebbe-ro ora aggiungersi: tutte iniziative che han-no assai irritato Netanyahu e il suo ministrodegli Esteri, Avigdor Lieberman, che le han-no definite sprezzantemente «ostacoli allapace». Invece Barack Obama, azzoppato dal-le elezioni di mid-term di novembre, chehanno dato la maggioranza ai repubblicani

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GLI EDITORIALI

Un quarto di secolo dopo, si può osservare che leconseguenze del crollodel comunismo si sonofatte sentire anche sullesocialdemocrazieeuropee, che hannoperso forza e pesopolitico. Alle speranzeper la fine dei blocchi in Europa, è seguita poiuna stagione difficile dipreoccupazione e crisieconomica e si sonorafforzati in tutto il continente imovimenti nazionalistie separatisti di destra.

sia al Senato che alla Camera, non potrà piùfare, per risolvere il nodo di Gerusalemme,quello che non ha fatto nei sei anni passati.Da parte sua, il generale Abdel Fattah al-Si-si, rais dell’Egitto, ha proposto di inviare sol-dati egiziani a Gaza, per controllare la situa-zione nella Striscia e rassicurare Israele: maquesto scenario potrebbe aprire un nuovofronte di guerra tra Egitto e Hamas.

E, intanto, il fuoco divampa in Siria edIraq, dove l’organizzazione dello Stato isla-mico (il cosiddetto «califfato») avanza, nondomata dalla coalizione guidata dagli Usa, eogni tanto dimostra al mondo di esisteresgozzando qualche prigioniero; il Libano èin un vicolo cieco perché, dopo sei mesi ditentativi, il Parlamento, per contrasti intra-maroniti e tra sunniti e sciiti, ancora nonelegge il presidente che – stando al «Pattonazionale» che regge il paese – dovrebbe es-sere un cattolico maronita. Pesa, in questafaccenda, anche il ruolo dei sauditi e degliiraniani.

E il 24 novembre, nei negoziati di Viennai cinque membri del Consiglio di sicurezzadell’Onu, più la Germania, non sono riusci-ti a chiudere con l’Iran l’accordo sul nuclea-re. La scadenza è differita a fine giugno2015, ma Netanyahu – contrarissimo ad unpatto che secondo lui favorisce Teheran –spera che non si arrivi a nulla.

Infine, il 23 novembre Netanyahu ha pro-posto ai ministri del suo governo – che han-no approvato con quattordici sì e sei no –una legge che definisce Israele «Stato dellanazione ebraica»: un’idea sempre avversatadagli arabo-israeliani, il 20% della popola-zione dello Stato, che non vogliono diventa-re cittadini di serie B. La norma, che dovràessere valutata dalla Knesset, è un colpo dimaglio contro ogni ipotesi di pace («irre-sponsabile», l’ha definita il leader laburista,all’opposizione, Yitzhak Herzog); essa, d’al-tronde, viene dopo una serie di misure – co-me l’inarrestabile espansionismo degli inse-diamenti, o lo strizzare l’occhio ai gruppiestremisti ebraici che a Gerusalemme vor-rebbero riprendersi la Spianata delle mosche(Monte del tempio per gli ebrei) – fatte ap-posta per esasperare i palestinesi.

Il Medio Oriente è in fiamme, ma il cen-tro del fuoco è a Gerusalemme. Se la pacegiusta non spunta sulle colline della Cittàsanta, non nascerà in nessun’altra parte del-la regione.

I sogni del dopo-muro,l’inquietudine di oggiValdo Spini

G iulio Andreotti nel 1984 aveva detto,alla Festa nazionale dell’Unità, che nonera favorevole alla riunificazione tede-sca. Il leader socialdemocratico tede-

sco del tempo (ora nella Linke), Oskar Lafon-taine, avrebbe a suo tempo messo in lucequanto la riunificazione tedesca sarebbe co-stata in termini economici. Eppure la cadutadel muro di Berlino (9 novembre 1989) portòalla riunificazione tedesca, con tutte le con-seguenze del caso. Con i suoi 80 milioni diabitanti, la Germania distanziò gli altri big de-mografici dell’Unione europea, cioè Italia,Francia e Gran Bretagna. L’unico leader dellasinistra che capì l’importanza del processo diriunificazione fu Willy Brandt (nome di bat-taglia antinazista di Ernst Frahm), che si af-fiancò a Helmut Kohl nella rivendicazione delvalore dell’unificazione tedesca, fatto ineren-te alla storia di un popolo che non si potevacancellare con arabeschi politici.

Possiamo rivendicare alla Chiesa evange-lica luterana tedesca un ruolo determinan-te nella transizione in Germania Orientale.Caduto un regime a partito unico, pesante-mente infiltrati dalle spie della Stasi altrimovimenti, a chi si poteva guardare per ungoverno che desse fiducia a chi aveva abbat-tuto il muro? E così vi furono pastori-mini-stri: uno anche alla Difesa, il pastore RainerEppelmann.

Ma la caduta del muro di Berlino non po-teva avere conseguenze solo in Germania oin Europa. Ha costituito qualcosa di plane-tario. Il comunismo in Europa non soprav-viveva alla sua democratizzazione, e MichailGorbaciov sarebbe stato a breve accantona-to. Di converso, e questo non era facilmen-te prevedibile, il socialismo democratico sisarebbe a sua volta indebolito, proprio per ilfatto di non costituire più un’alternativa alcomunismo antidemocratico.

Così il peso dell’Internazionale socialistasarebbe diminuito, ed essa non avrebbe piùprodotto quei leaders carismatici che aveva-no marcato gli anni ‘70 e ‘80, dallo stessoBrandt a François Mitterrand a Olof Palme eBruno Kreisky.

Già parlamentare socialista,Spini è presidente dellaFondazione Circolo FratelliRosselli, del Coordinamentodelle riviste italiane di cultura(Cric) e dell’Associazione delle istituzioni di culturaitaliane (Aici).

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GLI EDITORIALI

«Questo Pd è sempre più “partito di Renzi”,progressivamentemodellato sulla figuradel segretario-premierche, per inverare le promesse della suanarrazione (“il tempo è adesso”, “bisognacambiare verso”), ha fatto della velocità e del movimento, dellaeliminazione di vecchierendite, della fratturagenerazionale, le bussole di orientamento della propria iniziativapolitica ed azione di governo».

Forse il socialismo democratico ha pagatoanche il fatto di aver puntato più sull’evo-luzione democratica del comunismo inter-nazionale che sulla difesa e sostegno di quel-lo che rimaneva dei partiti socialisti, chenell’Europa orientale erano stati eliminatidal gioco politico. Se non altro, avrebbe po-tuto rivendicare e far conoscere la loro sto-ria e la loro tradizione. In Europa orientale,quindi, quando cade il comunismo, non c’èin genere un’alternativa socialdemocraticapronta e convincente.

Oggi che l’Unione europea si è allargata fi-no a raccogliere 28 nazioni, questo fatto èpoliticamente avvertibile ed influente.

L’abbattimento del muro fu il frutto di unarivolta spontanea che premiò innanzituttola società civile e i giovani che l’animavano.Per tutto quello che il muro aveva rappre-sentato in termini di repressione sanguino-sa e violenta, era un aspetto simbolico digrande significato. Ancora una volta, la sto-ria era in grado di far giustizia delle sotti-gliezze e dei ritardi della politica.

L’abbattimento del muro apriva la stradaad una nuova Europa, non più frutto delladivisione dei blocchi ma capace di costitui-re un modello di soft power, un avanzatomodello sociale, qualcosa di nuovo tra Est eOvest. La strada sembrava in discesa, finoaddirittura all’abbandono da parte dellaGermania della sua solida moneta, il marco,per unirsi a molti altri paesi europei nellanuova moneta unica, l’euro.

Finché la congiuntura economica è statapositiva, questo processo ha funzionato. Daquando la crisi finanziaria Usa del 2007 si èspostata, nel 2008, soprattutto sull’Europa esoprattutto sui paesi europei aderenti all’eu-ro, viviamo una stagione di preoccupazione,di ansia e di inquietudine. Connessi a questostato di cose, si sono anche rafforzati movi-menti nazionalisti e separatisti di destra.

Oggi pensare all’eredità della caduta delmuro è innanzitutto verificare ancora unavolta la grande forza degli ideali di libertàtra i popoli e nei popoli. Ma significa ancheguardare al legato politico che questa poli-tica si tramanda, la necessità di riprenderecon giustizia, con forza e con vigore quelcammino europeo che l’abbattimento delmuro sembrava aprirci e spianarci.

La «renzizzazione»del PdPaolo Corsini

D a qualche tempo, soprattutto dopo laLeopolda, si discute di un nuovo«partito della nazione» (Pdn). Nuovoperché, almeno in sede storiografica,

già era stata elaborata da Agostino Giova-gnoli la categoria di «partito italiano» qualecifra interpretativa della Democrazia cristia-na, il partito «pigliatutto», allorquando il si-stema politico era strutturato in termini dibipartitismo imperfetto o, meglio, di pluri-partitismo centripeto. Un’analogia casuale, ilsintomo di una nostalgia, la prospettiva diuna palingenetica riclassificazione del qua-dro politico? Oltre il bipolarismo muscolareche abbiamo conosciuto e aldilà del biparti-tismo che la più recente versione dell’Itali-cum, con un sostanzioso premio di maggio-ranza assegnato al partito in grado di supe-rare la soglia del 40%, intenderebbe prefigu-rare. L’interrogativo non pare infondato, nétutto consegnato ad una visione politicistica,ma rimanda al profilo del Pd, alla sua voca-zione maggioritaria, alle concrete policy daattuare in un tempo di recessione e di possi-bile deflazione, alla rappresentanza di ceti so-ciali ed interessi, alla stessa identità etico-po-litica del partito.

Un Pd sempre più «partito di Renzi»(PdR), progressivamente modellato sulla fi-gura del segretario-premier che, per invera-re le promesse della sua narrazione («il tem-po è adesso», «bisogna cambiare verso»), hafatto della velocità e del movimento, della eli-minazione di vecchie rendite, della fratturagenerazionale, le bussole di orientamentodella propria iniziativa politica ed azione digoverno. Bussole entrambe ispirate ad un de-cisionismo «direttista» teso a saltare media-zione istituzionale e forme consolidate dirappresentanza. Con un esito duplice: da unaparte le assemblee parlamentari tendenzial-mente ridotte a organi di acclamazione o ditestimonianza, dall’altra le forze sociali so-stanzialmente marginalizzate sulla base diuna disintermediazione che si affida all’au-dience, agli strumenti propri di quella cheBernard Manin definisce la «democrazia delpubblico».

Corsini è deputato del Partito democratico ed è stato sindaco di Brescia.

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GLI EDITORIALI

Una soluzione di continuità rispetto all’U-livo, un’evidente dissolvenza: non più un sog-getto politico perno di forze alternative alcentro-destra, centrale quanto a ruolo, dun-que gravitazionale e coalittivo, ma un parti-to osmotico, propenso ad assorbire, ora informa molecolare ora attraverso corposi pas-saggi di confine, esponenti di apparato poli-tico e settori elettorali tradizionalmente ac-campati in territorio avverso. Un fenomenodi trasformismo consociativo, premiale intermini di consenso, ma da sottomettere alvaglio di ben precise discriminanti di pro-gramma e di linea politica quanto ai temifondamentali dell’agenda di governo: vale adire crescita e sviluppo, equità sociale, dirit-ti, legalità, lotta all’evasione, sostegno alla ri-cerca e all’innovazione, riforma dell’appara-to statuale e della pubblica amministrazione.

In secondo luogo, quanto al Partito dellanazione, la denominazione evoca un’ambi-guità sinora del tutto irrisolta, anche se già siappalesano i segni delle possibili evoluzioni.Da un lato un partito democratico, popola-re, a larga base sociale, capace di agire l’inter-classismo non come leva ideologica, ma co-me strumento atto a coniugare il proprio«essere parte» con l’interesse generale delPaese, trascendendo così i tradizionali ambi-ti di insediamento sociale e territoriale dellasinistra italiana, tanto post-comunista quan-to post-democristiana. Dall’altro, in assenzadi un valido competitore nell’area della de-stra, un competitore abilitato – per culturapolitica, consistenza elettorale, per program-ma e strategia – ad alimentare quella «demo-crazia agonistica» che regola e contiene ilconflitto, un PdR destinato a diventare «par-tito unico», il partito del «grande centro», edun sistema politico senza possibili alternati-ve. Insomma un nuovo schema caratterizza-to a destra da una formazione lepenista, an-tieuropea, illiberale ed estremista, obesa ri-spetto alla Lega attuale, nonché dalla presen-za di un movimento pentastellato vociante edemagogico e, sul versante opposto, da unasinistra minoritaria, tendenzialmente radica-le, quanto ancorata ad una tradizione nonpiù sintonizzata sul tempo della globalizza-zione competitiva. A ben guardare, l’ennesi-mo avvitamento di una biografia della nazio-ne che, seppure in forme nuove, riproduceun sistema ancora bloccato. Non il presagiodel futuro, ma il ripristino dell’anomalia ita-liana. Una sorta di preterintenzionale «ritor-

no di fiamma», per parafrasare l’ultimo Ma-rio Isnenghi, l’autorevole studioso delle «sto-rie italiane».

Obama, un presidentepoco «fortunato»Paolo Naso

«G iudico potere esser vero, che la for-tuna sia arbitra della metà delleazioni nostre», affermava Machia-velli per spiegare che il destino di

un principe solo per metà dipende dalla suavirtù; per la metà restante dipende dalla for-tuna. E Barack Obama, di fortuna ne ha avu-ta poca. Forse più netta del previsto, la scon-fitta dei democrats alle elezioni di mid-termdel 4 novembre pronosticata in tutti i son-daggi è puntualmente arrivata ed ha conse-gnato il Congresso ai repubblicani.

I dati sono così evidenti e corposi che cicostringono ad affermare quello che in cuornostro non avremmo mai voluto ammettere,ovvero che con questo risultato si è conclu-so il ciclo politico del primo presidente nerodegli Stati Uniti, l’uomo che soltanto sei an-ni fa ci aveva stupito con la sua vision dina-mica e globale e che aveva saputo restituireuna speranza ad ampi strati dell’elettorato or-mai rassegnati all’idea che, chiunque fosseandato alla Casa Bianca, nulla sarebbe cam-biato nella qualità della loro vita.

Dopo anni di Bush e del suo inflessibileconservatorismo «compassionevole» in po-litica interna e interventismo in quella este-ra, Obama rappresentò per ampi strati demo-crats e per la maggioranza dell’opinione pub-blica internazionale un’alternativa non soloplausibile ma eccezionalmente attrattiva: inmolti sognarono – sognammo – la svolta diun’America più attenta all’urgenza di politi-che ambientali sostenibili, più proiettata suibisogni delle minoranze e delle classi popo-lari che sugli interessi dei banchieri e dellecorporations, impegnata a far funzionare ladiplomazia piuttosto che a ricorrere all’usodella forza militare. Il giovane Obama, con lasua eccezionale capacità di comunicazione –Yes, we can! – seppe motivare e stimolareenergie politiche fresche e quindi attrarre asé importanti quote di elettorato disilluso.

Ma, come insegnava Machiavelli, il destino

Con il risultato delleelezioni di midterm chesi sono svolte a inizionovembre, si puòconsiderare concluso il ciclo politico di BarackObama. Gli restanoancora due anni dipresidenza,difficilissimi, nei qualisia la Camera deirappresentanti sia ilSenato sono nelle manidei repubblicani.

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GLI EDITORIALI

di un principe è per metà virtù e per metàfortuna. E se la prima non ha difettato, la se-conda ha presto girato le spalle al giovanepresidente arrivato alla Casa Bianca nel 2008.Allora, a solo un anno dallo scandalo dei mu-tui facili concessi a migliaia di famiglie ame-ricane per sostenere l’economia finanziaria,era difficile prevedere che gli Usa si stavanoavvitando in una crisi seconda soltanto aquella storica del 1929. Obama non aveva al-cuna responsabilità, neanche quella di omes-sa vigilanza (che va invece imputata a GeorgeW. Bush), eppure è lui che ha portato la cro-ce degli effetti di quella devastante vicenda.

Le cose non sono andate meglio sul pianodella politica internazionale. Il presidentenon è mai stato un pacifista e, al contrario, siè sempre espresso per una politica di «reali-smo» che comprende e legittima l’uso dellaforza militare anche sugli scenari internazio-nali. Desiderosa di rimuovere il bellicismo diBush, l’opinione pubblica progressista euro-pea ha sognato – abbiamo sognato – che ilnuovo presidente fosse il novello MartinLuther King che, invece che da un pulpito diMontgomery, predicava dalla scrivania dellaStanza ovale della Casa Bianca. Non era co-sì, e quella è stata una nostra colpevole illu-sione. Obama non era e non è un pacifistama un pragmatico che, anche per ragioni dibilancio, intendeva chiudere due scenari diguerra: l’Iraq e l’Afghanistan. Come noto c’èriuscito in un caso, peraltro lasciando peròun vuoto politico le cui conseguenze oggi ap-paiono drammatiche, ma non nell’altro: in-sieme alla guerra in Vietnam, quella di Kabulsarà quindi ricordata come la più lunga cheabbia impegnato l’esercito americano oltre iconfini nazionali.

L’esito incerto e talora contraddit-torio delle rivoluzioni arabe non hasemplificato il quadro ma, al con-trario, lo ha complicato: moralmen-te convinta di dover sostenere le«rivoluzioni» pensando che fosse-ro naturalmente democratiche, lapolitica estera della Casa Bianca hafinito per aprire la strada a movi-menti jihadisti che nel tempo sem-brano essersi accorpati nell’Isis.

Di fronte a questo scenario cosìcomplicato e fluido, Obama è ap-parso incerto e confuso: un atteg-giamento che l’America non per-dona al suo commander in chief.

Ma debole in politica estera, il presidentenon è apparso più forte sul piano interno: lasua riforma sanitaria continua a scontenta-re tanto il partito del welfare («troppo pocoe troppo tardi») che quello del rigore e lalobby delle assicurazioni («una scopiazzatu-ra dell’Europa, mentre l’Europa sta abbando-nando questo modello oneroso e ineffica-ce»). Stesso discorso per la riforma della leg-ge sull’immigrazione: vero e proprio cavallodi battaglia dei primi anni di presidenza, èarrivata a conclusione ma con un risultatopiù modesto rispetto alle premesse e allepromesse. Queste incertezze hanno finitoper alienargli il consenso della minoranzadei latinos. Ed infine, proprio a ridosso delvoto, l’ammissione di un’incertezza sullastrategia di contrasto dell’Ebola.

Ma, paradossalmente, il terreno sul qualeObama ha perso la sua battaglia decisiva èstato quello dell’occupazione. Attualmente iltasso è del 5,8; meno di un anno fa era al 7; nelpicco della crisi ha superato il 10. Un miraco-lo, per il metro europeo, figlio della virtù delpresidente. Ma la virtù non basta, occorre an-che la fortuna. E, a causa dell’onda lunga del-la crisi, molti americani si sono trovati un la-voro peggiore e meno pagato di quello cheavevano prima della crisi e, soprattutto, per-cepiscono che il mercato economico naziona-le e globale resta fragile. Gli americani non so-no disposti a convivere con l’incertezza, laprecarietà e l’insicurezza, virtù in cui noi ita-liani sembriamo eccellere al punto da farneun tratto del costume nazionale. Sei anni fal’America ha votato Barack perché l’ha fattasognare. Infranto quel sogno se ne cerca unaltro e si fa una nuova scommessa politica.

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STORIA

Nicola Tranfaglia

S ono trascorsi ormai 45 anni (siamo vi-cini al mezzo secolo) dalla strage allaBanca Nazionale dell’Agricoltura dipiazza Fontana a Milano in cui atten-

tatori neofascisti (o, per meglio dire, filo-na-zisti) uccisero diciassette persone, ferendo-ne altre ottantotto, mentre una bomba ine-splosa veniva ritrovata presso la Banca Com-merciale a Milano e altri ordigni incendiarivenivano piazzati a Roma.

La strage e il contesto storicoÈ un attacco massiccio che un terrorismo,ispirato all’eredità politica e culturale dellaRepubblica sociale italiana – secondo quan-to rivelò Aldo Moro nei suoi colloqui con leBrigate rosse – e legato ai Servizi segreti ita-liani (allora si chiamavano Sid), compie, conun progetto coltivato a lungo, in una situa-zione politica tutt’altro che facile in cui laformula di centro-sinistra è ormai in eviden-te crisi, lo scontro internazionale tra le duemaggiori potenze mondiali, Stati Uniti eUnione Sovietica, è molto duro e il bisognodi riforme economiche e sociali si fa sentiresempre di più. Da questo bisogno sempre piùforte nascono prese di posizione e accordigenerali importanti come, l’anno dopo, l’ar-ticolo 18 dello Statuto dei Lavoratori presen-tato dal deputato del Partito socialista Gia-como Brodolini, ma non tali da risolvere iproblemi urgenti sentiti dalle grandi massepopolari e quelli necessari di adeguamentodelle leggi alla Costituzione democratica erepubblicana in vigore dall’1 gennaio 1948.

Il contesto storico nel quale si colloca quel-l’episodio, da gran parte degli studiosi di sto-ria italiani e stranieri è considerato come l’i-nizio della «strategia della tensione». E a noiancora oggi pare più chiara di altri la defini-

zione che Paolo Cucchiarelli e Aldo Giannu-li hanno dato nell’antologia Lo stato paralle-lo (Gamberetti editrice, Roma 1997) della si-tuazione che si è determinata in Italia dopol’anno drammatico (il 1943) che segna nellostesso tempo la caduta, dopo ventuno anni,del regime mussoliniano e una svolta decisi-va della Seconda guerra mondiale: «Si dàStato duale – scrivono i due studiosi – quan-do una parte delle élite istituzionali, a fini diconservazione, si costituisce in potere occul-to, dotato di un proprio principio di legitti-mazione – estraneo e contrapposto a quellodella Costituzione formale – per condiziona-re stabilmente il sistema politico attraversometodi illegali, senza giungere al sovverti-mento dell’ordinamento formale che conser-va una parte della propria efficacia».

Se si tengono presenti alcuni elementi difondo che hanno caratterizzato il quindicen-nio (o ancora di più) che è stato segnato dastragi e terrorismi e cioè un quadro interna-zionale che dà all’Italia una sovranità limita-ta, la persistenza del più forte partito comu-nista occidentale al governo, il ripetersi diatti di gravissima rilevanza penale, la presen-za di organizzazioni criminali come le asso-ciazioni mafiose colluse con apparati delloStato, una corruzione politica ramificata, l’e-mergere frequente di organizzazioni occul-te, si ha la conferma che soltanto una cate-goria chiara e precisa come quella appenaindicata è in grado di offrire un criterio diinterpretazione dei tragici avvenimenti chehanno segnato la nostra storia e delle re-sponsabilità storiche che ha avuto una par-te non esigua della classe dirigente di gover-no in quel periodo. Il fenomeno, indicato nel1989 da Franco De Felice, della «doppialealtà», verso l’alleato americano e la Costi-tuzione repubblicana, e l’elaborazione diNorberto Bobbio sullo «Stato invisibile» in-dicano in maniera più generale il conflittointerno alla classe dirigente centrista che sisvolse in quegli anni e diede luogo a mo-menti di notevole difficoltà e di grande pe-ricolo per la democrazia repubblicana. Sedovessimo indicare una data simbolica da

Questo mese cade il quarantacinquesimo anniversario della stra-ge di piazza Fontana, considerata l’evento che segna l’inizio della«strategia della tensione». A distanza di tanti anni da quella e damolte altre stragi avvenute in seguito, sappiamo ancora troppopoco sugli esecutori e soprattutto sui mandanti.

L’Italia del 12 dicembre

Professore emerito di Storia dell’Europa e del Giornalismo nell’Universitàdi Torino, lo storico Nicola Tranfaglia è stato deputato nellaquindicesima legislatura.

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Storia.L’Italia del 12 dicembre

cui ha inizio la vicenda, la scelta cade neces-sariamente sull’8 settembre 1943 quando ilgoverno Badoglio stipula l’armistizio ed en-tra, sia pure in una posizione subalterna enon paritaria, nella guerra in corso contro laGermania e i suoi alleati.

«È molto verosimile – afferma il presiden-te della Commissione Stragi Giovanni Pelle-grino nel 1995 – che l’iniziale inglobamentodella mafia siculo-americana all’interno delpiano strategico di sbarco alleato nel luglio’43 sia stato poi prolungato nel tempo al finedi conservare un controllo della Sicilia, «ri-dotto difensivo» finale del Mediterraneo incaso di offensiva terrestre sovietica.

Indizi significativi di questo accordo emer-geranno anche qualche anno fa, durante ilprocesso Andreotti a Palermo, anche se unlibro recente sul ‘43 in Sicilia, con una prefa-zione di Salvatore Lupo, si esprime in manie-ra contraria a possibili accordi tra mafia eStato nel 1943.

Ma bisogna anche aggiungere che i dueprocessi in corso quest’anno, il «Borsellinoquater» a Palermo e quello «sulla trattativa»a Caltanissetta, rimettono a loro volta in di-scussione una materia che resta ancora scot-tante per le possibili ricadute sul quadro po-litico attuale in Italia.

Non c’è dubbio, peraltro, che sul piano sto-rico la crisi italiana di cui scriviamo ognigiorno – si può dire – ha le sue origini nellanascita della Repubblica e nei necessari ac-cordi internazionali – visibili e occulti, comesempre accade – che vennero fatti in quel-l’occasione. Tutto il resto, come è ovvio, èopinabile, ma non che la Repubblica nacqueallora, così come il fatto che gli accordi indi-spensabili tra le potenze maggiori erano sta-ti conclusi in quel momento.

Ricordiamo che dal 1969 al 1975 vengonocompiuti in Italia 4384 atti di violenza, con-tro persone e cose, legati sempre a matricineofasciste. L’85 per cento si svolge in sediciprovince su 94, soprattutto a Milano, Torinoe Roma. Di tutti i fatti accaduti, l’83 per cen-to è dichiaratamente opera dell’estremismoneofascista, più o meno strumentalizzato,che – nello stesso periodo – compie 63 omi-cidi politici su un totale di 92 avvenuti nelPaese. Infine, in quei sei anni, vengono com-messe quasi tutte le stragi (se si escludono lepiù importanti: quella del DC-9 caduto al lar-go di Ustica il 27 giugno 1980 e quella allastazione di Bologna del 2 agosto dello stesso

anno), che sono responsabili del 42 per cen-to delle vittime complessive dei terrorismi.

Insomma, non c’è dubbio sul fatto che conla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre1969 ha inizio una storia terribile per il no-stro Paese che ha due caratteristiche impor-tanti e da non dimenticare: la prima è chemuoiono in più di quindici anni – dalla finedegli anni Sessanta alla metà degli anni Ot-tanta – 351 persone innocenti. La seconda –ed è ciò che colpisce tutti, e forse con maggiorforza le nuove generazioni – è il fatto che aquasi cinquant’anni da quella strage e da mol-te delle successive sappiamo ancora troppopoco sugli esecutori e soprattutto sui man-danti di quel grande massacro.

Non c’è lo spazio in questa sede (e mi ripro-metto peraltro di ritornare con un libro sul-la ricostruzione delle vicende di quegli anni)di parlare di alcuni elementi che hanno luogonegli stessi anni e che non sono ancora deltutto chiariti, a cominciare da una vicendamolto importante per la storia italiana, comequella del rapimento e dell’assassinio di AldoMoro che, da una parte, ci riporta ai proble-mi della politica estera italiana e del quadrointernazionale ma, dall’altra, mette in luce unelemento che già il presidente Pellegrino ave-va segnalato nella sua relazione alla fine deilavori della Commissione Stragi e che vale lapena ricordare ancora: «Il rapporto di inte-grazione reciproca che venne a stabilirsi tra idue opposti focolai di tensione, nel senso che,da un lato, l’acuirsi della protesta sociale di si-nistra attivò tensioni di involuzione autorita-ria rendendo apparentemente più concreto ilpericolo rosso, dall’altro la percezione di ten-denze golpiste presenti anche in apparati isti-tuzionali dello Stato, spinse le tensioni socia-li che alimentavano la protesta di sinistra adassumere più intensamente forme eversive erivoluzionarie (la già ricordata esperienzapersonale di Giangiacomo Feltrinelli apparein tal senso esemplare). Si è quindi in presen-za di due fenomeni (eversione di destra edeversione di sinistra) che indubbiamente in-teragirono e che non sono pienamente com-prensibili se non complessivamente analizza-ti nell’unicità del contenuto».

Paghiamo a caro prezzo, come ho già det-to più volte, questa ignoranza storica e socia-le che oggi sta devastando il nostro Paese eassistiamo senza poter far nulla agli accordipersonalistici tra il presidente del Consiglioe l’ex cavaliere Silvio Berlusconi.

i servizi dicembre 2014 confronti

Dal 1969 al 1975vengono compiuti inItalia 4384 atti diviolenza, contropersone e cose, legatisempre a matricineofasciste. L’85 percento si svolge in sediciprovince su 94,soprattutto a Milano,Torino e Roma. Di tutti ifatti accaduti, l’83 percento èdichiaratamente operadell’estremismoneofascista, più o menostrumentalizzato, che –nello stesso periodo –compie 63 omicidipolitici su un totale di92 avvenuti nel Paese.

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45. Per chi ha una certa età, questo numeropuò far ricordare il disco in vinile, quello pic-colo, contenente una sola canzone per faccia-ta. 45 anni fa, nel 1969, di questi dischi se nevendevano a milioni. Ecco, il 1969, 45 anni fa:in questo articolo non si parlerà di un disco,bensì di un anno preciso. Tra poco, a gen-naio, sarà già 46. Il 1969 è un anno talmentelontano che un lettore di vent’anni può pen-sare che sia contemporaneo all’epoca dei di-nosauri.

Pertanto, scrivere del 1969 vuol dire con-fezionare un racconto che si dovrebbe trova-re dentro i libri di storia. Invece la storia ascuola si ferma prima. Quindi il 1969 è unanno ormai talmente lontano da trovaresempre meno testimoni che lo possano rac-contare, ma non abbastanza da essere studia-to. Sta in un limbo, il limbo dell’ignoranza.

Il ‘69 arriva dopo il ‘68, un anno di incredi-bile rivoluzione culturale. Il ‘69 non è certoda meno. Solo in Italia si contano oltre 150attentati dinamitardi. Sempre in Italia alcu-ne leggi molto importanti sono varate pro-prio in questo anno: la pensione sociale, cioèun contributo minimo a chi ha compiuto 65anni, anche se non ha versato i contributisufficienti all’Inps; l’apertura dell’università atutti, anche se non si è frequentato il liceo;l’articolo 18, lo statuto dei lavoratori, una leg-ge fondamentale per i diritti umani. Se si sfo-gliano i giornali del 12 dicembre, si parla pro-prio dello statuto dei lavoratori appena fir-mato. Ricordiamocelo. Lo stesso giornoesplode la bomba di piazza Fontana. Poi fini-scono gli anni Sessanta. Cominciano gli an-ni di piombo.

Il 12 dicembre a Milano muoiono Giovan-ni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini,Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Ga-latioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, LuigiMeloni, Vittorio Mocchi, Gerolamo Papetti,Mario Pasi, Paolo Perego, Oreste Sangalli,Angelo Scaglia, Carlo Silva, Attilio Valé. Era-no in banca nel momento sbagliato.

Il Duomo è una delle chiese più grandi almondo. Se lo si affianca e si giunge dietro,termina l’area pedonale, passano le auto, imezzi pubblici e si vede il retro del Duomo.

Nel didietro del Duomo si trova, a pochimetri, piazza Fontana. Si chiama così perchévi ha locazione una fontana del ‘700. Fonta-na – piazza Fontana. Duomo – piazza delDuomo.

In piazza Fontana c’è la fermata del tram,c’è il mercatino degli agricoltori e c’è la Ban-ca Nazionale dell’Agricoltura, così gli agricol-tori non fanno molta strada coi contanti. Di-rettamente dal mercato alla cassaforte. Sia-mo alla fine degli anni Sessanta, il contadinoè un contadino e il contadino di quel tempoè una persona grande, con la carnagione oli-vastra, il viso solcato da molte rughe, le ma-ni grosse come pale, nodose e rovinate dalduro lavoro, è diffidente e di poche parole.Avendo un’attività – coltivare la terra è un’at-tività – in banca bisogna andarci; la tecnolo-gia comincia a muovere i primi passi e ancheloro si devono adeguare ai tempi. Il tavolo ot-tagonale al centro del salone serve per potercompilare dei moduli e andare poi in coda al-lo sportello.

Dicembre 1969: un caffè al bar costa 50 li-re, al cinema Rivoli si proietta il film di JohnSchlesinger Un uomo da marciapiede, c’èuna coda molto lunga per vederlo; alla Scalasi rappresenta l’opera buffa in due atti diGioacchino Rossini e Cesare Sterbini Il bar-biere di Siviglia, con un cast eccezionale: ilgiovane maestro Claudio Abbado e, interpre-ti principali, la splendida signora della liricaTeresa Berganza e il simpaticissimo tenoreperuviano Luigi Alva. Nonostante quest’ope-ra sia stata composta agli inizi dell’800, in al-cune sue arie è di una attualità disarmante.

L’attualità di quell’anno, il 1969. L’attualitàdi quel mese, dicembre. L’attualità di quellapiazza con la fontana, la fermata del tram, ilDuomo dal didietro, il mercato, la banca.

Tra pochi giorni è Natale. C’è chi ha pen-sato a un regalo assai «originale». Qualcuno,con molta calma, aziona un timer di sessan-ta minuti, chiude la valigetta, esce da un luo-go vicino e sicuramente protetto per poterfare una cosa del genere, si dirige verso il di-dietro del Duomo, a piedi. Con una bombaazionata da un timer dentro una valigetta, viazzardereste a prendere un taxi? La metro?Il tram?

7 kg di esplosivo, azionati da un timer, so-no compressi in una cassetta metallica e in-serita dentro una 24 ore in similpelle nerache è adagiata sotto un grosso tavolo ottago-nale nel salone centrale della Banca Naziona-

i servizi dicembre 2014 confronti

«Scrivere del 1969 vuoldire confezionare unracconto che sidovrebbe trovaredentro i libri di storia.Invece la storia a scuolasi ferma prima. Quindi il1969 è un anno ormaitalmente lontano datrovare sempre menotestimoni che lopossano raccontare, manon abbastanza daessere studiato. Sta inun limbo, il limbodell’ignoranza».

Piazza Fontana45 anni dopo

Antonio Carletti

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le dell’Agricoltura, in piazza Fontana n. 4, inpieno centro a Milano, venerdì 12 dicembre1969. Ore 16.37, nonostante l’ora la banca èaperta: oggi è giorno di mercato. È un ap-puntamento classico per i clienti della banca,gente della provincia contadina lombarda,veneta e piemontese. La banca conosce leabitudini dei suoi clienti, quindi il venerdì aquell’ora è aperta.

Chi ha organizzato l’attentato è consapevo-le. Il luogo, il giorno e l’ora sono perfetti. Per-fetti per una strage. Ore 16.37 e di questabanca rimane ben poco: 17 morti, 88 feriti eun grande buco in mezzo al salone, che èquello provocato dall’esplosione della bom-ba ed è anche quello che serve da 45 anni pernascondere la verità.

Buco nero non è un termine casuale, per-ché è stato coniato proprio nel 1969 dalloscienziato statunitense John Wheeler, comedescrizione grafica di un’idea che già risalivaa chi scrutava l’immensità del cielo nell’illu-minato ‘700. Vedere qualcosa che non esistepiù ma percepire il suo passaggio. Una sortadi viaggio nello spazio/tempo contempora-neamente, per spostare i limiti all’infinito. Iltempo è un cerchio che torna sempre al pun-to di partenza. Infatti gli orologi sono sem-pre stati costruiti rotondi. In una poesia Um-berto Saba osserva che la modernità ha fattosì che il design fosse più importante della re-golarità del tempo. Così sono nati gli orolo-gi a forma triangolare, quadrata, ottagonaleecc. Comunque è solo design. 12-12, una da-ta, due giri dell’orologio.

Subito sembra lo scoppio della caldaia deicaloriferi. Non è così. La resistenza oppostadal pavimento di cemento armato scaraven-ta l’onda d’urto contro le pareti del salone,distruggendo tutte le vetrate e facendo l’in-ferno.

Centinaia di schegge di metallo dell’invo-lucro della bomba sono sparse ovunque e siconficcano nei corpi delle persone (pratica-mente sono pallottole) come del resto mi-gliaia di pezzi di vetro. Membra umane spar-se in ogni dove, corpi maciullati, sventrati.

Il signor Pietro al momento dell’esplosio-ne si trovava al tavolo ottagonale, al centrodel salone, probabilmente per compilare unmodulo: disintegrato. Alcuni dei feriti sonoprivi di arti. Per i soccorritori la scena èapocalittica.

Questura di Milano. L’edificio, sede cen-trale della Polizia, si trova in un antico pa-lazzo di via Fatebenefratelli, ex-convitto instile neoclassico dove studiò AlessandroManzoni. In serata hanno già portato nell’exconvitto per accertamenti 84 persone del gi-ro anarchico e sinistra estrema. Quello chesconcerta non è la velocità e la quantità deifermati, ma il modo di procedere nelle in-dagini. Da subito, senza alternative e per piùdi un anno, si segue una sola pista. La sto-ria dice che la pista era sbagliata. E qui mifermo.

Domani è Santa Lucia che, nonostante si-gnifichi luce, è il giorno più corto che ci sia ola notte più lunga che ci sia, quindi alle 16.37è già buio e Milano sprofonda nell’orrore.

Il 12 dicembre invece è Santa Ma-ria di Guadalupe, la patrona e regi-na del continente americano. LaMaria meticcia. Se Gesù è biondocon gli occhi azzurri, anche se è pa-lestinese, Maria può avere tranquil-lamente la pelle scura. Scura comeMilano.

Nota sul 12 dicembre 1969C’è molto freddo, perché a Milano adicembre fa freddo, ma la gente no-nostante tutto è in giro, per spende-re la tredicesima, e così si fanno leclassiche «vasche» tra corso VittorioEmanuele, piazza del Duomo, piazzaSan Babila, bisogna acquistare i rega-li, quello che sta per cominciare è ilpenultimo week-end utile. Buon Natale.

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Il 12 dicembre a Milano muoionoGiovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto,Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Vittorio Mocchi, Gerolamo Papetti,Mario Pasi, Paolo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silva, Attilio Valé.